CONSIGLIO DI STATO Sezione Prima Adunanza di Sezione dell'8 novembre 2017. Numero affare 01480/2016. Oggetto: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor Nicandro Cavagliotti, nato a Treviso il 2 dicembre 1943 e residente a Sondrio, per l'annullamento della deliberazione del consiglio comunale di Sondrio 28 novembre 2014 n. 81, d'approvazione di variante del piano di governo del territorio. La Sezione, Vista la relazione 9 giugno 2017 prot. n. 103, con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per le infrastrutture, i sistemi informatici e statistici - ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso; visto il ricorso, notificato al Comune di Sondrio l'8 maggio 2015; viste le controdeduzioni del Comune di Sondrio; visto il proprio parere istruttorio reso nell'adunanza del 7 dicembre 2016; esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Saverio Capolupo. Premesso: Il Comune di Sondrio, gia' dotato del piano di governo del territorio approvato con deliberazione del Consiglio comunale 6 giugno 2011, n. 40, con deliberazione della giunta comunale del 29 settembre 2013 ha attivato un procedimento di variante del medesimo piano, comunicandolo alla cittadinanza. In merito sono state avanzate proposte da parte di alcuni cittadini. L'ente territoriale ha introdotto, inoltre, modifiche alle norme tecniche d'attuazione, alcune delle quali su suggerimento dell'ufficio tecnico comunale. Fra le modifiche della normativa, in particolare, una riguarda la disciplina delle distanze tra fabbricati «Distanza minima tra edifici», come dettata dall'art. 3 «Definizioni urbanistiche ed edilizie», dell'elaborato «Definizioni e disposizioni generali del Piano di governo del territorio». Nella formulazione originaria, essa stabiliva che «Nelle aree comprese in ambiti di trasformazione e nelle aree comprese in ambiti del territorio consolidate (Piano delle Regole) la distanza minima tra edifici deve essere pari all'altezza dell'edificio piu' alto e comunque non inferiore a m 10, fatta eccezione per gli edifici nelle aree comprese in ambiti del territorio urbanizzato di antica formazione per i quali la distanza minima tra edifici non puo' essere inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale». A seguito della variante approvata, il testo della disposizione e' stato cosi riformulato: «Nelle aree comprese in ambiti di trasformazione e in ambiti del territorio consolidate (Piano delle Regole) la distanza minima tra edifici deve essere non inferiore a m 10, fatta eccezione per gli edifici compresi nei tessuti edificati di antica formazione (Taf) per i quali la distanza minima tra edifici non puo' essere inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale. Limitatamente alle aree comprese in ambiti di trasformazione, la distanza minima deve inoltre essere pari o superiore all'altezza dell'edificio piu' alto». Per effetto della variazione e' stata sottratta all'applicazione della disciplina piu' restrittiva (quella che impone una distanza minima pari all'altezza dell'edificio piu' alto), le aree di nuova edificazione comprese all'interno di un ambito territoriale che, secondo la disciplina dettata dalla legge regionale della Lombardia 11 maggio 2005, n. 12 viene definito «il tessuto urbano consolidato». In particolare, la riformulata disposizione e' riferita agli ambiti territoriali previsti e disciplinati dagli articoli 18 e 19 delle norme di attuazione del piano delle regole. Con l'art. 18 vengono definiti alcuni ambiti di espansione edificatoria che, pur compresi nel perimetro territoriale disegnato al fine d'individuare il cosiddetto «tessuto urbano consolidato», e definiti «tessuti di completamento», costituiscono vere e proprie aree di espansione edificatoria, dato che ai sensi del comma 1 del predetto art. 18 «Gli ambiti cosi' classificati sono rappresentati da parti prevalentemente non edificate, intercluse all'interno del tessuto consolidate di fondovalle o di versante o ai suoi margini. La loro individuazione sul territorio consente di affermare che si tratta di ambiti privi di edificazione, da assoggettare per la prima volta a processo urbanizzativo ed edificatorio. Tale risulta la condizione dell'ambito n. 15, adiacente alla proprieta' del ricorrente, individuato dall'art. 19, quale ambito assoggettato a piano attuativo obbligatorio. Tale ambito conferma una previsione gia' presente nel previgente piano regolatore generale approvato negli anni '90, laddove era individuata come zona «RT n. 17», assoggettata a piano attuativo obbligatorio, coinvolgente il medesimo ambito territoriale, assolutamente privo di edificazione e destinato a nuovi insediamenti residenziali, ubicato ai margini estremi dell'aggregato urbano edificato, lungo la strada che introduce alla Valmalenco, caratterizzata da una elevata acclivita'. Il citato ambito, individuato nel piano generale del territorio come ambito n. 15 nell'art. 19, conferma la delimitazione dello stesso ambito territoriale individuato nel precedente piano regolatore generale come «RT n. 17», mai coinvolto in precedenza in processi di urbanizzazione di edificazione, atteso che e' stata assoggettata in entrambi gli strumenti urbanistici a piano attuativo, com'e' prescritto per tutte le zone che, secondo il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, devono essere qualificate come zone di espansione. L'Amministrazione, nella scelta di denominazioni e sigle delle zone territoriali omogenee differenti da quelle dettate nel decreto ministeriale n. 1444/1968 (prima RT ora ambito TAC), ad avviso del ricorrente sarebbero state sottratte alla disciplina che detto decreto ha fissato, specialmente per quanto riguarda il regime delle distanze tra fabbricati, che assumono valenza integrativa del codice civile, asseritamente non derogabili dalle norme locali con conseguente richiesta di disapplicazione delle disposizioni di strumenti urbanistici che fissino una distanza tra fabbricati inferiore a quella prevista nel citato decreto ministeriale. Tutti gli ambiti «Tc» individuati dall'art. 19 del piano generale del territorio sono assoggettati o a piano urbanistico attuativo o a permesso di costruire convenzionato obbligatorio, in considerazione proprio della circostanza che si tratta di ambiti non edificati, da assoggettare per la prima volta ad un processo di urbanizzazione che richiede la preventiva pianificazione di dettaglio, o almeno, ove si tratti di un ambito di piu' limitata estensione, ad un permesso di costruire corredato da una convenzione obbligatoria, mediante la quale garantire gli stessi effetti del piano attuativo. A conferma, il ricorrente richiama la circostanza che su 20 ambiti «Tc» individuati e disciplinati dall'art. 19 del piano generale del territorio ben 11 sono soggetti al piano attuativo obbligatorio. Fra essi vi e' il n. 15, confinante con la sua proprieta', sulla quale insiste un edificio a destinazione residenziale (individuato in catasto al foglio 31 mappale 319 del Comune di Sondrio), a fronte del quale e' in corso di realizzazione un complesso residenziale avente altezza largamente superiore a m 10, che non rispetterebbe la distanza pari all'altezza dell'edificio piu' alto, come prescritto per le zone omogenee C (parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densita' delle zone, totalmente edificate) dall'art. 9, 1° comma, del decreto ministeriale n. 1444/1968. Il ricorrente evidenzia, poi, che nelle stesse «Norme di attuazione del Piano delle regole al Capo 2 (articoli 14, 15, 16, 17)» vengono disciplinate le altre porzioni del tessuto urbano consolidato che presentano gia' una condizione di parziale o compiuta edificazione, per i quali vengono ammessi interventi diretti o perfino piani attuativi all'interno dei quali viene consentita una distanza tra gli edifici minore di quella minima di legge, evidentemente in applicazione di quanto disposto dall'ultimo comma dell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968. Tale circostanza fa emergere la presenza, all'interno del tessuto urbano consolidato, di ambiti territoriali molto diversificati fra loro, alcuni dei quali aventi le caratteristiche delle zone di completamento, altri quelle delle zone di espansione. 2. Il ricorrente lamenta che la profonda diversita' di condizione oggettiva renda ingiustificata e illegittima la sottrazione al piu' incisivo regime delle distanze tra fabbricati fissato dall'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968 proprio per le zone di nuova edificazione ed urbanizzazione. Di conseguenza egli impugna la variante del piano generale del territorio di Sondrio, segnatamente la parte mediante la quale ha modificato la disposizione dell'art. 3 relativa alla distanza tra fabbricati riducendo la misura della distanza tra immobili fronteggianti alla sola misura di ml. 10,00 ed escludendo dall'applicazione della maggiore distanza pari all'altezza dell'edificio piu' alto i nuovi insediamenti previsti nelle cosiddette «zone TAC», e confermando tale disposizione solo per i nuovi insediamenti in ambiti di trasformazione, senza tener conto del fatto che, invece, per situazioni del genere doveva essere mantenuta la formulazione originaria conforme al dispositivo dell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968, data l'identita' di condizioni oggettive di ambiti non edificati da assoggettare, per la prima volta, ad un processo di nuova urbanizzazione soggetto a preventiva approvazione di piano attutivo. A fondamento del ricorso il ricorrente deduce i seguenti motivi di violazione di legge ed eccesso di potere. 1. Violazione dell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968, in quanto e' stato espunto dall'ordinamento urbanistico locale l'obbligo del rispetto della distanza minima pari all'edificio piu' alto, in relazione ad interventi di nuova edificazione, in asserite «Zone di espansione edificatoria aventi le condizioni oggettive delle Zone C». 2. Difetto di motivazione e contraddittorieta', perche' l'originaria formulazione del PGT in materia di distanze dettava una disposizione univoca, in conformita' alla disciplina prevista dal richiamato art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968, avente valenza vincolante in sede di pianificazione. La decisione di modificare la norma generale sarebbe quindi arbitraria, oltre che carente di adeguata motivazione. 