Ricorso ex art. 127 Costituzione per il Presidente del  Consiglio
dei ministri (c.f.  80188230587),  rappresentato  e  difeso  ex  lege
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato   (c.f.   80224030587;   pec:
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it    -    fax    06/96514000)     ed
elettivamente domiciliata presso i  suoi  uffici  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione  Campania,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale pro tempore; 
per  l'annullamento  della l.r.  Campania  2  agosto  2018   n.   26,
pubblicata nel Bollettino Ufficiale regionale  n.  54  del  3  agosto
2018, recante «Misure di semplificazione in materia  di  governo  del
territorio e per la competitivita' e  lo  sviluppo  regionale.  Legge
annuale di semplificazione 2018». 
 
                            Premesso che 
 
    La legge della Regione Campania 2  agosto  2018  n.  26,  recante
«Misure di semplificazione in materia di governo del territorio e per
la  competitivita'  e  lo  sviluppo  regionale.  Legge   annuale   di
semplificazione 2018», detta disposizione per la semplificazione e la
razionalizzazione dei  procedimenti  normativi  e  amministrativi  in
materia di governo del territorio e di lavori pubblici. 
    L'impugnato testo normativo presenta  profili  di  illegittimita'
costituzionale con  riferimento  alle  disposizioni  contenute  negli
articoli 6 e 12, che violano gli articoli 3,  5,  114,  117,  secondo
comma lettera l) e 118 della Costituzione, alla luce dei seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6 della  l.r.  Campania  2
agosto 2018 n. 26 
    La   norma   contenuta   nel   censurato   art.    6    rubricato
«Semplificazioni in materia di lavori pubblici di interesse regionale
e di opere pubbliche di interesse regionale»  inserisce,  all'interno
della legge regionale della Campania 22 dicembre 2004 n. 16  (recante
«Norme sul governo del territorio»), un aggiuntivo  art.  12-bis  che
definisce le opere e  i  lavori  pubblici  di  interesse  strategico,
individuandoli negli interventi «[...] che siano: 
      a) finanziati, anche solo parzialmente, con fondi  europei  e/o
fondi strutturali; 
      b) volti a  superare  procedure  di  infrazione  e/o  procedure
esecutive di condanne da parte della Corte di  giustizia  dell'Unione
europea per violazione della normativa europea; 
      c) definiti strategici dal  Documento  di  economia  e  finanza
regionale (DEFR); 
      d) inclusi nella programmazione di cui all'art. 63 della  legge
regionale 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei
servizi e delle forniture in Campania) in quanto ritenuti  strategici
per lo sviluppo della regione; 
      e) finalizzati a migliorare  le  condizioni  di  accessibilita'
attiva e passiva della zona rossa per emergenza vulcanica del Vesuvio
e dei Campi Flegrei (realizzazione e/o adeguamento di  infrastrutture
funzionali al miglioramento delle vie di fuga e delle  strutture  per
la logistica previste dal Piano di allontanamento  della  popolazione
residente in zona rossa)». 
    Per i suddetti interventi e' previsto che, ove  la  realizzazione
dell'opera   richieda   «l'azione   integrata»   di   piu'   soggetti
istituzionali, la regione e' chiamata a promuovere la  procedura  per
l'accordo di programma di cui all'art. 12 della  legge  regionale  n.
16/2004, mediante la convocazione di una conferenza di servizi. 
    Nel suddetto ambito procedimentale, per i progetti e le opere che
risultino non conformi al Piano urbanistico comunale (PUC), il comune
interessato e' chiamato ad esprimere il proprio parere motivato. 
    In caso di parere non favorevole, l'art. 12-bis cit. prevede  che
l'amministrazione procedente conceda all'ente comunale un termine  di
trenta giorni per esprimere proposte di modifica al  progetto.  Dette
proposte dovranno essere esaminate  in  un'aggiornata  conferenza  di
servizi (da tenersi entro trenta giorni), all'esito della quale,  ove
non si pervenga all'accordo tra tutte le amministrazioni,  la  Giunta
regionale,  sentita  la  Commissione  consiliare,  potra'   approvare
ugualmente il progetto al  fine  della  realizzazione  dell'interesse
strategico regionale. 
    Ebbene,  la  formulazione  del  censurato  art.  6  della   legge
regionale  n.  26/2018  risulta  del  tutto  illegittima  in   quanto
suscettibile  di  consentire  la  realizzazione  di  opere  che   non
rispondono  all'interesse  dei  cittadini  residenti  nel  territorio
interessato, superando eventuali legittime e motivate  determinazioni
degli enti locali. 
    La suddetta facolta' di aggiramento  delle  istanze  comunali  e'
consentita   dal   legislatore   regionale,    senza    significative
limitazioni, essendo prevista (in maniera del tutto generica) per gli
interventi «finanziati, anche solo parzialmente,  con  fondi  europei
e/o fondi strutturali [...]» o per quelli  «definiti  strategici  dal
Documento di economia e finanza regionale (DEFR) [...]». 
    Come noto, le competenze dei comuni in materia di  pianificazione
del territorio e di urbanistica possono essere  ridotte  o  compresse
dalla  legge  regionale,  ma   non   possono   essere   integralmente
pretermesse  (in  tal  senso  Corte  Costituzionale   n.   378/2000);
diversamente, risulterebbe lesa la sfera di autonomia  amministrativa
costituzionalmente garantita in base al  combinato  disposto  di  cui
agli articoli 5, 114 e 118 della Costituzione. 
    In particolare, l'interesse di rilievo  sovra-comunale  idoneo  a
giustificare una limitazione  o  compressione  delle  prerogative  di
autonomia riconosciute ai comuni in base ai  principi  costituzionali
di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118
Costituzione, deve essere sempre puntualmente individuato e contenuto
entro limiti, anche temporali, giustificati da specifiche esigenze di
carattere sovra-comunale. 
    Sotto   tale   profilo,   la   disposizione   regionale   oggetto
dell'odierna  censura  presenta  aspetti   di   dubbia   legittimita'
costituzionale, ed in particolare: 
      A) per la genericita' e  indeterminatezza  della  formulazione,
che individua l'interesse strategico regionale e giustifica la deroga
ai piani urbanistici comunali (anche  in  disaccordo  con  il  comune
titolare della  funzione  di  programmazione  territoriale),  risulta
potenzialmente idonea a coinvolgere la maggior parte delle  opere  da
realizzare in ambito regionale. Il che si pone  in  aperto  contrasto
con i criteri che presiedono al riparto  costituzionale  di  funzioni
amministrative tra amministrazioni decentrate, secondo i principi  di
sussidiarieta'  e  leale  collaborazione.  L'impugnata   disposizione
risulta confliggente, altresi', con la stessa disciplina regionale in
materia di governo del territorio ed  in  particolare  con  l'art.  4
della legge regionale  n.  16/2004  (Cooperazione  istituzionale  nei
processi di pianificazione), ai sensi del quale:  «Tutti  i  soggetti
istituzionali titolari di funzioni di pianificazione  territoriale  e
urbanistica  informano  la  propria   attivita'   ai   metodi   della
cooperazione e dell'intesa». 
    La norma oggetto di censura, poi, oltre a sacrificare in modo non
adeguatamente  circoscritto  le   prerogative   istituzionali   delle
amministrazioni comunali, si presta altresi' ad esporre la regione ad
innumerevoli  contenziosi  con  le  realta'  locali,  interessate   a
tutelare la  propria  attivita'  di  programmazione  territoriale  in
coerenza  con  i  principi   di   riparto   sanciti   dall'art.   118
Costituzione; 
      B) la disposizione gravata si pone in parziale contrasto,  poi,
con la normativa nazionale di cui alla legge n. 241/1990  in  materia
di conferenza di' servizi,  come  da  ultimo  novellata  dal  decreto
legislativo n. 127/2016. 
      B.1) come noto, la disciplina statale in punto di conferenza di
servizi, secondo quanto previsto dall'art. 29, comma  2-quater  della
legge n. 241/1990, coinvolge i livelli essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali di cui all'art. 117,  comma  2
lettera m) Costituzione, prevedendo in particolare che: «Le regioni e
gli enti locali, nel disciplinare i  procedimenti  amministrativi  di
loro competenza, non possono stabilire garanzie  inferiori  a  quelle
assicurate  ai  privati  dalle  disposizioni  attinenti  ai   livelli
essenziali delle prestazioni di  cui  ai  commi  2-bis  e  2-ter.  ma
possono prevedere livelli ulteriori di tutela». 
    La legge fa salva la  possibilita'  di  individuare,  con  intese
raggiunte in sede di Conferenza  unificata  ex  art.  8  del  decreto
legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  casi  ulteriori  in  cui  gli
istituti procedimentali richiamati dall'art. 29 comma  2-ter  non  si
applicano. 
    Nel  novero  delle  amministrazioni  in  grado  di  esprimere  un
dissenso qualificato in sede di conferenza di servizi sono senz'altro
incluse quelle preposte alla tutela della  salute  e  della  pubblica
incolumita', cui compete la tutela della sicurezza dei beni  e  delle
persone, e piu' genericamente del corpo sociale  nel  suo  complesso.
Fra  di  esse  figura  senza   dubbio   l'amministrazione   comunale,
rappresentata dal sindaco in funzione di massima autorita'  sanitaria
sul proprio territorio. 
      B.2) Ebbene, la legge  7  agosto  1990,  n.  241,  prevede  che
nell'ambito della conferenza  di  servizi,  in  ipotesi  di  dissenso
espresso da un'amministrazione che rappresenti  interessi  sensibili,
si   applichi   l'art.   14-quinquies,   disciplinante   il   rimedio
dell'opposizione  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   da
attivarsi  laddove  in  sede  di  conferenza  sorgano  contrasti   di
particolare complessita'. 
    La disposizione regionale censurata, al contrario,  disattendendo
il livello minimo di garanzia sancito  dall'art.  14-quinquies  cit.,
prevede che il progetto su cui l'ente  comunale  abbia  sollevato  il
proprio motivato  dissenso  possa  essere  comunque  approvato  dalla
Giunta regionale senza in alcun modo interessare  la  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri,  con  evidente  sacrificio  del   principio
collaborativo che, in base al dettato costituzionale, deve  orientare
le   amministrazioni   nell'esercizio   delle   rispettive   funzioni
amministrative. 
      B.3) Si osserva, sotto altro profilo, che il termine di  trenta
giorni  assegnato  dalla  legge  regionale  all'ente   comunale   per
esprimere il proprio dissenso motivato non risulta  rispettoso  delle
minime garanzie procedimentali sancite dalla legge  nazionale  tenuto
conto che, in ambito comunale,  il  sindaco  rappresenta  la  massima
autorita' in materia sanitaria. 
    A tal proposito, l'art. 14-bis della legge  n.  241/1990  prevede
che   «le   amministrazioni   preposte   alla   tutela    ambientale,
paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, o alla  tutela  della
salute dei cittadini o della pubblica incolumita',  ove  disposizioni
di legge o provvedimenti di cui all'art. 2 non prevedano  un  termine
diverso, il suddetto termine e' fissato in novanta giorni». 
    Ebbene, l'individuazione tassativa del suddetto termine e'  stata
prevista, a livello di legislazione nazionale, proprio per  accordare
maggior tutela agli interessi sensibili espressamente indicati  dalla
norma dianzi citata. 
    La  fissazione  di  un  termine  piu'  breve  all'interno   della
disposizione oggi censurata, pertanto, sembra porsi in contrasto  con
le minime esigenze di tutela procedimentale sancite dall'art.  14-bis
cit.,  esponendo   peraltro   l'amministrazione   regionale   ad   un
significativo contenzioso con le altre amministrazioni preposte  alla
tutela dei suddetti interessi sensibili. 
    Per i  motivi  sopra  specificati,  dunque,  la  norma  regionale
contenuta nell'art. 6  della  legge  regionale  n.  26/2018  viola  i
seguenti parametri costituzionali: 
      il  principio  di  proporzionalita'  (ricavabile  dal   dettato
dell'art 3 della Costituzione) che risulta violato  dalla  previsione
del  termine  di  30  giorni  concesso  al  comune  per   l'eventuale
manifestazione del dissenso. In  presenza  di  opere  e/o  lavori  di
particolare  complessita'  e  di  notevole  impatto  sugli  interessi
appartenenti alla  sfera  comunale,  infatti,  tale  termine  risulta
palesemente insufficiente e inadeguato, non  consentendo  che  alcuna
valutazione possa essere compiuta con piena cognizione di causa. 
      l'art 114, commi 1 e  2  della  Costituzione,  che,  nel  testo
novellato dalla riforma costituzionale del 2001, ha  attribuito  agli
enti  locali  pari  dignita'   istituzionale   rispetto   agli   enti
territoriali maggiori (Stato e Regione), affermando il principio  del
«pluralismo istituzionale paritario», caratterizzato da un sistema di
attribuzione delle  funzioni  amministrative  incentrato  piu'  sulla
divisione delle materie per aree di competenza che  su  relazioni  di
natura propriamente gerarchica. 
      l'art. 118,  1  comma,  della  Costituzione,  secondo  cui  «le
funzioni amministrative sono attribuite ai comuni» e solo nel caso in
cui sussistano esigenze di esercizio unitario operano i  principi  di
sussidiarieta'  ed  adeguatezza  per  cui  e'  previsto  l'intervento
sostitutivo del livello di governo superiore.  Detto  altrimenti,  la
norma  costituzionale  prevede  un'attribuzione  preferenziale  delle
funzioni  amministrative   ai   comuni,   di   talche'   l'intervento
sussidiario della regione ha  modo  di  esprimersi  solo  laddove  il
comune sia impossibilitato ad assolvere efficientemente ad  una  data
funzione. 
    La  norma  regionale  oggi  impugnata,  al  contrario,   consente
un'indiscriminata  inversione  del  criterio   di   riparto   sancito
dall'art.  118  Costituzione,  ponendo  la  Giunta  regionale   nella
posizione  di  poter  disattendere,  senza   significativi   ostacoli
procedimentali, le istanze di tutela palesate in sede  di  conferenza
di servizi da parte degli enti locali coinvolti. 
    Peraltro, la genericita' e molteplicita' delle categorie di opere
e lavori pubblici menzionati dalla proposta di legge regionale (senza
adeguate  specificazioni)  estende  a  dismisura  i  presupposti   in
presenza dei quali puo' esplicarsi l'anzidetto potere  della  Regione
che finisce per diventare un potere di avocazione generale. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 12 della l.r.  Campania  2
agosto 2018 n. 26. 
    L'art.  12  della  l.r.  Campania  2  agosto  2018  n.  26   reca
disposizioni  di  semplificazione  in  materia  di  Sportello   unico
regionale per le attivita' produttive. In  particolare  il  comma  1,
punto 3, della norma sostituisce il comma 1-bis  dell'art.  20  della
legge regionale n. 11/2015,  istitutiva  dello  Sportello  regionale,
SURAP, al quale  sono  demandati  i  compiti  espressamente  indicati
dall'art. 20 cit. 
    La norma oggetto di censura prevede che: «nel caso di  iniziative
di interesse regionale inerenti attivita'  economiche  e  produttive,
anche  che  comportino  varianti   urbanistiche,   il   provvedimento
abilitativo per l'avvio di nuove imprese che  intendano  localizzarsi
sul territorio campano  e'  rilasciato  dal  SURAP,  in  qualita'  di
amministrazione procedente su istanza delle imprese e previo accordo,
ai sensi dell'art. 15 della legge n. 241/1990  [...],  con  i  comuni
territorialmente competenti anche ai fini dell'istruttoria  in  forma
telematica  e  dell'indizione  ,  convocazione  e  conclusione  della
Conferenza dei servizi di cui all'art. 7 del decreto  del  Presidente
della Repubblica 7 settembre 2010 n. 160». 
    La norma poi precisa che: «Restano ferme le potesta'  degli  enti
locali in materia di governo del territorio e di rilascio dei  titoli
abilitativi  a  costruire  nonche'  le  normative   in   materia   di
autorizzazioni ambientali, quelle attuative di obblighi comunitari  e
i procedimenti  unici  di  competenza  regionale.  La  qualificazione
dell'interesse regionale e l'individuazione delle iniziative  avviene
con delibera di Giunta regionale, sentita la  Commissione  consiliare
competente in materia». 
    La normativa di settore in materia di funzioni ed  organizzazione
dello sportello unico delle attivita' produttive, di cui  al  decreto
del Presidente della Repubblica  n.  160/2010,  (Regolamento  per  la
semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico
per le attivita' produttive, ai sensi  dell'art.  38,  comma  3,  del
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con  modificazioni,  dalla
legge n. 133 del 2008)  individua,  all'art.  2,  comma  1,  il  SUAP
comunale «quale unico soggetto pubblico di  riferimento  territoriale
per tutti i  procedimenti  che  abbiano  ad  oggetto  l'esercizio  di
attivita' produttive e di prestazione di servizi, e  quelli  relativi
alle  azioni  di   localizzazione,   realizzazione,   trasformazione,
ristrutturazione  o  riconversione,  ampliamento   o   trasferimento,
nonche' cessazione o riattivazione delle suddette attivita' [...]». 
    Ai sensi della suddetta norma statale e' il SUAP che assicura  al
richiedente una risposta telematica unica e tempestiva in luogo degli
altri  uffici  comunali  e  di  tutte  le  amministrazioni  pubbliche
comunque coinvolte nel procedimento,  ivi  comprese  quelle  preposte
alla tutela ambientale,  paesaggistico-territoriale,  del  patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita' (art. 4, comma 1). 
    Peraltro la stessa normativa (art. 4, comma 2)  specifica  ancora
che «Le comunicazioni al richiedente  sono  trasmesse  esclusivamente
dal SUAP; gli altri uffici comunali e  le  amministrazioni  pubbliche
diverse dal comune, che sono interessati al procedimento, non possono
trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta,  pareri  o
atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque  denominati  e
sono tenute a trasmettere immediatamente al SUAP tutte le denunce, le
domande,  gli  atti  e  la  documentazione  ad   esse   eventualmente
presentati, dandone comunicazione al richiedente». 
    La norma regionale in esame, al contrario,  prevede  che  sia  il
SURAP regionale a rilasciare il provvedimento abilitativo per l'avvio
di nuove imprese che intendano localizzarsi sul territorio regionale,
cosi' ponendosi in contrasto con le sopra citate  norme  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 160/2010. 
    Peraltro  la  disposizione  di  cui  all'art.  12   cit.   appare
illegittima anche in considerazione del fatto che l'art. 4,  comma  5
del piu' volte citato decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
160/2010  prevede  che  «I  comuni  possono  esercitare  le  funzioni
inerenti al SUAP  in  forma  singola  o  associata  tra  loro,  o  in
convenzione con le camere di commercio». 
    Il principio in base al quale sia il Comune (attraverso il  SUAP)
l'ente   deputato   a   rilasciare   il   titolo   abilitativo,   ove
normativamente richiesto, per l'avvio e l'esercizio  di  un'attivita'
d'impresa  e'  ribadito  inoltre  dall'art.  6  della  direttiva   n.
2006/123/CE (c.d. «Direttiva servizi») come attuato dall'art. 25  del
decreto legislativo n. 59/2010, nonche' dagli articoli 23  e  24  del
decreto legislativo n. 112/1998, 8 e 9  del  decreto  legislativo  n.
114/1998 e 38 del decreto-legge n. 112/2008. 
    Inoltre, il rinvio contenuto nella norma censurata  agli  accordi
di cui all'art. 15, comma 1, della legge n.  241  del  1990,  secondo
cui: «le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro
accordi  per  disciplinare  lo  svolgimento  in   collaborazione   di
attivita' di interesse comune», non puo' giustificare la deroga  alla
normativa statale citata, che attribuisce  ai  comuni:  «le  funzioni
amministrative  concernenti  la  realizzazione,   l'ampliamento,   la
cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione
di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle  concessioni  o
autorizzazioni edilizie» (art. 23, comma 1, del  decreto  legislativo
n. 112 del 1998): trattasi, come e' evidente, di questione  attinente
all'ordinamento  civile  che  costituisce  senza  dubbio  oggetto  di
legislazione statale esclusiva  ai  sensi  dell'art.  117,  comma  2,
lettera l) della Costituzione. 
    Per questi motivi la norma in  esame  risulta  in  contrasto  con
l'art. 117, comma 2, lettera l), Costituzione e con gli  articoli  5,
114 e 118, comma 1, della Costituzione.