LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale per la Regione Campania composta dai seguenti magistrati: prof. Michael Sciascia, Presidente; dott. Robert Schülmers von Pernwerth, consigliere rel.; dott.ssa Benedetta Cossu, consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita', iscritto al numero 69681 del registro di segreteria, instaurato a istanza della Procura regionale presso questa Sezione nei confronti dei signori: 1. Romeo Gestioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Napoli, via Giovanni Porzio E/4, rappresentata e difesa dall'avv. Stefano Cianci, presso lo studio del quale e' elettivamente domiciliata in Napoli alla via dei Mille n. 1; 2. Annunziata Giovanni, nato a Napoli il 27 febbraio 1953 ed ivi residente in via Divisione Siena n. 46, rappresentato e difeso dal prof. avv. Felice Laudadio e dall'avv. Roberto De Masi, presso il cui studio e' elettivamente domiciliato in Napoli alla via F. Caracciolo n. 15; 3. Capecelatro Gaudioso Elvira, nata a Napoli il 7 marzo 1953 ed ivi residente in via E. A. Mario n. 35, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Della Corte, presso lo studio del quale e' elettivamente domiciliata in Napoli alla via Vittorio Veneto n. 288/A; Visto l'atto di citazione della Procura regionale depositato presso questa Sezione giurisdizionale l'8 settembre 2017; Viste le memorie di costituzione depositate presso la segreteria di questa Sezione giurisdizionale dalle Difese dei convenuti; Visti gli altri atti del giudizio; Chiamata la causa nella pubblica udienza del giorno 25 ottobre 2018, con l'assistenza del segretario sig. Guglielmo Rega, e sentiti il relatore consigliere dott. Robert Schülmers Von Pernwerth; il rappresentante del pubblico ministero in persona del vice procuratore generale dott. Marco Catalano; l'avv. Stefano Cianci per la Romeo Gestioni; l'avv. Luca Ruggiero, in sostituzione dell'avv. Salvatore Della Corte, per Capecelatro Gaudioso Elvira e gli avvocati Felice Laudadio e Roberto De Masi nell'interesse di Annunziata Giovanni. Premesso a) Sul giudizio a quo. 1. Con atto di citazione depositato l'8 settembre 2017 la Procura presso questa Sezione giurisdizionale ha convenuto in giudizio la Romeo Gestioni s.p.a., quale societa' concessionaria o comunque affidataria della gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli, Annunziata Giovanni e Capecelatro Gaudioso Elvira, dirigenti pro tempore del Comune di Napoli, per sentirli condannare al pagamento, in favore dell'Amministrazione comunale partenopea, dell'importo di € 1.444.300 («in parti uguali o secondo la proporzione che riterra' la Sezione»), quale asserito danno pubblico correlato alla «mancata esazione di canoni di occupazione» relativi ad un impianto sportivo di proprieta' comunale sito in Napoli, al viale Giochi del Mediterraneo n. 30. 2. Ad avviso della Procura, infatti, la gestione di tale impianto comunale, affidato in concessione al CONI nel 1969, nel corso del tempo sarebbe stata a tal punto trascurata da consentirne la abusiva conduzione da parte di un'associazione privata anche dopo la scadenza della predetta concessione; e cio' avrebbe portato il requirente a quantificare il danno, in termini di mancati introiti per l'ente locale da agosto 2006 ad ottobre 2015, in complessivi € 1.444.300,00. 3. Ad avviso del requirente i responsabili del presunto danno andavano individuati (a) nella societa' Romeo Gestioni s.p.a., dato che dal 1998 e per lungo tempo la gestione del patrimonio del Comune di' Napoli le era stata affidata dall'amministrazione comunale; (b) nel dirigente pro tempore Annunziata Giovanni, a capo del Servizio patrimonio e demanio del Comune di Napoli dal gennaio 2003 al giugno 2011, quale sottoscrittore per conto del comune della convenzione con la Romeo, e per cio' solo gravemente ed inescusabilmente colpevole della mancata vigilanza sugli obblighi contrattuali gravanti su controparte; (c) nella dirigente pro tempore Capecelatro Gaudioso Elvira, a capo del Servizio patrimonio e demanio del Comune di Napoli dal luglio 2011 al giugno 2013, in quanto rimasta asseritamente inerte pur essendo al corrente, quanto meno dal 2012, della vicenda. 4. Dopo la rituale costituzione in giudizio da parte di tutti i convenuti, in data 25 ottobre 2018 aveva luogo la discussione in pubblica udienza, ad esito della quale veniva adottata la sentenza definitiva n. 1046 del 2018, con cui, respinte tutte le questioni pregiudiziali sollevate dalle parti ed accolta unicamente l'eccezione di prescrizione parziale dell'azione di responsabilita' amministrativa in favore dei due convenuti Annunziata e Romeo Gestioni, il collegio proscioglieva nel merito tutte le parti private non ravvisando nella loro condotta gli estremi della colpa grave, come richiesto dall'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. 5. In particolare, ad avviso della Sezione, pur essendo pacifico che i convenuti nell'esercizio delle loro funzioni fossero stati interessati alla annosa vicenda della gestione sine titulo dell'impianto sportivo in parola e pur non potendosi negare che anche tale cespite facesse parte del patrimonio immobiliare comunale, era necessario valorizzare il dato - anch'esso emergente dagli atti - relativo all'obiettiva incertezza circa l'effettiva distribuzione di competenze in materia di gestione di impianti sportivi all'interno del Comune di Napoli, come attestato, peraltro, da alcune note interpretative emesse al riguardo dal direttore generale dell'ente. In altre parole, pur non potendosi escludere una certa negligenza e superficialita' da parte dei convenuti in ordine alla trattazione della vicenda, il collegio riteneva decisiva, ai fini del loro proscioglimento, la mancanza di colpa grave in ragione di tale obiettiva situazione di incertezza. 6. Nell'assumere la predetta decisione, tuttavia, la Sezione non riteneva di potere decidere in ordine alla regolazione delle spese processuali, come previsto dall'art. 31 del codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, e sospendeva in parte qua il giudizio ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui all'art. 31, commi 2 e 3, c.g.c., nella parte in cui non prevede che il giudice, anche in caso di intervenuto proscioglimento nel merito per mancanza di uno degli elementi indicati dall'art. 31, comma 2, c.g.c., possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle tassativamente indicate dall'art. 31, comma 3, c.g.c. b) Sull'evoluzione del quadro normativo di riferimento. 7. All'indomani della nota riforma del procedimento di responsabilita' amministrativa (art. 5 del decreto-legge n. 453 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 19 del 1994, e art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20), accompagnatasi alla contestuale riorganizzazione su base regionale della Corte dei conti (art. 1 del decreto-legge n. 453 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 19 del 1994), si pose all'attenzione di diversi operatori la problematica relativa alla eventuale liquidazione, da parte del giudice contabile, delle spese di giudizio in favore dei convenuti prosciolti, e segnatamente di quelle legali. 