LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale per la Regione Campania 
 
    composta dai seguenti magistrati: 
        prof. Michael Sciascia, Presidente; 
        dott. Robert Schülmers von Pernwerth, consigliere rel.; 
        dott.ssa Benedetta Cossu, consigliere; 
    ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
responsabilita', iscritto al numero 69681 del registro di segreteria,
instaurato a istanza della Procura regionale  presso  questa  Sezione
nei confronti dei signori: 
        1.   Romeo   Gestioni   s.p.a.,   in   persona   del   legale
rappresentante pro tempore, con sede in Napoli, via  Giovanni  Porzio
E/4, rappresentata e  difesa  dall'avv.  Stefano  Cianci,  presso  lo
studio del quale e' elettivamente domiciliata in Napoli alla via  dei
Mille n. 1; 
        2. Annunziata Giovanni, nato a Napoli il 27 febbraio 1953  ed
ivi residente in via Divisione Siena n. 46,  rappresentato  e  difeso
dal prof. avv. Felice Laudadio e dall'avv. Roberto De Masi, presso il
cui studio  e'  elettivamente  domiciliato  in  Napoli  alla  via  F.
Caracciolo n. 15; 
        3. Capecelatro Gaudioso Elvira, nata a Napoli il 7 marzo 1953
ed ivi residente in via E. A. Mario n.  35,  rappresentata  e  difesa
dall'avv. Salvatore Della  Corte,  presso  lo  studio  del  quale  e'
elettivamente domiciliata in  Napoli  alla  via  Vittorio  Veneto  n.
288/A; 
    Visto l'atto di  citazione  della  Procura  regionale  depositato
presso questa Sezione giurisdizionale l'8 settembre 2017; 
    Viste le memorie di costituzione depositate presso la  segreteria
di questa Sezione giurisdizionale dalle Difese dei convenuti; 
    Visti gli altri atti del giudizio; 
    Chiamata la causa nella pubblica udienza del  giorno  25  ottobre
2018, con l'assistenza del segretario sig. Guglielmo Rega, e  sentiti
il relatore consigliere dott.  Robert  Schülmers  Von  Pernwerth;  il
rappresentante del pubblico ministero in persona del vice procuratore
generale dott. Marco Catalano; l'avv. Stefano  Cianci  per  la  Romeo
Gestioni; l'avv. Luca Ruggiero, in sostituzione  dell'avv.  Salvatore
Della Corte, per Capecelatro Gaudioso Elvira e  gli  avvocati  Felice
Laudadio e Roberto De Masi nell'interesse di Annunziata Giovanni. 
 
                              Premesso 
 
a) Sul giudizio a quo. 
    1. Con atto di citazione depositato l'8 settembre 2017 la Procura
presso questa Sezione giurisdizionale ha  convenuto  in  giudizio  la
Romeo Gestioni  s.p.a.,  quale  societa'  concessionaria  o  comunque
affidataria della gestione del patrimonio immobiliare del  Comune  di
Napoli, Annunziata Giovanni e Capecelatro Gaudioso Elvira,  dirigenti
pro  tempore  del  Comune  di  Napoli,  per  sentirli  condannare  al
pagamento,  in  favore  dell'Amministrazione   comunale   partenopea,
dell'importo  di  €  1.444.300  («in  parti  uguali  o   secondo   la
proporzione che riterra' la Sezione»), quale asserito danno  pubblico
correlato alla «mancata esazione di canoni di  occupazione»  relativi
ad un impianto sportivo di proprieta' comunale  sito  in  Napoli,  al
viale Giochi del Mediterraneo n. 30. 
    2. Ad avviso della Procura, infatti, la gestione di tale impianto
comunale, affidato in concessione al CONI nel  1969,  nel  corso  del
tempo sarebbe stata a tal punto trascurata da consentirne la  abusiva
conduzione da parte di un'associazione privata anche dopo la scadenza
della predetta concessione; e cio' avrebbe portato  il  requirente  a
quantificare il danno, in termini  di  mancati  introiti  per  l'ente
locale da agosto 2006 ad ottobre 2015, in complessivi € 1.444.300,00. 
    3. Ad avviso del requirente i  responsabili  del  presunto  danno
andavano individuati (a) nella societa' Romeo Gestioni  s.p.a.,  dato
che dal 1998 e per lungo tempo la gestione del patrimonio del  Comune
di' Napoli le era stata affidata dall'amministrazione  comunale;  (b)
nel dirigente pro tempore Annunziata Giovanni, a  capo  del  Servizio
patrimonio e demanio del Comune di Napoli dal gennaio 2003 al  giugno
2011, quale sottoscrittore per conto del comune della convenzione con
la Romeo, e per cio' solo gravemente  ed  inescusabilmente  colpevole
della mancata  vigilanza  sugli  obblighi  contrattuali  gravanti  su
controparte; (c) nella dirigente  pro  tempore  Capecelatro  Gaudioso
Elvira, a capo del Servizio patrimonio e demanio del Comune di Napoli
dal luglio 2011 al  giugno  2013,  in  quanto  rimasta  asseritamente
inerte pur essendo al corrente, quanto meno dal 2012, della vicenda. 
    4. Dopo la rituale costituzione in giudizio da parte di  tutti  i
convenuti, in data 25 ottobre 2018  aveva  luogo  la  discussione  in
pubblica udienza, ad esito della quale veniva  adottata  la  sentenza
definitiva n. 1046 del 2018, con cui,  respinte  tutte  le  questioni
pregiudiziali sollevate dalle parti ed accolta unicamente l'eccezione
di   prescrizione    parziale    dell'azione    di    responsabilita'
amministrativa  in  favore  dei  due  convenuti  Annunziata  e  Romeo
Gestioni, il collegio proscioglieva nel merito tutte le parti private
non ravvisando nella loro condotta gli  estremi  della  colpa  grave,
come richiesto dall'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994,  n.
20. 
    5. In particolare, ad avviso della Sezione, pur essendo  pacifico
che i convenuti nell'esercizio  delle  loro  funzioni  fossero  stati
interessati  alla  annosa  vicenda   della   gestione   sine   titulo
dell'impianto sportivo in parola e pur non potendosi negare che anche
tale cespite facesse parte del patrimonio immobiliare  comunale,  era
necessario valorizzare il dato - anch'esso  emergente  dagli  atti  -
relativo all'obiettiva incertezza circa l'effettiva distribuzione  di
competenze in materia di gestione di  impianti  sportivi  all'interno
del Comune di  Napoli,  come  attestato,  peraltro,  da  alcune  note
interpretative emesse al riguardo dal direttore generale dell'ente. 
    In altre parole, pur non potendosi escludere una certa negligenza
e superficialita' da parte dei convenuti in ordine  alla  trattazione
della vicenda, il  collegio  riteneva  decisiva,  ai  fini  del  loro
proscioglimento, la mancanza  di  colpa  grave  in  ragione  di  tale
obiettiva situazione di incertezza. 
    6. Nell'assumere la predetta decisione, tuttavia, la Sezione  non
riteneva di potere decidere in ordine alla  regolazione  delle  spese
processuali, come previsto  dall'art.  31  del  codice  di  giustizia
contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n.  174,
e sospendeva in parte qua  il  giudizio  ritenendo  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
del combinato disposto di cui all'art. 31, commi 2 e 3, c.g.c., nella
parte in cui non prevede che il giudice, anche in caso di intervenuto
proscioglimento  nel  merito  per  mancanza  di  uno  degli  elementi
indicati dall'art. 31, comma 2, c.g.c., possa compensare le spese tra
le parti, parzialmente o per  intero,  qualora  sussistano  gravi  ed
eccezionali  ragioni,  analoghe  a  quelle  tassativamente   indicate
dall'art. 31, comma 3, c.g.c. 
b) Sull'evoluzione del quadro normativo di riferimento. 
    7.  All'indomani  della  nota   riforma   del   procedimento   di
responsabilita' amministrativa (art. 5 del decreto-legge n.  453  del
1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 19  del  1994,  e
art. 1 della legge 14  gennaio  1994,  n.  20),  accompagnatasi  alla
contestuale riorganizzazione su base regionale della Corte dei  conti
(art. 1  del  decreto-legge  n.  453  del   1993,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 19 del 1994), si pose all'attenzione di
diversi   operatori   la   problematica   relativa   alla   eventuale
liquidazione, da parte del giudice contabile, delle spese di giudizio
in favore dei convenuti prosciolti, e segnatamente di quelle legali. 
