IL TRIBUNALE DI ROMA 
                        Prima sezione lavoro 
 
    in persona del giudice, dott. Antonio Maria Luna, all'udienza del
6 febbraio 2020, all'esito della camera di consiglio (ore 19,40),  ha
pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta  al  n.
11403 del Ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2019,  vertente
tra A.G. quale tutore di F. M., n. a ...,  elettivamente  domiciliata
in Roma, alla via Mazzini n. 112, presso lo studio dell'avv.  Stefano
Talarico, che la rappresenta e difende in virtu' di procura in  calce
al  ricorso  introduttivo,  ricorrente;  e Istituto  nazionale  della
previdenza  sociale,  in  persona  del  suo   presidente   e   legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in  Roma,  alla
via  Cesare  Beccaria,  n.  29,  presso   l'ufficio   dell'Avvocatura
distrettuale dell'Istituto, rappresentato e difeso dall'avv.  Gustavo
Iandolo in  virtu'  di  mandato  generale  alle  liti  per  notar  P.
Castellini di Roma del 21 luglio 2015, n. 80974 di rep., convenuto. 
    Oggetto: assegno sociale. 
    Con ricorso depositato il 29 marzo 2019, M. F., rappresentato dal
proprio tutore G.A., premesso di essere titolare di assegno  sociale,
ha esposto che l'INPS, con nota del 4 agosto 2017, ha  comunicato  la
revoca del trattamento assistenziale a decorrere dal 1°  marzo  2017,
ai sensi dell'art. 2, commi 58-63, della  legge  n.  92/2012,  avendo
egli riportato condanne per i reati di cui citato art. 2,  comma  58;
che con successiva nota del 28  giugno  2018,  e'  stato  invitato  a
restituire la somma di € 3.191,65 in quanto indebitamente corrisposta
nel periodo marzo-luglio 2017; e  che  il  ricorso  proposto  in  via
amministrativa non ha avuto alcun riscontro. 
    Il ricorrente ha dedotto in primo luogo  che  la  sanzione  della
revoca della pensione ha natura accessoria alla condanna inflitta  in
sede penale; che, pertanto, avendo egli riportato condanne passate in
giudicato prima della entrata  in  vigore  della  legge  n.  92/2012,
l'applicazione  della  sanzione   appare   contraria   al   principio
costituzionale di irretroattivita' della pena. 
    Evidenziato che a suo beneficio e' stata applicata la circostanza
attenuante  di  cui  all'art.  8  del  decreto-legge   n.   152/1991,
convertito  in  legge  n.  203/1991,  in  quanto   collaboratore   di
giustizia,  ha  poi   sostenuto   che,   secondo   un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  ed  in  ossequio   al   principio   di
uguaglianza sostanziale, non puo' applicarsi la  sanzione  accessoria
della revoca  della  pensione  a  colui  che,  gia'  appartenente  ad
associazione mafiosa, abbia rescisso ogni vincolo indebolendo, con la
sue dichiarazioni, l'associazione. 
    In ultimo, premesso che egli sta scontando la pena in  regime  di
detenzione domiciliare, ha sostenuto che, persistendo  i  presupposti
intrinseci per la corresponsione del beneficio (e' inabile al  lavoro
e privo di mezzi di  sussistenza),  ha  diritto  al  mantenimento  ed
all'assistenza sociale ai sensi dell'art. 38 Cost., nonostante  abbia
riportato condanna per uno dei reati previsti dall'art. 2, comma  58,
legge n. 92/2012. 
    Il ricorrente ha quindi  chiesto  che  l'INPS  sia  condannato  a
ripristinare  il  trattamento   pensionistico/assistenziale   AS   n.
04235880 a far data dal 1° marzo 2017 ed  alla  corresponsione  delle
mensilita' sospese e non erogate dalla medesima data, oltre accessori
di legge. 
    L'I.N.P.S., costituitosi il 19  maggio  2019,  ha  contestato  la
fondatezza della domanda deducendo che  la  sentenza  che  irroga  la
sanzione principale costituisce il fatto  storico  cui  l'ordinamento
riconnette la previsione della revoca ex nunc della  prestazione  per
cui si tratta di una misura che  incide  su  un  rapporto  di  natura
civilistica e non gia' penale, giustificata dal fatto che i  soggetti
interessati  sono  stati  riconosciuti  responsabili  di   reati   di
particolare allarme sociale; che, conseguentemente,  non  si  ravvisa
violazione del principio di irretroattivita' della  legge  penale;  e
che la revoca e' stata disposta del tutto legittimamente in  ossequio
a disposizioni di legge. 