8. In particolare, preso atto dell'esistenza di diverse norme statali, regionali e contrattuali che assicuravano il rimborso delle spese legali in favore di dipendenti pubblici ingiustamente coinvolti in procedimenti giudiziari per fatti connessi all'ufficio (si vedano, ad esempio, per i dipendenti degli enti locali l'art. 16 decreto del Presidente della Repubblica 1° giugno 1979, n. 191, l'art. 22 decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347; e l'art. 67 decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268; per i dipendenti della Regione siciliana l'art. 53, comma 2, della legge della Regione Sicilia 7 del 23 marzo 1971, secondo cui «l'Amministrazione rimborsa al dipendente dichiarato esente da responsabilita' le spese sostenute per il giudizio dinanzi alla Corte dei conti» e l'art. 39 della legge della Regione Sicilia 29 dicembre 1980, n. 145, secondo cui «Ai dipendenti che, in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio e dei compiti d'ufficio, siano soggetti a procedimenti di responsabilita' civile, penale o amministrativa, e' assicurata l'assistenza legale, in ogni stato e grado del giudizio, mediante rimborso, secondo le tariffe ufficiali, di tutte le spese sostenute, sempre che gli interessati siano stati dichiarati esenti da responsabilita'»; per i dipendenti della Regione Sardegna l'art. 48 della legge regione 17 agosto 1978, n. 51, secondo cui «Le spese sostenute per la propria difesa dal dipendente dichiarato esente da responsabilita' in un giudizio civile, amministrativo o penale promosso in relazione alla sua qualita' di impiegato [...] sono rimborsati dall'Amministrazione regionale [...]», tutela poi estesa agli amministratori regionali dall'art. 51 della legge regionale 8 marzo 1997, n. 8), ci si pose il problema, in riferimento ai giudizi di responsabilita' amministrativa celebrati dinanzi alla Corte dei conti, se la competenza a stabilire l'an e il quantum di tale eventuale rimborso competesse al giudice contabile ovvero all'amministrazione interessata. 9. Il primo intervento normativo di rilievo, apparentemente volto ad attribuire al giudice contabile la competenza in materia, avvenne ad opera dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge n. 639 del 20 dicembre 1996. Tale norma, connotata da una formulazione ambigua, disponeva che «In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall'amministrazione di appartenenza». 10. Ad aumentare le incertezze interpretative contribui' poco dopo l'art. 18, comma 1, primo periodo, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, secondo cui «Le spese legali relative a giudizi per responsabilita' civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilita', sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato». 11. Preso atto di questa anomala sovrapposizione di ruoli e procedure, in cui era espressamente prevista (anche se solo per i dipendenti statali) la necessita' per l'amministrazione di appartenenza di richiedere un previo parere di congruita' all'Avvocatura dello Stato circa le eventuali spese legali da rimborsare al dipendente, la giurisprudenza contabile maggioritaria escluse che potesse rientrare nella giurisdizione della Corte dei conti la liquidazione delle spese legali in favore del convenuto prosciolto (si vedano, ex multis, Terza Sezione giur. centrale d'appello, sentenza. n. 270 del 17 novembre 1999; Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenze n. 235 del 10 luglio 2002, n. 3 dell'8 gennaio 2003, n. 153 del 6 maggio 2004 e n. 329 del 14 ottobre 2005). A favore di una tale interpretazione veniva in particolare evidenziato che «ne' l'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 543/1996 ne' i soprarichiamati articoli 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 509/1979 e 18 del decreto-legge n. 67/1997 impongono al giudice che assolva il dipendente o l'amministratore pubblico di liquidare d'ufficio a suo favore le spese legali, facendone per di piu' carico ad un soggetto che non e' presente nel giudizio» (Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 3/2003 cit.). Inoltre, venne altresi' osservato che, «poiche' l'amministrazione e' obbligata a rimborsare in conformita' al parere dell'Avvocatura dello Stato, la pronuncia, al riguardo, e' del tutto irrilevante, ai fini pratici; puo', al piu', essere indicativa, nei limiti del suo autonomo apprezzamento, per l'Avvocatura dello Stato, creando, pero', situazioni insostenibili da parte dell'amministrazione, in presenza di un giudicato da eseguire e di un parere, al quale conformarsi, divergente» (Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 26 del 27 gennaio 2006). 12. Un secondo orientamento, peraltro minoritario, affermo' invece che in applicazione degli articoli 91 e 92 codice di procedura civile il giudice contabile aveva il dovere di «statuire sulle spese», senza poter «escluderne alcuna» (Terza Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 40 del 2002). Questo secondo indirizzo trovo' conforto nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 17014 del 2003 la quale, richiamato il rinvio alle norme della procedura civile previsto dall'art. 26 del regio decreto n. 1038/1933, aveva fatto riferimento al principio secondo il quale «la statuizione delle spese del giudizio contabile e' oggetto della sentenza ed esse sono poste a carico della parte soccombente o sono compensate». 13. A dirimere il predetto contrasto interpretativo intervenne l'art. 10-bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, nel testo convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, secondo cui «Le disposizioni dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'art. 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalita' di cui all'art. 91 del codice di procedura civile, liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruita' dell'Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all'amministrazione di appartenenza». 14. Tale intervento legislativo consenti' di fugare ogni dubbio sui limiti di applicazione delle norme interpretate, chiarendo che - ai fini del previsto rimborso delle spese legali nei confronti del soggetto prosciolto dalla imputazione di responsabilita' - spettava alla Corte dei conti liquidarle e specificando, inoltre, che poteva darsi luogo al rimborso delle stesse solo in caso di «proscioglimento nel merito» (Seconda Sezione giur. centrale d'appello, sentenze n. 139 del 6 aprile 2006 e n. 185 del 5 giugno 2007). 15. Fissato in tal modo il perimetro della giurisdizione contabile, facendovi rientrare la pronuncia di liquidazione delle spese legali in favore del convenuto prosciolto, la giurisprudenza successiva si concentro' sul significato della locuzione «proscioglimento nel merito» (posto che la norma interpretata parlava di «proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell'art. 1 della 1egge n. 20/1994») ed escluse dal novero dei possibili beneficiari dei rimborsi delle spese legali i convenuti la cui condanna fosse stata negata dal giudice in accoglimento di una mera eccezione pregiudiziale di rito o preliminare di merito (Sezioni riunite in sede giurisdizionale, sentenza n. 3 del 27 giugno 2008, Sezione giur. Basilicata, sentenza n. 231 del 18 dicembre 2006; Sezione giur. Lombardia, sentenze n. 449 del 18 settembre 2007 e n. 136 del 6 marzo 2008; Sezione giur. Piemonte, sent. n. 40 del 21 febbraio 2007; Sezione giur. Campania, sent. n. 425 del 21 marzo 2006). 16. Inoltre, ritenendo possibile disporre, per «giusti motivi», l'eventuale compensazione delle spese ai sensi dell'art. 92, comma 2, codice di procedura civile, la giurisprudenza fece ampio ricorso a tale istituto al cospetto di condotte dei convenuti prosciolti che, pur non essendo caratterizzate da colpa grave, fossero cionondimeno censurabili sotto il profilo della colpa lieve. A tale conclusione, infatti, era possibile pervenire in base alla considerazione che le spese di giudizio dovevano essere addebitate all'amministrazione pubblica «solo se [fosse stato] assolutamente escluso il comportamento antigiuridico del soggetto (con correlativa ingiustizia del danno), mentre la ripartizione dell'onere in discorso [doveva essere] rimessa al prudente apprezzamento del giudice, ai sensi della normativa generale di cui agli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile, nei diversi casi: assoluzione in rito, o per prescrizione, o ancora per colpa lieve e non grave (cfr., in terminis, Corte dei conti, III^ app., n. 40 del 18 febbraio 2002; Sezione giurisdizionale Campania, n. 19 del 24 febbraio 2001; Sezione giurisdizionale Val d'Aosta, n. 15 del 25 giugno 2001 e n. 27 del 2 luglio 2002; Sezione giurisdizionale Marche, n. 196 del 10 marzo 2003; Sezione giurisdizionale Liguria, n. 1471 del 3 dicembre 2005).» (Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenze n. 14 del 9 gennaio 2008, n. 88 del 18 febbraio 2008 e n. 179 del 17 aprile 2008; Seconda Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 446 del 14 settembre 2009; Sezione giur. Lazio, sentenze n. 945 del 20 giugno 2007 e n. 1332 del 13 settembre 2007; Sezione giur. Lombardia, sentenze n. 428 del 20 giugno 2008, n. 540 del 4 agosto 2008, n. 835 del 25 novembre 2008, n. 494 del 10 luglio 2009 e n. 592 del 4 settembre 2009; Sezione giur. Basilicata, sentenze n. 89 del 1° aprile 2008, n. 95 del 23 marzo 2009 e n. 161 del 18 giugno 2009; Sezione giur. Sardegna, sentenza n. 777 del 12 maggio 2009; Sezione giurisdizionale Trento, sentenza n. 27 del 12 maggio 2008; Sezione giur. Bolzano, sentenze n. 47 del 15 dicembre 2008 e n. 29 del 19 febbraio 2009). 17. Un nuovo tassello, diretto a restringere la discrezionalita' del giudice rispetto alla possibilita' di derogare al principio della soccombenza, venne poi posto, in materia di liquidazione delle spese processuali, dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, che ando' a modificare la gia' citata norma interpretativa di cui all'art. 10-bis, comma 10, del decreto-legge n. 203 del 2005, interpolandone il testo con la frase «non puo' disporre la compensazione delle spese del giudizio» in modo da farne risultare le seguente nuova formulazione: «Le disposizioni dell'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'art. 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalita' di cui all'art. 91 del codice di procedura civile, non puo' disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruita' dell'Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all'amministrazione di appartenenza». 18. Tale modifica legislativa determino' il formarsi di un orientamento giurisprudenziale che recepi' le indicazioni del legislatore del 2009 nel senso di ritenere «ora espressamente inibita, a questo Giudice, la compensazione delle spese in tutti i casi di proscioglimento nel merito, senza distinzioni, con conseguente necessita' di provvedere alla liquidazione delle spese legali a favore degli interessati» (Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 415 del 16 giugno 2010; Sezione giur. Veneto, sentenza n. 428 del 18 giugno 2010; Sezione giur. Puglia, sentenza n. 746 del 22 novembre 2010; Sezione giur. Sicilia, sentenza n. 983 del 15 marzo 2011) e, dunque, anche in caso di accertata mancanza di colpa grave (Sezione giur. Piemonte, sentenza n. 133 del 19 luglio 2013; Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 366 dell'11 giugno 2013). Muovendo, infatti, dalla considerazione che la regolazione delle spese nel giudizio contabile fosse stabilita in via esclusiva dall'art. 3, comma 2-bis, della legge n. 639/1999, si sostenne la tesi che una simile regolamentazione «non consente l'applicazione nel giudizio di responsabilita' erariale della "compensazione delle spese", ex art. 92 cpc, espressamente esclusa - d'altronde - dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n. 78/2009, nel testo introdotto dalla legge n. 102/2009. [...] Una volta accertata la carenza della colpa grave, l'assoluzione ha il valore di un "proscioglimento (pieno) nel merito", idoneo ad escludere un qualsivoglia "conflitto di interessi" con l'Amministrazione di appartenenza (ex SS. RR. n. 3-QM/2008), o - altrimenti detto - equivale ad un "proscioglimento ai sensi (del) comma 1 dell'art. 1 della legge n. 20/1994" (ex SS.RR. n. 22-A/1998).» (Terza Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 559 del 13 luglio 2011). 19. Tuttavia, in relazione proprio agli effetti dell'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n. 78/2009, si formo' anche un secondo contrapposto orientamento del giudice contabile secondo il quale «la novella legislativa non ha modificato il presupposto in base al quale sorge l'obbligo di non procedere alla compensazione delle spese e di liquidare l'ammontare delle spese legali e cioe' la sussistenza di un "proscioglimento nel merito", che pero' deve essere "pieno", nel senso che non risulti accertato, come nella fattispecie, un comportamento colposo dei soggetti convenuti. In tal senso e' la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha escluso la sussistenza dell'indicato presupposto anche in altri casi, come nel proscioglimento in rito o per prescrizione (sentenze Sez. III app. n. 40/2002; Sez. I app. n. 88/2008). In tali casi permane il potere di compensare le spese tra le parti, in presenza di giusti motivi «esplicitamente indicati nella motivazione" (articoli 91 e 92, comma 2, codice di procedura civile, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 1, lettera a, legge 28 dicembre 2005, n. 263)» (Sezione giur. Lombardia, sentenze n. 767 del 16 novembre 2009, n. 843 del 17 dicembre 2009, n. 16 del 27 gennaio 2010, n. 676 del 25 novembre 2010; Sezione giur. Campania, sentenze n. 526 del 26 marzo 2010, n. 1707 del 17 dicembre 2012; Sezione giur. Bolzano, sentenze n. 7 del 19 marzo 2010 e n. 26 del 19 novembre 2010). 20. Ad avviso di tale indirizzo interpretativo, dunque, il «proscioglimento nel merito», che poteva dare luogo alla liquidazione delle spese in favore del convenuto prosciolto (ossia l'an del rimborso), doveva essere necessariamente «pieno», ossia tale da escludere qualsiasi responsabilita' in capo al convenuto in ordine alla decisione di avviare un processo di responsabilita' amministrativa nei suoi confronti, per cui «l'avvenuto riconoscimento della colpa lieve costitui[va] quindi un valido elemento per poter disporre la compensazione delle spese, trattandosi di grave ed eccezionale ragione esplicitamente indicata in motivazione (art. 92, comma 2, c.p.c.)» (Sezione giur. Friuli-Venzia Giulia, sentenza n. 71 del 14 aprile 2010). In altre parole, continuava a trovare applicazione il principio, gia' affermatosi in precedenza, secondo cui «le spese di giudizio sono addebitate "ope legis" alla parte pubblica, in conseguenza della suddetta norma, solo se viene assolutamente escluso il comportamento antigiuridico del soggetto (con correlativa ingiustizia del danno), mentre la ripartizione dell'onere in discorso e' rimessa al prudente apprezzamento del Giudice, ai sensi della normativa generale di cui agli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile, nei diversi casi: assoluzione in rito, o per prescrizione, o ancora per colpa lieve e non grave» (Sezione giur. Sardegna, sentenza n. 519 del 16 novembre 2012; contra, pero', Sezione giur. Sardegna, sentenza n. 569 del 4 dicembre 2012). 