IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLZANO 
                    Procedimenti speciali sommari 
 
    Nel procedimento cautelare iscritto al n. r.g. 4349/2018 promosso
da: F.F. e M.R., rappresentate e difese dall'avv. Alexander  Schuster
del Foro di Trento, codice fiscale SCH  LND  77T30  L378V,  fax  0461
331092, pec  alexander.schuster@pectrentoavvocati.it  con  studio  in
Trento, via Cesare Abba n. 8,  presso  il  cui  studio  hanno  eletto
domicilio, anche  telematico,  giusta  procura  con  atto  telematico
separato e unito alla busta telematica PCT; 
    Ricorrenti contro l'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di
Bolzano (codice fiscale e partita I.V.A. 00773750211),  con  sede  in
Bolzano, via Cassa di  Risparmio  n.  4,  in  persona  del  direttore
generale e legale rappresentante pro-tempore  dott.  Florian  Zerzer,
rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente a mezzo degli
avvocati   Sonia   Gasparri   (codice    fiscale    GSPSNO67L51A952U,
avvsonia.gasparri@pec.sabes.it), Alfredo Ludovico  Ernesto  Pischedda
(codice fiscale PSCLRD63L25Z112M, avvalfredo.pischedda@pec.sabes.it),
Julia    Peterlini    (codice    fiscale    PTRJLU82H42A952L,     avv
julia.peterlini@pec.sabes.it)  e  Britta  Venturino  (codice  fiscale
VNTBTT67T64Z112X, avv-britta.venturino@pec.sabes.it)  giusta  procura
alla lite in calce alla comparsa di costituzione e giusta lettera  di
incarico in  atti,  con  domicilio  eletto  presso  l'ufficio  legale
dell'ente (tel.: 0471-90 91 05, fax: 0471-90 93 96) sito in  Bolzano,
via Orazio n. 49; 
    Parte resistente il  giudice  dott.  Francesco  Laus,  sentiti  i
procuratori delle parti, letti gli atti ed i  documenti  prodotti,  a
scioglimento della riserva assunta all'udienza del 26 novembre  2018,
ha pronunciato la seguente, 
 
                              Ordinanza 
 
    Con ricorso ex art. 700 del codice  di  procedura  civile  dell'8
ottobre 2018, F.F. e M.R. evocavano in giudizio  l'Azienda  sanitaria
della Provincia autonoma di Bolzano  rappresentando:  che  la  coppia
ricorrente era costituita da due donne sposatesi presso il Comune  di
Copenaghen (Danimarca) il 27  agosto  2014,  il  cui  atto  risultava
trascritto nel registro delle unioni civili  del  Comune  di  Lissone
(MB): che nel novembre 2013 alla signora  R.,  a  seguito  di  alcuni
trattamenti  di  IUI  (inseminazione  intrauterina)   realizzati   in
Danimarca, di cui  uno  che  dava  iniziale  esito  positivo,  veniva
riscontrata  una  gravidanza  extrauterina,  che  la  costringeva   a
sottoporsi a  salpingectomia  destra  in  laparoscopia  (asportazione
della salpinge uterina destra); che nel settembre 2014,  durante  una
visita  ginecologica  alla  stessa  veniva  riscontrata  un'infezione
all'utero; che dopo la cura con antibiotico era, tuttavia,  accertata
l'avvenuta chiusura della salpinge sinistra; che tale quadro  clinico
impediva alla ricorrente R. di produrre  ovuli  propri  (refertazione
medica sub doc. 2 di parte ricorrente); che nel 2015 alla signora  F.
veniva    riscontrata    un'aritmia    extrasistolica    ventricolare
asintomatica,  in  ragione   della   quale   il   medico   cardiologo
sconsigliava di avere gravidanze, consigliando anzi di  sottoporsi  a
terapia anticoncezionale (refertazione medica  sub  doc.  1);  che  a
fronte  di  queste  patologie,  considerato  che   le   tecniche   di
fecondazione assistita consentivano di superare i rispettivi ostacoli
riproduttivi  secondo  una  strategia   di   complementarita'   delle
potenzialita' riproduttive residue (gestazionale l'una, di produzione
ovarica l'altra) ed a fronte della agevole disponibilita'  di  sperma
da donatore, le signore si rivolgevano  all'Azienda  sanitaria  della
Provincia autonoma  di  Bolzano;  che  l'odierna  resistente  forniva
risposta  scritta  del  seguente  tenore:  «l'Azienda  sanitaria  che
rappresento non puo' accogliere la richiesta  da  Lei  formulata  per
conto delle Sue Clienti sig.ra  F.F.  e  sig.ra  M.R.,  a  causa  dei
divieti imposti dalla legge n. 40/2004: si rileva infatti che  l'art.
4, comma 3  di  tale  legge  vieta  di  ricorrere  alle  tecniche  di
procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo,  ma  l'art.  5
prevede altresi' che possano accedere  alle  medesime  tecniche  solo
coppie di maggiorenni di sesso diverso, mentre le  sue  clienti  sono
del medesimo sesso. Finche' sussisteranno tali divieti imposti  dalla
legge, l'azienda sanitaria non puo' che reiterare il proprio  rigetto
della richiesta»; che a fronte della decisione  della  resistente  di
non garantire  il  diritto  alla  fruizione  della  tale  prestazione
terapeutica,  nonostante  l'incostituzionalita'  dello  stesso  e  la
violazione del diritto dell'Unione, considerata anche l'eta' avanzata
delle stesse, s'imponeva una richiesta di tutela cautelare  affinche'
fosse garantito l'accesso alle menzionate terapie riproduttive. 
    Con memoria difensiva del  6  novembre  2018  si  costituiva  nel
presente procedimento l'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di
Bolzano sostenendo di essersi adeguata nelle  proprie  determinazioni
al divieto imposto dalla legge, che preclude l'accesso alle  tecniche
di PMA a coppie, formate da persone  dello  stesso  sesso.  In  punto
«carenza del  periculum  in  mora»,  l'azienda  evidenziava  come  la
fecondazione assistita a  carico  del  Servizio  sanitario  nazionale
potesse avvenire fino a 42 anni e trecentosessantaquattro giorni, si'
che, rispetto all'eta' delle ricorrenti, nessuna ragione d'urgenza si
poneva. La difesa della resistente richiamava infine l'obiter  dictum
della sentenza della Corte costituzionale n. 269/2017, che,  in  caso
di «doppia pregiudizialita'», «laddove una legge sia oggetto di dubbi
di legittimita'  tanto  in  riferimento  ai  diritti  protetti  dalla
Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli  garantiti  dalla
Carta, dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea  in  ambito  di
rilevanza  comunitaria,  debba  essere  sollevata  la  questione   di
legittimita'  costituzionale,  fatto  salvo  il  ricorso,  al  rinvio
pregiudiziale per le questioni, di interpretazione o  di  invalidita'
del  diritto  dell'Unione,  ai  sensi  dell'art.   267   del   TFUE»,
opponendosi quindi ad una  disapplicazione  diretta  delle  norme  di
divieto e sanzione per contrasto con il diritto dell'Unione  europea,
nonche' di fatto, al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. 
    La causa veniva assegnata «alla dott.ssa Francesca Muscetta  che,
con provvedimento del 12 novembre  2018,  disponeva  la  trasmissione
degli atti al presidente del tribunale, non ritenendo che la vertenza
ricadesse nell'ambito della  competenza  tabellare  del  giudice  del
lavoro. 
    Il presidente del tribunale con  provvedimento  del  12  novembre
2018 mandava alla cancelleria «per l'iscrizione  del  procedimento  a
ruolo dei  procedimenti  cautelaci  e  d'urgenza  ordinari  ai  sensi
dell'art. 700 del codice di procedura civile»  e,  con  provvedimento
del 14 novembre 2018, assegnava la causa allo scrivente giudice. 
    In data 26 novembre 2018 si teneva udienza nel corso della  quale
l'azienda sanitaria contestava l'attribuzione del caso allo scrivente
giudice,  ritenendo  che  il  presente  procedimento  dovesse  essere
trattato  dal  giudice   del   lavoro,   eccependo   di   conseguenza
l'incompetenza per territorio del Tribunale di Bolzano a  favore  del
competente giudice del lavoro presso il Tribunale di Monza, chiedendo
altresi' di dichiarare ai sensi dell'art. 107 del codice di procedura
civile, la comunanza di causa con l'ASL, di Lissone (MB), e,  qualora
il  giudice  lo  ritenesse  opportuno,  ordinarne  l'intervento.   Il
procuratore  delle  ricorrente  contestava  le  deduzioni  avversarie
richiamando,  innanzitutto,  quanto  alla  competenza   territoriale,
l'art. 20 codice di procedura civile per le obbligazioni  di  facere.
Lo stesso sottolineava inoltre il principio di  liberta'  dell'utente
nella scelta della struttura di fiducia per  l'assistenza  sanitaria,
evidenziando, in punto eventuale coinvolgimento dell'ASL  di  Lissone
(MB), che «solo per prestazioni accessorie particolari,  verificatane
la  necessita'  solo  dopo  la  diagnosi  iniziale  della  condizione
riproduttiva  della  coppia,  quali   l'eterologa   o   la   diagnosi
preimpianto, si  rende  necessaria  l'autorizzazione  alla  mobilita'
della ASL degli assistiti, almeno fino a che non entreranno in vigore
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con i nuovi LEA.
Il rifiuto opposto dalla SABES non  e'  specifico  all'eterologa,  ma
allo stesso accesso alla  pma,  garantito  sul  territorio  nazionale
senza autorizzazione». In merito poi alla competenza  collegata  alla
disciplina della non-discriminazione, il ricorso, sostiene la  difesa
delle ricorrenti, sarebbe da considerarsi ex art. 700 del  codice  di
procedura civile «rispetto all'obbligo di facere e non  un'azione  ex
art. 28 del decreto legislativo n. 150/2011. Sul concorso fra  rimedi
ordinari e speciali, si confronti Cass. ord.  15  novembre  2012,  n.
20091». La predetta difesa proseguiva sostenendo che «quand'anche  si
volesse cumulare alla domanda di facere la domanda di condanna a  non
discriminare, questa prevede si'  quale  competenza  territoriale  il
domicilio del discriminato, ma si tratta di un foro di protezione.  A
questo il soggetto discriminato puo' derogare  certo  non  prima,  ma
quando liberamente intraprende l'azione a  propria  tutela.  Inoltre,
deve essere consentito il cumulo  con  domande  che  prevedono  altra
competenza territoriale, per evitare che connessioni forti  conducono
a giudizi distinti (cfr. Cass. ord. 26 novembre 2013, n. 26379)». 
    Alla predetta udienza il giudice si riservava la decisione. 
    Occorre in primo  luogo  disattendere  le  eccezioni  preliminari
sollevate dalla resistente azienda sanitaria. 
