IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA 
 
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel   procedimento   di
sorveglianza iscritto al n. 2019/961  SIUS  promosso  da  Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di  Alessandria  contro  Q.  R.,
nato ad ... il ..., residente  a  ...,  ...,  avente  ad  oggetto  la
conversione ex art. 55 decreto legislativo  n.  274/2000  della  pena
pecuniaria inflitta al predetto con sentenza emessa  dal  Giudice  di
pace di Alessandria il 17 novembre 2010 (irrevocabile il  17  gennaio
2011). 
    Con atto in data 11 dicembre 2018 il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Alessandria attivava presso questo Ufficio (ex
art. 238-bis, comma 2 ss., decreto del Presidente della Repubblica n.
115/2002) il  procedimento  di  conversione  per  insolvibilita'  del
condannato  della  pena  pecuniaria  inflitta  a  Q  R  (come   sopra
generalizzato) con sentenza emessa dal Giudice di pace di Alessandria
il 17 novembre 2010 (irrevocabile il 17 gennaio 2011). 
    Il Procuratore richiedente investiva questo  Ufficio  perche'  la
Corte  di  cassazione  [in  sede  di  risoluzione  di  conflitto   di
competenza  insorto  tra  il  medesimo  ed  il  Giudice  di  Pace  di
Alessandria  in  diverso  e  precedente   procedimento   (1)   ]aveva
dichiarato  la  competenza  della  magistratura  di  sorveglianza  in
subiecta materia. 
    Per le ragioni che si esporranno in seguito, lo scrivente intende
sollevare le questioni di legittimita' costituzionale: 
        a) dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 (trasfuso  a
sua volta nel decreto del Presidente della  Repubblica  n.  115/2002)
nella parte in cui ha  abrogato  l'art.  42  decreto  legislativo  n.
274/2000 (che assegnava al giudice di pace  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione la competenza a disporre la  conversione  della  pena
pecuniaria applicata da un giudice di pace), per violazione dell'art.
76 Cost.; 
    e  in  via  «indotta»  dall'eventuale  accoglimento  della  prima
questione (2) . 
        b) dell'art. 238-bis decreto del Presidente della  Repubblica
n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma  473,  legge  27  dicembre
2017, n. 205) nella parte in  cui  (commi  2,  5,  6  e  7),  facendo
riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione,
parla  specificamente  di  «magistrato  di  sorveglianza  competente»
anziche' enericamente di «giudice competente», per  violazione  degli
articoli  3  Cost.  (principio  di   ragionevolezza   e   canone   di
razionalita'), 97, comma  2,  Cost.  (principio  del  buon  andamento
dell'amministrazione  della  giustizia)  e  111,   comma   2,   Cost.
(principio della ragionevole durata del processo). 
    Poiche' tali questioni rappresentano il portato di una  complessa
vicenda  normativa  e   giurisprudenziale,   si   ritiene   opportuno
«ricapitolare» tale vicenda al fine di poter dare una piu'  chiara  e
(si  spera)  piu'  convincente  motivazione  della   «non   manifesta
infondatezza»  delle  questioni  stesse:  cosa  che  conferira'  alla
presente ordinanza di rimessione un'inconsueta ampiezza, della  quale
si chiede comprensione. 
    Per  rendere,  poi,  piu'  snella   la   lettura   dell'ordinanza
(limitando  al  massimo  la  presenza  nel  testo  di   «inciampanti»
parentesi), le si dara' un'insolita veste  grafica,  corredandola  di
note a pie' di pagina. 
    In via preliminare, infine, si ritiene  opportuno  premettere  il
seguente «Sommario» degli argomenti trattati  nei  singoli  paragrafi
della presente ordinanza di rimessione. 
    Sommario: 
        1. - La conversione per insolvibilita' del  condannato  delle
pene pecuniarie applicate dai  giudici  «ordinari»  nel  sistema  del
codice di procedura penale del 1988. 
        2. - La conversione per insolvibilita' del  condannato  delle
pene pecuniarie applicate dal giudice di pace  nel  «microsistema  di
tutela integrata» costituito dal decreto legislativo n. 274/2000. 
        3. -  La  coerenza  interna  degli  «originari  ed  autonomi»
sistemi di conversione del magistrato di sorveglianza e  del  giudice
di pace. 
        4. - La sopravvenuta disciplina della  conversione  posta  in
essere dal decreto legislativo n. 113/2002 (trasfuso nel decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002). 
        5. - L'incidenza di Corte costituzionale  n.  212/2003  sulle
regole di competenza divisate dal decreto legislativo n. 113/2002. 
        6.  - L'incidenza di Corte costituzionale n.  212/2003  sulle
regole   di   attivazione   del   procedimento   giurisdizionale   di
conversione. 
        7.  - La sentenza 15 novembre 2018, n. 56967 della  Corte  di
cassazione e sua critica. 
        8. - Rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate con la presente ordinanza. 
        9.  - Non manifesta  infondatezza  della  questione  relativa
all'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte  in  cui  ha
abrogato l'art. 42 decreto legislativo n.  274/2000,  per  violazione
dell'art. 76 Cost. 
        10.  - Non manifesta infondatezza  della  questione  relativa
all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n.  115/2002
nella parte in cui esclude dal suo ambito  operativo  il  giudice  di
pace in funzione di giudice dell'esecuzione. Premessa. 
        10. 1 - Non manifesta infondatezza della  questione  relativa
all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002,
se interpretato  nel  senso  di  aver  voluto  disciplinare  soltanto
l'attivazione  del  procedimento  di  conversione,   per   violazione
dell'art. 3 Cost. 
        10.  2  -  Non   manifesta   infondatezza   della   questione
riguardante l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n.
115/2002, se interpretato nel senso di aver voluto pure  disciplinare
ex novo la competenza relativa al procedimento  di  conversione,  per
violazione degli articoli 3, 97, comma 2, e 111, comma 2, Cost. 
        11. - Sintesi finale. 
    1. - La conversione per insolvibilita' del condannato delle  pene
pecuniarie applicate dai giudici «ordinari» nel sistema del codice di
procedura penale del 1988. 
    Dichiarato   incostituzionale   l'originario    istituto    della
conversione in pena detentiva della pena pecuniaria non eseguita  per
insolvibilita' del condannato (3) con la legge 24 novembre  1981,  n.
689 (art. 102 ss.) e' stato introdotto il sistema  della  conversione
della pena  pecuniaria  in  sanzioni  sostitutive:  piu'  esattamente
l'art. 102 legge n.  689/1981  menziona  al  riguardo  come  sanzioni
sostitutive la liberta' controllata  (prevista  dall'art.  55  stessa
legge) oppure, su richiesta del  condannato,  il  lavoro  sostitutivo
(previsto dall'art. 105). 
    Nel sistema «originario» della legge n.  689/1981  l'accertamento
dell'insolvibilita' del condannato e la conversione  erano  demandati
al pubblico ministero  o  al  pretore  quali  organi  competenti  per
l'esecuzione  (art.  586,  comma  3,  codice  di   procedura   penale
previgente), mentre al  magistrato  di  sorveglianza  (del  luogo  di
residenza del condannato) spettava soltanto il compito di determinare
le  modalita'  di  esecuzione   della   sanzione   sostitutiva   gia'
determinata dal pubblico ministero o dal pretore (art. 107  legge  n.
689/1981) (4) . 
    L'art. 660 codice di  procedura  penale  del  «nuovo»  codice  di
procedura penale del  1988  (5)  ha  «trasferito»  al  magistrato  di
sorveglianza  gli  incombenti  demandati  dal  codice  previgente  al
pubblico ministero o al pretore, stabilendo che spetta al  magistrato
di sorveglianza il compito di  accertare  l'effettiva  insolvibilita'
del  condannato,  disporre  la  rateizzazione  della  pena  ai  sensi
dell'art. 133-ter codice penale e/o la conversione. 
    Giova ribadire che all'epoca dell'entrata in vigore dell'art. 660
codice di procedura penale l'unica ipotesi  di  conversione  di  pena
pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato era  quella
divisata dall'art. 102 legge 24 novembre 1981, n. 689 (6) : di  guisa
soltanto a codesta ipotesi  andava  riferito  l'art.  660  codice  di
procedura penale. 
    Il procedimento di conversione incentrato sull'art. 660 codice di
procedura penale., infine, era  caratterizzato  ex  articoli  181-182
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (7) e  art.
30 reg. esec. codice di procedura penale (8) da  una  «frammentazione
di  competenze»  (vedendo  coinvolti  la  cancelleria   del   giudice
dell'esecuzione,  il  pubblico   ministero   e   il   magistrato   di
sorveglianza) e da lunghi «giri di valzer» da un ufficio ad un altro,
intercalati a  loro  volta  tra  inutili  «soste  intermedie»  presso
l'ufficio del pubblico ministero. 
    Piu' esattamente, tale procedimento si articolava nelle  seguenti
fasi: 
        attivazione  della  procedura  esecutiva   da   parte   della
cancelleria  del  giudice  dell'esecuzione  entro trenta  giorni  dal
passaggio in giudicato della sentenza (art. 181 disp. att. codice  di
procedura penale.); 
        trasmissione  di  copia  degli  atti  dalla  cancelleria  del
giudice dell'esecuzione al  pubblico  ministero,  in  caso  di  esito
negativo  della  procedura  esecutiva  per  il  recupero  della  pena
pecuniaria (art.  182,  comma  1,  disp.  att.  codice  di  procedura
penale.); 
        trasmissione da parte del  pubblico  ministero  degli  stessi
atti (ricevuti dalla  cancelleria  del  giudice  dell'esecuzione)  al
magistrato  di  sorveglianza  competente  [la   cui   individuazione,
peraltro, implicava preventivi accertamenti  da  parte  del  pubblico
ministero ai fini  dell'applicazione  dei  criteri  sulla  competenza
divisati dall'art. 677, commi 1-2, codice di procedura penale  (9)  .
(10) ai fini della conversione da parte di  quest'ultimo  (art.  660,
comma 2, codice di procedura penale.): 
        in  caso  di  accertata   insolvenza   del   condannato:   a)
conversione  della  pena  pecuniaria  da  parte  del  magistrato   di
sorveglianza  (normalmente  in  liberta'   controllata   oppure,   «a
richiesta del condannato», in lavoro sostitutivo: art. 102  legge  n.
689/1981); b)  trasmissione  del  provvedimento  di  conversione  dal
magistrato di sorveglianza  al  pubblico  ministero  richiedente;  c)
ulteriore successiva trasmissione del provvedimento di conversione da
parte del pubblico ministero al magistrato di sorveglianza del  luogo
di residenza  del  condannato  ai  fini  della  determinazione  delle
modalita' di esecuzione della sanzione conseguente  alla  conversione
(art. 107 legge n. 689/1981) (11) 
        in  caso  di  accertata  solvibilita'  del   condannato:   a)
restituzione degli atti al pubblico ministero da parte del magistrato
di sorveglianza (art. 30, comma 1, reg.  esec.  codice  di  procedura
penale.); b) successiva comunicazione da parte del pubblico ministero
dell'accertata  solvibilita'  del  condannato  alla  cancelleria  del
giudice dell'esecuzione  con  la  richiesta  di  rinnovo  degli  atti
esecutivi (art. 30, comma 2, reg. esec. codice di procedura penale.);
c) rinnovazione degli atti esecutivi da parte della  cancelleria  del
giudice dell'esecuzione (art. 30.  comma  2,  reg.  esec.  codice  di
procedura penale.): con la «ripresa del giro di valzer»,  ovviamente,
in caso di esito infruttuoso del rinnovo degli atti esecutivi per una
ragione qualunque (ad esempio, per  il  trasferimento  o  la  perdita
nelle more dei beni accertati nella precedente fase del  procedimento
innanzi al magistrato di sorveglianza) (12) 
    In virtu' dell'art. 1 codice di procedura penale., il sistema  di
conversione come sopra  delineato  riguardava,  ovviamente,  le  pene
pecuniarie inflitte o applicate dai giudici penali «ordinari»  (della
cognizione) operanti al momento dell'entrata in vigore del codice  di
procedura penale del 1988 (pretore, tribunale, corte di assise, corte
di appello e corte di assise di appello). 
    2. - La conversione per insolvibilita' del condannato delle  pene
pecuniarie inflitte dal giudice di pace nel «microsistema  di  tutela
integrata» costituito dal decreto legislativo n. 274/2000. 
     Con il decreto legislativo n. 28 agosto 2000,  n.  274  (13)  e'
stato «affiancato» al  modello  «ordinario»  di  procedimento  penale
(quello disciplinato dal codice di procedura penale) un  procedimento
specifico per i reati devoluti alla competenza del giudice  di  pace,
il  quale  e'  stato  concepito  come  un  «microsisterna  di  tutela
integrata» (14) avente «caratteri  assolutamente  peculiari,  che  lo
rendono non comparabile con il procedimento davanti al  tribunale,  e
comunque  tali  da  giustificare  sensibili  deviazioni  rispetto  al
modello ordinario» (15) 
     Tale procedimento si caratterizza in particolare: 
        per il fatto che, mentre le funzioni requirenti  sono  svolte
dal procuratore della Repubblica  presso  il  tribunale,  quelle  non
requirenti (o «giudicanti» lato sensu) sono esercitate  in  tutto  il
procedimento [compreso quello  di  esecuzione  (16)  ]  soltanto  dal
giudice di pace, il quale, per la maggiore vicinanza al corpo sociale
in quanto magistrato onorario, e' sembrato piu' idoneo  a  realizzare
«un riavvicinamento  della  collettivita'  all'amministrazione  della
giustizia anche nel delicato settore del  diritto  penale»  (17)  e a
favorire   quella conciliazione   che    «costituisce    l'obbiettivo
principale della giurisdizione penale affidata al  giudice  di  pace»
(18) ; 
        per  le  sue  «finalita'  di  snellezza,  semplificazione   e
rapidita'» (19) ; 
        per la «specialita'» del relativo sistema  sanzionatorio,  al
quale - da una  parte  -  restano  assolutamente  estranee  tutte  le
sanzioni principali non pecuniarie (reclusione e arresto) e tutte  le
sanzioni sostitutive (semidetenzione e liberta' controllata: art.  53
ss. legge n. 689/1981) applicabili dal giudice «ordinario»  [v.  art.
62 decreto legislativo n. 274/2000; e al quale - dall'altra  parte  -
ineriscono sanzioni principali  [c.d.  paradetentive:  la  permanenza
domiciliare (art. 53 decreto legislativo n. 274/2000 ) ed  il  lavoro
di pubblica utilita' (art. 54 decreto legislativo n.  274/2000)  (20)
(21)  o sanzioni sostitutive [la permanenza domiciliare e  il  lavoro
di pubblica utilita' (art. 55 stesso decreto legislativo n.), nonche'
l'espulsione sostitutiva  di  pena  pecuniaria  (art.  62-bis  stesso
decreto legislativo n.) (22) ] applicabili soltanto  dal  giudice  di
pace: la cui «competenza» esclusiva al riguardo non  solo  si  desume
sistematicamente  dal  mancato  inserimento  di  tali  sanzioni   nel
«catalogo» generale delle pene principali contenuto nel codice penale
(art. 22  ss.  c.p.),  ma  viene  ex  professo  sancita  dal  decreto
legislativo n. 274/2000, nel cui titolo II  (articoli  52-62-bis)  si
concentra e si esaurisce la  disciplina  delle  sanzioni  applicabili
esclusivamente dal giudice di pace (23) tanto in via  diretta  quanto
in sede di conversione delle pene pecuniarie (art. 55) o in  funzione
sostitutiva di queste ultime (art. 62-bis) (24) ; 
        per una fase  esecutiva  incentrata  tutta  sulle  suindicate
esigenze di semplificazione e celerita', le  quali  si  concretizzano
nella concentrazione delle competenze nel minor numero  possibile  di
organi, nella conseguente  tendenziale  coincidenza  tra  il  giudice
dell'esecuzione e il giudice di pace che ha emesso  il  provvedimento
da eseguire (art. 40, comma  1)  [coincidenza  derogata  soltanto  in
presenza di ragionevoli e valide ragioni  (25)  ],  nella  «gestione»
prevalentemente   «amministrativa»   delle   sanzioni   paradetentive
[demandata in massima parte al pubblico ministero ed agli  organi  di
polizia, esaurendosi l'intervento del  giudice  di  pace  nella  sola
modifica delle modalita' di esecuzione di quelle  sanzioni  stabilite
nella sentenza: v. articoli 42-43) (26) ]; 
        sempre in attuazione di codeste esigenze di semplificazione e
di  concentrazione   delle   competenze   in   executivis,   per   la
valorizzazione del ruolo del giudice di  pace  anche  nell'esecuzione
delle pene pecuniarie, attribuendosi allo stesso  (giudice  di  pace)
pure le competenze demandate dall'art. 660 codice di procedura penale
al magistrato di sorveglianza ai fini della  loro  conversione  (art.
42): e  cio'  al  dichiarato  fine  di  «evitare  gli  inconvenienti,
avvertiti nell'applicazione  della  disciplina  attualmente  vigente,
derivanti  dalla  frammentazione   delle   competenze   tra   giudice
dell'esecuzione e magistrato di sorveglianza» (27) . 
    A quest'ultimo proposito si sottolinea  che  il  procedimento  di
conversione delle pene  pecuniarie  inflitte  dal  giudice  di  pace,
risultante dalle disposizioni ex  articoli  181-182  disposizioni  di
attuazione del codice di procedura penale (28) e da  quelle  ex  art.
660 codice di procedura penale coordinate  con  le  norme  «speciali»
relative al procedimento davanti al giudice di pace [art. 42  decreto
legislativo n. 274/2000 e art. 18 decreto ministeriale 6 aprile 200,1
n. 204 (29) ] si articolava nelle seguenti fasi: 
        attivazione  della  procedura  esecutiva   da   parte   della
cancelleria  del  giudice  di  pace  quale  giudice   dell'esecuzione
entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della  sentenza  (art.
181 disp. att. codice di procedura penale.); 
        trasmissione  di  copia  degli  atti  dalla  cancelleria  del
giudice di pace quale giudice dell'esecuzione al pubblico  ministero,
in caso di esito negativo della procedura esecutiva per  il  recupero
della pena pecuniaria (art.  182,  comma  1,  disp.  att.  codice  di
procedura penale.); 
        trasmissione  degli  stessi  atti  da  parte   del   pubblico
ministero al giudice di pace quale  giudice  dell'esecuzione  con  la
richiesta di conversione (art. 660,  comma  2,  codice  di  procedura
penale e art. 42 decreto legislativo n. 274/2000); 
        in caso di accertata insolvenza del  condannato,  conversione
della pena pecuniaria in sanzioni costituite dalle medesime  (diverse
da quella pecuniaria) applicabili ex directo dal giudice di  pace  ai
sensi degli articoli 52-54: vale a dire, normalmente dall'obbligo  di
permanenza domiciliare oppure,  «a  richiesta  del  condannato»,  dal
lavoro di pubblica utilita' (30)  (art.  55  decreto  legislativo  n.
274/2000 e art. 18 d.m. 204/2001); 
        in caso di accertata solvibilita' del condannato,  ordine  da
parte del giudice di pace  quale  giudice  dell'esecuzione  alla  sua
stessa cancelleria di provvedere al rinnovo degli atti esecutivi, del
quale  (rinnovo)  veniva  data  semplice  comunicazione  al  pubblico
mistero (art. 18 decreto ministeriale 6 aprile 2001, n. 204). 
    Trattasi all'evidenza di  un  procedimento  assai  piu'  spedito,
agile e lineare rispetto a quello divisato per la  conversione  delle
pene  pecuniarie  applicate  dal  giudice  «ordinario»:   soprattutto
perche' concentrava in un solo organo (il  giudice  di  pace  che  ha
emesso il provvedimento: comb. disp. articoli 40, comma 1,  42  e  55
decreto legislativo n. 274/2000) la competenza che, invece,  rispetto
alle pene pecuniarie  applicate  dal  giudice  «ordinario»  risultava
ripartita tra  tre  diversi  organi  giudicanti  costituiti:  1)  dal
giudice dell'esecuzione (recte: dalla sua cancelleria) per l'iniziale
attivazione della fase esecutiva e  l'eventuale  rinnovo  degli  atti
esecutivi in caso di successivo accertamento della  solvibilita'  del
condannato da parte del magistrato di sorveglianza; 2) dal magistrato
di sorveglianza territorialmente competente ex  art.  677  codice  di
procedura penale per l'accertamento dell'insolvenza del condannato  e
la conseguente pronuncia del provvedimento  di  conversione;  3)  dal
magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato (che
poteva anche non coincidere con quello individuabile con i criteri ex
art. 677 codice di procedura penale.)  per  la  determinazione  delle
modalita' di esecuzione delle sanzioni conseguenti  alla  conversione
(31) . 
    3. - La coerenza interna degli «originari ed autonomi» sistemi di
conversione del magistrato di sorveglianza e del giudice di pace. 
    Mette conto sottolineare che i due sistemi di  conversione  sopra
delineati avevano una loro autonomia ed  una  loro  coerenza  interna
perche': 
        la conversione delle pene pecuniarie applicate da un  giudice
«ordinario» della cognizione, pur se disposta dalla  magistratura  di
sorveglianza,  si  risolveva  nell'applicazione   di   una   sanzione
sostitutiva (normalmente la liberta' controllata: art. 102  legge  n.
689/981) corrispondente ad una di quelle applicabili ex  directo  dal
giudice «ordinario» della cognizione (v. art. 53 legge n. 689/1981) e
rispetto alla quale (sanzione applicata ex directo dal giudice  della
cognizione) spettava sempre e solo alla magistratura di  sorveglianza
la «gestione» dell'intera fase esecutiva  [recte:  la  determinazione
delle loro modalita' di esecuzione (art. 62 legge  n.  689/1981),  la
modifica  di  tali  modalita'  (art.  64  legge  n.   689/1981),   la
sospensione della loro esecuzione (art. 68 legge n.  689/1981)  e  la
vigilanza sull'osservanza delle relative prescrizioni ai fini di  una
loro eventuale conversione  in  pena  detentiva  (art.  66  legge  n.
689/1981)]:  la  presenza  della  magistratura  di  sorveglianza   in
subiecta materia, pertanto, non  risultava  (per  cosi'  dire)  extra
ordinem o «estravagante» perche' essa (magistratura di  sorveglianza)
in sede  di  conversione  applicava  (di  regola)  una  sanzione  (la
liberta' controllata), rispetto  alla  quale  (sanzione)  aveva  gia'
significative attribuzioni quando risultava  «inflitta»  in  sede  di
condanna (e direttamente) dal giudice della cognizione; 
        per la conversione delle  pene  pecuniarie  applicate  da  un
giudice di  pace  (quale  giudice  della  cognizione)  provvedeva  un
giudice di pace (in funzione di giudice  dell'esecuzione),  il  quale
applicava sanzioni sostitutive applicabili [all'epoca (32) ] solo  da
un giudice di pace e corrispondenti a quelle applicabili  ex  directo
dal giudice di pace in sede di cognizione. 
    4. - La sopravvenuta disciplina della conversione posta in essere
dal  decreto  legislativo  n.  113/2002  (trasfuso  nel  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002). 
    I due suindicati «sistemi» di conversione delle  pene  pecuniarie
per insolvibilita' del condannato erano stati sostituiti e, eccezione
fatta  per  le  regole  sulla  competenza,  uniformati  dal   decreto
legislativo n. 113/2002 e dal decreto del Presidente della Repubblica
n. 114/2002, i cui contenuti erano stati «trasfusi  nel  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002 (33) . 
    Piu' esattamente e sinteticamente: 
        nel Titolo IV della Parte VI (artt. 235-239) veniva  regolata
l'intera materia relativa alla riscossione delle pene  pecuniarie  in
tutte  le  sue  fasi  (invito  al  pagamento,  iscrizione  a   ruolo,
attivazione   della   procedura    di    conversione,    accertamento
dell'insolvibilita', rateizzazione,  rinnovo  degli  atti  esecutivi,
conversione); 
        il procedimento di conversione delle pene  pecuniarie  veniva
ex  professo  demandato  al  «giudice   dell'esecuzione   competente»
(articoli 237  e  238),  da  individuarsi  ovviamente  in  base  alle
«normali» regole sulla competenza: vale a dire,  ai  sensi  dell'art.
665 codice di procedura penale per le pene pecuniarie  applicate  dal
giudice  «ordinario»  (G.I.P.,  G.U.P.,  tribunale  in   composizione
monocratica, tribunale in composizione collegiale o corte di  appello
- secondo i casi -, ciascuno in funzione di giudice  dell'esecuzione)
ovvero ai  sensi  dell'art.  40,  comma  1,  decreto  legislativo  n.
274/2000 per le pene pecuniarie applicate dal  giudice  di  pace  (di
regola, il giudice di pace che ha emesso il provvedimento in funzione
di giudice dell'esecuzione); 
        si stabiliva che «con l'ordinanza che dispone la  conversione
il giudice dell'esecuzione  determina  le  modalita'  delle  sanzioni
conseguenti in osservanza delle norme vigenti (art. 238, comma 6): e,
quindi, si convertiva in liberta' controllata o in lavoro sostitutivo
ex articoli 102 e 107  legge  n.  689/1981  (mai  abrogati)  la  pena
pecuniaria applicata  dal  giudice  «ordinario»;  e  nell'obbligo  di
permanenza domiciliare o in lavoro di pubblica utilita'  ex  art.  55
decreto legislativo n. 274/2000 (mai  abrogato)  la  pena  pecuniaria
applicata dal giudice di pace; 
        per evitare problemi di coordinamento e/o sovrapposizione tra
la nuova normativa  e  quella  preesistente,  venivano  espressamente
abrogati l'art. 660 codice di procedura  penale.,  gli  art.  181-182
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e l'art. 42
decreto legislativo n. 274/2000 (tutti abrogati dall'art. 299 decreto
legislativo n. 113/2002, trasfuso nel decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 115/2002), nonche' l'art.  18  decreto  ministeriale  6
aprile 2001, n. 204 (abrogato dall'art. 301  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 114/2002, trasfuso  nel  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 115/2002). 
    Mette conto sottolineare  che  con  il  nuovo  assetto  normativo
veniva uniformato il procedimento di  riscossione  e  di  conversione
delle  pene  pecuniarie  (tanto  di  quelle  applicate  dal   giudice
«ordinario» quanto di quelle applicate dal giudice di  pace),  mentre
restava differenziata la competenza a  provvedere  sulla  conversione
delle pene stesse in caso di accertata insolvibilita'  del  debitore,
la quale spettava (in conseguenza del fatto che gli articoli  237-238
citt. parlavano genericamente al riguardo di «giudice dell'esecuzione
competente»): 
        a) al giudice dell'esecuzione «ordinario» individuato ex art.
665 codice di procedura penale per le pene pecuniarie applicate da un
giudice «ordinario»; 
        b) al giudice di pace in funzione di giudice  dell'esecuzione
per le pene pecuniarie applicate da un giudice di pace. 
    Pertanto, le norme sulla competenza  a  disporre  la  conversione
scaturenti dal decreto legislativo n.  113/2002  e  dal  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002  nel  loro  testo  originario
(34) : 
        erano innovative rispetto alle pene pecuniarie  applicate  da
un giudice «ordinario» perche' -  da  un  lato  -  «cancellavano»  la
preesistente  competenza  del  magistrato  di  sorveglianza  con   la
suindicata abrogazione dell'art. 660 codice  di  procedura  penale  e
degli articoli 181-182  disposizioni  di  attuazione  del  codice  di
procedura  penale  (abrogazione   operata   dall'art.   299   decreto
legislativo n. 113/2002) e - dall'altro lato - con i «nuovi» articoli
237-238  decreto  legislativo   n.   113/2002   «trasferivano»   tale
competenza al giudice dell'esecuzione da  individuarsi  ex  art.  665
codice di procedura penale (35) ; 
        nulla, invece,  innovavano lo  si  ripete:  «nel  loro  testo
originario» (36) ] rispetto alte  pene  pecuniarie  applicate  da  un
giudice di pace in quanto la competenza riconosciuta  a  quest'ultimo
quale giudice dell'esecuzione dall'art.  42  decreto  legislativo  n.
274/2000  (abrogato  dall'art.  299  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n.  113/2002)  permaneva  in  capo  a  quest'ultimo  quale
giudice  dell'esecuzione  per  effetto  degli  art.  237-238  decreto
legislativo n. 113/2002 e dell'art. 40, comma 1, decreto  legislativo
n.  274/2000:  di  guisa  che  l'abrogazione  dell'art.  42   decreto
legislativo n.  274/2000  dipendeva  soltanto  dal  fatto  di  essere
divenuta  (all'epoca)  norma  superflua   nell'ambito   della   nuova
regolamentazione della competenza in subiecta materia posta in essere
dagli articoli 235-239 decreto legislativo n. 113/2002. 
    Assai importante e', infine, rimarcare  che  l'assetto  normativo
scaturito  dagli  artt.  235-239  decreto  legislativo  n.   113/2002
lasciava del tutto autonomi e distinti tra di  loro  il  «sistema  di
tutela ordinaria» operante  per  le  pene  pecuniarie  applicate  dal
giudice «ordinario» ed il «microsistema di tutela integrata» operante
per le pene pecuniarie applicate dal giudice di pace di pace,  ognuno
dei quali conservava la sua  «interna  coerenza»  senza  interferenze
reciproche, posto in particolare che: 
        per la conversione delle  pene  pecuniarie  applicate  da  un
giudice «ordinario» (quale giudice della  cognizione)  provvedeva  un
giudice «ordinario» (in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione),  il
quale applicava sanzioni sostitutive applicabili solo da  un  giudice
«ordinario» (stante il suindicato divieto posto al  giudice  di  pace
dall'art.  62  decreto  legislativo  n.   274/2000)   e   normalmente
corrispondenti ad una di quelle applicabili pure e  direttamente  dal
giudice «ordinario» in sede di cognizione (la  liberta'  controllata:
v. art. 53, 56 e 102 legge n. 689/1981); 
        per la conversione delle  pene  pecuniarie  applicate  da  un
giudice di  pace  (quale  giudice  della  cognizione)  provvedeva  un
giudice di pace (in funzione di giudice  dell'esecuzione),  il  quale
applicava sanzioni sostitutive applicabili [all'epoca (37) ] solo  da
un giudice di pace (stante sempre  il  suindicato  divieto  posto  al
giudice di pace dall'art.  62  decreto  legislativo  n.  274/2000)  e
corrispondenti a quelle applicabili pure ex directo  dal  giudice  di
pace in sede di cognizione. 
    5. - L'incidenza di Corte costituzionale 212/2003 sulle regole di
competenza divisate dal decreto legislativo n. 113/2002. 
    Questo assetto normativo, nondimeno, e' stato subito sconvolto. 
    Con  due  ordinanze  contenutisticamente   identiche   in   data,
rispettivamente, 23 settembre 2002 e 4 novembre 2012 il  giudice  per
le indagini preliminari del  Tribunale  di  Verona,  in  qualita'  di
giudice dell'esecuzione, sollevava  (tra  l'altro)  la  questione  di
legittimita' costituzionale «degli  articoli  da  235  a  239  e  299
(quest'ultimo nella parte in cui abroga l'art. 660 cod. proc. pen.  »
del decreto legislativo n. 113/2002 come riprodotti nel  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002 con riferimento agli articoli
76, 97, comma 1, e 111 Cost. 
    Il rimettente: 
        esponeva di essere stato investito di istanze di  conversione
di pene pecuniarie e di dovere, quindi, fissare l'udienza ex art. 666
codice di procedura penale per gli adempimenti previsti dall'art. 238
decreto legislativo n. 113/2002; 
        riteneva, tuttavia, che le norme impugnate, disciplinando  il
procedimento di conversione delle pene pecuniarie e, in  particolare,
attribuendo  al  giudice  dell'esecuzione  la  relativa   competenza,
precedentemente spettante  al  magistrato  di  sorveglianza,  fossero
(sotto diversi e concorrenti profili) in contrasto con i principi  ed
i criteri direttivi contenuti nella norma di delega di  cui  all'art.
7 legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici  di  norme
concernenti procedimenti amministrativi); 
        riteneva  altresi'  che   le   medesime   norme,   assegnando
incombenze ulteriori e marginali  all'organo  deputato  all'esercizio
della giurisdizione penale, compromettessero l'efficienza del sistema
giudiziario, con conseguente lesione del principio di buon  andamento
della pubblica amministrazione e di quello della  ragionevole  durata
del processo. 
    Con la sentenza 18 giugno 2003, n. 212 la Corte costituzionale: 
        dichiarava inammissibile la questione relativa  all'art.  239
decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, essendo norma di
rango regolamentare perche'  derivante  dal  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.  114/2002  (Testo  unico   delle   disposizioni
regolamentari in materia di spese di giustizia) e, quindi,  sottratta
al  sindacato  di  legittimita'  costituzionale   in   quanto   norma
secondaria; 
        dichiarava  inammissibile  per  difetto   di   rilevanza   la
questione relativa agli articoli 235 e  236  decreto  legislativo  n.
113/2002, osservando  che  il  rimettente,  investito  quale  giudice
dell'esecuzione di un'istanza di conversione di pena pecuniaria,  non
era chiamato a fare applicazione di codeste norme, che  erano  invece
attinenti alla disciplina della riscossione; 
        considerava   fondata   la    questione    di    legittimita'
costituzionale degli articoli 237,  238  e  299  (quest'ultimo  nella
parte in cui abroga l'art.  660  codice  di  procedura  penale.)  del
decreto legislativo n. 113/ 2002, con riferimento all'art. 76  Cost.,
«restando in tale pronuncia assorbita ogni altra censura». 
    A quest'ultimo proposito la Corte costituzionale cosi' motivava: 
    Il  decreto  legislativo  di  cui  si  tratta  trova  il  proprio
fondamento nella delega contenuta nell'art. 7  della  legge  8  marzo
1999, n. 50 ... Le norme  denunciate  riguardano  la  disciplina  del
procedimento giurisdizionale di conversione  delle  pene  pecuniarie,
con  particolare  riguardo  alla  relativa  competenza,   che   viene
sottratta al magistrato di sorveglianza per essere, in via  generale,
attribuita al giudice dell'esecuzione. Si desume dalla ...  relazione
illustrativa del testo unico che il Legislatore delegato ha  ritenuto
che tale disciplina rientrasse nell'oggetto della  delega  ...  sulla
base di una valutazione  di  sostanziale  «comunanza»  della  materia
delle  pene  pecuniarie  con  quella  delle   spese   di   giustizia»
costituente  espressamente  uno  degli  oggetti   della   delega   in
questione.  «Una  simile  prospettazione  non  puo'  tuttavia  essere
condivisa.  Contrariamente  a  quanto  sostenuto   nella   menzionata
relazione al testo unico,  l'esistenza  della  delega,  specie  nelle
materie coperte da riserva assoluta di legge quale  e',  ex  art.  25
della Costituzione, quella riguardante la competenza del giudice  non
puo' essere desunta dalla  mera  «connessione»  con  l'oggetto  della
delega   stessa.   Il    Legislatore    delegato    indipendentemente
dall'ampiezza dei contorni  che  vogliano  attribuirsi  alla  materia
delle spese di giustizia - era, dunque, sicuramente privo del  potere
di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle  pene
pecuniarie che comportasse - come  quella  impugnata  - una  radicale
modifica delle regole di competenza». 
    Ai nostri fini e' importantissimo sottolineare subito che: 
        la «reviviscenza» dell'art. 660 codice  di  procedura  penale
conseguente a Corte costituzionale 212/2003  e'  avvenuta  non  sulla
base di una  ipotetica  (ed  inesistente)  competenza  «naturale»  ed
inderogabile in subiecta materia della magistratura di  sorveglianza,
ma solo per vizio di eccesso di delega: piu' esattamente, «perche' il
Legislatore delegato ... era sicuramente privo del potere di  dettare
una disciplina del procedimento di conversione delle pene  pecuniarie
che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle
regole di competenza»  (come  sta  scritto  a  chiare  lettere  nella
motivazione della predetta sentenza); 
        nell'occasione la Corte costituzionale non  si  e'  posta  il
problema dell'incidenza della sua pronuncia  (38)   sulla  competenza
per la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace
sol perche'  ha  fatto  rigorosa  applicazione  del  principio  della
corrispondenza tra il chiesto e il  pronunciato  ex  art.  27,  prima
parte, legge 11 marzo 1953 n. 87 (39) , limitando  la  sua  decisione
alle sole norme sottoposte al suo sindacato dal giudice remittente; 
        poiche' «il Legislatore delegato era  sicuramente  privo  del
potere di dettare una  disciplina  del  procedimento  di  conversione
delle pene pecuniarie che comportasse  una  radicale  modifica  delle
regole di competenza», la «logica interna»  di  Corte  costituzionale
212/2003,   tuttavia,   era   sicuramente   quella   di   considerare
costituzionalmente  illegittima  una   innovazione   da   parte   del
Legislatore delegato (recte: del decreto legislativo  n.  113/2002  e
del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/2002)  delle
preesistenti regole di  competenza  in  subiecta  materia:  le  quali
(regole preesistenti al decreto legislativo n. 113/2002 e al  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n.   115/2002)   prevedevano   la
competenza del magistrato di  sorveglianza  per  le  pene  pecuniarie
applicate dal giudice  «ordinario»  (art.  660  codice  di  procedura
penale.) e la competenza del giudice di pace in funzione  di  giudice
dell'esecuzione per le pene pecuniarie applicate  da  un  giudice  di
pace (art. 42 decreto legislativo n. 274/2000); 
        sarebbe, pertanto, assolutamente paradossale e  illogico  che
la  Corte  costituzionale  con  la  sua  sentenza  212/2003,  facendo
«resuscitare»  l'art.  660  codice  di  procedura   penale.,   avesse
determinato un «legittimo e valido» trasferimento  di  competenza  in
capo al magistrato di sorveglianza del  procedimento  di  conversione
delle pene  pecuniarie  applicate  dal  giudice  di  pace,  la  quale
(competenza) in base alle regole preesistenti spettava al giudice  di
pace in funzione di giudice dell'esecuzione (40) . 
    Proprio codesto trasferimento di competenza, invece,  rappresenta
(come si vedra') la «singolare ed assurda» conseguenza, che la  Corte
di  cassazione  sta  annettendo  a  Corte  costituzionale   212/2003:
conseguenza «singolare ed assurda»  costituente  la  ragion  d'essere
delle questioni di legittimita' costituzionale, che ci si  accinge  a
sollevare. 
    Mette conto evidenziare ancora che il sistema «positivo» venutosi
a creare a  seguito  di  Corte  costituzionale  212/2003  puo'  cosi'
sintetizzarsi: 
        A) con la dichiarazione di incostituzionalita' «totale» degli
articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e «parziale»  (nella
parte in cui ha abrogato l'art.  660  codice  di  procedura  penale.)
dell'art. 299  decreto  legislativo  n.  113/2002,  la  competenza  a
disporre la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice
«ordinario»  spettava  (recte:  ritornava)   alla   magistratura   di
sorveglianza  per  effetto  del  «resuscitato»  art.  660  codice  di
procedura penale.; 
        B) stante la persistente abrogazione  (ex  art.  299  decreto
legislativo n. 113/2002) dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000
e della dichiarazione di «totale» incostituzionalita' degli  articoli
237-238 decreto legislativo n. 113/2002 (che parlavano  genericamente
al riguardo di «giudice dell'esecuzione competente»), la competenza a
disporre la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice
di  pace  si  prestava  formalmente  a  rientrare   anch'essa   nella
formulazione generica del «resuscitato» art. 660 codice di  procedura
penale e, quindi, a risultare cosi' trasferita alla  magistratura  di
sorveglianza, che pero' ... non l'aveva mai avuta; 
        C)  restava,  pertanto,  aperta   la   questione   circa   la
legittimita' costituzionale di quest'ultima conseguenza,  concretando
essa  una  «radicale   modifica   delle   regole   sulla   competenza
preesistenti»  (in  base  alle  quali  la  conversione   delle   pene
pecuniarie applicate da un  giudice  di  pace  spettava  allo  stesso
giudice di pace quale giudice  dell'esecuzione):  «radicale  modifica
delle  regole  sulla  competenza»  derivante  (lo  ripetiamo)   dalla
«reviviscenza» ex Corte costituzionale 212/2003 dell'art. 660  codice
di procedura penale e  dalla  persistente  abrogazione  dell'art.  42
decreto legislativo n. 274/2000 ad opera di un  Legislatore  delegato
(recte: dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002), cui pero'  la
legge-delega non aveva dato alcun  potere  «innovativo»  in  subiecta
materia! 
    A quest'ultima questione (e' bene sottolinearlo) nessuno  mai  ha
posto attenzione: 
        a) ne' l'Amministrazione  giudiziaria  centrale  in  sede  di
diramazione delle proprie circolari aventi ad oggetto le  indicazioni
operative agli uffici periferici sul recupero dei crediti delle  pene
pecuniarie, le quali (indicazioni operative) si erano rese necessarie
a seguito del vuoto  normativa  conseguente  a  Corte  costituzionale
212/2003, di cui tra poco si parlera': quelle circolari,  infatti  (e
come si dira' funditus nelle pagine seguenti), omettono  di  prendere
in considerazione il «settore» delle pene pecuniarie applicate da  un
giudice di pace (41) ,  basandosi  sic  et  simpliciter  sul  sistema
normativo cosi' come risultante a  seguito  della  sentenza  212/2003
della Corte costituzionale (sistema nel quale era di  nuovo  presente
l'art. 660 codice di procedura penale., ma nel  quale  non  era  piu'
presente l'art. 42 decreto legislativo n.  274/2000,  persistendo  la
sua abrogazione ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) e  senza
porsi minimamente il problema della  legittimita'  costituzionale  di
quel sistema  complessivamente  considerato  (in  particolare,  della
validita' di quell'abrogazione dell'art. 42  decreto  legislativo  n.
274/2000); 
        b) ne' il  Legislatore  in  sede  di  introduzione  dell'art.
238-bis  decreto  del  Presidente  della   Repubblica   n.   115/2002
(introduzione operata dall'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017),  il
quale (come parimenti si dira' funditus tra poco) ha voluto  soltanto
porre    rimedio    alle    «disfunzioni    operative»    evidenziate
dall'Amministrazione giudiziaria  centrale  con  le  circolari  sopra
ricordate, prendendo anch'egli atto sic et  simpliciter  del  sistema
normativo cosi' come risultante a  seguito  della  sentenza  212/2003
della  Corte  costituzionale  e  senza  porsi   il   problema   della
legittimita'  costituzionale   di   quel   sistema   complessivamente
considerato. 
    Quanto teste' detto rende doveroso soffermarsi adesso su un'altra
questione  venutasi  a  creare  a  seguito  di  Corte  costituzionale
212/2003. 
    6. - L'incidenza di Corte costituzionale 212/2003 sulle regole di
attivazione del procedimento giurisdizionale di conversione. 
    Preoccupandosi di «cancellare» dall'ordinamento la competenza  in
subiecta materia del giudice dell'esecuzione «sostitutiva» di  quella
preesistente del magistrato di sorveglianza, la Corte  costituzionale
con la sentenza 212/2003: 
        ha dichiarato l'incostituzionalita' non  solo  dell'art.  299
decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in  cui  abrogava  l'art.
660 codice di procedura penale  (che  prevedeva,  per  l'appunto,  la
competenza del magistrato di  sorveglianza  sulla  conversione  delle
pene pecuniarie applicate dal giudice  «ordinario»),  ma  pure  degli
articoli 237 e 238 decreto legislativo n. 113/2002, che parlavano del
«giudice dell'esecuzione» quale organo competente per la conversione; 
        non ha considerato, tuttavia, che nella generica  espressione
«giudice dell'esecuzione competente»  per  la  conversione  contenuta
negli articoli 237-238 citt. venivano  ricomprese  sia  la  specifica
competenza  del  giudice   «ordinario»   in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione per le  pene  applicate  da  un  giudice  «ordinario»
(competenza che  «ritornava»  alla  magistratura  di  sorveglianza  a
seguito della  dichiarazione  di  incostituzionalita'  dell'art.  299
decreto legislativo n. 113/2002 nella parte  in  cui  aveva  abrogato
l'art. 660 codice di procedura penale.) sia la  specifica  competenza
del giudice di pace in funzione di  giudice  dell'esecuzione  per  le
pene  pecuniarie  inflitte  dal  giudice  di  pace  (competenza  gia'
prevista dall'art. 42 decreto  legislativo  n.  274/2000,  sulla  cui
abrogazione posta in essere dallo stesso art. 299 la  Corte,  invece,
non era intervenuta); 
        non ha considerato neppure che gli articoli  237-238  decreto
legislativo n. 113/2002 non solo avevano  inciso  sulle  preesistenti
regole relative alla competenza per il  procedimento  giurisdizionale
di conversione, ma avevano pure disciplinato ex novo l'attivazione di
quel procedimento (gia' regolamentata dagli  articoli  181-182  disp.
att. codice di procedura penale.: anch'esse  abrogate  dall'art.  299
decreto legislativo n. 113/2002 e  mai  «resuscitate»),  dettando  le
norme di raccordo tra la fase  amministrativa  di  riscossione  della
pena pecuniaria e la successiva fase giurisdizionale di conversione. 
    Orbene! 
    Dichiarandosi  l'incostituzionalita'  in  toto   degli   articoli
237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e  persistendo  l'abrogazione
degli articoli 181 e (soprattutto) 182 disp. att. codice di procedura
penale.,  Corte  costituzionale  212/2003   aveva   involontariamente
provocato  un  vero  e  proprio  vuoto  normativo  tra  le  due  fasi
suindicate (quella amministrativa di esazione della pena pecuniaria e
quella giurisdizionale della  sua  conversione),  restando  priva  di
regolamentazione la fase «intermedia» di attivazione del procedimento
di conversione. 
    Poiche' tale vuoto  normativo  aveva  di  fatto  «paralizzato»  i
procedimenti di conversione delle pene pecuniarie, allo scopo e  solo
allo scopo di colmarlo (42)  in occasione del  varo  della  legge  di
bilancio 2018 e' stato introdotto (43)  nel corpus  del  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  115/2002  l'art.  238-bis  sotto  la
rubrica  «attivazione  delle  procedure  di  conversione  delle  pene
pecuniarie non pagate» (44) . 
    Questa   disposizione,   nondimeno,   menziona    quale    organo
giurisdizionale competente  per  la  conversione  «il  magistrato  di
sorveglianza» (commi 2, 5, 6 e 7):  circostanza  che  ha  indotto  la
Corte di cassazione (come  si  vedra')  a  considerare  risolta  ogni
questione sulla competenza  in  materia  di  conversione  delle  pene
pecuniarie, essendo (a suo dire) dall'art.  238-bis  cit.  confermata
«espressamente la competenza unica del Magistrato  di  sorveglianza».
Conclusione,  codesta,  che  pare   alquanto   «affrettata»   perche'
un'interpretazione storica, logica e  sistematica  dell'art.  238-bis
cit. ingenera dubbi sulla legittimita' costituzionale di  tale  norma
nel significato attribuitole dalla Suprema Corte. 
    7. - La sentenza 15  novembre  2018,  n.  56967  della  Corte  di
cassazione e sua critica. 
    Investito dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Asti di  precedente  e  analoga  richiesta  di  conversione  di  pena
pecuniaria applicata dal Giudice di pace di Asti, questo  Ufficio  in
quell'occasione aveva declinato la propria competenza per materia  in
favore  del  Giudice  di  pace  di  Asti  in  funzione  del   giudice
dell'esecuzione, rilevando essenzialmente che: 
        l'art. 660 codice di procedura penale e' stato introdotto nel
nostro ordinamento con il decreto del Presidente della Repubblica  22
settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale); 
        all'epoca l'unica ipotesi di conversione di  pena  pecuniaria
non eseguita per insolvibilita' del condannato  era  quella  prevista
dall'art. 102 legge 24 novembre 1981, n. 689 (ergo: la conversione di
pena pecuniaria applicata da un giudice «ordinario»): di guisa che ad
essa (e ad essa  soltanto)  andava  riferito  l'art.  660  codice  di
procedura penale; 
        la materia della conversione di pena pecuniaria applicata dal
giudice di pace e non eseguita  per  insolvibilita'  del  condannato,
invece, trovava la sua completa e specifica  disciplina  nel  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace) e, piu'  esattamente,  nel  suo  art.  55
(Conversione delle pene pecuniarie); 
        la competenza a disporre la suindicata conversione ex art. 55
decreto legislativo  n.  274/2000  doveva  riconoscersi  allo  stesso
giudice di pace in funzione di giudice  dell'esecuzione:  e  cio'  in
virtu' dell'art. 40, 1° comma,  stesso  decreto  legislativo  («Salvo
diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione
di un provvedimento e' il giudice  di  pace  che  l'ha  emesso»),  il
quale, in quanto sopravvenuto all'art. 660 codice di procedura penale
e in quanto lex specialis, prevaleva sulla disciplina  dettata  dallo
stesso art. 660 codice di procedura penale; 
        ai fini in discorso appariva irrilevante la  circostanza  che
la «sopravvivenza» dell'art. 660 codice  di  procedura  penale  fosse
conseguita alla declaratoria di illegittimita' costituzionale  «degli
articoli 237, 238 e 299 (nella parte in cui abroga l'art. 660  codice
di procedura penale) del decreto legislativo n. 30  maggio  2002,  n.
113»; 
        tale dichiarazione di incostituzionalita', infatti, era stata
fatta dalla Corte costituzionale con la sentenza 18 giugno  2003,  n.
212 non sulla base  di  una  ipotetica  (ed  inesistente)  competenza
«naturale» ed inderogabile in subiecta materia della magistratura  di
sorveglianza,  ma  solo  per  vizio  di  eccesso  di   delega:   piu'
esattamente «perche' il  Legislatore  delegato  ...  era  sicuramente
privo del potere  di  dettare  una  disciplina  del  procedimento  di
conversione delle pene  pecuniarie  che  comportasse  -  come  quella
impugnata - una radicale modifica delle regole di  competenza»  (come
si legge nella motivazione della predetta sentenza); 
        la «disciplina impugnata» (e dichiarata incostituzionale) era
quella che, contestualmente abrogando l'art. 660 codice di  procedura
penale, aveva trasferito  «al  giudice  dell'esecuzione  la  relativa
competenza precedentemente spettante al magistrato di sorveglianza in
tenia di rateizzazione e conversione di pene pecuniarie»; 
        tuttavia,  in  virtu'   della   «disciplina   impugnata»   (e
dichiarata incostituzionale) codesta «radicale modifica delle  regole
della competenza» non si era  mai  avuta  rispetto  alla  conversione
prevista dall'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000,  la  quale  (a
differenza di quella prevista dall'art. 102 legge 689/1981) era stata
sempre di competenza del giudice  di  pace  in  virtu'  dell'art.  42
decreto legislativo n. 274/2000; 
        e' ben vero che quest'ultima disposizione (al pari  dell'art.
660  codice  di  procedura  penale,  poi   «risuscitato»   da   Corte
costituzionale 212/2003) era stata  abrogata  dall'art.  299  decreto
legislativo n. 113/2002; 
        il che, nondimeno, non aveva determinato  alcuna  sostanziale
modifica della competenza in subiecta materia: la  quale  (come  gia'
detto in precedenza), ad onta dell'abrogazione dell'art.  42  decreto
legislativo n. 274/2000, restava al giudice di  pace  in  virtu'  del
suindicato art. 40, 1° comma, decreto legislativo n. 274/2000; 
        opinandosi diversamente ed  ipotizzandosi  che  l'abrogazione
dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (per  effetto  dell'art.
299 decreto legislativo n. 113/2003) e la «reviscenza» dell'art.  660
codice di procedura  penale  (per  effetto  di  Corte  costituzionale
212/2003) avessero determinato  lo  «spostamento»  di  competenza  in
subiecta materia dal giudice di pace competente per  l'esecuzione  al
magistrato  di  sorveglianza,  l'art.  299  decreto  legislativo   n.
113/2002 si sarebbe esposto allo stesso vizio di  incostituzionalita'
rilevato  da  Corte  costituzionale  212/2003   in   quanto   avrebbe
comportato una «radicale modifica delle regole di competenza» (quelle
sulla competenza del giudice di pace in  subiecta  materia),  che  il
Legislatore delegato non aveva il potere di apportare. 
    La superiore interpretazione «adeguatrice», nondimeno,  e'  stata
disattesa  (anzi,  elusa)  dalla  Corte  di  cassazione  in  sede  di
risoluzione del conflitto di competenza sollevato dal Giudice di pace
di Asti. 
    Piu' esattamente, con la sentenza 15 novembre 2018  n.  56967  la
Suprema Corte, nell'escludere la competenza del giudice di pace  (45)
, ha [quasi «suo malgrado» (46) ] affermato al riguardo che: 
        A) «avendo  la  Corte  costituzionale  abrogato»  (sic!)  «il
menzionato art. 299 soltanto parzialmente» nella parte in  cui  aveva
abrogato l'art.  660  codice  di  procedura  penale,  «restava  salva
l'efficacia abrogativa  che  tale  norma  operava  dell'art.  42  del
decreto legislativo n. 274 del 2000, il  quale  aveva  attribuito  la
conversione delle pene pecuniarie inflitte  dal  Giudice  di  Pace  a
questo  stesso  giudice  ...  per  cui,  difettando  una  norma   che
attribuisca al Giudice di Pace la competenza alla  conversione  delle
pene pecunierie (o specificamente o  quale  giudice  dell'esecuzione)
non sussiste piu' una norma di legge che attribuisca  al  Giudice  di
Pace la materia della conversione delle pene  pecuniarie  inflitte...
Detto intervento» della Corte costituzionale (Corte  cost.  212/2003)
«ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioe' l'art. 660  codice
di procedura penale) la quale si  prestava  comunque  a  disciplinare
l'intera materia della conversione delle  pene  pecuniarie,  per  cui
risulta eliminata soltanto la competenza derogatoria del  Giudice  di
Pace»; 
        B) «questo sistema, peraltro, appare rafforzato dalla recente
introduzione  dell'art.  238-bis  del decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 115 del 2002 ad opera del comma  473 dell'art. 1  della
legge 27 dicembre 2017, n. 205, che, occupandosi della  procedura  di
attivazione della  conversione  delle  pene  pecuniarie  non  pagate,
richiama l'art. 660 codice di procedura penale  ed  espressamente  la
competenza unica del Magistrato di Sorveglianza». 
    Tali argomentazioni non appaiono punto convincenti. 
    Per quanto riguarda l'argomentazione sub A), a parte le manifeste
imprecisioni  giuridiche  in   cui   e'   incorso   l'estensore   del
provvedimento qui avversato (47) , si osserva che: 
        con la sentenza  212/2003  la  Corte  costituzionale  non  ha
inteso  affatto  coonestare  l'abrogazione  (ex  art.   299   decreto
legislativo  n.  113/2002)  dell'art.  42  decreto   legislativo   n.
274/2000, ma ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
299 decreto legislativo n. 113/2002 solo nella parte in cui  abrogava
l'art. 660 codice di procedura penale (e non anche nella parte in cui
abrogava pure l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000) in  perfetta
ed assoluta coerenza con il principio  della  corrispondenza  tra  il
chiesto e il pronunciato ex art.  27,  prima  parte, legge  11  marzo
1953, n. 87 (48)  e/o per il semplice motivo che la norma ex art. 299
decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in  cui  abrogava  (pure)
l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 non era stata  (ovviamente)
sottoposta  al  suo  sindacato   di   costituzionalita'   in   quanto
irrilevante nel giudizio a quo (49) ; 
        se e' vero che la suindicata declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale parziale dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002
«ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioe' l'art. 660  codice
di procedura penale) la quale si  prestava  a  disciplinare,  in  via
generale, l'intera materia della conversione delle  pene  pecuniarie,
per cui risulta eliminata la competenza derogatoria  del  Giudice  di
pace» (prima prevista dall'abrogato art. 42  decreto  legislativo  n.
274/2000), e'  proprio  codesta  «eliminazione»  che  avrebbe  dovuto
indurre  la  Corte  di  cassazione  a  porsi  il  dubbio   circa   la
legittimita' costituzionale  dell'art.  299  decreto  legislativo  n.
113/2002  nella  parte  in  cui  abrogava  (pure)  l'art.  42 decreto
legislativo n. 274/2000: e cio', in base alla stessa  norma-parametro
(l'art. 76 Cost.) gia' evocata dal Giudice delle indagini preliminari
del Tribunale di Verona in qualita'  di  giudice  dell'esecuzione  ai
fini della «reviviscenza» dell'art. 660 codice di procedura penale; 
        infatti,   (come   aveva   rilevato   Corte    costituzionale
n. 212/2003) in base ai principi ed ai  criteri  direttivi  contenuti
nella norma di delega «il Legislatore delegato era sicuramente  privo
del potere di dettare una disciplina del procedimento di  conversione
delle pene pecuniarie che comportasse  una  radicale  modifica  delle
regole di competenza» preesistenti: e quindi, tanto della regola c.d.
«generale» ex art. 660 codice di procedura penale quanto della regola
c.d. «derogatoria» ex art. 42 decreto legislativo n. 274/2000. 
    Quanto all'argomentazione sub B), poi, si rileva  che  l'art.  1,
comma 473, legge 27 dicembre 2017, n. 205 nell'aggiungere al  decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002, l'art. 238-bis: 
        ha voluto soltanto colmare  il  vuoto  normativa  venutosi  a
creare tra la fase amministrativa di esazione della pena pecuniaria e
quella giurisdizionale di conversione (50) ,  disciplinando  la  fase
intermedia di «attivazione delle procedure di conversione delle  pene
pecuniarie non pagate» (come, del resto,  recita  la  stessa  rubrica
dell'art. 238-bis); 
        a tal fine, ha «preso atto» sic et  simpliciter  dell'assetto
normativo   conseguente   alla   sentenza   212/2003   della    Corte
costituzionale,  senza  porsi  minimamente  il  problema   circa   la
legittimita'    costituzionale     di     quell'assetto     normativo
complessivamente considerato (51) . 
    Avendo  voluto  disciplinare  soltanto  il  modus  operandi   del
passaggio dalla fase dell'esazione a quella della  conversione  della
pena pecuniaria, cioe', l'art. 238-bis non ha inteso  pure  dare  una
regolamentazione  ex  novo  alla  competenza  giurisdizionale   sulla
conversione della pena  pecuniaria:  come,  invece,  ha  di  fatto  e
implicitamente postulato la Corte di cassazione. 
    Stando cosi' le cose, l'art. 238-bis cit. non «chiude» affatto il
discorso  relativo  alla  competenza  sulla  conversione  della  pena
pecuniaria  applicata  da  un  giudice  di  pace  (come  ha,  invece,
corrivamente ritenuto la Corte di  cassazione),  restando  aperta  la
questione della sua incidenza sul sistema normativa  complessivamente
considerato: sul  cui  sfondo  aleggia  come  «convitato  di  pietra»
quell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 che, abrogando  (pure)
l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, ha prodotto per effetto di
Corte cost. 212/2003 impreviste conseguenze stravolgenti la  coerenza
interna di quel sistema. 
    Del resto, anche se si volesse ritenere che l'art. 1, comma  473,
legge  n.  205/2017,  nell'aggiungere  nel  corpus  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002 l'art. 238-bis, abbia  voluto
pure dare una nuova regolamentazione della competenza giurisdizionale
per  la  conversione  delle  pene  pecuniarie  non  pagate  e   cosi'
implicitamente «sopprimere» definitivamente la competenza del giudice
di pace una  volta  prevista  dall'art.  42  decreto  legislativo  n.
274/2002; anche se si  volesse  ritenere  tutto  questo  -  si  stava
dicendo   -,   la   norma   ingenererebbe   dubbi   di   legittimita'