21. A sostegno di tale orientamento si osservo', inoltre, che «una diversa interpretazione, nel senso di imporre al solo giudice contabile, a differenza di altri giudici, il divieto di compensazione delle spese in ogni caso di proscioglimento, senza alcun potere di valutare, da una parte le circostanze di diritto e di fatto che hanno portato a quella particolare species di proscioglimento, nell'ambito del piu' ampio genus, dall'altra la condotta dei convenuti, porterebbe a concludere per una presumibile, macroscopica illegittimita' costituzionale della norma, sia per violazione dei principi di uguaglianza, ponendo il giudice contabile in una ingiustificata, deteriore situazione di limitazione dei propri poteri decisori, a differenza di altri giudici, sia perche' verrebbe ad interferire irrazionalmente nei poteri giurisdizionali di questa Corte alla quale verrebbe inibito di valutare tutti gli elementi, soggettivi ed oggettivi, della controversia, ai fini della decisione sulle spese, che costituisce parte integrante della statuizione giurisdizionale» (Sezione giur. Lombardia, sentenza n. 767 del 16 novembre 2009). 22. Nel bel mezzo del sopra descritto conflitto giurisprudenziale, innestato dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, si inseri', a questo punto, una decisione della Corte costituzionale che sembro', implicitamente, portare acqua alle tesi sostenute dal secondo dei sopra esaminati indirizzi interpretativi della Corte dei conti. In particolare, il Giudice delle leggi venne chiamato a pronunciarsi sulla conformita' a Costituzione dell'art. 12, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 17 gennaio 2011, n. 1, che aveva modificato l'art. 6, comma 2, della legge provinciale n. 16 del 2001, prevedendo la possibilita', per amministratori e dipendenti provinciali, di vedersi rimborsare le spese sostenute per la propria difesa in giudizi di responsabilita' amministrativa, nei quali fossero rimasti coinvolti per fatti o cause di servizio, «anche in caso di accertata colpa lieve e compensazione delle spese per i procedimenti innanzi alla Corte dei conti», ove ritenuto congruo dall'Avvocatura della Provincia. Senza mostrare troppi tentennamenti al riguardo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 19 del 2014, dichiaro' dunque l'illegittimita' costituzionale della norma provinciale impugnata, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., perche', «confliggendo con l'ordinamento della giurisdizione contabile nella parte in cui autorizza, in caso di accertata colpa lieve, la disapplicazione di un'eventuale statuizione di compensazione delle spese processuali», la stessa aveva inciso sulla materia «ordinamento civile» e «giustizia amministrativa», disciplinando, «peraltro in senso difforme dalla normativa statale, il regime delle condizioni alla presenza delle quali le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall'amministrazione di appartenenza, eccedendo dalle competenze statutarie». 23. In altre parole, con una pronuncia di sicuro rilievo per la materia che ci occupa, la Corte costituzionale riconobbe, in primo luogo, come la fissazione dell'an e del quantum delle eventuali spese legali da rimborsare ai convenuti prosciolti nei limiti previsti dalle norme legislative e contrattuali di settore (ossia «il regime delle condizioni alla presenza delle quali le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall'amministrazione di appartenenza») rientrasse, a pieno titolo, tra i compiti elettivi del giudice contabile, ovvero nell'«ordinamento della giurisdizione contabile», appartenente ad un ambito materiale di competenza esclusiva dello Stato (la cosiddetta «giustizia amministrativa»). A tale proposito, appare difficile non cogliere in tali autorevoli conclusioni un riflesso del principio di diritto affermato solo un anno prima dalla sentenza n. 19195 del 2013 della Corte di cassazione, Sezione lavoro, secondo cui, dopo l'entrata in vigore dell'art. 10-bis, comma decimo, del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio innanzi alla Corte dei conti per responsabilita' amministrativo-contabile, spettava esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definiva il giudizio, liquidare - ai sensi e con le modalita' di' cui all'art. 91 cod. proc. civ. ed a carico dell'amministrazione di appartenenza - l'ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilita' per quest'ultimo di chiedere in separata sede, all'amministrazione medesima, una nuova liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile (contra, invece, Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenza n. 3779 del 28 luglio 2017). 24. In secondo luogo, la decisione del Giudice delle leggi, nel dichiarare incostituzionale una norma provinciale emanata nel gennaio 2011 al dichiarato scopo di permettere all'amministrazione provinciale, in sede di rimborso delle spese legali, di disapplicare un'eventuale statuizione di compensazione delle spese processuali disposta dal giudice contabile «in caso di accertata colpa lieve», implicitamente ammetteva come nell'ordinamento della giurisdizione contabile, in caso di proscioglimento del convenuto nel merito (ad esempio, per mancanza di colpa grave), fosse ancora possibile pervenire ad una statuizione di compensazione delle spese nonostante il piu' restrittivo dettato dell'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n. 78/2009, convertito nella legge n. 102 del 2009. Di diverso avviso, invece, si era mostrata la Corte di cassazione, in sintonia con il piu' rigoroso orientamento della giurisdizione contabile, nella richiamata sentenza n. 19195 del 2013, secondo cui «la determinazione delle spese legali e' riservata al giudice, che in sentenza ne stabilisce (ora soltanto) il quantum (essendo venuta meno la possibilita' di compensarle, dopo la novella di cui al decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-quinquies)». 25. In ogni caso, va sottolineato come anche successivamente alla novella di cui al decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, nel testo risultante dalla conversione in legge, un nutrito schieramento della giurisprudenza contabile continuasse a fare ampio ricorso alla clausola delle «gravi ed eccezionali ragioni», di cui all'art. 92, comma 2, del codice di procedura civile (nella piu' restrittiva formulazione della norma voluta dalla legge 18 giugno 2009, n. 69), ovvero a quella tralatizia dei «giusti motivi», per giustificare, in caso di proscioglimento nel merito, una eventuale compensazione, parziale o totale, delle spese da liquidare in favore dei convenuti prosciolti a fronte di comportamenti ritenuti non del tutto immuni da censure e comunque tali da giustificare la verifica giudiziale (Sezione giur. Campania, sentenze n. 157 dell'11 febbraio 2010, n. 417 dell'11 marzo 2010, n. 526 del 26 marzo 2010, n. 823 del 10 maggio 2010, n. 1490 del 13 agosto 2010, n. 1130 del 15 giugno 2011, n. 60 del 18 gennaio 2012, n. 453 del 9 aprile 2013, n. 494 del 12 aprile 2013, n. 1664 dell'11 dicembre 2013, n. 279 del 17 marzo 2014, n. 410 del 23 aprile 2014, n. 446 del 7 maggio 2014; Prima Sezione giur. centrale d'appello, sentenze n. 62 del 27 gennaio 2010 e n. 104 del 19 febbraio 2010; Terza Sezione giur. centrale d'appello, sentenze n. 75 del 12 febbraio 2010 e n. 74 del 14 febbraio 2012; Sezione giur. Friuli-Venezia Giulia, sentenze n. 128 del 6 dicembre 2012, n. 56 del 13 settembre 2013, n. 72 del 10 ottobre 2013 e n. 112 dell'11 dicembre 2013; Sezione giur. Liguria, sentenza n. 229 del 27 dicembre 2013; Sezione giur. Lazio, sentenze n. 1355 del 21 settembre 2011, n. 96 del 26 gennaio 2012 e n. 193 del 13 febbraio 2012; Sezione giur. Emilia-Romagna, sentenza n. 151 del 14 novembre 2013; Sezione giur. Trento, sentenze n. 7 del 20 febbraio 2013 e n. 11 del 16 aprile 2014; contra, pero', Sezione giur. Sicilia, sentenze n. 983 del 15 marzo 2011, n. 2094 del 26 maggio 2011 e n. 548 del 16 febbraio 2012; Sezione giur. Puglia, sentenza n. 746 del 22 novembre 2010; Sezione giur. Lombardia, sentenze n. 124 del 22 febbraio 2011, n. 228 del 20 aprile 2011 e n. 1 del 2 gennaio 2012; Sezione giur. Veneto, sentenze n. 347 del 20 maggio 2010, n. 180 del 21 marzo 2012, n. 461 del 5 luglio 2012 e n. 68 del 5 marzo 2013, secondo cui la «determinazione delle spese processuali rientra nel potere discrezionale (in questo caso limitato) riservato al Giudice contabile, che, alla luce della recente normativa, deve liquidarle in favore del/dei convenuti assolti nel merito, con possibilita' di poter interloquire solo in ordine al quantum, non potendo piu' pervenire all'esclusione del rimborso, attraverso l'istituto della compensazione, che nell'ultima configurazione dell'art. 92 codice di procedura civile (di cui alla novella 18 giugno 2009, n. 69) puo' pronunciarsi "Se vi e' soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione..."»). 26. In tale contesto, non privo di contrasti e contraddizioni, il 7 ottobre 2016 e' entrato in vigore il nuovo codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, che all'art. 31 ha introdotto talune innovazioni per quanto riguarda la disciplina della liquidazione delle spese processuali da parte del giudice (sul carattere innovativo della disciplina recata dall'art. 31 c.g.c., si veda Sezione giur. Sardegna, sentenza n. 161 del 3 luglio 2018). Inoltre, alla luce della ampiezza e completezza della nuova disposizione codicistica in materia di regolazione delle spese processuali, l'art. 31 c.g.c. ha di fatto abrogato la precedente disciplina dettata dall'art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 543 del 1996, convertito nella legge n. 639 del 1996, come poi interpretata e integrata dall'art. 10-bis, comma 10, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito nella legge n. 248 del 2005, e dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito nella legge n. 102 del 2009. Infatti, benche' tali ultime disposizioni non siano tra quelle espressamente elencate dall'art. 4 (Abrogazioni) dell'allegato n. 3 al nuovo codice di giustizia contabile, titolato «Norme transitorie e abrogazioni», non vi e' dubbio che l'art. 31 c.g.c. «regola l'intera materia gia' regolata dalla legge anteriore», con conseguente abrogazione di quest'ultima ai sensi dell'art. 15 delle diposizioni sulla legge in generale, approvate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262. Del resto la stessa legge delega, per evidenti ragioni di semplificazione normativa, aveva stabilito che il nuovo codice di giustizia contabile dovesse «abrogare esplicitamente le disposizioni normative oggetto del riordino e quelle con esso incompatibili», ma aveva altresi' «fatta salva l'applicazione dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile» (art. 20, comma 3, lettera b, della legge n. 124 del 2015). 27. In linea generale, come ricordato nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 174 del 2016, le norme relative alle parti e difensori, tra cui quelle sulla regolazione delle spese processuali, «richiamano le corrispondenti regole processuali civili». In particolare, sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 91, comma 1, del codice di procedura civile, anche l'art. 31 c.g.c. ha fondato la disciplina della regolazione delle spese processuali sul principio cardine della soccombenza, in forza del quale «Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa» (art. 31, comma 1, c.g.c.). Tale principio e' stato addirittura rafforzato dalla previsione di una responsabilita' aggravata, atteso che «Il giudice, quando pronuncia sulle spese, puo' altresi' condannare la parte soccombente al pagamento in favore dell'altra parte, o se del caso dello Stato, di una somma equitativamente determinata, quando la decisione e' fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati» (art. 31, comma 4, c.g.c.). 28. Con specifico riferimento al giudizio di responsabilita' amministrativa e nell'evidente ottica di individuare criteri di maggior rigore nell'applicazione del principio della soccombenza, limitando contestualmente il potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese, il legislatore delegato ha poi inserito nell'art. 31 c.g.c. i commi 2 e 3, che cosi' recitano: «2. Con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilita' amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa grave, il giudice non puo' disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico dell'amministrazione di appartenenza, l'ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa. 3. Il Giudice puo' compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, quando vi e' soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novita' della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ovvero quando definisce il giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari.». 29. Passando ad esaminare le due norme nel dettaglio, e' facile rilevare che con l'art. 31, comma 2, c.g.c. e' stato di fatto riproposto il divieto di compensazione delle spese a suo tempo introdotto dall'art. 17, comma 30-quinquies, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 102 del 2009, ma con una sostanziale novita'. Infatti, la locuzione «in caso di proscioglimento nel merito» e' stata sostituita da una previsione assai piu' specifica, oltre che piu' stringente, secondo cui il divieto in parola scatta «Con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilita' amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa grave». In conseguenza di tale modifica, per innescare, in via automatica, il divieto di compensazione delle spese del giudizio e' sufficiente che la sentenza accerti l'insussistenza di uno qualsiasi dei tipici elementi costitutivi della responsabilita' amministrativa (danno, nesso di causalita', dolo o colpa grave), impedendo, di fatto, che il principio della soccombenza possa essere eluso in mancanza di un proscioglimento «pieno», ossia tale da escludere qualsiasi responsabilita' in capo al convenuto prosciolto in ordine alla decisione di avviare un procedimento di responsabilita' amministrativa nei suoi confronti (v. supra sub 20). 30. La norma di cui all'art. 31, comma 3, c.g.c., non desta particolari problemi interpretativi, trattandosi della sostanziale trasposizione dell'art. 92, comma 2, codice di procedura civile, nella formulazione risultante dall'art. 13, comma 1, decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162; con la conseguente eliminazione della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» e con la sola aggiunta, rispetto al testo del codice di rito civile, della ipotesi della definizione del giudizio «decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari». 31. Con la norma di chiusura di cui all'art. 31, comma 6, c.g.c., il legislatore delegato ha operato infine un rinvio agli articoli «92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile», ma solo nei limiti di quanto «non espressamente disciplinato dai commi» precedenti. c) Sulle norme impugnate. 32. Le ragioni che inducono il collegio ad individuare nei commi 2 e 3 dell'art. 31 del codice di giustizia contabile, congiuntamente e non in via alternativa o subordinata tra loro, le norme che si intende sottoporre a scrutinio di costituzionalita' risiedono principalmente nell'insufficienza, ai fini che rilevano nel giudizio a quo, di una decisione che espunga dall'ordinamento solo una delle due norme indubbiate. 33. Invero, laddove venisse dichiarata l'illegittimita' costituzionale del solo espresso divieto, imposto al giudice contabile dall'art. 31, comma 2, c.g.c., di compensare le spese del giudizio in caso di «accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa grave», permarrebbe comunque l'impossibilita' di compensare le spese del giudizio in ipotesi diverse da quelle tassativamente indicate dall'art. 31, comma 3, c.g.c. («soccombenza reciproca»; «assoluta novita' della questione trattata»; «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti»; «definizione del giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari»). 34. Viceversa, qualora venisse dichiarata l'illegittimita' costituzionale della sola norma contenuta nell'art. 31, comma 3, c.g.c., nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese del giudizio, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano, all'infuori delle ipotesi tassativamente nominate, «altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni», resterebbe pur sempre in vita l'espresso divieto di compensazione delle spese del giudizio, recato dall'art. 31, comma 2, c.g.c., in caso di «accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa grave». d) Sulla rilevanza della questione. 35. Sotto il profilo della rilevanza della questione, il collegio osserva, innanzitutto, che questa non puo' essere esclusa per il fatto che la sezione, con sentenza n. 1046 del 2018, abbia definito il merito della controversia, sospendo ogni decisione, sino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale, solo in ordine alla regolazione delle spese processuali. 36. Invero, come osservato al riguardo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 77 del 2018, il «legame di accessorieta' della pronuncia sulle spese alla sentenza che decida tutte le questioni di merito non e' [...] indissolubile e, in particolare, e' recessivo allorche' il giudice [...] abbia un dubbio non manifestamente infondato in ordine soltanto alla disposizione che governa le spese di lite e di cui egli debba fare applicazione. Il principio della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), coniugato con il favor per l'incidente di legittimita' costituzionale - il quale preclude che alcun giudice possa fare applicazione di una disposizione di legge della cui legittimita' costituzionale dubiti - suggerisce che non sia ritardata la decisione del merito della causa rispondendo cio' all'"interesse apprezzabile" delle parti alla "sollecita definizione" di quanto possa essere deciso senza fare applicazione della disposizione indubbiata (ex art. 277, secondo comma, citato)». Tali considerazioni possono essere estese, mutatis mutandis, anche al procedimento di responsabilita' amministrativa, laddove il processo contabile e' espressamente chiamato ad attuare i principi del giusto processo, previsto dall'art. 111, primo comma, della Costituzione, e il «giudice contabile e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo» (art. 4 c.g.c.). 37. Cio' premesso, sempre in punto di rilevanza della questione, il collegio osserva come l'art. 31, comma 2, c.g.c. proibisca espressamente al giudice di compensare le spese del giudizio in caso di «accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo o della colpa grave» e, dunque, anche in caso di colpa lieve. Di conseguenza, nel caso di specie, essendosi accertata nel giudizio a quo l'insussistenza della «colpa grave» in capo ai tre convenuti, al collegio e' in ogni caso preclusa dalla norma la possibilita' di disporre la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio, pur a fronte di una condotta comunque censurabile da parte loro che, ad avviso del collegio, ha sicuramente giustificato l'esercizio dell'azione di responsabilita' nei loro confronti. Al contrario, anche in una simile circostanza, il collegio sarebbe comunque tenuto a liquidare, «a carico dell'amministrazione di appartenenza, l'ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa». Al collegio e' peraltro impedita una diversa interpretazione della norma, volta, ad esempio, a pretendere - ai fini dell'operativita' del divieto - un proscioglimento «pieno» del convenuto, tale da escludere anche la sussistenza della colpa lieve, atteso che la sostituzione della locuzione «in caso di proscioglimento del merito», di cui al decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 2005, con quella piu' specifica e stringente attualmente recata dall'art. 31, comma 2, c.g.c. e' stata operata dal legislatore delegato proprio al fine di impedire le interpretazioni adeguartici del passato. 38. A tale proposito appare opportuno sottolineare come la locuzione «a carico dell'amministrazione di appartenenza» vada interpretata in senso lato, ossia come l'amministrazione nei cui confronti il soggetto prosciolto si trovava, almeno nella prospettazione accusatoria, in rapporto di servizio, applicandosi quindi anche nei confronti della Romeo Gestioni s.p.a. (Sezione giur. Sicilia, sentenze n. 722 del 1° marzo 2012 e n. 901 del 19 marzo 2012; Sezione giur. Molise, sentenza n. 100 del 10 ottobre 2013; Sezione giur. d'appello per la Sicilia, sentenza n. 23 del 21 gennaio 2014; Sezione giur. Friuli-Venezia Giulia, sentenza n. 94 del 28 dicembre 2017; Sezione giur. Sardegna, sentenze n. 119 del 4 ottobre 2017 e n. 161 del 3 luglio 2018). 