IL TRIBUNALE DI ROMA Sezione terza lavoro in persona del giudice dott. Dario Conte, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 16 settembre 2019, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento indicato in epigrafe, vertente tra: Hernandez Medina Maria Elizabeth, elett.nte domiciliata in Roma - via Carlo Poma n. 2 - presso l'avv. Carmine Nicastro, che la rappresenta e difende - ricorrente; e Insieme soc. coop. a r.l. Onlus, elett.nte domiciliata in Roma - via Pietro de Cristofaro n. 40 - presso l'avv. Sabina Di Giacomo, che la rappresenta e difende - convenuta; Aldeguere Monique, elett.nte domiciliata in Roma - via Pietro de Cristofaro n. 40 - presso l'avv. Sabina Di Giacomo, che la rappresenta e difende - convenuta. Con ricorso depositato l'8 febbraio 2018 Hernandez Medina Maria Elizabeth conveniva qui in giudizio la Insieme S.c.r.l. Onlus, ed Aldeguer Monique. Esposto (in sintesi): di aver lavorato alle dipendenze di entrambe, esercenti attivita' di casa di riposo per anziani in via Cervino a Roma, dal 25 febbraio 2017 al 31 agosto 2017; che il rapporto, instauratosi di fatto con la Aldeguere, era stato formalizzato dalla Insieme solo il 13 luglio 2017 con un contratto di lavoro subordinato socio-lavorativo a tempo determinato, con scadenza prevista al 30 settembre 2017, che l'aveva inquadrata al livello B1 secondo il C.C.N.L. cooperative-sociali come aiuto cuoca, a tempo parziale per quindici ore settimanali; che peraltro la societa' l'aveva licenziata in tronco «ante tempus» con lettera del 31 agosto 2017 per pretesa assenza ingiustificata nei giorni 16, 17 e 18 agosto; che in realta' nel corso del rapporto di lavoro ella aveva svolto mansioni di cuoca, meglio descritte in ricorso, inquadrabili al superiore livello C1; il rapporto sociale era stato simulato; ed aveva osservato un orario di lavoro, meglio descritto in ricorso, di trentadue ore settimanali fino al 12 luglio 2017, e successivamente di venti; di non aver fruito di ferie; dedotto: di aver percepito un trattamento economico inferiore al dovuto ed insufficiente; che il licenziamento intimatole era illegittimo: a) per pretermissione del procedimento di cui all'art. 7 della legge n. 300/1970; b) per infondatezza dell'addebito; c) per sproporzione; chiedeva: a) dichiararsi la reale durata del rapporto quale dedotta, il tempo pieno ed il diritto al livello C1; b) condannarsi le convenute, in solido o per quanto di ragione, al pagamento in suo favore della somma di euro 4.972,97 per differenze retributive e TFR, come da conteggio allegato al ricorso; c) dichiararsi illegittimo il licenziamento intimatole e per l'effetto condannarsi la societa' convenuta al pagamento in suo favore dell'indennita' risarcitoria nella misura di dodici mensilita' secondo l'art. 4 del decreto legislativo n. 23/2015. Resisteva la Insieme S.c.r.l. Onlus chiedendo respingersi le avverse domande perche' (in sintesi): essa non gestiva la casa di riposo fornendovi servizi in appalto; il rapporto sociale era genuino; il rapporto di lavoro subordinato connesso era effettivamente iniziato il 13 luglio 2017; prima la ricorrente aveva semmai lavorato occasionalmente ed in forma autonoma per terzi; la ricorrente aveva svolto mansioni di aiuto cuoca, e secondo un part-time al 39,47%; la ricorrente era decaduta dall'impugnazione del licenziamento, non avendolo impugnato nei sessanta giorni; il conteggio era per alcuni versi comunque erroneo; il licenziamento era legittimo; la societa' occupava meno di sedici dipendenti. Resisteva Aldeguere Monique chiedendo respingersi le avverse domande con condanna ex art. 96 del codice di procedura civile perche' (in sintesi): essa non aveva mai gestito alcuna casa di riposo ed era estranea al rapporto in causa; ella aveva lavorato come responsabile del personale per la Salus S.r.l., la quale aveva preso in affitto la sede di via Cervino tra il marzo e