    1. - A far data dal marzo 2017 l'INPS ha interrotto  l'erogazione
dell'assegno sociale percepito fino a quel  momento  dal  ricorrente,
richiamando,  a  sostegno  di  tale  provvedimento,  quanto  disposto
dall'art. 2, commi 58/63, della legge n. 92/2012, che prevede  quanto
segue: 
    «58. Con la sentenza di condanna per i reati di cui agli articoli
270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter  e  422  del  codice  penale,
nonche' per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni  previste
dal predetto art. 416-bis ovvero al  fine  di  agevolare  l'attivita'
delle associazioni previste dallo stesso articolo, il giudice dispone
la sanzione  accessoria  della  revoca  delle  seguenti  prestazioni,
comunque denominate in base alla  legislazione  vigente,  di  cui  il
condannato sia eventualmente titolare: indennita' di  disoccupazione,
assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili.
Con la medesima sentenza il  giudice  dispone  anche  la  revoca  dei
trattamenti previdenziali  a  carico  degli  enti  gestori  di  forme
obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive,
esclusive ed esonerative delle stesse,  erogati  al  condannato,  nel
caso in cui accerti, o sia stato gia' accertato con sentenza in altro
procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto  o
in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di  attivita'
illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo. 
    59. I  condannati  ai  quali  sia  stata  applicata  la  sanzione
accessoria di cui al comma 58, primo  periodo,  possono  beneficiare,
una volta che la pena  sia  stata  completamente  eseguita  e  previa
presentazione di apposita domanda, delle prestazioni  previste  dalla
normativa vigente  in  materia,  nel  caso  in  cui  ne  ricorrano  i
presupposti. 
    60.  I  provvedimenti  adottati  ai  sensi  del  comma  58   sono
comunicati,  entro  quindici  giorni  dalla  data  di  adozione   dei
medesimi,   all'ente   titolare   dei   rapporti   previdenziali    e
assistenziali facenti capo al soggetto condannato, ai fini della loro
immediata esecuzione. 
    61. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, il Ministro della giustizia,  d'intesa  con  il  Ministro  del
lavoro e delle politiche sociali, trasmette agli  enti  titolari  dei
relativi rapporti l'elenco dei soggetti gia' condannati con  sentenza
passata in giudicato per i reati di cui al comma 58,  ai  fini  della
revoca, con effetto non retroattivo,  delle  prestazioni  di  cui  al
medesimo comma 58, primo periodo. 
    62. Quando  esercita  l'azione  penale,  il  pubblico  ministero,
qualora nel corso delle indagini abbia acquisito elementi  utili  per
ritenere  irregolarmente  percepita   una   prestazione   di   natura
assistenziale o previdenziale, informa  l'amministrazione  competente
per i conseguenti accertamenti e provvedimenti. 
    63. Le risorse derivanti dai provvedimenti di revoca  di  cui  ai
commi da 58 a 62 sono  versate  annualmente  dagli  enti  interessati
all'entrata del  bilancio  dello  Stato  per  essere  riassegnate  ai
capitoli di  spesa  corrispondenti  al  Fondo  di  rotazione  per  la
solidarieta' alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle  richieste
estorsive e dell'usura,  di  cui  all'art.  2,  comma  6-sexies,  del
decreto-legge   29   dicembre   2010,   n.   225,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, e agli interventi
in  favore  delle  vittime  del  terroristno  e  della   criminalita'
organizzata, di cui alla legge 3 agosto 2004, n. 206». 
    2.  Il  ricorrente  nega  la  legittimita'   della   revoca   del
trattamento pensionistico sotto diversi profili. 
    In primo luogo, contesta la legittimita' costituzionale dell'art.
2, commi 58/63, della legge n. 92/2012 nella parte in cui prevede che
la sanzione accessoria della revoca delle  prestazioni  assistenziali
erogate sia applicabile anche nei confronti  di  soggetti  condannati
per fatti commessi in epoca antecedente alla sua entrata  in  vigore,
in quanto contrastante con il  principio  di  irretroattivita'  della
legge penale sancito dall'art. 25 della Costituzione. 
    Ancora, evidenzia che, in base ad una lettura  costituzionalmente
orientata della disposizione in questione ed in ossequio al principio
di uguaglianza sostanziale, la sanzione accessoria della revoca della
pensione non dovrebbe essere applicata  a  chi,  come  il  ricorrente
medesimo, ha beneficiato della circostanza attenuante di cui all'art.
