TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA 
 
    Il giudice, 
    sentita la discussione nel processo con rito abbreviato a  carico
di B.G. e A.D. (5948/16), 
 
                               Osserva 
 
    1. B.G. e A.D. sono stati chiamati a rispondere, anche a  seguito
delle   lievi   correzioni   apportate   dal    pubblico    ministero
all'imputazione nell'udienza del 29 novembre 2018, del «reato p. e p.
dagli articoli 110 del codice penale, 3, numeri 3 e 8,  e  4,  n.  7,
della legge n. 75/1958 per avere, in concorso morale e materiale  fra
loro, e precisamente B. quale vero gestore e A. quale  suo  factotum,
favorito e, comunque, tollerato abitualmente (percependo la somma  di
30 euro ogni venti minuti trascorsi da una ragazza/socia in compagnia
degli avventori del circolo) l'attivita' di meretricio di ragazze che
figuravano come  socie  dell'esercizio  stesso  -  tra  le  quali  la
cittadina rumena di nome D. - mettendo loro a disposizione  i  locali
dei  circoli  privati  G.R.  di  via  ...   (sino   alla   cessazione
dell'attivita' avvenuta il 6 ottobre 2006) e T.B. di via ... (sino al
sequestro preventivo dei locali avvenuto il 24 giugno 2017)  da  loro
gestiti in qualita' rispettivamente di presidente  e  vicepresidente,
luoghi di prostituzione che  si  consumava  abitualmente  nei  privee
[sic] o, per quanto concerne il circolo T.B., anche in stanze ubicate
al piano superiore del locale stesso, dietro il compenso di somme  di
denaro che di volta in volta venivano pattuite  direttamente  tra  la
ragazza/socia e gli avventori (in media 50 euro per un rapporto orale
e 70/80 euro per un rapporto completo) - in Reggio Emilia, sino al 24
giugno 2016 (data del sequestro dell'immobile T.B.)». 
    Gli imputati hanno chiesto il rito abbreviato e, nel corso  della
discussione, eccepito l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,
comma 1, numeri 3 e 8, della legge n. 75/1958  per  violazione  degli
articoli 2, 3, 13, 25,  27  e  41  della  Costituzione;  il  pubblico
ministero si e' associato. 
    2. Conviene premettere che dagli  atti  di  indagine,  pienamente
utilizzabili in forza del rito, emerge un quadro del  tutto  univoco:
in due circoli privati, alla cui vita B. e A. davano il loro apporto,
il primo come presidente o comunque figura apicale, il  secondo  come
barista e tuttofare, giovani donne  incontravano  uomini,  giovani  e
meno giovani, con i quali mangiavano, bevevano  e  facevano  sesso  a
pagamento. 
    Tutto avveniva fra adulti consenzienti: maggiorenni e vaccinati i
clienti, maggiorenni e «autonome», come efficacemente si  esprime  A.
in una conversazione registrata da un giornalista  in  incognito,  le
ragazze. 
    3. La rilevanza della questione e' del tutto evidente: se le  due
norme incriminatrici - o le due  fattispecie  dell'unica  norma,  non
cambia  niente  -  fossero  dichiarate  incostituzionali,  B.  e   A.
verrebbero assolti perche' il fatto non e' previsto dalla legge  come
reato, senza nessun esame del merito, perche' non ci sarebbe piu'  un
merito penalistico; altrimenti, ad un esame del  merito  si  dovrebbe
arrivare, e difficilmente potrebbe essere del tutto  liberatorio  per
entrambi. 
    4. Cominciamo dal principio di offensivita', con il quale sia  la
tolleranza abituale, prevista dall'art. 3, comma  1,  n.  3,  sia  il
favoreggiamento, previsto dall'art. 3, comma 1, n. 8, della legge  n.
75/1958, sembrano porsi in aperta collisione. 
