IL TRIBUNALE DI ROMA 
                        Sezione terza lavoro 
 
in persona del giudice dott.  Dario  Conte,  sciogliendo  la  riserva
assunta all'udienza del 16 settembre 2019, ha pronunciato la seguente
ordinanza nel procedimento indicato in epigrafe, vertente tra: 
        Hernandez Medina Maria Elizabeth,  elett.nte  domiciliata  in
Roma - via Carlo Poma n. 2 - presso l'avv. Carmine Nicastro,  che  la
rappresenta e difende - ricorrente; 
        e Insieme soc. coop. a r.l. Onlus, elett.nte  domiciliata  in
Roma - via Pietro de Cristofaro n.  40  -  presso  l'avv.  Sabina  Di
Giacomo, che la rappresenta e difende - convenuta; 
        Aldeguere Monique, elett.nte domiciliata in Roma - via Pietro
de Cristofaro n. 40  -  presso  l'avv.  Sabina  Di  Giacomo,  che  la
rappresenta e difende - convenuta. 
    Con ricorso depositato l'8 febbraio 2018 Hernandez  Medina  Maria
Elizabeth conveniva qui in giudizio la  Insieme  S.c.r.l.  Onlus,  ed
Aldeguer Monique. 
    Esposto  (in  sintesi):  di  aver  lavorato  alle  dipendenze  di
entrambe, esercenti attivita' di casa di riposo per  anziani  in  via
Cervino a Roma, dal 25 febbraio  2017  al  31  agosto  2017;  che  il
rapporto,  instauratosi  di  fatto  con  la  Aldeguere,   era   stato
formalizzato dalla Insieme solo il 13 luglio 2017 con un contratto di
lavoro subordinato socio-lavorativo a tempo determinato, con scadenza
prevista al 30 settembre 2017, che l'aveva inquadrata al  livello  B1
secondo il C.C.N.L. cooperative-sociali come  aiuto  cuoca,  a  tempo
parziale per quindici  ore  settimanali;  che  peraltro  la  societa'
l'aveva licenziata in tronco «ante tempus» con lettera del 31  agosto
2017 per pretesa assenza  ingiustificata  nei  giorni  16,  17  e  18
agosto; che in realta' nel corso del rapporto di  lavoro  ella  aveva
svolto mansioni di cuoca, meglio descritte in  ricorso,  inquadrabili
al superiore livello C1; il rapporto sociale era stato  simulato;  ed
aveva osservato un orario di lavoro, meglio descritto in ricorso,  di
trentadue ore settimanali fino al 12 luglio 2017,  e  successivamente
di venti; di non aver fruito di ferie; dedotto: di aver percepito  un
trattamento economico inferiore al dovuto ed  insufficiente;  che  il
licenziamento intimatole era illegittimo: a) per  pretermissione  del
procedimento di cui all'art.  7  della  legge  n.  300/1970;  b)  per
infondatezza dell'addebito; c) per sproporzione; chiedeva: 
        a) dichiararsi la reale durata del rapporto quale dedotta, il
tempo pieno ed il diritto al livello C1; 
        b) condannarsi le  convenute,  in  solido  o  per  quanto  di
ragione, al pagamento in suo favore della somma di euro 4.972,97  per
differenze retributive e TFR, come da conteggio allegato al ricorso; 
        c) dichiararsi illegittimo il licenziamento intimatole e  per
l'effetto condannarsi la  societa'  convenuta  al  pagamento  in  suo
favore dell'indennita' risarcitoria nella misura di dodici mensilita'
secondo l'art. 4 del decreto legislativo n. 23/2015. 
    Resisteva la Insieme  S.c.r.l.  Onlus  chiedendo  respingersi  le
avverse domande perche' (in sintesi): essa non  gestiva  la  casa  di
riposo  fornendovi  servizi  in  appalto;  il  rapporto  sociale  era
genuino;   il   rapporto   di   lavoro   subordinato   connesso   era
effettivamente iniziato il 13 luglio 2017; prima la ricorrente  aveva
semmai lavorato occasionalmente ed in forma autonoma  per  terzi;  la
ricorrente aveva  svolto  mansioni  di  aiuto  cuoca,  e  secondo  un
part-time al 39,47%; la ricorrente era decaduta dall'impugnazione del
licenziamento,  non  avendolo  impugnato  nei  sessanta  giorni;   il
conteggio era per alcuni versi comunque erroneo; il licenziamento era
legittimo; la societa' occupava meno di sedici dipendenti. 
    Resisteva Aldeguere  Monique  chiedendo  respingersi  le  avverse
domande con condanna ex  art.  96  del  codice  di  procedura  civile
perche' (in sintesi): essa non  aveva  mai  gestito  alcuna  casa  di
riposo ed era estranea al rapporto in causa; ella aveva lavorato come
responsabile del personale per la Salus S.r.l., la quale aveva  preso
in affitto la sede di via Cervino tra il marzo e l'aprile 2017,  sede
che era divenuta operativa iniziando a ricevere gli ospiti  ai  primi
di maggio; in tale periodo la ricorrente aveva reso  a  favore  della
Salus prestazioni occasionali per l'allestimento  e  l'organizzazione
della cucina e di pulizia, regolarmente compensate; il 13 luglio 2017
la ricorrente era stata assunta dalla Insieme; pochi giorni dopo,  il
21 luglio 2017, la Salus aveva ceduto l'azienda ad altra societa'. 
    Istruita  la  causa  per  documenti  e  testi,  il   giudice   ha
prospettato  alle   parti   la   rilevanza   e   la   non   manifesta
inammissibilita' questione di legittimita' che segue. 
    Udita la discussione sul punto, il giudicante, 
 
                               Osserva 
 
    Il giudicante, all'esito dell'istruttoria svolta,  ritiene,  allo
stato quanto segue per quanto attiene alla sollevanda questione. 
    In punto di rilevanza. 
    Dagli atti di causa (contratto di  lavoro,  Unilav,  buste  paga)
risulta che la ricorrente ha lavorato alle dipendenze  della  Insieme
come socia lavoratrice dipendente dal 13 luglio  2017  al  31  agosto
2017, quando e' stata licenziata  per  asserita  giusta  causa,  come
aiuto cuoca. Il rapporto era a tempo determinato  ed  avrebbe  dovuto
scadere il 30 settembre 2017. 
    Malgrado  la   Insieme   non   abbia   propriamente   documentato
l'instaurazione del rapporto sociale,  il  contratto  individuale  di
lavoro, sottoscritto dalla  ricorrente,  dava  atto  del  fatto,  che
risulta cosi' confessato, che questa aveva  presentato  il  6  luglio
2017 domanda di ammissione a socio e versato la quota sociale, il che
conferma il carattere socio-lavorativo della collaborazione. 
    Le allegazioni e le offerte di prova  della  ricorrente  volte  a
dimostrare la simulazione del rapporto sociale  non  appaiono  idonee
allo scopo, posto che in un rapporto durato meno di due mesi  e'  del
tutto naturale  che  la  ricorrente  non  abbia  mai  partecipato  ad
un'assemblea e non vi  sia  stata  convocata  e  non  abbia  ricevuto
rendiconti.  Peraltro  la  questione   appare   irrilevante   perche'
dall'entrata  in  vigore  della  legge  n.  142/2001,  nel   rapporto
socio-lavorativo  dipendente,  il  rapporto  di   lavoro,   ancorche'
collegato al rapporto sociale, non costituisce esecuzione di  questo,
ma forma oggetto di un rapporto «ulteriore» (art. 1, comma  3);  gode
dei diritti fondamentali del  lavoro  dipendente  (art.  3)  peraltro
nella specie riconosciuti dal contratto; ed  e'  protetto  contro  il
licenziamento illegittimo, malgrado con talune  limitazioni  riguardo
alla tutela reale (art. 2, comma 1). 
    E' documentato  che  in  epoca  precedente  la  ricorrente  aveva
ricevuto da una societa' denominata Salus Sempione, avente sede a via
Cervino n. 6, il 9 giugno 2017, la somma di  euro  315,00  lordi  per
prestazione occasionale di  allestimento  locali  resa  nel  mese  di
aprile 2017; ed il 10 luglio 2017 la somma di euro 960,00  lordi  per
prestazione occasionate di  allestimento  locali  resa  nel  mese  di
giugno 2017. 
    Il teste Albani M., compagno di lunga data della ricorrente,  che
ha  fatto  causa  all'Insieme  ed  ha  conciliato,  ha  riferito  (in
sintesi): di aver lavorato alle dipendenze della  Insieme  per  circa
due mesi dal luglio all'agosto del 2017, quando e'  stato  licenziato
insieme a costei; che la  ricorrente  lavorava  gia'  nella  casa  di
riposo di via Cervino, ed a suo dire, da fine marzo; di aver fatto il
colloquio preassuntivo con la Aldeguer,  che  sembrava  operare  come
direttrice della struttura, e che peraltro, di li' a poco,  usci'  di
scena, perche' le subentro' il figlio Dama Ivan;  che  la  ricorrente
faceva la cuoca alla pari con lui ed il figlio Ramirez A. 
    Il teste Scifo A., apparentemente  imparziale,  ha  riferito  (in
sintesi):  di  aver  reso  per  la  Salus  S.r.l.   una   prestazione
occasionale di circa venti giorni nell'aprile 2017, a via Cervino, in
amministrazione; di essere poi stata assunta dalla medesima  societa'
ai  primi  di  maggio  a  tempo  parziale,  sempre   come   impiegata
amministrativa; e di aver lavorato per essa fino a giugno; di  essere
quindi stata assunta dalla Insieme il 1°  luglio  2017,  sempre  come
impiegata amministrativa, e di lavorarci tuttora; che nei  primi  due
rapporti  si  relaziono'  con  la  Aldeguer  che  sembrava  fare   da
direttrice,  e  gestiva  allora   la   struttura   insieme   a   tale
Ricciardelli; che quando lei  arrivo'  la  ricorrente  gia'  lavorava
nella struttura, in cucina, facendo da aiuto al marito che faceva  il
cuoco; e peraltro non in  modo  continuativo,  anche  perche'  faceva
anche un altro lavoro;  ad  un  certo  punto,  dal  1°  agosto  2017,
Riccardelli e Aldeguer, che lavoravano per la Salus S.r.l.,  uscirono
di scena, ed il Dama Ivan, per conto della Salus s.r.l.s.,  subentro'
loro nella gestione della casa di riposo; ma nel  frattempo  tutti  i
dipendenti si erano  associati  nella  cooperativa  Insieme;  che  la
ricorrente,  all'inizio,  in   cui   figurava   come   collaboratrice
occasionale, lavorava per la Salus S.r.l. 
    Il teste Ramirez Hernandez J.A., figlio della ricorrente, che  ha
fatto causa alla Insieme ed ha conciliato, ha riferito (in  sintesi):
di aver lavorato alle dipendenze della Insieme,  in  regola,  dal  1°
luglio 2017 al 30 agosto  2017,  come  aiuto  cuoco;  che  sua  madre
lavorava li' da aprile;  che  quando  lavorarono  insieme  sua  madre
faceva l'aiuto cuoca; ma prima faceva la cuoca, stando da  sola;  che
nel periodo in cui lavorarono insieme sua madre lavorava  sei  giorni
la settimana, riposando in giorno diverso dalla domenica a  settimane
alterne, quattro ore il pomeriggio, secondo  turni  che  essi  stessi
concordavano, con l'Albani, quale chef, ad avere l'ultima parola; che
la casa di cura era gestita a nome Salus. 
    Il teste Dama S., figlia della Aldeguer, e dipendente  Salus  dal
2001, quadro, ha riferito (in  sintesi):  che  la  Salus  assunse  la
gestione della casa di cura di via Cervino nell'aprile 2017; di  aver
frequentato la sede in quel mese e nei due successivi;  che  in  quel
periodo la ricorrente veniva saltuariamente, e comunque in  modo  non
quotidiano, a dare una mano in cucina a tale Cosetta, che  faceva  la
cuoca per la Salus, che a quell'epoca gestiva tutta la  struttura  ed
anche la cucina; che sua madre era ed e' dipendente della Salus, e si
occupa di organizzazione dell'accoglienza; che nel giugno 2017 ci  fu
una diatriba nella sua famiglia sicche' non ci occupo' piu' di quella
casa di riposo. 
    Il teste Noya S., dipendente della Insieme dal novembre  2017  al
dicembre 2018 ha riferito (in sintesi): che in quel periodo  la  casa
di riposo era gestita dalla Salus Sempione; che l'aveva ricevuta  dal
1° agosto 2017 dalla Salus S.r.l.; che  dal  2014  al  novembre  2017
aveva lavorato alle  dipendenze  della  cooperativa  Gioia,  che  dal
luglio al novembre  del  2017  prestava  servizi  in  appalto  a  via
Cervino, cui subentro' la  Insieme;  che  quando,  nel  luglio  2017,
inizio' a frequentare la struttura, vide la  ricorrente  un  paio  di
volte che aiutava in cucina, dove lavorava  Cosetta,  che  faceva  la
cuoca; che poi la vide lavorare in  modo  pressoche'  quotidiano  con
altro personale di Insieme. 
    Dalle predette evidenze documentali ed orali appare probabile che
prima del luglio 2017 la ricorrente non lavoro' ne' per  la  Insieme,
ne' per la Aldeguer, ma per la Salus S.r.l., societa' che gestiva  la
generalita' della struttura,  e  della  quale  la  Aldeguer  era  una
dipendente, presumibilmente con compiti gestori, peraltro insieme  al
Riccardelli. 
    Peraltro la  ricorrente  non  ha  provato  ne'  di  essere  stata
ingaggiata  personalmente  dalla  Aldeguer,  ne'  che  fosse   questa
dirigere il suo lavoro, ne' che questa l'abbia mai retribuita; mentre
v'e' prova documentale che la ricorrente, per  i  mesi  di  aprile  a
giugno del 2017, venne pagata dalla Salus Sempione. Anche a presumere
che sia stata la Aldeguer ad ingaggiare inizialmente  la  ricorrente,
come avvenuto per altri lavoratori escussi a testi,  appare  evidente
che essa agiva quale dipendente  della  Salus,  visto  che  era  tale
societa' a dirigere la struttura. 
    Anche se fosse stato  dimostrato  che,  nella  prima  fase  della
collaborazione, fosse stata la Aldeguer a dirigere in qualche modo il
lavoro della ricorrente (e non e'), si deve considerare che  tutti  i
soggetti collettivi, come tali,  non  possono  operare  che  mediante
persone fisiche  che  li  rappresentano,  sicche'  il  fatto  che  un
lavoratore di una societa' sia diretto da un dipendente di questa  e'
del  tutto  normale  e  non   giustifica   alcuna   attribuzione   di
datorialita' personale, specie ove, come  nel  caso  di  specie,  una
societa' abbia retribuito in nome proprio  nel  preteso  periodo  «in
nero» e rilasciato una certificazione dei compensi erogati, palesando
il rapporto institorio. 
    Le prove raccolte paiono  pero'  escludere  che  il  rapporto  di
lavoro tra la ricorrente e la Insieme sia iniziato il 13 luglio 2017.
I testi Scifo ed Ramirez hanno dichiarato di essere stati assunti  da
Insieme il 1° luglio 2017, il teste Albani  di  averci  lavorato  per
circa due mesi fino al 31 agosto 2018, e gli ultimi due  hanno  detto
di essere stati ingaggiati tramite la ricorrente  che  gia'  lavorava
li'; trattandosi di  rapporti  dichiarati  in  regola,  la  convenuta
avrebbe avuto agio a confutare tali  affermazioni  «ex  tabulas»;  ed
invece non ci sono prove contrarie. Tutto cio' suggerisce la  Insieme
prese in appalto la cucina il  1°  luglio  2017,  data  dalla  quale,
secondo gli ultimi due testi, la ricorrente  lavorava  come  cuoca  o
aiuto cuoca con orari piu' o  meno  regolari  e  con  continuativita'
quotidiana, cosa che appare conclamare la subordinazione.  E'  invero
del tutto implausibile che il Ramirez e  l'Albani,  ingaggiati  dalla
Insieme tramite la Hernandez, siano stati assunti prima di lei, o che
la ricorrente abbia continuato a lavorare per la Salus mentre i  suoi
colleghi di cucina lavoravano per Insieme. 
    Si deve quindi allo stato ritenere che tra  la  ricorrente  e  la
Insieme e' intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 1° luglio
2017 al 31 agosto 2017. Poiche' il rapporto appare sorto prima  della
pattuizione della clausola del termine, sembra doversi concludere che
esso sia sorto a tempo indeterminato. 
    L'eccezione di  decadenza  sollevata  riguardo  alla  domanda  di
impugnazione   del   licenziamento   appare   infondata   a    fronte
dell'evidenza documentale dell'impugnazione  stragiudiziale  esperita
con lettera del 18 settembre 2017 risultante spedita il 18  settembre
2017 e ricevuta dalla Insieme il 21 settembre 2017. La nuda deduzione
«si contesta la produzione documentale [...]»,  del  tutto  generica,
non ha alcuna capacita' confutativa. 
    Il licenziamento intimato alla ricorrente per motivi disciplinari
risulta    probabilmente    illegittimo    perche',    in     assenza
dell'assolvimento,  da  parte  di  Insieme,  dell'onere  di  provarne
l'esperimento,  deve  ritenersi   affetto   dal   vizio   di   totale
pretermissione della procedura preliminare prevista dall'art. 7 della
legge n. 300/1970, che  vale  ugualmente  per  il  licenziamento  per
giusta causa e quello per giustificato motivo  soggettivo,  cio'  che
comporta le conseguenze di cui all'art. 4 del decreto legislativo  n.
23/2015. 
    Appena  piu'  delicata  la  questione  posta  dal  fatto  che  la
ricorrente, pur  censurando  il  licenziamento  impugnato  anche  per
motivi sostanziali, lo fa in via gradata «Si ribadisce, comunque, che
la ricorrente non ha mai posto in essere alcun comportamento tale  da
ledere la fiducia [...] anche perche' la  sanzione  non  e'  comunque
proporzionata ai fatti [...] in via gradata, il licenziamento per cui
e'  causa  deve  essere  in  ogni  caso   considerato   e qualificato
illegittimo in quanto privo di giusta causa e/o  giustificato  motivo
[...]», conclude  sul  punto  facendo  riferimento  all'art.  4,  che
s'applica solo ai vizi formali e procedurali, e non all'art.  3,  che
sanziona i vizi sostanziali, e, pur prevedendo ugualmente una  tutela
meramente indennitaria, ne prevede una maggiore. 
    In linea di principio la domanda e' identificata  per  oggetto  e
titolo in base a quanto risulta dall'esame complessivo  dell'atto,  e
non  necessariamente  dalle  disposizioni  invocate,   spettando   al
giudice,  secondo  il  canone  «iura  novit   curia»,   la   corretta
individuazione  delle  disposizioni  applicabili  alla   fattispecie,
sicche' di per se' il mancato  riferimento  all'art.  3  non  sarebbe
ostativo ne'  all'esame  dei  motivi  di  impugnazione  di  carattere
sostanziale, ne' all'applicazione di detta disposizione. 
    Tuttavia la domanda, nei termini predetti, costituisce  esercizio
del  potere  dispositivo   dell'azione.   Di   conseguenza,   poiche'
l'impugnazione  del  licenziamento   per   motivi   (causa   petendi)
sostanziali (assenza nel merito di giusta causa/giustificato  motivo)
risulta  proposta   solo   nell'espositiva   ed   in   via   gradata,
l'accoglimento della censura  fondata  sull'art.  7  assorbe  l'altra
secondo la volonta' della parte, e ne impedisce la disamina. 
    D'altro  canto  non  necessariamente  la  proposizione   di   una
subordinata  di  potenziale  maggior  valore  rispetto  alla  domanda
principale  e'  illogica,  potendo   rispondere   ad   un   strategia
processuale di non affrontare un rischio di soccombenza parziale  sul
capo di domanda a maggior rischio di mancato accoglimento. 
    Riguardo all'eccepita  applicabilita'  dell'art.  9,  osserva  il
giudicante che la societa' convenuta ha espressamente dedotto di  non
avere il requisito dimensionale, e la ricorrente, oltre  e  non  aver
nemmeno allegato il contrario  in  ricorso,  non  ha  mai  contestato
quanto allegato dalla convenuta  sul  punto,  sicche'  l'assenza  del
requisito dimensionale deve ritenersi pacifica ai sensi dell'art. 115
del codice di procedura civile. 
    Di conseguenza, sembra debbano applicarsi gli articoli 4 e 9  del
decreto legislativo n. 23/2015. 
    In corso di causa sono avvenuti due eventi normativi: 
        a) l'entrata in  vigore,  il  14  luglio  2018,  del  decreto
legislativo n. 87/2018, conv. in legge n. 96/2018, il cui art.  3  ha
aumentato  il  minimo  ed  il  massimo  dell'indennita'  risarcitoria
prevista dall'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2015  in  caso  di
licenziamento ingiustificato; 
        b) la sentenza della Corte costituzionale n. 194/2018, che ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,  del
decreto legislativo n. 23/2015 riguardo alla parte  (l'anzianita'  di
servizio)  che,  secondo  tale  disposizione,  regolava  da  sola  la
determinazione dell'indennita' tra il minimo ed il massimo. 
    L'evento  normativo  sub  a)  non  s'applica,   ad   avviso   del
giudicante, alla fattispecie perche' in mancanza di regola  temporale
specifica s'applica il principio generale di normale irretroattivita'
di cui all'art. 11 delle preleggi, e per regola generale le norme non
retroattive che sostituiscono precedenti sanzioni legate  a  illeciti
inerenti a rapporti di diritto sostanziale, o regolano conseguenze di
fatti generativi di diritti pregressi, non s'applicano agli  illeciti
commessi ed ai fatti verificatisi prima della loro entrata in  vigore
(Cassazione  numeri: 3713/75,  5547/77,  5211/78,   10/79,   1184/84,
3914/85). 
    L'evento normativo sub b), certamente retroattivo per i  rapporti
pendenti, non sarebbe rilevante, dovendosi applicare  l'art.  4,  che
risulta pero' esposto alla stessa, o ad almeno analoga  obiezione  di
illegittimita' costituzionale. 
    In punto di non manifesta infondatezza. 
    Sulla base di quanto premesso, appare allo stato probabile che il
licenziamento impugnato vada  dichiarato  illegittimo,  e  sanzionato
secondo l'art. 4  del  decreto  legislativo  4  marzo  2015,  n.  23,
trattandosi di violazione procedurale ascrivibile  all'art.  7  della
legge n. 300/1970; mentre non  appaiono,  allo  stato,  sussistere  i
presupposti per l'applicazione degli articoli 2 e 3. 
    L'art. 4 cit. prevede che «Nell'ipotesi in cui  il  licenziamento
sia intimato con violazione [...] della procedura di cui  all'art.  7
della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il  rapporto
di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di  lavoro
al  pagamento  di  un'indennita'  non  assoggettata  a  contribuzione
previdenziale  di  importo  pari   a   una   mensilita'   dell'ultima
retribuzione di riferimento per il calcolo del  trattamento  di  fine
rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non  inferiore
a due e non superiore a dodici mensilita', a  meno  che  il  giudice,
sulla base della domanda del lavoratore, accerti la  sussistenza  dei
presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2  e
3 del presente decreto». 
    La  disposizione  mutua  dall'art.  3  dello  stesso  decreto  un
criterio di  commisurazione  dell'indennita'  automaticamente  legato
all'anzianita' di servizio. Nel caso di specie, pare allo  stato  che
l'anzianita' di servizio della Hernandez fosse di  due  mesi  secondo
l'art.  8  del  decreto,  sicche'  le  spetterebbe   una   indennita'
commisurata al minimo di legge, che nel caso di  specie  sarebbe,  ai
sensi dell'art. 9, una mensilita', trattandosi di piccola impresa. 
    La Corte costituzionale, con la sentenza  n.  194  del  2018,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,  del
decreto legislativo n. 23/2015, limitatamente alle parole «di importo
pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per  il
calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio». 
    In estrema sintesi, la Corte, a fondamento di tale decisione,  ha
ritenuto che: 
        «La  qualificazione   come   "indennita'"   dell'obbligazione
prevista dall'art. 3, comma 1, non ne esclude la  natura  di  rimedio
risarcitorio [...]»; posto che il licenziamento, anche  se  efficace,
«costituisce  pur  sempre  un  atto  illecito,  essendo  adottato  in
violazione della preesistente non modificata norma imperativa»; 
        l'ancoramento dell'indennita' ad un  parametro  forfettizzato
rigido «contrasta, anzitutto, con il principio di uguaglianza,  sotto
il profilo dell'ingiustificata omologazione di  situazioni  diverse»;
posto  che  «[...]  il  pregiudizio  prodotto,  nei  vari  casi,  del
licenziamento ingiustificato dipende da una  pluralita'  di  fattori.
L'anzianita' nel lavoro, certamente rilevante, e' dunque solo uno dei
tanti»; 
        «In una vicenda che coinvolge la persona del  lavoratore  nel
momento  traumatico  della  sua  espulsione  dal  lavoro,  la  tutela
risarcitoria non  puo'  essere  ancorata  all'unico  parametro  della
anzianita' di servizio. Non possono che essere molteplici  i  criteri
da  offrire  alla  prudente  discrezionale  valutazione  del  giudice
[...]»,  cio'  che  «[...]   risponde,   infatti,   all'esigenza   di
personalizzazione del danno subito [...]»; 
        il  predetto  criterio  si  pone  inoltre  in  contrasto  col
principio  di  ragionevolezza  «sotto  il  profilo   dell'inidoneita'
dell'indennita'  medesima  a  costituire  un  adeguato  ristoro   del
concreto  pregiudizio  subito  dal  lavoratore  [...]  e  un'adeguata
dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente»; 
        «[...]  la  rigida  dipendenza  dell'aumento  dell'indennita'
dalla  sola  crescita  dell'anzianita'  di  servizio  mostra  la  sua
incongruenza soprattutto nei  casi  di  anzianita'  di  servizio  non
elevata [...]»; 
        poiche' una tutela cosi' consegnata  «[...]  non  costituisce
ne' un adeguato ristoro  del  danno  prodotto,  nei  vari  casi,  dal
licenziamento, ne' un'adeguata dissuasione del datore di  lavoro  dal
licenziare ingiustamente, risulta evidente che  una  siffatta  tutela
[...] non puo' dirsi rispettosa (nemmeno)  degli  articoli  4,  primo
comma, e 35, primo comma, della  Costituzione,  che  tale  interesse,
appunto, proteggono». 
    Al giudicante sembra che  identiche  o  almeno  analoghe  ragioni
valgano a far dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 4. 
    L'unica differenza tra le due fattispecie attiene  al  fatto  che
l'art.  3  disciplina  il  licenziamento  ingiustificato  per  motivi
sostanziali, mentre l'art. 4 quello reso illegittimo dalla violazione
di regole di carattere formale e procedurale. 
    La differenza non sembra incidere in modo significativo sulla non
manifesta infondatezza della questione posto che: 
        a) anche l'art. 7 della legge n. 300/1970 e' una disposizione
imperativa, la cui violazione integra dunque, secondo  l'insegnamento
della Corte, illecito fonte di  danno  da  risarcire  in  modo  anche
formalmente   indennitario,   ma    necessariamente    «adeguato    e
personalizzato»; 
        b) in tale  ottica,  pare  valere  negli  stessi  termini  il
principio che impone che l'indennita' (risarcitoria), sia ancorata ad
una pluralita' di fattori di correlazione al danno  sofferto,  e  non
solo all'anzianita' di servizio; 
        c)  il  parametramento  «rigido  e   fisso»   dell'indennita'
all'anzianita' di servizio, specie nei casi, quale quello di  specie,
in cui questa  e'  assai  modesta,  non  pare  fornire  una  adeguata
dissuasione del datore di  lavoro  dal  licenziare  ingiustamente  (o
comunque in violazione di legge), ne' garantisce un adeguato  ristoro
al pregiudizio concretamente arrecato. 
    La portata della distinzione tra ingiustificatezza sostanziale ed
illegittimita' formale/procedurale, anche se gia' invalsa nel  regime
di cui all'art. 18 della  legge  n.  300/1970  c.m.  dalla  legge  n.
92/2012, non pare peraltro poter essere valorizzata oltre  una  certa
misura in rapporto ai principi fondamentali, posto che la  previsione
di una procedura preventiva di garanzia posta dall'art. 7 della legge
n. 300/1970, non a  caso  inserita  nel  titolo  primo  della  legge,
intitolato «Della liberta' e  dignita'  del  lavoratore»,  lungi  dal
porsi come mera prescrizione di forma, assolve  ad  una  funzione  di
protezione  di  Costituzione   41,   comma   2   che,   seppure   non
costituzionalmente  imposta  (Corte  costituzionale   n.   204/1982),
anticipa a tale scopo, tenuto conto del fatto che  il  datore  irroga
una sanzione, il rispetto del principio di civilta' del cd. «audiatur
et altera  pars»  (arg.  ex  Corte  costituzionale  n.  204/1982;  n.
220/1995). 
    La questione peraltro non  sembra  poter  esser  risolta  in  via
interpretativa,   neppure   quella   della    cd.    «interpretazione
adeguatrice» perche': 
        a) l'art. 4  e'  assolutamente  inequivoco,  nel  suo  tenore
letterale, nel  parametrare  l'indennita'  alla  sola  anzianita'  di
servizio; 
        b) non appare possibile escludere che la  diversita'  tra  le
due fattispecie legittimi l'attuale art. 4, o richieda qualche  altra
forma di adeguamento costituzionale. 
    A tale riguardo, appare anche rilevante osservare che nel sistema
previgente di cui all'art. 18 della  legge  n.  300/1970  c.m.  della
legge n. 92/2012,  nell'ambito  della  cd.  tutela  indennitaria,  la
commisurazione dipendeva, in caso di licenziamento ingiustificato per
ragioni sostanziali,  oltre  che  dall'anzianita'  di  servizio,  dal
numero  di  dipendenti  occupati,  dalle  dimensioni   dell'attivita'
economica, dal comportamento e della condizioni  delle  parti  (comma
5), mentre in caso di violazione formale-procedurale dipendeva  dalla
gravita' della stessa (comma 6), cosi' in sostanza gia' in  apparenza
prescindendo da fattori muniti di un  nesso  apprezzabile  col  danno
sofferto dal lavoratore, come invece nel regime  di  cui  all'art.  8
della legge n. 604/1966, al quale il legislatore si era ispirato  nel
riscrivere l'art. 18, comma 5. 
    Ad avviso del giudicante, per le ragioni gia'  sopra  svolte,  il
carattere formale-procedurale della violazione non  toglie  nulla  al
fatto che il licenziamento intimato in violazione dell'art. 4 integra
un illecito che  deve  dar  luogo  ad  un  risarcimento  «adeguato  e
personalizzato», ancorche' forfettizzato, secondo  la  stessa  logica
che pare reggere Corte costituzionale n. 194/2018. D'altro canto,  la
stessa commisurazione dell'indennita' all'anzianita' di  servizio,  e
quindi ad un fattore riconosciuto da Corte costituzionale n. 194/2018
come parametrico del danno sofferto, operata  dall'art.  4,  accoglie
tale  impostazione,  sebbene  in  modo  del  quale  appare   evidente
l'insufficienza. 
    Peraltro, a ragionare altrimenti,  il  parametramento  «rigido  e
fisso» dell'indennita' all'anzianita' di servizio, piuttosto che,  al
limite, alla gravita' della  violazione,  appare  comunque  integrare
violazione del principio di uguaglianza/ragionevolezza»,  sanzionando
in modo uguale violazioni non solo produttive di danni differenti, ma
di gravita' che possono essere, a loro volta, del tutto differenti. 
    La  rimessione   dello   scrutinio   alla   Corte   appare   resa
particolarmente ineludibile in ragione del fatto  che  questa,  nella
sentenza n. 194/2018, dopo aver verificato che la questione sollevata
sull'art. 4 non era delibabile per difetto del requisito di rilevanza
nel giudizio «a quo», non ha ritenuto di esercitare il potere ad essa
conferito  dall'art.  27  della  legge  n.  87/1953,  di   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 «per derivazione». 
    Appare quindi anche non  manifestamente  infondata,  in  rapporto
agli  articoli  3,  4,  primo  comma,  e  35,  primo   comma,   della
Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4
del decreto legislativo 4  marzo  2015,  n.  23,  limitatamente  alle
parole «di importo pari a una mensilita' dell'ultima retribuzione  di
riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per  ogni
anno di servizio».