    8. In particolare, preso atto  dell'esistenza  di  diverse  norme
statali, regionali e contrattuali che assicuravano il rimborso  delle
spese legali in favore di dipendenti pubblici ingiustamente coinvolti
in procedimenti giudiziari per fatti connessi all'ufficio (si vedano,
ad esempio, per i dipendenti degli enti locali l'art. 16 decreto  del
Presidente della Repubblica 1° giugno 1979, n. 191, l'art. 22 decreto
del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347; e  l'art.  67
decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268; per i
dipendenti della Regione siciliana l'art. 53, comma  2,  della  legge
della  Regione  Sicilia  7   del   23   marzo   1971,   secondo   cui
«l'Amministrazione  rimborsa  al  dipendente  dichiarato  esente   da
responsabilita' le spese sostenute per il giudizio dinanzi alla Corte
dei conti» e l'art. 39 della legge della Regione Sicilia 29  dicembre
1980, n. 145, secondo cui «Ai dipendenti che, in conseguenza di fatti
ed  atti  connessi  all'espletamento  del  servizio  e  dei   compiti
d'ufficio, siano soggetti a procedimenti di  responsabilita'  civile,
penale o amministrativa, e' assicurata l'assistenza legale,  in  ogni
stato e grado del giudizio, mediante  rimborso,  secondo  le  tariffe
ufficiali, di tutte le spese sostenute, sempre  che  gli  interessati
siano stati dichiarati esenti da responsabilita'»; per  i  dipendenti
della Regione Sardegna l'art. 48 della legge regione 17 agosto  1978,
n. 51, secondo cui «Le spese sostenute  per  la  propria  difesa  dal
dipendente  dichiarato  esente  da  responsabilita'  in  un  giudizio
civile, amministrativo  o  penale  promosso  in  relazione  alla  sua
qualita' di  impiegato  [...]  sono  rimborsati  dall'Amministrazione
regionale [...]», tutela poi  estesa  agli  amministratori  regionali
dall'art. 51 della legge regionale 8 marzo 1997, n. 8), ci si pose il
problema, in riferimento ai giudizi di responsabilita' amministrativa
celebrati dinanzi alla Corte dei conti, se la competenza a  stabilire
l'an e il quantum di tale eventuale rimborso  competesse  al  giudice
contabile ovvero all'amministrazione interessata. 
    9. Il primo intervento normativo di rilievo, apparentemente volto
ad attribuire al giudice contabile la competenza in materia,  avvenne
ad opera dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996,
n. 543, convertito, con modificazioni, nella  legge  n.  639  del  20
dicembre 1996. Tale norma, connotata  da  una  formulazione  ambigua,
disponeva che «In caso di  definitivo  proscioglimento  ai  sensi  di
quanto previsto dal comma 1 dell'art. 1 della legge 14 gennaio  1994,
n. 20, come modificato dal comma 1 del presente  articolo,  le  spese
legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte  dei
conti sono rimborsate dall'amministrazione di appartenenza». 
    10. Ad aumentare le  incertezze  interpretative  contribui'  poco
dopo l'art. 18, comma 1, primo periodo, del  decreto-legge  25  marzo
1997, n. 67, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  23  maggio
1997, n. 135, secondo cui «Le spese legali  relative  a  giudizi  per
responsabilita'  civile,  penale  e  amministrativa,   promossi   nei
confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza  di
fatti  ed  atti  connessi  con  l'espletamento  del  servizio  o  con
l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi  con  sentenza  o
provvedimento che escluda la loro  responsabilita',  sono  rimborsate
dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui
dall'Avvocatura dello Stato». 
    11. Preso atto di  questa  anomala  sovrapposizione  di  ruoli  e
procedure, in cui era espressamente prevista (anche  se  solo  per  i
dipendenti  statali)   la   necessita'   per   l'amministrazione   di
appartenenza  di  richiedere   un   previo   parere   di   congruita'
all'Avvocatura  dello  Stato  circa  le  eventuali  spese  legali  da
rimborsare al dipendente, la giurisprudenza  contabile  maggioritaria
escluse che potesse rientrare nella  giurisdizione  della  Corte  dei
conti la liquidazione delle spese  legali  in  favore  del  convenuto
prosciolto (si  vedano,  ex  multis,  Terza  Sezione  giur.  centrale
d'appello, sentenza. n. 270 del 17 novembre 1999; Prima Sezione giur.
centrale d'appello, sentenze n. 235 del 10 luglio 2002, n.  3  dell'8
gennaio 2003, n. 153 del 6 maggio 2004 e n. 329 del 14 ottobre 2005). 
    A favore  di  una  tale  interpretazione  veniva  in  particolare
evidenziato che «ne' l'art. 3,  comma  2-bis,  del  decreto-legge  n.
543/1996 ne' i soprarichiamati articoli 19 del decreto del Presidente
della Repubblica n.  509/1979  e  18  del  decreto-legge  n.  67/1997
impongono al giudice che assolva  il  dipendente  o  l'amministratore
pubblico di  liquidare  d'ufficio  a  suo  favore  le  spese  legali,
facendone per di piu' carico ad un soggetto che non e'  presente  nel
giudizio» (Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 3/2003
cit.). 
    Inoltre, venne altresi' osservato che, «poiche' l'amministrazione
e' obbligata a rimborsare in conformita'  al  parere  dell'Avvocatura
dello Stato, la pronuncia, al riguardo, e' del tutto irrilevante,  ai
fini pratici; puo', al piu', essere indicativa, nei  limiti  del  suo
autonomo apprezzamento, per l'Avvocatura dello Stato, creando, pero',
situazioni insostenibili da parte dell'amministrazione,  in  presenza
di un giudicato da eseguire e di un  parere,  al  quale  conformarsi,
divergente» (Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenza  n.  26
del 27 gennaio 2006). 
    12.  Un  secondo  orientamento,  peraltro  minoritario,  affermo'
invece che in applicazione degli articoli 91 e 92 codice di procedura
civile il giudice  contabile  aveva  il  dovere  di  «statuire  sulle
spese», senza poter «escluderne alcuna» (Terza Sezione giur. centrale
d'appello, sentenza n. 40 del 2002). Questo secondo indirizzo  trovo'
conforto nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 17014
del 2003 la quale, richiamato il rinvio alle  norme  della  procedura
civile previsto dall'art. 26 del regio decreto  n.  1038/1933,  aveva
fatto riferimento al principio secondo il quale «la statuizione delle
spese del giudizio contabile e' oggetto della sentenza ed  esse  sono
poste a carico della parte soccombente o sono compensate». 
    13. A dirimere il predetto  contrasto  interpretativo  intervenne
l'art. 10-bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203,
nel testo convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005,
n. 248, secondo cui «Le disposizioni dell'art. 3,  comma  2-bis,  del
decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni,
dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'art. 18,  comma  1,  del
decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che  il
giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito,  e  con  la
sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con  le  modalita'  di
cui all'art. 91 del codice di procedura civile,  liquida  l'ammontare
degli onorari e diritti spettanti alla difesa del  prosciolto,  fermo
restando il parere  di  congruita'  dell'Avvocatura  dello  Stato  da
esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all'amministrazione di
appartenenza». 
    14. Tale intervento legislativo consenti' di fugare  ogni  dubbio
sui limiti di applicazione delle norme interpretate, chiarendo che  -
ai fini del previsto rimborso delle spese legali  nei  confronti  del
soggetto prosciolto dalla imputazione di responsabilita'  -  spettava
alla Corte dei conti liquidarle e specificando, inoltre,  che  poteva
darsi luogo al rimborso delle stesse solo in caso di «proscioglimento
nel merito» (Seconda Sezione giur. centrale  d'appello,  sentenze  n.
139 del 6 aprile 2006 e n. 185 del 5 giugno 2007). 
    15.  Fissato  in  tal  modo  il  perimetro  della   giurisdizione
contabile, facendovi rientrare la  pronuncia  di  liquidazione  delle
spese legali in favore del convenuto  prosciolto,  la  giurisprudenza
successiva   si   concentro'   sul   significato   della    locuzione
«proscioglimento nel merito» (posto che la norma interpretata parlava
di «proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell'art.
1 della 1egge n.  20/1994»)  ed  escluse  dal  novero  dei  possibili
beneficiari dei rimborsi  delle  spese  legali  i  convenuti  la  cui
condanna fosse stata negata dal giudice in accoglimento di  una  mera
eccezione pregiudiziale di rito  o  preliminare  di  merito  (Sezioni
riunite in sede giurisdizionale, sentenza n. 3 del  27  giugno  2008,
Sezione giur. Basilicata, sentenza  n.  231  del  18  dicembre  2006;
Sezione giur. Lombardia, sentenze n. 449 del 18 settembre 2007  e  n.
136 del 6 marzo 2008; Sezione giur. Piemonte,  sent.  n.  40  del  21
febbraio 2007; Sezione giur. Campania, sent.  n.  425  del  21  marzo
2006). 