costituzionale non intravisti dalla Corte  di  cassazione:  come  tra
poco si dira'. 
    A questo punto il  quadro  normativo  e  giurisprudenziale  della
materia in discorso ci pare esaurientemente delineato: di  guisa  che
possiamo entrare in medias res per cercare di dimostrare la rilevanza
e la non manifesta  infondatezza  delle  questioni  da  rimettere  al
giudizio della Corte costituzionale. 
    8. - Rilevanza delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate con la presente ordinanza. 
    Le  argomentazioni  rassegnate  dalla  Corte  di  cassazione  per
affermare la competenza del magistrato di sorveglianza  pure  per  la
conversione della pene pecuniarie applicate dal giudice di pace  (52)
 sono state reiterate in diverse altre pronunce (53) . 
    Pertanto: 
        l'affermazione   della   competenza   del    magistrato    di
sorveglianza in subiecta materia costituisce «diritto  vivente»,  che
rende di fatto vana una contraria interpretazione «costituzionalmente
orientata»; 
        diventa, conseguentemente, necessario sollevare la  questione
di legittimita' costituzionale: 
          a) dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002  (trasfuso
a sua volta nel decreto del Presidente della Repubblica n.  115/2002)
nella parte in cui ha  abrogato  l'art.  42  decreto  legislativo  n.
274/2000 (che assegnava al giudice di pace  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione la competenza a disporre la  conversione  della  pena
pecuniaria applicata da un giudice di pace), per violazione dell'art.
76 Cost.; 
        e in via «indotta» dall'eventuale  accoglimento  della  prima
questione (54) 
          b)  dell'art.  238-bis   decreto   del   Presidente   della
Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. l, comma 473,  legge  n.
205/2017) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento
al giudice competente  per  il  procedimento  di  conversione,  parla
specificamente di «magistrato di  sorveglianza  competente»  anziche'
genericamente di «giudice competente»,  per  violazione  dell'art.  3
Cost.  (principio  di  ragionevolezza  e  canone  di   razionalita'),
dell'art.  97,  comma  2,  Cost.  (principio   del   buon   andamento
dell'amministrazione della giustizia) e dell'art. 111, comma 2, Cost.
(principio della ragionevole durata del processo). 
    La rilevanza delle questioni  predette  risulta  evidente  se  si
considera che: 
        il  Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di
Alessandria  ha  (ex  art.  238-bis,  comma  2  e  ss.,  decreto  del
Presidente della  Repubblica  n.  115/2002)  attivato  presso  questo
Ufficio  (di  sorveglianza)  il  procedimento  di  conversione   (per
insolvibilita' del condannato) di pena pecuniaria inflitta a Q R  con
sentenza del Giudice di pace di Alessandria; 
        conseguentemente,  questo  Ufficio   dovrebbe   disporre   le
«opportune indagini» «al fine di accertare l'effettiva insolvibilita'
del debitore» ai  sensi  dell'art.  238-bis,  comma  6,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002; 
        l'invocata declaratoria di  incostituzionalita'  delle  norme
suindicate, invece, comporterebbe in limine litis  una  pronuncia  di
incompetenza per materia di questo  Ufficio  ex  art.  21,  comma  1,
codice di procedura penale con gli adempimenti  conseguenti  ex  art.
23, comma 1, codice di procedura penale [restituzione degli  atti  al
pubblico ministero (in applicazione di Corte costituzionale  76/1993)
per l'attivazione del procedimento di conversione innanzi al  Giudice
di pace di Alessandria in funzione di  giudice  dell'esecuzione,  che
diventerebbe competente per effetto delle qui  invocate  pronunce  di
incostituzionalita' da parte della Corte costituzionale]. 
    9. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art.
299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in  cui  ha  abrogato
l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, per  violazione  dell'art.
76 Cost. 
    Come ampiamente visto in precedenza (55) , nel sistema previgente
al decreto legislativo n. 113/2002 la competenza a  provvedere  sulla
conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita'  del  condannato
spettava: 
        per le pene pecuniarie applicate da  un  giudice  «ordinario»
[recte: all'esito di uno dei procedimenti di diritto  comune  (56)  ]
alla magistratura di sorveglianza ex art.  660  codice  di  procedura
penale, la quale applicava le sanzioni sostitutive previste dall'art.
102 legge n. 689/1981 (normalmente la liberta' controllata oppure, «a
richiesta del condannato», il lavoro sostitutivo: v. articoli  102  e
107 legge n. 689/1981); 
        per le pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace (recte:
con la condanna emessa all'esito del  procedimento  disciplinato  dal
decreto legislativo n. 274/2000)  allo  stesso  giudice  di  pace  in
funzione di giudice dell'esecuzione ex art. 42 decreto legislativo n.
274/2000,  il  quale  applicava  le  sanzioni  sostitutive   previste
dall'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000  [normalmente  l'obbligo
di permanenza domiciliare oppure, «a richiesta  del  condannato»,  il
lavoro di pubblica utilita' (57) ]. 
    Il decreto legislativo  n.  113/2002  ha  espressamente  abrogato
entrambe le norme suindicate (l'art. 660 codice di procedura penale e
l'art. 42 decreto legislativo  n.  274/2000),  sostituendole  con  le
«nuove» disposizioni contenute negli articoli 237-238 stesso  decreto
legislativo,  le  quali  prevedevano  ex  professo  al  riguardo   la
competenza del «giudice dell'esecuzione» (58) . 
    Sennonche'  (e  mutuando  mutatis  mutandis   quanto   si   trova
espressamente scritto in Corte costituzionale 212/2003): 
        «il decreto legislativo di cui si  tratta»  (il  n.  113  del
2002) «trova il proprio fondamento nella delega contenuta nell'art. 7
della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione  e  testi  unici  di
norme   concernenti    procedimenti    amministrativi.    Legge    di
semplificazione 1998), come modificato dall'art.  1  della  legge  24
novembre 2000, n. 340»; 
        «dal preambolo dello stesso decreto legislativo si evince, in
particolare, che la delega e' esercitata con riferimento alle materie
indicate ai numeri 9, 10 e 11 dell'allegato numero 1  della  predetta
legge n. 50 del 1999, che rispettivamente attengono  al  procedimento
di gestione e alienazione  dei  beni  sequestrati  e  confiscati,  al
procedimento relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti  per
l'iscrizione a ruolo e il  rilascio  di  copie  di  atti  in  materia
tributaria e in sede  giurisdizionale,  compresi  i  procedimenti  in
camera di consiglio, gli  affari  non  contenziosi  e  le  esecuzioni
civili mobiliari e immobiliari»; 
        «come si legge nella relazione illustrativa del testo  unico,
i tre procedimenti - meglio individuati, nella legge di  delega,  con
specifico riferimento alle fonti della relativa disciplina  «l'intera
materia delle spese di giustizia, che puo' dirsi  percio'  costituire
l'oggetto sostanziale della delega stessa»; 
        «la norma qui denunciata (l'art. 299 decreto  legislativo  n.
113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo
n. 274/2000) riguarda la  disciplina  della  competenza  relativa  al
procedimento giurisdizionale di  conversione  delle  pene  pecuniarie
applicate dal giudice di pace; 
        «si desume dalla gia' citata relazione illustrativa del testo
unico che il Legislatore delegato ha ritenuto  che  tale  disciplina»
(al pari della  disciplina  riguardante  la  competenza  rispetto  al
procedimento giurisdizionale di  conversione  delle  pene  pecuniarie
applicate  da  un  organo  della  giustizia  ordinaria)   «rientrasse
nell'oggetto della delega, quale sopra individuato, sulla base di una
valutazione di  sostanziale  «comunanza»  della  materia  delle  pene
pecuniarie con quella delle spese di giustizia»; 
        «una  simile  prospettazione   non   puo'   tuttavia   essere
condivisa»  perche',  «contrariamente  a   quanto   sostenuto   nella
menzionata relazione al testo unico, l'esistenza della delega, specie
nelle materie coperte da riserva assoluta di legge quale e', ex  art.
25 della Costituzione, quella riguardante la competenza  del  giudice
non puo' essere desunta dalla mera «connessione» con l'oggetto  della
delega stessa»; 
        «il Legislatore delegato indipendentemente dall'ampiezza  dei
contorni  che  vogliano  attribuirsi  alla  materia  delle  spese  di
giustizia era, dunque, sicuramente privo del potere  di  dettare  una
disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie  che
comportasse ... una radicale modifica  delle  regole  di  competenza»
preesistenti, le quali  erano  costituite  dall'art.  660  codice  di
procedura penale (rispetto  alle  pene  pecuniarie  applicate  da  un
giudice «ordinario») e dall'art. 42 decreto legislativo  n.  274/2000
(rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace); 
        alla  dichiarazione  di  incostituzionalita'  dell'art.   299
decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art.
660 codice di procedura penale (gia' fatta da Corte cost.  212/2003),
pertanto,  andrebbe  coerentemente  aggiunta  la   dichiarazione   di
incostituzionalita' dello stesso art.  299  nella  parte  in  cui  ha
abrogato  pure  l'art.  42  decreto  legislativo  n.  274/2000,   per
violazione dell'art. 76 Cost. (eccesso di delega). 
    Ne' puo' obiettarsi in contrario che l'abrogazione (ex  art.  299
decreto legislativo n. 113/2002) dell'art. 660  codice  di  procedura
penale aveva determinato una modifica (non  solo  formale,  ma  pure)
sostanziale della preesistente competenza per  la  conversione  delle
pene applicate da un giudice «ordinario»  (competenza  che  «passava»
dal magistrato di sorveglianza al giudice dell'esecuzione per effetto
degli art. 237-238 decreto legislativo n.  113/2002),  mentre  invece
l'abrogazione ex art. 299 decreto legislativo n.  113/2002  dell'art.
42 decreto legislativo n. 274/2000  aveva  determinato  una  modifica
solo formale della preesistente normativa  sulla  competenza  per  la
conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di  pace,  la
quale «restava» pur sempre al giudice di pace in funzione del giudice
dell'esecuzione per  effetto  dei  suindicati  art.  237-238  decreto
legislativo n. 113/2002 (che parlavano genericamente al  riguardo  di
«giudice dell'esecuzione competente») (59) . 
    Ed infatti, se  si  considera  l'ordinamento  giuridico  nel  suo
assetto positivo conseguente alla sentenza n.  212/2003  della  Corte
costituzionale, risulta evidente che anche l'abrogazione dell'art. 42
decreto legislativo n. 274/2000 posta in essere dall'art. 299 decreto
legislativo n. 113/2002 ha determinato una «radicale  modifica»  (non
solo formale, ma pure sostanziale) «delle regole di competenza» sulla
conversione delle pene pecuniarie inflitte da  un  giudice  di  pace,
modifica che il Legislatore delegato non aveva il potere  di  operare
(con conseguente vizio di eccesso di delega dell'art. 299  cit.  pure
in parte qua): come si passa a dimostrare. 
    Si  osserva,  anzitutto,   al   riguardo   che,   essendo   Corte
costituzionale n. 212/2003 una pronuncia  di  accoglimento,  essa  ha
determinato l'annullamento (con efficacia  retroattiva)  delle  norme
dichiarate incostituzionali (60) . 
    Pertanto: 
        a  seguito  di  Corte  costituzionale  212/2003  sono   stati
«eliminati ex tunc» dall'ordinamento  giuridico  (perche'  dichiarati
incostituzionali tout court) gli art. 237-238 decreto legislativo  n.
113/2002, che demandavano genericamente al «giudice  dell'esecuzione»
il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene  pecuniarie
per insolvibilita' del condannato; 
        a    seguito    della     contestuale     declaratoria     di
incostituzionalita' (parziale) dell'art. 299 decreto  legislativo  n.
113/2002 nella parte in cui abrogava l'art. 660 codice  di  procedura
penale, Corte cost. 212/2003 ha determinato altresi' la «reviviscenza
ex tunc» dell'art. 660 codice di procedura penale, che attribuisce al
magistrato  di  sorveglianza  la  competenza  per   il   procedimento
giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie; 
        piu' esattamente, «in conseguenza dell'inidoneita'» dell'art.
299  decreto  legislativo  n.  113/2002  («per  il   radicale   vizio
procedurale che lo inficia») «a  produrre  effetti  abrogativi»  (61)
 rispetto all'art. 660 codice di procedura penale, a seguito di Corte
cost. 212/2003 l'efficacia dello stesso art. 660 codice di  procedura
penale deve considerarsi ripristinata senza soluzione di  continuita'
e/o «come se non fosse stato mai abrogato»: e questo, in applicazione
tanto della giurisprudenza costituzionale relativa agli effetti della
caducazione di una norma (nella fattispecie,  dell'art.  299  decreto
legislativo n. 113/2002) emanata in difetto di  delega  (62)   quanto
della giurisprudenza costituzionale relativa alle  conseguenze  della
dichiarazione di incostituzionalita' di una norma (nella fattispecie,
dell'art. 299  cit.)  espressamente  abrogatrice  di  un'altra  norma
(nella fattispecie, dell'art. 660 codice di procedura penale) (63) . 
    Tutto cio' val quanto dire che a seguito di Corte  costituzionale
212/2003: 
        gli  art.  237-238  decreto  legislativo  n.  113/2002   (che
attribuivano  la  competenza   per   la   conversione   al   «giudice
dell'esecuzione»), essendo stati dichiarati incostituzionali in toto,
sono stati eliminati dal nostro ordinamento con efficacia ex tunc  e,
quindi, «come se non fossero mai esistiti»; 
        per  effetto  della   declaratoria   di   incostituzionalita'
parziale dell'art. 299 decreto legislativo n.  113/2002,  l'art.  660
codice di procedura penale deve considerasi «presente e vigente»  nel
nostro ordinamento ab initio [recte: sin dalla sua entrata in  vigore
nel 1989 (64) ] e «senza soluzione di continuita'» perche' lo  stesso
non  e'  stato  mai  validamente  abrogato  dall'art.   299   decreto
legislativo n. 113/2002. 
    Orbene! 
        prima  dell'entrata   in   vigore   dell'art.   299   decreto
legislativo n. 113/2002 la magistratura di sorveglianza non aveva mai
avuto  alcuna  competenza  in  materia  di  conversione  delle   pene
pecuniarie  applicate  dal  giudice  di  pace,  essendo  quest'ultima
spettata  sempre  al  giudice  di  pace  in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione ex art. 42 decreto legislativo n. 274/2000; 
        con la  dichiarazione  di  incostituzionalita'  totale  degli
articoli 237-238 decreto  legislativo  n.  113/2002  e  con  il  loro
conseguente annullamento (ex tunc),  l'ordinamento  da  un  punto  di
vista logico-giuridico «non ha mai conosciuto» quella competenza  del
«giudice dell'esecuzione» genericamente prevista da codeste norme per
la conversione delle pene pecuniarie; 
        con  l'abrogazione  dell'art.  42  decreto   legislativo   n.
274/2000  posta  in  essere  dall'art.  299  decreto  legislativo  n.
113/2002, pertanto, la competenza del giudice di pace in funzione  di
giudice dell'esecuzione (prevista dallo stesso art. 42) da  un  punto
di vista logico-giuridico non poteva intendersi ricompresa negli art.
237-238  decreto  legislativo  n.  113/2002  e  nella  ivi   divisata
competenza generica del «giudice dell'esecuzione» poiche' tali  norme
sono state dichiarate incostituzionali e, quindi, devono considerarsi
mai esistite nell'ordinamento; 
        con  l'abrogazione  dell'art.  42  decreto   legislativo   n.
274/2000  posta  in  essere  dall'art.  299  decreto  legislativo  n.
113/2002, invece, la competenza «speciale» del  giudice  di  pace  in
funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie  applicate
dal giudice di pace (prevista dallo stesso art. 42) da  un  punto  di
vista logico-giuridico doveva considerasi ricompresa (gia' al momento
della suindicata abrogazione dell'art. 42  cit.)  nella  formulazione
generica contenuta nel «mai validamente abrogato» art. 660 codice  di
procedura  penale  (65)   e,  quindi,  trasferita  nella   competenza
«generale» del magistrato di sorveglianza ivi (nell'art.  660  codice
di procedura penale)  menzionata  (66)  ,  il  quale  (magistrato  di
sorveglianza) pero' non aveva mai avuto in precedenza  la  competenza
per la conversione delle pene pecuniarie  applicate  dal  giudice  di
pace; 
        l'art.  299  decreto  legislativo  n.  113/2002,   nondimeno,
costituiva (come detto) l'esercizio di una delega  (quella  contenuta
nell'art. 7 legge n. 50/1999), che non aveva conferito al Legislatore
delegato alcun «potere di dettare una disciplina del procedimento  di
conversione  delle  pene  pecuniarie  che  comportasse  una  radicale
modifica delle regole  di  competenza»  (cosi'  Corte  costituzionale
212/2003); 
        conseguentemente, l'art. 299 decreto legislativo n.  113/2002
risulta viziato da «eccesso di delega» nella parte in cui ha abrogato
l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e (da  un  punto  di  vista
logico-giuridico)  contestualmente  trasferito   al   magistrato   di
sorveglianza ex art. 660 codice di procedura penale la competenza per
la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice  di  pace:
donde la sua incostituzionalita' per violazione dell'art. 76 Cost. 
    10.  -  Non  manifesta  infondatezza  della  questione   relativa
all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n.  115/2002
nella parte in cui esclude dal suo ambito  operativo  il  giudice  di
pace in funzione di giudice dell'esecuzione. Premessa. 
    Passiamo adesso a dimostrare la non manifesta infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  238-bis  decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art.  1,
comma 473, legge n. 205/2017) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7),
facendo riferimento al giudice  competente  per  il  procedimento  di
conversione delle pene pecuniarie per  insolvibilita'  del  debitore,
parla  specificamente  di  «magistrato  di  sorveglianza  competente»
anziche' genericamente di «giudice competente». 
    Con  questa  seconda  questione,  piu'  esattamente,  si  intende
censurare una vera e propria «incostituzionalita' indotta»  dell'art.
238-bis cit.  perche'  essa  (incostituzionalita')  sarebbe  «creata»
dall'auspicato accoglimento della suindicata prima questione e  dalla
conseguente eliminazione dal sistema normativo dell'art. 299  decreto
legislativo n. 113/2002 nella parte in  cui  ha  abrogato  l'art.  42
decreto legislativo n.  274/2000  con  contestuale  «reviviscenza  ex
tunc» di quest'ultimo (art. 42) (67) . 
    Tale questione puo' essere sollevata sotto due profili  tra  loro
alternativi a seconda che: 
        a) si assegni all'art. 1, comma 473, legge  n. 205/2017  (che
ha introdotto nel corpus del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 115/2002 il citato art. 238-bis) soltanto la funzione  (ratio)  di
colmare  il  vuoto  normativo  venutosi  a   creare   tra   la   fase
amministrativa  di  esazione   della   pena   pecuniaria   e   quella
giurisdizionale di conversione a seguito  -  da  una  parte  -  della
persistente  abrogazione  degli  articoli  181-182  disposizioni   di
attuazione del codice di procedura penale (posta in essere  dall'art.
299 decreto legislativo n. 113/2002) e -  dall'altra  parte  -  della
dichiarazione di incostituzionalita' degli  articoli  237-238  stesso
decreto legislativo (fatta da Corte costituzionale 212/2003); 
    oppure 
        b) si assegni all'art. 1, comma 473, legge  n. 205/2017  (che
ha introdotto nel corpus del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 115/2002 il citato art. 238-bis) pure  la  funzione  di  dare  una
nuova regolamentazione della competenza sulla conversione delle  pene
pecuniarie per insolvibilita' del condannato (tanto della conversione
delle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» quanto  della
conversione delle pene applicate dal giudice di pace), concentrandola
sempre e solo nella magistratura di sorveglianza. 
    10. 1 -  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  relativa
all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002,
se interpretato nel  senso  di  aver  voluto  disciplinare  soltanto 
l'attivazione  del  procedimento  di  conversione,   per   violazione
dell'art. 3 Cost. 
    Cominciando ad esaminare la questione  sotto  il  primo  dei  due
profili suindicati a), si rileva quanto segue. 
    Applicando   i   gia'   ricordati   principi   elaborati    dalla
giurisprudenza  costituzionale  relativamente  agli   effetti   della
caducazione di una norma (nella fattispecie,  dell'art.  299  decreto
legislativo n. 113/2002) emanata in difetto di delega (68)    e dalla
giurisprudenza  costituzionale  relativa   alle   conseguenze   della
dichiarazione di incostituzionalita' di una norma (nella fattispecie,
dell'art. 299  cit.)  espressamente  abrogatrice  di  un'altra  norma
(nella fattispecie, dell'art. 42  decreto  legislativo  n.  274/2002)
(69) , risulta logico e coerente affermare che: 
        se venisse accolta la prima delle questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate con la presente ordinanza  (quella  relativa
all'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte  in  cui  ha
abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000),  si  avrebbe  la
«reviviscenza ex tunc» dello stesso art. 42, che demanda «al  giudice
di pace competente per l'esecuzione» il procedimento  giurisdizionale
di conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace; 
        piu' esattamente, «in conseguenza dell'inidoneita'» dell'art.
299  decreto  legislativo  n.  113/2002  («per  il   radicale   vizio
procedurale che lo inficia») «a  produrre  effetti  abrogativi»  (70)
 rispetto all'art. 42 decreto  legislativo  n.  274/2000,  a  seguito
della qui invocata dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 299
decreto legislativo n. 113/2002 [e del suo  conseguente  annullamento
con efficacia retroattiva (ex tunc)] la vigenza dello stesso art.  42
decreto legislativo n. 274/2000 sarebbe ripristinata senza  soluzione
di  continuita':  di  guisa  esso  (art.  42)  dovrebbe  considerarsi
«presente e vigente» nel nostro ordinamento ab initio [recte: sin dal
momento  della  sua  entrata  in   vigore   nel   2002   (71)   ]   e
continuativamente «in quanto mai validamente abrogato» dall'art.  299
decreto legislativo n. 113/2002. 
    Orbene! 
    A seguito di codesta «reviviscenza ex tunc» dell'art. 42  decreto
legislativo n. 274/2000 sarebbero compresenti nel nostro  ordinamento
due norme dello stesso grado tra loro in contrasto, e cioe': 
        l'art. 238-bis decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, legge n.  205/2017),  il
quale, con riferimento al procedimento giurisdizionale di conversione
genericamente  indicato,  parla  di   «magistrato   di   sorveglianza
competente» (commi 2, 5, 6 e 7); 
        l'art. 42 decreto legislativo  n.  274/2000,  il  quale,  con
riferimento allo specifico procedimento  di  conversione  delle  pene
pecuniarie inflitte dal giudice di pace, parla di  «giudice  di  pace
competente per l'esecuzione». 
    Sennonche': 
        come gia' detto (72) , l'art. 238-bis decreto del  Presidente
della Repubblica n. 115/2002 e' stato introdotto dall'art.  1,  comma
473, legge n. 205/2017 al solo scopo di colmare  il  vuoto  normativo
venutosi a creare tra la fase amministrativa di esazione  della  pena
pecuniaria e quella giurisdizionale di conversione; 
        a tal fine, il Legislatore del 2017 ha «preso  atto»  sic  et
simpliciter  dell'assetto  normativo  conseguente  alla  sentenza  n.
212/2003 della Corte costituzionale, il quale (assetto normativo) era
caratterizzato in quel momento  (27  dicembre  2017)  dalla  presenza
della sola disposizione contenuta nel «resuscitato» art.  660  codice
di procedura  penale  e  della  sola  competenza  del  magistrato  di
sorveglianza divisata dallo stesso art. 660; 
        la qui invocata declaratoria di incostituzionalita' dell'art.
299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in  cui  ha  abrogato
l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, invece,  verrebbe  oggi  a
modificare  l'assetto   normativo   preso   in   considerazione   dal
Legislatore del 2017 nell'introdurre l'art. 238-bis d.pr. 115/2002. 
    Pertanto: 
        l'art. 238-bis decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
115/2002  nel  testo  oggi  vigente,   nell'indicare   come   giudice
competente per la conversione soltanto il magistrato di  sorveglianza
ex art.  660  codice  di  procedura  penale  e  nell'escludere  cosi'
implicitamente la «recuperata» competenza  del  giudice  di  pace  in
funzione di giudice dell'esecuzione,  avrebbe  una  conseguenza  (per
l'appunto, l'implicita esclusione della  competenza  del  giudice  di
pace in funzione di giudice dell'esecuzione per la conversione  delle
pene applicate da un giudice di pace) non  prevista  e  (soprattutto)
non voluta dal Legislatore: 
          a) non prevista, perche' nel momento dell'introduzione  (il
27 gennaio 2017) dell'art. 238-bis cit. non si poteva  «pronosticare»
(e, comunque, non era stata  «pronosticata»)  la  sopra  invocata  (e
auspicata) pronuncia di  incostituzionalita'  dell'art.  299  decreto
legislativo n. 113/2002 nella parte in  cui  ha  abrogato  l'art.  42
decreto  legislativo  n.  274/2000  e   la   connessa   «reviviscenza
retroattiva» di quest'ultima norma; 
          b) non voluta, perche' (attesa la suindicata  ratio  legis)
con l'introduzione dell'art. 238-bis cit. il  Legislatore  stesso  ha
inteso soltanto  dettare  la  disciplina  di  raccordo  tra  la  fase
amministrativa  di  riscossione  della  pena  pecuniaria  e  la  fase
giurisdizionale della sua conversione, senza  volere  incidere  sulle
regole di competenza in materia; 
        in  virtu'  della  predetta  «implicita   esclusione»   della
«recuperata» competenza del giudice di pace in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione, pero', lo stesso  art.  238-bis  cit.  presenterebbe
quella «intrinseca contraddittorieta' tra ratio della disposizione  e
il suo contenuto normativo», che «si estrinseca nella violazione  del
canone  della  ragionevolezza  e   pertanto   rientra   nella   sfera
applicativa dell'art. 3 Cost.» [come sta scritto  testualmente  nella
motivazione di Corte cost., sentenza 12 dicembre 2012, n. 279 (73) ]; 
        infatti, l'attuale formulazione dell'art.  238-bis  cit.  (il
suo «contenuto normativo»),  parlando  soltanto  del  «magistrato  di
sorveglianza»  come  organo   giurisdizionale   competente   per   la
conversione, avrebbe una conseguenza  (l'implicita  esclusione  della
competenza del giudice di pace prevista  dal  «resuscitato»  art.  42
decreto legislativo n. 274200) intrinsecamente contraddittoria con la
sua  ratio  (consistente  soltanto  nella  finalita'  di  dettare  la
disciplina di raccordo tra la fase di esazione delle pene  pecuniarie
e  quella  della  loro  conversione  e  non  anche  la  finalita'  di
disciplinare e/o innovare la competenza in subiecta materia); 
        con l'invocata declaratoria di  incostituzionalita'  parziale
(recte:  sostitutiva)  dell'art.   238-bis decreto   del   Presidente
della Repubblica n. 115/2002,  nel  suo  «contenuto  normativo»  (che
parlerebbe genericamente di «giudice competente» per la  conversione)
rientrerebbe  pure  il  giudice  di  pace  in  funzione  di   giudice
dell'esecuzione, oltreche' il magistrato di sorveglianza; 
        in tal  modo,  quindi,  non  solo  sarebbe  eliminata  quella
«intrinseca contraddittorieta' tra ratio della disposizione e il  suo
contenuto  normativo»  ravvisabile  nell'art.  238-bis  decreto   del
Presidente    della    Repubblica    n.     115/2002     («intrinseca
contraddittorieta'» che che lo vizia di irragionevolezza  ex  art.  3
Cost.), ma sarebbe  altresi'  «composto  e  superato»  il  suindicato
contrasto tra lo stesso art.  238-bis  e  il  «resuscitato»  art.  42
decreto  legislativo  n.   274/2000:   cosi'   soddisfacendosi   pure
l'esigenza di razionalita' dell'ordinamento [intesa come  coerenza  e
non contraddizione dello stesso (74) ]. A tal fine si chiede  che  la
Corte   costituzionale   dichiari   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002
(introdotto dall'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017,  n.  205)
nella parte in cui (commi 2,  5,  6  e  7),  facendo  riferimento  al
giudice  competente  per  il  procedimento  di   conversione,   parla
specificamente di «magistrato di  sorveglianza  competente»  anziche'
genericamente di «giudice competente», per violazione  del  principio
di ragionevolezza e/o del canone di razionalita' ex art. 3 Cost. 
    10. 2 - Non manifesta infondatezza  della  questione  riguardante
l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica  n.  115/2002,
se interpretato nel senso di aver voluto pure disciplinare ex novo la
competenza relativa al procedimento di  conversione,  per  violazione
degli articoli 3, 97, comma 2, e 111, comma 2, Cost. 
    Passiamo  adesso  a  dimostrare  la  non  manifesta  infondatezza
dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002
sotto l'altro dei due profili «alternativi» suindicati; vale a  dire,
presupponendo  che  l'art.   1,   comma   473,   legge   n. 205/2017,
nell'introdurre  nel  corpus  del  decreto   del   Presidente   della
Repubblica n. 115/2002 il citato art. 238-bis, abbia voluto pure dare
una nuova regolamentazione della competenza sulla  conversione  delle
pene  pecuniarie  per  insolvibilita'  del  condannato  (tanto  della
conversione delle pene pecuniarie applicate dal  giudice  «ordinario»
quanto di quelle  applicate  dal  giudice  di  pace),  concentrandola
sempre e solo nella magistratura di sorveglianza: cosi'  come  sembra
postulare (ma apoditticamente  e  senza  adeguata  dimostrazione)  la
suindicata sentenza 56967/2018 della Corte di cassazione (75) . 
    In questa prospettiva: 
        se venisse accolta la prima delle questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate con la presente ordinanza  (quella  relativa
all'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte  in  cui  ha
abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000),  si  avrebbe  la
«reviviscenza ex tunc» dello stesso art. 42, che demanda «al  giudice
di pace competente per l'esecuzione» il procedimento  giurisdizionale
di conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace; 
        piu'   esattamente,   a   seguito   della   sopra    invocata
dichiarazione   di   incostituzionalita'   dell'art.   299    decreto
legislativo n. 113/2002  [e  del  suo  conseguente  annullamento  con
efficacia retroattiva (ex tunc)], la vigenza  dello  stesso  art.  42
decreto legislativo n. 274/2000 sarebbe ripristinata senza  soluzione
di continuita' e/o «come se non fosse stato mai abrogato»:  di  guisa
esso (art. 42) dovrebbe considerarsi «presente e vigente» nel  nostro
ordinamento ab initio ed ininterrottamente sin dal momento della  sua
entrata in vigore nel 2002 (76)  in quanto mai  validamente  abrogato
dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002; 
        l'art. 238-bis decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
115/2002, essendo stato introdotto dall'art.  1  legge  n.  205/2017,
quindi, sarebbe lex posterior rispetto al predetto  art.  42  decreto
legislativo n. 274/2000; 
        la suindicata antinomia tra codeste due norme [l'una  (l'art.
238-bis decreto del Presidente della  Repubblica  n.  115/2002)  che,
quando fa riferimento al giudice competente per  il  procedimento  di
conversione  genericamente  indicato,   parla   di   «magistrato   di
sorveglianza competente»; e l'altra (l'art. 42 decreto legislativo n.
274/2000), che, rispetto allo specifico procedimento  giurisdizionale
di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice  di  pace,
assegna la relativa competenza al «giudice  di  pace  competente  per
l'esecuzione«], pertanto, dovrebbe essere risolta con  l'applicazione
del «criterio cronologico» previsto dall'art. 15 preleggi  e  con  la
conseguente prevalenza dell'art. 238-bis decreto del Presidente della
Repubblica n. 115/2002, il quale, in quanto norma successiva, avrebbe
implicitamente  e/o  tacitamente  abrogato  quella   «piu'   vecchia»
contenuta nell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000. 
    Tuttavia, se si assegnasse all'art. 238-bis cit. pure il predetto
significato di «norma implicitamente abrogatrice dell'art. 42 decreto
legislativo n. 274/2000», lo stesso si esporrebbe (per  l'appunto)  a
plurime censure di incostituzionalita'. 
    Ed invero, il conseguente trasferimento di competenza  (scilicet:
del procedimento di conversione delle pene pecuniarie  applicate  dal
giudice  di  pace)  dal  giudice  di  pace  in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione  (previsto  dall'art.  42  decreto   legislativo   n.
274/2000) alla magistratura di sorveglianza (ex art. 238-bis  decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002) sarebbe incostituzionale
per diverse ragioni e piu' esattamente perche': 
        sarebbe privo di ragionevole giustificazione, con  violazione
del  principio  di  ragionevolezza  ex  art.  3  Cost.  [conf.  Corte
costituzionale 369/1993 e Corte costituzionale 117/1990 (77) ]; 
        finirebbe per stravolgere immotivatamente la coerenza interna
di  quel  «microsistema   di   tutela   integrata»   costituito   dal
procedimento penale davanti al giudice di pace,  con  violazione  del
canone di razionalita' ex art. 3 Cost. (78) ; 
        vanificherebbe le «finalita' di snellezza, semplificazione  e
rapidita'» del procedimento penale davanti al giudice di pace (79)  e
coessenziali pure al principio della ragionevole durata del  processo
ex art. 111, comma 2, Cost.; 
        avrebbe  effetti  contrastanti  con  il  principio  di  «buon
andamento dell'amministrazione» della giustizia ex art. 97, comma  2,
Cost. 
    Come si passa a dimostrare. 
    Si  osserva,   anzitutto,   al   riguardo   che   il   contestato
trasferimento in capo alla  magistratura  di  sorveglianza  (ex  art.
238-bis cit.) del procedimento di conversione delle  pene  pecuniarie
applicate dal giudice  di  pace  non  risponderebbe  all'esigenza  di
realizzare una «logica armonizzazione della disciplina»  in  subiecta
materia  (quella  della  conversione  delle   pene   pecuniarie   per
insolvibilita' del condannato). 
    Tale  armonizzazione  di  disciplina,  infatti,   sarebbe   stata
«logica» solo se avesse concentrato le competenze in subiecta materia
in capo al giudice  dell'esecuzione  (cosi'  «sanando»  il  vizio  di
eccesso di delega, in cui era incorso  il  Legislatore  delegato  con
l'introduzione  delle  norme  dichiarate  incostituzionali  da  Corte
costituzionale 212/2003): in tal modo, invero, si sarebbero eliminati
quegli inutili «passaggi» tra  diversi  uffici  giudiziari  provocati
proprio  dalla  presenza  nel  procedimento  della  magistratura   di
sorveglianza (80) . 
    Viceversa, mettendo nelle mani della magistratura di sorveglianza
il procedimento di conversione delle pene  pecuniarie  applicate  dal
giudice di pace (come  avverrebbe  in  base  all'interpretazione  qui
avversata dell'art. 238-bis decreto del Presidente  della  Repubblica
n.  115/2002),  codesto  procedimento  sarebbe  privato   di   quelle
«snellezza, semplificazione  e  rapidita'»  originariamente  (vale  a
dire, con la previsione ex art. 42 decreto legislativo  n.  274/2000)
assicurate dalla «concentrazione delle competenze in  executivis»  in
capo allo stesso giudice di pace che ha emesso la sentenza. 
    Per rendersi conto di tutto questo bastera' considerare  che,  se
per effetto dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica
n. 115/2002 (interpretato nel senso  qui  avversato)  la  conversione
delle pene  pecuniarie  applicate  da  un  giudice  di  pace  dovesse
spettare  alla  magistratura  di  sorveglianza,   quel   procedimento
implicherebbe  l'intervento  di  diversi  uffici  giudiziari   e   un
«pendolarismo» tra l'uno e l'altro, articolandosi: 
        a) nella richiesta di attivazione della conversione da  parte
del c.d. ufficio recupero crediti (art. 238-bis, comma 2)  presso  il
giudice dell'esecuzione (81) ; 
        b) nella trasmissione di tale richiesta al pubblico ministero
(art. 238-bis, comma 2, cit.): con un primo «pericolo di  stasi»  del
procedimento, non essendo chiaro se a tal fine debba essere investito
il pubblico ministero presso il giudice  dell'esecuzione  oppure  (ai
sensi dell'art. 678, comma 3, codice di procedura penale) il pubblico
ministero presso il magistrato di sorveglianza competente a  disporre
la conversione; 
        c) nell'attivazione  da  parte  del  pubblico  ministero  del
procedimento di conversione  presso  il  magistrato  di  sorveglianza
competente, che spetta allo stesso pubblico ministero individuare  in
base ai criteri stabiliti dall'art. 677 codice di  procedura  penale,
comma l (se il condannato risulta detenuto o internato) e comma 2 (se
il condannato non e' detenuto o internato) (82) : con altro «pericolo
di stasi» del procedimento, dovendo il pubblico ministero (al fine di
individuare  l'ufficio   di   sorveglianza   competente)   effettuare
«ricerche» sul condannato per accertare  se  lo  stesso  sia  o  meno
detenuto (o internato) e/o dove lo stesso sia ristretto (se  detenuto
o internato) o dove abbia la residenza o il domicilio (se  «libero»);
e con tutti i rischi di ulteriore «stasi»  connessi  all'eventualita'
che il condannato muti il proprio status (di detenuto o di  «libero«)
o il luogo di detenzione o di residenza nelle more della trasmissione
degli atti dal pubblico ministero al magistrato di sorveglianza; 
        d) in caso di accertata solvibilita'  del  condannato,  nella
restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero  perche'  richieda
all'ufficio recupero crediti presso  il  giudice  dell'esecuzione  il
riavvio delle attivita' di riscossione (arg. ex art.  238-bis,  comma
7, e 239 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002); 
        e) in caso di conversione della pena o di sua rateizzazione o
di  differimento   della   conversione,   nella   comunicazione   del
provvedimento  all'ufficio  recupero  crediti   presso   il   giudice
dell'esecuzione  perche',  a  sua  volta,  provveda   a   comunicarlo
all'agente di riscossione (art. 238-bis, comma 8, cit.). 
    Assai piu' snello e rapido, invece, sarebbe  il  procedimento  di
conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di  pace,  se
rispetto allo stesso permanesse la competenza del giudice di pace  in
funzione di giudice dell'esecuzione: e cio', in conseguenza del fatto
che  il  giudice  di  pace  competente   per   l'esecuzione   di   un
provvedimento e' normalmente lo stesso giudice  di  pace  che  lo  ha
emesso (art. 40, comma 1, decreto legislativo n. 274/2000). 
    Ed invero, se il «modulo operativo»  divisato  dall'art.  238-bis
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/2002  vedesse  la
presenza (anziche' del magistrato di  sorveglianza)  del  giudice  di
pace in funzione di giudice dell'esecuzione quale  organo  competente
per  il  procedimento  giurisdizionale  di  conversione  delle   pene
pecuniarie inflitte dal giudice di pace, si avrebbero soltanto: 
        la richiesta di  conversione  dell'ufficio  recupero  crediti
presso lo stesso giudice di pace, che ha emesso il  provvedimento  di
condanna alla pena pecuniaria da convertire  [arg.  ex  articoli  40,
comma 1, decreto legislativo n. 274/2000 e 208, comma 1, lettera  b),
decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (83) ]; 
        la trasmissione  di  tale  richiesta  al  pubblico  ministero
presso lo stesso giudice di  pace  che  ha  emesso  il  provvedimento
[recte: al pubblico ministero presso il tribunale nel cui circondario
ha sede il giudice di pace che ha emesso il provvedimento: v. art. 1,
lettera a), decreto legislativo n.  274/20021:  senza,  quindi,  quei
dubbi circa l'individuazione del pubblico ministero  cui  trasmettere
la richiesta de qua, sopra rappresentati sub b); 
        l'attivazione   da   parte   del   pubblico   ministero   del
procedimento  di  conversione  presso  lo  stesso  giudice  di   pace
competente per l'esecuzione, che «coincide» sempre e solo con  quello
stesso ufficio esecutivo  che  gli  ha  richiesto  l'attivazione  del
procedimento: senza, quindi, quella «stasi»  imposta  dalle  ricerche
necessarie per individuare il magistrato di sorveglianza  competente,
di cui si e' teste' detto sub c); 
        in caso di accertata  solvibilita'  del  condannato,  riavvio
delle attivita' di riscossione da parte dell'ufficio recupero crediti
presso  lo  stesso  giudice  di   pace   in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione,  previa  semplice  comunicazione  al  P.M.:  riavvio
«diretto», quindi, e senza la preventiva restituzione degli  atti  al
pubblico ministero ai fini della richiesta di riavvio sopra vista sub
d),  risultando  tale  richiesta  assolutamente   superflua   poiche'
l'attivita' di riscossione e' demandata all'ufficio recupero  crediti
presso  lo  stesso  giudice  di   pace   in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione (84) . 
    Alla stregua di quanto  precede,  quindi,  risulta  evidente  che
l'art. 238-bis cit., se interpretato nel senso  di  avere  trasferito
dal giudice  di  pace  in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione  al
magistrato  di  sorveglianza  il  procedimento   giurisdizionale   di
conversione delle pene pecuniarie applicate da un  giudice  di  pace,
sarebbe privo di ragionevole giustificazione  anche  perche'  avrebbe
effetti gravemente dilatori, i quali si risolverebbero in una lesione
del principio della ragionevole durata del processo (art. 111,  comma
2, Cost.) non «compensata» dall'esigenza di dare attuazione ad  altri
valori costituzionali. 
    Ma non basta. 
    La   sottrazione   al   giudice   di   pace   del    procedimento
giurisdizionale di conversione delle  pene  pecuniarie  dal  medesimo
applicate (sottrazione conseguente all'interpretazione qui  censurata
dell'art. 238-bis cit.) verrebbe immotivatamente a  «stravolgere»  la
coerenza interna di quell'autonomo «microsistema di tutela integrata»
rappresentato dal procedimento penale davanti al giudice di pace (85)
. E cio' sotto diversi profili e in particolare perche': 
        dal punto di vista soggettivo, determinerebbe la «intrusione»
in  quel  procedimento  di  un  organo  diverso  da  quelli  previsti
dall'art. 2 decreto legislativo n. 274/2000 e, piu' esattamente»,  di
un giudice «professionale» o  «togato»  quale  e'  il  magistrato  di
sorveglianza:  e  questo  in  violazione  della  ratio  sottesa  alla
disciplina di quel procedimento, che ha inteso contenere «in  termini
minimali» la presenza di magistrati «togati» e  valorizzare,  invece,
il  ruolo  del  magistrato  «onorario»  (il  giudice  di  pace,   per
l'appunto) (86) ; 
        dal punto di vista sanzionatorio, determinerebbe in  sede  di
conversione l'applicazione da parte del magistrato di sorveglianza di
sanzioni [normalmente  l'obbligo  di  permanenza  domiciliare  o,  su
richiesta del condannato, il lavoro di pubblica utilita' (v. art.  55
decreto legislativo n. 274/2002) (87) ], che invece nel  disegno  del
Legislatore sono «applicabili solo dal giudice di pace» (88) ; 
        dal punto di vista  funzionale,  infine,  determinerebbe  una
anomala  distonia  nella  «gestione  esecutiva»  delle  predette  (ed
ontologicamente identiche) sanzioni disciplinata dall'art. 44 decreto
legislativo   n.   274/2000,   la   quale   («gestione    esecutiva»)
continuerebbe a spettare al giudice di pace in  funzione  di  giudice
dell'esecuzione in presenza di  sanzioni  applicate  ex  directo  dal
giudice di pace in sede di  cognizione;  e  spetterebbe,  invece,  al
magistrato di sorveglianza  in  presenza  di  sanzioni  applicate  da
quest'ultimo in caso di conversione (89) : con conseguente violazione
del  «principio  di  concentrazione  delle  competenze   nella   fase
esecutiva» ispirante la disciplina del procedimento penale davanti al
giudice di pace (90) . 
    Merita, infine, di essere sottolineato anche il fatto che la  qui
contestata interpretazione dell'art. 238-bis decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 115/2902 introdotto dall'art. 1 legge n. 205/2017
(interpretazione assegnante a tale norma pure la funzione di dare una
nuova regolamentazione della competenza in subiecta materia:  con  il
conseguente trasferimento di competenza  dal  giudice  di  pace  alla
magistratura di sorveglianza del procedimento  di  conversione  delle
pene pecuniarie applicate dal giudice di pace),  creerebbe  -  da  un
lato - un ingiustificato «svuotamento» delle funzioni  esecutive  del
giudice di pace e di  contro  -  dall'altro  lato  -  un  altrettanto
ingiustificato  incremento  dei   compiti   della   magistratura   di
sorveglianza. E cio', proprio in un momento storico, che sta  vedendo
gli Uffici di sorveglianza chiamati da una legislazione  emergenziale
(91)  a cercare  di  porre  rimedio  a  urgenti  problemi  fortemente
sentiti  dalla  popolazione  carceraria  (in   primis,   quello   del
«sovraffollamento»   e   quello   dell'effettivita'   della    tutela
giurisdizionale   dei   diritti   dei    detenuti    nei    confronti
dell'Amministrazione) e conseguentemente gravati (spesso ex  abrupto)
da sempre piu' numerose  attribuzioni,  ma  senza  un  corrispondente
adeguamento delle risorse  «umane  e  materiali»:  di  guisa  che  il
suindicato trasferimento di competenza della conversione  delle  pene
pecuniarie applicate dai giudici di pace finirebbe con il  comportare
altresi' una compromissione del valore costituzionale (art. 97, comma
2, Cost.) del  «buon  andamento»  (recte:  dell'efficienza)  di  quel
particolare settore «dell'amministrazione della giustizia» costituito
dalla magistratura di sorveglianza. 
    Alla luce delle superiori considerazioni si puo' affermare che: 
        l'art. 238-bis d.pr. 115/2002, se interpretato nel senso  qui
avversato [nel senso, cioe', di avere implicitamente e/o  tacitamente
abrogato il «resuscitato» (per  effetto  dell'auspicato  accoglimento
della prima delle questioni di costituzionalita' oggi sollevate) art.
42 decreto  legislativo  n.  274/2000  e  di  avere  conseguentemente
«trasferito»  dal  giudice   di   pace   in   funzione   di   giudice
dell'esecuzione al magistrato di sorveglianza la competenza anche del
procedimento giurisdizionale di  conversione  delle  pene  pecuniarie
applicate dal giudice pace], appare in contrasto con l'art.  3  Cost.
(sia come  espressione  dei  principio  di  ragionevolezza  sia  come
espressione del canone di razionalita'),  con  l'art.  97,  comma  2,
Cost.  (principio  del  buon  andamento  dell'amministrazione   della
giustizia)  e  con  l'art.  111,  comma  2,  Cost.  (principio  della
ragionevole durata del processo); 
        con l'invocata declaratoria di  incostituzionalita'  parziale
(recte: sostitutiva) dell'art. 238-bis decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 115/2002, invece, nel suo  «contenuto  normativa»  (che
parlerebbe genericamente di «giudice competente» per la  conversione)
rientrerebbe  pure  il  giudice  di  pace  in  funzione  di   giudice
dell'esecuzione, oltreche' il magistrato di sorveglianza; 
        conseguentemente,    essa    (invocata    declaratoria     di
incostituzionalita'  parziale  -  sostitutiva)   svuoterebbe   l'art.
238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 della sua
illegittima (per le predette violazioni degli articoli 3,  97  e  111
Cost.)  funzione  abrogativi  del  «resuscitato»  art.   42   decreto
legislativo n. 274/2000; 
        in tal  modo  risulterebbe  pure  «composto  e  superato»  il
suindicato contrasto tra le due disposizioni  in  parola  (l'art.  42
decreto  legislativo  n.  274/2000  e  l'art.  238-bis  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 115/2002) e soddisfatta l'esigenza  di
razionalita'   dell'ordinamento   intesa   come   coerenza   e    non
contraddizione dello stesso (92) . 
    Anche a tal fine, percio', si  torna  a  chiedere  che  la  Corte
costituzionale dichiari l'illegittimita'  dell'art.  238-bis  decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art.  1,
comma 473, legge n. 205/2017) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7),
facendo riferimento al giudice  competente  per  il  procedimento  di
conversione, parla  specificamente  di  «magistrato  di  sorveglianza
competente» anziche' genericamente  di  «giudice  competente»  ,  per
violazione  del  principio  di  ragionevolezza  e/o  del  canone   di
razionalita' ex  art.  3  Cost.,  dell'art.  97,  comma  2,  Cost.  e
dell'art. 111, comma 2, Cost. 
    11. - Sintesi finale. 
    Riepilogando e sintetizzando quanto sopra scritto, possiamo cosi'
concludere: 
        Corte costituzionale 212/2003 ha dichiarato  incostituzionali
(perche' viziati da «eccesso di delega»)  gli  art.  237-238  decreto
legislativo n. 113/2002, nonche' l'art. 299  decreto  legislativo  n.
113/2002 nella parte in cui  aveva  abrogato  l'art.  660  codice  di
procedura penale; 
        per effetto  di  codesta  sentenza  [e  in  applicazione  dei
principi elaborati  sia  dalla  giurisprudenza  costituzionale  sugli
effetti della dichiarata incostituzionalita' di una norma emanata  in
difetto di  delega  sia  dalla  giurisprudenza  costituzionale  sugli
effetti della  dichiarazione  di  incostituzionalita'  di  una  norma
espressamente abrogatrice di un'altra norma (93) ]  da  un  punto  di
vista logico-giuridico non sono mai validamente esistiti  nel  nostro
ordinamento gli articoli 237-238 (che demandavano il procedimento  di
conversione al  «giudice  dell'esecuzione»  genericamente  indicato),
mentre a sua volta l'art. 660 codice di procedura penale (che in  via
generale attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza  per
la conversione) deve considerarsi  presente  nel  nostro  ordinamento
«senza soluzione di  continuita'  e  come  se  non  fosse  stato  mai
abrogato» [recte: dal 24 ottobre 1989, data di entrata in vigore  del
codice di procedura penale del 1988 (94) ]; 
        la   persistente   (dopo   Corte   costituzionale   212/2003)
abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 per  effetto
dell'art.  299  decreto  legislativo  n.   113/2002,   pertanto,   ha
determinato l'assorbimento nella  previsione  generale  ex  art.  660
codice di procedura  penale  (da  considerarsi  mai  abrogato)  della
«speciale» competenza relativa al procedimento di  conversione  delle
pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, la quale  (competenza)
invece  spettava   prima   al   giudice   di   pace   quale   giudice
dell'esecuzione in virtu' del predetto art. 42 decreto legislativo n.
274/2000 (abrogato dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002); 
        l'art.  299  del  decreto  legislativo   delegato   113/2002,
pertanto,  nella  parte  in  cui  ha  abrogato  l'art.   42   decreto
legislativo   n.   274/2000   e   conseguentemente   determinato   il
trasferimento al magistrato di sorveglianza della competenza relativa
al procedimento di conversione delle pene  pecuniarie  applicate  dal
giudice di pace, e' da considerarsi costituzionalmente illegittimo ex
art. 76 Cost. per le stesse ragioni  (vizio  di  eccesso  di  delega)
«sottostanti» alla  dichiarazione  di  incostituzionalita'  fatta  da
Corte costituzionale 212/2003: vale  a  dire,  perche'  quel  decreto
legislativo  delegato  «trova  il  proprio  fondamento  nella  delega
contenuta nell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50», la quale  non
aveva dato al Legislatore  delegato  alcun  «potere  di  dettare  una
disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie  che
comportasse ... come quella impugnata  una  radicale  modifica  delle
regole di competenza»  (come  sta  scritto  in  Corte  costituzionale
212/2003); 
        da tutto cio' deriva  la  non  manifesta  infondatezza  della
prima  delle  due  questioni  di  legittimita'  costituzionale   oggi
sollevate: quella  dell'art.  299  decreto  legislativo  n.  113/2002
(trasfuso a sua volta nel decreto del Presidente della Repubblica  n.
115/2002)  nella  parte  in  cui  ha  abrogato  l'art.   42   decreto
legislativo n. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost. 
    A   seguito   dell'accoglimento   della   prima   questione    di
costituzionalita' sopra prospettata, a sua volta, si avrebbero: 
        sempre  in  applicazione   dei   principi   elaborati   dalla
suindicata giurisprudenza costituzionale (95) , la  «reviviscenza  ex
tunc» dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000  «senza  soluzione
di continuita'  e  come  se  non  fosse  stato  mai  abrogato  e  mai
eliminato» (96) : ergo, dal 2 gennaio 2002 [data di entrata in vigore
del decreto legislativo n. 274/2000 (97) ]; 
        la  conseguenza   che   quest'ultimo   (l'art.   42   decreto
legislativo n. 274/2000) dovrebbe considerarsi  presente  nel  nostro
ordinamento (sin dal 2  gennaio  2002  e,  quindi)  gia'  al  momento
dell'introduzione (ex art. 1, comma 473, legge n. 205/2017) dell'art.
238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002; 
        la conseguente compresenza nel nostro ordinamento di  codeste
due disposizioni: del «resuscitato  e  mai  morto»  art.  42  decreto
legislativo n. 274/2000 e del «logicamente sopravvenuto» art. 238-bis
decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002; 
        un'antinomia tra le medesime  disposizioni  perche'  il  «mai
morto»  art.  42  decreto  legislativo  n.  274/2000  attribuisce  al
«giudice  di  pace  in  funzione  di  giudice   dell'esecuzione»   la
competenza per quello specifico  procedimento  di  conversione  delle
pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, mentre il (logicamente
sopravvenuto) art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n.
115/2002  individua  nel  «magistrato   di   sorveglianza»   l'organo
competente per il procedimento giurisdizionale  di  conversione  tout
court (ossia, genericamente indicato); 
        la conseguente necessita' di comporre il suindicato contrasto
di norme, che  postula  la  previa  individuazione  della  ratio  del
«logicamente sopravvenuto» art. 238-bis decreto del Presidente  della
Repubblica n. 115/2002. 
    Orbene! 
    L'art.  238-bis  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.
115/2002, se intepretato (come sembra piu'  corretto)  nel  senso  di
avere  avuto  soltanto  la  funzione  (ratio)  di  colmare  il  vuoto
normativo venutosi  a  creare  (98)  nella  disciplina  tra  la  fase
amministrativa  di  esazione  delle  pene  pecuniarie   e   la   fase
giurisdizionale della loro  conversione,  finirebbe  con  l'avere  un
«contenuto normativo» (recte: una formulazione letterale determinante
l'assorbimento in essa  della  competenza  del  giudice  di  pace  in
funzione  del  giudice  dell'esecuzione  divisata  dal   «logicamente
anteriore» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 ed il  conseguente
trasferimento  di  tale  competenza  in   capo   al   magistrato   di
sorveglianza:  trasferimento  concretante,  a  sua  volta,  una   non
prevista e non voluta innovazione della disciplina  della  competenza
in subiecta  materia)  intrinsecamente  contraddittorio  con  la  sua
ratio: con conseguente configurabilita' di un vizio  di  legittimita'
costituzionale  dello  stesso   art.   238-bis   cit.   (come   sopra
interpretato), per violazione del principio di ragionevolezza ex art.
3 Cost. ed in applicazione dell'insegnamento dato  (per  esempio)  da
Corte costituzionale 279/2012 (99) . 
    Se,  invece,  si  ipotizzasse  che  l'art.  1,  comma  473, legge
n. 205/2017, introducendo nel corpus del decreto del Presidente della
Repubblica n. 115/2002 il citato art. 238-bis, avesse avuto  pure  la
funzione  (ratio)  di  dare  una   «nuova»   regolamentazione   della
competenza sulla conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita'
del condannato [concentrandola sempre e solo  nella  magistratura  di
sorveglianza ed abrogando cosi' implicitamente o tacitamente (ex art.
15 preleggi) il «resuscitato ex tunc» art. 42 decreto legislativo  n.
274/2000], in tal  caso  la  norma  dovrebbe  parimenti  considerarsi
incostituzionale perche' la  sostituzione  del  giudice  di  pace  in
funzione di giudice dell'esecuzione con il magistrato di sorveglianza
per la conversione delle pene pecuniarie  applicate  dal  giudice  di
pace integrerebbe: 
        violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. in
quanto   essa   (sostituzione)   sarebbe   priva    di    ragionevole
giustificazione  (100)   e/o   sarebbe   assolutamente   inidonea   a
realizzare una «logica armonizzazione della disciplina»  in  subiecta
materia; 
        violazione del principio di  razionalita'  ex  art.  3  Cost.
perche' essa  (sostituzione)  determinerebbe  plurime  ed  immotivate
lesioni della  coerenza  interna  di  quel  «microsistema  di  tutela
integrata» rappresentato dal procedimento penale davanti  al  giudice
di pace (101) ; 
        violazione  del  principio  della  ragionevole   durata   del
processo ex art. 111, comma  2,  Cost.  perche'  essa  (sostituzione)
introdurrebbe nel procedimento  giurisdizionale  per  la  conversione
delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace numerosi  fattori
aventi effetti gravemente ed ingiustificatamente dilatori; 
        violazione    del     principio     di     buon     andamento
dell'amministrazione della giustizia  ex  art.  97,  comma  2,  Cost.
perche'   essa   (sostituzione)   onererebbe    immotivatamente    la
magistratura di sorveglianza di ulteriori  e  gravosi  compiti  extra
ordine» suscettibili di ostacolare  l'esercizio  delle  sue  funzioni
«istituzionali». 
    La suindicata antinomia tra il  «resuscitato  ex  tunc»  art.  42
decreto legislativo n. 274/2000 ed il «logicamente sopravvenuto» art.
238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2000,  invece,
sarebbe eliminata in caso di accoglimento della seconda questione  di
legittimita' costituzionale oggi sollevata: quella avente ad  oggetto
l'art. 238-bis decreto del Presidente della  Repubblica  n.  115/2002
(introdotto dall'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017,  n.  205)
nella parte in cui (commi 2,  5,  6  e  7),  facendo  riferimento  al
giudice  competente  per  il  procedimento  di   conversione,   parla
specificamente di «magistrato di  sorveglianza  competente»  anziche'
genericamente di «giudice competente»,  per  violazione  dell'art.  3
Cost. - principio di ragionevolezza e/o dell'art. 3  Cost.  principio
di razionalita' e/o dell'art. 97, comma 2, Cost.  e/o  dell'art.  11,
comma 2, Cost. 

(1) Trattasi del procedimento iscritto al n. 25719/2018  R.G.  Cass.,
    definito dalla Suprema Corte con la sentenza n.  527/2019  emessa
    il 27 novembre 2018 (abbiamo inserito tale sentenza tra gli  atti
    del   presente   procedimento:   v.   fascicolo   «Documentazione
    giuridica»). Abbiamo  fatto  questa  precisazione  per  dissipare
    eventuali  incertezze  sulla  rilevanza  delle   questioni   oggi
    prospettate,  che  sarebbero  state  precluse  se   le   avessimo
    sollevate in quell'occasione dopo la risoluzione da  parte  della
    Cassazione del conflitto di competenza (v.  Corte  costituzionale
    n.  237/1976).  Le   solleviamo,   pertanto,   nel   presente   e
    sopravvenuto procedimento: in limine litis ed in assenza (ancora)
    di quaisivoglia pronuncia sulla competenza. 

(2) Si suole parlare in dottrina di «incostituzionalita' indotta» (di
    cui  una  sorta  di  prototipo  e'  stato  individuato  in  Corte
    costituzionale  40/1990)  allorche'  una  decisione  della  Corte
    costituzionale,  nell'espungere  una  norma  illegittima,  «crea»
    involontariamente un'ulteriore e diversa illegittimita'. 

