TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MILANO Ufficio di sorveglianza Nel procedimento di sorveglianza nei confronti di: C. A., nata in Germania il ...; attualmente detenuta presso la ...; difesa di fiducia dall'avv. Corrado Limentani del Foro di Milano, avente per oggetto istanza di permesso premio ex art. 30-ter OP; in espiazione della pena di cui al seguente titolo esecutivo: cumulo PG Bologna n. 205/2012 SIEP; pena da espiare: anni 24 di reclusione; decorrenza pena 1° aprile 2006; fine pena attuale al 29 agosto 2027; reati per cui vi e' condanna in esecuzione: concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione da cui e' derivata la morte della persona sequestrata, ai sensi dell'art. 630 comma 2 del codice penale. Vista l'istanza di riconoscimento della c.d. collaborazione impossibile o irrilevante, avanzata dalla detenuta in data 28 settembre 2018, ai fini di accedere - ai sensi degli articoli 4-bis comma 1-bis e 30-ter OP - ai benefici penitenziari e, in particolare, ai permessi premio (cosi' come da istanza pervenuta in data 2 ottobre 2018); Ritenuto in fatto La detenuta, con sentenza della Corte di Assise d'Appello di Bologna del 17 giugno 2011 (divenuta irrevocabile il 13 marzo 2012), e' stata condannata, ai sensi dell'art. 630 comma 2 del codice penale, alla pena di anni ventiquattro di reclusione per sequestro in concorso a scopo di estorsione, aggravato dalla morte della persona sequestrata, come conseguenza non voluta. Ad oggi la C. ha espiato effettivamente in carcere anni tredici, mesi uno, giorni dodici di reclusione, a cui si aggiungono anni due, mesi sette, giorni cinque di liberazione anticipata. La detenuta ha chiesto di usufruire del primo permesso premio, da trascorrere presso l'appartamento (sito in ...) dell'Associazione ..., al fine di coltivare i propri affetti familiari (in particolare con il figlio minorenne, a cui la C. e' molto legata). Nell'ultimo aggiornamento della sintesi (in data 20 giugno 2018) l'equipe formula come ipotesi trattamentale la concessione dei benefici richiesti e la Direzione dell'Istituto (in data 2 ottobre 2018) esprime parere favorevole. Dai colloqui con l'esperta psicologa e' emerso che la detenuta si mostra assolutamente consapevole della gravita' del reato, palesando contenuti di profondo dolore nei confronti della vittima e dei suoi familiari, seppur la medesima, distanziandosi da quanto riportato in sentenza, ha sempre negato di aver partecipato alla formulazione del piano di reato, proiettando, invece, la colpa su chi materialmente ha commesso questo grave delitto; nonostante cio', la detenuta ha sempre manifestato autentici sentimenti di colpa rispetto al reato per cui si trova ristretta. Si specifica che il reato per cui la C. e' ristretta e' un fatto che, per la crudezza e violenza delle azioni criminali, ha avuto notevole rilevanza mediatica: la detenuta e' stata ritenuta colpevole di aver preso parte, in concorso con il suo ex convivente M. G. A. e con S. R., alla pianificazione del rapimento del piccolo T. O.; il piano criminale era stato organizzato allo scopo di estorcere denaro alla famiglia per la liberazione del bambino, ma si e' poi concluso con la morte di quest'ultimo, ucciso da R. ed A. immediatamente dopo il rapimento, per evitare di venire scoperti dalle forze dell'ordine impegnate nelle ricerche del piccolo. Mentre i due correi hanno ammesso le proprie responsabilita' circa l'ideazione e la commissione del fatto anche omicidiario, la C. ha sempre affermato di non avere mai condiviso il piano criminale fino all'uccisione del piccolo (come del resto confermato anche in fase di cognizione dall'A., salvo poi ritrattare nelle fasi finali del processo, accusando anche la ex compagna). Infatti, i due uomini sono stati condannati all'ergastolo per avere cagionato (dolosamente) la morte del sequestrato, ai sensi dell'art. 630. comma 3 del codice penale; mentre la donna e' stata condannata alla pena della reclusione di anni ventiquattro per avere cagionato la morte della vittima, come conseguenza non voluta del sequestro, ai sensi dell'art. 630, comma 2 del codice penale. Cio' premesso in fatto, deve affrontarsi la questione preliminare di ammissibilita' dell'istanza avanzata dalla detenuta, alla stregua di quanto previsto dall'art. 58-quater comma 4 OP. Nella suddetta istanza in data 2 ottobre 2018 la detenuta, dopo aver asserito la sua totale estraneita' da contesti di criminalita' organizzata ed altresi' l'evidente impossibilita' di una sua collaborazione «attiva» («in quanto i fatti a me ascritti sono stati integralmente accertati con sentenza passata in giudicato. Inoltre il mio ruolo, cosi' come accertato in sentenza, e' stato di secondo piano e nulla potrei comunque ulteriormente riferire in ordine a un episodio ormai definitivamente accertato»), sosteneva sussistessero i termini di legge per poter accedere ai permessi premio; cio' - a suo dire - perche' il reato ascrittole (art. 630, comma 2 del codice penale) non rientrerebbe tra quelli previsti dall'art. 58-quater, comma 4 OP. In particolare, la condannata, citando la sentenza della Corte costituzionale n. 149/2018, ha ritenuto che il richiamo operato dall'art. 58.quater, comma 4 OP all'art. 630 del codice penale sia da intendersi esclusivamente con riferimento al comma terzo di quest'ultimo articolo; a suo dire, l'art. 58-quater, comma 4 OP si riferirebbe espressamente ai condannati per sequestro di persona «che abbiano cagionato la morte del sequestrato» e, dunque, non ai casi in cui la morte del sequestrato sia derivata dal delitto come conseguenza non voluta dal reo, ai sensi dell'art. 630, comma 2 del codice penale, che e' la fattispecie a lei ascritta. La questione appena prospettata impone di analizzare la disposizione di cui all'art. 58-quater, comma 4 OP, la quale pone una disciplina molto chiara: per determinati tipi di reato («i condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato») l'ammissibilita' dei benefici di cui all'art. 4-bis, comma 1 OP e' subordinata all'espiazione effettiva di almeno due terzi della pena inflitta in caso di pena temporanea o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni. Cio' premesso, e' necessario anzitutto analizzare il significato dell'espressione contenuta nell'art. 58-quater, comma 4 OP «che abbiano cagionato la morte del sequestrato», concentrandosi in particolare sul significato giuridico del verbo «cagionare». E' evidente che nel caso di specie non si tratti di omicidio volontario, ma di delitto aggravato dall'evento. E' ben vero che lo schema legale di tale delitto aggravato e' costruito in termini di responsabilita' oggettiva, poiche' non sembra richiedere alcuna partecipazione soggettiva rispetto all'evento, che deriva solo causalmente dalla condotta materiale dell'agente; tuttavia, preso atto della sussistenza del nesso di causalita' (imputabilita' di tipo oggettivo), alla luce del principio di colpevolezza, e' necessario interpretare tale fattispecie nel senso della necessaria presenza di una quota di colpa anche rispetto all'evento non voluto. In altri termini, l'aver cagionato la morte del sequestrato appare un presupposto imprescindibile per la configurazione di tale fattispecie di reato, e cio' indipendentemente dal fatto che la morte sia stata effettivamente voluta (nel caso del terzo comma dell'art. 630 del codice penale) o non voluta (nel caso del secondo comma dell'art. 630 del codice penale) dalla detenuta. Dunque, il verbo «cagionare» - a differenza di quanto sostenuto dall'istante - non implica necessariamente la sussistenza in capo all'agente della volonta' di causare la morte della vittima, come avviene nei casi di omicidio doloso. In questo senso, dunque, la C. ha, in effetti, concorso a cagionare la morte del piccolo T., nel senso che (anche) la sua condotta ha causato l'evento morte, anche se non effettivamente voluto. Dunque, il