Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri   (C.F.
80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato (C.F. 80224030587) presso cui e' domiciliato in Roma,  via  dei
Portoghesi 12 (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - fax 06/96514000); 
    Contro Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia in persona  del
Presidente pro tempore della giunta regionale; 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
regionale 6 agosto 2019 n. 13, pubblicata  nel  Bollettino  Ufficiale
della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia del 9  agosto  2019,  SO
25, limitatamente all'art. 9, commi 36, 51 lettera b), 67. 
 
                                Fatto 
 
    La  legge  regionale  in   epigrafe   dispone   in   materia   di
«Assestamento del bilancio per gli anni 2019-2021 ai sensi  dell'art.
6 della legge regionale 10 novembre 2015, n. 26». 
    Limitatamente alle disposizioni indicate in  epigrafe,  la  legge
regionale e' costituzionalmente illegittima e,  giusta  delibera  del
Consiglio dei ministri del 3 ottobre  2019,  viene  impugnata  per  i
seguenti 
 
                               Motivi 
 
    1. L'art. 9 comma 36 della legge regionale prevede: «36. Il comma
29 dell'art. 9 della legge regionale 28 dicembre 2018, n.  29  (Legge
di stabilita' 2019), e' sostituito dal seguente: 
    "29. L'Amministrazione regionale, al fine di sostenere il sistema
di mobilita' e accessibilita' a favore delle persone con disabilita',
e' autorizzata a concedere alle associazioni  di  volontariato  e  di
promozione sociale con  sede  in  regione,  iscritte  nei  rispettivi
registri regionali e aventi quali esplicite finalita'  statutarie  la
tutela e promozione sociale delle persone con disabilita', contributi
straordinari  per  sostenere  gli  oneri  connessi  all'acquisto   di
autoveicoli di categoria M1  e  M2  allestiti  per  il  trasporto  di
persone con disabilita'."». 
    La  precedente  versione  dell'art.  9,  comma  29  della   legge
regionale n. 29/2018 (novellato dalla  disposizione  qui  impugnata),
prevedeva:  «29.  L'Amministrazione  regionale   e'   autorizzata   a
concedere alle associazioni  di  volontariato  con  sede  in  regione
contributi   straordinari   per   sostenere   gli   oneri    connessi
all'attuazione delle iniziative finalizzate alla  sperimentazione  di
modelli organizzativi innovativi di  interventi  e  servizi  in  rete
rivolti alle persone disabili, con particolare riguardo al sistema di
mobilita' e accessibilita' ivi compreso l'acquisto di automezzi». 
    Come si vede, la previsione precedente mirava,  con  una  portata
oggettiva particolarmente ampia  e  «aperta»,  a  sostenere  mediante
contributi regionali straordinari la sperimentazione da  parte  delle
associazioni di volontariato di modelli organizzativi  innovativi  di
interventi e servizi in rete  a  favore  delle  persone  disabili.  I
servizi  diretti  a  favorire  la  mobilita'  di  tali   persone,   e
all'interno di questi l'acquisto di automezzi, costituivano  soltanto
una possibile esplicazione di tali modelli organizzativi  innovativi,
menzionata dalla  disposizione  a  puro  titolo  esemplificativo.  La
disposizione    previgente,    pero',    non     limitava     affatto
all'organizzazione della mobilita'  e,  in  questa,  all'acquisto  di
automezzi, l'ambito delle iniziative agevolabili  con  il  contributo
regionale.  Come  detto,  tale   ambito,   nella   concezione   della
disposizione, rimaneva totalmente aperto, e suscettibile di includere
qualsiasi  servizio,  purche'  innovativo  e  diretto  a   soddisfare
qualsiasi esigenza delle persone disabili. 
    Dato questo  presupposto,  era  ragionevole  che  la  platea  dei
soggetti agevolabili venisse  circoscritta  dalla  disposizione  alle
«associazioni di volontariato con sede in regione». Una estensione  a
qualsiasi soggetto operante nel volontariato, considerata  l'ampiezza
oggettiva degli interventi  ammessi  al  contributo,  avrebbe  potuto
provocare un numero  eccessivo  di  richieste  di  contributo  e,  di
conseguenza, la  dispersione  di  questo  in  troppe  erogazioni  non
coordinate e inefficienti, insieme alla difficolta' di selezionare le
richieste meritevoli di essere ammesse al contributo. 
    La novella apportata  coi  la  disposizione  oggi  impugnata  ha,
invece, per cosi' dire rovesciato la prospettiva  della  disposizione
originaria. I contributi straordinari regionali  sono  ora  erogabili
esclusivamente per  sostenere  le  spese  connesse  «all'acquisto  di
autoveicoli di categoria M1  e  M2  allestiti  per  il  trasporto  di
persone con disabilita'».  L'ambito  oggettivo  dell'agevolazione  e'
stato, quindi, drasticamente ristretto ad una sola iniziativa, vale a
dire all'acquisto dei suddetti autoveicoli. 
    Cio'  rende,  tuttavia,  discriminatoria   e   irragionevole   la
limitazione dei soggetti che possono avere titolo al contributo  alle
sole «associazioni di volontariato e di promozione sociale  con  sede
in regione, iscritte nei rispettivi registri regionali e aventi quali
esplicite finalita' statutarie la tutela e promozione  sociale  delle
persone con disabilita'». 
    Per quanto riguarda le associazioni  di  promozione  sociale,  si
deve considerare che (fino alla piena operativita' del Registro unico
nazionale del Terzo settore,  previsto  dagli  articoli  45  ss.  del
decreto legislativo n. 117/2017 - codice del terzo  settore  -,  come
previsto dalla disposizione transitoria contenuta nell'art. 102 comma
4 del medesimo decreto  legislativo)  sono  tuttora  applicabili  gli
articoli  7  e  8  della  legge  n.   383/2000   («disciplina   delle
associazioni di promozione sociale»), giusta i quali 
    «7. Registri. 
        1.  Presso  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri   -
Dipartimento  per  gli  affari  sociali  e'  istituito  un   registro
nazionale al quale  possono  iscriversi,  ai  fini  dell'applicazione
della  presente  legge,  le  associazioni  di  promozione  sociale  a
carattere nazionale in possesso dei  requisiti  di  cui  all'art.  2,
costituite ed operanti da almeno un anno. Alla tenuta del registro si
provvede con le ordinarie risorse finanziarie,  umane  e  strumentali
del Dipartimento per gli affari sociali. 
        2.  Per  associazioni  di  promozione  sociale  a   carattere
nazionale si intendono quelle che svolgono attivita' in almeno cinque
regioni ed in almeno venti province del territorio nazionale. 
        3. L'iscrizione nel registro nazionale delle  associazioni  a
carattere nazionale comporta il diritto di automatica iscrizione  nel
registro medesimo dei relativi livelli di organizzazione territoriale
e dei circoli  affiliati,  mantenendo  a  tali  soggetti  i  benefici
connessi alla iscrizione nei registri di cui al comma 4. 
        4. Le regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano
istituiscono,  rispettivamente,  registri  su   scala   regionale   e
provinciale, cui possono iscriversi tutte le associazioni in possesso
dei  requisiti  di  cui   all'art.   2,   che   svolgono   attivita',
rispettivamente, in ambito regionale o provinciale. 
    8. Disciplina del procedimento  per  le  iscrizioni  ai  registri
nazionali, regionali e provinciali. 
    1. Il Ministro per  la  solidarieta'  sociale,  entro  centoventi
giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, emana un
apposito regolamento che disciplina il procedimento per  l'emanazione
dei provvedimenti di iscrizione e di cancellazione delle associazioni
a carattere nazionale nel registro nazionale di cui all'art. 7, comma
1, e la periodica revisione dello stesso, nel rispetto della legge  7
agosto 1990, n. 241 (10). 
    2. Le regioni e le province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
disciplinano con proprie leggi, entro centottanta giorni  dalla  data
di entrata in vigore della presente legge, l'istituzione dei registri
di cui all'art. 7, comma  4,  i  procedimenti  per  l'emanazione  dei
provvedimenti di iscrizione e di cancellazione delle associazioni che
svolgono attivita' in ambito regionale  o  provinciale  nel  registro
regionale o provinciale nonche' la periodica revisione  dei  registri
regionali e provinciali, nel rispetto  dei  principi  della  legge  7
agosto 1990, n. 241. Le regioni e le  province  autonome  trasmettono
altresi' annualmente copia aggiornata dei  registri  all'Osservatorio
nazionale di cui all'art. 11. 
    3. Il regolamento di cui al  comma  1  e  le  leggi  regionali  e
provinciali di cui al comma 2 devono  prevedere  un  termine  per  la
conclusione  del  procedimento  e  possono  stabilire  che,   decorso
inutilmente il termine prefissato, l'iscrizione si intenda assentita. 
    4.  L'iscrizione  nei  registri  e'  condizione  necessaria   per
stipulare le convenzioni e per usufruire dei benefici previsti  dalla
presente legge e dalle leggi regionali e provinciali di cui al  comma
2». 
    Da   queste   previsioni   emerge   la    perfetta    equivalenza
dell'iscrizione  nel  registro  nazionale   delle   associazioni   di
promozione sociale rispetto all'iscrizione nei registri regionali  di
tali associazioni. La sola differenza sta nell'ambito territoriale di
svolgimento   dell'attivita'    dell'associazione,    che    consente
l'iscrizione nel registro nazionale se tale da coprire almeno  cinque
regioni e venti province del territorio nazionale;  laddove  consente
l'iscrizione  nei  rispettivi  registri  regionali  se  limitato   al
territorio di una regione, o di piu' regioni ma in numero inferiore a
cinque. 
    Si  tratta  di  un  dato  meramente  formale,   che   non   tocca
l'uguaglianza sostanziale delle associazioni di  promozione  sociale,
tanto  nazionali  che  regionali.  Cio'  e'  testualmente   enunciato
dall'art. 8 comma 4 della legge n.  383/2000,  giusta  il  quale  «4.
L'iscrizione nei registri e' condizione necessaria per  stipulare  le
convenzioni e per usufruire  dei  benefici  previsti  dalla  presente
legge e dalle leggi regionali e provinciali di cui al comma 2». 
    Viola quindi l'art. 3 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
vieta trattamenti differenziati rispetto  a  situazioni  uguali,  una
disposizione come il comma 36 qui impugnato che riserva i  contributi
in questione alle sole associazioni di  promozione  sociale  iscritte
nel  registro  regionale,  mentre  la  nega  alle   associazioni   di
promozione  sociale  iscritte  nel  registro  nazionale  ma  operanti
territorialmente anche nel territorio della  Regione  Friuli  Venezia
Giulia.  Il  dato  determinante  e',  infatti,   l'operativita'   nel
territorio  regionale  friulano,  che  puo'  connotare  non  solo  le
associazioni operanti esclusivamente nel territorio  friulano  e  per
questo iscritte nel registro regionale, ma anche le  associazioni  di
promozione sociale  dotate  di  carattere  nazionale,  e  per  questo
iscritte nel registro nazionale, che includano il territorio friulano
tra quelli cui si rivolge la propria attivita'. 
    Il registro di iscrizione serve  a  semplificare,  a  tutela  dei
terzi  e  delle  stesse  pubbliche  amministrazioni  che  entrano  in
rapporto con le associazioni di promozione sociale,  l'individuazione
del  tipo   di   associazione;   ma   non   differenzia   l'attivita'
dell'associazione dal punto di vista sostanziale, e la  rilevanza  di
tale attivita'  per  il  territorio  della  regione.  Non  e'  quindi
costituzionalmente giustificata la  riserva  dei  contributi  qui  in
esame alle sole associazioni iscritte  nel  registro  regionale,  con
esclusione delle altre, benche' operanti in Friuli. 
    Per quanto riguarda le Organizzazioni  di  volontariato,  invece,
sempre fino alla piena operativita' del Registro unico nazionale  del
terzo settore, sopra menzionato, la sola registrazione esistente e' a
base regionale: l'art. 6 della legge n. 266/1991  (legge  quadro  sul
volontariato) dispone infatti: «6. Registri delle  organizzazioni  di
volontariato istituiti dalle regioni e dalle province autonome. 
    1. Le regioni e le province autonome disciplinano l'istituzione e
la tenuta dei registri generali delle organizzazioni di volontariato. 
    2. L'iscrizione ai registri e' condizione necessaria per accedere
ai contributi pubblici nonche' per stipulare  le  convenzioni  e  per
beneficiare delle agevolazioni fiscali, secondo  le  disposizioni  di
cui, rispettivamente, agli articoli 7 e 8. 
    3.  Hanno  diritto   ad   essere   iscritte   nei   registri   le
organizzazioni  di  volontariato  che  abbiano  i  requisiti  di  cui
all'art. 3 e che alleghino alla richiesta copia dell'atto costitutivo
e dello statuto o degli accordi degli aderenti. 
    4. Le regioni e le province autonome determinano i criteri per la
revisione periodica dei registri, al fine di verificare il  permanere
dei   requisiti   e   l'effettivo   svolgimento   dell'attivita'   di
volontariato da parte delle organizzazioni iscritte. Le regioni e  le
province  autonome  dispongono  la  cancellazione  dal  registro  con
provvedimento motivato.». 
    Tuttavia, in primo luogo, tra i requisiti di iscrizione  in  tali
registri, stabiliti dall'art. 3 della  legge  n.  266/91  non  figura
l'operativita' esclusiva o prevalente  nel  territorio  di  una  data
regione. Cio' significa che alla struttura regionale dei registri non
corrisponde  la   limitazione   territoriale   dell'attivita'   delle
organizzazioni di volontariato alla sola regione  di  iscrizione.  E'
perfettamente ammissibile, e si verifica in concreto, il caso di  una
organizzazione di volontariato che sia necessariamente (visto che  la
legge non prevede altra possibilita')  iscritta  in  una  determinata
regione, ma che operi effettivamente anche in altre regioni. 
    Anche a proposito delle organizzazioni di  volontariato,  quindi,
la disposizione  regionale  impugnata  discrimina  le  organizzazioni
ammesse e quelle escluse dai contributi soltanto sulla base del  dato
formale del registro di iscrizione, laddove, per quanto esposto, tale
dato non e' idoneo a differenziare in modo sostanziale  le  attivita'
di volontariato rivolte al territorio della regione  friulana.  Donde
anche in questo caso la violazione dell'art. 3 Cost. 
    La disposizione impugnata, poi, in entrambe le sue articolazioni,
sia quella riferita alle  associazioni  di  promozione  sociale,  sia
quella riferita alle organizzazioni di volontariato, viola  l'art.  3
Cost. perche' si pone  come  disciplina  «a  regime»,  che  anche  in
futuro, cioe' dopo che sara' divenuto  operativo  il  Registro  unico
nazionale del terzo settore sopra menzionato, limitera' i  contributi
in  questione  alle  sole  associazioni  di  promozione   sociale   e
organizzazioni di volontariato precedentemente iscritte nei  registri
regionali. 
    Cio' contrasta con la finalita' della riforma del terzo  settore,
attuata con il decreto legislativo n. 117/2017. 
    Uno dei tratti salienti di questa riforma e', infatti, proprio l'
unificazione  del  registro. I  precedenti   registri   nazionali   e
regionali delle varie figure soggettive (tra cui le  associazioni  di
promozione sociale e le associazioni di volontariato:  cfr.  articoli
32 ss.; e 35 ss. decreto legislativo n.  117/2017)  riconducibili  al
terzo settore  vengono  soppressi  e  unificati  nel  Registro  unico
nazionale del terzo settore (articoli 45 ss.),  in  cui  ex  art.  54
decreto legislativo cit. dovranno trasmigrare i registri esistenti. 
    Questa nuova disciplina, gia' giuridicamente in vigore e solo  da
rendere concretamente operativa completando gli adempimenti  previsti
dall'art.  53  del  decreto  legislativo  n.  117/2017,  supera  ogni
differenziazione formale e conferma la  definitiva  equiparazione  di
tutti gli enti del terzo settore  iscritti  nel  Registro  nazionale.
Puo' quindi affermarsi che la riforma del terzo settore  contiene  il
principio generale secondo cui gli enti appartenenti a  tale  settore
possono essere differenziati, nei loro rapporti con  lo  Stato  e  le
regioni e nell'accesso alle provvidenze pubbliche rivolte  alla  loro
attivita', soltanto in base alle concrete caratteristiche della  loro
attivita', come per esempio l'area territoriale in cui tale attivita'
prevalentemente si svolge; mentre non possono essere differenziate in
base a dati puramente formali. 
    Sempre con riferimento  alla  riforma  del  terzo  settore,  deve
rilevarsi poi che la discriminazione contraria all'art. 3  Cost.  qui
denunciata sussiste anche per il fatto che, comunque, la disposizione
regionale impugnata limita l'accesso al contributo alle  associazioni
di  promozione  sociale  e  alle  organizzazioni   di   volontariato.
Senonche', la  riforma  ha  inteso  equiparare  dal  punto  di  vista
funzionale tutti gli  enti  del  terzo  settore,  le  cui  differenze
organizzative  e  tipologiche  sono  mantenute   essenzialmente   per
rispettare la volonta' degli associati, ma  non  per  distinguerne  i
compiti. 
    Questi,  quale  che  sia  il  tipo  di   ente,   debbono   essere
riconducibili  alle  «attivita'  di  interesse  generale»   enumerate
nell'art. 5 del decreto legislativo n. 117/2017. Se un ente del terzo
settore opera in una di tali attivita'  e  queste  ultime  godono  di
contributi pubblici, l'accesso al contributo non puo'  quindi  essere
limitato  a  particolari  categorie  di  enti  del   terzo   settore,
escludendone gli altri pur operanti in  quel  campo.  Viola,  quindi,
l'art. 3 Cost. la riserva  del  contributo  in  questione  alle  sole
organizzazioni di volontariato e associazioni di  promozione  sociale
(Capi I e II del Titolo V del decreto legislativo n.  117/2017),  con
esclusione  degli  «enti  filantropici»  (Capo  III),  delle  imprese
sociali (Capo IV e  decreto  legislativo  n.  112/2017),  delle  reti
associative (Capo V), delle societa' di mutuo soccorso (Capo VI). 
    Oltre alle  molteplici  violazioni  dell'art.  3  Cost.  fin  qui
denunciate,  la  disposizione  impugnata   incorre   altresi'   nella
violazione dell'art. 118 ultimo comma Corte costituzionale. 
    Qui si prevede che la Repubblica in tutte  le  sue  articolazioni
favorisce l'iniziativa dei  cittadini  singoli  e  associati  per  lo
svolgimento  di  attivita'  di  interesse  generale  sulla  base  del
principio di sussidiarieta'. 
    La  riforma  del  terzo  settore,  con  la  disciplina  positiva,
appunto, delle  attivita'  di  interesse  generale  (art.  5  decreto
legislativo n. 117/2017) che  gli  enti  del  terzo  settore  possono
svolgere in sussidiarieta' rispetto allo Stato,  alle  regioni  e  ai
comuni, e con la compiuta individuazione degli  enti  ascrivibili  al
terzo settore, ha fornito lo strumento attuativo di questo  principio
fondamentale di cooperazione e integrazione tra le istituzioni  e  la
societa' civile. 
    E' evidente che  una  disposizione  come  quella  impugnata,  con
l'introdurre una distorsione nell'organizzazione  del  terzo  settore
allorche' favorisce con i contributi solo talune  tipologie  di  enti
escludendo gli altri, contrasta con l'art. 118 ultimo  comma  citato.
Il  principio  di  cooperazione  e  integrazione  tra  istituzioni  e
societa' civile ivi enunciato implica, infatti, innanzitutto, che  le
istituzioni  non  influiscano  sulla  liberta'   dei   cittadini   di
associarsi nella forma che ritengono piu' idonea, tra quelle messe  a
disposizione dall'ordinamento, per perseguire  lo  svolgimento  delle
attivita' di interesse generale; laddove e' evidente che,  a  parita'
di tutte le altre condizioni, favorire con i contributi  solo  alcuni
tipi di enti orientera' «dall'alto» la liberta' associativa del terzo
settore, spingendola a preferire questi tipi di enti. Cio' che appare
del tutto incompatibile  con  la  direttiva  costituzionale  volta  a
riconoscere  la  libera  dinamica  delle  formazioni  sociali   e   a
integrarla senza  condizionarla  nelle  finalita'  delle  istituzioni
dell'ordinamento generale. 
    2. Il comma 51 dell'art.  9  della  legge  regionale  n.  13/2019
prevede: «51. Le risorse del fondo per  il  contrasto  alla  poverta'
trasferite ai Servizi sociali dei comuni (SSC) a titolo di acconto ai
sensi dell'art. 9, comma 9, lettera  a),  della  legge  regionale  n.
29/2018 e non utilizzate nell'anno 2019, sono confermate in  capo  ai
SSC per la concessione di interventi di  contrasto  alla  poverta'  a
favore di nuclei familiari come definiti dall'art. 2,  comma  5,  del
decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in  materia
di  reddito  di  cittadinanza  e  di   pensioni),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n.  26,  aventi  almeno  un
componente  che  sia  in  possesso,  congiuntamente,   dei   seguenti
requisiti. 
        a) cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell'Unione
europea, ovvero suo familiare come individuato dall'art. 2, comma  1,
lettera  b),  del  decreto  legislativo  6  febbraio  2007,   n.   30
(Attuazione  della  direttiva  2004/38/CE  relativa  al  diritto  dei
cittadini  dell'Unione  e  dei  loro  familiari  di  circolare  e  di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri),  che  sia
titolare  del  diritto  di  soggiorno  o  del  diritto  di  soggiorno
permanente, ovvero cittadino di Paesi terzi in possesso del  permesso
di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; 
        b) residenza in regione da almeno cinque  anni  continuativi.
In caso  di  rimpatrio  di  corregionali,  il  periodo  di  residenza
all'estero non e' computato e  non  e'  considerato  quale  causa  di
interruzione della continuita' della residenza in regione.». 
    La disposizione riportata e' costituzionalmente illegittima nella
parte  in  cui,  nella  lettera  b),  limita  la  concessione   degli
interventi di contrasto alla poverta' in  essa  contemplati  ai  soli
nuclei familiari in cui almeno un componente possieda la residenza in
regione da almeno cinque anni continuativi; e  ulteriormente  prevede
che la  continuita'  non  e'  richiesta  in  caso  di  «rimpatrio  di
corregionali», per i quali ai fini del requisito in esame  i  periodi
di residenza all'estero sono considerati come  periodi  di  residenza
nella regione. 
    La  finalita'  della  disposizione  e',  palesemente,  quella  di
fissare dei requisiti di «sufficiente radicamento territoriale» nella
regione, al fine di selezionare gli aventi diritto  alle  prestazioni
assistenziali di contrasto alla  poverta'.  Tuttavia,  nel  prevedere
come requisito fondamentale la residenza in regione per almeno cinque
anni,  la  disposizione  basa  in  modo   decisivo   l'accesso   alla
prestazione ad una circostanza meramente  spazio-temporale,  come  la
durata della residenza in regione, che non presenta alcuna  specifica
connessione con lo stato di bisogno a cui la prestazione stessa  mira
a porre rimedio. 
    Per   questo,   la   disposizione    appare    irragionevole    e
discriminatoria, sicche' viola l'art. 3 Cost.,  perche'  finisce  per
escludere dalla prestazione situazioni di poverta' maggiori di altre,
invece,  ammesse,  solo  perche'  ascrivibili,  le  prime,  a  nuclei
familiari in cui nessun componente abbia  risieduto  in  regione  per
almeno cinque anni. 
    Ora, e' ben noto che secondo la giurisprudenza di  codesta  Corte
costituzionale, non e' vietato al  legislatore  statale  o  regionale
prevedere  requisiti   indicativi   di   un   effettivo   radicamento
territoriale al fine di selezionare gli aventi diritto a  prestazioni
assistenziali. Ma cio', da un lato, al solo  fine  di  prevenire  gli
abusi consistenti negli spostamenti, a volte  fittizi,  di  residenza
finalizzati soltanto ad  ottenere  le  prestazioni.  E  sotto  questo
aspetto un requisito di residenza della durata di almeno cinque  anni
appare   manifestamente   eccessivo   rispetto   a   tale   finalita'
antiabusiva, essendo plausibile, giusta l'id quod plerumque  accidit,
che  anche  la  mera  residenza  possa   attestare   il   radicamento
territoriale e il carattere non  abusivo  del  trasferimento,  se  si
tiene conto della incidenza sostanziale  che  su  tutti  gli  aspetti
della vita del nucleo familiare presenta il  trasferimento  in  altra
regione. E se si  tiene  conto  che  gli  abusi  non  possono  essere
presunti ex  lege,  ma  vanno  accertati  caso  per  caso  attraverso
adeguati procedimenti di controllo delle erogazioni assistenziali. 
    Dall'altro lato, sempre  alla  stregua  della  giurisprudenza  di
codesta Corte  costituzionale,  requisiti  di  residenza  minima  non
possono  comunque  essere   richiesti   a   fronte   di   prestazioni
assistenziali volte  a  sopperire  a  necessita'  fondamentali  degli
individui, come la protezione dallo stato  di  indigenza  dell'intero
nucleo familiare. 
    Deve quindi  ribadirsi,  anche  a  proposito  della  disposizione
regionale   ora   illustrata   l'affermazione   di   codesta    Corte
costituzionale da ultimo fatta nella sentenza  n.  107/2018,  ove  si
legge:  «questa  Corte  ha  affermato  "il  principio  che   "se   al
legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), e' consentito
introdurre  una   disciplina   differenziata   per   l'accesso   alle
prestazioni  assistenziali  al  fine   di   conciliare   la   massima
fruibilita' dei benefici previsti con la  limitate:za  delle  risorse
finanziarie disponibili" (sentenza n. 133  del  2013),  tuttavia  "la
legittimita' di una simile scelta non esclude che i canoni  selettivi
adottati debbano comunque rispondere al principio di  ragionevolezza"
(sentenza n. 133 del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso
coerenti ed adeguati a fronteggiare le situazioni  di  bisogno  o  di
disagio, riferibili direttamente alla persona  in  quanto  tale,  che
costituiscono  il  presupposto  principale   di   fruibilita'   delle
provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011)"» (sentenza n. 168
del  2014).  Ha  inoltre  affermato  che  «l'introduzione  di  regimi
differenziati e' consentita solo in presenza di una  causa  normativa
non palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioe'  giustificata
da una ragionevole correlazione tra la condizione cui e'  subordinata
l'attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti  che  ne
condizionano il riconoscimento e ne definiscono la  ratio»  (sentenza
n. 172 del 2013). 
    Con  particolare  riferimento  al   requisito   della   residenza
protratta, questa Corte ha anche osservato che, «mentre la  residenza
costituisce, rispetto a una provvidenza regionale, "un  criterio  non
irragionevole per l'attribuzione del beneficio" (sentenza n. 432  del
2005), non altrettanto puo' dirsi quanto alla residenza protratta per
un predeterminato e significativo  periodo  minimo  di  tempo  (nella
specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti,
ove di carattere generale e dirimente,  non  risulta  rispettosa  dei
principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto "introduce nel
tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari ", non  essendovi
alcuna  ragionevole  correlazione  tra  la  durata  prolungata  della
residenza e  le  situazioni  di  bisogno  o  di  disagio,  riftribili
direttamente alla persona in quanto tale, che in linea  astratta  ben
possono connotare la domanda di  accesso  al  sistema  di  protezione
sociale (sentenza n. 40 del 2011)" (sentenza n. 222 del 2013).». 
    La disposizione impugnata viola poi l'art. 3 Cost., sempre  sotto
i profili della manifesta irragionevolezza  e  della  discriminazione
ingiustificata di situazioni uguali,  nella  parte  in  cui  ammette,
invece, alle prestazioni in  questione  i  nuclei  familiari  in  cui
nessuno dei componenti risieda in regione da almeno cinque  anni,  ma
nei quali si sia verificato il caso di «rimpatrio  di  corregionali";
caso nel quale la residenza all'estero viene equiparata  a  residenza
in regione. 
    L'incongruita' tra fini e mezzi della disposizione appare  palese
se si considera che, assunto come fine  limitare  le  prestazioni  ai
soli casi che manifestino un effettivo radicamento con la regione, e'
contraddittorio equiparare a tali casi quello  in  cui  l'interessato
non  abbia  risieduto  in  regione  perche'  residente,  addirittura,
all'estero. Non si comprende perche' risiedere  in  altra  parte  del
territorio nazionale farebbe cessare il radicamento  con  la  regione
friulana,  mentre  tale  radicamento   persisterebbe   in   caso   di
emigrazione all'estero (per  di  piu'  senza  alcuna  limitazione  di
territori,  per  esempio  alle  regioni  di  confine,  come  potrebbe
immaginarsi in una ipotetica disciplina che volesse tenere  conto  di
fenomeni di emigrazione transfrontaliera a breve raggio; peraltro non
attestati per quanto riguarda il Friuli). 
    In  secondo  luogo,   la   disposizione   appare   manifestamente
irragionevole  anche  per   l'assoluta   indeterminatezza   del   suo
presupposto; che, invece,  trattandosi  di  disposizione  eccezionale
(come tutte quelle di equiparazione), dovrebbe  essere  precisato  in
modo tassativo. 
    Non  e'  dato  infatti  intendere  che  cosa   si   intenda   per
«corregionali". Se si tratta di persone precedentemente residenti  in
regione, il caso rientra nell'ipotesi precedente: se la residenza  e'
stata interrotta e non ha raggiunto il minimo di cinque anni, non  vi
e' ragione di privilegiare i casi in cui  sia  stata  interrotta  per
emigrare all'estero rispetto ai  trasferimenti  in  altra  parte  del
territorio nazionale. 
    Se di  tratta  di  persone  nate  nella  regione,  la  violazione
dell'art. 3 Cost., nella parte  in  cui  vieta  ogni  discriminazione
fondata sulla nascita,  appare  cosi'  manifesta  da  non  richiedere
ulteriore illustrazione. 
    Ancora, del tutto inafferrabile appare la nozione di «rimpatrio".
Considerato  il  carattere  meramente  indiziario  delle   iscrizioni
anagrafiche,  neppure   l'iscrizione   e   successiva   cancellazione
dall'AIRE,  che  peraltro  non  e'  menzionata   dalla   disposizione
impugnata  e  si  formula  qui  come  mera  ipotesi   interpretativa,
apparirebbe  comunque  un  dato  dotato  di  portata  probante  cosi'
decisiva da giustificare  l'inserimento  di  un  privilegio  di  tale
portata nell'ambito di una  disciplina,  quale  la  riserva  ai  soli
residenti ultraquinquennali delle prestazioni in  discorso,  gia'  di
per se' indebitamente privilegiaria. 
    In ogni caso, appare quindi eccessivamente  indeterminata  l'area
dei soggetti che  potrebbero  beneficiare  di  tale  deroga,  il  che
ridonda in ulteriore violazione dell'art. 3  Cost.  sotto  i  profili
indicati. 
    3.  Il comma 67 dell'art. 9  della  legge  regionale  n.  13/2019
prevede: «67. Ai fini della programmazione regionale, per  consentire
la rivalutazione del fabbisogno complessivo di strutture residenziali
per anziani non autosufficienti, e' sospesa  la  presentazione  delle
domande per l'ottenimento dell'autorizzazione alla  realizzazione  di
nuove strutture sino alla conclusione del processo di accreditamento,
di cui all'art. 49 della legge regionale n. 17/2014, delle  strutture
gia'  autorizzate  all'esercizio  in  via  definitiva  o  in   deroga
temporanea, per le quali resta ammessa la possibilita' di  presentare
domanda di ampliamento, trasformazione e trasferimento della sede.». 
    La  disposizione  presuppone,  come  emerge  dal  suo  testo,  la
pendenza  di  numerosi  procedimenti  di  accreditamento  presso   il
servizio sanitario regionale di strutture  residenziali  per  anziani
non  autosufficienti.   In   attesa   della   conclusione   di   tali
procedimenti, che sono regolati dall'art. 49 della legge regionale n.
17/2014, viene sospesa la  possibilita'  di  presentare  domande  per
l'autorizzazione  alla  realizzazione  di  nuove  strutture  di  tale
specie. 
    La disposizione regionale, in sostanza, subordina la possibilita'
di richiedere e ottenere l'autorizzazione alla realizzazione  di  una
nuova struttura assistenziale  per  anziani  al  completamento  delle
procedure di accreditamento con il servizio sanitario regionale delle
strutture gia' autorizzate e operanti. 
    Disponendo in tal modo, la legge regionale contrasta con l'art. 5
n. 16 dello Statuto della Regione autonoma Friuli Venezia  Giulia  di
cui alla legge costituzionale n. 1/1963, e comunque  con  l'art.  117
comma  3  Cost.  Queste  previsioni  costituzionali  riconducono   la
competenza legislativa della regione in materia di «igiene e sanita',
assistenza sanitaria ed ospedaliera" (cosi' l'art. 5 statuto  nel  n.
16), ovvero  di  «tutela  della  salute"  (art.  117  comma  3)  alla
legislazione concorrente  tra  Stato  e  regione.  L'art.  5  statuto
prevede infatti che nelle materie in esso  enumerate  la  regione  ha
potesta' legislativa «con l'osservanza dei limiti  generali  indicati
nell'art. 4 ed in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle
leggi dello Stato nelle singole materie». 
    La disposizione impugnata, nel porre la subordinazione che si  e'
sopra  illustrata,  contrasta  in  particolare  con  la  legislazione
statale che costituisce il quadro di riferimento  della  legislazione
regionale,  anche  friulana,   in   materia   di   autorizzazione   e
accreditamento delle strutture sanitarie private. 
    Tale legislazione va individuata negli  articoli  8-ter  ss.  del
decreto legislativo n. 502/92. Il punto e' pacifico. Gli articoli  48
e 49 della legge sanitaria regionale n. 17/2014, richiamata dal comma
67 qui impugnato, regolano  il  primo  l'autorizzazione,  il  secondo
l'accreditamento  delle  strutture  sanitarie  private,  ed  entrambi
esordiscono con la clausola «In attuazione dell'art. 8-ter [8-quater]
del decreto legislativo n. 502/1992 ...». 
    Cio' premesso, deve sottolinearsi che la legge statale  distingue
nettamente per contenuto, presupposti e funzione l'autorizzazione, da
un lato, e l'accreditamento dall'altro delle strutture sanitarie. 
    L'art.  8-ter  del   decreto   legislativo   n.   502/92   regola
l'autorizzazione e prevede:  «1.  La  realizzazione  di  strutture  e
l'esercizio di attivita' sanitarie e sociosanitarie sono  subordinate
ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla  costruzione
di nuove strutture, all'adattamento di  strutture  gia'  esistenti  e
alla   loro   diversa   utilizzazione,   all'ampliamento    o    alla
trasformazione nonche' al trasferimento in altra  sede  di  strutture
gia' autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie: 
        a) strutture che erogano prestazioni in  regime  di  ricovero
ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti; 
        b)  strutture   che   erogano   prestazioni   di   assistenza
specialistica  in   regime   ambulatoriale,   ivi   comprese   quelle
riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio; 
        c)  strutture  sanitarie   e   sociosanitarie   che   erogano
prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno. 
    2. L'autorizzazione  all'esercizio  di  attivita'  sanitarie  e',
altresi', richiesta per gli studi odontoiatrici, medici  e  di  altre
professioni sanitarie, ove  attrezzati  per  erogare  prestazioni  di
chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche
di particolare complessita'  o  che  comportino  un  rischio  per  la
sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4, nonche' per
le  strutture  esclusivamente  dedicate  ad  attivita'  diagnostiche,
svolte anche a favore di soggetti terzi. 
    3. Per la realizzazione di strutture sanitarie  e  sociosanitarie
il comune acquisisce,  nell'esercizio  delle  proprie  competenze  in
materia di  autorizzazioni  e  concessioni  di  cui  all'art.  4  del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e  successive  modificazioni,  la
verifica di compatibilita' del progetto da parte della regione.  Tale
verifica e' effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo  e  alla
localizzazione  territoriale  delle  strutture  presenti  in   ambito
regionale, anche al fine  di  meglio  garantire  l'accessibilita'  ai
servizi e valorizzare le aree di insediamento  prioritario  di  nuove
strutture." 
    L'art.  8-quater   regola   l'accreditamento   e   prevede:   «1.
L'accreditamento  istituzionale  e'  rilasciato  dalla  regione  alle
strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai  professionisti  che
ne facciano richiesta,  subordinatamente  alla  loro  rispondenza  ai
requisiti  ulteriori  di  qualificazione,  alla  loro   funzionalita'
rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e  alla  verifica
positiva dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti. Al fine  di
individuare i criteri per la verifica  della  funzionalita'  rispetto
alla programmazione nazionale e regionale, la  regione  definisce  il
fabbisogno di assistenza secondo le  funzioni  sanitarie  individuate
dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli  essenziali  ed
uniformi di assistenza, nonche'  gli  eventuali  livelli  integrativi
locali e le  esigenze  connesse  all'assistenza  integrativa  di  cui
all'art. 9. La regione provvede al  rilascio  dell'accreditamento  ai
professionisti, nonche' a tutte le strutture pubbliche ed  equiparate
che soddisfano le condizioni di cui al  primo  periodo  del  presente
comma, alle strutture private non lucrative di cui all'art. 1,  comma
18, e alle strutture private lucrative. 
    2. La qualita' di soggetto accreditato  non  costituisce  vincolo
per le  aziende  e  gli  enti  del  servizio  sanitario  nazionale  a
corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori
degli accordi contrattuali di cui all'art. 8-quinquies.  I  requisiti
ulteriori costituiscono presupposto per  l'accreditamento  e  vincolo
per la  definizione  delle  prestazioni  previste  nei  programmi  di
attivita' delle strutture accreditate, cosi' come definiti  dall'art.
8-quinquies. 
    3. Con atto  di  indirizzo  e  coordinamento  emanato,  ai  sensi
dell'art. 8 della legge 15  marzo  1997,  n.  59,  entro  centottanta
giorni dalla data di entrata in vigore  del  decreto  legislativo  19
giugno 1999,  n.  229,  sentiti  l'Agenzia  per  i  servizi  sanitari
regionali,  il  Consiglio  superiore  di  sanita',  e,  limitatamente
all'accreditamento  dei  professionisti,  la  Federazione   nazionale
dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri, sono definiti i
criteri generali uniformi per: (155) 
        a) la definizione dei  requisiti  ulteriori  per  l'esercizio
delle attivita' sanitarie per conto del Servizio sanitario  nazionale
da parte delle strutture sanitarie e dei professionisti,  nonche'  la
verifica periodica di tali attivita'; 
        b)  la  valutazione  della  rispondenza  delle  strutture  al
fabbisogno, tenendo conto anche del criterio della soglia  minima  di
efficienza che, compatibilmente con le risorse regionali disponibili,
deve esser conseguita da parte delle singole strutture  sanitarie,  e
alla  funzionalita'  della  programmazione  regionale,   inclusa   la
determinazione dei limiti entro i  quali  sia  possibile  accreditare
quantita'  di  prestazioni  in   eccesso   rispetto   al   fabbisogno
programmato, in modo da assicurare un'efficace  competizione  tra  le
strutture accreditate; (156) 
        c) le procedure  ed  i  termini  per  l'accreditamento  delle
strutture che ne facciano richiesta, ivi compresa la possibilita'  di
un riesame dell'istanza, in caso di esito negativo e di  prescrizioni
contestate dal soggetto richiedente nonche' la verifica periodica dei
requisiti ulteriori e le procedure da adottarsi in caso  di  verifica
negativa. 
    4. L'atto di indirizzo e coordinamento e'  emanato  nel  rispetto
dei seguenti criteri e principi direttivi: 
        a)   garantire   l'eguaglianza   fra   tutte   le   strutture
relativamente  ai  requisiti  ulteriori  richiesti  per  il  rilascio
dell'accreditamento e per la sua verifica periodica; 
        b) garantire il rispetto delle condizioni di incompatibilita'
previste dalla vigente  normativa  nel  rapporto  di  lavoro  con  il
personale comunque impegnato in tutte le strutture; 
        c) assicurare che tutte le strutture accreditate garantiscano
dotazioni  strumentali  e  tecnologiche  appropriate  per  quantita',
qualita'  e  funzionalita'  in   relazione   alla   tipologia   delle
prestazioni  erogabili  ed  alle   necessita'   assistenziali   degli
utilizzatori dei servizi; 
        d) garantire che tutte le  strutture  accreditate  assicurino
adeguate  condizioni  di  organizzazione   interna,   con   specifico
riferimento  alla  dotazione  quantitativa  e   alla   qualificazione
professionale del personale effettivamente impiegato ...». 
    Previsioni sostanzialmente analoghe recano i citati articoli 48 e
49 della legge sanitaria regionale n. 17/2014. 
    In tema di autorizzazione, infatti, l'art. 48  comma  2  prevede:
«2. L'autorizzazione per la realizzazione di  strutture  sanitarie  e
sociosanitarie necessita di preventiva verifica di compatibilita' del
progetto da  parte  della  Regione  in  rapporto  con  il  fabbisogno
complessivo  regionale  e  alla  localizzazione  territoriale   delle
strutture  presenti   in   ambito   regionale.   Nelle   more   della
riclassificazione delle strutture residenziali per  anziani  e  delle
strutture di cui all'art. 24, comma 2,  lettera  a),  il  parere  sul
l'abbisogno e'  vincolante.  L'autorizzazione  per  la  realizzazione
delle strutture e' rilasciata dal Comune.  Fatte  salve  quelle  gia'
rilasciate, l'autorizzazione per l'esercizio  delle  attivita'  delle
strutture sociosanitarie non gestite direttamente dalle  Aziende  per
l'assistenza sanitaria e' rilasciata dalle medesime. L'autorizzazione
per l'esercizio delle attivita' delle strutture sanitarie  private  e
quella delle strutture pubbliche  sono  rilasciate,  rispettivamente,
dalle Aziende per l'assistenza sanitaria e dalla  Regione,  Direzione
centrale competente in materia, sulla  base  dei  requisiti  e  delle
procedure stabiliti con il regolamento di cui al comma 1. Il rilascio
delle autorizzazioni per  la  realizzazione  delle  strutture  e  per
l'esercizio  delle  attivita'   non   determina,   in   alcun   modo,
l'accreditamento delle  strutture  e  la  sussistenza  degli  accordi
contrattuali di cui agli articoli 49 e 50». 
    L'art. 49, in tema di  accreditamento,  prevede  invece:  «1.  In
attuazione dell'art. 8-quater del decreto legislativo n. 502/1992 con
regolamento regionale sono stabiliti: 
        a) i requisiti ulteriori di qualificazione rispetto a  quelli
stabiliti ai sensi dell'art. 48, nonche' ai sensi dell'atto di intesa
Stato-Regioni del 20 dicembre 2012; 
        b)  la  procedura  per  il   rilascio   e   il   mantenimento
dell'accreditamento istituzionale. 
    2. L'accreditamento delle strutture  sanitarie  e  sociosanitarie
pubbliche e private e' rilasciato dalla Regione,  Direzione  centrale
competente  in  materia,  subordinatamente  alla  verifica   positiva
dell'attivita'  svolta  e  dei  risultati  raggiunti,  nonche'  della
conformita' ai requisiti di cui al comma 1. 
    3. Fermo  restando  quanto  stabilito  al  comma  2.  nelle  more
dell'adozione del regolamento di cui al comma 1, trovano applicazione
i requisiti e le procedure, in quanto compatibili, stabiliti  con  il
regolamento adottato sulla base della previgente normativa. 
    3-bis. La qualita' di soggetto  accreditato  costituisce  vincolo
per gli enti del Servizio  sanitario  regionale  a  corrispondere  la
remunerazione delle prestazioni erogate  esclusivamente  per  effetto
della stipula degli accordi contrattuali di cui all'art. 50. 
    3-ter. La giunta regionale, al  fine  di  assicurare  un'efficace
competizione  tra  le  strutture  private   accreditate,   anche   in
considerazione di esigenze  connesse  all'assistenza  espresse  dagli
enti del Servizio sanitario regionale, determina  i  limiti  entro  i
quali procedere ad accreditare un numero di strutture che puo' essere
superiore al fabbisogno programmato». 
    Come si vede, e' principio generale della materia quello  secondo
cui l'autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture  sanitarie
presuppone una semplice  valutazione  del  fabbisogno  complessivo  e
della  distribuzione  (localizzazione)   territoriale   delle   nuove
strutture. Purche' la nuova struttura ottemperi ai requisiti  di  cui
all'art. 8 della legge  n.  59/1997  (art.  8-ter,  comma  4  decreto
legislativo n. 502/92), l'autorizzazione non puo' essere negata. Solo
una manifesta eccessivita' della  struttura  rispetto  al  fabbisogno
potrebbe giustificare il diniego dell'autorizzazione. 
    L'autorizzazione, quindi,  abilita  la  struttura  a  prestare  i
servizi a chiunque gliene faccia richiesta a proprio  onere  e  sulla
base di un contratto d'opera professionale di diritto privato. 
    Tutt'altra cosa e'  l'accreditamento.  L'accreditamento  comporta
l'inserimento funzionale della struttura  sanitaria  autorizzata  nel
Servizio sanitario regionale. Nei limiti stabiliti  con  gli  accordi
contrattuali previsti dall'art. 8-quinquies del  decreto  legislativo
n. 502/92, il servizio sanitario deve remunerare le prestazioni  rese
dalle  strutture  accreditate  (art.  8-quater,  comma   2,   decreto
legislativo  n.  502/92;  analogamente,  art.  49  comma  3-bis legge
regionale n. 17/2014). 
    Per  questo,  l'accreditamento  viene  rilasciato  soltanto  alle
strutture di cui si accerti la «rispondenza ai requisiti ulteriori di
qualificazione, alla loro funzionalita' rispetto  agli  indirizzi  di
programmazione regionale  e  alla  verifica  positiva  dell'attivita'
svolta e dei risultati raggiunti.» (art. 8-quater, comma  1,  decreto
legislativo n. 502/92; analogo l'art. 49 commi  1 e 2 legge regionale
n. 14/2017). 
    Conseguentemente, non e' consentito collegare l'esito, e anzi  la
stessa  proponibilita',  delle   domande   di   autorizzazione   alla
realizzazione  di  nuove  strutture  sanitarie  (nella  specie,   per
anziani),  all'esito  dei  procedimenti   di   accreditamento   delle
strutture esistenti. Semmai, la logica del sistema e' quella opposta:
non possono essere accreditate strutture che non posseggano (piu')  i
requisiti per essere autorizzate; ma strutture non accreditabili  per
difetto  dei  requisiti  individuati  dalle  disposizioni  statali  e
regionali appena riportate ben possono, comunque, essere  autorizzate
e operare in regime puramente  privato,  al  di  fuori  del  servizio
sanitario regionale, come strutture non accreditate. Che  e'  quanto,
invece, fa la disposizione del comma 67 qui impugnato. 
    Non potrebbe obiettarsi che  l'autorizzazione  e'  soggetta  alla
verifica del fabbisogno, e che questo puo' essere determinato solo se
si conoscono numero e localizzazione delle strutture  accreditate. Il
fabbisogno e' dato, infatti, dalla domanda di determinate prestazioni
sanitarie  in  se'  considerate,  vale  a  dire  prescindendo   dalla
circostanza, che  e'  logicamente  successiva,  se  tali  prestazioni
saranno richieste al  servizio  sanitario  regionale  o,  invece,  in
regime  di  diritto  privato.   L'accreditamento   serve   invece   a
strutturare  la  capacita'  del  servizio  sanitario   regionale   di
soddisfare in regime di assistenza sanitaria pubblica una determinata
domanda di prestazioni sanitarie. La parte di domanda  soddisfacibile
dal servizio sanitario regionale attraverso le strutture accreditate,
non riduce, quindi, il fabbisogno, che costituisce un  «prius»  degli
accreditamenti. 
    In sostanza, se il fabbisogno e' completamente  soddisfatto,  non
interessa  quante  siano  le  strutture  accreditate  e  quelle   non
accreditate che partecipano a tale soddisfacimento. Per il solo fatto
che  il  fabbisogno  e'  integralmente  soddisfatto,   non   potranno
autorizzarsi nuove  strutture.  Se,  invece,  il  fabbisogno  non  e'
integralmente soddisfatto, per cio'  solo  nuove  strutture  potranno
essere autorizzate, e si  stabilira'  in  un  momento  successivo  se
occorra altresi'  potenziare  la  risposta  «pubblica»  del  servizio
sanitario regionale includendovi anche tali strutture (sempre che  lo
richiedano e  ne  possiedano  i  requisiti  qualitativi  «ulteriori")
mediante l'accreditamento. 
    Tutto cio', del resto,  e'  chiaramente  enunciato  dalla  stessa
legge sanitaria  regionale  n.  17/2014  nel  comma  2  ultima  parte
dell'art. 48, ove si precisa che «Il  rilascio  delle  autorizzazioni
per  la  realizzazione  delle  strutture  e  per  l'esercizio   delle
attivita'  non  determina,  in  alcun  modo,  l'accreditamento  delle
strutture e la sussistenza degli accordi  contrattuali  di  cui  agli
articoli 49 e 50". 
    Non e' quindi consentito al  legislatore  regionale  collegare  i
procedimenti e provvedimenti di autorizzazione,  da  un  lato,  e  di
accreditamento   dall'altro,   e   sospendere   in   via   preventiva
l'esperibilita' dei primi in attesa, per di piu' sine die  (il  comma
67 non prevede alcun termine) del completamento dei secondi. 
    Oltre  che  i  principi  generali  di  legislazione  statale  ora
illustrati, il comma 67 qui impugnato viola altresi' l'art. 41 Cost.,
nella parte in cui assicura  la  liberta'  dell'iniziativa  economica
privata. 
    Questa puo'  essere  limitata  solo  al  fine  di  prevenirne  il
contrasto con l'utilita' sociale o con la sicurezza, la liberta',  la
dignita' umana. Vietare l'intrapresa di nuove  iniziative  economiche
private, come quelle consistenti  nell'apertura  di  nuove  strutture
assistenziali  per  anziani,  solo  perche'  si  teme  (come   sembra
presupporre il legislatore regionale) che  queste  possano  andare  a
sovrapporsi alle  analoghe,  preesistenti,  strutture  accreditate  o
accreditatili dal servizio sanitario regionale, certamente non mira a
prevenire  pregiudizi  all'utilita'  sociale  o  agli  altri   valori
enunciati nell'art. 41 Cost. 
    Si tratta, quindi, di una restrizione al rischio di  impresa  non
giustificata costituzionalmente. 
    Va   all'uopo    considerato    che,    secondo    l'orientamento
giurisprudenziale  oggi  prevalente,  il   sistema   di   norme   che
regolamentano l'accesso al mercato di privati che  intendono  erogare
prestazioni sanitarie senza rimborsi o  sovvenzioni  a  carico  della
spesa pubblica non deve tradursi in una compressione  della  liberta'
di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 della Costituzione
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. III n. 550 del 29 gennaio 2013).  Piu'
nel dettaglio, la giurisprudenza amministrativa  (cfr.  Consiglio  di
Stato, Sez. III, n. 4574 del 16 settembre  2013)  ha  affermato  che,
alla luce dell'art. 32 della Costituzione, che eleva la tutela  della
salute a diritto fondamentale dell'individuo, e  dell'art.  41  della
Costituzione, teso - come ricordato -  a  garantire  la  liberta'  di
iniziativa,  «non  puo'  essere  ritenuta  legittima   una   assoluta
preclusione delle prerogative dei soggetti che intendono offrire,  in
regime privatistico (vale a  dire  senza  rimborsi  o  sovvenzioni  a
carico della spesa pubblica, e con corrispettivi a carico  unicamente
degli utenti), mezzi e strumenti di diagnosi, di cura e di assistenza
sul territorio.». 
    Inoltre, un regime di sospensione privo di limiti temporali certi
finisce per impattare anche sulla liberta' di  scelta  dell'utenza  e
sulla concorrenza tra erogatori che, poiche' privi della  prospettiva
di conquistare ulteriori quote di mercato, non  saranno  stimolati  a
migliorare  la  qualita'  delle  prestazioni  (in  tal  senso,  Corte
costituzionale, n. 200/2005). 
    Il Consiglio di Stato ha, altresi', chiarito che «le  valutazioni
inerenti all'indispensabile contenimento della spesa pubblica ed alla
sua  razionalizzazione  possono  avere  la  loro  sede  propria   nei
procedimenti di accreditamento, di fissazione dei "tetti di spesa"  e
di  stipulazione  dei  contratti   con   i   soggetti   accreditati";
procedimenti questi che sono distinti e susseguenti (sia  logicamente
che cronologicamente) rispetto a quello relativo  al  rilascio  della
pura e semplice autorizzazione all'esercizio  dell'attivita'  o  alla
realizzazione "della struttura" (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 16
settembre 2013, n. 4574). 
    Nella stessa direzione, l'Autorita' garante della  concorrenza  e
del mercato, con nota del 18 luglio 2011, ha posto  in  rilievo  come
una politica di contenimento dell'offerta sanitaria possa tradursi in
una posizione di privilegio degli operatori del settore gia' presenti
nel mercato, che possono incrementare la loro offerta a discapito dei
nuovi entranti, assorbendo la potenzialita' della domanda. 
    Sotto i profili ora illustrati,  il  comma  67  contrasta  quindi
anche con l'art. 41 Cost., nella parte in cui  garantisce  la  libera
concorrenza; e con l'art. 32 Cost., nella parte in cui garantisce  la
salute come diritto individuale consistente, innanzitutto, nella piu'
ampia liberta'  di  scelta  dei  cittadini  riguardo  alle  strutture
sanitarie a cui affidarsi.