    Invero, nella  sostanza,  l'odierna  vertenza,  lungi  dal  poter
essere ricondotta alle  controversie  in  materia  di  previdenza  ed
assistenza obbligatorie (art. 442 del codice di procedura civile) e/o
ai procedimenti ex  art.  28  del  decreto  legislativo  n.  150/2011
attiene piuttosto  all'«esatta  individuazione  dei  limiti  e  della
facolta' connessi al diritto alla genitorialita', diritto  che,  solo
incidentalmente, verrebbe  veicolato  attraverso  il  ricorso  ad  un
determinato percorso terapeutico»  (in  questi  termini,  in  vicenda
analoga, ordinanza del Tribunale di Pordenone del 2 luglio  2018,  n.
129, dimessa al doc. 7 dalla stessa parte resistente, ordinanza  alla
quale  piu'  volte  in  seguito  si   fara'   riferimento   ed   alle
argomentazioni della quale si fa integrale rinvio e  richiamo).  Tale
considerazione  consente  di  superare  l'eccezione  di  incompetenza
territoriale avanzata dalla resistente  e  fondata  unicamente  sulle
previsioni dell'art. 444 del  codice  di  procedura  civile,  che  fa
riferimento  al  foro  di  residenza  dell'attore,  dovendosi  dunque
l'adito tribunale  ritenersi  territorialmente  competente  in  forza
degli ordinari criteri portati dagli articoli 19 e 20 del  codice  di
procedura civile. Rimane in  ogni  caso  questione  di  distribuzione
degli affari giurisdizionali  all'interno  dello  stesso  ufficio  la
ripartizione delle funzioni  tra  la  sezione  lavoro  e  le  sezioni
ordinarie (v. Cassazione civile 19 luglio 2016, n. 14790). Come  gia'
evidenziato  nell'ordinanza  del  giudice  Muscetta,  tuttavia,   «la
maggior parte delle pronunce dei giudici  di  merito  in  materia  di
procreazione medicalmente assistita sono state emesse  ...  anche  in
caso di evocazione, in giudizio di azienda sanitaria, non da  giudice
addetto alla sezione lavoro, ma da giudice  civile  ordinario  (cfr.,
tra le piu' recenti, Tribunale di Milano, sezione I civile 21  luglio
2017, n. 13, Tribunale di Milano sezione I  civile  13  luglio  2017,
Tribunale di Milano sezione I 18  aprile  2017,  Corte  d'appello  di
Milano, sezione famiglia 9 febbraio 2017)». 
    Risulta poi corretta anche la scelta del  procedimento  cautelare
innominato ai sensi dell'art. 700 del  codice  di  procedura  civile,
considerato che proprio nell'ambito di un  procedimento  promosso  ai
sensi del  citato  articolo  «e'  stata  sollevata  la  questione  di
incostituzionalita' dell'art. 4 della legge n.  40/2004,  poi  decisa
dalla  Consulta  con  la  sentenza  n.  96/2015  che  tale  norma  ha
dichiarato, appunto, incostituzionale» (cosi' ordinanza Tribunale  di
Pordenone,  cit.)  e  che  il  tema  della  discriminazione  riguarda
essenzialmente i profili di illegittimita' delle norme n. 40/2004 che
di seguito si richiameranno. 
    Peraltro il  fatto  che  sia  stato  richiesto  dalle  ricorrenti
l'accesso alla PMA direttamente all'Azienda sanitaria della Provincia
autonoma di Bolzano convenuta, liberamente scelta quale struttura  di
fiducia, non in regime di  compartecipazione  alla  spesa,  da  parte
dell'ASL di  provenienza,  rende  del  tutto  superfluo  qualsivoglia
coinvolgimento in questo giudizio della ASL di Lissone (MB). 
    Risulta preclusa  la  possibilita'  di  sospendere,  come  invece
richiesto dalla convenuta, l'odierno giudizio ex art. 295 del  codice
di procedura civile, in attesa della pronuncia della  consulta  sulle
questioni poste dal Tribunale di Pordenone con la  citata  ordinanza,
in quanto, come ha avuto  modo  di  chiarire  la  Suprema  Corte,  si
tratterebbe  di  sospensione   illegittima,   determinata   da   mere
motivazioni di opportunita' («e' illegittima, perche' determinata  da
ragioni di opportunita' e  non  dalla  sussistenza  delle  condizioni
stabilite dall'art. 295 del codice di procedura  civile,  l'ordinanza
di sospensione del processo  adottata  dal  tribunale,  investito  di
controversia  interessata  dall'applicazione  della  legge  regionale
della Liguria 24 marzo 2000, n. 26, in attesa della  risoluzione,  da
parte della Corte costituzionale,  della  questione  di  legittimita'
dell'anzidetta normativa regionale,  sollevata  in  processi  diversi
pendenti avanti la corte  di  appello»,  cosi'  Cassazione  civile  -
sezione III, 25 luglio 2003, n. 11567). 
    Superate le eccezioni preliminari, si consideri ora la ricorrenza
dei presupposti cautelari del periculum  in  mora  e  del  fumus-boni
iuris. 
    Per quanto riguardo il periculum in  mora,  si  ritiene  di  fare
proprie le considerazioni  svolte  nell'ordinanza  del  Tribunale  di
Pordenone: «l'art. 700 del codice di  procedura  civile  richiede,  a
tale  riguardo,  la  ricorrenza  di  un  pregiudizio   imminente   ed
irreparabile, tale dovendo essere qualificato quel  pregiudizio  che,
non essendo adeguatamente ristorabile per equivalente, cioe' mediante
assegnazione di una somma di denaro a titolo risarcitorio, in caso di
mancata  adozione  della   cautela   innominata   determinerebbe   la
irreversibile lesione del diritto fatto valere nel processo. 
    E tali  caratteristiche  sussistono  indubbiamente  nel  caso  di
specie, costituendo fatto notorio, ricavabile dagli studi scientifici
intervenuti sulla materia de qua e non  a  caso  recepiti  anche  dal
nostro  Istituto  superiore  di  sanita',  che  la  possibilita'   di
sottoporsi con successo a tecniche di  fecondazione  e'  strettamente
legata all'eta' della donna ed e' destinata a diminuire sensibilmente
perlomeno dopo i 35 anni della stessa, come pure che i rischi per  la
salute della madre e del  nascituro  aumentano  esponenzialmente  col
passare del tempo». 
    Considerato che le ricorrenti sono nate rispettivamente nel  1979
e nel 1982, appare chiaro che l'attesa  dei  tempi  di  un  ordinario
giudizio di cognizione potrebbe di fatto pregiudicare definitivamente
l'accoglimento della domanda qui azionata dalle ricorrenti. 
    La delibazione del fumus boni iuris  concerne  invece  in  questa
fase la valutazione della non manifesta infondatezza dei sospetti  di
illegittimita' costituzionale delle norme di divieto di  applicazione
delle pratiche  di  PMA  a  coppie  dello  stesso  sesso  e  relative
sanzioni,  anche  avuto  riguardo   alla   questione   della   salute
riproduttiva di coppia. Del resto  il  rilievo  della  questione  nel
giudizio a quo si evince dalle motivazione  addotte  dalla  convenuta
azienda sanitaria a diniego delle prestazioni  richieste:  «l'Azienda
sanitaria che rappresento non puo' accogliere  la  richiesta  da  Lei
formulata per conto delle Sue Clienti sig.ra F.F. e  sig.ra  M.R.,  a
causa dei divieti imposti dalla legge n. 40/2004: si  rileva  infatti
che l'art. 4, comma 3 di tale legge vieta di ricorrere alle  tecniche
di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, ma l'art. 5
prevede altresi' che possano accedere  alle  medesime  tecniche  solo
coppie di maggiorenni di sesso diverso, mentre le  sue  clienti  sono
del medesimo sesso. Finche' sussisteranno tali divieti imposti  dalla
legge, l'azienda sanitaria non puo' che reiterare il proprio  rigetto
della richiesta (pec datata  20  settembre  2018,  doc.  4  di  parte
ricorrente).  In  altre  parole  l'unico  ostacolo   all'accoglimento
dell'istanza  cautelare  presentata  dalle  ricorrenti  nel  presente
procedimento,  istanza  di  accesso  alle  pratiche  di  procreazione
medicalmente assistita, e' costituito proprio dalle norme  sospettate
di illegittimita' e soltanto una pronuncia della Corte costituzionale
adita consentirebbe al giudice a  quo  di  fornire  piena  tutela  al
progetto di maternita' e famiglia delle stesse. 
    Si riportano di seguito le norme oggetto di vaglio: 
    Legge 19 febbraio 2004, n. 40 («Norme in materia di  procreazione
medicalmente  assistita»)  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  24
febbraio 2004, n. 45). 
    Art. 1 (Finalita'). - 1. Al fine di  favorire  la  soluzione  dei
problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita'
umana  e'  consentito  il  ricorso  alla  procreazione   medicalmente
assistita, alle condizioni e  secondo  le  modalita'  previste  dalla
presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti,
compreso il concepito. 
    2.  Il  ricorso  alla  procreazione  medicalmente  assistita   e'
consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per
rimuovere le cause di sterilita' o infertilita'. 
    Art. 4 (Accesso alle tecniche). - 1. Il ricorso alle tecniche  di
procreazione medicalmente assistita e'  consentito  solo  quando  sia
accertata  l'impossibilita'  di   rimuovere   altrimenti   le   cause
impeditive della procreazione ed e' comunque circoscritto ai casi  di
sterilita' o di infertilita' inspiegate documentate  da  atto  medico
nonche' ai casi di sterilita' o di infertilita' da causa accertata  e
certificata da atto medico. 
    2.  Le  tecniche  di  procreazione  medicalmente  assistita  sono
applicate in base ai seguenti principi: 
        a) gradualita', al fine di evitare il ricorso  ad  interventi
aventi un grado di invasivita' tecnico e psicologico piu' gravoso per
i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasivita'; 
        b) consenso informato, da realizzare ai sensi dell'art. 6. 
    3. E' vietato il ricorso a tecniche di procreazione  medicalmente
assistita di tipo eterologo. 
    Art.  5  (Requisiti  soggettivi).  -  1.  Fermo  restando  quanto
stabilito dall'art. 4, comma 1, possono  accedere  alle  tecniche  di
procreazione medicalmente assistita coppie di  maggiorenni  di  sesso
diverso, coniugate o  conviventi,  in  eta'  potenzialmente  fertile,
entrambi viventi. 
    Art. 12 (Divieti generali  e  sanzioni).  -  ...  2.  Chiunque  a
qualsiasi titolo, in violazione  dell'art.  5,  applica  tecniche  di
procreazione medicalmente assistita a coppie  i  cui  componenti  non
siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne  ovvero
che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non  coniugati  o
non conviventi e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da
200.000 a 400.000 euro. ... 
    8. Non sono punibili l'uomo o la donna ai quali sono applicate le
tecniche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5. 
    9. E' disposta la sospensione da uno a  tre  anni  dall'esercizio
professionale nei confronti dell'esercente una professione  sanitaria
condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo,  salvo
quanto previsto dal comma 7. 
    10.  L'autorizzazione  concessa  ai  sensi  dell'art.   10   alla
struttura al cui interno e' eseguita una delle  pratiche  vietate  ai
sensi del presente articolo e' sospesa per un anno.  Nell'ipotesi  di
piu' violazioni dei divieti di cui al presente articolo o di recidiva
l'autorizzazione puo' essere revocata. 
    Ritiene  in  primo  luogo  lo  scrivente  giudice  che  le  norme
richiamate si pongano in evidente contrasto con gli articoli  2  («la
Repubblica riconosce e garantisce i  diritti  inviolabili  dell'uomo,
sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge  la  sua
personalita'») e 3 («tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale  e
sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di  razza,
di  lingua,  di  religione,  di  opinioni  politiche,  di  condizioni
personali e sociali»)  della  Costituzione,  a  motivo  della  palese
natura irragionevole e discriminatoria della prescrizioni/divieti  in
esse contenuti. 
    Quanto si sostiene risulta dimostrato se  solo  si  rifletta  sui
recenti  sviluppi  normativi  e  del  diritto   vivente   che   hanno
caratterizzato in anni recenti l'ordinamento italiano. 
    Si fa richiamo innanzitutto alla legge  20  maggio  2016,  n.  76
(«Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso
e disciplina delle convivenze») che all'art. 1 recita:  «La  presente
legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale
specifica formazione sociale ai sensi degli  articoli  2  e  3  della
Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto». 
    Sebbene il legislatore abbia fatto espresso riferimento  all'art.
2 della Costituzione ed al  concetto  di  formazione  sociale  e  non
all'art. 29 della Costituzione («la Repubblica  riconosce  i  diritti
della famiglia come societa' naturale fondata  sul  matrimonio»),  la
giurisprudenza e'  concorde  nel  ritenere  di  natura  familiare  la
formazione sociale che scaturisce dall'unione civile. 
    Valga riportare i passaggi di alcune recenti pronunce sul punto: 
        - «Reputa questo tribunale che l'indirizzo sin qui illustrato
sia stato anche confermato dalla legge  n.  76  del  2016.  In  primo
luogo, la nuova normativa ha eletto  le  coppie  formate  da  persone
dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi,  al  rango  di
"famiglia" (e' inequivoco il riferimento, nella normativa, alla "vita
familiare", a tacer d'altro), cosi'  offrendo  all'adozione  in  casi
particolari, un substrato relazionale solido, sicuro,  giuridicamente
tutelato ... Va rimarcato che la relazione affettiva tra due  persone
dello stesso sesso, che si riconoscano  come  parti  di  un  medesimo
progetto di vita, con le aspirazioni; i desideri e i sogni comuni per
il future, la condivisione insieme dei frammenti di vita  quotidiana,
costituisce a tutti gli effetti  una  "famiglia",  luogo  in  cui  e'
possibile la crescita  di  un  minore,  senza  che  il  mero  fattore
omoaffettivita'  possa  costituire  ostacolo   formale.»   (Tribunale
minorenni, Bologna, 6 luglio 2017); 
        - «il diritto alla genitorialita', e ancor  bigenitorialita',
e' un diritto prima di  tutto  del  minore  ad  instaurare  relazioni
affettive stabili con entrambi i genitori, sia quando lo stesso  sia,
stato concepito biologicamente che a mezzo delle tecniche mediche  di
cui alla PMA, posto che anche  in  tali  ultimi  casi  il  figlio  e'
generato in forza di un progetto di vita comune della coppia, etero o
omosessuale, volto alla creazione di un nucleo familiare  secondo  un
progetto di genitorialita' condiviso. Il figlio voluto  dalla  coppia
omosessuale attraverso il ricorso  alla  PMA  deve  trovare,  dunque,
tutela anche sotto il profilo giuridico, venendo in gioco  tutta  una
serie di interessi che,  per  la  sola  ragione  di  essere  amato  e
cresciuto  di  fatto  dalla  coppia  di  donne,  non  sono   comunque
assicurati se non attraverso, il formale  riconoscimento  dell'essere
figlio delle due mamme che lo hanno desiderato ... 5.6.  Il  concetto
di famiglia deve, quindi, essere  riletto  alla  luce  dei  mutamenti
sociali e deve essere inteso come comunita' di affetti svincolata  da
legami biologici, oltre che da istituti tradizionali  quali  l'unione
matrimoniale,  incentrandosi  piuttosto  su  relazioni  affettive  ed
effettive  tra  i  suoi  componenti   che   prescindono   da   legami
tradizionalmente intesi (si veda  la  riforma  della  filiazione,  la
recente disciplina delle unioni civili ed il  riconoscimento  per  le
coppie dello stesso sesso del diritto  di  adottare  figli  ai  sensi
dell'art.  44,  comma  1,  lettera  d)  della  legge  n.   184/1983)»
(Tribunale, Pistoia, 5 luglio 2018); 
        - «La giurisprudenza della Corte EDU e quella  costituzionale
impongono di assicurare copertura giuridica alle  relazioni  gia'  in
essere nell'esclusivo interesse del minore, in quanto il diritto alla
vita familiare si esplica anche nelle situazioni di fatto generate da
legami affettivi ed indipendentemente dall'orientamento sessuale  dei
componenti l'unione»  (Cassazione,  1  sezione  civile,  sentenza  20
giugno 2917, n. 15202). 
    Ritenuta di natura familiare la formazione sociale fondata su  di
un'unione civile o anche solo, al limite, da una convivenza di  fatto
tra persone dello stesso sesso, occorre esaminare se, da un'eventuale
rimozione del divieto richiamato, possa ritenersi leso  un  rilevante
interesse di rango costituzionale della persona nata dalla PMA,  vale
a dire se nell'ambito di  una  famiglia  omogenitoriale  sia  o  meno
tutelato   il   migliore   interesse   della   prole   (cfr.    Corte
costituzionale,  10  giugno  2014,  n.  162,   relativa   alla   c.d.
fecondazione  eterologa:  «unico  interesse  che  si  contrappone  ai
predetti beni costituzionali e', dunque, quello  della  persona  nata
dalla PMA di tipo eterologo, che, secondo l'Avvocatura generale dello
Stato, sarebbe leso a causa sia del rischio psicologico correlato  ad
una genitorialita' non naturale»). 