l'aprile 2017, sede che era divenuta operativa iniziando a ricevere gli ospiti ai primi di maggio; in tale periodo la ricorrente aveva reso a favore della Salus prestazioni occasionali per l'allestimento e l'organizzazione della cucina e di pulizia, regolarmente compensate; il 13 luglio 2017 la ricorrente era stata assunta dalla Insieme; pochi giorni dopo, il 21 luglio 2017, la Salus aveva ceduto l'azienda ad altra societa'. Istruita la causa per documenti e testi, il giudice ha prospettato alle parti la rilevanza e la non manifesta inammissibilita' questione di legittimita' che segue. Udita la discussione sul punto, il giudicante, Osserva Il giudicante, all'esito dell'istruttoria svolta, ritiene, allo stato quanto segue per quanto attiene alla sollevanda questione. In punto di rilevanza. Dagli atti di causa (contratto di lavoro, Unilav, buste paga) risulta che la ricorrente ha lavorato alle dipendenze della Insieme come socia lavoratrice dipendente dal 13 luglio 2017 al 31 agosto 2017, quando e' stata licenziata per asserita giusta causa, come aiuto cuoca. Il rapporto era a tempo determinato ed avrebbe dovuto scadere il 30 settembre 2017. Malgrado la Insieme non abbia propriamente documentato l'instaurazione del rapporto sociale, il contratto individuale di lavoro, sottoscritto dalla ricorrente, dava atto del fatto, che risulta cosi' confessato, che questa aveva presentato il 6 luglio 2017 domanda di ammissione a socio e versato la quota sociale, il che conferma il carattere socio-lavorativo della collaborazione. Le allegazioni e le offerte di prova della ricorrente volte a dimostrare la simulazione del rapporto sociale non appaiono idonee allo scopo, posto che in un rapporto durato meno di due mesi e' del tutto naturale che la ricorrente non abbia mai partecipato ad un'assemblea e non vi sia stata convocata e non abbia ricevuto rendiconti. Peraltro la questione appare irrilevante perche' dall'entrata in vigore della legge n. 142/2001, nel rapporto socio-lavorativo dipendente, il rapporto di lavoro, ancorche' collegato al rapporto sociale, non costituisce esecuzione di questo, ma forma oggetto di un rapporto «ulteriore» (art. 1, comma 3); gode dei diritti fondamentali del lavoro dipendente (art. 3) peraltro nella specie riconosciuti dal contratto; ed e' protetto contro il licenziamento illegittimo, malgrado con talune limitazioni riguardo alla tutela reale (art. 2, comma 1). E' documentato che in epoca precedente la ricorrente aveva ricevuto da una societa' denominata Salus Sempione, avente sede a via Cervino n. 6, il 9 giugno 2017, la somma di euro 315,00 lordi per prestazione occasionale di allestimento locali resa nel mese di aprile 2017; ed il 10 luglio 2017 la somma di euro 960,00 lordi per prestazione occasionate di allestimento locali resa nel mese di giugno 2017. Il teste Albani M., compagno di lunga data della ricorrente, che ha fatto causa all'Insieme ed ha conciliato, ha riferito (in sintesi): di aver lavorato alle dipendenze della Insieme per circa due mesi dal luglio all'agosto del 2017, quando e' stato licenziato insieme a costei; che la ricorrente lavorava gia' nella casa di riposo di via Cervino, ed a suo dire, da fine marzo; di aver fatto il colloquio preassuntivo con la Aldeguer, che sembrava operare come direttrice della struttura, e che peraltro, di li' a poco, usci' di scena, perche' le subentro' il figlio Dama Ivan; che la ricorrente faceva la cuoca alla pari con lui ed il figlio Ramirez A. Il teste Scifo A., apparentemente imparziale, ha riferito (in sintesi): di aver reso per la Salus S.r.l. una prestazione occasionale di circa venti giorni nell'aprile 2017, a via Cervino, in amministrazione; di essere poi stata assunta dalla medesima societa' ai primi di maggio a tempo parziale, sempre come impiegata amministrativa; e di aver lavorato per essa fino a giugno; di essere quindi stata assunta dalla Insieme il 1° luglio 2017, sempre come impiegata amministrativa, e di lavorarci tuttora; che nei primi due rapporti si relaziono' con la Aldeguer che sembrava fare da direttrice, e gestiva allora la struttura insieme a tale Ricciardelli; che quando lei arrivo' la ricorrente gia' lavorava nella struttura, in cucina, facendo da aiuto al marito che faceva il cuoco; e peraltro non in modo continuativo, anche perche' faceva anche un altro lavoro; ad un certo punto, dal 1° agosto 2017, Riccardelli e Aldeguer, che lavoravano per la Salus S.r.l., uscirono di scena, ed il Dama Ivan, per conto della Salus s.r.l.s., subentro' loro nella gestione della casa di riposo; ma nel frattempo tutti i dipendenti si erano associati nella cooperativa Insieme; che la ricorrente, all'inizio, in cui figurava come collaboratrice occasionale, lavorava per la Salus S.r.l. Il teste Ramirez Hernandez J.A., figlio della ricorrente, che ha fatto causa alla Insieme ed ha conciliato, ha riferito (in sintesi): di aver lavorato alle dipendenze della Insieme, in regola, dal 1° luglio 2017 al 30 agosto 2017, come aiuto cuoco; che sua madre lavorava li' da aprile; che quando lavorarono insieme sua madre faceva l'aiuto cuoca; ma prima faceva la cuoca, stando da sola; che nel periodo in cui lavorarono insieme sua madre lavorava sei giorni la settimana, riposando in giorno diverso dalla domenica a settimane alterne, quattro ore il pomeriggio, secondo turni che essi stessi concordavano, con l'Albani, quale chef, ad avere l'ultima parola; che la casa di cura era gestita a nome Salus. Il teste Dama S., figlia della Aldeguer, e dipendente Salus dal 2001, quadro, ha riferito (in sintesi): che la Salus assunse la gestione della casa di cura di via Cervino nell'aprile 2017; di aver frequentato la sede in quel mese e nei due successivi; che in quel periodo la ricorrente veniva saltuariamente, e comunque in modo non quotidiano, a dare una mano in cucina a tale Cosetta, che faceva la cuoca per la Salus, che a quell'epoca gestiva tutta la struttura ed anche la cucina; che sua madre era ed e' dipendente della Salus, e si occupa di organizzazione dell'accoglienza; che nel giugno 2017 ci fu una diatriba nella sua famiglia sicche' non ci occupo' piu' di quella casa di riposo. Il teste Noya S., dipendente della Insieme dal novembre 2017 al dicembre 2018 ha riferito (in sintesi): che in quel periodo la casa di riposo era gestita dalla Salus Sempione; che l'aveva ricevuta dal 1° agosto 2017 dalla Salus S.r.l.; che dal 2014 al novembre 2017 aveva lavorato alle dipendenze della cooperativa Gioia, che dal luglio al novembre del 2017 prestava servizi in appalto a via Cervino, cui subentro' la Insieme; che quando, nel luglio 2017, inizio' a frequentare la struttura, vide la ricorrente un paio di volte che aiutava in cucina, dove lavorava Cosetta, che faceva la cuoca; che poi la vide lavorare in modo pressoche' quotidiano con altro personale di Insieme. Dalle predette evidenze documentali ed orali appare probabile che prima del luglio 2017 la ricorrente non lavoro' ne' per la Insieme, ne' per la Aldeguer, ma per la Salus S.r.l., societa' che gestiva la generalita' della struttura, e della quale la Aldeguer era una dipendente, presumibilmente con compiti gestori, peraltro insieme al Riccardelli. Peraltro la ricorrente non ha provato ne' di essere stata ingaggiata personalmente dalla Aldeguer, ne' che fosse questa dirigere il suo lavoro, ne' che questa l'abbia mai retribuita; mentre v'e' prova documentale che la ricorrente, per i mesi di aprile a giugno del 2017, venne pagata dalla Salus Sempione. Anche a presumere che sia stata la Aldeguer ad ingaggiare inizialmente la ricorrente, come avvenuto per altri lavoratori escussi a testi, appare evidente che essa agiva quale dipendente della Salus, visto che era tale societa' a dirigere la struttura. Anche se fosse stato dimostrato che, nella prima fase della collaborazione, fosse stata la Aldeguer a dirigere in qualche modo il lavoro della ricorrente (e non e'), si deve considerare che tutti i soggetti collettivi, come tali, non possono operare che mediante persone fisiche che li rappresentano, sicche' il fatto che un lavoratore di una societa' sia diretto da un dipendente di questa e' del tutto normale e non giustifica alcuna attribuzione di datorialita' personale, specie ove, come nel caso di specie, una societa' abbia retribuito in nome proprio nel preteso periodo «in nero» e rilasciato una certificazione dei compensi erogati, palesando il rapporto institorio. Le prove raccolte paiono pero' escludere che il rapporto di lavoro tra la ricorrente e la Insieme sia iniziato il 13 luglio 2017. I testi Scifo ed Ramirez hanno dichiarato di essere stati assunti da Insieme il 1° luglio 2017, il teste Albani di averci lavorato per circa due mesi fino al 31 agosto 2018, e gli ultimi due hanno detto di essere stati ingaggiati tramite la ricorrente che gia' lavorava li'; trattandosi di rapporti dichiarati in regola, la convenuta avrebbe avuto agio a confutare tali affermazioni «ex tabulas»; ed invece non ci sono prove contrarie. Tutto cio' suggerisce la Insieme prese in appalto la cucina il 1° luglio 2017, data dalla quale, secondo gli ultimi due testi, la ricorrente lavorava come cuoca o aiuto cuoca con orari piu' o meno regolari e con continuativita' quotidiana, cosa che appare conclamare la subordinazione. E' invero del tutto implausibile che il Ramirez e l'Albani, ingaggiati dalla Insieme tramite la Hernandez, siano stati assunti prima di lei, o che la ricorrente abbia continuato a lavorare per la Salus mentre i suoi colleghi di cucina lavoravano per Insieme. Si deve quindi allo stato ritenere che tra la ricorrente e la Insieme e' intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 1° luglio 2017 al 31 agosto 2017. Poiche' il rapporto appare sorto prima della pattuizione della clausola del termine, sembra doversi concludere che esso sia sorto a tempo indeterminato. L'eccezione di decadenza sollevata riguardo alla domanda di impugnazione del licenziamento appare infondata a fronte dell'evidenza documentale dell'impugnazione stragiudiziale esperita con lettera del 18 settembre 2017 risultante spedita il 18 settembre 2017 e ricevuta dalla Insieme il 21 settembre 2017. La nuda deduzione «si contesta la produzione documentale [...]», del tutto generica, non ha alcuna capacita' confutativa. Il licenziamento intimato alla ricorrente per motivi disciplinari risulta probabilmente illegittimo perche', in assenza dell'assolvimento, da parte di Insieme, dell'onere di provarne l'esperimento, deve ritenersi affetto dal vizio di totale pretermissione della procedura preliminare prevista dall'art. 7 della legge n. 300/1970, che vale ugualmente per il licenziamento per giusta causa e quello per giustificato motivo soggettivo, cio' che comporta le conseguenze di cui all'art. 4 del decreto legislativo n. 23/2015. Appena piu' delicata la questione posta dal fatto che la ricorrente, pur censurando il licenziamento impugnato anche per motivi sostanziali, lo fa in via gradata «Si ribadisce, comunque, che la ricorrente non ha mai posto in essere alcun comportamento tale da ledere la fiducia [...] anche perche' la sanzione non e' comunque proporzionata ai fatti [...] in via gradata, il licenziamento per cui e' causa deve essere in ogni caso considerato e qualificato illegittimo in quanto privo di giusta causa e/o giustificato motivo [...]», conclude sul punto facendo riferimento all'art. 4, che s'applica solo ai vizi formali e procedurali, e non all'art. 3, che sanziona i vizi sostanziali, e, pur prevedendo ugualmente una tutela meramente indennitaria, ne prevede una maggiore. In linea di principio la domanda e' identificata per oggetto e titolo in base a quanto risulta dall'esame complessivo dell'atto, e non