IL TRIBUNALE DI VERBANIA Letti gli atti del processo a carico di B. M. nato a..., il..., dom. dich. in..., ..., difeso dagli avv. Claudio Rapetti Lombardo e avv. Ilario Albertella del foro di Milano di fiducia - imputato delitto di cui all'art. 590-bis c.p., perche', alla guida dell'autovettura..., targata..., per colpa consistita in, negligenza, imprudenza, imperizia e violazione, in particolare, degli articoli 140, 141 e 191 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagionava a M. A. una lesione personale dalla quale derivava una malattia nel corpo consistita in: «politrauma, frattura ossa nasali, gamba destra», con prognosi di sessanta giorni, s.c. (l'agente, percorrendo a... la..., omettendo di regolare la velocita', onde evitare ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed omettendo, altresi', di porre la necessaria attenzione nella guida e di ispezionare continuamente lo spazio dinanzi a se', all'altezza di..., investiva la persona offesa, che stava attraversando la medesima sede stradale, utilizzando l'apposita segnaletica orizzontale dedicata all'attraversamento pedonale). In Domodossola, il 15 dicembre 2016. Ha pronunciato la seguente, Ordinanza 1. B. M. e' stato tratto a giudizio, con decreto di citazione in data 27 dicembre 2017, per rispondere del delitto di «lesioni personali colpose stradali gravi» di cui all'art. 590-bis c.p., norma introdotta dalla legge 23 marzo 2016, n. 41, commesso in data 15 dicembre 2016 ai danni di M. A., per avere colposamente cagionato, in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale dettagliatamente enunciate nell'imputazione, lesioni gravi alla persona offesa. Il Difensore fiduciario dell'imputato ha preliminarmente chiesto di' sollevare questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 222, decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 (cd. Codice della Strada), cosi' come modificata dalla legge 2016 n. 41, nella parte in cui, al 4° periodo del comma 2, prevede l'obbligatoria applicazione, in caso di condanna, anche condizionalmente sospesa, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p., in relazione al reato di cui all'art. 590-bis c.p., della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida. Di qui la rilevanza, nel presente processo, della questione che si prospetta, dal momento che, in caso di condanna, all'imputato dovrebbe essere inevitabilmente comminata la sanzione accessoria della revoca della patente, con conseguente impossibilita' di conseguirla nuovamente prima del decorso di cinque anni. Prima della modifica normativa citata, la norma prevedeva, in caso di violazione delle norme del codice della strada da cui fosse derivata una lesione colposa grave o gravissima, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida fino a due anni, e la revoca nei soli casi di fatto commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'art. 186, comma 2 lett. c) C.d.S. ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nonostante, poi, la modifica normativa intervenuta, l'art. 222 al I comma cosi' dispone, per un evidente difetto di coordinamento: «Quando da una violazione delle norme di cui al presente codice derivino danni alle persone, il giudice applica con la sentenza di condanna le sanzioni amministrative pecuniarie previste, nonche' le sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente di guida", e, al 2° comma: "Quando dal fatto derivi una lesione personale colposa la sospensione della patente e' da quindici giorni a tre mesi. Quando dal fatto derivi una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione della patente e' fino a due anni. Nel caso di omicidio colposo la sospensione della patente e' fino a quattro anni». 2. Premesso quanto sopra, il Tribunale dubita della legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., della norma, di cui deve fare applicazione nel presente giudizio, di cui all'art. 222, comma 2, 4° periodo, del decreto legislativo n. 285 del 1992, cosi' come modificato dalla legge 23 marzo 2016, n. 41, nella parte in cui prevede che «Alla condanna, ovvero all'applicazione della pena su richiesta delle partia norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli articoli [...] 590-bis del codice penale consegue la revoca della patente di guida». Simile scelta del legislatore travalica, ad avviso del giudicante, i limiti della ragionevolezza nella misura in cui sottopone alla medesima sanzione accessoria, senza possibilita' di graduazione, ed eliminando la previsione della possibilita' di applicare la piu' tenue sanzione della sospensione della patente di guida, situazioni ontologicamente diverse, la cui diversita' e' attestata dalla notevole differenziazione delle sanzioni penali, graduate in funzione del diverso disvalore sociale degli illeciti in rapporto all'evidente diversa intensita' dell'offesa ai beni giuridici della vita e dell'incolumita' individuale. Il legislatore pone, infatti, sullo stesso piano, quanto all'individuazione della sanzione amministrativa accessoria, le lesioni gravi, le lesioni gravissime e l'omicidio colposo derivanti dalla violazione di norme del codice della strada, facendo discendere dalla condanna o dall'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p., ancorche' condizionalmente sospesa, la revoca della patente, senza lasciare al giudice la possibilita' di commisurare la sanzione accessoria alla gravita' del danno, alle modalita' della condotta, all'intensita' della colpa e al concorrere di altri fattori, quali il concorso della persona offesa. La richiamata disposizione appare, dunque, in contrasto con i principi di uguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza in quanto pone sullo stesso piano e prevede l'obbligatoria e automatica applicazione della medesima sanzione amministrativa accessoria, di particolare afflittivita', quale la revoca della patente, a fatti-reato non solo diversi quanto all'evento (omicidio colposo, da un lato, e lesioni gravi e gravissime, dall'altro), ma anche frutto di condotte del tutto eterogenee, espressamente previste in modo dettagliato e specifico, con graduazione delle pene, proprio dagli articoli 589-bis e 590-bis c.p. Indiscussa, poi, la natura amministrativa della sanzione accessoria in questione della revoca della patente, piu' volte ribadita dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 42346/2017), non si ritiene condivisibile quanto sostenuto dalla Cassazione nella citata pronuncia e nelle successive (si veda ex ceteris: Cass. 1393/2018) nel senso che «l'obbligatorieta' dell'irrogazione della sanzione derivi da una scelta legislativa rientrante nei limiti dell'esercizio ragionevole del potere politico [...] non sindacabile sotto il profilo della irragionevolezza in quanto fondata su differenti natura e finalita'» (cfr. Cass. cit. n. 42346/2017): nel caso della norma sottoposta al vaglio preventivo del giudicante, infatti, un'unica sanzione amministrativa, in nessun modo attenuabile in concreto, e' stata obbligatoriamente prevista in ipotesi di condanna relativa a fatti-reato che, proprio con la stessa unica legge che ha contemporaneamente riformato sia il codice penale che il cd. codice della strada, sono stati considerati dal legislatore meritevoli di un trattamento sanzionatorio penale notevolmente differenziato e dettagliatamente graduato. Con la conseguenza che, pur non potendosi porre in dubbio la correttezza della premessa del ragionamento della S.C. dell'inerenza della scelta della sanzione amministrativa al potere discrezionale del legislatore, la questione della violazione dell'art. 3 Cost. non puo' per cio' solo ritenersi infondata, in quanto le contraddittorieta' sopra evidenziate denunciano quella manifesta irragionevolezza che rende sindacabile dalla Corte costituzionale anche le scelte costituenti espressione della discrezionalita' del legislatore nel configurare il trattamento sanzionatorio (cfr. Corte Cost. n. 43/2017). Ne', da ultimo, l'asserita e sussistente finalita' anche preventiva della sanzione amministrativa di cui discute rende infondata la questione, ad avviso del giudicante, posto che anche nel perseguimento di tali finalita' il legislatore non puo' travalicare i limiti della ragionevolezza senza incorrere in censure di incostituzionalita'.