    16. Inoltre, ritenendo possibile disporre, per  «giusti  motivi»,
l'eventuale compensazione delle spese ai sensi dell'art. 92, comma 2,
codice di procedura civile, la giurisprudenza fece  ampio  ricorso  a
tale istituto al cospetto di condotte dei convenuti  prosciolti  che,
pur non essendo caratterizzate da colpa grave,  fossero  cionondimeno
censurabili sotto il profilo della colpa lieve. 
    A tale conclusione, infatti, era possibile pervenire in base alla
considerazione che le spese di giudizio  dovevano  essere  addebitate
all'amministrazione pubblica «solo  se  [fosse  stato]  assolutamente
escluso il comportamento antigiuridico del soggetto (con  correlativa
ingiustizia del danno), mentre la ripartizione dell'onere in discorso
[doveva essere] rimessa al prudente  apprezzamento  del  giudice,  ai
sensi della normativa generale di cui  agli  articoli  91  e  92  del
codice di procedura civile, nei diversi casi: assoluzione in rito,  o
per prescrizione, o ancora per colpa lieve  e  non  grave  (cfr.,  in
terminis, Corte dei conti, III^ app., n. 40  del  18  febbraio  2002;
Sezione giurisdizionale Campania, n. 19 del 24 febbraio 2001; Sezione
giurisdizionale Val d'Aosta, n. 15 del 25 giugno 2001 e n. 27  del  2
luglio 2002; Sezione giurisdizionale Marche,  n.  196  del  10  marzo
2003; Sezione giurisdizionale Liguria, n. 1471 del 3 dicembre 2005).»
(Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenze n. 14 del 9 gennaio
2008, n. 88 del 18 febbraio 2008 e n. 179 del 17 aprile 2008; Seconda
Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 446  del  14  settembre
2009; Sezione giur. Lazio, sentenze n. 945 del 20 giugno  2007  e  n.
1332 del 13 settembre 2007; Sezione giur. Lombardia, sentenze n.  428
del 20 giugno 2008, n. 540 del 4 agosto 2008, n. 835 del 25  novembre
2008, n. 494 del 10 luglio 2009  e  n.  592  del  4  settembre  2009;
Sezione giur. Basilicata, sentenze n. 89 del 1° aprile  2008,  n.  95
del 23 marzo 2009  e  n.  161  del  18  giugno  2009;  Sezione  giur.
Sardegna, sentenza n. 777 del 12 maggio 2009; Sezione giurisdizionale
Trento, sentenza n. 27 del 12 maggio  2008;  Sezione  giur.  Bolzano,
sentenze n. 47 del 15 dicembre 2008 e n. 29 del 19 febbraio 2009). 
    17. Un nuovo tassello, diretto a restringere la  discrezionalita'
del giudice rispetto alla possibilita' di derogare al principio della
soccombenza, venne poi posto, in materia di liquidazione delle  spese
processuali, dall'art. 17, comma 30-quinquies, del  decreto-legge  1°
luglio 2009, n. 78, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  3
agosto 2009, n. 102, che ando' a  modificare  la  gia'  citata  norma
interpretativa di cui all'art. 10-bis, comma 10, del decreto-legge n.
203 del 2005, interpolandone il testo con la frase «non puo' disporre
la compensazione delle spese del giudizio» in modo da farne risultare
le seguente nuova formulazione: «Le disposizioni dell'art.  3,  comma
2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996,  n.  543,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'art.  18,
comma 1, del decreto-legge 25 marzo  1997,  n.  67,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n.  135,  si  interpretano
nel senso che il giudice contabile, in caso  di  proscioglimento  nel
merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi  e  con
le modalita' di cui all'art. 91 del codice di procedura  civile,  non
puo' disporre la compensazione delle spese  del  giudizio  e  liquida
l'ammontare  degli  onorari  e  diritti  spettanti  alla  difesa  del
prosciolto, fermo restando il parere  di  congruita'  dell'Avvocatura
dello  Stato  da  esprimere  sulle  richieste  di  rimborso  avanzate
all'amministrazione di appartenenza». 
    18. Tale  modifica  legislativa  determino'  il  formarsi  di  un
orientamento  giurisprudenziale  che  recepi'  le   indicazioni   del
legislatore  del  2009  nel  senso  di  ritenere  «ora  espressamente
inibita, a questo Giudice, la compensazione delle spese  in  tutti  i
casi  di  proscioglimento  nel   merito,   senza   distinzioni,   con
conseguente necessita' di provvedere alla  liquidazione  delle  spese
legali a favore degli  interessati»  (Prima  Sezione  giur.  centrale
d'appello, sentenza n. 415 del 16 giugno 2010; Sezione giur.  Veneto,
sentenza n. 428 del 18 giugno 2010; Sezione giur. Puglia, sentenza n.
746 del 22 novembre 2010; Sezione giur. Sicilia, sentenza n. 983  del
15 marzo 2011) e, dunque, anche in  caso  di  accertata  mancanza  di
colpa grave (Sezione giur. Piemonte, sentenza n. 133  del  19  luglio
2013; Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 366 dell'11
giugno 2013). 
    Muovendo, infatti, dalla considerazione che la regolazione  delle
spese  nel  giudizio  contabile  fosse  stabilita  in  via  esclusiva
dall'art. 3, comma 2-bis, della legge n.  639/1999,  si  sostenne  la
tesi che una simile regolamentazione «non consente l'applicazione nel
giudizio  di  responsabilita'  erariale  della  "compensazione  delle
spese",  ex  art.  92  cpc,  espressamente  esclusa  -  d'altronde  -
dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n.  78/2009,  nel
testo introdotto dalla legge n. 102/2009. [...] Una  volta  accertata
la carenza della colpa  grave,  l'assoluzione  ha  il  valore  di  un
"proscioglimento  (pieno)  nel  merito",  idoneo  ad   escludere   un
qualsivoglia  "conflitto  di  interessi"  con  l'Amministrazione   di
appartenenza (ex SS. RR.  n.  3-QM/2008),  o  -  altrimenti  detto  -
equivale ad un "proscioglimento ai sensi (del) comma  1  dell'art.  1
della legge n. 20/1994" (ex SS.RR.  n.  22-A/1998).»  (Terza  Sezione
giur. centrale d'appello, sentenza n. 559 del 13 luglio 2011). 
    19. Tuttavia, in relazione proprio  agli  effetti  dell'art.  17,
comma 30-quinquies, del decreto-legge n. 78/2009, si formo' anche  un
secondo contrapposto orientamento del giudice  contabile  secondo  il
quale «la novella legislativa non ha  modificato  il  presupposto  in
base al quale sorge l'obbligo di  non  procedere  alla  compensazione
delle spese e di liquidare l'ammontare delle spese legali e cioe'  la
sussistenza di un "proscioglimento nel merito", che pero' deve essere
"pieno", nel senso che non risulti accertato, come nella fattispecie,
un comportamento colposo dei soggetti convenuti. In tal senso  e'  la
giurisprudenza di questa Corte, la quale ha  escluso  la  sussistenza
dell'indicato   presupposto   anche   in   altri   casi,   come   nel
proscioglimento in rito o per prescrizione (sentenze Sez. III app. n.
40/2002; Sez. I app. n. 88/2008). In tali casi permane il  potere  di
compensare le spese tra  le  parti,  in  presenza  di  giusti  motivi
«esplicitamente indicati nella motivazione" (articoli 91 e 92,  comma
2, codice di procedura civile,  nel  testo  sostituito  dall'art.  2,
comma 1, lettera a, legge 28 dicembre 2005, n. 263)»  (Sezione  giur.
Lombardia, sentenze n. 767 del  16  novembre  2009,  n.  843  del  17
dicembre 2009, n. 16 del 27 gennaio 2010,  n.  676  del  25  novembre
2010; Sezione giur. Campania, sentenze n. 526 del 26 marzo  2010,  n.
1707 del 17 dicembre 2012; Sezione giur. Bolzano, sentenze n.  7  del
19 marzo 2010 e n. 26 del 19 novembre 2010). 
    20. Ad  avviso  di  tale  indirizzo  interpretativo,  dunque,  il
«proscioglimento nel merito», che poteva dare luogo alla liquidazione
delle spese in  favore  del  convenuto  prosciolto  (ossia  l'an  del
rimborso), doveva  essere  necessariamente  «pieno»,  ossia  tale  da
escludere qualsiasi responsabilita' in capo al  convenuto  in  ordine
alla  decisione   di   avviare   un   processo   di   responsabilita'
amministrativa nei suoi confronti, per cui «l'avvenuto riconoscimento
della colpa lieve costitui[va] quindi un valido  elemento  per  poter
disporre la  compensazione  delle  spese,  trattandosi  di  grave  ed
eccezionale ragione esplicitamente indicata in motivazione (art.  92,
comma 2, c.p.c.)» (Sezione giur. Friuli-Venzia Giulia, sentenza n. 71
del  14  aprile  2010).  In  altre  parole,  continuava   a   trovare
applicazione il principio, gia' affermatosi  in  precedenza,  secondo
cui «le spese di giudizio sono  addebitate  "ope  legis"  alla  parte
pubblica,  in  conseguenza  della  suddetta  norma,  solo  se   viene
assolutamente escluso il  comportamento  antigiuridico  del  soggetto
(con correlativa  ingiustizia  del  danno),  mentre  la  ripartizione
dell'onere in discorso  e'  rimessa  al  prudente  apprezzamento  del
Giudice, ai sensi della normativa generale di cui agli articoli 91  e
92 del codice di procedura civile, nei diversi casi:  assoluzione  in
rito, o per prescrizione, o ancora  per  colpa  lieve  e  non  grave»
(Sezione giur. Sardegna,  sentenza  n.  519  del  16  novembre  2012;
contra, pero', Sezione giur. Sardegna, sentenza n. 569 del 4 dicembre
2012). 
    21. A sostegno di tale orientamento  si  osservo',  inoltre,  che
«una diversa interpretazione, nel senso di imporre  al  solo  giudice
contabile, a differenza di altri giudici, il divieto di compensazione
delle spese in ogni caso di proscioglimento, senza  alcun  potere  di
valutare, da una parte le circostanze di diritto e di fatto che hanno
portato a quella particolare species di proscioglimento,  nell'ambito
del  piu'  ampio  genus,  dall'altra  la  condotta   dei   convenuti,
porterebbe a   concludere   per   una    presumibile,    macroscopica
illegittimita' costituzionale della norma,  sia  per  violazione  dei
principi  di  uguaglianza,  ponendo  il  giudice  contabile  in   una
ingiustificata, deteriore situazione di limitazione dei propri poteri
decisori, a differenza di altri  giudici,  sia  perche'  verrebbe  ad
interferire irrazionalmente  nei  poteri  giurisdizionali  di  questa
Corte alla quale verrebbe inibito di  valutare  tutti  gli  elementi,
soggettivi ed oggettivi, della controversia, ai fini della  decisione
sulle spese,  che  costituisce  parte  integrante  della  statuizione
giurisdizionale» (Sezione giur. Lombardia, sentenza  n.  767  del  16
novembre 2009). 
    22.   Nel   bel   mezzo    del    sopra    descritto    conflitto
giurisprudenziale, innestato dall'art. 17,  comma  30-quinquies,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, si inseri', a questo punto,  una
decisione della Corte  costituzionale  che  sembro',  implicitamente,
portare acqua alle tesi sostenute dal  secondo  dei  sopra  esaminati
indirizzi interpretativi della Corte dei conti. 
    In  particolare,  il  Giudice  delle  leggi  venne   chiamato   a
pronunciarsi sulla conformita' a Costituzione dell'art. 12, comma  2,
della legge della Provincia autonoma di Bolzano 17 gennaio  2011,  n.
1, che aveva modificato l'art. 6, comma 2, della legge provinciale n.
16  del  2001,  prevedendo  la  possibilita',  per  amministratori  e
dipendenti provinciali, di vedersi rimborsare le spese sostenute  per
la propria difesa in giudizi di responsabilita'  amministrativa,  nei
quali fossero rimasti coinvolti per fatti o cause di servizio, «anche
in caso di accertata colpa lieve e compensazione delle  spese  per  i
procedimenti innanzi alla Corte  dei  conti»,  ove  ritenuto  congruo
dall'Avvocatura della Provincia. 
    Senza  mostrare  troppi  tentennamenti  al  riguardo,  la   Corte
costituzionale, con la sentenza n.  19  del  2014,  dichiaro'  dunque
l'illegittimita' costituzionale della norma provinciale impugnata, in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,  perche',
«confliggendo con l'ordinamento della giurisdizione  contabile  nella
parte in  cui  autorizza,  in  caso  di  accertata  colpa  lieve,  la
disapplicazione di un'eventuale statuizione  di  compensazione  delle
spese processuali», la stessa aveva inciso sulla materia «ordinamento
civile» e «giustizia  amministrativa»,  disciplinando,  «peraltro  in
senso difforme dalla normativa statale, il  regime  delle  condizioni
alla presenza delle quali le  spese  legali  sostenute  dai  soggetti
sottoposti  al  giudizio  della  Corte  dei  conti  sono   rimborsate
dall'amministrazione  di  appartenenza,  eccedendo  dalle  competenze
statutarie». 
    23. In altre parole, con una pronuncia di sicuro rilievo  per  la
materia che ci occupa, la Corte costituzionale  riconobbe,  in  primo
luogo, come la fissazione dell'an e del quantum delle eventuali spese
legali da rimborsare ai  convenuti  prosciolti  nei  limiti  previsti
dalle norme legislative e contrattuali di settore (ossia  «il  regime
delle condizioni alla presenza delle quali le spese legali  sostenute
dai soggetti sottoposti  al  giudizio  della  Corte  dei  conti  sono
rimborsate dall'amministrazione di appartenenza») rientrasse, a pieno
titolo,  tra  i  compiti  elettivi  del  giudice  contabile,   ovvero
nell'«ordinamento della giurisdizione contabile», appartenente ad  un
ambito materiale di competenza esclusiva dello Stato  (la  cosiddetta
«giustizia amministrativa»). 
    A  tale  proposito,  appare  difficile  non  cogliere   in   tali
autorevoli conclusioni un riflesso del principio di diritto affermato
solo un anno prima dalla sentenza n. 19195 del 2013  della  Corte  di
cassazione, Sezione lavoro, secondo cui,  dopo  l'entrata  in  vigore
dell'art. 10-bis, comma decimo, del decreto-legge 30  settembre  2005
n. 203, convertito in legge 2 dicembre  2005,  n.  248,  in  caso  di
proscioglimento nel merito del convenuto  in  giudizio  innanzi  alla
Corte  dei  conti   per   responsabilita'   amministrativo-contabile,
spettava esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definiva
il giudizio, liquidare - ai sensi e con le modalita' di' cui all'art.
91 cod. proc. civ. ed a carico dell'amministrazione di appartenenza -
l'ammontare delle spese di difesa del  prosciolto,  senza  successiva
possibilita'  per  quest'ultimo  di  chiedere   in   separata   sede,
all'amministrazione medesima, una nuova liquidazione di dette  spese,
neppure in via integrativa della  liquidazione  operata  dal  giudice
contabile  (contra,  invece,  Consiglio  di  Stato,  Sezione   Terza,
sentenza n. 3779 del 28 luglio 2017). 
    24. In secondo luogo, la decisione del Giudice delle  leggi,  nel
dichiarare incostituzionale una norma provinciale emanata nel gennaio
2011  al   dichiarato   scopo   di   permettere   all'amministrazione
provinciale, in sede di rimborso delle spese legali, di  disapplicare
un'eventuale statuizione di  compensazione  delle  spese  processuali
disposta dal giudice contabile «in caso di  accertata  colpa  lieve»,
implicitamente ammetteva come  nell'ordinamento  della  giurisdizione
contabile, in caso di proscioglimento del convenuto  nel  merito  (ad
esempio,  per  mancanza  di  colpa  grave),  fosse  ancora  possibile
pervenire ad una statuizione di compensazione delle spese  nonostante
il piu' restrittivo dettato dell'art.  17,  comma  30-quinquies,  del
decreto-legge n. 78/2009, convertito nella legge n. 102 del 2009. 
    Di  diverso  avviso,  invece,  si  era  mostrata  la   Corte   di
cassazione, in sintonia  con  il  piu'  rigoroso  orientamento  della
giurisdizione contabile, nella richiamata sentenza n. 19195 del 2013,
secondo cui «la determinazione delle  spese  legali e'  riservata  al
giudice, che in sentenza ne  stabilisce  (ora  soltanto)  il  quantum
(essendo venuta meno la possibilita' di compensarle, dopo la  novella
di cui al decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78,  art.  17,  comma
30-quinquies)». 
    25. In ogni caso, va sottolineato come anche successivamente alla
novella di cui al decreto-legge 1° luglio  2009,  n.  78,  nel  testo
risultante dalla conversione in legge, un nutrito schieramento  della
giurisprudenza  contabile  continuasse  a  fare  ampio  ricorso  alla
clausola delle «gravi ed eccezionali ragioni», di  cui  all'art.  92,
comma 2, del codice  di  procedura  civile  (nella  piu'  restrittiva
formulazione della norma voluta dalla legge 18 giugno 2009,  n.  69),
ovvero a quella tralatizia dei «giusti motivi», per giustificare,  in
caso di proscioglimento  nel  merito,  una  eventuale  compensazione,
parziale o totale, delle spese da liquidare in favore  dei  convenuti
prosciolti a fronte di comportamenti ritenuti non del tutto immuni da
censure e  comunque  tali  da  giustificare  la  verifica  giudiziale
(Sezione giur. Campania, sentenze n. 157 dell'11  febbraio  2010,  n.
417 dell'11 marzo 2010, n. 526 del 26  marzo  2010,  n.  823  del  10
maggio 2010, n. 1490 del 13 agosto 2010, n. 1130 del 15 giugno  2011,
n. 60 del 18 gennaio 2012, n. 453 del 9 aprile 2013, n.  494  del  12
aprile 2013, n. 1664 dell'11 dicembre 2013, n. 279 del 17 marzo 2014,
n. 410 del 23 aprile 2014, n. 446 del 7 maggio  2014;  Prima  Sezione
giur. centrale d'appello, sentenze n. 62 del 27 gennaio 2010 e n. 104
del  19  febbraio  2010;  Terza  Sezione  giur.  centrale  d'appello,
sentenze n. 75 del 12 febbraio 2010 e n. 74  del  14  febbraio  2012;
Sezione giur. Friuli-Venezia Giulia, sentenze n. 128 del  6  dicembre
2012, n. 56 del 13 settembre 2013, n. 72 del 10 ottobre 2013 e n. 112
dell'11 dicembre 2013; Sezione giur. Liguria, sentenza n. 229 del  27
dicembre 2013; Sezione giur. Lazio, sentenze n. 1355 del 21 settembre
2011, n. 96 del 26 gennaio 2012  e  n.  193  del  13  febbraio  2012;
Sezione giur. Emilia-Romagna, sentenza n. 151 del 14  novembre  2013;
Sezione giur. Trento, sentenze n. 7 del 20 febbraio 2013 e n. 11  del
16 aprile 2014; contra, pero', Sezione giur. Sicilia, sentenze n. 983
del 15 marzo 2011, n. 2094 del  26  maggio  2011  e  n.  548  del  16
febbraio 2012; Sezione giur. Puglia, sentenza n. 746 del 22  novembre
2010; Sezione giur. Lombardia, sentenze n. 124 del 22 febbraio  2011,
n. 228 del 20 aprile 2011 e n. 1 del 2 gennaio  2012;  Sezione  giur.
Veneto, sentenze n. 347 del 20 maggio 2010, n. 180 del 21 marzo 2012,
n. 461 del 5 luglio 2012 e n. 68 del 5 marzo  2013,  secondo  cui  la
«determinazione  delle   spese   processuali   rientra   nel   potere
discrezionale  (in  questo  caso  limitato)  riservato   al   Giudice
contabile, che, alla luce della recente normativa, deve liquidarle in
favore del/dei convenuti assolti  nel  merito,  con  possibilita'  di
poter interloquire solo  in  ordine  al  quantum,  non  potendo  piu'
pervenire all'esclusione del rimborso,  attraverso  l'istituto  della
compensazione, che nell'ultima configurazione dell'art. 92 codice  di
procedura civile (di cui alla novella 18 giugno  2009,  n.  69)  puo'
pronunciarsi "Se vi e' soccombenza reciproca o concorrono altre gravi
ed    eccezionali    ragioni,    esplicitamente    indicate     nella
motivazione..."»). 
    26. In tale contesto, non privo di contrasti e contraddizioni, il
7 ottobre 2016 e' entrato in vigore  il  nuovo  codice  di  giustizia
contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n.  174,
che all'art. 31 ha introdotto talune innovazioni per quanto  riguarda
la disciplina della liquidazione delle spese processuali da parte del
giudice (sul carattere innovativo della disciplina  recata  dall'art.
31 c.g.c., si veda Sezione giur. Sardegna,  sentenza  n.  161  del  3
luglio 2018). Inoltre, alla luce della ampiezza e  completezza  della
nuova disposizione codicistica in materia di regolazione delle  spese
processuali, l'art. 31 c.g.c. ha  di  fatto  abrogato  la  precedente
disciplina dettata dall'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 543
del  1996,  convertito  nella  legge  n.  639  del  1996,  come   poi
interpretata  e   integrata   dall'art.   10-bis,   comma   10,   del
decreto-legge n. 203 del 2005, convertito  nella  legge  n.  248  del
2005, e dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n. 78 del
2009, convertito nella legge n. 102 del 2009. 
    Infatti, benche' tali ultime disposizioni non  siano  tra  quelle
espressamente elencate dall'art. 4 (Abrogazioni) dell'allegato  n.  3
al nuovo codice di giustizia contabile, titolato «Norme transitorie e
abrogazioni», non vi e' dubbio che l'art. 31 c.g.c. «regola  l'intera
materia  gia'  regolata  dalla  legge  anteriore»,  con   conseguente
abrogazione di quest'ultima ai sensi dell'art. 15  delle  diposizioni
sulla legge in generale, approvate con regio decreto 16  marzo  1942,
n. 262. 
    Del resto  la  stessa  legge  delega,  per  evidenti  ragioni  di
semplificazione normativa, aveva stabilito che  il  nuovo  codice  di
giustizia contabile dovesse «abrogare esplicitamente le  disposizioni
normative oggetto del riordino e quelle con esso  incompatibili»,  ma
aveva  altresi'  «fatta  salva  l'applicazione  dell'art.  15   delle
disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile» (art.
20, comma 3, lettera b, della legge n. 124 del 2015). 
    27.  In  linea   generale,   come   ricordato   nella   relazione
illustrativa al  decreto  legislativo  n.  174  del  2016,  le  norme
relative alle parti e difensori, tra  cui  quelle  sulla  regolazione
delle  spese  processuali,  «richiamano  le   corrispondenti   regole
processuali civili». 
    In particolare, sulla falsariga di quanto previsto dall'art.  91,
comma 1, del codice di procedura civile, anche l'art.  31  c.g.c.  ha
fondato la disciplina della regolazione delle spese  processuali  sul
principio cardine della soccombenza, in forza del quale «Il  giudice,
con la sentenza che chiude il processo davanti  a  lui,  condanna  la
parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e
ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa»  (art.  31,
comma 1, c.g.c.). 
    Tale principio e' stato addirittura rafforzato  dalla  previsione
di una responsabilita' aggravata,  atteso  che  «Il  giudice,  quando
pronuncia sulle spese, puo' altresi' condannare la parte  soccombente
al pagamento in favore dell'altra parte, o se del caso  dello  Stato,
di una somma equitativamente  determinata,  quando  la  decisione  e'
fondata  su  ragioni  manifeste  o   orientamenti   giurisprudenziali
consolidati» (art. 31, comma 4, c.g.c.). 
    28. Con specifico  riferimento  al  giudizio  di  responsabilita'
amministrativa e  nell'evidente  ottica  di  individuare  criteri  di
maggior rigore nell'applicazione  del  principio  della  soccombenza,
limitando contestualmente il  potere  discrezionale  del  giudice  di
disporre la compensazione delle spese, il legislatore delegato ha poi
inserito nell'art. 31 c.g.c. i commi 2 e 3, che cosi' recitano: 
        «2.  Con  la  sentenza   che   esclude   definitivamente   la
responsabilita' amministrativa per accertata insussistenza del danno,
ovvero, della violazione  di  obblighi  di  servizio,  del  nesso  di
causalita', del dolo  o  della  colpa  grave,  il  giudice  non  puo'
disporre la compensazione delle  spese  del  giudizio  e  liquida,  a
carico  dell'amministrazione  di  appartenenza,   l'ammontare   degli
onorari e dei diritti spettanti alla difesa. 
        3.  Il  Giudice  puo'  compensare  le  spese  tra  le  parti,
parzialmente o per intero, quando vi e' soccombenza reciproca  ovvero
nel caso di assoluta novita' della  questione  trattata  o  mutamento
della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ovvero quando
definisce il giudizio decidendo soltanto  questioni  pregiudiziali  o
preliminari.». 
    29. Passando ad esaminare le due norme nel dettaglio,  e'  facile
rilevare che con l'art.  31,  comma  2,  c.g.c.  e'  stato  di  fatto
riproposto il divieto  di  compensazione  delle  spese  a  suo  tempo
introdotto dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n.  78
del 2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 102 del 2009,
ma con una sostanziale novita'. Infatti, la  locuzione  «in  caso  di
proscioglimento nel merito» e' stata  sostituita  da  una  previsione
assai piu' specifica, oltre  che  piu'  stringente,  secondo  cui  il
divieto in parola scatta «Con la sentenza che esclude definitivamente
la responsabilita' amministrativa  per  accertata  insussistenza  del
danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di
causalita', del dolo o della colpa grave». 
    In  conseguenza  di  tale  modifica,  per   innescare,   in   via
automatica, il divieto di compensazione delle spese del  giudizio  e'
sufficiente che la sentenza accerti l'insussistenza di uno  qualsiasi
dei tipici elementi costitutivi della responsabilita'  amministrativa
(danno, nesso di causalita',  dolo  o  colpa  grave),  impedendo,  di
fatto, che il principio  della  soccombenza  possa  essere  eluso  in
mancanza di un  proscioglimento  «pieno»,  ossia  tale  da  escludere
qualsiasi responsabilita' in capo al convenuto prosciolto  in  ordine
alla  decisione  di  avviare  un  procedimento   di   responsabilita'
amministrativa nei suoi confronti (v. supra sub 20). 