necessariamente dalle disposizioni invocate, spettando al giudice, secondo il canone «iura novit curia», la corretta individuazione delle disposizioni applicabili alla fattispecie, sicche' di per se' il mancato riferimento all'art. 3 non sarebbe ostativo ne' all'esame dei motivi di impugnazione di carattere sostanziale, ne' all'applicazione di detta disposizione. Tuttavia la domanda, nei termini predetti, costituisce esercizio del potere dispositivo dell'azione. Di conseguenza, poiche' l'impugnazione del licenziamento per motivi (causa petendi) sostanziali (assenza nel merito di giusta causa/giustificato motivo) risulta proposta solo nell'espositiva ed in via gradata, l'accoglimento della censura fondata sull'art. 7 assorbe l'altra secondo la volonta' della parte, e ne impedisce la disamina. D'altro canto non necessariamente la proposizione di una subordinata di potenziale maggior valore rispetto alla domanda principale e' illogica, potendo rispondere ad un strategia processuale di non affrontare un rischio di soccombenza parziale sul capo di domanda a maggior rischio di mancato accoglimento. Riguardo all'eccepita applicabilita' dell'art. 9, osserva il giudicante che la societa' convenuta ha espressamente dedotto di non avere il requisito dimensionale, e la ricorrente, oltre e non aver nemmeno allegato il contrario in ricorso, non ha mai contestato quanto allegato dalla convenuta sul punto, sicche' l'assenza del requisito dimensionale deve ritenersi pacifica ai sensi dell'art. 115 del codice di procedura civile. Di conseguenza, sembra debbano applicarsi gli articoli 4 e 9 del decreto legislativo n. 23/2015. In corso di causa sono avvenuti due eventi normativi: a) l'entrata in vigore, il 14 luglio 2018, del decreto legislativo n. 87/2018, conv. in legge n. 96/2018, il cui art. 3 ha aumentato il minimo ed il massimo dell'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2015 in caso di licenziamento ingiustificato; b) la sentenza della Corte costituzionale n. 194/2018, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 riguardo alla parte (l'anzianita' di servizio) che, secondo tale disposizione, regolava da sola la determinazione dell'indennita' tra il minimo ed il massimo. L'evento normativo sub a) non s'applica, ad avviso del giudicante, alla fattispecie perche' in mancanza di regola temporale specifica s'applica il principio generale di normale irretroattivita' di cui all'art. 11 delle preleggi, e per regola generale le norme non retroattive che sostituiscono precedenti sanzioni legate a illeciti inerenti a rapporti di diritto sostanziale, o regolano conseguenze di fatti generativi di diritti pregressi, non s'applicano agli illeciti commessi ed ai fatti verificatisi prima della loro entrata in vigore (Cassazione numeri: 3713/75, 5547/77, 5211/78, 10/79, 1184/84, 3914/85). L'evento normativo sub b), certamente retroattivo per i rapporti pendenti, non sarebbe rilevante, dovendosi applicare l'art. 4, che risulta pero' esposto alla stessa, o ad almeno analoga obiezione di illegittimita' costituzionale. In punto di non manifesta infondatezza. Sulla base di quanto premesso, appare allo stato probabile che il licenziamento impugnato vada dichiarato illegittimo, e sanzionato secondo l'art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, trattandosi di violazione procedurale ascrivibile all'art. 7 della legge n. 300/1970; mentre non appaiono, allo stato, sussistere i presupposti per l'applicazione degli articoli 2 e 3. L'art. 4 cit. prevede che «Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione [...] della procedura di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilita', a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto». La disposizione mutua dall'art. 3 dello stesso decreto un criterio di commisurazione dell'indennita' automaticamente legato all'anzianita' di servizio. Nel caso di specie, pare allo stato che l'anzianita' di servizio della Hernandez fosse di due mesi secondo l'art. 8 del decreto, sicche' le spetterebbe una indennita' commisurata al minimo di legge, che nel caso di specie sarebbe, ai sensi dell'art. 9, una mensilita', trattandosi di piccola impresa. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 194 del 2018, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015, limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio». In estrema sintesi, la Corte, a fondamento di tale decisione, ha ritenuto che: «La qualificazione come "indennita'" dell'obbligazione prevista dall'art. 3, comma 1, non ne esclude la natura di rimedio risarcitorio [...]»; posto che il licenziamento, anche se efficace, «costituisce pur sempre un atto illecito, essendo adottato in violazione della preesistente non modificata norma imperativa»; l'ancoramento dell'indennita' ad un parametro forfettizzato rigido «contrasta, anzitutto, con il principio di uguaglianza, sotto il profilo dell'ingiustificata omologazione di situazioni diverse»; posto che «[...] il pregiudizio prodotto, nei vari casi, del licenziamento ingiustificato dipende da una pluralita' di fattori. L'anzianita' nel lavoro, certamente rilevante, e' dunque solo uno dei tanti»; «In una vicenda che coinvolge la persona del lavoratore nel momento traumatico della sua espulsione dal lavoro, la tutela risarcitoria non puo' essere ancorata all'unico parametro della anzianita' di servizio. Non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice [...]», cio' che «[...] risponde, infatti, all'esigenza di personalizzazione del danno subito [...]»; il predetto criterio si pone inoltre in contrasto col principio di ragionevolezza «sotto il profilo dell'inidoneita' dell'indennita' medesima a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore [...] e un'adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente»; «[...] la rigida dipendenza dell'aumento dell'indennita' dalla sola crescita dell'anzianita' di servizio mostra la sua incongruenza soprattutto nei casi di anzianita' di servizio non elevata [...]»; poiche' una tutela cosi' consegnata «[...] non costituisce ne' un adeguato ristoro del danno prodotto, nei vari casi, dal licenziamento, ne' un'adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare ingiustamente, risulta evidente che una siffatta tutela [...] non puo' dirsi rispettosa (nemmeno) degli articoli 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, che tale interesse, appunto, proteggono». Al giudicante sembra che identiche o almeno analoghe ragioni valgano a far dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 4. L'unica differenza tra le due fattispecie attiene al fatto che l'art. 3 disciplina il licenziamento ingiustificato per motivi sostanziali, mentre l'art. 4 quello reso illegittimo dalla violazione di regole di carattere formale e procedurale. La differenza non sembra incidere in modo significativo sulla non manifesta infondatezza della questione posto che: a) anche l'art. 7 della legge n. 300/1970 e' una disposizione imperativa, la cui violazione integra dunque, secondo l'insegnamento della Corte, illecito fonte di danno da risarcire in modo anche formalmente indennitario, ma necessariamente «adeguato e personalizzato»; b) in tale ottica, pare valere negli stessi termini il principio che impone che l'indennita' (risarcitoria), sia ancorata ad una pluralita' di fattori di correlazione al danno sofferto, e non solo all'anzianita' di servizio; c) il parametramento «rigido e fisso» dell'indennita' all'anzianita' di servizio, specie nei casi, quale quello di specie, in cui questa e' assai modesta, non pare fornire una adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare ingiustamente (o comunque in violazione di legge), ne' garantisce un adeguato ristoro al pregiudizio concretamente arrecato. La portata della distinzione tra ingiustificatezza