39. Sempre in punto di rilevanza della questione, il collegio non ritiene possibile addivenire ad una parziale o totale compensazione delle spese in forza delle ipotesi tassativamente elencate all'art. 31, comma 3, c.g.c. («soccombenza reciproca»; «assoluta novita' della questione trattata»; «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti»; «definizione del giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari»), che legittimerebbero il Giudice a disporre una tale compensazione. Nel caso di specie, infatti, non vi e' stata alcuna «soccombenza reciproca», atteso che la domanda della Procura non ha trovato un accoglimento parziale. Inoltre, ai fini della soluzione della controversia e delle questioni ad essa sottese, che non presentavano in alcun modo carattere di «assoluta novita'», non ha avuto alcun rilievo l'eventuale «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti», atteso che ai fini della decisione e' stata fatta applicazione di principi di diritto ampiamente riconosciuti. Infine, il giudizio non e' stato definito «decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari», ma e' stato definito per tutti quanti i convenuti decidendo il merito della controversia ed escludendo la sussistenza della colpa grave. Invero, il proscioglimento nel merito anche per una sola posta di danno - o per una parte dell'unica posta di danno contestata - impone al giudice contabile di liquidare l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto (Seconda Sezione giur. centrale d'appello, sentenza n. 392 del 4 luglio 2012). Peraltro, sotto tale, ultimo profilo, anche laddove si ritenesse possibile forzare il dettato normativo (cosa che tuttavia si esclude), che impone che il giudizio venga definito decidendo «soltanto» questioni pregiudiziali o preliminari, nel caso di specie l'accoglimento parziale dell'eccezione di prescrizione in favore di due dei tre convenuti non potrebbe mai permettere una compensazione integrale delle spese del giudizio nei loro confronti, atteso che per la parte della decisione che si e' estesa al merito della controversia, escludendo una responsabilita' amministrativa per mancanza del necessario requisito della «colpa grave», opererebbe il divieto di compensazione di cui all'art. 31, comma 2, c.g.c., ne' sarebbe possibile ricorrere alla clausola delle «gravi ed eccezionali ragioni», assente nell'art. 31, comma 3, c.g.c. 40. Per terminare, una eventuale compensazione delle spese non potrebbe neppure essere disposta applicando direttamente l'art. 92, comma 2, codice di procedura civile, come da ultimo emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018, che ne ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale «nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni». Invero, fermo restando che l'applicazione di tale norma non consentirebbe comunque di eludere l'espresso divieto di cui all'art. 31, comma 2, c.g.c., il rinvio agli articoli 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, previsto dall'art. 31, comma 6, c.g.c., e' destinato ad operare solo nei ristretti limiti di quanto «non espressamente disciplinato dai commi» precedenti, per cui, essendo i poteri del giudice contabile in materia di «compensazione delle spese» - limitatamente al giudizio di responsabilita' amministrativa - gia' compiutamente disciplinati dall'art. 31, commi 2 e 3, c.g.c., tale soluzione interpretativa non appare possibile. e) Sulla non manifesta infondatezza della questione. 41. Ad avviso del collegio, la sopra descritta disciplina recata dal combinato disposto di cui all'art. 31, commi 2 e 3, c.g.c., si pone in eliminabile contrasto con il generale canone di ragionevolezza, garantito dall'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, eliminando ogni discrezionalita' in capo al giudice contabile, impone a quest'ultimo, in via automatica, di liquidare le spese di giudizio a carico dell'amministrazione di appartenenza del convenuto prosciolto per «accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalita', del dolo, o della colpa grave» (art. 31, comma 2), non prevedendo neppure, in via suppletiva, la possibilita' di ricorrere alla clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» per pervenire, in tutto o in parte, ad una compensazione delle spese (art. 31, comma 3). 42. Invero, in tal modo il legislatore delegato, contraddicendo la stessa ratio da sempre sottesa alle norme che regolano le spese del giudizio, ha compiuto una inammissibile equiparazione delle ragioni che devono condurre, nel merito, al proscioglimento del convenuto, ovvero l'accertata insussistenza di uno dei presupposti della responsabilita' amministrativa (danno, nesso di causalita', dolo o colpa), con le diverse ragioni che, invece, devono essere delibate dal giudice ai fini della decisione sulle regolazione delle spese processuali. Sotto tale ultimo profilo, infatti, come reso evidente dallo stesso titolo («responsabilita' delle parti per le spese ed i danni processuali») del capo IV del titolo III del codice di procedura civile, che nel codice di rito civile disciplina la relativa materia, il presupposto di qualsiasi forma di responsabilita', ivi inclusa quella per le spese del giudizio, e' sempre un comportamento, latamente censurabile, dal quale possa derivare ad altri un onere o peggio un danno ingiusto in rapporto diretto ed immediato di causalita' con la scelta altrui di agire o resistere in giudizio (Corte costituzionale, sentenza n. 46 del 1975). Cio' premesso, il mancato accoglimento della domanda, in cui si sostanzia il principio di soccombenza, non sempre e' un indice sufficiente a giustificare la condanna alla rifusione delle spese di giudizio, potendo l'esito negativo della lite essere condizionato da fattori sopravvenuti o comunque imponderabili, che sono valutati dal giudice ai fini di una eventuale compensazione, totale o parziale, delle spese. In tal senso di spiega la clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni», che nel processo civile (art. 92, comma 2, codice di procedura civile, come integrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018) e in quello tributario (art. 15, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546), attribuiscono al giudice un ineliminabile margine di discrezionalita' in materia di regolazione delle spese processuali. A tale proposito, per quanto specificamente riguarda il processo tributario, appare significativo il fatto che detta clausola generale sia stata introdotta dall'art. 9 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, in attuazione di una delega che prevedeva tra i suoi principi e criteri direttivi quello della «individuazione di criteri di maggior rigore nell'applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca» (art. 10, comma 1, lettera b, numero 11, legge 11 marzo 2014, n. 23). Viceversa, solo nel caso del processo contabile di responsabilita' amministrativa, il legislatore si e' spinto assai oltre, eliminando del tutto qualsiasi margine di discrezionalita' del giudice in caso di proscioglimento del convenuto per uno dei motivi di merito indicati nell'art. 31, comma 2, c.g.c., senza neppure offrire allo stesso il ricorso ad una analoga clausola generale che consenta di valutare adeguatamente la eventuali sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che imporrebbero la compensazione totale o parziale delle spese di giudizio. 43. Peraltro, la lesione del principio di ragionevolezza appare tanto maggiore se si considera che la fondamentale caratteristica dei giudizi di responsabilita' amministrativa e' l'impulso d'ufficio, con azione promossa da un organo indipendente ed imparziale quale il procuratore regionale della Corte dei conti (Corte costituzionale, sentenza n. 201 del 1976). Invero, se da un lato l'accertamento giudiziale della mancanza di uno dei requisiti su cui tradizionalmente si fonda la responsabilita' amministrativa - tra cui, in particolare, quello della colpa grave - e' spesso il frutto di una valutazione ampiamente discrezionale del giudice (ma si pensi, anche all'accertamento del nesso di causalita' in un giudizio di responsabilita' amministrativa originato da colpa medica), dall'altro lato non va sottaciuto che il pubblico ministero contabile e' obbligato per legge ad esercitare l'azione di responsabilita' ogniqualvolta «vi siano elementi sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilita'» (a contrariis ex art. 69, comma 1, c.g.c.). In particolare, la norma che impone al procuratore regionale di esercitare l'azione di responsabilita' laddove «vi siano elementi sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilita'», lungi dall'imporre al procuratore regionale di esercitare l'azione di responsabilita' amministrativa solo in caso di certezza della condanna, «consiste in una valutazione degli elementi acquisiti non [...] nella chiave dell'esito finale del processo, bensi' nella chiave della loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio. Il quadro acquisitivo viene, cioe', valutato non nell'ottica del risultato dell'azione, ma in quella della superfluita' o no dell'accertamento giudiziale, che e' l'autentica prospettiva di un pubblico ministero, il quale, nel sistema, e' la parte pubblica incaricata di instaurare il processo» (Corte costituzionale, sentenza n. 88 del 1991). Del resto, che il provvedimento di archiviazione del pubblico ministero contabile, previsto dall'art. 69, comma 1, c.g.c., non possa essere inteso come strumento deflattivo del contenzioso, appare comprovato dall'introduzione dei riti speciali, di cui agli articoli 130 ss. c.g.c., cui, al contrario, sono demandate tali finalita'. Di conseguenza, addossare in via automatica le spese di giudizio all'amministrazione di apparenza del convenuto prosciolto per uno dei motivi dall'art. 31, comma 2, c.g.c., prescindendo dal carattere doveroso (e meritorio) dell'azione di responsabilita' a fronte di comportamenti comunque colposi e produttivi di danno per l'amministrazione medesima, appare non solo irragionevole, ma addirittura paradossale. Tanto piu' che l'art. 31, comma 3, c.g.c. non offre al giudice contabile il possibile ricorso alla clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni», tradizionalmente impiegata per perimetrare l'ineliminabile margine di discrezionalita' che al giudice deve essere riconosciuta in materia di regolazione delle spese processuali. 44. Inoltre, il divieto imposto al giudice contabile, in termini assoluti, di compensare le spese di giudizio in caso di proscioglimento del convenuto per uno dei motivi indicati dall'art. 31, comma 2, c.g.c., con la conseguente automatica liquidazione, a carico dell'amministrazione di appartenenza, dell'ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa, unitamente alla mancanza di una siffatta clausola generale nell'art. 31, comma 3, c.g.c., si traducono inevitabilmente in una remora, in capo al procuratore regionale, all'esercizio dell'azione di responsabilita' in tutti i casi in cui questi non sia e non possa essere certo della condanna, potendo un eventuale proscioglimento tradursi in una ulteriore spesa per l'amministrazione danneggiata anche in situazioni oggettivamente dubbie, che imporrebbero comunque il vaglio giudiziale (come nei molti casi in cui la condotta del convenuto si ponga ai margini dei labili confini della colpa grave). Di conseguenza, la rigidita' di tale divieto, anche a fronte di situazioni processuali in cui il procuratore regionale non possa in alcun modo prevedere ex ante l'esito processuale della propria azione, in quanto inevitabilmente condizionato da valutazioni ampiamente discrezionali del giudice, si mostra non solo lesiva del principio di ragionevolezza, di cui all'art. 3 della Costituzione, ma «ridonda anche in violazione del canone del giusto processo (art. 111, primo comma, Cost.) e del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.) perche' la prospettiva della condanna al pagamento delle spese di lite anche in qualsiasi situazione del tutto imprevista ed imprevedibile per la parte che agisce o resiste in giudizio puo' costituire una remora ingiustificata a far valere i propri diritti» (Corte costituzionale, sentenza n. 77 del 2018). Sotto tale ultimo profilo, infatti, benche' il rimborso delle spese legali sia posto a carico dell'amministrazione di appartenenza del convenuto prosciolto, non puo' ignorarsi il fatto che la missione istituzionale del pubblico ministero contabile nell'esercitare l'azione di responsabilita' amministrativa sia quella di curare gli interessi finanziari delle amministrazioni pubbliche asseritamente danneggiate, con la conseguenza che la mera prospettiva di essere possibile «causa» di ulteriori esborsi per le amministrazioni in questione in tutti i casi oggettivamente dubbi, che comunque impongono il vaglio giudiziale, potrebbe disincentivare l'esercizio dell'azione di responsabilita' amministrativa in tutti i casi in cui il procuratore regionale non sia certo dell'esito del processo. 45. Le predette criticita', ad avviso del collegio assumono una lesivita' ancora maggiore, in riferimento a tutti i parametri sopra considerati, in considerazione del fatto che l'art. 31, comma 3, c.g.c., fermo il divieto di cui al precedente comma 2, circoscrive la possibilita' di compensare le spese del giudizio a poche tassative ipotesi («soccombenza reciproca»; «assoluta novita' della questione trattata»; «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti»; «definizione del giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari»), senza contemplare la possibilita' per il giudice, in caso di gravi ed eccezionali ragioni, ovviamente da motivare ai sensi dell'art. 111, comma 6, della Costituzione, di disporre la compensazione parziale o integrale delle spese. Muovendo dalle osservazioni formulate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 77 del 2018, infatti, e' possibile affermare che l'«assoluta novita' della questione», prevista dalla disposizione censurata, sia di fatto «riconducibile, piu' in generale, ad una situazione di oggettiva e marcata incertezza, non orientata dalla giurisprudenza. In simmetria e' possibile ipotizzare altre analoghe situazioni di assoluta incertezza, in diritto o in fatto, della lite, parimenti riconducibili a "gravi ed eccezionali ragioni"». Ne consegue «che contrasta con il principio di ragionevolezza [...] aver il legislatore del [2016] tenuto fuori dalle fattispecie nominate, che facoltizzano il giudice a compensare le spese di lite in caso di soccombenza totale, le analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravita' ed eccezionalita' di quelle tipiche espressamente previste dalla disposizione censurata. La rigidita' di tale tassativita' ridonda anche in violazione del canone del giusto processo (art. 111, primo comma, Cost.) e del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.) perche' la prospettiva della condanna al pagamento delle spese di lite anche in qualsiasi situazione del tutto imprevista ed imprevedibile per la parte che agisce o resiste in giudizio puo' costituire una remora ingiustificata a far valere i propri diritti» (Corte costituzionale, sentenza n. 77 del 2018). 46. In conclusione, per il concorso di tutte le suddette ragioni, il collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui all'art. 31, commi 2 e 3, del codice di giustizia contabile (nel testo approvato dal decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174), in riferimento agli articoli 3, 24, comma 1, e 111, comma 1, della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che il giudice, anche in caso di intervenuto proscioglimento nel merito per mancanza di uno degli elementi indicati dall'art. 31, comma 2, c.g.c., possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle tassativamente indicate dall'art. 31, comma 3, c.g.c.