8  decreto-legge  n.  152/1991,  prevista  per  i  collaboratori   di
giustizia. 
    In ultimo, premesso che egli sta scontando la pena in  regime  di
detenzione domiciliare, rileva un ulteriore profilo di illegittimita'
costituzionale della suddetta normativa, assumendo che, nel  caso  in
cui  la  sanzione   accessoria   della   revoca   delle   prestazioni
assistenziali si ritenga applicabile anche ai soggetti non  detenuti,
si violerebbe l'art. 38 della Costituzione nella parte in cui prevede
che  «ogni  cittadino  inabile  al  lavoro  e  sprovvisto  dei  mezzi
necessari per vivere ha  diritto  al  mantenimento  e  all'assistenza
sociale». 
    3.  Quanto  al  primo  profilo,  la  questione  di   legittimita'
costituzionale   della   norma   richiamata   appare   manifestamente
infondata. 
    La stessa potrebbe porsi solo laddove si ritenesse di  attribuire
alla revoca dei trattamenti previdenziali ed  assistenziali  in  essa
prevista  natura  di  sanzione  penale,  in  quanto  il  divieto   di
irretroattivita' di cui all'art. 25 Cost.  ha  per  oggetto  le  sole
sanzioni che, al di la' del nomen iuris utilizzato dal Legislatore  e
facendo applicazione  dei  cosiddetti  criteri  Engel  (v.  Corte  di
giustizia 20 marzo 2018, C-524/15, Menci, secondo cui,  nel  valutare
la «natura penale di procedimenti -e di sanzioni [...] sono rilevanti
tre  criteri.  Il  primo  consiste  nella  qualificazione   giuridica
dell'illecito  nel  diritto  nazionale,  il  secondo   nella   natura
dell'illecito e il terzo nel grado di severita' della sanzione in cui
l'interessato rischia di incorrere»),  hanno  natura  sostanzialmente
penalistica. 
    Ebbene, per le sue caratteristiche e modalita'  di  applicazione,
si deve escludere che la revoca di cui all'art. 2, commi 58/63, della
legge n. 92/2012 abbia natura di sanzione penale. 
    Piu' nello specifico, la  suddetta  norma  prevede  che,  per  le
condanne ormai definitive alla  data  dell'introduzione  delle  nuove
disposizioni,  la  revoca  della  prestazione  assistenziale,   senza
efficacia  per  i  ratei  gia'  maturati,  e'  disposta  direttamente
dall'Ente erogatore dietro trasmissione dei relativi elenchi da parte
del Ministero della giustizia. 
    In altri termini, la misura in questione  opera  direttamente  in
via  amministrativa   senza   l'intermediazione   del   provvedimento
giurisdizionale penale che ne funge solo da presupposto storico. 
    Ne deriva che la fattispecie in esame e'  qualificabile  come  un
mero effetto  extra-penale  della  condanna  e  non  come  una.  pena
accessoria, sicche' la norma non presenta profili di incompatibilita'
con il divieto di irretroattivita' sfavorevole  di  cui  all'art.  25
Cost. 
    A tali conclusioni, in sostanza, e' giunta la Corte di cassazione
con sentenza della I Sezione penale del 7 dicembre  2018,  n.  11581,
nella  cui  parte  motiva   si   leggono   le   seguenti   persuasive
considerazioni: 
    «La novella legislativa istituisce, in  tal  modo,  uno  speciale
statuto di  "indegnita'",  connesso  alla  commissione  dei  predetti
reati, cui ricollega effetti sanzionatori direttamente incidenti  sui
trattamenti di assistenza sociale. Alla sua ratio non e' estraneo  il
rilievo  criminologico  che  ai  medesimi  reati  faccia  da   sfondo
l'accumulazione, o comunque il possesso, di  capitali  illeciti,  con
quei trattamenti incompatibili; mentre il reimpiego di tali  capitali
in  attivita'  economiche,  dirette  a  schermarli,  e'   alla   base
dell'estensione   della   misura   sanzionatoria    ai    trattamenti
propriamente previdenziali, che si accertino in connessione generati. 
    3. Tali articolate previsioni pongono  senza  dubbio,  a  regime,
interrogativi ermeneutici, che riguardano la  riconducibilita'  della
sanzione in discorso al genus delle  pene  accessorie,  la  correlata
possibilita' di riferire ad essa  (eventualmente  anche  in  rapporto
agli  effetti  extra-penali  che  ne  sostanziano  il  contenuto)  la
cognizione  del  giudice  dell'esecuzione,  la  stessa   legittimita'
costituzionale (con particolare riferimento all'art. 38 Cost.)  della
sottostante disciplina afflittiva. 