sostanziale ed illegittimita' formale/procedurale, anche se gia' invalsa nel regime di cui all'art. 18 della legge n. 300/1970 c.m. dalla legge n. 92/2012, non pare peraltro poter essere valorizzata oltre una certa misura in rapporto ai principi fondamentali, posto che la previsione di una procedura preventiva di garanzia posta dall'art. 7 della legge n. 300/1970, non a caso inserita nel titolo primo della legge, intitolato «Della liberta' e dignita' del lavoratore», lungi dal porsi come mera prescrizione di forma, assolve ad una funzione di protezione di Costituzione 41, comma 2 che, seppure non costituzionalmente imposta (Corte costituzionale n. 204/1982), anticipa a tale scopo, tenuto conto del fatto che il datore irroga una sanzione, il rispetto del principio di civilta' del cd. «audiatur et altera pars» (arg. ex Corte costituzionale n. 204/1982; n. 220/1995). La questione peraltro non sembra poter esser risolta in via interpretativa, neppure quella della cd. «interpretazione adeguatrice» perche': a) l'art. 4 e' assolutamente inequivoco, nel suo tenore letterale, nel parametrare l'indennita' alla sola anzianita' di servizio; b) non appare possibile escludere che la diversita' tra le due fattispecie legittimi l'attuale art. 4, o richieda qualche altra forma di adeguamento costituzionale. A tale riguardo, appare anche rilevante osservare che nel sistema previgente di cui all'art. 18 della legge n. 300/1970 c.m. della legge n. 92/2012, nell'ambito della cd. tutela indennitaria, la commisurazione dipendeva, in caso di licenziamento ingiustificato per ragioni sostanziali, oltre che dall'anzianita' di servizio, dal numero di dipendenti occupati, dalle dimensioni dell'attivita' economica, dal comportamento e della condizioni delle parti (comma 5), mentre in caso di violazione formale-procedurale dipendeva dalla gravita' della stessa (comma 6), cosi' in sostanza gia' in apparenza prescindendo da fattori muniti di un nesso apprezzabile col danno sofferto dal lavoratore, come invece nel regime di cui all'art. 8 della legge n. 604/1966, al quale il legislatore si era ispirato nel riscrivere l'art. 18, comma 5. Ad avviso del giudicante, per le ragioni gia' sopra svolte, il carattere formale-procedurale della violazione non toglie nulla al fatto che il licenziamento intimato in violazione dell'art. 4 integra un illecito che deve dar luogo ad un risarcimento «adeguato e personalizzato», ancorche' forfettizzato, secondo la stessa logica che pare reggere Corte costituzionale n. 194/2018. D'altro canto, la stessa commisurazione dell'indennita' all'anzianita' di servizio, e quindi ad un fattore riconosciuto da Corte costituzionale n. 194/2018 come parametrico del danno sofferto, operata dall'art. 4, accoglie tale impostazione, sebbene in modo del quale appare evidente l'insufficienza. Peraltro, a ragionare altrimenti, il parametramento «rigido e fisso» dell'indennita' all'anzianita' di servizio, piuttosto che, al limite, alla gravita' della violazione, appare comunque integrare violazione del principio di uguaglianza/ragionevolezza», sanzionando in modo uguale violazioni non solo produttive di danni differenti, ma di gravita' che possono essere, a loro volta, del tutto differenti. La rimessione dello scrutinio alla Corte appare resa particolarmente ineludibile in ragione del fatto che questa, nella sentenza n. 194/2018, dopo aver verificato che la questione sollevata sull'art. 4 non era delibabile per difetto del requisito di rilevanza nel giudizio «a quo», non ha ritenuto di esercitare il potere ad essa conferito dall'art. 27 della legge n. 87/1953, di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 «per derivazione». Appare quindi anche non manifestamente infondata, in rapporto agli articoli 3, 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alle parole «di importo pari a una mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio».