Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici  in
Roma, via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato, 
    Nei confronti della Regione Marche in persona del suo  Presidente
per  la  dichiarazione  della  illegittimita'  costituzionale   degli
articoli 1 e 2 «nonche', in via consequenziale,  ai  sensi  dell'art.
27, legge n. 87/1953, degli articoli 3, 4 e 5» della legge  regionale
18 settembre 2019, n. 29, concernente: «Criteri  Localizzativi  degli
impianti di combustione dei  rifiuti  e  del  CSS»,  (pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Marche  n.  76  del  26  settembre
2019). 
    La legge della Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29,  recante:
«Criteri Localizzativi degli impianti di combustione  dei  rifiuti  e
del CSS», all'art. 1, rubricato (Finalita'), prevede che: «1.  Questa
legge definisce i criteri per l'individuazione dei luoghi  idonei  ad
accogliere  gli  impianti  di  combustione  del  combustibile  solido
secondario (CSS) e quelli rientranti nelle tipologie di cui ai  punti
1  e  10  dell'Allegato  2,  Suballegato  1   (Norme   tecniche   per
l'utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibili  o  come
altro  mezzo  per  produrre  energia),  del  decreto  del   Ministero
dell'ambiente  5  febbraio  1998  (Individuazione  dei  rifiuti   non
pericolosi sottoposti alle  procedure  semplificate  di  recupero  ai
sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997,
n. 22)». 
    Il  successivo   art.   2,   sotto   la   rubrica   (Criteri   di
Localizzazione), prevede poi che: «1. Gli impianti di cui all'art.  1
devono essere ubicati ad una distanza  minima  di  5  chilometri  dai
centri abitati, come definiti dal decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285 (Nuovo codice della strada) e da funzioni sensibili. 
    2.  La  distanza  dai  centri  abitati  di  cui  al  comma  1  va
considerata   dal   perimetro   esterno   delle   zone   residenziali
consolidate, di completamento e di espansione come individuate  dagli
strumenti urbanistici.» 
    Il combinato disposto degli articoli 1 e 2 della  predetta  legge
regionale e' costituzionalmente illegittimo per i 
 
                           seguenti motivi 
 
1) Violazione dell'art. 136 Cost., in riferimento  alla  sentenza  n.
142/2019 della Corte costituzionale. 
    In base al combinato disposto degli articoli 1 e  2  della  legge
regionale,  gli  impianti  di  combustione  del  combustibile  solido
secondario (CSS) «definito dall'art. 183, comma  1,  lett.  cc),  del
decreto legislativo n. 152/2006 come "il combustibile solido prodotto
da rifiuti che rispetta le caratteristiche di  classificazione  e  di
specificazione individuate delle norme tecniche UNI  CEN/TS  15359  e
successive modifiche  ed  integrazioni;  fatta  salva  l'applicazione
dell'art. 184-ter, il combustibile solido secondario, e' classificato
come rifiuto speciale"» e quelli rientranti nelle tipologie di cui ai
punti 1 e 10 dell'Allegato 2, Suballegato 1 del decreto del Ministero
dell'ambiente 5 febbraio 1998 «e cioe' gli  impianti  di  combustione
del CDR (combustibile derivato da rifiuto) e dei fanghi  essicati  di
depurazione di acque reflue» debbono "essere ubicati ad una  distanza
minima di 5 chilometri dai centri abitati, come definiti dal  decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada)  e  da
funzioni sensibili". «enfasi aggiunta». 
    Il decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), all'art. 3, comma 1, n. 8), definisce  «il  centro  abitato»
come «l'insieme di edifici delimitato lungo le vie di  accesso  dagli
appositi segnali di inizio e fine. Per insieme di edifici si  intende
un raggruppamento continuo, ancorche' intervallato da strade, piazze,
giardini o simili, costituito da non meno di venticinque fabbricati e
da aree di uso  pubblico  con  accessi  veicolari  o  pedonali  sulla
strada». 
    La nozione di «funzione sensibile»  che  si  rinviene  nel  primo
comma dell'art. 2 qui censurato deve essere  interpretata  alla  luce
del Piano regionale di Gestione dei Rifiuti adottato con delibera  di
G.R. n. 34/2015, in base al quale  per  «funzioni  sensibili»  devono
intendersi «strutture scolastiche, asili, ospedali, case di riposo  e
case circondariali». 
    Il secondo comma dell'art. 2 in esame precisa,  infine,  che  «la
distanza dai centri abitati di cui al  comma  1  va  considerata  dal
perimetro   esterno   delle   zone   residenziali   consolidate,   di
completamento  e  di  espansione  come  individuate  dagli  strumenti
urbanistici». 
    In base alle disposizioni regionali censurate, la distanza minima
dei cinque chilometri deve essere rispettata  in  relazione  ad  ogni
centro abitato (tale essendo qualsiasi raggruppamento di edifici  che
presenti le caratteristiche indicate dall'art. 3, comma 1, n. 8)  del
Nuovo  codice  della  strada)  e  in  relazione  ad  ogni   «funzione
sensibile» (ancorche', in ipotesi, non  inserita  in  un  agglomerato
definibile come centro abitato). 
    Orbene, con la sentenza n. 142 del 2019, la Corte  costituzionale
ha  dichiarato,  su  impugnativa  in  via  principale  del   Governo,
l'illegittimita' costituzionale della legge della regione  Marche  n.
22  del  2018,  che  bandiva  dall'intero  territorio  regionale   il
trattamento termico dei rifiuti. 
    Il   su   illustrato   criterio   localizzativo   successivamente
introdotto dagli articoli 1 e 2 della legge della Regione  Marche  n.
29/19  qui  censurata  non  appare  conforme  al  predetto  giudicato
costituzionale  perche'  -  riferendosi  in  modo  generalizzato   ed
indiscriminato  ad  ogni  «centro  abitato»  e  ad   ogni   «funzione
sensibile»,  senza  prevedere  lo  svolgimento   di   alcuna   previa
istruttoria  nel  caso  concreto   -   si   presenta   eccessivamente
restrittivo e rigido e, dunque, tale da rendere di fatto  impossibile
o, comunque, estremamente difficoltosa la collocazione di impianti di
combustione dei rifiuti e del CSS nel  territorio  regionale,  tenuto
conto del fatto che, in concreto, non  vengono  specificate  le  aree
interdette, ne' viene individuata, in positivo, alcuna localizzazione
idonea. 
    Sotto tale profilo, il combinato disposto degli articoli  1  e  2
della L.R. 29/2019 si pone in contrasto con l'art. 136 Cost. e con il
principio del rispetto del giudicato costituzionale in esso sancito. 
    Come, infatti, affermato, tra le altre, dalla sentenza n. 245 del
2012 «il giudicato costituzionale  e'  violato  non  solo  quando  il
legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione  di
quella gia' ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche  laddove  la
nuova  disciplina  miri  a  «perseguire  e  raggiungere,  "anche   se
indirettamente", esiti corrispondenti» (sentenze n. 223 del 1983,  n.
88 del 1966 e n.  73  del  1963)».  Il  che,  per  le  ragioni  sopra
illustrate, e' precisamente quanto accaduto nel presente caso. 
2)  Violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s)   della
Costituzione per contrasto con l'art. 195, comma 1, lettera p) e  con
l'art. 196, comma 1, lettere n) e o) del decreto legislativo  n.  152
del 2006, quali norme interposte. 
    Le disposizioni regionali censurate incidono sulla  gestione  dei
rifiuti  che,  secondo  il  costante  orientamento  della  Corte,  e'
riconducibile alla materia «tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema»
riservata alla competenza esclusiva dello Stato  ai  sensi  dell'art.
117, comma 2, lettera s) Cost. (cfr. tra le tante,  sentenze  n.  285
del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331  e  n.  278
del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009). 
    Esercitando tale competenza, lo Stato ha regolato, con  gli  art.
articoli 195 e 196 del  decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  la
localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti. 
    In particolare  spetta  allo  Stato  «l'indicazione  dei  criteri
generali relativi alle caratteristiche delle  aree  non  idonee  alla
localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti» (art.  195,
comma 1, lettera p);  nel  rispetto  di  tali  criteri  generali,  la
Regione definisce i «criteri per  l'individuazione,  da  parte  delle
province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di
smaltimento e di recupero dei rifiuti» (art. 196,  comma  1,  lettera
n); inoltre, la Regione determina i «criteri per l'individuazione dei
luoghi o impianti idonei allo smaltimento [...]» (art. 196, comma  1,
lettera o), dovendo rispettare,  in  entrambi  i  casi,  «i  principi
previsti dalla normativa vigente e dalla parte  quarta  del  presente
decreto, ivi compresi quelli di cui all'art. 195 [...]»,  sulla  base
di quanto indicato nella parte iniziale dello stesso art. 196,  comma
1. 
    In tale quadro normativo, la  Corte  ha  affermato  il  principio
secondo  cui  la  Regione  «non  puo'  introdurre  «limitazioni  alla
localizzazione», ma puo' somministrare «criteri  di  localizzazione»,
quand'anche formulati «in negativo», purche' cio' avvenga mediante la
«delimitazione di aree  ben  identificate»,  ove  emergano  interessi
particolarmente  pregnanti  affidati  alle   cure   del   legislatore
regionale, e purche'  cio'  non  determini  l'impossibilita'  di  una
localizzazione alternativa (sentenze n. 278 del 2010; n. 285 del 2013
e n. 142 del 2019). 
    Nella fattispecie, le disposizioni regionali  censurate  -  senza
alcuna   concreta   istruttoria    tecnica    preordinata    all'equo
contemperamento degli interessi coinvolti (e  cioe'  l'interesse  del
soggetto privato operatore economico, e gli  ulteriori  interessi  di
cui sono titolari singoli cittadini  e  comunita'),  e  senza  alcuna
valutazione in concreto dei  luoghi  in  sede  procedimentale-  hanno
introdotto un criterio per la collocazione degli impianti  de  quibus
(formulato in termini di necessario rispetto della  distanza  minima,
inderogabile, di cinque chilometri da ogni centro abitato e  da  ogni
«funzione sensibile»): 
      non previsto dalla disciplina statale; 
      che  non  consente  di  identificare  con  certezza   le   aree
effettivamente interdette; 
      e, che, comunque,  non  individua,  in  positivo,  aree  idonee
all'interno del territorio regionale. 
    La giurisprudenza della Corte  costituzionale  ha,  peraltro,  in
diverse  occasioni  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale   di
disposizioni che prevedevano un divieto arbitrario,  generalizzato  e
indiscriminato di localizzazione di  impianti  seppur  riferiti  alla
produzione di energia da  fonti  rinnovabili  (sentenza  n.  308  del
2011). 
    Ferma la censura che precede, gli articoli  1  e  2  della  legge
Regione Marche n. 29/2019 si pongono, quindi, in  contrasto  con  gli
articoli 195, comma 1, lettera p), e 196, comma 1, lettere n)  e  o),
del decreto legislativo n. 152 del 2006, con  conseguente  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    L'auspicata declaratoria di illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 1 e 2 della legge Regione Marche n.  29/2019  dovra'  essere
estesa in  via  consequenziale,  ai  sensi  dell'art.  27,  legge  n.
87/1953, agli articoli 3,  4  e  5  della  medesima  legge  regionale
perche' di per se' privi di autonomo significato normativo.