TRIBUNALE REGIONALE DELLE ACQUE PUBBLICHE presso la Corte d'appello di Venezia Il Tribunale regionale delle acque pubbliche, composto dai seguenti magistrati: dott. Domenico Taglialatela - Presidente; dott. Dario Morsiani - giudice relatore est.; dott. ing. Massimiliano Vialli - giudice tecnico; facendo seguito all'odierna sentenza non definitiva, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento instaurato da: A2A S.p.a. (C.F. 11957540153), con l'avv. Fabio Todarello e l'avv. Federico Novelli, con domicilio eletto presso l'avv. Vittorio Fedato in S. Croce 269 a Venezia - parte ricorrente; Contro Comune di Montereale Valcellina (C.F. 81000690933), con l'avv. Gianna Di Danieli e domicilio eletto presso la cancelleria di questo Tribunale regionale - parte intimata; Fatto A2A S.p.a. (societa' che ha incorporato Edipower S.p.a.) e' titolare di una concessione di grande derivazione d'acqua ad uso idroelettrico, esercitata nel Comune di Montereale Valcellina (PN). Per gli anni 2006 e del 2007 la concessionaria, in forza di quanto previsto dall'art. 1, comma 486, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha versato al Comune di Montereale Valcellina, a titolo di «canone aggiuntivo unico», la somma complessiva di € 29.368,80. Con missiva datata 22 gennaio 2016, pervenuta in data 25 gennaio 2016, Edipower S.p.a. ha chiesto al Comune di Montereale Valcellina la restituzione del suddetto importo a seguito della sentenza n. 1 del 18 gennaio 2008 della Corte costituzionale, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale del citato art. 1 comma 486. Il comune ha negato la restituzione opponendo alla pretesa di Edipower quanto disposto dall'art. 15 comma 6-quinquies del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, norma che autorizza i comuni che hanno incassato le somme versate dai concessionari delle grandi derivazioni idroelettriche, antecedentemente alla citata sentenza della Corte costituzionale, a trattenere in via definitiva dette somme. Svolgimento del processo. Con ricorso notificato il 30 agosto 2018 A2A S.p.a. ha citato avanti questo Tribunale regionale il Comune di Montereale Valcellina per sentirlo condannare alla restituzione della somma di € 29.368,80, oltre agli interessi legali maturati dalla messa in mora, previa remissione degli atti alla Corte costituzionale rispetto all'art. 15 comma 6-quinquies del decreto-legge n. 78/2010. Il Comune di Montereale Valcellina si e' costituito in giudizio eccependo l'intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione dei canoni e contestando l'ammissibilita' e fondatezza della questione di legittimita' costituzionale. In data odierna il Tribunale regionale ha pronunciato sentenza non definitiva con la quale ha respinto l'eccezione di prescrizione proposta da parte intimata e rimesso la causa sul ruolo. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nel presente giudizio. Il Comune di Montereale Valcellina ha eccepito l'avvenuto decorso del termine quinquennale di prescrizione previsto dall'art. 2948 n. 4 del codice civile per le somme che si pagano annualmente. L'eccezione e' stata rigettata con sentenza non definitiva. Superata detta eccezione, risulta evidente la decisivita', ai fini della definizione del giudizio, della norma di cui all'art. 15 comma 6-quinquies del decreto-legge n. 78/2010, invocata dall'intimato a giustificazione del rifiuto di restituire le somme incassate. L'applicazione di tale norma costituisce, infatti, l'unico e decisivo motivo di opposizione alla domanda della ricorrente. Disposizione di legge viziata da illegittimita' costituzionale. Con il comma 485 dell'art. 1 della legge n. 266/2005 e' stata disposta la proroga di dieci anni - in presenza di determinate condizioni - delle date di scadenza delle concessioni di derivazione idroelettrica in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. Con il successivo comma 486 si e' previsto l'obbligo in capo ai concessionari di versare entro il 28 febbraio per quattro anni, a decorrere dal 2006, un canone aggiuntivo unico, riferito all'intera durata della concessione, pari ad € 3.600.00 per MW di potenza nominale installata, stabilendo che gli introiti fossero ripartiti, in quote diverse, tra lo Stato e i comuni interessati. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/2008, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 485, 486, 487 e 488 della legge n. 266 del 2005. La norma di cui al comma 485 (e di conseguenza quelle previste dai tre commi successivi) e' stata considerata lesiva delle competenze regionali, e quindi in contrasto con l'art. 117 comma 3 della Costituzione, in quanto norma statale di dettaglio, emanata in una materia di legislazione concorrente, cioe' quella della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia». In seguito e' intervenuto il decreto-legge n. 78/2010, convertito con modifiche dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, il quale, all'art. 15, ha disposto una nuova proroga delle concessioni per cinque anni (comma 6-ter, lettera b) e ha statuito che le somme incassate dai comuni e dallo Stato, versate dai concessionari antecedentemente alla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2008, fossero definitivamente trattenute dagli stessi comuni e dallo Stato (comma 6-quinquies). Nuovamente si e' pronunciata la Corte costituzionale. Investita dalle Regioni Liguria e Emilia Romagna della questione di legittimita' costituzionale in ordine ai commi 6-ter, lettere d e d, e 6-quater dell'art. 15 citato, la Corte ha dichiarato, con la sentenza n. 205 del 13 luglio 2011, tra l'altro, l'illegittimita' costituzionale del comma 6-ter, lettera b, dell'art. 15, recante la proroga delle concessioni. La successiva legge 28 dicembre 2015, n. 208, al comma 671 dell'art. 1, preso atto delle sentenze della Corte costituzionale n. 1/2008 e n. 205/2011, ha soppresso la disposizione (compresa nel comma 6-quinquies del citato art. 15, rispetto al quale la Corte costituzionale non era stata investita di una questione di costituzionalita') che autorizzava lo Stato a trattenere i canoni aggiuntivi unici ricevuti prima della sentenza n. 1/2008, lasciando in vigore, tuttavia, la disposizione che autorizza i comuni a trattenere le somme ad essi destinate. La Corte costituzionale - cui il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Milano, con ordinanza 14 marzo 2016, aveva rimesso la questione di legittimita' costituzionale in ordine alla norma di cui all'art. 15, comma 6-quinquies del decreto-legge n. 78/2010 - ha dichiarato, con ordinanza n. 88 del 26 aprile 2017, la manifesta inammissibilita' della questione in quanto il giudice rimettente, nella ricostruzione del quadro normativo di riferimento, non ha considerato la modifica operata con l'art. 1 comma 671 della legge n. 208/2015. Il procedimento svoltosi avanti il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Milano, nell'ambito del quale e' stata sollevata la questione di legittimita' costituzionale, era stato intentato da Edipower S.p.a. avverso i Ministeri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze e avverso le Agenzie del demanio e delle entrate. Nel presente giudizio, introdotto dalla stessa societa' avverso uno dei comuni che ha trattenuto le somme incassate avvalendosi della norma citata, parte ricorrente sollecita il Tribunale a sollevare questione di legittimita' costituzionale, con riguardo all'art. 15 comma 6-quinquies del decreto-legge n. 78/2010, ritenendo che la norma, anche nel testo risultante dopo le modifiche intervenute nel 2015 e con riguardo alla frazione dei contributi versati che e' trattenuta dai comuni, confligga con diverse norme costituzionali. Disposizioni della Costituzione che si assumono violate. Profili di illegittimita' della norma. Non manifesta infondatezza. Ritiene questo Tribunale regionale delle acque pubbliche che la norma in discorso sia in contrasto con le norme della Costituzione di seguito indicate. 1) Violazione dell'art. 136 della Costituzione. In forza di quanto previsto dall'art. 136 della Costituzione e dall'art. 30 comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87, le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, pertanto, hanno efficacia retroattiva, avendo l'effetto di annullare le norme dichiarate illegittime. Da cio' deriva il diritto dei soggetti che hanno corrisposto importi dovuti in forza di norme successivamente riconosciute illegittime, come nel caso dei canoni aggiuntivi di cui si tratta nel presente giudizio, a ripetere quanto pagato. L'unico limite a tale effetto retroattivo e' costituito delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, in virtu' di un giudicato formatosi o del decorso di termini prescrizionali o decadenziali previsti dalla legge. E' stato da tempo chiarito che il divieto disposto dall'art. 136 della Costituzione opera erga omnes, anche nei confronti del legislatore. Tale norma costituzionale viene quindi violata ove una nuova disposizione di legge disponga che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia. Cio', non solo ove una simile disposizione e' espressamente contenuta in una norma ordinaria, ma altresi' quando una legge, «per il modo in cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, persegue e raggiunge, anche se indirettamente, lo stesso risultato» (Corte costituzionale n. 88 del 1966). L'art. 136 della Costituzione impone, invero, al legislatore di «accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima» (Corte costituzionale n. 83 del 1963 e n. 223 del 1983) e non consente che, attraverso una norma emanata dopo la pronuncia di incostituzionalita', vengano «salvati» gli effetti di una disposizione che, in ragione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale, non e' in grado di produrne (Corte costituzionale n. 169 del 2015), cosi' facendo in modo che i fatti avvenuti prima della declaratoria di incostituzionalita' siano valutati come se tale declaratoria non fosse intervenuta. La disposizione di cui all'art. 15 comma 6-quinquies del decreto-legge n. 78/2010, nel prevedere che i comuni non restituiscano ai concessionari i canoni aggiuntivi incassati in virtu' di una norma dichiarata incostituzionale, pare costituire una violazione dell'art. 136 della Costituzione, interpretato nel senso sopra chiarito. Gli effetti che la norma incostituzionale ha prodotto, anche se per un arco di tempo inferiore al previsto, vengono infatti fatti salvi, con il risultato di privare di efficacia, con riguardo alle annualita' versate prima del 2008, la sentenza n. 1 del 2008 della Corte costituzionale. 2) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. Sotto un diverso profilo la norma censurata appare, nel testo che risulta a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 205/2011, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per violazione del criterio di ragionevolezza. I commi 485-486 dell'art. 2 della legge n. 266/2005, ponevano a carico dei concessionari l'obbligo di versare un canone aggiuntivo quale contropartita per la proroga della scadenza delle concessioni, giustificata in relazione alla necessita' di completare il processo di «liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica». L'art. 15 del decreto-legge n. 78/2010 ripropone il medesimo schema: dispone una nuova proroga delle concessioni (questa volta giustificata dall'esigenza di consentire il rispetto del termine per l'indizione delle gare e garantire un equo indennizzo agli operatori economici per gli investimenti effettuati ai sensi dell'art. 1, comma 485, della legge n. 266/2005) e al contempo prevede l'irripetibilita' dei canoni versati per le annualita' 2006 e 2007. La proroga disposta dal decreto-legge n. 78/2010 e' stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 205/2011 della Corte costituzionale. Viene meno, quindi, il rapporto di «corrispettivita'» tra il prolungamento della concessione e l'imposizione di un onere economico (pur sotto la forma della confisca del credito conseguente alla pronuncia del 2008 della Corte costituzionale). Ne deriva l'irragionevolezza della disposizione. Ne' puo' affermarsi, come sostiene parte intimata, che la norma si giustificherebbe comunque per il fatto che i concessionari hanno in ogni caso goduto della proroga fino all'intervento della Corte costituzionale. Cio', infatti, potrebbe valere, al piu', per i concessionari che hanno effettivamente beneficiato della proroga concessa con la legge n. 266/2005. Tuttavia l'imposizione del canone aggiuntivo ha avuto effetto, a decorrere dal 2006, con riguardo a tutti i titolari di concessioni in essere alla data di entrata in vigore della legge, compresi quelli, come la ricorrente, la cui concessione non sarebbe comunque ancora giunta alla sua prevista scadenza temporale prima del 2008. Di fatto, quindi, A2A S.p.a. (e con essa tutti i concessionari che si trovano nelle medesime condizioni) non ha beneficiato in alcun modo della temporanea applicazione della disposizione che prevedeva il prolungamento delle concessioni, ne', dato il duplice intervento della Corte costituzionale, ne beneficera' quando le concessioni scadranno. La norma impugnata, pertanto, appare priva di ragionevolezza e, in tal senso, contraria all'art. 3 della Costituzione. Per le ragioni suesposte la questione di legittimita' costituzionale posta da parte ricorrente non appare manifestamente infondata e merita di essere rimessa alla valutazione della Corte costituzionale. A cio' consegue, come previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la sospensione del giudizio in corso.