    Poiche', tuttavia, le previsioni anzidette si applicano  rispetto
ai processi di cognizione, relativi ai reati ricompresi nel  catalogo
di cui alla legge n. 92  del  2012,  art.  2,  comma  58,  che  siano
pendenti alla data di entrata in vigore della novella legislativa,  o
rispetto a quelli  successivamente  instaurati,  le  questioni  sopra
individuate - che,  in  parte,  agitano  anche  l'odierno  ricorso  -
appaiono  ininfluenti  nell'odierno   procedimento   di   esecuzione,
instaurato a fronte di condanne che, alla predetta data,  risultavano
gia' irrevocabili. 
    4. In relazione a tale ultima fattispecie la novella  legislativa
prevede, invero, un regime transitorio, delineato dal citato art.  2,
comma 61. 
    Per le condanne  ormai  definitive  alla  data  dell'introduzione
delle nuove disposizioni, la revoca, senza efficacia per i ratei gia'
maturati, della prestazione assistenziale  e'  disposta  direttamente
dall'Ente erogatore, dietro  trasmissione  dei  relativi  elenchi  da
parte del Ministero della giustizia. 
    In questo caso la misura di  rigore  opera  direttamente  in  via
amministrativa,    senza    l'intermediazione    del    provvedimento
giurisdizionale penale, che ne funge solo da presupposto storico. 
    Si e' in presenza di un mero effetto extra penale della condanna,
e non di una pena (o di una sanzione) accessoria, similmente a quanto
accade  allorche'  dalla  pronuncia  di  sentenze  irrevocabili   per
determinati   reati   automaticamente   derivino,   indipendentemente
dall'adozione  delle  predette  statuizioni  accessorie,  incapacita'
speciali o altre conseguenze  sfavorevoli  in  tema  di  stato  della
persona  (si  veda,  esemplificativamente,  l'ipotesi   di   condanna
pronunciata per reati elettorali nei confronti di  un  candidato,  la
quale in se' comporta, ai sensi  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 361 del 1957, art. 113, commi e 2, e  indipendentemente
dalla  pena  accessoria  interdittiva,   la   temporanea   privazione
dall'elettorato attivo e passivo: Sez. 1, n. 31499 del 4 giugno 2013,
Diodato, Rv. 256794-01). 
    La cessazione della prestazione assistenziale qui non costituisce
(come  non  lo  costituisce  la  perdita   dei   diritti   elettorali
nell'ipotesi teste' prospettata: Sez. 1,  n.  52522  del  16  gennaio
2018, P., Rv. 274112-01) un aspetto del trattamento sanzionatorio del
reato - se cosi' fosse, si assisterebbe all'applicazione retroattiva,
malam partem, di una disposizione penale, vietata dall'art. 25 Cost.,
comma 2, - bensi' consegue al sopravvenuto difetto  di  un  requisito
soggettivo per  il  mantenimento  dell'attribuzione  patrimoniale  di
durata. 
    5. Se dunque non vi e', come nella specie, irrogazione di  alcuna
pena (o sanzione) accessoria, non vi e' neppure - in radice - materia
per l'esercizio della giurisdizione esecutiva penale,  nemmeno  nella
sua accezione piu' lata. 
    Il condannato non resta peraltro privo di tutela  giurisdizionale
- e neppure sotto questo profilo potrebbe giustificarsi, de  residuo,
l'intervento del giudice dell'esecuzione (cfr., a contrario, Sez.  1,
n. 1610 del 2 dicembre 2014, dep. 2015,  Berlusconi,  Rv.  261999-01;
Sez. 1, n. 8464 del 27 gennaio 2009, Lunadei, Rv. 243450-01; Sez.  1,
n. 5455 del 30 settembre 1997, Sansalone, Rv.  209173-01)  essendogli
sempre consentito di adire il  giudice  ordinariamente  competente  a
conoscere del rapporto sostanziale in contestazione, che nella specie
e' il giudice del lavoro, cui spetta (art. 442  codice  di  procedura
civile e ss.) la cognizione delle controversie in tema di  previdenza
e assistenza obbligatorie. Davanti a tale giudice M. potra' sollevare
eventuali  eccezioni  di  legittimita'  costituzionale,   anche   con
riferimento al parametro  di  cui  all'art.  38  Cost.,  ovvero  fare
questione dell'eventuale violazione della legge n. 92 del 2012,  art.
