Ricorso ex art. 127 della  Costituzione  per  il  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   ex    lege
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  presso  i  cui   uffici   e'
domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 contro  la  Regione
Veneto, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore,
con sede in Palazzo  Balbi  Dorsoduro  3901,  30123  Venezia  per  la
declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli  1  e  2
della legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50  recante  «Disposizioni
per la regolarizzazione delle opere  edilizie  eseguite  in  parziale
difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977,
n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"», pubblicata nel
B.U. Veneto 27 dicembre 2019, n. 150, come da delibera del  Consiglio
dei ministri in data 21 febbraio 2020. 
    Nel B.U.R. Veneto n. 150 del 27 dicembre 2019 e' stata pubblicata
la legge regionale 23 dicembre 2019, n. 50 recante «Disposizioni  per
la  regolarizzazione  delle  opere  edilizie  eseguite  in   parziale
difformita' prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977,
n. 10 "Norme in materia di edificabilita' dei suoli"». 
    All'art. 1 («Finalita'») la legge regionale dispone che: 
        1.  Nelle  more  dell'entrata  in  vigore   della   normativa
regionale di riordino  della  disciplina  edilizia,  la  Regione  del
Veneto,  in  attuazione  dei  principi  di   tutela   del   legittimo
affidamento dei soggetti interessati e di semplificazione dell'azione
amministrativa, promuove, in coerenza con quanto previsto dalla legge
regionale 6 giugno 2017, n. 14 «Disposizioni per il contenimento  del
consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n.
11 "Norme per il Governo del territorio e in materia di  paesaggio"»,
il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio  esistente,
consentendo  la  regolarizzazione   amministrativa   delle   parziali
difformita' edilizie risalenti nel tempo, secondo le modalita'  e  le
procedure di cui alla presente legge. 
    Il successivo art.  2  («Ambito  e  modalita'  di  applicazione»)
dispone: 
        1. Le disposizioni della presente  legge  si  applicano  alle
opere  edilizie,  provviste  di  titolo  edilizio  abilitativo  o  di
certificato di  abitabilita'  od  agibilita',  eseguite  in  parziale
difformita' dai titoli edilizi rilasciati o  dai  progetti  approvati
prima dell'entrata in vigore della  legge  28  gennaio  1977,  n.  10
«Norme per la edificabilita' dei suoli» che: 
          a) comportino un  aumento  fino  a  un  quinto  del  volume
dell'edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi; 
          b) comportino un aumento fino a un quinto della  superficie
dell'edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati; 
          c) comportino un diverso utilizzo dei vani, ferma  restando
la destinazione d'uso consentita per l'edificio; 
          d)   comportino    modifiche    non    sostanziali    della
localizzazione dell'edificio  sull'area  di  pertinenza,  rispetto  a
quella indicata nel progetto approvato,  purche'  non  in  violazione
delle normative in tema di distanze tra  fabbricati,  dai  confini  e
dalle strade; 
          e) non rilevino in termini di  superfici  o  volume  e  non
siano  modificative  della  struttura  e   dell'aspetto   complessivo
dell'edificio. 
    2. Il calcolo dell'aumento in termini di volume o  superficie  di
cui al comma 1  determinato  sulla  base  dei  parametri  edificatori
stabiliti dallo strumento urbanistico. 
    3. Fatti salvi gli effetti civili e penali dell'illecito e  fermo
restando il pagamento del contributo di costruzione, ove  dovuto,  le
difformita' edilizie di cui al comma 1 possono  essere  regolarizzate
mediante presentazione di  una  segnalazione  certificata  di  inizio
attivita'  (SCIA)  e  previo  pagamento   delle   seguenti   sanzioni
pecuniarie: 
        a) 70 euro al metro cubo per aumento di volumi  di  cui  alla
lettera a); 
        b) 210 euro al metro quadrato per aumento delle superfici  di
cui alla lettera b); 
        c) 500 euro a vano nel caso di cui alla lettera c); 
        d) 1.000 euro per le modifiche di cui alla lettera d); 
        e) 750 euro per le opere di cui alla lettera e). 
    4. Resta ferma l'applicazione della disciplina  sanzionatoria  di
settore, tra cui la normativa antisismica, idraulica,  idrogeologica,
di'  sicurezza,  igienico-sanitaria  e  quella  di  cui  al   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio  2002,  n.  137
del 2004». 
    Cio'  premesso,  il  Presidente  del  Consiglio  ritiene  che  le
disposizioni sopra riportate si pongano in contrasto con gli articoli
1 e 2 del testo unico dell'edilizia,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001 e con le altre connesse norme del  decreto  di
seguito indicate, e quindi con l'art. 117, terzo comma  Costituzione,
con riguardo alla materia del «governo del territorio». 
    Propone pertanto  questione  di  legittimita'  costituzionale  ai
sensi dell'art. 127, comma 1 Costituzione per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    La  nuova  normativa  regionale  ammette  la  conservazione   del
patrimonio privato esistente, anche se  abusivo,  deroga  i  principi
contenuti negli articoli 30 e seguenti  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (recante il «Testo unico delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia  edilizia»),
introducendo, sostanzialmente una nuova forma di condono edilizio. 
    Cio' e' confermato dalla stessa relazione al consiglio  regionale
del relativo progetto di legge, dove si legge: 
        «Il progetto di legge, quindi, intende fornire ai comuni  uno
strumento di governo del territorio utile per  definire,  tramite  lo
strumento della segnalazione certificata di  inizio  attivita'  e  il
pagamento di sanzioni pecuniarie, numerose situazioni edilizie ancora
irrisolte, caratterizzate da un  abusivismo  minore  e  risalente  al
periodo  anteriore  all'entrata  in  vigore  della  citata  legge  n.
10/1977, salvaguardando l'affidamento maturato dai  soggetti  privati
alla   conservazione,   alla   libera   circolazione   nonche'   alla
trasformazione  edilizia  consentita  dallo   strumento   urbanistico
comunale dei suddetti edifici». 
    In particolare, in base agli articoli 31 («Interventi eseguiti in
assenza di  permesso  di  costruire,  in  totale  difformita'  o  con
variazioni essenziali») e 33 del citato decreto del Presidente  della
Repubblica, e' sempre prevista la demolizione o il  ripristino  dello
stato dei  luoghi  in  caso  di  interventi  eseguiti  in  assenza  o
difformita' del permesso di costruire. 
    La sostituzione di tali sanzioni ripristinatorie con una sanzione
pecuniaria, e' prevista nei soli casi di cui all'art. 33, comma 2 (1) 
       La  sanatoria  e'  invece  consentita  solo  «se  l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente  sia
al momento della realizzazione dello stesso,  sia  al  momento  della
presentazione della domanda» (art. 36, comma 1). 
    Orbene, le norme impugnate si pongono in contrasto con le  citate
disposizioni in quanto: 
        a) introducono nuove ipotesi in cui e'  possibile  sostituire
la demolizione con una sanzione pecuniaria; 
        b)  introducono  nuove  ipotesi  di  sanatoria  degli   abusi
edilizi, diverse da quelle previste  dall'art.  36  (2)  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001. 
    Il comma 1 del citato art. 2 della legge  regionale,  che  indica
l'entita' delle difformita' suscettibili di  regolarizzazione  (nella
misura di un quinto della cubatura  o  della  superficie),  contrasta
anche con l'art. 34 («Interventi eseguiti in parziale difformita' dal
permesso di costruire»), comma 2-ter del decreto del Presidente della
Repubblica   n.   380/2001,   il   quale   prevede   che   «Ai   fini
dell'applicazione  del  presente  articolo,  non   si   ha   parziale
difformita' del titolo  abilitativo  in  presenza  di  violazioni  di
altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta  che  non  eccedano
per  singola  unita'  immobiliare  il  2  per  cento   delle   misure
progettuali». 