3. Difetto di motivazione, contraddittorieta', deviazione dalla funzione. Il ricorrente sostiene che il 29 settembre 2013, pur in presenza di un PGT approvato (deliberazione del consiglio comunale n. 40/2011), la giunta comunale ha assunto la determinazione di avviare il procedimento di revisione del PGT con l'esplicita affermazione di aggiornare il piano senza alterarne l'impostazione complessiva originaria e al solo fine di correggere errori materiali riscontrati in fase applicativa. Quindi, la rilevante modifica sul regime delle distanze contestata avrebbe il carattere di norma elusiva di tassativi limiti di legge e foriera di ulteriori situazioni di contrasto con il vigente quadro giuridico di riferimento. Considerato: 3. L'art. 2-bis del decreto del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 stabilisce che: «...le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attivita' collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali». La Regione Lombardia, con le modifiche introdotte alla legge urbanistica regionale 11 maggio 2005, n. 12 con la legge regionale 14 marzo 2008, n. 4, ha recepito tali indicazioni stabilendo, ai fini dell'adeguamento degli strumenti urbanistici, l'inapplicabilita' del citato decreto ministeriale n. 1444/1968 fatto salvo, limitatamente agli interventi di nuova costruzione, il rispetto della distanza minima di dieci metri, derogabile all'interno dei piani attuativi. L'art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile n. 1444/1968 dispone che «Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: 3) Zone C): e' altresi' prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato piu' alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a m 12. Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilita' a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di: m 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7; m 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra m 7 e m 15; ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15». L'art. 1-bis della legge regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera xxx), legge regionale 14 marzo 2008, n. 4, prevede che «Ai fini dell'adeguamento, ai sensi dell'art. 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti, non si applicano le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita' edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, fatto salvo, limitatamente agli interventi di nuova costruzione, il rispetto della distanza minima tra fabbricati pari a dieci metri, derogabile all'interno di piani attuativi». Il successivo comma 1-ter dispone che «Ferme restando le distanze minime di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile, fuori dai centri storici e dai nuclei di antica formazione la distanza minima tra pareti finestrate, di cui al comma 1-bis, e' derogabile per lo stretto necessario alla realizzazione di sistemi elevatori a pertinenza di fabbricati esistenti che non assolvano al requisito di accessibilita' ai vari livelli di piano». 4. In materia di distanza tra fabbricati, per costante giurisprudenza (da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 23 giugno 2017, n. 3093; 8 maggio 2017, n. 2086; 29 febbraio 2016, n. 856; Corte cassazione civ., sez. II, 14 novembre 2016, n. 23136), la disposizione contenuta nell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile poiche' si tratta di norma imperativa la quale predetermina, in via generale ed astratta, le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. Tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell'interesse pubblico e non gia' con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che e' invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. Occorre osservare, poi, che la disposizione dell'art. 9, n. 2 del decreto ministeriale n. 1444 riguarda «nuovi edifici», intendendosi per tali gli edifici (o parti o sopraelevazioni di essi: Consiglio di Stato, sez. IV, 4 agosto 2016, n. 3522) «costruiti per la prima volta» e non gia' edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse. Tale affermazione trova riscontro in una pluralita' di considerazioni. Occorre, infatti, ricordare che, ai sensi dell'art. 41-quinquies legge 17 agosto 1942, n. 1150, - avente per oggetto «Disciplina dell'attivita' urbanistica e suoi scopi» nella formulazione in vigore dal 30 giugno 2003, i limiti inderogabili di densita' edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati nonche' i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o a parcheggi», sono imposti ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti. Cio' significa che essi sono previsti dalla norma primaria per la «nuova» pianificazione urbanistica e non gia' per intervenire sull'esistente, tanto meno se rappresentato da un singolo edificio (a meno che «l'esistente» non sia esso stesso complessivamente oggetto di pianificazione urbanistica). Ed infatti, in coerenza con quanto ora affermato, lo stesso art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968 per le zone «A», nel contemplare le distanze tra edifici gia' esistenti prevede che le distanze «non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti». Difatti, il discrimine in tema di distanze (con l'introduzione del limite inderogabile di 10 m), nella ratio dell'indicato art. 9, non e' dato dalla differenza tra zona A ed altre zone, quanto tra costruzione del tutto nuova (ordinariamente non ipotizzabile in zona A) e ricostruzione di un immobile preesistente. Se cosi non fosse, risalterebbe l'illogicita' della disposizione, non potendosi evidenziare alcuna differenza, sotto il profilo che qui interessa, tra zona A e zona B totalmente edificata (ex art. 2 decreto ministeriale n. 1444/1968). D'altra parte, a voler applicare il limite inderogabile di distanza ad un immobile prodotto da ricostruzione di un altro preesistente si otterrebbe che, da un lato, l'immobile considerato non potrebbe essere demolito e ricostruito, se non «arretrando» rispetto all'allineamento preesistente (con conseguente possibile perdita di volume e realizzandosi, quindi, un improprio «effetto espropriativo» del decreto ministeriale n. 1444/1968); dall'altro lato, esso non potrebbe in ogni caso beneficiare della deroga di cui all'ultimo comma dell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968, allorquando la demolizione e ricostruzione (ancorche' per un solo fabbricato) non fosse prevista nell'ambito di uno strumento urbanistico attuativo con dettaglio piano volumetrico. Anzi, la stessa circostanza che la deroga di cui all'art. 9, u.c., sia prevista per il tramite di strumenti urbanistici attuativi conferma quanto innanzi affermato e cioe' che le norme sulle distanze di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968 si riferiscono alla nuova pianificazione del territorio e non gia' ad interventi specifici sull'esistente. In conclusione, in tema di distanze fra costruzioni, l'art. 9, comma 2, decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, «poiche' emanato su specifica delega contenuta nell'art. 41-quinquies della legge urbanistica fondamentale 17 agosto 1942, n. 1150, ha efficacia di legge dello Stato sicche' le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita', altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti edilizi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica» (Cass. civ. sez. II, 12 febbraio 2016, n. 2848). 5. Le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi sono state, da tempo, ricondotte dalla Corte costituzionale nell'ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio (Corte costituzionale, sentenza 23 novembre 2011, n. 309; 1° ottobre 2003, n. 303). In merito e' stato chiarito che «sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perche' e' in conformita' a queste ultime che e' disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonche' agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L'intero corpus normativo statale in ambito edilizio e' costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall'altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato». Con specifico riferimento al riparto di competenze in tema di distanze legali, la medesima Corte ha affermato che «la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell'ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni e' consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. Dunque, se da un lato non puo' essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall'altro essa, interferendo con l'ordinamento civile, e' rigorosamente circoscritta dal suo scopo - il governo del territorio - che ne detta anche le modalita' di esercizio» (Corte costituzionale, sentenze 3 novembre 2016 n. 231; 23 gennaio 2013 n. 6; 21 maggio 2014 n. 134; ordinanza 19 maggio 2011 n. 173). Si e' affermato di conseguenza che «nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza - statale in materia di "ordinamento civile" e concorrente in materia di "governo del territorio" -, il punto di equilibrio e' stato rinvenuto nell'ultimo comma dell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, ritenuto piu' volte dotato di "efficacia precettiva e inderogabile"» (Corte costituzionale, sentenza 10 maggio 2012, n. 114; ordinanza 19 maggio 2011, n. 173). Con rifermento ad eventuali deroghe, la Corte ha ritenuto che tale disposto ammette distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche». In definitiva, le deroghe all'ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio. Le richiamate conclusioni sono state ribadite anche a seguito dell'emanazione dell'art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 - e dell'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Ad avviso del giudice costituzionale, invero, la disposizione ha recepito l'orientamento della Corte «inserendo nel testo unico sull'edilizia i principi fondamentali della vincolativita', anche per le regioni e le province autonome, delle distanze legali stabilite dal decreto ministeriale n. 1444/1968 e dell'ammissibilita' di deroghe solo a condizione che esse siano inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenze 20 luglio 2016, n. 175 e 21 settembre 2016, n. 178). 6. L'art. 103, comma 1-bis, della legge della Regione Lombardia n. 12/2005, non affidando l'operativita' dei suoi precetti a «strumenti urbanistici» e non essendo funzionale ad un «assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio», riferisce la possibilita' di deroga a qualsiasi ipotesi di intervento, quindi anche su singoli edifici, con la conseguenza che essa risulta assunta al di fuori dell'ambito della competenza regionale concorrente in materia di «governo del territorio», in violazione del limite «dell'ordinamento civile» assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Sotto i delineati profili la Sezione e' dell'avviso che la questione di legittimita' costituzionale di cui al comma 1-bis dell'art. 103 della legge regionale della Lombardia 2005, n. 12, (comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lettera xxx), della legge regionale Lombardia 14 marzo 2008, n. 4), non sia manifestamente infondata. Non puo' dubitarsi, poi, della sua rilevanza atteso che, come emerge dall'esposizione fin qui svolta, la sua applicazione e' decisiva ai fini della decisione della controversia in esame. Dev'essere disposta, conseguentemente, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della predetta questione di legittimita' costituzionale.