2, comma 59, sotto il profilo dell'intervenuta espiazione della  pena
in concreto ostativa». 
    4. Quanto alla necessita' di procedere ad una  lettura  dell'art.
2, commi 58/63, della legge n. 92/2012 compatibile con  il  principio
di uguaglianza sostanziale, essa non puo' comportare  automaticamente
la esclusione della applicazione della  misura  ai  collaboratori  di
giustizia, in assenza di qualsiasi indicazione in tal senso da  parte
della disciplina in questione. 
    D'altra parte, l'esigenza di incentivare la collaborazione con la
giustizia  da  parte  di  soggetti  coinvolti  nelle   organizzazioni
criminali di stampo mafioso e'  gia'  soddisfatta,  oltre  che  dalla
previsione di una specifica circostanza attenuante (dapprima l'art. 8
decreto-legge n. 152/1991 e, attualmente, l'art. 416-bis l c.p.),  da
una serie di  benefici  espressamente  contemplati  dal  legislatore,
sicche', al di fuori di queste ipotesi e nei casi in cui la legge non
operi una differenziazione  espressa,  da  un  lato  il  giudice  non
potrebbe applicare  ai  collaboratori  di  giustizia  un  trattamento
differenziato rispetto ai soggetti che,  condannati  per  gli  stessi
reati, non  abbiano  collaborato  con  la  giustizia  e,  dall'altro,
appartiene alla ampia discrezionalita' del legislatore individuare  i
limiti delle misure  premiali  da  riservare  a  coloro  che  aiutano
concretamente le autorita' nella raccolta di elementi decisivi per la
ricostruzione dei fatti e per l'individuazione  o  la  cattura  degli
autori dei reati. 
    Si osserva, inoltre, che il legislatore ha espressamente preso in
considerazione l'eventuale esigenza che il collaboratore necessiti di
assistenza anche di carattere  economico,  per  cui  i  suoi  bisogni
primari di vita ben possono essere garantiti proprio dalle misure che
le autorita' preposte possono adottare. 
    Infatti, l'art. 9  del  decreto-legge  15  gennaio  1991,  n.  8,
convertito in legge n. 82/1991 - sostituito dall'art. 2  della  legge
13  febbraio  2001,  n.  45  -  stabilisce,  al  comma  1,   che   ai
collaboratori di giustizia possono essere applicate  speciali  misure
di protezione idonee ad assicurarne l'incolumita' provvedendosi,  ove
necessario, anche alla loro assistenza; e, al comma 4, che, ove  tali
misure non risultino adeguate,  puo'  essere  definito  uno  speciale
programma di protezione i cui contenuti sono indicati  nell'art.  13,
comma 5, dello stesso decreto-legge n. 8/1991, il  quale,  deliberato
da apposito organo amministrativo, puo' comprendere anche  misure  di
assistenza personale ed economica. Tali misure, nel caso  in  cui  la
persona  interessata  non  possa  provvedere  con  i  propri   mezzi,
comprendono  la  sistemazione  alloggiati-va  e  le   spese   per   i
trasferimenti,  le  spese  per  esigenze  sanitarie  quando  non  sia
possibile avvalersi delle strutture pubbliche ordinarie, l'assistenza
legale e l'assegno di mantenimento  nel  caso  di  impossibilita'  di
svolgere attivita' lavorativa, di  importo  non  superiore  a  cinque
volte l'assegno sociale di cui all'art. 3, commi 6 e 7, della legge 8
agosto 1995, n. 335, con possibili integrazioni solo quando ricorrano
particolari circostanze influenti sulle esigenze di  mantenimento  in
stretta connessione con quelle di tutela del soggetto  sottoposto  al
programma di protezione. 
    Il legislatore si e' cioe' fatto carico delle  esigenze  di  vita
del collaboratore che, ove non disponga di mezzi propri,  deve  poter
fruire di un opportuno sussidio che va anche oltre il limite  ininimo
di sussistenza individuato ex lege nella misura dell'assegno sociale. 
    Nella specie, pero', come da informativa giunta dal  Dipartimento
della pubblica sicurezza (nota del 22 novembre 2019), il  F.  risulta
essere solo un ex collaboratore di giustizia il quale  ha  fruito  di
programma speciale di protezione dal 9 marzo 1994 al 9 febbraio 2005. 