    Invero tanto  la  giurisprudenza  di  merito,  quanto  quella  di
legittimita'  ha  recentemente  sempre  e   pienamente   riconosciuto
l'idoneita' genitoriale della coppia "same sex": 
        - «al riguardo, tuttavia: o si ritiene  che  sia  proprio  la
relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere  potenzialmente
contrastante, in re ipsa,  con  l'interesse  del  minore,  incorrendo
pero'   in   una   inammissibile   valutazione    negativa    fondata
esclusivamente sull'orientamento sessuale della madre della minore  e
della richiedente l'adozione, di discriminatoria e comunque priva  di
qualsiasi allegazione e fondamento probatorio  specifico;  oppure  si
deve escludere tout  court,  come  gia'  ampiamente  argomentato,  la
configurabilita' in via generale ed astratta  di  una  situazione  di
conflitto d'interessi. ... La Corte ... nel caso X  ed  altri  contro
Austria (sentenza del 19 febbraio  2013  nel  ricorso  n.  19010  del
2007), ha riconosciuto anche in  tema  di  adozione  del  figlio  del
partner (o  adozione  cosiddetta  "coparentale")  la  violazione  del
principio  di  non  discriminazione  stabilito  dall'art.  14   della
Convenzione in presenza di una ingiustificata  disparita'  di  regime
giuridico tra le coppie eterosessuali e le coppie formate da  persone
dello stesso sesso, dal momento che nell'ordinamento  austriaco  tale
forma di adozione  era  consentita  soltanto  alle  coppie  di  fatto
eterosessuali. La Corte di Strasburgo, al riguardo,  ha  sottolineato
che l'Austria non aveva  fornito  "motivi  particolarmente  solidi  e
convincenti  idonei  a  stabilire  che  l'esclusione   delle   coppie
omosessuali   dall'adozione   coparentale    aperta    alle    coppie
eterosessuali non sposate fosse necessaria per tutelare  la  famiglia
tradizionale" (par. 151 della sentenza). Il rilievo  della  pronuncia
rispetto al presente giudizio si  coglie  relazione  all'applicazione
del paradigma antidiscriminatorio. Nel caso  di  una  discriminazione
fondata  sul  sesso  o  l'orientamento  sessuale,   il   margine   di
apprezzamento degli Stati e' limitato, ed il consenso dei medesimi in
ordine all'estensione del diritto all'adozione alle coppie formate da
persone dello stesso sesso non  e'  immediatamente  rilevante  (parr.
147, 148, 149), se in concreto si verifica una situazione, come nella
fattispecie esaminata dalla Corte, di disparita' di  trattamento  tra
coppie di fatto eterosessuali e dello stesso  sesso  non  fondata  su
ragioni "serie" (non essendovi evidenze  scientifiche  dotate  di  un
adeguato margine di  certezza  in  ordine  alla  configurabilita'  di
eventuali pregiudizi per il minore derivanti  dall'omogenitorialita',
come riconosciuto anche dalla sentenza di questa  Corte  n.  601  del
2013).» (Cassazione civile sezione 1, 22 giugno 2016, n. 12962); 
        - «Tantomeno potrebbe  rilevare,  ai  fini  di  escludere  la
compatibilita' con l'ordine  pubblico,  quale  sopra  considerato,  e
quindi con il preminente interesse dei minori, delle adozioni per cui
e' causa, il dato, conseguente, dell'inserimento degli stessi  minori
nel contesto di una famiglia  costituita  da  coppia  omosessuale,  e
delle possibili ripercussioni negative sul  piano  della  crescita  e
dell'educazione, essendo qui sufficiente il richiamo  a  quanto  gia'
chiarito  da  questa  Corte,  in  ordine  all'ininfluenza   di   meri
pregiudizi (Cassazione n. 601/2013; Cassazione n.  4184/2012)  ed  in
ordine alla non incidenza  dell'orientamento  sessuale  della  coppia
sull'idoneita' dell'individuo  all'assunzione  della  responsabilita'
genitoriale (Cassazione n.  15202/2017;  Cassazione  n.  12962/2016)»
(Cassazione civile sezione I, 31 maggio 2018, n. 14007). 
    Se dunque da un'unione civile scaturisce una famiglia  della  cui
idoneita' ad accogliere e crescere il nuovo nato non si  dubita,  non
sussistono spazi di valutazione politico legislativa  per  negare  il
diritto alla genitorialita', mediante accesso alla PMA, ad una coppia
di donne unite civilmente. Cio' in quanto, nel caso di specie, non vi
sono contrapposte esigenze tra le quali il legislatore sia chiamato a
trovare un punto di equilibrio, non risultando pregiudicate in  alcun
modo le prerogative  del  nuovo  nato,  ne'  venendo  in  rilievo  le
questioni di ordine etico, che la c.d. maternita' surrogata  potrebbe
sollevare  (non  viene  coinvolto  nella  gestazione  alcun  soggetto
esterno alla coppia richiedente, necessitandosi soltanto il  ricorso,
oramai consentito,  alle  pratiche  di  fecondazione  eterologa).  Al
contrario il divieto, di accesso alla PMA da parte di  persone  dello
stesso sesso  costituisce,  per  le  ragioni  sopra  esposte,  chiara
discriminazione fondata sull'orientamento  sessuale,  discriminazione
che lede la dignita' della persona umana, giacche' il  divieto  posto
implica una compressione o meglio una totale  negazione  del  diritto
alla genitorialita' (si veda l'ulteriore norma  parametro  costituita
dall'art. 31  della  Costituzione  «La  Repubblica  ...  Protegge  la
maternita'»)   sproporzionata    ed    irragionevole,    in    quanto
essenzialmente priva di ragioni. 
    Nel caso in esame viene inoltre in  rilievo  il  contrasto  delle
disposizioni richiamate con la norma  parametro  dell'art.  32  della
Costituzione («la  Repubblica  tutela  la  salute  come  fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettivita', e  garantisce
cure  gratuite  agli  indigenti»),  poiche'  alle  ricorrenti   viene
preclusa  la  possibilita'  di   superare   i   rispettivi   ostacoli
riproduttivi, come sopra descritti tra le allegazioni  delle  stesse,
secondo   l'individuata   strategia   di    complementarita'    delle
potenzialita' riproduttive residue (gestazionale dell'una, produzione
ovarica dell'altra - cfr. Corte costituzionale,  sentenza  10  giugno
2014, n. 162, che ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  del
comma terzo, art. 4 della  legge  n.  40/2004,  nella  parte  in  cui
stabilisce per la coppia di cui all'art. 5,  comma  1,  della  citata
legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente
assistita di tipo eterologo,  qualora  sia  stata  diagnosticata  una
patologia che sia causa di  sterilita'  o  infertilita'  assolute  ed
irreversibili), laddove la legge n.  40/2004  all'art.  1,  individua
quale  scopo  della  PMA  la  «soluzione  dei  problemi  riproduttivi
derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana». Alla  signora
F. ed alla signora R. viene  negato  cosi'  dalla  legge  il  diritto
fondamentale alla salute  riproduttiva,  sol  perche'  componenti  di
coppia formata da persone dello stesso sesso. 
    La natura espressa del divieto e della relativa sanzione in esame
impediscono di procedere ad interpretazione della normativa  in  modo
conforme a Costituzione. Ne' puo' procedersi alla disapplicazione dei
citati articoli 5 e 12 della legge n. 40/2004 per contrasto  con  gli
articoli 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e  14
(Divieto di discriminazione) della CEDU, in quanto occorre  sollevare
questione di legittimita' costituzionale per  contrasto  della  legge
con la norma interposta della CEDU,  cosi'  come  attratta  dall'art.
117,  comma  1  della  Costituzione  («la  potesta'  legislativa   e'
esercitata  dallo  Stato  e  dalle   regioni   nel   rispetto   della
Costituzione,  nonche'   dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali» al rango sovra-primario.
Parimenti si rende necessario in ogni caso e per le medesime  ragioni
denunciare di fronte alla Corte costituzionale italiana  il  sospetto
di illegittimita' della normativa richiamata per incompatibilita' con
ulteriore normativa internazionale pattizia, che per mere ragioni  di
completezza si indica negli articoli 2.1,  17,  23  e  26  del  Patto
internazionale  relativo  ai  diritti   civili   e   politici   (tali
disposizioni recano ancora una volta il divieto di discriminazione ed
il richiamo al necessario rispetto della vita privata  e  familiare),
ratificato e reso esecutivo  con  legge  25  ottobre  1977,  n.  881;
nonche' articoli 5, 6, 22.1, 23.1, 25 della Convenzione  sui  diritti
delle persone con disabilita' (tali disposizioni declinano il divieto
di discriminazione  e  la  promozione  del  diritto  alla  salute  in
relazione alle persone con disabilita',  da  intendersi  anche  quale
disabilita' riproduttiva), ratificata e resa, esecutiva con legge  n.
18 del 3 marzo 2009. 
    Neppure sarebbe praticabile una disapplicazione diretta in  forza
dell'art. 21 della Carta europea dei diritti dell'uomo  («E'  vietata
qualsiasi forma  di  discriminazione  fondata,  in  particolare,  sul
sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o  sociale,
le  caratteristiche  genetiche,  la  lingua,  la   religione   o   le
convinzioni personali, le opinioni politiche  o  di  qualsiasi  altra
natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio,  la
nascita,  la  disabilita',  l'eta'  o   l'orientamento   sessuale.»),
recentemente divenuta giuridicamente vincolante nell'Unione  europea,
con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona del 2009,  Carta  che
e' oggi parificata ai trattati dell'Unione. 
    Quand'anche si ritenesse che la  vicenda  ricada  nell'ambito  di
applicazione del diritto dell'Unione europea,  quale  discriminazione
fondata sul sesso nell'ambito dell'accesso ai servizi  (direttiva  13
dicembre 2004, n. 113 «Direttiva del Consiglio che attua il principio
della parita' di trattamento tra uomini e donne per  quanto  riguarda
l'accesso di beni e servizi e la loro fornitura», cfr. articoli 1 e 2
della direttiva citata - art. 21  della  Carta  europea  dei  diritti
dell'uomo),   non   si   riterrebbe   di   procedere   alla   diretta
disapplicazione  della  normativa  nazionale  contrastante,   ne'   a
prioritario rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in  ossequio
al  recente  obiter  dictum  della   Corte   costituzionale,   (Corte
costituzionale, 14 dicembre 2017, n. 269), che ha cosi'  argomentato:
«i principi e i diritti enunciati nella Carta  intersecano  in  larga
misura i principi e i diritti garantiti dalla  Costituzione  italiana
(e dalle altre Costituzioni nazionali degli  Stati  membri).  Sicche'
puo' darsi il caso che la violazione  di  un  diritto  della  persona
infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla  Costituzione
italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti  dell'unione,
come e' accaduto da ultimo in riferimento al principio  di  legalita'
dei reati e delle  pene  (Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,
grande sezione, sentenza 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17, M.A.S.
M.B.) ... le  violazioni  dei  diritti  della  persona  postulano  la
necessita' di un intervento erga omnes  di  questa  Corte,  anche  in
virtu'  del  principio  che   situa   il   sindacato   accennato   di
costituzionalita'  delle   leggi   a   fondamento   dell'architettura
costituzionale (art. 134 della Costituzionale). La Corte  giudichera'
alla luce dei parametri interni ed eventualmente  di  quelli  europei
(ex articoli 11 e 117 della Costituzione), secondi l'ordine di  volta
in volta appropriato, anche al  fine  di  assicurare  che  i  diritti
garantiti dalla  citata  Carta  dei  diritti  siano  interpretati  in
armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall'art. 6
del trattato sull'Unione europea e dall'art. 52, comma 4 della  CDFUE
come fonti rilevanti in tale ambito. In senso analogo, del resto,  si
sono  orientate  altre  Corti  costituzionali  nazionali  di   antica
tradizione  (si  veda  ad  esempio  Corte  costituzionale  austriaca,
sentenza 14  marzo  2012,  U  466/11-18;  U  1836/11-13).  Il  tutto,
peraltro, in un quadro di costruttiva  e  leale  cooperazione  fra  i
diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti  costituzionali  sono
chiamate a valorizzare il dialogo  con  la  Corte  di  giustizia  (da
ultimo, ordinanza n.  24  del  2017),  affinche'  sia  assicurata  la
massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art.  53  della
CDFUE). D'altra parte, la sopravvenienza  delle  garanzie  approntate
dalla CDFUE  a  quelle  previste  dalla  Costituzione  italiana  puo'
generare un concorso di rimedi giurisdizionali. A tale proposito,  di
fronte  a  casi  di  "doppia  pregiudizialita'"  -  vale  a  dire  di
controversie che possono dare luogo  a  questioni  di  illegittimita'
costituzionale e, simultaneamente, a questioni di compatibilita'  con
il diritto dell'Unione -, la stessa Corte di giustizia ha a sua volta
affermato  che  il  diritto  dell'Unione  "non  osta"  al   carattere
prioritario del giudizio di  costituzionalita'  di  competenza  delle
Corti costituzionali nazionali, purche' i  giudici  ordinari  restino
liberi di sottoporre alla Corte di giustizia, "in qualunque fase  del
procedimento  ritengano  appropriata  e  finanche  al   termine   del
procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, qualsiasi
questione pregiudiziale a loro  giudizio  necessaria";  di  "adottare
qualsiasi misura necessaria per garantire la  tutela  giurisdizionale
provvisoria  dei   diritti   conferiti   dall'ordinamento   giuridico
dell'Unione"; di disapplicare, al termine del giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in
questione che abbia superato il vaglio di costituzionalita', ove, per
altri profili, la ritengano contraria al diritto dell'Unione (tra  le
altre,  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,  quinta  sezione,
sentenza 11 settembre 2014, nella causa C-112/13 A contro B e  altri;
Corte di giustizia dell'Unione europea, grande sezione,  sentenza  22
giugno 2010, nelle cause C-188/10,  Melki  e  C-189/10,  Abdeli).  In
linea con questi orientamenti, questa Corte ritiene che, laddove  una
legge sia oggetto di dubbi di illegittimita' tanto in riferimento  ai
diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in  relazione  a
quelli garantiti dalla Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la
questione di legittimita' costituzionale, fatto salvo il ricorso,  al
rinvio  pregiudiziale  per  le  questioni  di  interpretazione  o  di
invalidita' del diritto  dell'Unione,  ai  sensi  dell'art.  267  del
TFUE». 
    Tale ricostruzione ha  trovato  alterno  accoglimento  presso  la
Suprema Corte di cassazione, che vi si e' talora adeguata (Cassazione
civile sezione II, 16 febbraio  2018,  n.  3831),  talora  discostata
(Cassazione  civile  sezione  lavoro,  17  maggio  2018,  n.   12108;
Cassazione civile sezione lavoro, 30 maggio 2018, n. 13678). 
    Il sottoscritto  giudice  condivide  le  argomentazioni  espresse
dalla Consulta nel citato obiter della  sentenza  n.  269  del  2017,
anche  considerato  che  la  Corte  costituzionale   nazionale   pare
costituire per il giudice del merito il piu' idoneo fautore di ordine
nella complessita' del  sistema  di  tutela  multilivello,  in  grado
peraltro di espungere dall'ordinamento, con effetto «erga  omnes»  la
norma viziata, laddove, per contro, la Corte di giustizia dell'Unione
europea e' unicamente chiamata ad esprimersi circa  l'interpretazione
del diritto eurounitario. L'ossequio al citato  obiter  evita  infine
l'introduzione   in   via   surrettizia   di    un    controllo    di
costituzionalita'   diffusa,   distonico   rispetto   all'ordinamento
costituzionale interno. Resta tuttavia aperto il problema  del  modus
procedendi maggiormente corretto in caso di contrasto tra la norma di
legge ed urla norma di divieto antidiscriminatorio contenuta  in  una
direttiva, dotata di effetti  diretti  in  quanto  espressiva  di  un
divieto,  ma  di  fatto  riproduttiva  delle  prescrizioni  di  rango
costituzionale che tutelano il diritto all'eguaglianza ed  alla  pari
dignita'. 
    In ogni caso questo giudice reputa inconferente il riferimento ad
un'ipotetica discriminazione fondata sul sesso,  giacche'  a  nessuna
donna, in quanto tale, e' vietato l'accesso alle PMA, ma solo  se  la
stessa sia inserita in una coppia formata  da  persone  dello  stesso
sesso.