CORTE D'APPELLO DI MILANO 
                        Sezione prima civile 
 
    Composta dai magistrati: 
      dott. Massimo Meroni - Presidente e relatore; 
      dott.ssa Maria Jole Fontanella - Giudice; 
      dott.ssa Silvia Giani - Giudice; 
    nella causa civile iscritta al n. R.G. 1996/2017 promossa da: 
      B. C. (C.F..), elettivamente domiciliato in corso  Archinti  n.
70 - 26900 Lodi, presso lo  studio  dell'avv.  Ciceri  Marc,  che  lo
rappresenta e difende come da delega  in  atti,  unitamente  all'avv.
Boneschi Matteo (BNSMTT75L12E648O) - corso Archinti  n.  70  -  26900
Lodi - Appellante; 
      Italo Sicav plc (C.F..),  elettivamente  domiciliato  in  viale
Sarca n. 324/B - 20126 Milano,  presso  lo  studio  dell'avv.  Coscia
Maria Grazia, che lo rappresenta e difende come da  delega  in  atti,
unitamente  all'avv.  Frascino  Elena  (FRSLNE67L46A783Y)  -   piazza
Colonna, Palazzo Alberti - 82100 Benevento - Appellata. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza, 
    La Corte, ritenuto che: 
      la  sentenza   impugnata   ha   dichiarato   l'improcedibilita'
dell'opposizione a decreto ingiuntivo,  proposta  dall'odierna  parte
appellante per mancato  esperimento  del  tentativo  obbligatorio  di
mediazione; 
      l'appellante ha  censurato  tale  statuizione,  denunciando  la
violazione dell'art. 5, decreto legislativo n. 28/2010, per avere  il
Tribunale omesso di assegnare  il  termine  di  quindici  giorni  per
esperire   la   mediazione   obbligatoria   prima    di    dichiarare
l'improcedibilita', come previsto dalla disposizione suddetta; 
      tale  censura  e'  fondata  e,  pertanto,  questa  Corte,   con
ordinanza del 12 ottobre - 27 novembre 2017, ha assegnato il  termine
di giorni quindici per la presentazione della domanda di  mediazione,
sospendendo altresi' l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata; 
      la procedura di mediazione e'  stata  esperita,  sia  pure  con
esito negativo; pertanto la condizione di procedibilita'  di  cui  al
suddetto art. 5, decreto legislativo n. 28/2010 risulta soddisfatta; 
      con l'atto di opposizione  a  decreto  ingiuntivo  l'opponente,
odierna appellante, aveva anche chiesto  di  chiamare  in  causa  UBI
Assicurazioni S.p.A.,  allegando  la  sussistenza  di  una  copertura
assicurativa del finanziamento bancario a suo tempo concessole da UBI
Banca  S.p.A.  e  di  cui  l'appellata  Italo  Sicav  p.l.c.,   quale
cessionaria del credito restitutorio di UBI Banca S.p.A., ha intimato
il pagamento in via monitoria; 
      in particolare, l'opponente, odierna  appellante,  ha  allegato
che,  in  forza  della  garanzia   assicurativa   prestata   da   UBI
Assicurazioni S.p.A., peraltro appartenente allo stesso gruppo di UBI
Banca  S.p.A.  che  aveva  erogato  il  finanziamento,  la  compagnia
assicuratrice sarebbe  dovuta  intervenire  a  copertura  del  debito
residuo in  caso  di  perdita  di  impiego;  secondo  le  allegazioni
dell'opponente, tale ipotesi ricorreva  nel  caso  concreto,  perche'
ella era lavoratrice coadiuvante del marito e, a seguito della  morte
dello stesso, era rimasta priva di occupazione lavorativa; 
      l'opponente aveva richiesto di essere autorizzata a chiamare in
garanzia UBI Assicurazioni S.p.A. nell'atto di opposizione a  decreto
ingiuntivo, conformandosi alla consolidata giurisprudenza della Corte
di Cassazione, secondo cui, qualora l'opponente intenda  chiamare  un
terzo, non puo' provvedere direttamente alla sua  citazione  ma  deve
chiedere al giudice, con l'atto di opposizione, di essere autorizzato
alla chiamata del terzo, al quale ritenga comune la causa o dal quale
chieda  di  essere  mallevato  e  tenuto  indenne  (ex  multis  Cass.
21101/2015); 
      sul piano del regime processuale, con  riguardo  alla  chiamata
del terzo in  garanzia  non  ha  alcun  rilievo  la  distinzione  tra
garanzia propria  e  garanzia  impropria,  applicandosi  la  medesima
disciplina  processuale  ad  ambedue  le  ipotesi  (Cass.   S.U.   n.
24707/2015); 
      avendo  il  Tribunale  ritenuto,  erroneamente,   improcedibile
l'opposizione  proposta  dall'odierna  appellante,  la  richiesta  di
autorizzazione alla chiamata in causa del terzo  da  quella  proposta
non e' stata neppure presa in considerazione e valutata nel  giudizio
di primo grado; 
      la richiesta di chiamata in causa di UBI  Assicurazioni  S.p.A.
e' stata  reiterata  dall'appellante  nell'atto  di  appello,  previa
rimessione della causa davanti al Giudice di primo grado; 
      l'opponente ha  subito,  per  conseguenza,  un  pregiudizio  al
proprio diritto di difesa, posto che nel presente  grado  di  appello
l'intervento del terzo e' consentito solo nelle limitate  ipotesi  di
cui all'art. 344 codice di procedura civile, cioe' esclusivamente  ai
soggetti legittimati a  proporre  l'opposizione  di  terzo  ai  sensi
dell'art. 404 codice di procedura civile; poiche' il terzo di cui  e'
stata richiesta la chiamata  in  giudizio,  cioe'  UBI  Assicurazioni
S.p.A.,  non  rientra  tra  i  soggetti  legittimati   all'intervento
volontario  o  coatto  in  appello,  l'appellante  non  puo'   essere
autorizzata in questo grado a chiamare  in  causa  UBI  Assicurazioni
S.p.A.; 
      la  possibilita'  per  l'opponente,  odierno   appellante,   di
proporre autonomo giudizio nei confronti del  terzo,  trattandosi  di
cause scindibili, non elimina il pregiudizio del diritto di difesa da
lui subito per essergli stata negata, senza  alcuna  valutazione,  la
chiamata in causa del terzo nel giudizio principale, in cui lo stesso
rivestiva la parte di convenuto sostanziale, atteso che, in  caso  di
chiamata in garanzia impropria, essendo l'azione principale e  quella
di garanzia fondate su titoli diversi, ne consegue che il  giudicato,
che si forma sull'azione principale, non estende i suoi  effetti  nei
confronti  del  terzo  in  ordine  al  rapporto  sussistente  tra  il
convenuto nell'azione  principale  e  il  terzo  garante  (cf.  Cass.
2557/2010, I 1454/2003). 
    L'appellante ha invero chiesto di rimettere la causa  davanti  al
Giudice di primo grado, in applicazione analogica degli articoli  353
e 354 c.p.c., affinche' in tale grado di giudizio  possano  svolgersi
tutte  le  attivita'  difensive   impedite   dall'erronea   prematura
conclusione  del  grado  con   la   pronuncia   di   improcedibilita'
dell'opposizione; 
    tuttavia, in base al  consolidato  orientamento  della  Corte  di
Cassazione, le ipotesi di rimessione della causa al Giudice di  primo
grado contemplate dagli articoli 353 e 354 codice di procedura civile
sono  eccezionali,  tassative  e  non  suscettibili  di  applicazione
analogica (v., ex plurimis Cass., 24017/2017); 
    le ipotesi di cui agli articoli 353 e  354  codice  di  procedura
civile  sono  frutto  della  tipizzazione  normativa  dei  casi  piu'
frequenti,  nei  quali  la  giurisprudenza  anteriore  al  codice  di
procedura civile del 1940 (stante il silenzio serbato dal  previgente
codice di procedura civile del 1865) aveva  ritenuto  sussistere  una
grave lesione del contraddittorio, cosi'  da  imporre  la  rimessione
della causa in primo grado; 
    sennonche', nel periodo di vigenza del codice di procedura civile
del 1865 l'appello era concepito come «novum iudicium»,  con  effetto
devolutivo pieno e prosecuzione della «cognitio causae», con  annesso
possibile arricchimento  del  materiale  assertivo  e  probatorio  in
secondo grado mediante l'ingresso di «nova»; 
    trasformatosi  l'appello  da  mezzo  di  gravame   a   mezzo   di
impugnazione, da «novum iudicium» a «revisio  prioris  instantiae»  e
(soprattutto dopo la riforma del  2012)  in  strumento  di  controllo
della correttezza in fatto e  in  diritto  della  sentenza  di  primo
grado,   in   relazione   agli   errori   specificamente   denunciati
dall'appellante, con definitiva chiusura a  qualunque  nuovo  apporto
assertivo e probatorio, emerge evidente il carattere  strutturalmente
refrattario di un appello, cosi'  concepito  e  congegnato  in  forme
collegiali innanzi alle corti territoriali, poco adatte ad accogliere
e a svolgere quell'attivita' di istruzione in senso lato erroneamente
omessa dal giudice di prime cure, il cui ruolo istituzionale dovrebbe
essere proprio quello di  istruire  compiutamente  la  lite  in  ogni
profilo rilevante; il che induce a sottoporre a  un  ripensamento  la
limitazione della rimessione in primo grado a una  serie  di  ipotesi
tipizzate e tassativamente determinate per legge; 
    se l'appello diviene mezzo di impugnazione  sia  pure  a  critica
illimitata, ma a matrice quasi cassatoria,  come  risulta  dal  nuovo
art.  342  codice  di  procedura  civile  (cioe'  con  una  «cognitio
appellationis» essenzialmente circoscritta  ai  motivi  fatti  valere
dall'appellante), completamente chiuso ai «nova» salvo rimessione  in
termini per causa non imputabile (ai sensi dell'art.  345  codice  di
procedura civile, post riforma del 2012), ogniqualvolta il giudice di
primo grado abbia prematuramente deciso la controversia, erroneamente
accogliendo un'eccezione pregiudiziale di  rito  e,  per  effetto  di
cio', pregiudicando il diritto di difesa e le istanze formulate dalle
parti (quale un'istanza di chiamata in causa del terzo in  garanzia),
pare irragionevole e contrario  agli  articoli  3,  24  e  111  Cost.
escludere la rimessione della causa in primo grado e impedire, in tal
modo, il pieno sviluppo del contraddittorio e del diritto  di  difesa
nella sede istituzionalmente a cio' deputata, anche in ragione  delle
su indicate  modifiche  che  hanno  interessato  la  struttura  e  la
funzione del giudizio in appello; 
    si tratta, invero,  di  un  esito  che  costituisce  il  naturale
portato dell'inesorabile trasformazione del giudizio  di  appello  in
impugnazione chiusa e strettamente circoscritta  a  una  funzione  di
controllo degli errori denunciati dall'appellante;  ben  altro  conto
era, infatti, chiudere le ipotesi di rimessione in primo grado a  una
cerchia tassativamente predeterminata, allorche' l'appello costituiva
naturale sviluppo del giudizio di primo  grado,  secondo  il  modello
francese del «novum  iudicium»  di  derivazione  romano-canonica,  al
quale originariamente si era ispirato  il  legislatore  italiano  del
1865 e  ancora  si  ispirava  legislatore  della  riforma  del  1940,
introdotta nel 1950; 
    il codice del processo amministrativo  introdotto  nel  2010  ha,
invero, tenuto  conto  di  tale  evoluzione  dell'appello  da  «novum
iudicium» a «revisio prioris instantiae», prevedendo che il Consiglio
di Stato  rimetta  la  causa  in  primo  grado,  «se  e'  mancato  il
contraddittorio, oppure e' stato leso il diritto  di  difesa  di  una
delle parti, ovvero dichiara la nullita' della sentenza, o riforma la
sentenza o  l'ordinanza  che  ha  declinato  la  giurisdizione  o  ha
pronunciato sulla  competenza  o  ha  dichiarato  l'estinzione  o  la
perenzione del giudizio» (art. 105, comma 1, decreto  legislativo  n.