    Attualmente  quindi  egli  non  puo'  accedere   al   trattamento
«assistenziale» che il legislatore ha previsto in  favore  di  coloro
che sono sottoposti a misure di protezione, essendo ormai cessate  le
dette esigenze. 
    Il ricorrente, inoltre, dal 18 ottobre  2012  (come  risulta  dal
certificato del casellario giudiziale prodotto sub doc. 5), si  trova
in  regime  di  detenzione  domiciliare  ai  sensi  dell'art.  47-ter
dell'ordinamento penitenziario  e,  pertanto,  non  puo'  fruire  dei
servizi  di  alloggio  e  vitto  dell'istituto  penitenziario  (salvo
obbligo di rimborso, nei limiti di legge, delle spese di mantenimento
ai sensi dell'art. 2 dell'ordinamento), 
    La disposizione dell'art. 2, comma  61,  legge  n.  92/2012,  che
impone agli enti titolari  dei  relativi  rapporti  la  revoca  delle
prestazioni di cui al precedente comma 58, impedisce al ricorrente di
continuare a fruire del beneficio assistenziale erogatogli in ragione
dell'eta' avanzata e della mancanza di redditi. 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  prospettata,  con
riferimento all'art. 38, 1° comma, Cost. -  cui  possono  aggiungersi
gli articoli  2  e  3  Cost.  -  appare  rilevante  in  quanto  dalla
fondatezza o  meno  della  stessa  dipende  interamente  l'esito  del
giudizio. 
    Appare inoltre non manifestamente infondata. 
    E' vero che - come osservato dal giudice  di  legittimita'  -  il
legislatore  ha  istituito  uno  speciale  statuto  di  «indegnita'»,
connesso alla commissione di reati di particolare gravita',  tali  da
giustificare, durante l'esecuzione  della  pena,  il  venir  meno  di
trattamenti assistenziali che trovano loro  fondamento  nel  generale
dovere di solidarieta' dell'intera collettivita'  nei  confronti  dei
soggetti svantaggiati (cfr. art. 1, legge n. 328/2000: «La Repubblica
assicura alle  persone  e  alle  famiglie  un  sistema  integrato  di
interventi e servizi sociali, promuove interventi  per  garantire  la
qualita' della vita, pari opportunita', non discriminazione e diritti
di  cittadinanza,  previene,  elimina  o  riduce  le  condizioni   di
disabilita',  di  bisogno  e  di  disagio  individuale  e  familiare,
derivanti  da  inadeguatezza  di  reddito,  difficolta'   sociali   e
condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3  e  38
della Costituzione»). 
    Ed e' altresi' vero che la ratio della norma  si  rinviene  anche
nella  considerazione  che  ai  reati  ostativi  alla  fruizione  dei
benefici fa da sfondo l'accumulazione, o  comunque  il  possesso,  di
capitali illeciti, con quei benefici incompatibili. 
    Tuttavia, se la revoca dei benefici per coloro  che  scontano  la
pena in istituto  non  comporta  il  rischio  di  non  poter  neppure
disporre dei mezzi minimi per alimentarsi e  per  avere  un  ricovero
(date le  garanzie  apprestate  dall'ordinamento  penitenziario),  la
medesima misura comporta invece - senza  che  emerga  ragione  di  un
trattamento deteriore - per  coloro  che  si  trovano  in  regime  di
detenzione domiciliare, il concreto rischio di non poter disporre,  a
causa della  condizione  di  eta'  e  della  connessa  incapacita'  -
presunta ex lege - di svolgere qualsiasi proficuo  lavoro,  di  alcun
mezzo  di  sussistenza  con   oggettivo   pregiudizio   per   diritti
inviolabili quali quello alla alimentazione e,  in  definitiva,  alla
vita,  diritti  che  sono  insuscettibili   di   patire   deroghe   o
compressioni, non potendo lo statuto di «indegnita'» giungere fino  a
porre in pericolo la sopravvivenza del condannato e  non  potendo  la
collettivita' tollerare che al proprio interno vi siano (in forza  di
legge e non gia' per mere contingenze di fatto) persone  che  debbano
restare prive del minimo vitale. 
    Appare  percio'  non  manifestamente  infondato  il   dubbio   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  61,  della  legge  28
giugno 2012, n.  92,  nella  parte  in  cui  impone  all'INPS,  senza
possibilita' di alcuna valutazione connessa alle concrete  situazioni
personali ed  economiche  del  condannato  in  regime  di  detenzione
domiciliare, la revoca dell'assegno sociale,  per  contrasto  con  le
disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 38, 1° comma, Cost.