Ricorso per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato nell'interesse della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, in persona del Procuratore della Repubblica e del Procuratore aggiunto del medesimo ufficio, titolare del procedimento penale n. 2017/3922, rappresentati e difesi giusta delega a margine del presente atto dal prof. avv. Federico Sorrentino ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, Lungotevere delle Navi, n. 30; Nei confronti: della Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, istituita con legge 7 gennaio 2014, n. 1, in persona del suo Presidente pro tempore; della Camera dei deputati, in persona del suo Presidente pro tempore; del Senato, in persona del suo Presidente pro tempore, in relazione: alla deliberazione del 3 maggio 2017 della Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati istituita con legge 7 gennaio 2014, n. 1, relativa al mantenimento del regime di segretezza apposto sul verbale contenente l'audizione dinanzi alla Commissione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016; al non accoglimento dell'istanza di desecretazione inoltrata alla Commissione dalla Procura di Torino in data 23 giugno 2017. Fatto 1. - In data 16 dicembre 2016, veniva depositata presso il Commissariato di P.S. - Palazzo di Giustizia di Roma una querela/denuncia a firma dell'on. Stefano Vignaroli in relazione ad un articolo a firma della giornalista Grazia Longo, pubblicato in data 3 ottobre 2016 sul quotidiano La Stampa, dal titolo «Anche Vignaroli finisce nel mirino per le presunte pressioni su Tronca. Commissione Ecomafie e pm potrebbero ascoltare il deputato». Questo il tenore dell'articolo: «l'inchiesta di Monnezzopoli e' legata sempre piu' a quella di Mafia Capitale, ma anche gravata da ombre di intrighi del M5S sulla gestione dei rifiuti. A partire dal ruolo ancora tutto da chiarire di Stefano Vignaroli, deputato pentastellato, vice presidente della Commissione Ecomafie. E' lui l'uomo ombra dell'assessora all'ambiente Paola Muraro, indagata per reati ambientali e concorso in abuso d'ufficio (...) Nel frattempo rimane aperto il capitolo Vignaroli che insieme alla compagna la senatrice Paola Taverna e' stato lo sponsor della Muraro come assessore. Ha avuto anche lui un rapporto privilegiato con Cerroni (indagato per associazione a delinquere e traffico illecito di rifiuti)? C'e' un episodio sul quale occorre far luce. Lo scorso 30 giugno fu proprio Vignaroli fare da garante nell'accordo per assegnare duecento tonnellate di rifiuti in eccedenza (ma entro i limiti gia' autorizzati) all'impianto di Tmb della societa' di Manlio Cerroni e scongiurare in questo modo l'emergenza dei cumuli di spazzatura nella citta' (...) ma non e' escluso che anche la magistratura voglia accertare la rilevanza del ruolo di Vignaroli. Soprattutto alla luce delle dichiarazioni alle Ecomafie di Daniele Fortini... Secondo Fortini l'ex direttore generale Ama Alessandro Filippi non sarebbe stato riconfermato «per le pressioni esercitate sul commissario straordinario Francesco Paolo Tronca da parte di Stefano Vignaroli». Ci sono altri motivi per far fuori l'ingegner Filippi? Fu proprio quest'ultimo a ridimensionare la Muraro bloccando l'assegnazione di lavori a societa' esterne senza gara d'appalto. Filippi era troppo «fastidioso» per vedersi rinnovato l'incarico? Il presidente delle Ecomafie Alessandro Bratti non ha ricevuto alcuna disponibilita' «dal M5S o da Stefano Vignaroli sull'audizione dello stesso deputato e sulla scelta di altre modalita'» diverse da un'audizione formale». 2. - Nella sua querela-denuncia, l'on. Vignaroli contestava alla giornalista Grazia Longo il reato di diffamazione aggravata di cui all'art. 595, commi 1, 2 e 3, cod. pen., sostenendo che ella aveva, in detto articolo, posto arbitrariamente in relazione l'inchiesta cd. di Monnezzopoli e quella cd. di Mafia Capitale, nonche' addebitato al Movimento Cinque Stelle «ombre di intrighi», da un lato, alludendo alla sua relazione sentimentale con la sen. Paola Taverna ed a loro presunti rapporti con la dott.ssa Paola Muraro (ex assessore all'ambiente del Comune di Roma, della quale l'articolo sottolineava la qualita' di indagata per reati ambientali e concorso in abuso d'ufficio) e, dall'altro, riferendo che - secondo quanto dichiarato dall'ing. Fortini nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti - l'on. Vignaroli avrebbe fatto pressioni sull'allora Commissario straordinario di Roma Capitale, Prefetto Tronca, per l'allontanamento dell'ex direttore generale dell'AMA, dott. Alessandro Filippi. L'on. Vignaroli contestava alla giornalista Grazia Longa anche il reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio di cui all'art. 326 codice penale, in concorso con soggetto non identificato ex art 110 c.p. Cio' faceva asserendo che di «tale vicenda l'articolista deve aver appreso, violando il segreto preteso dal medesimo Fortini ed apposto alle sue dichiarazioni dal presidente della Bicamerale», sicche' «codesto ufficio inquirente deve accertare come mai nell'articolo compare tale questione, oggetto appunto di tale segretazione, e guarda caso secondo la falsa ricostruzione dei fatti offerta dal Fortini». L'on. Vignaroli contestava quindi sia la violazione del segreto apposto dalla Commissione bicamerale sulle dichiarazioni dell'ing. Fortini, sia la non veridicita' della «ricostruzione dei fatti offerta» da quest'ultimo, allegando alla querela la «dichiarazione resa, nell'ambito di indagini espletate dal difensore del querelante ..., dal generale De Milato, sub commissario con delega ai rifiuti nel commissariamento Tronca, il quale smentisce recisamente che l'onorevole Vignaroli abbia esercitato pressioni per allontanare l'ing. Filippi dal suo ruolo in AMA». 3. - Le doglianze del querelante erano quindi diverse ed involgevano: a) il tenore, ritenuto diffamatorio, dell'articolo di stampa; b) la diffusione del contenuto di dichiarazioni che - secondo quanto dichiarava lo stesso on. Vignaroli, che e' vice-presidente della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti - erano state bensi' rese dall'ing. Fortini in sede di audizione presso la Commissione d'inchiesta, ma con richiesta di secretazione; c) la non veridicita' di tali dichiarazioni. Conseguentemente, la querela/denuncia era rivolta sia nei confronti della giornalista che aveva firmato l'articolo e del direttore responsabile pro tempore del quotidiano La Stampa (quest'ultimo per il reato di cui all'art. 596-bis codice penale, in relazione all'art. 57 codice penale e all'art. 13 della legge n. 47/1948), sia nei confronti «di tutti coloro che si sono resi responsabili del reato di diffamazione», nonche' di «tutti coloro che si sono resi responsabili del reato di rivelazione del segreto d'ufficio» punito, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1/2014, dall'art. 326 c.p. 4. - Il procedimento veniva trasmesso per competenza alla Procura della Repubblica di Torino, risultando il quotidiano stampato nel circondario del Tribunale di Torino. 5. - In data 28 febbraio 2017, la Procura richiedeva formalmente alla Commissione d'inchiesta copia del verbale contenente l'audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016, chiedendo di chiarirle «se, quando e in quali termini tale atto sia stato secretato», «se lo stesso risulti ancora secretato» e «quando lo stesso sara' desecretato». 6. - L'allora presidente della Commissione d'inchiesta, on. Alessandro Bratti, dapprima, con nota del 21 marzo 2017, trasmetteva alla Procura, «in ossequio al principio di leale collaborazione istituzionale», l'intero resoconto stenografico dell'audizione del 2 agosto 2016 dell'ing. Fortini, di cui una parte era effettivamente secretata, sottolineando che quest'ultima veniva trasmessa «sotto vincolo di mantenimento del regime di segretezza apposto dalla Commissione». Successivamente, il 3 maggio 2017, comunicava alla Procura la decisione della Commissione d'inchiesta di mantenere la secretazione, evidenziando che era stato domandato all'ing. Fortini «di esprimere la propria valutazione sulla persistenza delle esigenze di segretezza del resoconto in questione» e che egli aveva richiesto di mantenere segreto l'atto. 7. - In data 23 giugno 2017, la Procura di Torino richiedeva formalmente la desecretazione del verbale, rappresentando che esso era stato ormai formalmente acquisito agli atti del procedimento e percio' - qualunque fosse stato l'esito delle indagini preliminari - avrebbe dovuto essere formalmente depositato alle parti; circostanza, questa, suscettibile di determinare contrasto con il provvedimento di secretazione. 8. - In data 13 luglio 2017, l'allora presidente della Commissione d'inchiesta ribadiva che la deliberazione relativa al mantenimento del regime di segretezza era stata gia' assunta il 3 maggio, ma che - a fronte della richiesta formale della Procura - l'ufficio di presidenza della Commissione d'inchiesta avrebbe valutato «le eventuali iniziative da assumere». La Procura di Torino, quindi, in data 4 settembre 2017, chiedeva al giudice per le indagini preliminari la proroga dei termini di indagine. Alla data odierna, tuttavia, non e' stata comunicata alcuna «iniziativa» volta alla declassificazione del verbale. Diritto I - Ammissibilita' del conflitto sotto il profilo soggettivo. E' pacifica la legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione del Procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente - nell'esercizio dell'attribuzione inerente all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (garantita dall'art. 112 Cost.) - la volonta' del potere cui appartiene. Quanto alla legittimazione passiva, la Corte, fin dal 1975, ha riconosciuto che le commissioni parlamentari di inchiesta sono organi «competenti a dichiarare definitivamente» la volonta' del potere legislativo. Cio', «per la considerazione ... che, a norma dell'art. 82 Cost., la potesta' riconosciuta alle Camere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse non e' esercitabile altrimenti che attraverso la interposizione di Commissioni a cio' destinate, delle quali puo' ben dirsi percio' che, nell'espletamento e per la durata del loro mandato, sostituiscono ope constitutionis lo stesso Parlamento, dichiarandone percio' "definitivamente la volonta'" ai sensi del primo comma dell'art. 37» (cosi' l'ordinanza n. 228 del 17 luglio 1975 e la sentenza n. 231 del 1975; si vedano anche l'ordinanza n. 73 del 2006 e la sentenza n. 241 del 2007). Il presente ricorso per conflitto e' inoltre rivolto contro la Camera dei deputati ed il Senato dal momento che: a) l'art. 1, comma 1, della legge n. 1/2014 ha istituito la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati «per la durata della XVII legislatura»; b) con decreti del 28 dicembre 2017, il Presidente della Repubblica ha sciolto le Camere ed ha convocato i comizi elettorali per il giorno di domenica 4 marzo 2018, fissando al 23 marzo la data per la prima riunione delle Camere (e con cio' la definitiva conclusione della legislatura), sicche' e' presumibile che - nelle more del giudizio di ammissibilita' del presente conflitto - la Commissione d'inchiesta avra' ormai cessato di esistere; c) in relazione a tale caso, la Corte ha gia' avuto modo di chiarire che «nell'ipotesi di cessazione, per qualsiasi causa, del funzionamento della Commissione (...), la legittimazione processuale ad agire o a resistere e' riassunta dalla camera medesima» (v. sentenza n. 241 del 2007); quindi, nel caso presente di commissione bicamerale, da entrambe le Camere. II - Ammissibilita' del conflitto sotto il profilo oggettivo. Con il presente conflitto, la Procura di Torino denuncia l'illegittima menomazione della sfera di attribuzioni ad essa garantita dalla Costituzione (articoli 101, 104, 107 e 112 Cost.) derivante dalla decisione della Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti di mantenere la secretazione del verbale di audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016. Tale secretazione ha infatti paralizzato il procedimento penale n. 2017/3922, nel cui ambito il verbale in questione costituisce - almeno nella prospettazione astratta desumibile dalla querela-denuncia presentata dall'on. Vignaroli - sia prova documentale del reato di diffamazione, in quanto contenente le dichiarazioni rese dall'ing. Fortini, sia corpo di reato in relazione al delitto di rivelazione ed utilizzazione di un segreto d'ufficio. Piu' in particolare, la Procura, la quale e' tenuta ad esercitare l'azione penale o a richiedere l'archiviazione nei termini stabiliti dall'art. 407 codice di procedura penale, allo stato non puo' agire ne' in un senso ne' nell'altro, in ragione del segreto apposto ed opposto dalla Commissione d'inchiesta. Cio' in quanto essa, sia ove decidesse di archiviare le indagini avvisando il querelante (che ha formulato a tal fine istanza ex art. 408 c.p.p.), sia ove decidesse di esercitare l'azione penale, ha comunque l'obbligo di depositare tale verbale alle parti. Il che non puo' fare in ragione del segreto. La Commissione d'inchiesta, dunque, confermando il segreto sul verbale in questione, ha interferito sul potere costituzionalmente spettante al pubblico ministero, paralizzandone l'operato e ponendolo in una situazione di impasse nella quale: per rispettare le norme di rito, dovrebbe violare il segreto; all'inverso, per rispettare la secretazione, dovrebbe violare il c.p.p. III - Nel merito. Violazione degli articoli 82, 101 e ss., 112 Cost. Premessa. L'apposizione del segreto da parte delle commissioni parlamentari di inchiesta, allorche' abbia ad oggetto un documento la cui acquisizione sia necessaria ai fini di un'indagine giudiziaria e/o di un processo penale, costituisce una deroga al principio generale di conoscibilita' dei fatti e degli atti da parte dell'autorita' giudiziaria. Tale secretazione e' percio' consentita dall'ordinamento costituzionale non in via generale ed assoluta, bensi' entro determinati limiti, ricavabili dall'art. 82 Cost., come interpretato dalla giurisprudenza della Corte. III.1 - Detto articolo, nel prevedere che ciascuna Camera possa disporre inchieste su materie di pubblico interesse, stabilisce che le commissioni all'uopo nominate procedono alle indagini e agli esami «con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorita' giudiziaria». Invero, ai sensi dell'art. 329 codice di procedura penale, la possibilita' di secretare atti di indagine da parte dell'autorita' giudiziaria presuppone necessariamente la sussistenza di esigenze di indagine e risulta limitata entro un orizzonte temporale che coincide con la durata della fase delle indagini preliminari, salva, nel caso in cui esistano connessioni con altri procedimenti in corso, e previo decreto motivato, l'ulteriore durata delle relative indagini preliminari. Il parallelismo sancito testualmente dall'art. 82 Cost. tra poteri delle commissioni parlamentari di inchiesta e poteri dell'autorita' giudiziaria indurrebbe allora, prima facie, a ritenere che anche il potere di secretazione delle prime - cosi' come quello riconosciuto dalla legge all'autorita' giudiziaria - si configuri come «segreto istruttorio». Secondo l'interpretazione della Corte, tuttavia, tale parallelismo non va inteso in modo rigido: la sentenza n. 231 del 1975 ha infatti chiarito che «il segreto delle Commissioni d'inchiesta non corrisponde, a rigore, ai vari specifici tipi di segreto previsti dalle norme dei codici di diritto e procedura penale, ma puo' qualificarsi piuttosto, piu' genericamente, come un segreto funzionale». Il suo fondamento va infatti ravvisato nell'autonomia, costituzionalmente garantita, delle Camere, sicche', «fermo restando che il principio fondamentale in materia e' quello della pubblicita' degli atti parlamentari (art. 64, secondo comma, Cost.), e' tuttavia rimesso alla valutazione delle Camere (e rientra nella autonomia costituzionale ad esse, come sopra accennato, garantita) di derogarvi in singoli casi, deliberando di riunirsi in seduta segreta» e, poiche' «le Commissioni parlamentari d'inchiesta, ..., sostituendo necessariamente a norma dell'art. 82, primo comma, Cost. il plenum delle Camere, a buon diritto possono configurarsi come le stesse Camere nell'atto di procedere all'inchiesta», deve ritenersi che esse siano «libere di organizzare i propri lavori, anche stabilendo - in tutto od in parte - il segreto delle attivita' da esse direttamente svolte e della documentazione risultante dalle indagini esperite: e cio' in funzione del conseguimento dei fini istituzionalmente ad esse propri» specificamente indicati nella loro legge istitutiva. In definitiva, cio' che si ricava dalla giurisprudenza costituzionale e' che: anche per gli atti delle commissioni parlamentari d'inchiesta, la regola e' la pubblicita', mentre il segreto costituisce l'eccezione, essendo il nostro ordinamento costituzionale sorretto dal principio democratico dell'esercizio del «potere pubblico in pubblico» (1) ; tale eccezione e' legittima se e nei limiti in cui sia necessaria per il perseguimento delle finalita' istituzionali perseguite dalla commissione medesima. Va poi evidenziato che il segreto «funzionale», come configurato dalla Corte non sembra incontrare limiti temporali massimi. Cio', a differenza di quanto previsto per il segreto caratterizzante le indagini penali ed anche di quanto previsto in materia di segreto di Stato (l'art. 39, comma 8, della legge n. 124/2007 prevede che quest'ultimo non possa in ogni caso essere superiore a trent'anni). Tale illimitatezza temporale, peraltro, rende vieppiu' stringente l'onere della commissione di valutare la necessarieta' della secretazione in funzione del perseguimento dei suoi compiti istituzionali, non potendo l'ordinamento in alcun modo tollerare una secretazione sine die - sotto questo profilo addirittura piu' pervasiva del segreto di Stato - in assenza di una rigorosa valutazione sul punto. Sebbene possa sembrare ovvio, e' bene infine sottolineare che - specie ove il segreto venga opposto all'autorita' giudiziaria - la commissione parlamentare, non solo deve valutare la necessarieta' della secretazione rispetto alle finalita' che essa persegue, ma deve anche estrinsecare tale valutazione: l'atto di opposizione o di conferma del segreto deve cioe' essere motivato con riferimento al nesso funzionale intercorrente tra secretazione (e conseguente sottrazione del documento alla conoscibilita' ed utilizzabilita' da parte della magistratura) e scopi istituzionali della commissione medesima. La motivazione costituisce quindi requisito di legittimita' essenziale ed ineludibile dell'opposizione del segreto all'autorita' giudiziaria: poiche' la secretazione e' legittima solo se funzionale ai compiti istituzionali della commissione e poiche', in assenza di motivazione, non e' possibile riscontrare l'effettiva sussistenza di tale nesso (e quindi il rispetto dei limiti costituzionali entro i quali soltanto il segreto e' opponibile all'autorita' giudiziaria), un'opposizione immotivata e', di per se stessa, lesiva delle attribuzioni proprie dell'autorita' giudiziaria. Cio' analogamente a quanto la Corte ha da sempre affermato in materia di segreto di Stato, ove e' pacifico l'obbligo del Presidente del Consiglio di motivare la conferma del segreto a fronte della «necessita' di ridurre al minimo sia gli abusi sia la possibilita' di contrasti con il potere giurisdizionale» (sentenza n. 86/1977; v. ora l'art. 202 codice di procedura penale, come novellato dall'art. 40 della legge n. 124/2007, ai sensi del quale «l'opposizione del segreto di Stato» deve essere «confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei ministri»). III.2 - La legge 7 gennaio 2014, n. 1, istitutiva della Commissione d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, all'art. 4, comma 3, attribuisce alla Commissione il potere di stabilire «quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso», fermo che «devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari». La disposizione in esame - coerentemente con l'interpretazione data dalla Corte all'art. 82 Cost. - e' da intendersi nel senso di riconoscere in capo alla Commissione un potere di secretazione bensi' piu' ampio di quello, meramente istruttorio, spettante all'autorita' giudiziaria, ma pur sempre nei soli limiti in cui esso sia funzionale al conseguimento dei fini istituzionali della stessa. Inoltre, come si e' detto, ove la secretazione sia opposta all'autorita' giudiziaria, il nesso funzionale tra segreto e compiti istituzionali della Commissione dev'essere oggetto di specifica motivazione, si' da consentire a quella la possibilita' di apprezzare la legittimita' della compressione delle sue attribuzioni costituzionali. III.3 - Nella specie, l'atto che la Commissione d'inchiesta ha secretato ed ha deciso di mantenere segreto nonostante la richiesta di declassificazione avanzata dalla Procura ricorrente e' una parte del verbale dell'audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016. Per motivare il mantenimento della segretezza, la nota del presidente della Commissione del 3 maggio 2017 ha affermato solo che la Commissione ha interpellato sul punto l'ing. Fortini e che quest'ultimo ha confermato «la propria valutazione sulla persistenza delle esigenze di segretezza del resoconto in questione». Dal resoconto stenografico della seduta del 3 maggio 2017 della Commissione (trasmesso alla Procura solo in forma sintetica, ma pubblicato per intero sul sito della Camera dei deputati), emerge poi che lo scontro tra favorevoli e sfavorevoli alla desecretazione era tutto politico e niente affatto incentrato sulla necessarieta' del segreto rispetto al perseguimento dei fini istituzionali della Commissione. Necessarieta' ritenuta inesistente anche da coloro che si opponevano alla desecretazione. In sintesi, questi gli interventi principali in Commissione: l'on. Vignaroli, definendo ripetutamente l'ing. Fortini come «uomo del PD», insisteva affinche' la parte del verbale contenente le dichiarazioni in questione venisse desecretata, evidenziando che «l'audizione il giorno dopo (era gia') stata spiattellata sui giornali» e che era «interesse generale», oltre che evidentemente suo, quello di far indagare la magistratura sia sulla veridicita' dei fatti riferiti, sia sul reato di rivelazione del segreto. Seguiva l'intervento dell'on. Zolezzi (M5S), favorevole alla desecretazione, che evidenziava come la ricostruzione della realta' dei fatti da parte della magistratura apparisse funzionale ai compiti della Commissione, consentendole di avere un quadro veritiero di quanto accaduto nella «filiera dei rifiuti in regione Lazio», parte «importante e strutturale della relazione che verra' compiuta». Annunciava invece il voto contrario del suo partito (PD) la senatrice Puppato, la quale, da un lato, insisteva sull'imbarazzo della Commissione dovuto al fatto che «una figura coinvolta nella vicenda ... siede all'interno ... ed ha sempre ritenuto di sedervi anche nei momenti nei quali questa Commissione avrebbe gradito lavorare su questioni in maniera meno conflittuale, cioe' in un clima meno pesante» ed affermava che «questo pezzo dell'audizione di Fortini» non ha «alcun riferimento ... rispetto alle tematiche che questa Commissione ha affrontato», trattandosi piuttosto di una «vicenda personale» tra l'on. Vignaroli e l'ing. Fortini e di un'indagine giudiziaria di «rilievo assolutamente limitato a una vicenda personale», sicche' «le questioni personali Vignaroli/Fortini potr(anno) vedere la luce all'interno del tribunale, ciascuno portando le proprie testimonianze e, perche' no, facendo anche riferimento agli articoli di giornale che sono apparsi in relazione a questa audizione», mentre «trovo estremamente strumentale che, ancora una volta, si tiri in ballo la Commissione di inchiesta, che per sua natura ha ragioni di esistere ben piu' impegnative e importanti di questa, per continuare questa eterna polemica su una vicenda che non ha davvero molto di dignitoso». Dall'altro, affermava che «non possiamo ... permetterci di desecretare per il semplice fatto che, da questo momento in poi, chiunque venga in questa Commissione e secreti il suo pezzo di audizione, dovra' partire dal presupposto che ... noi potremmo desecretare». Seguivano poi le repliche dell'on. Vignaroli e dell'on. Zollezzi, che evidenziava come la Commissione non poteva consentire alle persone audite di utilizzare la secretazione per «raccontare delle cose che non ha verificato o su cui non ha ragionevole certezza» e che possono essere oggetto di strumentalizzazioni politiche. In conclusione, dal dibattito in Commissione emerge che la secretazione sulle dichiarazioni dell'ing. Fortini non e' stata mantenuta in quanto funzionale ai lavori ed alle finalita' delle Commissione, ma all'opposto poiche' l'intera questione e' stata giudicata di scarso interesse per la Commissione ed oggetto di uno scontro «personale» tra l'on. Vignaroli e l'ing. Fortini e poiche' si e' ritenuto di assecondare la volonta' di quest'ultimo di avvalersi del regime della secretazione. E' tuttavia evidente che le valutazioni ed i desiderata espressi dal testimone audito, di per se stesse, non legittimano affatto la Commissione a mantenere segreto un atto che l'autorita' giudiziaria ha richiesto in quanto necessario all'esercizio delle proprie attribuzioni. Come si e' detto, infatti, il segreto e' opponibile solo se e nei limiti in cui esso sia funzionale al perseguimento degli obiettivi istituzionali della Commissione. Il rapporto di funzionalita' tra segreto e compiti della Commissione era dunque la sola valutazione che quest'ultima avrebbe dovuto compiere, ma che e' stata, invece, del tutto omessa. Tale omessa valutazione emerge sia dal resoconto della seduta del 3 maggio sopra citata, sia dalla nota del 3 maggio 2017, con la quale e' stata comunicata alla Procura di Torino la decisione della Commissione di mantenere il vincolo di segretezza. Quest'ultima e' del tutto priva di motivazione, contenendo solo un riferimento alla «valutazione» espressa dall'ing. Fortini, sia dalla successiva nota del 13 luglio 2017. Di qui l'illegittimita' della secretazione opposta alla Procura di Torino sia sotto il profilo della carenza di motivazione, sia sotto il profilo della carenza dei presupposti sostanziali della stessa. III.4 - E' bene a questo punto evidenziare la diversita' del caso di specie rispetto a quello deciso dalla sentenza n. 231 del 1975. Come chiaramente illustrato nella motivazione di tale decisione - della quale di seguito si riporteranno i passaggi piu' salienti - la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia in Sicilia scelse di utilizzare modalita' di indagine del tutto peculiari. Cio' pote' fare in quanto l'art. 82 Cost. attribuisce alle commissioni di inchiesta gli stessi poteri dell'autorita' giudiziaria «per consentire loro di superare, occorrendo, anche coercitivamente, gli ostacoli nei quali potrebbero scontrarsi nel loro operare», ma cio' non toglie che dette commissioni - le cui inchieste differiscono nettamente dalle istruttorie delle autorita' giudiziarie, in quanto muovono «da cause politiche» ed hanno «finalita' del pari politiche» - «restano libere di prescegliere modi di azione diversi, piu' duttili ed esenti da formalismi giuridici, facendo appello alla spontanea collaborazione dei cittadini e di pubblici funzionari, al contributo di studiosi, ricorrendo allo spoglio di giornali e riviste, e via dicendo». In particolare, nell'ambito dell'inchiesta parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, le persone audite non lo furono «propriamente quali testimoni», ma fornirono «informazioni» in via confidenziale. Persino le relazioni presentate dalle pubbliche autorita' alla commissione non ebbero pretesa di oggettivita', riportando «anche stati d'animo e convincimenti diffusi, registrati per quel che sono, indipendentemente dalla loro fondatezza, da chi, per la sua particolare esperienza o per l'ufficio ricoperto, sia meglio in grado di averne diretta notizia». A fronte di tale modus operandi - evidentemente diverso da quello proprio delle indagini giudiziarie - il parallelismo tra attivita' della commissione e attivita' dell'autorita' giudiziaria risulto' fortemente attenuato e dequotato: «le considerazioni che precedono quanto ai particolari metodi di indagine cui una Commissione d'inchiesta puo' ricorrere, alla natura confidenziale o comunque riservata che possono avere le informazioni ad essa fornite o da essa raccolte, delle quali non sempre la Commissione e' in grado di accertare con sufficiente sicurezza la piena conformita' al vero, giustificano ... la eventuale segretezza dei risultati in tali forme acquisiti, e di questi soltanto, anche per non esporre quanti forniscono informazioni al rischio di conseguenze dannose». In buona sostanza, nel conflitto deciso nel '75, la Corte affermo' che le Camere ben potevano, nell'esercizio della loro autonomia, decidere di indagare sul fenomeno mafioso con modalita' diverse da quelle che la legge impone all'autorita' giudiziaria, ricavandone che proprio tali «particolari metodi di indagine» rendevano legittima l'apposizione del segreto sulle informazioni assunte in via confidenziale (e di queste soltanto), anche al fine di non mettere in grave pericolo gli informatori. E' peraltro chiaro che sia le modalita' di indagine prescelte dalle Camere, sia la preoccupazione, condivisa dalla Corte, di preservare gli informatori da ritorsioni violente erano strettamente collegate all'oggetto dell'inchiesta parlamentare - trattandosi di approfondire la genesi e le caratteristiche del fenomeno della mafia in Sicilia - nonche' all'epoca in cui essa si svolse (dal '62 al '76), allorche' mancavano ancora nell'ordinamento adeguati strumenti a tutela dell'incolumita' dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. Viceversa, nell'istituire la Commissione d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti, le Camere hanno espressamente stabilito che, «per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni previste dagli articoli da 366 a 372 del codice penale» (art. 3 della legge 7 gennaio 2014, n. 1). E' allora evidente che, nell'ambito dell'inchiesta parlamentare di cui trattasi, la secretazione delle dichiarazioni rese dai soggetti auditi non e' necessariamente funzionale ai compiti istituzionali della Commissione, avendo le Camere deciso di procedere, non tanto acquisendo informazioni confidenziali seppur non verificabili, bensi' interrogando le persone informate dei fatti ed assoggettandole alla medesima, rigorosa disciplina sulla testimonianza dinanzi al giudice penale. Alla luce di cio' risulta confermato che il mero desiderio del soggetto audito di far mantenere la secretazione su quanto dichiarato non puo' di per se giustificare l'opposizione del segreto all'autorita' giudiziaria e la conseguente interferenza con le sue attribuzioni, dovendosi altrimenti ammettere l'esistenza di una zona franca, nell'ambito della quale sarebbe consentito alle persone sentite dalla Commissione di fare, consapevolmente ed impunemente, dichiarazioni non veritiere. Il che non sarebbe affatto funzionale all'inchiesta parlamentare, bensi' - all'opposto - sarebbe disfunzionale alla sua finalita' di ricostruire la realta' dei fatti. III.5 - Non priva di rilievo e' poi la circostanza che, all'inizio dell'audizione dell'ing. Fortini, il Presidente lo avvertiva che «della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali sono in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque ci rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta». Pertanto, gia' ab origine, la richiesta di secretazione di alcune sue dichiarazioni avrebbe dovuto essere motivata e, in particolare, avrebbe dovuto esserlo in relazione all'esistenza di indagini in corso e coperte da segreto sui fatti oggetto di audizione. Cio' che e' invece accaduto e' che l'ing. Fortini, dopo aver riferito alla Commissione che, secondo quanto appreso dal Gen. De Milato, vi erano state forti pressioni politiche sul Commissario Tronca per allontanare il dott. Filippi dall'AMA, a fronte della specifica domanda su «chi avesse esercitato queste pressioni», chiedeva se avesse la facolta' di non rispondere. Il Presidente, dunque, nel chiarirgli che aveva l'obbligo di rispondere, affermava che «possiamo secretare la risposta, eventualmente». Nel caso di specie, quindi, gia' l'originaria richiesta di secretazione era priva di motivazione e la Commissione sembra avervi acconsentito solo per superare l'imbarazzo dell'ing. Fortini a riferire alcune circostanze a suo avviso riservate (che peraltro il giorno dopo divennero di pubblico dominio, in quanto diffuse sulla stampa nazionale). III.6 - Va infine evidenziato che, nella specie, l'intero contesto fattuale appare del tutto incompatibile con il mantenimento del segreto. Il procedimento penale in relazione al quale e' necessaria la desecretazione del verbale di audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016 e' infatti iniziato su impulso proprio di un membro della Commissione, l'on. Vignaroli, il quale, nella sua denuncia-querela, asseriva tra l'altro che le dichiarazioni del Fortini riferite dal quotidiano La Stampa erano state effettivamente da lui fatte nella sua audizione, ma erano state oggetto di secretazione, dovendo percio' l'autorita' giudiziaria indagare anche per accertare chi avesse illecitamente rivelato tale segreto. Nel corso delle indagini, poi, il verbale di audizione e' stato trasmesso, per intero, alla Procura di Torino dall'allora presidente della Commissione d'inchiesta, seppur «sotto vincolo di mantenimento del regime di segretezza apposto dalla Commissione». Pertanto, le dichiarazioni secretate sono state dapprima ampiamente disvelate e diffuse dagli organi di stampa, poi confermate dall'on. Vignaroli, membro della Commissione, nella sua denuncia-querela e infine trasmesse alla Procura della Repubblica dalla stessa Commissione mediante una nota ufficiale, necessariamente ed obbligatoriamente confluita tra gli atti dell'indagine. In tale quadro fattuale, appare quanto meno anomala la decisione della Commissione di mantenere la secretazione su dichiarazioni ormai rivelate, diffuse ed acquisite agli atti, impedendone cosi' l'utilizzabilita' processuale. Invero, la perdurante secretazione delle dichiarazioni dell'ing. Fortini, poiche' non puo' certo eliminare l'ormai avvenuta rivelazione delle stesse, gia' oggetto di ampia diffusione sui quotidiani nazionali, finisce con l'avere come unico ed esclusivo effetto quello di paralizzare il procedimento penale avviato con la querela-denuncia dell'on. Vignaroli. Tale paralisi viene tuttavia imposta in totale assenza di ragioni riconducibili alle esigenze funzionali della Commissione ed e' percio' illegittima. III.7 - Per tutte le sopra esposte ragioni, si chiede alla Corte di accertare e dichiarare che non spettava alla Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati confermare il segreto sul verbale dell'audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016, nonche' rigettare la richiesta di declassificazione avanzata dalla Procura di Torino: motivando con esclusivo riferimento alla valutazione dell'ing. Fortini «sulla persistenza delle esigenze di segretezza del resoconto in questione»; omettendo ogni valutazione e motivazione circa la necessarieta' del mantenimento del segreto in funzione del perseguimento dei compiti istituzionali della Commissione medesima; senza considerare il fatto che il contenuto delle dichiarazioni dell'ing. Fortini erano state ormai disvelate all'opinione pubblica ed acquisite alle indagini, avendo la secretazione come unico ed esclusivo effetto quello di paralizzare il procedimento penale. In tal modo la Commissione di inchiesta ha illegittimamente interferito con le attribuzioni costituzionalmente riservate al pubblico ministero. (1) N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, in Il futuro della democrazia: una difesa delle regole del gioco, Torino 1984, 76.