104/2010, sul quale  cf.,  da  ultimo,  Cons.  Stato,  ad.  plen.  n.
15/2018); 
    il difetto del contraddittorio e la lesione al diritto di  difesa
costituiscono fattispecie certamente tassative, ma comunque aperte ad
accogliere tutte le ipotesi, in cui  il  diritto  di  difesa  risulti
pregiudicato, come accade quando l'autorizzazione  alla  chiamata  in
causa del terzo sia mancata per l'erronea chiusura  del  giudizio  di
primo grado  da  parte  del  Giudice  sulla  base  di  una  questione
pregiudiziale di rito,  senza  procedere  neppure  all'esame  e  alla
valutazione dell'istanza  di  chiamata  in  causa  tempestivamente  e
debitamente formulata dalla parte; 
    la contrarieta' dell'art. 354 codice  di  procedura  civile  agli
articoli 3, 24  e  111  Cost.,  oltre  che  all'art.  6  CEDU,  quale
parametro interposto ai sensi dell'art.  117  comma  1  Cost.  appare
evidente; 
    nel  caso  di  specie  e  come  spiegato,  l'opponente,   odierno
appellante,  aveva  ritualmente  chiesto  di  chiamare  in  causa  in
garanzia  UBI  Assicurazioni  S.p.A.,  ritenendo   che   il   credito
restitutorio monitoriamente azionato dalla  cessionaria  del  credito
originariamente vantato da UBI Banca S.p.A. dovesse essere rimborsato
dalla  compagnia  assicuratrice,  in  quanto   ricorreva   un'ipotesi
contemplata nelle condizioni della copertura assicurativa prestata; 
    il diniego di tale chiamata in primo grado e l'impossibilita'  di
ammetterla nel presente grado di appello, in  quanto  non  rientrante
nelle ipotesi in cui e' consentito l'intervento del terzo in  appello
ai sensi dell'art. 344 codice di procedura civile, ha pregiudicato il
diritto di difesa della parte opponente e reso impossibile dare corso
alla domanda di garanzia nei confronti del  terzo  di  cui  e'  stata
chiesta l'evocazione in giudizio; 
    cio' determina un evidente pregiudizio al diritto di difesa della
parte, in contrasto con i fondamentali principi del giusto  processo,
sanciti dagli articoli 24 e 111  Cost.,  nonche'  dall'art.  6  CEDU,
quale parametro interposto ai sensi dell'art. 117 comma 1 Cost.; 
    l'esclusione della rimessione  della  causa  in  primo  grado  in
ipotesi di difetto del contraddittorio e di lesione  del  diritto  di
difesa   appare   altresi'   irragionevole,   anche   alla    stregua
dell'evoluzione funzionale e  strutturale  del  giudizio  di  appello
sopra illustrata, oltre a risultare in contrasto con quanto  previsto
per il processo amministrativo dall'art. 105, decreto legislativo  n.
104/2010, cosi' palesandosi un'evidente disparita' di trattamento tra
modelli processuali, che dovrebbero rispondere ai  medesimi  principi
fondamentali del giusto processo, come  espressamente  risulta  dagli
stessi articoli 1 e 2, decreto legislativo n. 104/2010; 
    stante il consolidato orientamento della Corte di  Cassazione  in
ordine alla tassativita' delle ipotesi di rimessione della  causa  in
primo grado contemplate negli articoli 353 e 354 codice di  procedura
civile,  non  appare  possibile  alcuna   interpretazione   di   tali
disposizioni adeguatrice e conforme ai canoni  costituzionali  teste'
indicati; 
    si solleva  pertanto  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 354 codice di procedura civile,  nella  parte  in  cui  non
prevede che il giudice d'appello debba rimettere la  causa  al  primo
giudice, se e' mancato il contraddittorio oppure  e'  stato  leso  il
diritto di difesa di una delle parti. 
    Tanto premesso, la Corte, visto l'art. 23, legge n. 87/1953.