(3) Tale conversione in  pena  detentiva  era  prevista  inizialmente
    dall'art. 136 codice penale e dall'art 586, comma  4,  codice  di
    procedura  penale   del   1930,   che   sono   stati   dichiarati
    incostituzionali da Corte costituzionale 21 novembre 1979, n. 131 

(4) In tal senso v. ex multis Cassazione pen.,  Sez.  I,  sentenza  8
    marzo 1988, n. 747, Laudando, Rv. 178115 - 01. 

(5) Com'e' noto, il vigente codice di rito penale e' stato  approvato
    con il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988,
    n. 447 ed e' entrato in vigore il 24 ottobre 1989. 

(6) L'art. 102 legge n.  689/1981  (come  gia'  detto)  a  sua  volta
    menzionava come  sanzioni  sostitutive  la  liberta'  controllata
    (prevista dall'art. 55 stessa legge)  oppure,  su  richiesta  del
    condannato, il lavoro sostitutivo (previsto dall'art. 105) 

(7) Le norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e  transitorie  del
    vigente codice  di  procedura  penale.,  piu'  esattamente,  sono
    contenute nel decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. 

(8) il regolamento per l'esecuzione del vigente codice  di  procedura
    penale e' contenuto nel decreto ministeriale 30  settembre  1989,
    n. 334. 

(9) La prevalenza di quest'ultima norma su quella ex art.  107  legge
    n.  689/1981  (che  prevede  la  competenza  del  magistrato   di
    sorveglianza del luogo di  residenza  del  condannato)  e'  stata
    definitivamente affermata (a composizione di precedenti contrasti
    giurisprudenziali) da Cass. pen., Sez. unite, sentenza 29 ottobre
    1997, n. 12, Confl. comp. in proc. Russo, Rv. 208813 - 01,  nella
    cui motivazione sono ricordati i  precedenti  conformi  e  quelli
    difformi 

(10) In base all'art. 677 codice di procedura  penale.,  infatti,  ai
     fini  dell'individuazione   del   magistrato   di   sorveglianza
     competente occorreva (ed occorre) accertare  preventivamente  lo
     status del condannato (se detenuto,  operando  in  tal  caso  il
     criterio di cui al comma 1; o se libero. operando in tal caso il
     criterio  di  cui  al  comma  2);  e  accertare  successivamente
     l'ubicazione del  luogo  di  detenzione  per  il  condannato  in
     vinculis (comma 1) o della residenza o domicilio del  condannato
     libero (comma 2): con  conseguente  dilatazione  dei  tempi  per
     addivenire alla richiesta di conversione. 

(11) Questo passaggio, nondimeno,  veniva  escluso  da  quella  parte
     della   giurisprudenza   (ultimamente   prevalente)   postulante
     l'inscindibilita' fra il provvedimento di conversione della pena
     pecuniaria  in  sanzione  sostitutiva  ed  il  provvedimento  di
     determinazione delle  modalita'  esecutive  di  quella  sanzione
     sostitutiva  [salvo  poi   discutere   sull'individuazione   del
     magistrato   di   sorveglianza   competente   per   entrambi   i
     provvedimenti (da individuarsi per alcuni ex art. 107  legge  n.
     689/1981 e per altri ex art. 677 codice di procedura penale.: v.
     la nota 9)]. La differenziazione delle competenze rispetto  alle
     autonome fasi della formazione del provvedimento di  conversione
     e dell'attuazione del medesimo, tuttavia, si rinviene ancora  in
     recente giurisprudenza (Cass. pen. , Sez. I, sentenza  23  marzo
     2005, n. 13424, Confl. comp. in proc. Amendola, Rv. 230894 - 01;
     contra tuttavia Cass. pen., Sez. I, sentenza 28 settembre  2018,
     n. 50971, Confl. comp. in proc. Leveque Rv. 274516 - 01); 

(12) Al  riguardo  in  dottrina  (che   non   viene   nominativamente
     menzionata in applicazione del divieto ex  art.  118,  comma  3,
     disp. att. c.p.c.) e' stato esattamente osservato quanto  segue:
     «L'ufficio del  pubblico  ministero  viene,  infatti,  coinvolto
     nelle procedure in  questione  unicamente  in  ossequio  al  suo
     tradizionale ruolo di propulsore dell'esecuzione della pena, ma,
     in realta', nella  materia  in  questione  il  suo  ruolo  viene
     ridotto a quello - del tutto formale - di un «passacarte» tra la
     cancelleria del  giudice  dell'esecuzione  e  il  magistrato  di
     sorveglianza ... Da un armonico coordinamento  delle  richiamate
     norme (art. 660, comma 2, codice di procedura penale., 181 e 182
     disp. att. codice di procedura penale.) appare evidente  che  il
     compito del pubblico ministero nella procedura in argomento  era
     limitato soltanto ad un controllo formale dell'attivita'  svolta
     dal giudice dell'esecuzione - cui fa  carico  istituzionalmente,
     ai sensi dell'art. 181 disposizioni di attuazione del codice  di
     procedura  penale  l'attivazione  della   procedura   volta   al
     «recupero  delle   pene   pecuniarie»   -   per   accertare   la
     «impossibilita' di esazione della pena pecuniaria o di una  rata
     di essa. Il p.m., cioe', ha il compito,  una  volta  che  quella
     cancelleria gli ha trasmesso gli atti riguardanti  la  procedura
     di recupero risoltasi con esito negativo,  di  accertare  se  le
     ragioni di tale esito siano tali da dar luogo ad  una  effettiva
     «impossibilita'» di esazione della pena  pecuniaria,  ovvero  se
     risultino in qualche modo superabili: in questa seconda  ipotesi
     il pubblico ministero dovra' restituire gli atti  alla  predetta
     cancelleria perche' riprenda la procedura di riscossione, mentre
     nella prima  ipotesi  dovra'  rivolgersi  -  come  espressamente
     previsto dall'art. 660, comma 2, codice di procedura penale - al
     magistrato  di  sorveglianza  perche'   questi   provveda   alla
     conversione, previo accertamento  dell'effettiva  insolvibilita'
     del condannato (Cass. pen. , Sez.  unite,  sentenza  25  ottobre
     1995, n. 35, Nikolic)». 

(13) Il decreto legislativo n.  274/2000  contiene  le  «Disposizioni
     sulla competenza penale del giudice di pace, a  norma  dell'art.
     14 della legge 24 novembre 1999, n.  468».  La  sua  entrata  in
     vigore, originariamente prevista per il 4 aprile 2001, e'  stata
     poi prorogata al 2 gennaio 2002. 

(14) Questa qualificazione si rinviene nella Relazione del Governo di
     accompagnamento allo schema di decreto legislativo poi  divenuto
     il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (che d'ora in  poi
     chiameremo Relazione di accompagnamento al  decreto  legislativo
     n. 274/2000), in www.penale.it/legislaz/rel_dlgs_28_8_00_274.htm
     sub IV (Disciplina sanzionatoria), punto  10.1  (Problemi  posti
     dalla legge delega). Per agevolarne  la  consultazione,  abbiamo
     inserito  la  predetta  Relazione  negli   atti   del   presente
     procedimento (v. fascicolo «Documentazione giuridica»). 

(15) Cosi' tra le piu' recenti Corte cost., ordinanza 9 marzo 2016 n.
     50.  V.  pure  la  Relazione  di  accompagnamento   al   decreto
     legislativo n.  274/2000,  sub  I  (Premessa),  punto  1  (Linee
     generali  della  riforma):  «La  legge  delega  in  materia   di
     competenza penale del giudice di  pace  e  il  presente  decreto
     legislativo  introducono  nell'ordinamento  importanti   novita'
     delineando un modello di giustizia  penale  affatto  diverso  da
     quello tradizionale, destinato ad affiancarsi a quest'ultimo  in
     funzione ancillare, ma suscettibile di assumere in  futuro  piu'
     ampia diffusione, previa la sua positiva  «sperimentazione»  sul
     campo della prassi». 

(16) Invero, le «Disposizioni sull'esecuzione»  (compresa  quella  ex
     art.  42   sulla   conversione   delle   pene   pecuniarie   per
     insolvibilita' del condannato) sono contenute nel  capo  VII  di
     quello  stesso  Titolo  I  (contenente   le   disposizioni   sul
     «procedimento davanti al giudice  di  pace»),  il  cui  articolo
     iniziale (art.  1)  individua  esclusivamernte  nel  procuratore
     della repubblica presso il tribunale e nel giudice di  pace  gli
     «organi giudiziari nel procedimento davanti al giudice di pace»:
     senza alcun riferimento alla magistratura  di  sorveglianza  ne'
     diretto o indiretto ne' esplicito o implicito ne' testuale o per
     relationem. E' ben vero che il procedimento davanti  al  giudice
     di pace conosce pure l'intervento di un altro organo giudiziario
     diverso da quelli menzionati dal predetto art. 1: vale  a  dire,
     del  tribunale  in  composizione  monocratica,  cui  spetta   la
     competenza per il giudizio di appello  contro  le  sentenze  del
     giudice di  pace  (v.  art.  39).  Sennonche',  tale  previsione
     costituisce una doverosa  applicazione  dei  principi  direttivi
     della legge-delega in materia di competenza penale  del  giudice
     di pace (v. art. 19 legge 24  novembre  1999,  n.  468),  mentre
     nessuna norma ne' della legge-delega ne'  del  decreto  delegato
     (il decreto legislativo n. 274/2000)  prevede  alcun  intervento
     della  magistratura  di   sorveglianza   nell'ambito   di   quel
     procedimento. 

(17) V.  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto  legislativo  n.
     274/2000, sub  I  (Premessa),  punto  1  (Linee  generali  della
     riforma): «E' risaputo, infatti che lo strumento penalistico  ha
     invaso settori distanti dal suo «naturale» campo di elezione: e'
     stato   posto   a   presidio   di   interessi   diffusi   ovvero
     sovraindividuali, anche di rilievo prioritario, ma non di  ratio
     lontani dalle esperienze e dal vissuto quotidiano  del  singolo.
     Questo processo, in parte inevitabile, di ampliamento  dell'area
     penalmente  rilevante  ha  cosi'  comportato   una   progressiva
     divaricazione tra le ragioni della giustizia e le  esigenze  del
     cittadino comune, che lamenta una lentezza intollerabile, quando
     non addirittura un deficit nella risposta dello Stato. In questo
     contesto, la dislocazione sul territorio del giudice di pace, in
     uno con la sua caratterizzazione professionale consentiranno  un
     riavvicinamento della  collettivita'  all'amministrazione  della
     giustizia anche nel delicato settore del diritto penale». 

(18) V.  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto  legislativo  n.
     274/2000, sub II (Giurisdizione  e  competenza  del  giudice  di
     pace), punto 2 (Disposizioni sui soggetti  e  principi  generali
     del  procedimento):  «La  disposizione  contenuta  nel  comma  2
     dell'art. 2 sintetizza, nella Parte  iniziale  del  decreto,  le
     connotazioni eminentemente conciliative proprie del  giudice  di
     Pace, anche in materia penale. Proprio la finalita' conciliativa
     costituisce l'obbiettivo principale della  giurisdizione  penale
     affidata al giudice di pace. Invero, la conciliazione  deve  per
     quanto possibile costituire l'esito fisiologico di  questo  tipo
     di  giustizia  piu'  vicina  agli   interessi   quotidiani   del
     cittadino». 

(19) Cosi' esemplificativamente e tra le piu'  recenti  Corte  cost.,
     sentenza  47/2014,  che  «chiama  in  motivazione   i   numerosi
     precedenti conformi (v. ex plurimis sentenze 64/2009 e 298/2008;
     e ordinanze 56/2010, 32/2010 e 28/2007). 

(20) La  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto  legislativo  n.
     274/2000, sub IV (Disciplina sanzionatoria), punto 10.4  (Lavoro
     di pubblica utilita') precisa al riguardo «che, nel delineare la
     disciplina del lavoro di pubblica utilita', ci si e', anzitutto,
     sensibilmente distaccati  dal  «modello»  offerto,  in  materia,
     dall'art. 105 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per  plurime
     ragioni», che vengono cola' specificate. 

(21) Considerata la peculiare natura delle  sanzioni  non  pecuniarie
     previste per i reati di competenza del giudice di pace e  tenuto
     conto della specifica disciplina della loro  esecuzione,  appare
     evidente che non possono trovare applicazione le disposizioni di
     cui all'art. 656  codice  di  procedura  penale.:  ivi  comprese
     quelle  (commi  5-6)  contemplanti  l'applicazione   di   misure
     alternative da parte del tribunale di sorveglianza. 

(22) V. la nota 24. 

(23) V.  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto  legislativo  n.
     274/2000,  sub  IV  (Disciplina   Ranzionatoria),   punto   10.1
     (Problemi  posti  dalla  legge  delega):  «Un  cenno  merita  la
     collocazione sistematica del capo relativo alle sanzioni  e  che
     appare anch'esso frutto delle disposizioni  della  legge  delega
     sopra richiamate le quali,  nel  prevedere  l'applicabilita'  di
     determinate sanzioni solo per opera del giudice di pace e solo a
     seguito di una  peculiare  disciplina  processuale,  antepongono
     logicamente  quegli  aspetti  a  quest'ultimo»  (vale  a   dire:
     all'inserimento di tali sanzioni nel sistema «generale» previsto
     dal codice penale), «rendendo cosi'  plausibile  la  sistematica
     «interna» del presente provvedimento normativo». 

(24) Mette conto sottolineare la  specialita'  dell'espulsione  quale
     sanzione   sostitutiva   applicabile   dal   giudice   di   pace
     [applicabilita' introdotta dall'art. 1, comma  17,  lettera  d),
     legge 15 luglio 2009, n. 94], la quale, a differenza  di  quella
     prevista dall'art. 16, comma 1, prima parte, decreto legislativo
     n. 286/1998 (sanzione sostitutiva della sola  pena  detentiva  e
     non anche della pena pecuniaria inflitta o applicata dal giudice
     «ordinario»)  e'  applicabile   in   sostituzione   della   pena
     pecuniaria [attualmente di quella prevista per il reato  di  cui
     all'art. 10-bis decreto legislativo n.  286/1998  (v.  art.  16,
     comma 1, seconda parte, cit.), la cui cognizione e' devoluta  al
     giudice di pace dal comma 3 dello stesso art. 10-bis]. Di  guisa
     che la previsione ex art. 62-bis decreto legislativo n. 274/2000
     risulta assolutamente  coerente  con  la  «sistematica  interna»
     dello stesso decreto legislativo (v. nota  precedente),  essendo
     applicabile  soltanto  dal   giudice   di   pace   un'espulsione
     sostitutiva di pena pecuniaria. 

(25) Tale deroga, infatti, e'  prevista  dal  comma  2  dell'art.  40
     decreto legislativo n. 274/2000 per  l'ipotesi  di  concorso  in
     sede esecutiva  di  provvedimenti  emessi  da  giudici  di  pace
     diversi (donde la necessita'  di  individuare  quello  tra  essi
     competente); e dai commi 3 e 4  dello  stesso  art.  40  per  le
     ipotesi di concorso in sede esecutiva  di  provvedimenti  emessi
     dal  giudice  di  pace  e,  rispettivamente,  da  altro  giudice
     ordinario (professionale) o da un giudice  speciale.  L'esigenza
     di «tendenziale concentrazione delle funzioni esecutive in  capo
     allo stesso giudice di pace che emesso la sentenza da  eseguire»
     (vale a dire, l'esigenza di far coincidere nella «misura massima
     possibile» il giudice dell'esecuzione con il giudice di pace che
     ha emesso il provvedimento da eseguire), infine, trova  conferma
     nell'art. 40, ultimo comma, decreto legislativo n. 274/2000,  il
     quale, (diversamente da quanto previsto dall'art. 665, comma  2,
     codice di procedura penale.) esclude ogni competenza «esecutiva»
     del giudice di appello e la attribuisce al giudice di pace anche
     «se il provvedimento da eseguire e' stato comunque riformato». 

(26) V.  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto  legislativo  n.
     274/2000,  sub  III  (Disciplina  del   processo),   punto   8.3
     (Esecuzione delle pene paradetentive): «L'esecuzione delle nuove
     pene applicabili dal giudice di pace (permanenza  domiciliare  e
     lavoro  di  pubblica  utilita')  ha  richiesto   una   specifica
     disciplina, anch'essa ispirata a criteri  di  semplificazione  e
     funzionalita', contenuta negli articoli 43 e 44 dello schema  di
     decreto». 

(27) V.  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto  legislativo  n.
     274/2000,  sub  III  (Disciplina  del   processo),   punto   8.2
     (Esecuzione  delle  pene  pecuniarie)  «L'art.   42   disciplina
     l'esecuzione delle  condanne  a  pene  pecuniarie  inflitte  dal
     giudice di pace, stabilendo che questa ha luogo  a  norma  della
     regola generale di cui all'art. 660 codice di procedura  penale.
     Peraltro, per ragioni di economia processuale,  funzionali  alla
     concentrazione  delle  competenze  in  executivis,  e  apparendo
     opportuno valorizzare anche in tale fase il ruolo del giudice di
     pace,  si  e'   previsto   che   l'accertamento   dell'effettiva
     insolvibilita' del condannato sia svolto  dal  giudice  di  pace
     competente  per  l'esecuzione,   il   quale   adotta   anche   i
     provvedimenti in ordine alla rateizzazione  o  alla  conversione
     della pena pecuniaria. In tal modo si evitano gli inconvenienti,
     avvertiti   nell'applicazione   della   disciplina   attualmente
     vigente, derivanti dalla  frammentazione  delle  competenze  tra
     giudice dell'esecuzione e magistrato di sorveglianza».  Su  tali
     inconvenienti rinviamo  alla  lettura  della  parte  finale  del
     paragrafo 1. 

(28) Tali  disposizioni,   invero,   erano   applicabili   pure   nel
     procedimento davanti al giudice di pace per effetto del richiamo
     fattone dall'art. 2 decreto legislativo n. 274/2000, atteso che:
     l'art. 2  cit.  stabilisce  che  «nel  procedimento  davanti  al
     giudice di pace, per tutto cio' che non e' previsto dal presente
     decreto, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute
     nel codice di procedura penale e nei titoli I e II  del  decreto
     legislativo  28  luglio  1989,  n.  271,  ad   eccezione   delle
     disposizioni relative ...»; gli art. 181-182 erano inseriti, per
     l'appunto, nel Titolo I del decreto  legislativo  n.  28  luglio
     1989, n. 271. 

(29) Si rammenta che il decreto ministeriale 6 aprile  2001,  n.  204
     costituisce  il   «Regolamento   di   esecuzione   del   decreto
     legislativo n. 274/2000». 

(30) E' ben vero che l'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000  parla
     al riguardo di lavoro sostitutivo, ma e'  altrettanto  vero  che
     contenuti  del   lavoro   sostitutivo   vengono   peraltro   qui
     individuati con  riferimento  a  quelli  propri  del  lavoro  di
     pubblica   utilita',   essendo   risultata   improponibile   una
     diversificazione  delle  due  misure  (che  risultano   pertanto
     assimilate, in  assenza  di  contrarie  direttive»  della  legge
     delega, «anche in punto di durata massima), mentre rimane  fermo
     che esse comportano, in caso di' violazione, conseguenze affatto
     diverse in sinfonia con il dettato della legge delega» [cosi' si
     legge nella Relazione di accompagnamento al decreto  legislativo
     n. 274/2000,  sub  IV  (Disciplina  sanzionatoria),  punto  10.5
     (Altre disposizioni)]. 

(31) V. la nota 11. 

(32) Solo successivamente, invero, il lavoro di pubblica utilita'  e'
     stato previsto come sanzione sostitutiva applicabile pure da  un
     giudice «ordinario della cognizione: v. il comma 5-bis dell'art.
     73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, aggiunto
     dall'art. 4-bis, comma 1, lettera g), decreto-legge n.  272/2005
     conv. in legge n. 49/2006; il comma  9-bis  dell'art.  186  cod.
     strada, aggiunto dall'art. 33, comma 1,  lettera  d),  legge  n.
     120/2010; e il comma 8-bis dell'art. 187 cod.  strada,  aggiunto
     dall'art. 33, comma 3, lettera h), legge n.  120/2010.  Trattasi
     tuttavia: non di un sanzione sostitutiva «generalizzata» perche'
     e' applicabile solo in caso di condanna  per  determinati  reati
     (produzione, detenzione e  possesso  di  stupefacenti  di  lieve
     entita'; guida sotto l'influenza di alcol o di stupefacenti); di
     una sanzione solo in parte coincidente con  quella  ex  art.  54
     decreto legislativo n. 274/2000, diversi essendone (per esempio)
     i  presupposti,  la  durata  e  le  conseguenze   in   caso   di
     inosservanza. 

(33) Il decreto legislativo n. 113/2002 costituisce il  «Testo  unico
     delle  disposizioni  legislative  in   materia   di   spese   di
     giustizia».  Il  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
     114/2002  costituisce,  a  sua  volta,  il  «Testo  unico  delle
     disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia». Il
     decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, infine,  e'
     il «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
     in materia di spese di giustizia». 

(34) Sottolineiamo  e  rimarchiamo  le   parole   «nel   loro   testo
     originario» perche' (come vedremo nel paragrafo 9) una «radicale
     modifica  delle   regole   sulla   competenza»   rispetto   alla
     conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di  pace
     si e', invece, determinata in base alle disposizioni  di  quegli
     stessi testi normativi (il decreto legislativo n. 113/2002 e  il
     decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002)  risultanti
     a  seguito  della  dichiarazione  di  incostituzionalita'  degli
     articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e dell'art. 299
     stesso decreto legislativo nella parte  in  cui  aveva  abrogato
     l'art. 660 codice di procedura penale. 