    30. La norma di cui all'art.  31,  comma  3,  c.g.c.,  non  desta
particolari problemi interpretativi,  trattandosi  della  sostanziale
trasposizione dell'art. 92, comma  2,  codice  di  procedura  civile,
nella formulazione risultante dall'art. 13, comma 1, decreto-legge 12
settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10
novembre 2014, n. 162; con la conseguente eliminazione della clausola
generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» e con la sola aggiunta,
rispetto al testo del codice di  rito  civile,  della  ipotesi  della
definizione del giudizio «decidendo soltanto questioni  pregiudiziali
o preliminari». 
    31. Con la norma di chiusura di cui all'art. 31, comma 6, c.g.c.,
il legislatore delegato ha operato infine  un  rinvio  agli  articoli
«92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura  civile»,  ma  solo  nei
limiti  di  quanto  «non  espressamente   disciplinato   dai   commi»
precedenti. 
c) Sulle norme impugnate. 
    32. Le ragioni che inducono il collegio ad individuare nei  commi
2 e 3 dell'art. 31 del codice di giustizia contabile,  congiuntamente
e non in via alternativa o subordinata tra  loro,  le  norme  che  si
intende  sottoporre  a  scrutinio  di   costituzionalita'   risiedono
principalmente nell'insufficienza, ai fini che rilevano nel  giudizio
a quo, di una decisione che espunga dall'ordinamento solo  una  delle
due norme indubbiate. 
    33.   Invero,   laddove   venisse   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale  del  solo  espresso  divieto,  imposto   al   giudice
contabile dall'art. 31, comma 2, c.g.c., di compensare le  spese  del
giudizio in caso di «accertata insussistenza del danno, ovvero, della
violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo
o  della  colpa  grave»,  permarrebbe  comunque  l'impossibilita'  di
compensare le  spese  del  giudizio  in  ipotesi  diverse  da  quelle
tassativamente indicate dall'art. 31, comma 3,  c.g.c.  («soccombenza
reciproca»; «assoluta novita' della questione  trattata»;  «mutamento
della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti»; «definizione
del   giudizio   decidendo   soltanto   questioni   pregiudiziali   o
preliminari»). 
    34.  Viceversa,  qualora  venisse   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale della sola norma  contenuta  nell'art.  31,  comma  3,
c.g.c.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il  giudice  possa
compensare le spese del giudizio, parzialmente o  per  intero,  anche
qualora  sussistano,   all'infuori   delle   ipotesi   tassativamente
nominate, «altre analoghe gravi ed eccezionali  ragioni»,  resterebbe
pur sempre in vita l'espresso divieto di  compensazione  delle  spese
del giudizio, recato dall'art.  31,  comma  2,  c.g.c.,  in  caso  di
«accertata insussistenza  del  danno,  ovvero,  della  violazione  di
obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa
grave». 
d) Sulla rilevanza della questione. 
    35. Sotto il profilo della rilevanza della questione, il collegio
osserva, innanzitutto, che questa non  puo'  essere  esclusa  per  il
fatto che la sezione, con sentenza n. 1046 del 2018,  abbia  definito
il merito della controversia, sospendo ogni decisione, sino all'esito
del giudizio di legittimita'  costituzionale,  solo  in  ordine  alla
regolazione delle spese processuali. 
    36. Invero, come osservato al riguardo dalla Corte costituzionale
con sentenza n. 77  del  2018,  il  «legame  di  accessorieta'  della
pronuncia sulle spese alla sentenza che decida tutte le questioni  di
merito non e' [...] indissolubile e,  in  particolare,  e'  recessivo
allorche'  il  giudice  [...]  abbia  un  dubbio  non  manifestamente
infondato in ordine soltanto alla disposizione che governa  le  spese
di lite e di cui egli debba fare applicazione. 
    Il principio della ragionevole durata  del  processo  (art.  111,
secondo comma, Cost.), coniugato con  il  favor  per  l'incidente  di
legittimita' costituzionale - il quale  preclude  che  alcun  giudice
possa fare applicazione  di  una  disposizione  di  legge  della  cui
legittimita' costituzionale dubiti - suggerisce che non sia ritardata
la decisione del merito della causa rispondendo  cio'  all'"interesse
apprezzabile" delle parti  alla  "sollecita  definizione"  di  quanto
possa  essere  deciso  senza  fare  applicazione  della  disposizione
indubbiata (ex art. 277, secondo comma, citato)». 
    Tali considerazioni  possono  essere  estese,  mutatis  mutandis,
anche al procedimento di responsabilita' amministrativa,  laddove  il
processo contabile e' espressamente chiamato ad  attuare  i  principi
del giusto processo,  previsto  dall'art.  111,  primo  comma,  della
Costituzione, e il «giudice contabile e le  parti  cooperano  per  la
realizzazione della ragionevole durata del processo» (art. 4 c.g.c.). 
    37. Cio' premesso, sempre in punto di rilevanza della  questione,
il collegio  osserva  come  l'art.  31,  comma  2,  c.g.c.  proibisca
espressamente al giudice di compensare le spese del giudizio in  caso
di «accertata insussistenza del danno, ovvero,  della  violazione  di
obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa
grave» e, dunque, anche in caso di colpa lieve. 
    Di conseguenza, nel  caso  di  specie,  essendosi  accertata  nel
giudizio a quo l'insussistenza della «colpa grave»  in  capo  ai  tre
convenuti, al collegio e'  in  ogni  caso  preclusa  dalla  norma  la
possibilita' di disporre la compensazione  totale  o  parziale  delle
spese del giudizio, pur a fronte di una condotta comunque censurabile
da  parte  loro  che,  ad  avviso  del   collegio,   ha   sicuramente
giustificato l'esercizio  dell'azione  di  responsabilita'  nei  loro
confronti. 
    Al contrario,  anche  in  una  simile  circostanza,  il  collegio
sarebbe comunque tenuto a liquidare, «a  carico  dell'amministrazione
di appartenenza, l'ammontare degli onorari e  dei  diritti  spettanti
alla difesa». 
    Al collegio e'  peraltro  impedita  una  diversa  interpretazione
della  norma,  volta,  ad   esempio,   a   pretendere   -   ai   fini
dell'operativita'  del  divieto  -  un  proscioglimento  «pieno»  del
convenuto, tale da escludere anche la sussistenza della colpa  lieve,
atteso  che   la   sostituzione   della   locuzione   «in   caso   di
proscioglimento del merito», di cui al decreto-legge n. 203 del 2005,
convertito, con modificazioni, nella  legge  n.  248  del  2005,  con
quella piu' specifica e stringente attualmente recata  dall'art.  31,
comma 2, c.g.c. e' stata operata dal legislatore delegato proprio  al
fine di impedire le interpretazioni adeguartici del passato. 
    38. A  tale  proposito  appare  opportuno  sottolineare  come  la
locuzione  «a  carico  dell'amministrazione  di  appartenenza»   vada
interpretata in senso lato,  ossia  come  l'amministrazione  nei  cui
confronti  il  soggetto   prosciolto   si   trovava,   almeno   nella
prospettazione accusatoria, in  rapporto  di  servizio,  applicandosi
quindi anche nei confronti della Romeo Gestioni s.p.a. (Sezione giur.
Sicilia, sentenze n. 722 del 1° marzo 2012 e  n.  901  del  19  marzo
2012; Sezione giur. Molise, sentenza n.  100  del  10  ottobre  2013;
Sezione giur. d'appello per la Sicilia, sentenza n. 23 del 21 gennaio
2014; Sezione giur. Friuli-Venezia Giulia,  sentenza  n.  94  del  28
dicembre 2017; Sezione giur. Sardegna, sentenze n. 119 del 4  ottobre
2017 e n. 161 del 3 luglio 2018). 
    39. Sempre in punto di rilevanza della questione, il collegio non
ritiene possibile addivenire ad una parziale o  totale  compensazione
delle spese in forza delle ipotesi tassativamente  elencate  all'art.
31, comma 3, c.g.c. («soccombenza reciproca»; «assoluta novita' della
questione trattata»; «mutamento della  giurisprudenza  rispetto  alle
questioni dirimenti»; «definizione del  giudizio  decidendo  soltanto
questioni pregiudiziali  o  preliminari»),  che  legittimerebbero  il
Giudice a disporre una tale compensazione. 
    Nel caso di specie, infatti, non vi e' stata alcuna  «soccombenza
reciproca», atteso che la domanda della Procura  non  ha  trovato  un
accoglimento parziale. 
    Inoltre, ai fini  della  soluzione  della  controversia  e  delle
questioni ad  essa  sottese,  che  non  presentavano  in  alcun  modo
carattere  di  «assoluta  novita'»,  non  ha  avuto   alcun   rilievo
l'eventuale «mutamento della giurisprudenza rispetto  alle  questioni
dirimenti», atteso  che  ai  fini  della  decisione  e'  stata  fatta
applicazione di principi di diritto ampiamente riconosciuti. 
    Infine, il giudizio non e'  stato  definito  «decidendo  soltanto
questioni pregiudiziali o preliminari»,  ma  e'  stato  definito  per
tutti quanti i convenuti decidendo il merito  della  controversia  ed
escludendo   la   sussistenza   della   colpa   grave.   Invero,   il
proscioglimento nel merito anche per una sola posta di danno - o  per
una parte dell'unica posta di danno contestata -  impone  al  giudice
contabile di liquidare l'ammontare degli onorari e diritti  spettanti
alla difesa del prosciolto (Seconda Sezione giur. centrale d'appello,
sentenza n. 392 del 4 luglio 2012). 
    Peraltro, sotto tale, ultimo profilo, anche laddove si  ritenesse
possibile  forzare  il  dettato  normativo  (cosa  che  tuttavia   si
esclude),  che  impone  che  il  giudizio  venga  definito  decidendo
«soltanto» questioni pregiudiziali o preliminari, nel caso di  specie
l'accoglimento parziale dell'eccezione di prescrizione in  favore  di
due dei tre convenuti non potrebbe mai permettere  una  compensazione
integrale delle spese del giudizio nei loro confronti, atteso che per
la  parte  della  decisione  che  si  e'  estesa  al   merito   della
controversia,  escludendo  una  responsabilita'  amministrativa   per
mancanza del necessario requisito della «colpa grave», opererebbe  il
divieto di compensazione di cui all'art. 31,  comma  2,  c.g.c.,  ne'
sarebbe possibile ricorrere alla clausola delle «gravi ed eccezionali
ragioni», assente nell'art. 31, comma 3, c.g.c. 
    40. Per terminare, una eventuale compensazione  delle  spese  non
potrebbe neppure essere disposta applicando direttamente  l'art.  92,
comma 2, codice di procedura civile, come da  ultimo  emendato  dalla
sentenza della Corte  costituzionale  n.  77  del  2018,  che  ne  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale «nella parte  in  cui  non
prevede che il giudice  possa  compensare  le  spese  tra  le  parti,
parzialmente o per intero, anche qualora  sussistano  altre  analoghe
gravi ed eccezionali ragioni». 
    Invero, fermo restando  che  l'applicazione  di  tale  norma  non
consentirebbe comunque di eludere l'espresso divieto di cui  all'art.
31, comma 2, c.g.c., il rinvio agli articoli 92, 93, 94, 96 e 97  del
codice di procedura civile, previsto dall'art. 31, comma  6,  c.g.c.,
e' destinato ad operare solo nei  ristretti  limiti  di  quanto  «non
espressamente disciplinato dai commi» precedenti, per cui, essendo  i
poteri del giudice  contabile  in  materia  di  «compensazione  delle
spese» - limitatamente al giudizio di responsabilita'  amministrativa
- gia' compiutamente disciplinati dall'art. 31, commi 2 e 3,  c.g.c.,
tale soluzione interpretativa non appare possibile. 
e) Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    41. Ad avviso del collegio, la sopra descritta disciplina  recata
dal combinato disposto di cui all'art. 31, commi 2 e  3,  c.g.c.,  si
pone  in  eliminabile   contrasto   con   il   generale   canone   di
ragionevolezza, garantito dall'art. 3 della Costituzione, nella parte
in  cui,  eliminando  ogni  discrezionalita'  in  capo   al   giudice
contabile, impone a quest'ultimo, in via automatica, di liquidare  le
spese di giudizio a carico dell'amministrazione di  appartenenza  del
convenuto prosciolto per «accertata insussistenza del danno,  ovvero,
della violazione di obblighi di servizio, del  nesso  di  causalita',
del dolo, o della colpa grave» (art. 31,  comma  2),  non  prevedendo
neppure,  in  via  suppletiva,  la  possibilita'  di  ricorrere  alla
clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» per pervenire,
in tutto o in parte, ad una compensazione delle spese (art. 31, comma
3). 
    42. Invero, in tal modo il legislatore  delegato,  contraddicendo
la stessa ratio da sempre sottesa alle norme che  regolano  le  spese
del giudizio,  ha  compiuto  una  inammissibile  equiparazione  delle
ragioni che devono  condurre,  nel  merito,  al  proscioglimento  del
convenuto, ovvero l'accertata insussistenza di  uno  dei  presupposti
della responsabilita' amministrativa  (danno,  nesso  di  causalita',
dolo o colpa), con le diverse  ragioni  che,  invece,  devono  essere
delibate dal giudice ai fini della decisione sulle regolazione  delle
spese processuali. 
    Sotto tale ultimo profilo,  infatti,  come  reso  evidente  dallo
stesso titolo («responsabilita' delle parti per le spese ed  i  danni
processuali») del capo IV del titolo  III  del  codice  di  procedura
civile, che nel codice di rito civile disciplina la relativa materia,
il presupposto di qualsiasi forma  di  responsabilita',  ivi  inclusa
quella per  le  spese  del  giudizio,  e'  sempre  un  comportamento,
latamente censurabile, dal quale possa derivare ad altri un  onere  o
peggio  un  danno  ingiusto  in  rapporto  diretto  ed  immediato  di
causalita' con la scelta altrui di  agire  o  resistere  in  giudizio
(Corte costituzionale, sentenza n. 46 del 1975). 
    Cio' premesso, il mancato accoglimento della domanda, in  cui  si
sostanzia il principio  di  soccombenza,  non  sempre  e'  un  indice
sufficiente a giustificare la condanna alla rifusione delle spese  di
giudizio, potendo l'esito negativo della lite essere condizionato  da
fattori sopravvenuti o comunque imponderabili, che sono valutati  dal
giudice ai fini di una eventuale compensazione,  totale  o  parziale,
delle spese. 
    In tal senso di spiega  la  clausola  generale  delle  «gravi  ed
eccezionali ragioni», che nel processo  civile  (art.  92,  comma  2,
codice di procedura civile, come integrato dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 77 del 2018) e in quello tributario (art. 15, comma
2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.  546),  attribuiscono
al giudice un ineliminabile margine di discrezionalita' in materia di
regolazione delle spese processuali. 
    A tale proposito, per quanto specificamente riguarda il  processo
tributario, appare significativo il fatto che detta clausola generale
sia stata introdotta dall'art. 9 del decreto legislativo 24 settembre
2015, n. 156, in attuazione di una delega che prevedeva  tra  i  suoi
principi e criteri direttivi quello della «individuazione di  criteri
di maggior rigore nell'applicazione del principio  della  soccombenza
ai  fini  del  carico  delle  spese  del  giudizio,  con  conseguente
limitazione del potere  discrezionale  del  giudice  di  disporre  la
compensazione  delle  spese  in  casi   diversi   dalla   soccombenza
reciproca» (art. 10, comma 1, lettera b, numero 11,  legge  11  marzo
2014, n. 23). 
    Viceversa,   solo   nel   caso   del   processo   contabile    di
responsabilita' amministrativa, il legislatore  si  e'  spinto  assai
oltre, eliminando del tutto qualsiasi margine di discrezionalita' del
giudice in caso di proscioglimento del convenuto per uno  dei  motivi
di merito indicati nell'art.  31,  comma  2,  c.g.c.,  senza  neppure
offrire allo stesso il ricorso ad una analoga clausola  generale  che
consenta di valutare adeguatamente la eventuali sussistenza di  gravi
ed eccezionali ragioni che imporrebbero  la  compensazione  totale  o
parziale delle spese di giudizio. 
    43. Peraltro, la lesione del principio di  ragionevolezza  appare
tanto maggiore se si considera che la fondamentale caratteristica dei
giudizi di responsabilita' amministrativa e' l'impulso d'ufficio, con
azione promossa da un organo  indipendente  ed  imparziale  quale  il
procuratore regionale della Corte dei  conti  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 201 del 1976). 
    Invero, se da un lato l'accertamento giudiziale della mancanza di
uno dei requisiti su cui tradizionalmente si fonda la responsabilita'
amministrativa - tra cui, in particolare, quello della colpa grave  -
e' spesso il frutto di una valutazione ampiamente  discrezionale  del
giudice (ma si pensi, anche all'accertamento del nesso di  causalita'
in un giudizio di responsabilita' amministrativa originato  da  colpa
medica), dall'altro lato non va sottaciuto che il pubblico  ministero
contabile  e'  obbligato  per  legge  ad   esercitare   l'azione   di
responsabilita'  ogniqualvolta  «vi  siano  elementi  sufficienti   a
sostenere  in  giudizio  la  contestazione  di  responsabilita'»   (a
contrariis ex art. 69, comma 1, c.g.c.). 
    In particolare, la norma che impone al procuratore  regionale  di
esercitare l'azione di responsabilita'  laddove  «vi  siano  elementi
sufficienti   a   sostenere   in   giudizio   la   contestazione   di
responsabilita'», lungi  dall'imporre  al  procuratore  regionale  di
esercitare l'azione di responsabilita' amministrativa solo in caso di
certezza della condanna, «consiste in una valutazione degli  elementi
acquisiti non [...] nella  chiave  dell'esito  finale  del  processo,
bensi' nella chiave della loro attitudine a giustificare il rinvio  a
giudizio.  Il  quadro  acquisitivo   viene,   cioe',   valutato   non
nell'ottica  del  risultato   dell'azione,   ma   in   quella   della
superfluita' o no dell'accertamento giudiziale,  che  e'  l'autentica
prospettiva di un pubblico ministero, il quale, nel  sistema,  e'  la
parte  pubblica  incaricata  di  instaurare   il   processo»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 88 del 1991). 
    Del resto, che il provvedimento  di  archiviazione  del  pubblico
ministero contabile, previsto dall'art.  69,  comma  1,  c.g.c.,  non
possa essere inteso come strumento deflattivo del contenzioso, appare
comprovato dall'introduzione dei riti speciali, di cui agli  articoli
130 ss. c.g.c., cui, al contrario, sono demandate tali finalita'. 
    Di conseguenza, addossare in via automatica le spese di  giudizio
all'amministrazione di apparenza del convenuto prosciolto per uno dei
motivi dall'art. 31, comma  2,  c.g.c.,  prescindendo  dal  carattere
doveroso (e meritorio) dell'azione di  responsabilita'  a  fronte  di
comportamenti  comunque   colposi   e   produttivi   di   danno   per
l'amministrazione  medesima,  appare  non  solo   irragionevole,   ma
addirittura paradossale. Tanto piu' che l'art. 31,  comma  3,  c.g.c.
non offre al giudice contabile il  possibile  ricorso  alla  clausola
generale  delle  «gravi  ed  eccezionali  ragioni»,  tradizionalmente
impiegata per perimetrare l'ineliminabile margine di discrezionalita'
che al giudice deve essere riconosciuta  in  materia  di  regolazione
delle spese processuali. 
    44. Inoltre, il divieto imposto al giudice contabile, in  termini
assoluti,  di  compensare  le  spese   di   giudizio   in   caso   di
proscioglimento del convenuto per uno dei motivi  indicati  dall'art.
31, comma 2, c.g.c., con la conseguente  automatica  liquidazione,  a
carico dell'amministrazione  di  appartenenza,  dell'ammontare  degli
onorari e dei diritti spettanti alla difesa, unitamente alla mancanza
di una siffatta clausola generale nell'art. 31, comma 3,  c.g.c.,  si
traducono inevitabilmente in  una  remora,  in  capo  al  procuratore
regionale, all'esercizio dell'azione di responsabilita'  in  tutti  i
casi in cui questi non sia e non possa essere certo  della  condanna,
potendo un eventuale proscioglimento tradursi in una ulteriore  spesa
per l'amministrazione danneggiata anche in situazioni  oggettivamente
dubbie, che imporrebbero comunque  il  vaglio  giudiziale  (come  nei
molti casi in cui la condotta del convenuto si ponga ai  margini  dei
labili confini della colpa grave). 
    Di conseguenza, la rigidita' di tale divieto, anche a  fronte  di
situazioni processuali in cui il procuratore regionale non  possa  in
alcun modo  prevedere  ex  ante  l'esito  processuale  della  propria
azione,  in  quanto  inevitabilmente  condizionato   da   valutazioni
ampiamente discrezionali del giudice, si mostra non solo  lesiva  del
principio di ragionevolezza, di cui all'art. 3 della Costituzione, ma
«ridonda anche in violazione del canone  del  giusto  processo  (art.
111, primo comma, Cost.) e del diritto  alla  tutela  giurisdizionale
(art. 24, primo comma, Cost.) perche' la prospettiva  della  condanna
al pagamento delle spese di lite anche in  qualsiasi  situazione  del
tutto imprevista ed imprevedibile per la parte che agisce  o  resiste
in giudizio puo' costituire una remora ingiustificata a far valere  i
propri diritti» (Corte costituzionale, sentenza n. 77 del 2018). 
    Sotto tale ultimo profilo, infatti,  benche'  il  rimborso  delle
spese legali sia posto a carico dell'amministrazione di  appartenenza
del convenuto prosciolto, non puo' ignorarsi il fatto che la missione
istituzionale  del  pubblico  ministero   contabile   nell'esercitare
l'azione di responsabilita' amministrativa sia quella di  curare  gli
interessi finanziari delle  amministrazioni  pubbliche  asseritamente
danneggiate, con la conseguenza che la  mera  prospettiva  di  essere
possibile «causa» di ulteriori  esborsi  per  le  amministrazioni  in
questione  in  tutti  i  casi  oggettivamente  dubbi,  che   comunque
impongono il vaglio giudiziale, potrebbe  disincentivare  l'esercizio
dell'azione di responsabilita' amministrativa in tutti i casi in  cui
il procuratore regionale non sia certo dell'esito del processo. 
    45. Le predette criticita', ad avviso del collegio  assumono  una
lesivita' ancora maggiore, in riferimento a tutti i  parametri  sopra
considerati, in considerazione del fatto  che  l'art.  31,  comma  3,
c.g.c., fermo il divieto di cui al precedente comma 2, circoscrive la
possibilita' di compensare le spese del giudizio  a  poche  tassative
ipotesi («soccombenza reciproca»; «assoluta novita'  della  questione
trattata»; «mutamento della giurisprudenza  rispetto  alle  questioni
dirimenti»; «definizione del giudizio  decidendo  soltanto  questioni
pregiudiziali o preliminari»), senza contemplare la possibilita'  per
il giudice, in caso di gravi ed eccezionali  ragioni,  ovviamente  da
motivare ai sensi dell'art. 111,  comma  6,  della  Costituzione,  di
disporre la compensazione parziale o integrale delle spese. 
    Muovendo dalle osservazioni formulate dalla Corte  costituzionale
nella sentenza n. 77 del 2018, infatti, e'  possibile  affermare  che
l'«assoluta novita' della  questione»,  prevista  dalla  disposizione
censurata, sia di fatto «riconducibile,  piu'  in  generale,  ad  una
situazione di oggettiva e marcata  incertezza,  non  orientata  dalla
giurisprudenza. In simmetria e' possibile ipotizzare  altre  analoghe
situazioni di assoluta incertezza, in diritto o in fatto, della lite,
parimenti riconducibili a "gravi ed eccezionali ragioni"». 
    Ne consegue «che contrasta con  il  principio  di  ragionevolezza
[...] aver il legislatore del [2016] tenuto fuori  dalle  fattispecie
nominate, che facoltizzano il giudice a compensare le spese  di  lite
in caso di soccombenza totale, le analoghe ipotesi di  sopravvenienze
relative a questioni dirimenti e a quelle di assoluta incertezza, che
presentino la stessa,  o  maggiore,  gravita'  ed  eccezionalita'  di
quelle tipiche espressamente previste dalla  disposizione  censurata.
La rigidita' di tale tassativita' ridonda  anche  in  violazione  del
canone del giusto processo (art.  111,  primo  comma,  Cost.)  e  del
diritto alla tutela giurisdizionale (art.  24,  primo  comma,  Cost.)
perche' la prospettiva della condanna al  pagamento  delle  spese  di
lite  anche  in  qualsiasi  situazione  del   tutto   imprevista   ed
imprevedibile per la parte che agisce  o  resiste  in  giudizio  puo'
costituire una remora ingiustificata a far valere i  propri  diritti»
(Corte costituzionale, sentenza n. 77 del 2018). 
    46. In conclusione, per il concorso di tutte le suddette ragioni,
il collegio ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale del  combinato  disposto  di
cui all'art. 31, commi 2 e 3, del codice di giustizia contabile  (nel
testo approvato dal decreto legislativo 26 agosto 2016, n.  174),  in
riferimento agli articoli 3, 24, comma  1,  e  111,  comma  1,  della
Costituzione, nella parte in cui non prevedono che il giudice,  anche
in caso di intervenuto proscioglimento nel merito per mancanza di uno
degli  elementi  indicati  dall'art.  31,  comma  2,  c.g.c.,   possa
compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero,  qualora
sussistano  gravi  ed  eccezionali   ragioni,   analoghe   a   quelle
tassativamente indicate dall'art. 31, comma 3, c.g.c.