    Non occorre ricordare che non ci puo' essere reato senza offesa a
un bene giuridico: gli  articoli  13,  25  e  27  della  Costituzione
vincolano il legislatore a «prevedere fattispecie  che  esprimano  in
astratto un contenuto lesivo» (Corte costituzionale 265/2005). 
    Qual   e',   dunque,   l'interesse    tutelato    dalle    nostre
incriminazioni? 
    Sottolineiamo  preliminarmente   che   dalla   tipicita',   tanto
dell'art. 3, comma 1, n. 3 (tolleranza abituale), quanto dell'art. 3,
comma  1,  n.  8  (favoreggiamento),  esula  qualunque  elemento   di
costrizione o inganno, rilevante invece nei termini della circostanza
aggravante ex art. 4,  n.  1,  della  legge  n.  75/1958;  del  pari,
sottolineiamo ancora,  esula  qualunque  elemento  di  costrizione  o
inganno dalla concreta vicenda storica portata a giudizio. 
    5. E' ormai del tutto abbandonata l'idea che l'interesse tutelato
possa  identificarsi  con  la  salute  pubblica  in  relazione   alla
diffusione delle malattie veneree (si veda C 35776/2004,  che  verra'
ripresa piu' avanti). 
    Moralita' pubblica e buon costume sono quasi scomparsi, come beni
giuridici,  anche  livello  di   legislazione   ordinaria,   con   il
progressivo svuotarnento del  titolo  IX  del  libro  II  del  codice
penale; la prima e' ormai un relitto del passato per la sua  radicale
incompatibilita' con un ordinamento laico e aconfessionale, mentre il
secondo  sopravvive   solo   come   protezione   della   sensibilita'
individuale contro l'esposizione a scene sessuali non gradite: niente
che possa esserci di aiuto, in ogni caso. 
    6.  Di  ben  altro  momento  la  dignita'  della  persona,  e  in
particolare  della  persona  che  si  prostituisce,  ma  qui  bisogna
intendersi. 
    Se ci riferiamo alla dignita' oggettiva, quella che deriva  dalle
norme di cultura, abbiamo un oggetto di tutela plausibile e con  ogni
probabilita' corrispondente alle intenzioni del legislatore  storico,
ma incompatibile con il principio di laicita' e con la considerazione
- presupposta dallo stesso  art.  2  della  Costituzione  -  di  ogni
soggetto maggiorenne e capace come libero  di  autodeterminarsi:  non
possiamo, in altre parole, trattare la prostituta  come  minorenne  o
incapace e imporle il nostro concetto di dignita'. 
    Possiamo invece riferirci alla dignita'  soggettiva,  quella  che
consegue alle scelte di ciascuno, libere finche' non cagionino  danno
ad altri: ma nemmeno questo puo' essere il bene giuridico protetto da
norme che - indifferenti, come si  e'  detto,  ad  ogni  elemento  di
costrizione o di inganno - puniscono chi collabora all'attuazione  di
una scelta libera di persone maggiorenni e capaci. 
    7. Si viene cosi alla  liberta'  di  determinazione:  appunto  la
liberta' di determinazione della donna, anche  nel  prostituirsi,  e'
individuato come il bene protetto dall'intero art. 3 della  legge  n.
75/1958  in  un  noto  arresto  del  giudice   di   legittimita'   (C
35776/2004), seguito nella sostanza dalla giurisprudenza successiva. 
    Ma non puo' essere, in tutta  evidenza,  il  fuoco  delle  nostre
incriminazioni,  che  non  postulano  come  elemento  di  fattispecie
nessuna lesione della liberta' di determinazione e si applicano anche
quando la prostituta si concede per scelta  libera  e  consapevole  -
come appunto accadeva nei nostri circoli. 
    Del resto, se si prendesse sul serio la tesi  della  liberta'  di
determinazione come bene protetto, bisognerebbe  essere  coerenti,  e
riconoscere che, quando la lesione non c'e' perche' la prostituta  e'
felice di prostituirsi, il fatto non  e'  tipico  perche'  del  tutto
inoffensivo, o almeno non e' antigiuridico perche' scriminato ex art.
50 del codice penale dal consenso dell'avente diritto: ma  e'  questa
una conclusione alla quale il diritto vivente, a  quanto  consta,  si
rifiuta ostinatamente di arrivare. 
    8.  Abbiamo,  in  definitiva,  due   norme   incriminatrici,   la
tolleranza abituale ex art. 3, comma 1, n. 3 e il favoreggiamento  ex
art. 3, comma 1, n. 8, della legge n.  75/1958,  che  sacrificano  il
bene primario della liberta' personale, comminando la  reclusione  da
due a sei anni, senza offrire protezione a  un  altro  bene  di  pari
rilevanza - per la verita', senza offrire protezione  a  nessun  bene
riconoscibile. 
    La violazione del  principio  di  offensivita',  e  quindi  degli
articoli 13, 25 e 27 della Costituzione, e' fortemente indiziata. 
    9. Se la descrizione del fatto che troviamo nell'art. 3, comma 1,
n.  3,  non  suscita  particolari  problemi,  pare   difficile   dire
altrettanto dell'art. 3, comma 1, n. 8, della legge n. 75/1958  nella
parte che ci interessa: anche con il principio di precisione  sancito
dall'art. 25 della Costituzione si registrano forti tensioni. 
    Secondo l'autorevole lettura di C 49643/2015, il  favoreggiamento
sarebbe un reato a forma libera; reati cosi' costruiti  esistono,  ed
occupano anzi un  posto  centrale  nel  sistema,  ma  presentano  una
caratteristica  indefettibile:  la  fattispecie  comprende  anche  un
evento. 
    E' grazie all'evento e ai nessi che lo  legano  alla  condotta  -
causalita', imputazione oggettiva, colpa o dolo - che la  descrizione
del fatto viene recuperata  ad  un  grado  di  determinatezza  sempre
sufficiente, e spesso anche notevole. 
    Ma il nostro e' in genere concepito come reato di pura  condotta:
e un reato di pura condotta a forma libera costituisce  la  negazione
conclamata di ogni determinatezza. 
    Si puo'  tentare  di  sostituire  l'evento,  nell'economia  della
fattispecie, con la prostituzione altrui? Forse, ma la situazione non
e' destinata a migliorare. 
    10. Quello di favoreggiamento e' il classico  concetto  vago:  si
raccoglie attorno ad un nucleo centrale - favorire  la  prostituzione
significa  aiutarla,  agevolarla,  renderla  piu'  facile,  comoda  o
proficua - ma presenta confini esterni indefiniti e indefinibili, con
la conseguenza che una moltitudine di casi possono essere compresi  o
esclusi a seconda delle personali  concezioni,  in  definitiva  della
personale visione della vita, del giudice. 
    Le oscillazioni della giurisprudenza sono discusse, e  censurate,
in qualunque saggio recente che si occupi della materia: si pensi  al
caso, che puo' toccarci  da  vicino  per  la  posizione  di  A.,  del
cameriere o addetto ai servizi accessori, assolto da C  38924/2009  e
condannato da C 37578/2009, a distanza di pochi giorni. 
    Ne' e' dato comprendere perche' non risponda  di  favoreggiamento
chi  pubblicizza  sui  giornali  l'attivita'  della   prostituta   (C
48981/2014), ma ne sia invece colpevole il taxista che la  porta  sul
posto di lavoro (C 28212/2016). 
    Non stupiscono, le oscillazioni, perche' la clausola in qualsiasi
modo, con cui esordisce la disposizione, e'  in  grado  di  frustrare
anche i piu' accorti tentativi di  ricavare  dal  dato  testuale  una
norma tassativa, e, in ogni caso, gli strumenti messi in  campo  fino
ad ora dagli interpreti sono alquanto modesti. 
    11. Alludiamo in primo luogo  alla  distinzione  fra  aiuto  alla
prostituzione e aiuto alla prostituta, che puo'  servire  ad  evitare
qualche  palese  iniquita'  ma  non  ha  nessun  fondamento  empirico
verificabile: chi aiuta la prostituta aiuta,  inevitabilmente,  anche
quello che la prostituta fa, cioe' la prostituzione. 
    12. Piu' fine, come arnese concettuale, il ricorso a parametri di
normalita' o adeguatezza sociale: gia' C 30852/2004 manda assolto  il
commerciante  autorizzato  di  presidi  sanitari  che  fornisce  alla
prostituta profilattici a prezzo di mercato  (ma  che  cosa  c'entra,
poi, il prezzo con  il  favoreggiamento?  se  fosse  esorbitante,  si
potrebbe  pensare  meglio  allo  sfruttamento);  di  normali   negozi
giuridici  parla  C  33160/2013,  mentre  CSU   16207/2014   vorrebbe
sottrarre alla punibilita' chi, nel concludere qualunque  affare  con
la prostituta, non ecceda «l'ordinaria prestazione di servizi». 
    Normalita'  e  adeguatezza  sociale,  come  e'  noto,  funzionano
abbastanza bene  quando  si  tratta  di  riempire  di  contenuto  una
clausola generale,  ma  non  si  adattano  alle  peculiari  esigenze,
fissate dall'art. 25 della Costituzione,  del  discorso  penalistico,
dove il discrimine fra lecito e illecito dovrebbe stare  tutto  nella
disposizione incriminatrice, all'interprete restando  il  compito  di
scoprirlo ricavando dalla disposizione la norma,  ma  non  quello  di
tracciarlo  creando  la  norma  giuridica  a  partire  da   parametri
socio-culturali. 
    12. Ma la fattispecie concreta che piu' chiaramente evidenzia  la
disarmonia tra favoreggiamento e principio di  precisione  e'  quella
del riaccompagnamento: il cliente che, a cose fatte, riaccompagna  la
prostituta nel luogo dove l'ha fatta salire in macchina, e  dove  lei
incontrera' certamente altri clienti, ne rende piu' facile, comoda  e
proficua la prostituzione successiva, cioe' la favorisce: perche' non
punirlo, allora, come imporrebbe la clausola in qualsiasi modo? 
    Quanto mai istruttiva la risposta di C 16536/2001: non lo puniamo
perche', se una cosa del genere non e' mai venuta in mente a  nessuno
in «oltre 42 anni» di applicazione della legge  n.  75/1958,  tirarla
fuori  adesso  «costituirebbe  aperta  violazione  del  principio  di
stretta  legalita'  sancito  dall'art.  25,  secondo   comma,   della
Costituzione e dall'art. 2 del codice penale». 
    A prescindere da ogni considerazione  sulla  giurisprudenza  come
fonte, quale migliore dimostrazione  che  legislatore  ha  rinunciato
alla funzione, assegnatagli dalla  Costituzione,  di  descrivere  con
precisione i  tratti  dell'illecito  penale,  e  l'ha  impropriamente
delegata al giudice? 
    13. Gli  altri  parametri  costituzionali  indicati  dalle  parti
devono intendersi assorbiti in quelli trattati sopra. 
    14. Non tocca certo al giudice rimettente  suggerire  alla  Corte
come rimediare  all'illegittimita'  costituzionale  denunciata;  solo
come  miglior  puntualizzazione  del  petitum,   si   puo'   tuttavia
aggiungere qualche parola. 
    Per armonizzare sia l'abituale tolleranza che il  favoreggiamento
al principio di offensivita' basterebbe forse dichiararli illegittimi
nella  parte  in  cui   si   applicano   anche   alla   prostituzione
volontariamente  e  consapevolmente  esercitata;  il   principio   di
precisione  destina  probabilmente  il  favoreggiamento   ad   essere
cancellato con un tratto di penna del giudice delle leggi.