(35) In tal modo, a ben considerare, il decreto del Presidente  della
     Repubblica n. 115/2002 aveva «razionalizzato» la  disciplina  in
     sucbiecta  materia  perche',  attesa  la   natura   strettamente
     «esecutiva»  del  procedimento   di   conversione   delle   pene
     pecuniarie, il preesistente  intervento  della  magistratura  di
     sorveglianza si risolveva in una «invasione  di  campo»  in  una
     materia estranea a quella che ne aveva determinato l'istituzione
     (la materia penitenziaria), la quale («invasione di  campo»),  a
     sua volta, aveva provocato quegli inutili «giri di valzer» sopra
     segnalati (v. paragrafo 1) 

(36) V. la nota 34. 

(37) V. nota 32. 

(38) Come vedremo piu' diffusamente nel paragrafo 9,  infatti,  Corte
     costituzionale 212/2003 ha determinato la «reviviscenza ex  tunc
     della competenza della magistratura di sorveglianza ex art.  660
     codice di procedura penale., ma in  un  contesto  normativa  che
     (stante la contestuale declaratoria di incostituzionalita'  tout
     court degli art.  237-238  decreto  legislativo  n.  113/2002  e
     stante  la  persistente   abrogazione   dell'art.   42   decreto
     legislativo n. 274/2000  ex  art.  299  decreto  legislativo  n.
     113/2002) non consentiva piu' un intervento del giudice di  pace
     in funzione di  giudice  dell'esecuzione  in  subiecta  materia:
     cancellandosi cosi' «di fatto e di diritto» la sua  preesistente
     competenza sulla conversione delle pene pecuniarie. 

(39) La norma cosi' recita: «La Corte costituzionale, quando accoglie
     una istanza o un ricorso relativo a  questione  di  legittimita'
     costituzionale di una legge o di un atto avente forza di  legge,
     dichiara,  nei   limiti   dell'impugnazione,   quali   sono   le
     disposizioni legislative illegittime». 

(40) Questa, peraltro, e'  l'assurda  conseguenza  che  la  Corte  di
     cassazione sta annettendo a Corte costituzionale 212/2003: v. il
     paragrafo 7. 

(41) A  conferma  di  cio'  bastera'   leggere   la   Circolare   del
     Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria (DOG) del 4  agosto
     2017  [recante  l'intitolazione  «Analisi  della  normativa  sul
     recupero  dei  crediti  per  pene  pecuniarie  con   indicazioni
     operative agli Uffici giudiziari» (ed inserita  anch'essa  negli
     atti del presente  procedimento:  v.  fascicolo  «Documentazione
     giuridica»)], la quale in nessuna  sua  parte  parla  o  accenna
     minimamente alla materia della conversione delle pene pecuniarie
     applicate dal  giudice  di  pace  (quasi  ad  ignorarne  persino
     l'esistenza) e in particolare: ne' nel paragrafo 1  della  parte
     prima, dove si intende «procedere ad una breve ricognizione  del
     quadro normativo che disciplina la riscossione  dei  crediti  di
     giustizia»;  ne'  nel  paragrafo  2.1   della   parte   seconda,
     contenente «la disciplina specifica del decreto  del  Presidente
     della Repubblica n. 115/2002 in  materia  di  riscossione  delle
     pene pecuniarie: ricostruzione normativa»; ne' nel paragrafo 2.2
     della  stessa  parte  seconda,  dove   si   intende   fare   una
     «ricostruzione  sistematica»  della  materia  a  seguito   della
     dichiarazione   di   incostituzionalita'   operata   da    Corte
     costituzionale 212/2003. Lo stesso silenzio, infine, si rinviene
     altresi'  nella  Circolare  dello  stesso  Dipartimento  del  16
     gennaio 2018, recante  l'intitolazione  «Nota  di  aggiornamento
     alla  Circolare  protocollo  n.  147874.U  del  4  agosto  2017,
     concernente l'analisi della normativa sul recupero  dei  crediti
     per pene  pecuniarie,  con  indicazioni  operative  agli  Uffici
     giudiziari»  (inserita  anch'essa  negli   atti   del   presente
     procedimento: v. fascicolo «Documentazione giuridica»). 

(42) Che   sia   stata   questa   e   soltanto   questa   la    ratio
     dell'introduzione  dell'art.   238-bis   cit.   lo   si   desume
     chiaramente dalle circolari del Dipartimento dell'Organizzazione
     Giudiziaria emanate proprio «a cavallo» di quell'introduzione, e
     cioe': dalla circolare di quel Dipartimento del  4  agosto  2017
     (gia' menzionata nella nota precedente), dove sta scritto quanto
     segue:  «Norme  specifiche  per  la   riscossione   delle   pene
     pecuniarie sono contenute nel titolo  IV  della  Parte  VII  del
     Testo unico  (articoli  235-239).  Detto  titolo  conteneva  due
     disposizioni  (gli  articoli  237  e  238),  che  disciplinavano
     l'attivazione e lo svolgimento del procedimento  di  conversione
     della pena pecuniaria, in  tal  modo  sostituendo  integralmente
     l'art. 660 codice di procedura penale., che, infatti, era  stato
     oggetto di abrogazione da parte dell'art. 299 del medesimo Testo
     unico. Tale ultimo articolo ha, inoltre, abrogato  gli  articoli
     181 e 182 Disp.  att.  codice  di  procedura  penale.,  relativi
     all'esecuzione  delle  pene  pecuniarie.  Tuttavia,   la   Corte
     costituzionale, con la sentenza n. 212 del 18  giugno  2003,  ha
     dichiarato  l'incostituzionalita'  degli  articoli  237  e   238
     nonche' dell'art. 299 del citato Testo unico, nella parte in cui
     abrogava l'art. 660 c.p.p, A seguito della citata  dichiarazione
     d'incostituzionalita' e' tornato,  quindi,  vigente  l'art.  660
     codice di  procedura  penale.  ...  L'intervenuta  dichiarazione
     d'incostituzionalita' degli articoli 237, 238 e  299  del  Testo
     unico e la reviviscenza dell'art. 660 codice di procedura penale
     pongono, allo stato, un problema di coordinamento di tale ultima
     disposizione di legge con la normativa sulla riscossione a mezzo
     ruolo. Infatti,  l'art.  660  codice  di  procedura  penale  non
     disciplina le modalita' secondo cui si attiva il procedimento di
     conversione  della  pena  pecuniaria,  facendo   riferimento   -
     unicamente - all'accertamento della impossibilita'  di  esazione
     della pena stessa ed alla successiva trasmissione degli atti dal
     P. M. al magistrato di sorveglianza ... La  conclusione  cui  si
     giunge necessariamente, sulla base di quanto detto ai precedenti
     paragrafi, e'  che  per  l'accertamento  dell'impossibilita'  di
     esazione della pena pecuniaria  -  richiesto  quale  presupposto
     dall'art. 660 codice di procedura penale per  l'attivazione  del
     procedimento di conversione della pena - non si possa piu'  fare
     riferimento alla comunicazione d'inesigibilita' di cui  all'art.
     19 del decreto legislativo n. 112 del 1999 (come ritenuto  nella
     relazione illustrativa del Testo unico) ... Sembrerebbe mancare,
     allo stato, una  norma  di  raccordo  fra  la  disciplina  della
     riscossione a mezzo ruolo e la disciplina codicistica delle pene
     pecuniarie, tale da permettere  la  tempestiva  attivazione  del
     procedimento di  conversione  della  pena  ...  Attualmente,  in
     attesa di un  auspicato  e  necessario  intervento  legislativo,
     l'unico raccordo  che  permane  fra  la  disciplina  codicistica
     dell'attivazione del procedimento di conversione  della  pena  e
     quella della riscossione a mezzo ruolo e'  quello  dell'art.  36
     del decreto legislativo n. 112 del  1999»;  dalla  circolare  di
     quello stesso Dipartimento del 16 gennaio 2018 (gia'  menzionata
     nella nota  precedente)  dove  sta  scritto  quanto  segue:  «Si
     premette che la presente nota costituisce un aggiornamento della
     Circolare in oggetto indicata, in  conseguenza  delle  modifiche
     normative introdotte dalla recente  legge  di  bilancio  per  il
     2018. Come forse si ricordera', nel §  2.4  della  Circolare  in
     parola era stato rappresentato che nel sistema di  recupero  dei
     crediti per pene pecuniarie si rilevava la mancanza di una norma
     di raccordo fra la disciplina della riscossione a mezzo ruolo  e
     la  disciplina  codicistica  delle  pene  pecuniarie,  idonea  a
     consentire  una  tempestiva  attivazione  del  procedimento   di
     conversione della pena. La recente legge di bilancio per il 2018
     ha  oggi  colmato  tale  aporia,  in  quanto  ha  opportunamente
     introdotto nel testo  unico  spese  di  giustizia  (decreto  del
     Presidente  della  Repubblica  del  30  maggio  2002,  n.  115),
     attraverso il comma 473 dell'art. 1, la  seguente  nuova  norma:
     Art. 238-bis... Appare chiara, pertanto,  alla  luce  del  sopra
     riportato art. 238-bis, la necessita' di aggiornare ed integrare
     le «indicazioni  operative»  contenute  nella  Circolare  del  4
     agosto 2017...». 

(43) Tale introduzione si deve, piu' esattamente, all'art.  1,  comma
     473, legge 27 dicembre 2017, n. 205. 

(44) Si ritiene opportuno riportare il testo dell'art.  238-bis  cit:
     «1. Entro la  fine  di  ogni  mese  l'agente  della  riscossione
     trasmette all'ufficio, anche in via telematica, le  informazioni
     relative allo svolgimento del  servizio  e  all'andamento  delle
     riscossioni  delle   pene   pecuniarie   effettuate   nel   mese
     precedente. L'agente della riscossione che viola la disposizione
     del presente comma e' soggetto alla sanzione  amministrativa  di
     cui all'art. 53 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n.  112,
     e si applicano le disposizioni di cui agli articoli 54, 55 e  56
     del predetto decreto. 2. L'ufficio investe il pubblico ministero
     perche'  attivi  la  conversione   presso   il   magistrato   di
     sorveglianza competente,  entro  venti  giorni  dalla  ricezione
     della   prima   comunicazione   da   parte   dell'agente   della
     riscossione,  relativa  all'infruttuoso  esperimento  del  primo
     pignoramento su tutti i beni. 3. Ai  medesimi  fini  di  cui  al
     comma 2, l'ufficio investe, altresi, il pubblico  ministero  se,
     decorsi ventiquattro mesi dalla presa in  carico  del  ruolo  da
     parte  dell'agente  della  riscossione  e  in   mancanza   della
     comunicazione di cui al comma 2,  non  risulti  esperita  alcuna
     attivita' esecutiva ovvero se gli esiti di quella esperita siano
     indicativi dell'impossibilita' di esazione della pena pecuniaria
     o di una rata di essa. 4. Nei casi di cui ai commi 2 e  3,  sono
     trasmessi al pubblico ministero tutti i dati acquisiti che siano
     rilevanti  ai  fini  dell'accertamento  dell'impossibilita'   di
     esazione. 5. L'articolo di ruolo relativo alle  pene  pecuniarie
     e' sospeso dalla data in cui il pubblico ministero trasmette gli
     atti al magistrato di sorveglianza competente. 6. Il  magistrato
     di sorveglianza, al fine di accertare l'effettiva insolvibilita'
     del debitore, puo' disporre le opportune indagini nel luogo  del
     domicilio o della residenza, ovvero dove  si  abbia  ragione  di
     ritenere che lo stesso possieda altri beni o cespiti di  reddito
     e richiede, se necessario, informazioni agli organi  finanziari.
     7. Quando il magistrato di sorveglianza  competente  accerta  la
     solvibilita' del debitore. l'agente della riscossione riavvia le
     attivita' di competenza sullo stesso articolo di ruolo.  8.  Nei
     casi di conversione della pena  pecuniaria  o  di  rateizzazione
     della stessa o di differimento della conversione di cui all'art.
     660, comma 3, del codice di procedura penale, l'ufficio  ne  da'
     comunicazione all'agente della riscossione, anche  ai  fini  del
     discarico per l'articolo di ruolo relativo. 9.  Le  disposizioni
     di cui ai commi 1, 2 e  3  trovano  applicazione  anche  per  le
     partite  di  credito  per  le  quali  si  e'   gia'   provveduto
     all'iscrizione a ruolo alla data  di  entrata  in  vigore  delle
     medesime». 

(45) Si fa presente che tale sentenza risulta  inserita  nel  sistema
     ITALGIURE-CED della  Corte  di  cassazione,  dove  tuttavia  sta
     scritto  erroneamente  «Dichiara  competenza,  Giudice  di  pace
     ASTI». Si fa altresi'  presente  che  tale  decisione  e'  stata
     deliberata su parere difforme del Procuratore generale. 

(46) Il paragrafo 4  della  motivazione  della  suindicata  decisione
     della Suprema Corte, invero, ha tale incipit: «In dottrina,  non
     isolati  commenti  hanno  auspicato  un  nuovo  intervento   del
     Legislatore che torni ad assegnare formalmente tale attribuzione
     al Giudice di Pace». 

(47) Cassazione 56967/2018 e' incorsa in tali imprecisioni due volte:
     a) una  prima  volta  la'  dove  ha  scritto  «avendo  la  Corte
     costituzionale  abrogato  il  menzionato   art.   299   soltanto
     parzialmente...»:   la    sentenza    212/2003    della    Corte
     costituzionale,   invero,   costituisce   una    pronuncia    di
     «illegittimita' costituzionale» (parziale) dell'art.  299  cit.,
     cui  consegue  un  (parziale)  annullamento  della  norma   (con
     efficacia normalmente ex tunc: conf. tra le piu'  recenti  Corte
     cost., ordinanza 18 marzo 2016, n. 54) e non la sua  abrogazione
     (avente, invece, efficacia ex tunc) (v.  amplius  la  successiva
     nota 60); b) una seconda volta  la'  dove  annette  all'art.  42
     decreto legislativo n. 274/2000  (abrogato  anch'esso  dall'art.
     299) il contenuto di una «competenza derogatoria» del giudice di
     pace rispetto a quella «generale» del magistrato di sorveglianza
     ex  art.  660  codice  di  procedura   penale:   invero,   prima
     dell'entrata in vigore del decreto legislativo  n.  274/2000  il
     nostro ordinamento non conosceva ne' la  competenza  penale  del
     giudice di pace ne' (conseguentemente) pene pecuniarie applicate
     da un giudice di pace ne' un procedimento di  conversione  delle
     medesime; di guisa che quello introdotto  dall'art.  42  decreto
     legislativo n. 274/2000 rispetto alle pene pecuniarie  applicate
     dal giudice di pace costituiva un  procedimento  di  conversione
     «nuovo, autonomo e parallelo» (e non «derogatorio»)  rispetto  a
     quello gia' previsto dall'art. 660 codice  di  procedura  penale
     rispetto alle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario». 

(48) V. la nota 39. 

(49) Ricordiamo, infatti, che (v. la parte iniziale del paragrafo  5)
     la relativa  quaestio  legitimitatis  era  stata  sollevata  dal
     Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di  Verona  in
     qualita'  di  giudice  dell'esecuzione:  ergo,  ai  fini   della
     conversione di pene pecuniarie applicate dal medesimo G.I.P. (v.
     art. 665, comma 1, codice di procedura penale) e non dal giudice
     di pace. 

(50) V. la nota 42. 

(51) V. il paragrafo 5. 

(52) V. la parte centrale del paragrafo 7, sub A) e sub B). 

(53) Ci limitiamo in questa sede  a  ricordare  quelle  comunicate  a
     questo  Ufficio  di  sorveglianza  in  sede  di  risoluzione  di
     conflitti di competenza da esso sollevate o nei  suoi  confronti
     sollevate (ed inserite negli atti del presente procedimento:  v.
     fascicolo «Documentazione giuridica»): Cassazione pen., sentenza
     27 novembre 2018, n. 527; sentenza emessa il 17 gennaio 2019 nel
     proc. n. 29691/2018 r.g. Cass.; sentenza emessa  il  17  gennaio
     2019 nel proc. n. 29703/2018 r.g. Cass.; sentenza emessa  il  17
     gennaio 2019 nel proc. n. 29695/2018 r.g. Cass.; sentenza emessa
     il 14 marzo 2019 nel proc. n. 37971/2018 r g. Cass. 

(54) Sulla «incostituzionalita' indotta» rinviamo alla nota 2. 

(55) V. i paragrafi 1-3. 

(56) Mutuiamo questa terminologia da Cassazione pen.  ,  Sez.  unite,
     sentenza 22 giugno 2017, n. 53683, Pmp ed altri,  Rv.  271587  -
     01. 

(57) E' ben vero che l'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000  parla
     al riguardo di «lavoro sostitutivo», ma e' altrettanto vero  che
     «i  contenuti  del  lavoro  sostitutivo  vengono  peraltro   qui
     individuati con  riferimento  a  quelli  propri  del  lavoro  di
     pubblica   utilita',   essendo   risultata   improponibile   una
     diversificazione  delle  due  misure  (che  risultano   pertanto
     assimilate, in  assenza  di  contrarie  direttive»  della  legge
     delega, «anche in punto di durata massima), mentre rimane  fermo
     che esse comportano, in caso di violazione, conseguenze  affatto
     diverse in sintonia con il dettato della  legge  delega»  [cosi'
     sta  scritto  nella  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto
     legislativo n.  274/2000,  sub  IV  (Disciplina  sanzionatoria),
     punto 10.5 (Altre disposizioni)]. 

(58) Come gia' detto (v. il paragrafo 4), quest'ultimo  (il  «giudice
     dell'esecuzione competente»): doveva individuarsi in  base  alle
     «normali»  regole  sulla  competenza:  vale  a  dire  ai   sensi
     dell'art. 665 codice di procedura penale per le pene  pecuniarie
     applicate dal giudice «ordinario» (G.I.P., G.U.P., tribunale  in
     composizione monocratica, tribunale in composizione collegiale o
     corte di appello,  secondo  i  casi,  ciascuno  in  funzione  di
     giudice dell'esecuzione) ovvero ai sensi dell'art. 40, comma  1,
     decreto legislativo n. 274/2000 per le pene pecuniarie applicate
     dal  giudice  di  pace  (giudice  di  pace  che  ha  emesso   il
     provvedimento in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione);  «con
     l'ordinanza che dispone  la  conversione  ...  determina(va)  le
     modalita' delle sanzioni conseguenti in osservanza  delle  norme
     vigenti» (art. 238, comma 6): e, quindi, convertiva in  liberta'
     controllata o in lavoro sostitutivo ex articoli 102 e 107  legge
     n. 689/1981 (mai abrogati)  la  pena  pecuniaria  applicata  dal
     giudice «ordinario»; e in  lavoro  di  pubblica  utilita'  o  in
     obbligo di permanenza domiciliare ex art. 55 decreto legislativo
     n. 274/2000 (mai abrogato)  la  pena  pecuniaria  applicata  dal
     giudice di pace. 

(59) Questo, infatti, e' il ragionamento su  cui  ha  fatto  leva  la
     suindicata decisione della Corte di cassazione n. 56967 del 2018
     per escludere che l'art. 299  decreto  legislativo  n.  113/2002
     fosse incostituzionale per eccesso  di  delega  non  solo  nella
     parte in cui aveva  abrogato  l'art.  660  codice  di  procedura
     penale, ma pure nella parte in  cui  aveva  abrogato  l'art.  42
     decreto legislativo n. 274/2000. Sta scritto, infatti,  in  tale
     decisione:  «Ne'  pare  possibile  avanzare   un   sospetto   di
     costituzionalita' dell'art. 299 del  testo  unico  citato  anche
     nella parte in cui dispone l'abrogazione di tale norma»  (recte:
     dell'art. 42 cit.): «l'abrogazione  suddetta,  infatti,  non  ha
     comportato di per se' una modifica delle regole della competenza
     precedentemente stabilite per  detto  Giudice»  (recte:  per  il
     giudice di pace). «In effetti, l'intervento legislativo ritenuto
     incostituzionale aveva operato un  intervento  asimmetrico  che,
     abrogando l'art. 660 codice  di  procedura  penale,  determinava
     l'attribuzione al giudice dell'esecuzione  della  competenza  in
     materia  di  conversione  di  pene  pecuniarie  in   luogo   del
     magistrato  di  sorveglianza;  diversamente,  con   la   vigenza
     dell'art.  42  decreto  legislativo  n.  274  del  2000,  quella
     confluenza verso il giudice dell'esecuzione era, di fatto,  gia'
     realizzata». Cosi' ragionando, tuttavia, la Corte di  cassazione
     ha  totalmente  omesso  di  considerare   le   conseguenze   (di
     annullamento e non di mera abrogazione  della  norma  dichiarata
     incostituzionale)  inerenti  all'intervenuta   declaratoria   di
     illegittimita' costituzionale dell'art. 299 nella parte  in  cui
     abrogava l'art. 660  codice  di  procedura  penale:  conseguenze
     determinanti (come si dimostrera' tra poco) la «reviviscenza  ex
     tunc» (senza soluzione di continuita' e come se non fosse  stato
     mai abrogato) dell'art. 660 codice  di  procedura  penale  e  la
     «incostituzionalita' indotta» dell'art. 299 decreto  legislativo
     n. 113/2002 nella  parte  in  cui  abrogava  l'art.  42  decreto
     legislativo n. 274/2000 (sulla «incostituzionalita' indotta»  v.
     sempre  la  nota  2).  Il  «vizio  di  origine»  del  suindicato
     ragionamento della Corte di cassazione deve (ci pare) ravvisarsi
     nel  fatto  di  avere  essa  (espressamente,  ma   erroneamente)
     attribuito a Corte cost. 212/2003 conseguenze  di  «abrogazione»
     (e  non,  invece,  di  annullamento)   dell'art.   299   decreto
     legislativo n. 113/2002 nella parte in cui abrogava  l'art.  660
     codice di procedura penale Come gia' segnalato (v. la nota  47),
     infatti, la Corte di cassazione con la decisione  qui  avversata
     ha espressamente (ma erroneamente) scritto: «Ed  invero,  avendo
     la Corte costituzionale abrogato il menzionato art. 299 soltanto
     parzialmente, restava  salva  l'efficacia  abrogativa  che  tale
     norma operava dell'art. 42 del decreto legislativo del 2000». 

(60) Tranne i casi in cui la stessa Corte  «autolimiti»  gli  effetti
     temporali delle proprie decisioni di accoglimento (come succede,
     per esempio,  in  caso  di  illegittimita'  costituzionale  c.d.
     sopravvenuta o come sta succedendo sempre piu' spesso in caso di
     potenziali gravi ripercussioni sul bilancio  pubblico  derivanti
     dalla declaratoria di incostituzionalita' di una norma), sin dai
     primi anni del suo «funzionamento» la  Corte  costituzionale  ha
     insegnato che le sue sentenze  dichiarative  dell'illegittimita'
     costituzionale di  una  norma  hanno  (in  forza  del  combinato
     disposto degli articoli 136 Cost. e 30, comma 3,  legge.  n.  87
     del 1953) una efficacia retroattiva, la quale e' assimilabile  a
     quella dell'annullamento (della norma) e, non, invece, a  quella
     (non   retroattiva,   per   l'appunto)   dell'abrogazione    [v.
     esemplificativamente Corte costituzionale 127/1966 non solo  per
     il richiamo di altre precedenti pronunce della Consulta, ma pure
     per un incisivo  excursus  storico;  ma  gia'  nella  sua  prima
     pronuncia la Corte costituzionale aveva icasticamente affermato:
     «I   due   istituti   giuridici   dell'abrogazione    e    della
     illegittimita' costituzionale delle leggi non sono identici  fra
     loro, si' muovono su piani diversi, con effetti  diversi  e  con
     competenze diverse. Il campo dell'abrogazione  inoltre  e'  piu'
     ristretto,  in  confronto   di   quello   della   illegittimita'
     costituzionale,  e  i  requisiti  richiesti  perche'  si   abbia
     abrogazione per incompatibilita'  secondo  i  principi  generali
     sono assai piu' limitati di quelli  che  possano  consentire  la
     dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  di  una  legge»
     (Corte cost., sentenza 5 giugno 1956,  n.  1,  Pres.  Enrico  De
     Nicola, sottoscritta da tutti i componenti  della  Corte)].  Sul
     significato e sui limiti  di  codesta  «normale»  retroattivita'
     bastera' qui ricordare Cassazione civ., Sez.  III,  sentenza  28
     luglio  1997,  n.  7057,  Rv.   506315_01:   «Le   pronunce   di
     accoglimento   della   Corte   costituzionale   hanno    effetto
     retroattivo,  inficiando  fin  dall'origine   la   validita'   e
     l'efficacia della norma dichiarata contraria alla  Costituzione,
     salvo il limite delle situazioni  giuridiche  «consolidate»  per
     effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a
     produrre tale effetto, quali le sentenze passate  in  giudicato.
     L'atto amministrativo non piu' impugnabile, la prescrizione e la
     decadenza». 

(61) Le parole riportate in corsivo sono state  testualmente  mutuate
     da Corte  cost.,  sentenza  25  febbraio  2014  n.  32,  su  cui
     torneremo nella nota seguente. 

(62) Cfr. tra le piu' recenti Corte cost., sentenza 25 febbraio  2014
     n. 32, nella cui motivazione  sta  testualmente  scritto  quanto
     segue: «In  considerazione  del  particolare  vizio  procedurale
     accertato in questa sede» (costituito in  quell'occasione  dalla
     carenza dei presupposti per il legittimo  esercizio  del  potere
     legislativo di conversione dei decreti-legge),  «deve  ritenersi
     che, a seguito della caducazione delle  disposizioni  impugnate,
     tornino a  ricevere  applicazione  l'art.  73  del  decreto  del
     Presidente della Repubblica  n.  309  del  1990  e  le  relative
     tabelle, in quanto mai validamente abrogati. nella  formulazione
     precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate.
     Il potere di conversione non  puo',  infatti,  considerarsi  una
     mera manifestazione dell'ordinaria  potesta'  legislativa  delle
     Camere ... Nella misura in  cui  le  Camere  non  rispettano  la
     funzione tipica della legge di conversione,  facendo  uso  della
     speciale procedura per essa prevista al fine di perseguire scopi
     ulteriori  rispetto  alla  conversione  del  provvedimento   del
     Governo, esse agiscono in una situazione di carenza  di  potere.
     In tali casi, in  base  alla  giurisprudenza  di  questa  Corte,
     l'atto  affetto  da  vizio  radicale  nella  sua  formazione  e'
     inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche ad  abrogare
     la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n.  361  del
     2010). Sotto questo profilo, la situazione risulta  assimilabile
     a quella della  caducazione  di  norme  legislative  emanate  in
     difetto  di  delega,  per  le  quali  questa   Corte   ha   qia'
     riconosciuto,   come   conseguenza   della    declaratoria    di
     illegittimita' costituzionale,  l'applicazione  della  normativa
     precedente (sentenze n. 5 del  2014  e  n.  162  del  2012),  in
     conseguenza dell'inidoneita' dell'atto, per  il  radicale  vizio
     procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi  anche
     per modifica o sostituzione.  Deve,  dunque,  ritenersi  che  la
     disciplina dei reati sugli stupefacenti  contenuta  nel  decreto
     del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, nella  versione
     precedente alla novella  del  2006,  torni  ad  applicarsi,  non
     essendosi validamente verificato l'effetto abrogativo». 

(63) La «reviviscenza» di norme abrogate da  disposizioni  dichiarate
     costituzionalmente illegittime puo' ormai considerarsi  «diritto
     vivente». Infatti, dopo l'iniziale affermazione fattane da Corte
     costituzionale 107/1974 e pur con alcune pronunce dubitative (ma
     mai «negatorie»: v. per esempio Corte costituzionale 310/1993  e
     294/2001), l'esistenza di tale fenomeno e' stata ripetutamente e
     costantemente affermata nella giurisprudenza  piu'  recente:  v.
     esemplificativamente Corte  costituzionale  13/2012  (nella  cui
     motivazione sta scritto:  «Il  fenomeno  della  reviviscenza  di
     norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e
     puo'  essere  ammesso  soltanto  in  ipotesi  tipiche  e   molto
     limitate,  e  comunque  diverse   da   quella   dell'abrogazione
     referendaria  in  esame.  Ne  e'   un   esempio   l'ipotesi   di
     annullamento di norma espressamente  abrogatrice  da  parte  del
     giudice costituzionale»); nonche' Corte costituzionale 162/2012,
     32/2014, 218/2015 e 214/2016. 

(64) V. la nota 5. 

(65) Ed  invero:  l'art.  660  codice  di  procedura   penale   parla
     genericamente  di  impossibilita'  di   esazione   della   «pena
     pecuniaria» senza altre specificazioni circa  il  giudice  della
     cognizione, che l'aveva applicata; al comma 4 lo stesso art. 660
     stabilisce che, «con l'ordinanza che dispone la conversione,  il
     magistrato di sorveglianza determina le modalita' delle sanzioni
     conseguenti in osservanza delle norme vigenti» (con una sorta di
     generico  rinvio  formale  e  non,  invece,  col   richiamo   di
     specifiche disposizioni in materia). 

(66) Nella  fattispecie,  cioe',   si   verificata   una   sorta   di
     «riespansione» del «mai morto»  art.  660  codice  di  procedura
     penale rispetto all'abrogato  art.  42  decreto  legislativo  n.
     274/2000. Sulla «riespansione» («che  si  ha,  ad  esempio,  nel
     rapporto tra due discipline delle quali  una  generale,  l'altra
     speciale, per  cui  la  disciplina  generale  produce  i  propri
     effetti  sulle  fattispecie   in   precedenza   regolate   dalla
     disciplina speciale  abrogata»)  v.  Corte  cost.,  sentenza  12
     gennaio 2012, n. 13. 

(67) Ricordiamo ancora una volta (v. la nota 2) che si suole  parlare
     di «incostituzionalita' indotta» allorche' una  decisione  della
     Corte   costituzionale   (nella   fattispecie:   la    auspicata
     dichiarazione  di  incostituzionalita'  dell'art.  299   decreto
     legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42
     decreto  legislativo  n. 274/2000),  nell'espungere  una   norma
     illegittima (nella fattispecie: l'art. 299  decreto  legislativo
     n.113/2002 nella parte in cui  ha  abrogato  l'art.  42  decreto
     legislativo n. 274/2000), «crea» involontariamente  un'ulteriore
     e  diversa  illegittimita'  (nella   fattispecie:   quella   ora
     denunciata  dell'art.  238-bis  decreto  del  Presidente   della
     Repubblica n. 115/2002 introdotto dall'art. 1, comma 473,  legge
     n. 205/2017). 

(68) V. la nota 62. Per  comodita',  nondimeno,  riteniamo  opportuno
     ricordare il «nucleo motivazionale» di Corte cost. 32/2014: «...
     l'atto  affetto  da  vizio  radicale  nella  sua  formazione  e'
     inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche ad  abrogare
     la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n.  361  del
     2010). Sotto questo profilo, la situazione risulta  assimilabile
     a quella della  caducazione  di  norme  legislative  emanate  in
     difetto  di  delega,  per  le  quali  questa   Corte   ha   gia'
     riconosciuto,   come   conseguenza   della    declaratoria    di
     illegittimita'  costituzionale  l'applicazione  della  normativa
     precedente (sentenze n. 5 del  2014  e  n.  162  del  2012),  in
     conseguenza dell'inidoneita' dell'atto, per  il  radicale  vizio
     procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi  anche
     per modifica o sostituzione.  Deve,  dunque,  ritenersi  che  la
     disciplina»  precedente  «torni  ad  applicarsi,  non  essendosi
     validamente verificato l'effetto abrogativo». 

(69) V.  la  nota  63.  Anche  stavolta,  tuttavia,  ricordiamo   per
     comodita' la parte essenziale di Corte  costituzionale  13/2012:
     «il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate,  dunque,  non
     opera in  via  generale  e  automatica  e  puo'  essere  ammesso
     soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate, e comunque diverse
     da quella dell'abrogazione  referendaria  in  esame.  Ne  e'  un
     esempio  l'ipotesi  di  annullamento  di   norma   espressamente
     abrogatrice da parte del giudice costituzionale». 

(70) Le parole riportate in corsivo sono state  testualmente  mutuate
     da Corte costituzionale 32/2014 (v. la nota 68). 

(71) V. nota 13. 

(72) V. il paragrafo 6. 

(73) Nella  motivazione  di  Corte  costituzionale  279/2012  vengono
     indicate in senso conforme pure le sentenze 172/2006, 146/1996 e
     313/1995. 

(74) Sulla «esigenza di ricondurre il  sistema  ad  una  razionalita'
     intrinseca altrimenti lesa» v. Corte costituzionale 120/2013. 

(75) Ci  si  riferisce,  piu'  esattamente,  a  quella  parte   della
     suindicata sentenza, la' dove sta scritto: «questo  sistema»  di
     concentrazione della competenza in  subiecta  materia  sempre  e
     solo nella magistratura di sorveglianza «appare rafforzato dalla
     recente  introduzione  dell'art.   238-bis   del   decreto   del
     Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ad opera  del  comma
     473 dell'art. 1 della legge  27  dicembre  2017,  n.  205,  che,
     occupandosi della procedura  di  attivazione  della  conversione
     delle pene pecuniarie non pagate, richiama l'art. 660 codice  di
     procedura  penale  ed  espressamente  la  competenza  unica  del
     Magistrato di Sorveglianza». Null'altro! 

(76) V. la nota 13. 

(77) Corte costituzionale  3691/1993  e  Corte  117/1990  hanno,  per
     l'appunto, considerato incostituzionali  norme  «traslative»  di
     competenza non giustificate «da  alcun  apprezzabile  interesse»
     (sentenza  369/1993)  o  da  «ragionevoli  esigenze»   (sentenza
     117/1990). 

(78) Sulla «esigenza di ricondurre il  sistema  ad  una  razionalita'
     intrinseca  altrimenti  lesa»  V.  sempre  Corte  costituzionale
     120/2013. Sul  «principio  di  razionalita'  ...  nel  senso  di
     razionalita'  formale,  cioe'  del  principio  logico   di   non
     contraddizione» v. ultimamente  Corte  costituzionale  113/2015,
     che richiama pure la sentenza 172/1996. 

(79) Cosi'  esemplificativamente  e  tra  le   piu'   recenti   Corte
     costituzionale  sentenza  n.  47  del  2014,  che  richiama   in
     motivazione i numerosi precdenti conformi (ex plurimis  sentenze
     64/2009 e 298/2008; e ordinanze 56/2010, 32/2010 e 28/2007). 

(80) V. il paragrafo 1. Quanto scritto trova conferma nella Relazione
     di accompagnamento al decreto legislativo n.  274/2000,  sub III
     (Disciplina del processo),  punto  8.2  (Esecuzione  delle  pene
     pecuniarie),  dove  sta  scritto  quanto   segue:   «L'art.   42
     disciplina  l'esecuzione  delle  condanne  a   pene   pecuniarie
     inflitte dal giudice di pace, stabilendo che questa ha  luogo  a
     norma della regola  generale  di  cui  all'art.  660  codice  di
     procedura penale Peraltro, per ragioni di economia  processuale,
     funzionali alla concentrazione delle competenze in executivis, e
     apparendo opportuno valorizzare anche in tale fase il ruolo  del
     giudice   di   pace,   si   e'   previsto   che   l'accertamento
     dell'effettiva insolvibilita'  del  condannato  sia  svolto  dal
     giudice di pace competente per  l'esecuzione,  il  quale  adotta
     anche i  provvedimenti  in  ordine  alla  rateizzazione  o  alla
     conversione della pena pecuniaria. In tal modo  si  evitano  gli
     inconvenienti,  avvertiti  nell'applicazione  della   disciplina
     attualmente  vigente,  derivanti  dalla   frammentazione   delle
     competenze  tra  giudice   dell'esecuzione   e   magistrato   di
     sorveglianza». 

(81) V. art. 208, comma 1, lettera b), decreto del  Presidente  della
     Repubblica  n.  115/2002:  «(Ufficio  competente).  1.  Se   non
     diversamente stabilito in modo espresso, ai fini delle norme che
     seguono e di quelle cui si rinvia,  l'ufficio  incaricato  della
     gestione delle attivita'  connesse  alla  riscossione  e'  cosi'
     individuato: ... per il processo  penale  e'  quello  presso  il
     giudice dell'esecuzione». 

(82) In tal senso v. ultimamente Cassazione pen. , Sez.  I,  sentenza
     28 settembre 2018 n. 50971, Confl. comp. in proc.  Leveque,  Rv.
     274516 - 01. 

(83) Per il testo dell'art. 208, comma 1,  lettera  b),  decreto  del
     Presidente della Repubblica 115/2002 v, la nota 81. 

(84) Proprio codesto rinnovo ex directo degli atti esecutivi  (previa
     semplice comunicazione al PM), invero, era previsto dall'art. 18
     d.m.  6  aprile  2001.  E'  vero  che  tale  articolo  e'  stato
     espressamente abrogato  dall'art.  301  decreto  del  Presidente
     della Repubblica 114/2002 (trasfuso nel decreto  del  Presidente
     della Repubblica n. 115/2002), recante la  rubrica  «Abrogazione
     di norme secondarie». Tuttavia, trattandosi  di  abrogazione  di
     una norma secondaria strettamente connessa ad una norma primaria
     (l'art.  42  decreto  legislativo  n. 274/2000)  contestualmente
     abrogata da altra norma primaria (l'art. 299 decreto legislativo
     n.    113/2002),    la    qui    invocata    declaratoria     di
     incostituzionalita'   dell'art.    299    decreto    legislativo
     n. 113/2002 nella parte in cui ha  abrogato  l'art.  42  decreto
     legislativo n. 274/ 2000. provocando la «reviviscenza  ex  tunc»
     di   quest'ultimo,   dovrebbe    determinare    l'illegittimita'
     sopravvenuta della predetta norma regolamentare nella  parte  in
     cui ha abrogato la norma secondaria attuativi  di  quella  norma
     primaria «resuscitata»: donde la disapplicabilita' della  stessa
     (norma regolamentare viziata da illegittimita' sopravvenuta). Ed
     invero, secondo la giurisprudenza amministrativa un atto emanato
     sulla base di una norma (successivamente) dichiarata illegittima
     e' considerato viziato  in  via  derivata  (o  sopravvenuta)  e,
     quindi,    e'    riconducibile     al     regime     processuale
     dell'annullabilita'  per  «illegittimita'  sopravvenuta»  (conf.
     ultimamente Cons. Stato, Sez. V, sentenza  14  aprile  2015,  n.
     1862). 

(85) Sulla «esigenza di ricondurre il  sistema  ad  una  razionalita'
     intrinseca  altrimenti  lesa»  v.  ancora  Corte  costituzionale
     120/2013.  Sul  «principio  di   razionalita'   nel   senso   di
     razionalita'  formale,  cioe'  del  principio  logico   di   non
     contraddizione» v.  ultimamente  Corte  costituzionale  sentenza
     113/2015, che richiama pure la sentenza 172/1996. 

(86) V.  Relazione  di  accompagnamento  al  decreto  legislativo  n.
     274/2000,  sub  I  (Premessa),  punto 1  (Linee  generali  della
     riforma): «E' risaputo, infatti che lo strumento penalistico  ha
     invaso settori distanti dal suo «naturale» campo di elezione: e'
     stato   posto   a   presidio   di   interessi   diffusi   ovvero
     sovraindividuali, anche di rilievo prioritario, ma non  di  rado
     lontani dalle esperienze e dal vissuto quotidiano  del  singolo.
     Questo processo, in parte inevitabile, di ampliamento  dell'area
     penalmente  rilevante  ha  cosi'  comportato   una   progressiva
     divaricazione tra le ragioni della giustizia e le  esigenze  del
     cittadino comune, che lamenta una lentezza intollerabile, quando
     non addirittura un deficit nella risposta dello Stato. In questo
     contesto, la dislocazione sul territorio del giudice di pace, in
     uno con la sua caratterizzazione professionale, consentiranno un
     riavvicinamento della  collettivita'  all'amministrazione  della
     giustizia anche nel delicato settore del diritto penale». 

(87) V. la nota 30. 

(88) Si sottolinea al riguardo che l'art. 55 decreto  legislativo  n.
     274/2000 (intitolato «conversione  delle  pene  pecuniarie»)  e'
     collocato nel Titolo II  intitolato  «sanzioni  applicabili  dal
     giudice  di  pace».  Sul  punto  v.   pure   la   Relazione   di
     accompagnamento  al  decreto  legislativo  n. 274/2000,  sub  IV
     (Disciplina sanzionatone),  punto  10.1  (Problemi  posti  dalla
     legge delega): «Un cenno merita la collocazione sistematica  del
     capo relativo alle sanzioni e che appare anch'esso frutto  delle
     disposizioni della legge delega sopra richiamate le  quali,  nel
     prevedere l'applicabilita'  di  determinate  sanzioni  solo  per
     opera del giudice di pace e solo  a  seguito  di  una  peculiare
     disciplina processuale, antepongono logicamente quegli aspetti a
     quest'ultimo» (vale a dire: all'inserimento di tali sanzioni nel
     sistema «generale» previsto dal codice penale), «rendendo  cosi'
     plausibile la sistematica  «interna»del  presente  provvedimento
     normativo». 

(89) Come gia' visto  sopra  (paragrafo  2  e  parte  conclusiva  del
     paragrafo  3),  le  sanzioni  applicabili  ex  art.  55  decreto
     legislativo n. 274/2000 in  sede  di  conversione  corrispondono
     esattamente a quelle applicabili ex directo dal giudice di  pace
     in sede di cognizione ai sensi degli art. 52-54. 

(90) V. sopra, in corrispondenza della nota 25 e la nota 27. 

(91) Ci si riferisce: alla legge 26 novembre 2010,  n.  199,  che  ha
     introdotto la misura dell'esecuzione presso il  domicilio  delle
     pene detentive non superiori a diciotto mesi:  al  decreto-legge
     23  dicembre  2013,  n.  146,   convertito   con   modificazioni
     dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, il  quale  (tra  le  misure
     urgenti volte  a  contrastare  il  sovraffollamento  carcerario)
     aveva con  l'art.  4  introdotto  l'istituto  della  liberazione
     anticipata «speciale»;  all'art.  35-bis  O.P.  (aggiunto  dallo
     stesso decreto-legge 146/2011 convertito dalla  legge  10/2014),
     che ha introdotto il «reclamo giurisdizionale»  proponibile  dai
     detenuti in materia disciplinare [art. 69, comma 6, lettera  a),
     O.P. il cui ambito operativo e' stato contestualmente esteso  in
     taluni casi al merito del provvedimento disciplinare] e a tutela
     dei diritti dei detenuti stessi «pregiudicati» dall'inosservanza
     da  parte  dell'amministrazione  delle  norme   sull'ordinamento
     penitenziario;  all'art.  35-ter  O.P.  (inserito  dall'art.   1
     decreto-legge  26   giugno   2014,   n.   92,   convertito   con
     modificazioni dalla legge  11  agosto  2014,  n.  117),  che  ha
     introdotto i «rimedi risarcitoci»  conseguenti  alla  violazione
     dell'art. 3  CEDU.  Si  sottolinea  che  questa  escalation  dei
     compiti  degli   Uffici   di   sorveglianza   sta   continuando,
     considerati gli effetti che proprio su codesti Uffici graveranno
     a  seguito  della  recente  modifica  dell'art.  678  codice  di
     procedura penale ad opera del decreto legislativo n.  2  ottobre
     2018 n. 123, il cui art. 4.  comma  1,  lettera  b),  n.  3,  ha
     inserito in quell'articolo il comma 1-ter, che dispone:  «Quando
     la pena da espiare non e' superiore a un anno e sei mesi, per la
     decisione sulle  istanze  di  cui  all'art.  656.  comma  5,  il
     presidente del tribunale di sorveglianza, acquisiti i  documenti
     e le necessarie informazioni, designa il magistrato  relatore  e
     fissa un termine entro il quale questi, con  ordinanza  adottata
     senza formalita', puo' applicare in via  provvisoria  una  delle
     misure menzionate nell'art. 656, comma 5». 

(92) Sulla «esigenza di ricondurre il  sistema  ad  una  razionalita'
     intrinseca  altrimenti  lesa»  v.  sempre  Corte  costituzionale
     120/2013. 

(93) V. le note 62 e 63. 

(94) V. la nota 5. 

(95) Ci  riferiamo,  cioe',   ai   principi   elaborati   sia   dalla
     giurisprudenza costituzionale  sugli  effetti  della  dichiarata
     incostituzionalita' di una norma emanata in  difetto  di  delega
     sia dalla  giurisprudenza  costituzionale  sugli  effetti  della
     dichiarazione di incostituzionalita' di una norma  espressamente
     abrogatrice di un'altra norma (v. le note 62 e 63). 

(96) V. sempre Corte cost., sentenza 32/2014,  ricordata  nella  nota
     62. 

(97) V. la nota 13. 

(98) Ricordiamo che tale vuoto normativa si era  venuto  a  creare  a
     seguito della  persistente  abrogazione  (ex  art.  299  decreto
     legislativo  n.  113/2002  in  parte  qua)  degli  art.  181-182
     disposizioni di attuazione del  codice  di  procedura  penale  e
     della successiva dichiarazione di incostituzionalia'  (ex  Corte
     costituzionale 212/2003)  delle  norme  «sostitutive»  contenute
     negli articoli 237-238 decreto legislativo n.  113/2002  (v.  il
     paragrafo 6). 

(99) V. Corte costituzionale  279/2012,  nella  cui  motivazione  sta
     icasticamente  scritto  che  «il  vizio   suddetto,   anche   se
     consistente ... nella intrinseca contraddittorieta' tra la ratio
     della disposizione e il suo contenuto normativo,  si  estrinseca
     nella violazione del  canone  della  ragionevolezza  e  pertanto
     n'entra nella sfera applicativa dell'art. 3  della  Costituzione
     (sentenze n. 172 del 2006, n. 146 del 1996 e n. 313 del 1995)». 

(100) Cfr. Corte cosi'. 369/1993 e 117/1990,  che  hanno  considerato
      incostituzionali   norme   «traslative»   di   competenza   non
      giustificate  «da  alcun  apprezzabile   interesse»   (sentenza
      369/1993) o da «ragionevoli esigenze» (sentenza 117/1990). 

(101) Sulla «esigenza di ricondurre il sistema  ad  una  razionalita'
      intrinseca altrimenti lesa» v. Corte  costituzionale  120/2013.
      Ci permettiamo conclusivamente di sottolineare che  (ad  avviso
      di   chi   scrive)   le   qui   invocate    dichiarazioni    di
      incostituzionalita' consentirebbero altresi' il  «recupero»  di
      quella   intrinseca   razionalita'   del   sistema    normativo
      complessivamente  considerato,  che  abbiamo  evidenziato   nel
      paragrafo 3 (cfr. Corte costituzionale 84/1997, nella quale  si
      afferma espressamente che «il canone della ragionevolezza  deve
      trovare applicazione non solo all'interno dei singoli  compatti
      normativi, ma anche con riguardo all'intero sistema»; sul punto
      v. pure Corte costituzionale 113/2015).