    Inoltre, lo stesso art. 2  contrasta  con  i  principi  contenuti
negli articoli 36, comma  1  («Accertamento  di  conformita'»)  e  37
(«Interventi eseguiti in assenza o in difformita' dalla  segnalazione
certificata di inizio  attivita'  e  accertamento  di  conformita'»),
comma 4 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001,
ossia con il principio della «doppia conformita'». 
    Come ha precisato di recente la Corte al riguardo: 
        «gli articoli 36  e  37  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica   n.   380   del   2001    riguardano,    rispettivamente,
l'accertamento di conformita' e gli interventi eseguiti in assenza  o
in difformita' dalla segnalazione certificata di inizio  attivita'  e
accertamento di conformita'. Nelle due  ipotesi  sono  consentiti  il
permesso in sanatoria e la sanatoria dell'intervento a condizione che
sussista la cosiddetta doppia  conformita',  cioe'  «se  l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente  sia
al momento della realizzazione dello stesso,  sia  al  momento  della
presentazione della domanda». I citati articoli 36 e 37 recano quindi
norme di principio nella materia del governo del territorio  (tra  le
piu' recenti, sentenze n. 2 del 2019, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107
del 2017, n. 101 del 2013)» (sentenza n. 290/2019). 
    Le  norme  impugnate  vanno  quindi  ad  incidere  sulla  materia
«governo del territorio» ex art. 117, comma 3 Costituzione,  nel  cui
ambito spetta alle regioni la sola  adozione  di  una  disciplina  di
dettaglio nel rispetto  dei  principi  fondamentali  stabiliti  dalle
leggi dello Stato. 
    In particolare, nella sentenza n. 233/2015 (emessa in fattispecie
analoga), la Corte ha precisato che  «In  tema  di  condono  edilizio
"straordinario", la giurisprudenza di questa Corte  ha  chiarito  che
spettano alla legislazione  statale,  oltre  ai  profili  penalistici
(integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del
2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di  principio  sul
versante  della  sanatoria  amministrativa,  in  particolare   quelle
relative all'an,  al  quando  e  al  quantum:  la  decisione  sul  se
disporre, nell'intero territorio nazionale, un condono straordinario,
e  quindi  la  previsione   di   un   titolo   abilitativo   edilizio
straordinario; quella  relativa  all'ambito  temporale  di  efficacia
della sanatoria; infine  l'individuazione  delle  volumetrie  massime
condonabili (nello stesso senso, sentenze n. 225 del 2012 e n. 70 del
2005). 
    Nel  rispetto  di  tali  scelte  di  principio,  competono   alla
legislazione regionale  l'articolazione  e  la  specificazione  delle
disposizioni dettate dal legislatore statale  (sentenze  n.  225  del
2012, n. 49 del 2006 e n. 196 del 2004). 
    Ne consegue che le norme impugnate si pongono in contrasto con  i
consolidati principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale  in
materia. 
    Esula, infatti,  dalla  potesta'  legislativa  concorrente  delle
regioni il potere di "ampliare i limiti applicativi della  sanatoria"
(sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di "allargare  l'area  del
condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato"
(sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula  dalla  potesta'
legislativa  regionale  il  potere  di  disporre  autonomamente   una
sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale». 
    Cio' premesso, le  norme  regionali  in  esame  risultano  ancora
censurabili nella  parte  in  cui  determinano,  nella  sostanza,  un
ampliamento delle ipotesi  condonabili  previste  dalla  legislazione
statale,  ammettendo   la   regolarizzazione   amministrativa   delle
(parziali) difformita' edilizie, mediante  la  presentazione  di  una
SCIA (Segnalazione certificata di inizio attivita'), cioe' sulla base
di  un  titolo  abilitativo  differente  da   quello   indicato   dal
legislatore statale e,  soprattutto,  della  tempistica  dettata  dal
procedimento amministrativo disciplinato dal legislatore statale  del
2003  nell'esercizio   della   competenza   esclusiva   attribuitagli
dall'art. 117, comma 3, Costituzione. 
    Occorre infatti considerare  che  e'  ormai  decorso  il  termine
temporale, di quattro mesi  dalla  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge  n.  168/2004  (recante  «Interventi  urgenti  per   il
contenimento della  spesa  pubblica»),  previsto  dall'art.  5  dello
stesso decreto, in forza del quale: 
        «In esecuzione della sentenza della Corte  costituzionale  n.
196 del 28 giugno 2004, la legge  regionale  prevista  dal  comma  26
dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive
modificazioni, puo' essere emanata entro quattro mesi dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto. Il termine indicato nel primo
periodo si applica anche alle leggi regionali di cui al comma 33  del
citato art. 32 del decreto-legge n. 269  del  2003,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003. Decorso tale  termine  la
normativa applicabile e' quella contenuta nel citato decreto-legge n.
269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  326  del
2003. [...]» 
    Il termine di quattro mesi e' stato qualificato  come  perentorio
dalla Corte (sentenza n. 49/2006)  tanto  da  prevedere  che  ove  le
regioni non esercitino il proprio potere entro il termine  prescritto
non  potra'  essere  applicata   la   disciplina   dell'art.   32   e
dell'allegato 1 del  decreto-legge  n.  269/2003.  Ne  consegue  che,
essendo scaduto il suddetto termine, alle regioni non  e'  consentito
alcun nuovo intervento in  attuazione  della  normativa  statale  sul
condono edilizio. 
    Anche sotto tale profilo pertanto le  disposizioni  impugnate  si
pongono in contrasto con l'art. 117, comma  3,  Costituzione  laddove
prevede tra le  materie  concorrenti  il  «governo  del  territorio»,
precisando poi che «Nelle materie di legislazione concorrente  spetta
alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione
dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». 

(1) Art. 33 comma 2: «Qualora, sulla base  di  motivato  accertamento
    dell'ufficio tecnico comunale,  il  ripristino  dello  stato  dei
    luoghi  non  sia  possibile,  il  dirigente  o  il   responsabile
    dell'ufficio  irroga  una  sanzione  pecuniaria  pari  al  doppio
    dell'aumento   di   valore   dell'immobile,   conseguente    alla
    realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data
    di ultimazione dei lavori, in  base  ai  criteri  previsti  dalla
    legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all'ultimo  costo
    di produzione determinato con  decreto  ministeriale,  aggiornato
    alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice  ISTAT
    del costo di costruzione, con la esclusione,  per  i  comuni  non
    tenuti  all'applicazione  della  legge  medesima,  del  parametro
    relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria  A/1
    delle categorie non comprese nell'art. 16 della  medesima  legge.
    Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la
    sanzione  e'  pari  al  doppio  dell'aumento  del  valore  venale
    dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio». 

(2) Art. 36: «1. In caso  di  interventi  realizzati  in  assenza  di
    permesso di costruire,  o  in  difformita'  da  esso,  ovvero  in
    assenza di segnalazione certificata  di  inizio  attivita'  nelle
    ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformita'  da  essa,
    fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma  3,
    33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino  all'irrogazione  delle
    sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o  l'attuale
    proprietario  dell'immobile,  possono  ottenere  il  permesso  in
    sanatoria  se  l'intervento  risulti  conforme  alla   disciplina
    urbanistica  ed   edilizia   vigente   sia   al   momento   della
    realizzazione dello stesso, sia al  momento  della  presentazione
    della domanda. 2.  Il  rilascio  del  permesso  in  sanatoria  e'
    subordinato al pagamento, a titolo di oblazione,  del  contributo
    di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di  gratuita'  a
    norma di legge, in misura pari a quella  prevista  dall'art.  16.
    Nell'ipotesi di intervento realizzato  in  parziale  difformita',
    l'oblazione e' calcolata con  riferimento  alla  parte  di  opera
    difforme  dal  permesso.  3.  Sulla  richiesta  di  permesso   in
    sanatoria il dirigente o il responsabile del  competente  ufficio
    comunale si pronuncia con adeguata  motivazione,  entro  sessanta
    giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata».