IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCO
Sezione I - Giudice dott. Carlo Stefano Boerci
ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di I
Grado iscritta al n. r.g. 2395/2015 promossa da:
Ronzoni srl (c.f. n. 03078140963), con il patrocinio degli
avv.ti Giuseppe Maniglia e Nicoletta Sersale ed elezione di domicilio
presso l'avv. Maniglia in via Belvedere n. 11, Lecco - attrice;
Contro Comune di Oggiono (c.f. n. 00566690137), con il patrocinio
dell'avv. Riccardo Anania ed elezione di domicilio presso l'avv.
Giulia Brusadelli in via Roma n. 41, Lecco - convenuto;
Con l'intervento di Liguria Societa' di Assicurazioni S.p.A.
(c.f. n. 00436950109), oggi UnipolSai Assicurazioni S.p.A. (c.f. n.
00818570012), con patrocinio degli avv.ti Carlo Scofone e Adolfo Rosa
ed elezione di domicilio presso l'avv. Rosa in corso Martiri n. 3,
Lecco - terzo intervenuto.
Fatto
L'attrice Ronzoni Srl ed il Comune di Oggiono hanno stipulato il
15 marzo 2013 un contratto di appalto avente ad oggetto i lavori
riqualificazione della via Papa Giovanni XXIII, per un corrispettivo
calcolato a misura di euro 558.751,65 oltre IVA e oneri di sicurezza.
I lavori sono stati regolarmente portati a termine e il 27 luglio
2015 e' stato emesso il certificato di collaudo.
Durante l'esecuzione dei lavori l'impresa appaltatrice ha
iscritto sei riserve nei registri di contabilita' e le ha confermate
in sede di sottoscrizione del conto finale in data 17 giugno 2015, ai
sensi degli articoli 190 e 191 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 207/2010 applicabili ratione temporis. Il contenuto e
la quantificazione delle riserve possono essere sinteticamente
riepilogati come segue:
riserva n. 1 per l'importo di euro 3.928,67: iscritta per la
prima volta sul S.A.L. n. 1, riguarda la mancata contabilizzazione di
maggiorazioni per il lavoro notturno;
riserva n. 2 per l'importo di euro 11.043,62: iscritta per la
prima volta sul S.A.L. n. 1, riguarda la mancata contabilizzazione di
maggiorazioni per opere eseguite;
riserva n. 3 per l'importo di euro 11.163,26: iscritta per la
prima volta sul S.A.L. n. 3, riguarda la mancata contabilizzazione di
lavorazioni eseguite non previste in capitolato;
riserva n. 4 per l'importo di euro 157.254,45: iscritta per
la prima volta sul S.A.L. n. 3, riguarda lavorazioni precedentemente
immesse in contabilita' in quantita' provvisoria ed in seguito
espunte dalla contabilita' definitiva ad opera del direttore dei
lavori, al fine di non far apparire l'incremento di spesa;
riserva n. 5 per l'importo di euro 238.647,51: iscritta per
la prima volta sul S.A.L. n. 3, riguarda l'illegittimita' della
perizia di variante approvata a termini contrattuali gia' scaduti e
senza preventivo esame dell'appaltatrice, nonostante l'importo dei
lavori eccedesse il cosiddetto «quinto d'obbligo», con conseguente
limitazione del diritto per l'impresa di rifiutare la prosecuzione
dei lavori o di definire nuove condizioni;
riserva n. 6 per l'importo di euro 54.977,12: iscritta per la
prima volta sul S.A.L. n. 3, riguardi i maggiori oneri derivanti
dalla protrazione della durata dei lavori addebitabile a
responsabilita' esclusiva della committente.
Complessivamente, le pretese dell'impresa appaltatrice avanzate
tramite le riserve ammontano dunque a euro 473.751,18.
Il convenuto Comune di Oggiono ha tempestivamente eccepito
l'inammissibilita' delle riserve ai sensi dell'art. 240-bis, primo
comma, del decreto legislativo n. 163/2006, in forza del quale:
«L'importo complessivo delle riserve non puo' in ogni caso essere
superiore al venti per cento dell'importo contrattuale» (disposizione
introdotta dall'art. 4, comma 2, lett. hh), del decreto-legge n.
70/2011 e applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame).
La causa e' stata istruita con l'esperimento di una consulenza
tecnica d'ufficio, con incarico al c.t.u. di valutare il fondamento
tecnico delle riserve, ed e' stata trattenuta in decisione
all'udienza del 19 dicembre 2018.
Diritto
A parere di questo giudicante, la decisione del presente giudizio
impone la previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale in
ordine alla soluzione della questione della legittimita'
costituzionale dell'art. 240-bis, primo comma, del decreto
legislativo n. 163/2006, nella parte in cui introduce un limite
arbitrario al valore complessivo delle riserve che l'appaltatore e'
legittimato a presentare, per violazione degli articoli 3, 24, 41 e
97 della Costituzione.
La questione prospettata risulta rilevante ai fini del presente
giudizio, in quanto:
a) l'attrice Ronzoni Srl ha iscritto in contabilita' riserve
per un importo di gran lunga superiore al limite di un quinto
dell'importo contrattuale;
b) l'Amministrazione convenuta ne ha tempestivamente eccepito
l'inammissibilita';
c) il consulente tecnico d'ufficio nominato da questo giudice
ha verificato la parziale fondatezza nel merito delle pretese
dell'appaltatrice, per un importo complessivo di euro 109.236,41 (di
cui: euro 3.653,68 in relazione alla riserva n. 3; euro 87.182,88 in
relazione alla riserva n. 4; euro 18.479,55 quale maggiorazione gia'
riconosciuta in fase di collaudo);
d) condividendo le valutazioni del consulente tecnico, questo
giudice dovrebbe quindi accertare la parziale fondatezza delle
pretese di parte attrice, ma il limite legale all'ammissibilita'
delle riserve preclude la possibilita' di accertare nel merito i
rispettivi crediti delle parti.
Per quel che concerne la non manifesta infondatezza della
questione sollevata, si osserva innanzitutto che l'unica possibile
interpretazione della norma in senso conforme alla sua lettera ed
alle intenzioni del legislatore sembra essere quella che attribuisce
all'appaltatore la legittimazione ad iscrivere riserve solo fino alla
concorrenza di un quinto dell'importo contrattuale (eventualmente
aumentato in ragione delle possibili varianti approvate in corso
d'opera). Dunque, nel caso di specie, sarebbero ammissibili solo le
riserve n. 1-2-3 e non le altre, tra cui la n. 4 che appare
parzialmente fondata nel merito. Invece non e' convincente quella
lettura giurisprudenziale secondo cui il predetto limite del 20% non
sarebbe riferito all'ammissibilita' dell'iscrizione della riserva
bensi' all'importo complessivo che in concreto puo' essere
riconosciuto in favore dell'appaltatore (cfr. Tribunale di Roma, Sez.
III, 23 gennaio 2017, n. 1085): la lettera della legge, infatti,
correla espressamente il predetto limite al contenuto delle riserve
cioe' al quantum delle pretese avanzate dall'appaltatore,
valorizzando cosi' il momento della richiesta e non il momento del
suo eventuale accoglimento o rigetto.
Del resto l'intenzione del legislatore emerge in maniera
inequivocabile dalla pur sintetica relazione parlamentare al progetto
di legge, laddove si spiega che la norma «introduce un limite massimo
oltre il quale non e' possibile per l'appaltatore iscrivere riserve.
Tale limite e' fissato nel 20 per cento del valore complessivo
dell'appalto. Eventuali imprevisti occorsi nell'esecuzione
dell'appalto, per la quota superiore alla predetta soglia, rientrano
nel rischio di impresa assunto in sede di gara».
A ben vedere, pero', il richiamo al principio del «rischio
d'impresa» appare fuori luogo, per due evidenti ragioni. In primo
luogo, l'ambito del rischio d'impresa dovrebbe riguardare solo
circostanze suscettibili di influire ab externo sul rapporto
negoziale, mentre nel caso di specie l'art. 240-bis e' idoneo ad
incidere sul rispetto delle reciproche obbligazioni contrattuali,
impedendo all'appaltatore di iscrivere riserve derivanti da errori e
inadempimenti addebitabili alla stazione appaltante (come errori di
contabilizzazione delle opere eseguite, errata indicazioni tecniche,
sospensioni dei lavori illegittimamente statuite o negate, eccetera).
In secondo luogo, il rischio di impresa dell'appaltatore non puo'
essere illimitato, perche' altrimenti il contratto d'appalto si
trasformerebbe in contratto puramente aleatorio: lo dimostra l'art.
1664 cod. civ., che infatti opera secondo un meccanismo esattamente
opposto a quello della norma qui censurata, fissando il limite
massimo entro cui le alterazioni dell'equilibrio contrattuale sono
tollerate e ricondotte al rischio assunto dall'appaltatore; nel caso
dell'art. 240-bis, invece, si sancisce una sorta di limite minimo
oltre il quale ogni squilibrio del sinallagma contrattuale, anche
dovuto a fatti imprevedibili, viene tollerato e posto a carico
dell'appaltatore.
Si comprende cosi' che il principio del rischio di impresa non ha
nulla a che vedere con le finalita' della norma, la quale appare
dettata esclusivamente per ragioni di contenimento della spesa
pubblica. Cionondimeno, le comprensibili esigenze di bilancio,
sebbene dotate di rilievo costituzionale ai sensi dell'art. 81 della
Costituzione, non possono essere sufficienti a giustificare
l'ablazione dei diritti contrattuali dell'appaltatore e l'allocazione
in capo a lui di un rischio sostanzialmente illimitato di
sopravvenuta onerosita' del contratto, in mancanza di alcuna tutela
sostanziale o processuale.
Anche in un'ottica di bilanciamento tra principi costituzionali,
le esigenze di contenimento della spesa pubblica non possono
giustificare la creazione di una posizione di cosi' smaccato
privilegio per la stazione appaltante, alla quale viene consentito di
liberarsi dalle proprie responsabilita' non solo in caso di eventi
sopravvenuti imprevedibili, ma anche in caso di possibili condotte
illegittime o inadempienti, tutte indistintamente ricondotte alla
categoria del rischio d'impresa di cui l'appaltatore dovrebbe farsi
carico.
Non si puo' dimenticare che la fase di esecuzione dei contratti
pubblici e' oggi regolata principalmente dai principi privatistici,
primo fra tutti quello del rispetto del sinallagma contrattuale,
estrinsecazione del principio costituzionale di eguaglianza di cui
all'art. 3 della Costituzione. E proprio a garanzia dell'equilibrio
sinallagmatico e' concepito l'istituto delle riserve, posto a
garanzia della conservazione della corrispettivita' delle prestazioni
a fronte di costi/oneri sostenuti dall'affidatario in misura
superiore rispetto a quella che le parti avevano originariamente
preventivato. Al contrario l'art. 240-bis introduce la possibilita'
di stravolgere l'equilibrio negoziale in favore di una sola delle
parti del contratto e dunque appare di assai dubbia legittimita'
costituzionale con riferimento ai parametri di cui agli articoli 3 e
24 della Costituzione, concretandosi, sul piano sostanziale, in una
limitazione irragionevole delle pretese patrimoniali dell'appaltatore
e, sul piano processuale, in una compressione altrettanto
inspiegabile del diritto d'azione.
Sotto un diverso profilo, si ravvisa anche una violazione
dell'art. 41 della Costituzione, concretandosi la disposizione in
un'ingiustificata limitazione alla liberta' d'impresa. Essa costringe
infatti l'imprenditore a sopportare il rischio' di pregiudizi del
tutto estranei alla sua sfera di controllo e dunque indirettamente lo
costringe a modificare la propria organizzazione di impresa per
poterne sopportare le conseguenze: si determina cosi' un'arbitraria
allocazione del rischio a discapito della parte privata, la quale e'
evidentemente ritenuta meno meritevole di tutela rispetto alla parte
pubblica.
La previsione normativa qui censurata sottende una valutazione di
automatica prevalenza delle esigenze pubbliche di bilancio rispetto
ai diritti costituzionali dell'imprenditore privato, la quale opera
al superamento di una soglia fissa obbligatoria erga omnes. Cio'
comporta che, nella gia' menzionata ottica di bilanciamento tra
diversi principi di rango costituzionale, viene meno qualsiasi
possibile proporzionalita' tra l'ablazione dei diritti
dell'appaltatore e l'intento del legislatore di arginare la
proliferazione delle riserve per contenere la spesa pubblica.
Infine, non si puo' omettere di segnalare il pericolo che una
disposizione di questo genere possa incentivare la
deresponsabilizzazione dei funzionari pubblici, attenuando il vincolo
ad adempiere con diligenza le obbligazioni gravanti su di essi, in
contrasto con il principio di buon andamento della pubblica
amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. Ed invero, se
anche puo' essere compresa l'intenzione del legislatore di porre un
freno a prassi deleterie per i conti pubblici, troppo spesso gravati
da incontrollati aumenti della spesa per contratti di appalto,
tuttavia tale condivisibile obiettivo deve essere perseguito mediante
disposizioni che migliorino l'efficienza dell'amministrazione e
consentano di rendere piu' certe le previsioni di spesa, anziche'
limitarsi a scaricare sull'appaltatore le conseguenze
dell'inefficienza del sistema.