fatto che l'art. 58-quater comma 4 OP contenga l'espressione «che abbiano cagionato la morte del sequestrato» significa necessariamente che le soglie di legittimita' contenute in tale norma si riferiscono a tutti i condannati del delitto di cui all'art. 630 del codice penale, che abbiano cagionato la morte della vittima, sia con dolo sia con la sola previsione dell'evento, nei termini in cui la giurisprudenza di legittimita' interpreta la fattispecie del delitto aggravato dall'evento. Ne consegue che la posizione giuridica della C. rientra pienamente nella disciplina di cui al comma quarto dell'art. 58-quater OP. Chiarito cio', va rilevato che la C., condannata ad anni ventiquattro di reclusione, ad oggi ha effettivamente espiato anni tredici, mesi uno, giorni dodici di reclusione (esclusi anni due, mesi sette, giorni cinque di L.A., come richiesto dall'avverbio «effettivamente» presente nel testo della norma in questione; interpretazione confermata del resto anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 149/2018); ai sensi dell'art. 58 comma 4 OP, dunque, vi sarebbe una preclusione temporale per l'accesso ai permessi premio, non avendo la detenuta espiato i due terzi della pena inflittale (16 su 24 anni di reclusione): l'istanza sarebbe percio' inammissibile e cio' senza alcun rilievo, peraltro, del riconoscimento della collaborazione impossibile (richiesto dalla detenuta in data 28 settembre 2018). Infatti, posto che l'art. 58-ter comma 1 OP esclude l'applicabilita' dei limiti di pena in esso indicati nel caso di collaborazione positiva (o nelle condizioni ad essa equiparate ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1-bis OP), una medesima deroga non e' invece prevista nell'ordinamento penitenziario per i limiti di pena fissati dall'art. 58-quater comma 4 OP; quest'ultimo articolo quindi «si pone come norma speciale rispetto alla previsione dell'art 58-ter ord. penit.» (sentenza Corte Suprema di Cassazione, Prima sezione Penale, n. 3758/2016). Va pero' rilevato che la suddetta disciplina e' stata dichiarata incostituzionale con recente sentenza della Corte costituzionale n. 149/2018 con esclusivo riferimento, tuttavia, ai soli condannati all'ergastolo per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 comma 3 del codice penale, con le seguenti motivazioni: la Corte costituzionale ha censurato la disposizione di cui all'art. 58-quater comma 4 OP perche' contraria al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., evidenziando alcuni profili differenziali del regime applicabile ai soli condannati all'ergastolo per sequestro a scopo di estorsione, terrorismo o eversione, rispetto a quello applicabile alla generalita' degli altri condannati all'ergastolo, soggetti o meno alle preclusioni di cui all'art. 4-bis OP. In particolare, la disparita' di trattamento e' stata rivenuta laddove solo per i' primi, pur in presenza di una loro collaborazione con la giustizia o delle condizioni ad essa equiparate, le soglie di pena previste per la generalita' dei condannati non vigono, in quanto sostituite dall'unica soglia dei ventisei anni di pena effettivamente espiata; inoltre, il regime derogatorio di cui all'art. 58-quater comma 4 OP e' stato censurato anche sotto il profilo di irragionevolezza rispetto al principio di finalita' rieducativa della pena ex art. 27 comma 3 Cost., il quale richiede necessariamente una gradualita' e progressivita' trattamentale («L'appiattimento all'unica e indifferenziata soglia di ventisei anni per l'accesso a tutti i benefici penitenziari indicati nel primo comma dell'art. 4-bis ordin. penit. si pone, infatti, in contrasto con il principio - sotteso all'intera disciplina dell'ordinamento penitenziario in attuazione del canone costituzionale della finalita' rieducativa della pena - della progressivita' trattamentale e flessibilita' della pena [...] La disciplina in questa sede censurata sovverte irragionevolmente a tale logica gradualistica»); infine, un terzo profilo di irragionevolezza della disposizione in questione e' stato ravvisato dalla Corte laddove le preclusione temporale di cui all'art. 58-quater comma 4 OP blocca in modo automatico l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati a tali reati, impedendo di' fatto al giudice di effettuare una valutazione individuale sul concreto percorso di risocializzazione del detenuto, e cio' in forza della presunzione di una sua maggiore pericolosita' basata unicamente sul titolo di reato commesso. Tale disciplina sembrerebbe ispirata unicamente a esigenze di prevenzione sociale, ponendosi cosi' in netto contrasto con le posizioni in materia della Corte costituzionale, che invece appaiono sempre piu' ostili all'applicazione di automatismi e presunzioni assolute di pericolosita' in materia di reati ostativi, come quello del caso di specie; la funzione di rieducazione e risocializzazione della pena, cosi' come sancita all'art. 27 comma 3 Cost., richiede, invece, l'individualizzazione del trattamento penitenziario, indipendentemente dal titolo di reato («Incompatibili con vigente assetto costituzionale sono invece previsioni, come quella in questa sede censurata, che precludano in modo assoluto, per un arco temporale assai esteso, l'accesso ai benefici penitenziari a particolari categoria di condannati - i quali pure abbiano partecipato in modo significativo al percorso di rieducazione [...] in ragione soltanto della particolare gravita' del reato commesso, ovvero all'esigenza di lanciare un robusto segnale di deterrenza nei confronti della generalita' dei consociati»); la Corte ha individuato un ulteriore profilo disparitario nella disciplina speciale applicabile ai soli ergastolani per tali delitti, laddove ha constatato che tale disciplina e' insensibile alla collaborazione processuale del detenuto o alle situazioni ad esse equiparate dall'art. 4-bis. OP (collaborazione impossibile o inesigibile), e cio' a differenza di quanto accade per tutti gli altri ergastolani condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis comma 1 OP, «per i quali la collaborazione con la giustizia rende inoperanti, ai sensi dell'art. 58-ter, le piu' gravosi soglie per l'accesso a ciascun beneficio introdotte con la medesima novella del 1991, con conseguente riespansione delle ordinarie soglie applicabili alla generalita' dei condannati». Stante, dunque, il riferimento espresso unicamente ai condannati alla pena dell'ergastolo, la suddetta disciplina rimane pero' tuttora in vigore per i condannati a pena detentiva temporanea per l'analogo delitto aggravato dall'evento. Cio' posto, si ravvisa un'evidente disparita' di trattamento, laddove, in riferimento ai medesimi reati, per gli ergastolani tornerebbero ad applicarsi, a seguito della suddetta pronuncia di incostituzionalita', i limiti di pena ordinari (peraltro gia' di per se' stringenti) previsti dagli articoli 30-ter e 4-bis OP, mentre per i condannati a pena detentiva temporanea rimarrebbero in vigore i piu' rigidi limiti previsti dalla norma in questione: l'art. 58-quater comma 4 OP pone, dunque, una irragionevole eccezione in peius. D'altronde e' la stessa Corte costituzionale, al punto 10 della menzionata sentenza, ad affermare la consapevolezza di tale disparita' di trattamento: «Questa Corte e' consapevole che la presente pronuncia potrebbe a sua volta creare disparita' di trattamento rispetto alla disciplina - non sottoposta in questa sede a scrutinio di legittimita' - dettata dallo stesso art. 58-quater, comma 4. ordin. penit. in relazione ai condannati a pena detentiva temporanea per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato. Tuttavia, tale consapevolezza non puo' costituire ostacolo alla dichiarazione di illegittimita' della disciplina qui esaminata: e cio' in base al costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui anche se «qualunque decisione di accoglimento produce effetti sistemici [.] questa Corte non puo' tuttavia negare il suo intervento a tutela dei diritti fondamentali per considerazioni di astratta coerenza formale» nell'ambito del sistema (sentenza n. 317 del 2009). Spettera' al legislatore individuare gli opportuni rimedi alle eventuali disparita' di trattamento che si dovessero produrre in conseguenza della presente pronuncia». Considerato in diritto Ritiene questo Magistrato non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 58-quater comma 4 OP nella parte in cui prevede che il condannato a pena detentiva temporanea per il reato di cui all'art. 630 comma 2 del codice penale che abbia cagionato la morte del sequestrato non e' ammesso ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis OP se non abbia effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata. La questione e' rilevante poiche' la soluzione circa la legittimita' costituzionale o meno della norma applicabile al caso concreto appare imprescindibile per procedere alla valutazione nel merito dell'istanza avanzata. In particolare, e' evidente il collegamento fra la norma della cui costituzionalita' si dubita e l'oggetto del procedimento pendente avanti questo Ufficio di Sorveglianza. Invero, sussistendo tutti gli altri requisititi di ammissibilita' (il riconoscimento della collaborazione impossibile ex articoli 58-ter e 4-bis comma 1-bis OP e l'assenza di elementi da cui desumere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva), l'unico ostacolo alla concessione dei benefici richiesti e' rappresentato proprio dall'art. 58-quater comma 4 OP: se la disciplina in questione venisse ritenuta conforme alla Costituzione, si applicherebbe, come detto, la soglia di espiazione effettiva dei due terzi di pena inflitta (senza contare, dunque, i giorni di LA e senza alcun rilievo della collaborazione impossibile o inesigibile); tuttavia, laddove invece la stessa venisse dichiarata incostituzionale, tornerebbero in vigore le piu' ampie soglie ordinarie previste normalmente per tutti gli altri tipi di reati ostativi di cui all'art. 4-bis OP. Conseguentemente, in tale secondo caso, la detenuta, per accedere ai permessi premio, dovrebbe aver espiato meta' della pena inflitta o, secondo il criterio moderatore, almeno dieci anni di reclusione, ai sensi dell'art. 30-ter, comma 4, lett. c) OP: l'istanza troverebbe allora accoglimento. Da tali elementi deriva, dunque, la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata con l'odierna ordinanza: da tale disposizione dipende l'applicazione, nel caso di specie, di un'eccezione in peius di un regime - quello previsto dall'art. 4-bis OP - gia' di per se' derogatorio in senso peggiorativo; e' dunque dirimente che la Corte costituzionale si pronunci sulla fondatezza dell'odierna questione di legittimita' costituzionale. Inoltre, il dubbio di legittimita' costituzionale non potrebbe neanche essere risolto sulla base del criterio dell'interpretazione costituzionalmente orientata della norma in questione; trattasi di un passaggio obbligatorio che la legge impone al giudice rimettente, il quale, prima di rimettere - appunto - la questione alla Corte costituzionale, e' chiamato a verificare, anche con l'ausilio del diritto vivente, se vi e' la possibilita' di attribuire alla norma - della cui legittimita' si dubita - un significato che si ponga in armonia con la Costituzione. E invero una tale interpretazione, nel caso di specie, sembra essere preclusa proprio dal punto 10 della sentenza Corte cost. n. 149/2018 sopra riportato, laddove si afferma espressamente che quella pronuncia di incostituzionalita' non puo' estendersi a casi che, seppur similari, non sono stati sottoposti in quella sede a scrutinio di legittimita'. In ogni caso, l'art. 58-quater comma 4 OP non sembra essere una norma contenente plurimi significati e, dunque, suscettibile di svariate interpretazioni, ma anzi e' una disposizione con un significato univoco: non si ravvisa, dunque, in questo caso la possibilita' di una interpretazione adeguatrice che possa ovviare al trattamento disparitario prodotto dal rigido limite temporale previsto dalla norma. Cio' posto, con riferimento ai singoli motivi di censura della norma, valgono per i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all'art. 630 del codice penale tutte le medesime doglianze di incostituzionalita' accolte dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 149/2018 relativa - come detto - ai soli ergastolani per il medesimo delitto, e sopra riportate, che qui si richiamano per intero. Oltre alle suddette violazioni riconosciute dalla Corte, nel caso di specie, si ravvisa a maggior ragione un profilo di irragionevolezza rispetto al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., laddove, a seguito della menzionata pronuncia di incostituzionalita' parziale della norma, vige una disciplina differenziata a seconda che il reo sia ergastolano o condannato a pena detentiva temporanea. Invero, stante l'identita' di ratio tra le due situazioni (medesimi reati) ed altresi' l'appartenenza al medesimo schema legale, questo Magistrato ravvisa che se tale regime derogatorio e' stato dichiarato incostituzionale per gli ergastolani, a fortiori dovrebbe essere ritenuto tale anche per i condannati a pena detentiva temporanea; sarebbe infatti paradossale sottoporre ad un regime penitenziario piu' stringente e peggiorativo condannati a pena detentiva temporanea - e, dunque, evidentemente responsabili di reati meno gravi - rispetto a quello applicabile ai condannati all'ergastolo per i medesimi fatti, certamente piu' gravi. Infine, sembra sussistere un'ulteriore violazione del principio di uguaglianza ai sensi dell'art. 3 Cost., laddove la Corte, con la menzionata sentenza, ha riconosciuto che l'avverbio «effettivamente» comporterebbe un trattamento differenziato tra la generalita' dei condannati all'ergastolo e gli ergastolani ex articoli 289-bis e 630 del codice penale, rilevando, infatti, che «mentre, dunque, per la generalita' dei condannati le soglie temporali di accesso ai singoli benefici possono essere anticipate per effetto delle detrazioni conseguenti alla liberazione anticipata, in proporzione al numero di semestri nei quali la loro partecipazione all'opera di rieducazione sia stata valutata in termini positivi, la soglia dei due terzi di pena o di ventisei anni nel caso di ergastolo, per le speciali categorie di condannati cui si riferisce l'art. 58-quater, non e' suscettibile di alcuna riduzione per effetto della liberazione anticipata, pure eventualmente maturata dal condannato per effetto della sua partecipazione all'opera rieducativa durante l'intero corso della sua permanenza in carcere». Secondo la Corte, questa disciplina comporterebbe il forte indebolimento dell'incentivo a partecipare all'opera di rieducazione: «[...] e' assai probabile che il condannato all'ergastolo [...] possa non avvertire, quanto meno in tutta la prima fase di esecuzione della pena, alcun pratico incentivo ad impegnarsi nel programma rieducativo, in assenza di una qualsiasi tangibile ricompensa in termini di anticipazione dei benefici che non sia proiettata in un futuro ultraventennale, percepito come lontanissimo nell'esperienza comune di ogni individuo (sentenza n. 276 del 1990)». Anche in questo caso, questo Magistrato ritiene che se tali argomentazioni sono valide con riferimento agli ergastolani, possano ritenersi, a maggior ragione, tali anche per i condannati a pena detentiva temporanea per il medesimo delitto di cui all'art. 630, comma 2 del codice penale. Per le ragioni sopra esposte, ad avviso di questo Magistrato, sussistono ragioni di contrasto della norma contenuta nell'art. 58-quater comma 4 OP con gli articoli 3 e 27, comma 3 Cost. e pertanto, preso atto della rilevanza in fatto, deve sollevarsi questione di' illegittimita' costituzionale, che si ritiene non manifestamente infondata.