TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA Il giudice sciolta la riserva assunta all'udienza del 24 settembre 2019, ha pronunciato la seguente ordinanza. Con l'atto introduttivo del presente giudizio per convalida di sfratto, Riccardo Paolini ed Edoardo Paolini hanno allegato: 1) contratto di locazione ad uso abitativo del 1° luglio 2017, regolarmente registrato, stipulato con Salvatore Carlomagno e Blanca Marina Gonzales Garcia avente per oggetto il godimento dell'immobile in Modena descritto in atto di intimazione; 2) l'inadempimento dei conduttori in relazione a: 2.1) canoni dovuti per le mensilita' di settembre, novembre, dicembre 2018, febbraio, marzo 2019, per complessivi euro 2.950,00; 2.2) mancato rimborso di oneri accessori per euro 750,00. All'udienza 14 maggio 2019, i conduttori, comparsi personalmente, hanno fatto presente: 1) di aver diritto a un contributo pubblico per morosita' incolpevole; 2) di aver consegnato a parte locatrice, tramite agenzia immobiliare, il relativo modulo in vista dell'acquisizione del suo consenso; 3) di non aver ottenuto la restituzione del modulo. Per le ragioni esposte a verbale di udienza, e' stato disposto l'ordine di esibizione nei confronti del legale rappresentante dell'agenzia immobiliare. All'udienza 18 giugno 2019, a seguito della verifica dell'omessa comunicazione al terzo dell'ordine di esibizione, poi reiterato il 19 giugno 2019, i conduttori hanno chiesto il termine ex art. 55 della legge n. 392/1978. In data 13 settembre 2019 il legale rappresentante dell'agenzia immobiliare ha depositato in cancelleria una dichiarazione in cui ha dato atto di aver consegnato la richiesta di contributo a Riccardo Paolini il 12 marzo 2019 e di non averla poi ricevuta in restituzione in quanto i locatori gli avrebbero riferito di non essere intenzionati a prestare il consenso necessario per l'erogazione del contributo ai conduttori. All'udienza 24 settembre 2019 parte locatrice, in considerazione della mancata sanatoria della morosita', ha insistito per la convalida dello sfratto. La norma che il Tribunale e' chiamato ad applicare, in esito al procedimento disciplinato dagli articoli 657 e ss del codice di procedura civile, e' l'art. 55 della legge n. 392/1978, ove si prevede: La morosita' del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'art. 5 puo' essere sanata in sede giudiziale per non piu' di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice. Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficolta' del conduttore, puo' assegnare un termine non superiore a giorni novanta. In tal caso rinvia l'udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato. La morosita' puo' essere sanata, per non piu' di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al secondo comma e' di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, e' conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficolta'. Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto. Secondo la giurisprudenza di legittimita', la richiesta di concessione del termine ex art. 55 della legge n. 392/1978 manifesta una volonta' incompatibile con quella di opporsi alla convalida (Cassazione - sentenza n. 5540/2012). Pertanto, l'art. 55 della legge cit. puo' essere considerato un'ipotesi speciale dell'art. 663 del codice di procedura civile nella parte in cui prevede che «se l'intimato [...] comparendo non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto». A sua volta, la non opposizione dell'intimato comparso personalmente, come nel caso di specie, presuppone l'operativita' dell'art. 660, comma VI del codice di procedura civile, ove si prevede che «ai fini dell'opposizione e del compimento delle attivita' previste negli articoli da 663 a 666, e' sufficiente la comparizione personale dell'intimato». Il Tribunale e' consapevole che l'art. 55 della legge n. 392/1978 costituisce una norma eccezionale che deroga al principio per cui, una volta che il creditore abbia chiesto la risoluzione del contratto, il debitore inadempiente «non puo' piu' adempiere la propria obbligazione» (art. 1453, comma III del codice civile). La rigidita' del meccanismo introdotto dalla concessione del termine cd «di grazia» pare costituire una sorta di compensazione per il sacrificio, normalmente non contemplato, dell'interesse del creditore, che abbia chiesto la risoluzione, al venir meno del rapporto contrattuale. In altri termini, una volta intrapreso il sub-procedimento di sanatoria, all'udienza di verifica il giudice non puo' e non deve fare altro che accertare se sia stato eseguito il «pagamento» cosi' come indicato dall'art. 55, ultimo comma, legge cit. Se il pagamento non e' avvenuto, il giudice deve convalidare lo sfratto per morosita', cioe' deve risolvere il contratto di locazione ad uso abitativo. Nel caso di specie, l'applicazione dell'art. 55 della legge cit. confligge con l'acquisizione al processo di elementi che inducono a ritenere che le condizioni che impongono al giudice di risolvere il contratto, incidendo sull'interesse abitativo dei conduttori, siano state generate dalla disparita' tra le due parti processuali, l'una assistita da difesa tecnica, l'altra non assistita da difesa tecnica, palesandosi cosi', con rilievo decisivo ai fini della presente causa, una violazione dei principi di cui all'art. 24 della Costituzione (effettivita' della tutela giurisdizionale) e all'art. 111 della Costituzione (giusto processo). Il primo indice di questa disparita' si e' avuto all'udienza del 14 maggio 2019, in cui i conduttori hanno fatto presente di aver chiesto, tramite l'agente immobiliare, ai locatori di firmare il modulo per il contributo per la «morosita' incolpevole». L'assenza di un difensore ha impedito ai conduttori, non a conoscenza del disposto di cui all'art. 210 del codice di procedura civile, di formulare la relativa istanza e cio' ha indotto questo giudicante a emettere, con un'obiettiva forzatura del dato normativo, l'ordine di esibizione nei confronti dell'agente immobiliare, indicato dai conduttori come probabile detentore del documento. Il passaggio argomentativo cruciale e' pero' costituito dalla definizione dell'incidenza della disciplina pubblicistica della «morosita' incolpevole» sul piano civilistico, sia sostanziale (il rapporto di locazione) sia processuale (il procedimento per convalida di sfratto). Ad avviso del Tribunale, se l'erogazione del contributo pubblico prevede, come nel caso di specie, in base ai criteri applicativi vigenti, il necessario consenso del locatore, la mancata adesione del predetto non puo' generare, sia sul piano sostanziale, sia sul piano processuale, effetti negativi per il conduttore che versi in una «situazione di sopravvenuta impossibilita' a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacita' reddituale del nucleo familiare», in conseguenza degli eventi indicati nella disciplina di riferimento (decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124; in particolare, l'art. 6, comma V, che istituisce presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli; decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 30 marzo 2016, che indica le concrete modalita' applicative). Una diversa conclusione colliderebbe con la ormai compiuta acquisizione giuridica secondo cui la clausola di buona fede in senso obiettivo costituisce fonte di obblighi di considerazione dell'interesse della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, in ogni fase, anche quella patologica, del rapporto obbligatorio. Sul punto basti menzionare, in termini generali, la pronuncia n. 21255/2013 della Corte di cassazione, in cui si chiarisce che «il rapporto obbligatorio precede e segue l'integrazione della vicenda negoziale - intesa nella sua duplice dimensione di fatto storico e di fattispecie programmatica - ed e' integrato nella sua piu' intima essenza da doveri di comportamento che [...] appaiono piuttosto funzionali a governare secondo buona fede i differenti aspetti della complessa vicenda interpersonale dipanatasi tra le parti, cosi' operando nella (diversa e piu' ampia) logica del rapporto e della (complessita' della) fattispecie». Questi doveri di comportamento condizionano, piu' in particolare, anche l'esercizio dei diritti potestativi, dal momento che «anche in presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede ed il divieto di abuso del diritto, preservando l'uno gli interessi dell'altro. Il potere di risolvere di diritto il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa, in particolare, e' necessariamente governato dal principio di buona fede, da tempo individuato dagli interpreti sulla base del dettato normativo (articoli: 1175, 1375, 1356, 1366, 1371 del codice civile, ecc.) come direttiva fondamentale per valutare l'agire dei privati e come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto (precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del contratto). Il principio di buona fede si pone allora, nell'ambito della fattispecie dell'art. 1456 del codice civile, come canone di valutazione sia dell'esistenza dell'inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l'abuso ed impedendone l'esercizio ove contrario ad essa (ad esempio escludendo i comportamenti puramente pretestuosi, che quindi non riceveranno tutela dall'ordinamento)» (Cassazione - sentenza n. 23868/2015). Gia' da tempo, la S.C. aveva peraltro affermato che «il principio di buona fede (intesa, questa, nel senso sopra chiarito come requisito della condotta) costituisce ad un tempo criterio di valutazione e limite anche del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volonta' dipende (in parte) l'avveramento della condizione», in quanto e' «proprio l'elemento potestativo quello in relazione al quale il dovere di comportarsi secondo buona fede ha piu' ragion d'essere, perche' e' con riguardo a quell'elemento che la discrezionalita' contrattualmente attribuita alla parte deve essere esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza» (SS.UU. - sentenza n. 18450/2005). Dal punto di vista processuale, la Corte di cassazione, a partire da SS.UU. n. 23726/2007, e' costante nell'affermare due principi: «a) la regola di correttezza e buona fede, che specifica all'interno del rapporto obbligatorio la necessita' di soddisfare gli "inderogabili doveri di solidarieta'", il cui adempimento e' richiesto dall'art. 2 della Costituzione, regola che viene violata quando il creditore aggravi ingiustificatamente la posizione del debitore; b) la garanzia del processo giusto e di durata ragionevole di cui al novellato art. 111 della Costituzione, la quale esclude, innanzi tutto, che possa ritenersi "giusto" il processo che costituisca esercizio dell'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, che segna il limite, oltreche' la ragione dell'attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi» (Cassazione - sentenza n. 4228/2015, ove pure si scrive che l'art. 24 della Costituzione «tutelando il diritto di azione non esclude certamente che la legge possa richiedere, nelle controversie meramente patrimoniali, che per giustificare l'accesso al giudice il valore economico della pretesa debba superare una soglia minima di rilevanza, innanzi tutto economica e, quindi, anche giuridica»). In questo quadro, il Tribunale ritiene che acconsentire alla richiesta del conduttore in vista dell'erogazione del contributo pubblico per la sanatoria della morosita' (salvaguardando cosi' l'interesse, abitativo, della controparte contrattuale) non costituisca un apprezzabile sacrificio per il locatore, in assenza di elementi che depongano in senso contrario (che il locatore dovrebbe addurre in sede processuale), non foss'altro perche', in questo modo, il suo credito per canoni ottiene soddisfazione. Con riferimento al procedimento per convalida di sfratto, appare evidente la ratio che accomuna la disciplina della morosita' incolpevole con la previsione della concessione del termine di cui all'art. 55 della legge n. 392/1978: la conservazione del rapporto contrattuale nei casi in cui, come e' stato osservato in dottrina, «il conduttore sia incorso incolpevolmente nell'inadempimento dell'obbligo di pagamento di quanto dovuto quale corrispettivo della locazione» ad uso abitativo. La medesima dottrina ha, altresi', auspicato il collegamento delle disposizioni in tema di morosita' incolpevole con la previsione dell'art. 55 della legge cit.; questo collegamento e' tanto piu' auspicabile, ad avviso del Tribunale, in quanto la menzionata disciplina pubblicistica determina la possibile confluenza nel procedimento sommario di questioni che la sua impalcatura formale, predisposta avendo a mente situazioni di facile e immediata qualificazione, non sembra piu' in grado di sostenere. Prima di approfondire questo aspetto, puo' dirsi che il comportamento del locatore che non acconsenta all'erogazione del contributo per la morosita' incolpevole nei confronti del conduttore che ne abbia diritto in base ai criteri stabiliti dalla disciplina ministeriale e ripresi nei bandi comunali integri, sul piano sostanziale, la violazione di un obbligo di considerare l'interesse, abitativo, della controparte contrattuale in assenza di un apprezzabile sacrificio per l'interesse proprio e, sul piano processuale, la compromissione dell'obiettivo che l'art. 55 della legge n. 392/1978 si propone di raggiungere, ovvero la prosecuzione del rapporto contrattuale tramite la sanatoria della morosita' dovuta alle condizioni di difficolta' economica del conduttore. Il Tribunale e' consapevole che tale obbligo a carico del locatore puo' essere ricavato solo in via interpretativa alla luce dei principi prima esposti, non ravvisandosi nella disciplina di diritto pubblico, che pare invece presupporre un libero consenso. Ritiene, tuttavia, difficilmente superabile l'argomento per cui, se tutti i locatori rifiutassero di aderire, la disciplina sulla morosita' incolpevole rimarrebbe, per lo piu', lettera morta, con conseguente spreco di risorse pubbliche. Se e' vero che l'art. 1, comma II del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 31 maggio 2019 prevede che «le regioni possono riallocare sul Fondo nazionale per il sostegno alla locazione di cui all'art. 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 e successive modifiche le risorse (del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli) che risultino non utilizzate dai comuni, al netto delle procedure in corso, alla data del 30 giugno 2019», e' altresi' vero che la neutralizzazione del mancato utilizzo di tali risorse, in ipotesi, anche solo in parte, imputabile ai locatori che non abbiano prestato il consenso alle richieste dei conduttori (ovvero a un piu' generale difetto di comunicazione, come pare ipotizzare il decreto ministeriale cit.), mediante il sostegno a nuove locazioni «in ingresso», non compensa l'incisione, gia' avvenuta, degli interessi abitativi individuati e specifici di chi sia stato destinatario di una pronuncia di risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo che si sarebbe potuta evitare se il contributo gli fosse stato erogato. In altri termini, l'allocazione (futura) di risorse in vista della tutela di un interesse diffuso (o comunque, non ancora individualizzatosi) non puo', ad avviso del Tribunale, giustificare il mancato utilizzo (attuale) di quelle stesse risorse in vista della tutela di un interesse specifico e individuale (di natura personale), per cui erano state originariamente previste e per cui sarebbero esistite tutte le condizioni di erogazione salvo il mancato consenso del locatore, che si ripercuote sulla dimensione, enucleata dalla giurisprudenza di legittimita', dinamica e composita del rapporto obbligatorio. Cio' posto, per quel che rileva ai fini della presente causa, i conduttori hanno introdotto, nei limiti dell'assenza di difesa tecnica, il tema del mancato consenso dei locatori alla loro richiesta di contributo per la morosita' incolpevole. Solo a seguito dello spirare del termine ex art. 55 della legge n. 392/1978, e' pervenuta nella cancelleria del Tribunale la dichiarazione dell'agente immobiliare che ha confermato la loro versione dei fatti, precisando che il documento e' stato da lui consegnato ai locatori e non piu' restituito. Quindi, il Tribunale, per un verso dovrebbe pronunciare la risoluzione del contratto per mancato pagamento entro il termine cd di «grazia»; per un altro, sarebbe tenuto a farlo in una situazione in cui e' processualmente acquisito un comportamento dei locatori che ha impedito ai conduttori di accedere a un contributo pubblico che avrebbe potuto consentire la sanatoria della morosita' entro il termine. L'uso del condizionale e' deliberato. Infatti, ancora all'udienza 24 settembre 2019, non era certo che esistessero tutti i requisiti che avrebbero consentito ai conduttori di accedere al contributo. Sul punto, il Tribunale si limita a evidenziare che: 1) una volta notificato l'atto di intimazione, i locatori hanno determinato l'esistenza di uno dei requisiti per l'ammissione dei conduttori al contributo (art. 3, comma I, lettera b) del decreto ministeriale 30 marzo 2016); 2) almeno una delle forme di contributo previste dal decreto ministeriale (art. 5, comma I, lettera a) era astrattamente in grado di coprire la morosita' allegata dagli intimanti nell'atto introduttivo; 3) sebbene l'art. 5, comma I, lettera a) parli di «rinuncia all'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile», cio' non debba intendersi come necessaria presenza di una pronuncia di convalida di sfratto, dal momento che la normativa pone come requisito per l'ammissione solo la notifica di un atto di intimazione e che la ratio e' evidentemente quella di non far risolvere il contratto di locazione (quindi dovrebbe intendersi che la rinuncia e' necessaria solo ove il provvedimento di rilascio medio tempore vi sia stato; per inciso, un'eventuale comportamento ostativo dei locatori vanificherebbe lo scopo della normativa anche nella fase esecutiva post-convalida); 4) il «consenso» del locatore ove il contributo sia richiesto in pendenza di giudizio di cognizione, se del caso contestualmente all'apertura del sub-procedimento di sanatoria di cui all'art. 55 della legge n. 392/1978, pare dunque risolversi soltanto nella disponibilita' a ricevere il pagamento che determinerebbe la sanatoria della morosita'. Si tratta dunque di capire quale parte sconti il mancato assolvimento dell'onere di allegazione nel processo degli elementi il cui rilievo emerge alla luce delle considerazioni sopra esposte. Se non fosse che il documento (il modulo da firmare consegnato all'agente immobiliare perche' lo inoltrasse ai locatori) non era piu' nella disponibilita' dei conduttori, in via di principio dovrebbe trattarsi della parte intimata. Tuttavia, il Tribunale ritiene che, in assenza di difesa tecnica (assenza consentita e - pare doversi dire, sul punto si tornera' in seguito - agevolata dall'art. 660, comma VI del codice di procedura civile), l'elaborazione di una strategia processuale che consenta ai conduttori di fare emergere, diversamente calibrando questi elementi a seconda delle varie scansioni procedimentali: 1) l'obbligo del locatore, fondato sulla clausola di buona fede in senso obiettivo e, dunque, sul principio di solidarieta' ex art. 2 della Costituzione, di salvaguardare l'interesse abitativo del conduttore prestando il suo consenso nella richiesta di contributo per la morosita' incolpevole; 2) la documentazione che comprovi la sussistenza dei presupposti dell'esistenza di questo obbligo (cioe', i requisiti per l'erogazione ai conduttori del contributo per la morosita' incolpevole idoneo a sanare la morosita', ivi compresa la disponibilita' oggettiva delle risorse); 3) la derivazione causale dal comportamento del locatore della condizione di mancata sanatoria della morosita' entro il termine ex art. 55 della legge n. 392/1978; sia inesigibile per chi non sia versato nelle materie giuridiche. Retrospettivamente, a seguito della dichiarazione depositata in cancelleria dall'agente immobiliare, e' possibile ipotizzare che i conduttori, qualora fossero stati assistiti da un avvocato, avrebbero potuto: 1) opporsi alla convalida all'udienza 14 maggio 2019, demandando al giudizio a cognizione piena, a seguito di mutamento del rito, l'accertamento del loro diritto al contributo per la morosita' incolpevole e la mancata cooperazione dei locatori in tal senso, verosimilmente allegando prove documentali per evitare di essere esposti all'ordinanza di rilascio ex art. 665 del codice di procedura civile; 2) in alternativa, chiedere il termine ex art. 55 della legge n. 392/1978 previa dimostrazione dei requisiti per l'accesso a un contributo per la morosita' incolpevole messo a disposizione dal Comune di Modena, idoneo a sanare la morosita', stimolando il contraddittorio con i locatori sul punto; 3) evidenziare, all'udienza di verifica del 24 settembre 2019, la derivazione causale della mancata sanatoria della morosita' dal comportamento dei locatori ostativo alla concessione di un contributo che avrebbe potuto sanarla (a nulla rilevando, ad avviso del Tribunale che al contributo pubblico sia possibile accedere anche in fase esecutiva, ove peraltro sarebbe inutile far emergere, a rapporto ormai risolto, l'inadempimento dell'obbligo collaborativo del locatore). Come si vede, la situazione processuale in cui il Tribunale e' chiamato a decidere sulla richiesta di convalida di sfratto si e' determinata in ragione della mancata attivazione, da parte dei conduttori, di una serie di variabili che avrebbero potuto innescare diversi esiti e in cui avrebbe potuto trovare corretta esplicazione l'effettivita' della tutela giurisdizionale dei loro diritti. La non corretta esplicazione di una tutela giurisdizionale effettiva per i diritti dei conduttori, nel caso di specie, e', ad avviso del Tribunale, imputabile alla facolta', che il codice di procedura civile pure loro attribuisce, di comparire nel procedimento per convalida di sfratto non assistiti da difesa tecnica. In termini generali, dalla riflessione della dottrina processualcivilistica che si e' interrogata sul fondamento del procedimento per convalida di sfratto e, in particolare, della sua peculiare cognizione sommaria, emerge come, in tale rito speciale, l'unica giustificazione del sacrificio della cognizione piena in tale rito speciale sia la valutazione, presuntiva, compiuta dal legislatore, della scarsa consistenza delle difese del convenuto. Piu' in particolare, e per quel che qui ci occupa, tale valutazione presuntiva pare l'unica spiegazione plausibile anche della «sufficienza», come dice l'art. 660, comma VI del codice di procedura civile (la norma e' entrata in vigore nel 1995, epoca in cui la competenza in materia di convalida apparteneva al pretore, verosimilmente per compensare il venir meno, con la riforma dell'art. 82 del codice di procedura civile da parte della legge n. 374/1991, della possibilita' di autorizzare la parte a stare in giudizio di persona), della comparizione personale dell'intimato ai fini del compimento delle attivita' processuali tipiche del procedimento per convalida di sfratto (oltre all'argomento, di carattere piu' pratico che giuridico, e, come si cerchera' di spiegare meglio in seguito, controproducente, della «possibilita' in piu'»). Quindi, ove invece si manifesti un'esigenza di tutela giurisdizionale (derivante nel caso di specie dall'incidenza della disciplina pubblicistica sulla morosita' incolpevole sul rapporto di locazione), viene meno il fondamento stesso, se non del sacrificio della cognizione piena, evitabile attraverso l'opposizione alla convalida (scelta processuale di cui e' pero' agevole sostenere la preferibilita' se effettuata tramite un avvocato, dal momento che l'intimato cosi' si espone a un possibile ordine provvisorio di rilascio ex art. 665 del codice di procedura civile), sicuramente della facolta' per l'intimato di stare in giudizio non assistito da difesa tecnica, e cio' in ogni scansione del procedimento per convalida di sfratto. In altri termini, la compatibilita' con i principi costituzionali della facolta' dell'intimato di difendersi da solo nel procedimento per convalida di sfratto sta e cade con l'assunto per cui tale difesa sia in sostanza un guscio vuoto. Se cosi' non e', e se dunque un'esigenza di tutela giurisdizionale si pone davvero, se del caso in base a prospettazioni giuridiche complesse o a circostanze di fatto non agevoli da provare, pare difficilmente superabile la duplice constatazione per cui, nel procedimento per convalida di sfratto per morosita', la tutela giurisdizionale dell'intimato ha (a tutto voler concedere) minori possibilita' di essere effettiva (rispetto a quella degli altri convenuti nella quasi totalita' delle cause civili) e il processo non si svolge in condizioni di parita' (rispetto alla controparte processuale). Si tratta, peraltro, della tutela giurisdizionale di un interesse di natura personale e di elevato rango costituzionale, come la consulta ha avuto modo di affermare nella pronuncia n. 404/1988: «[...] "il "diritto all'abitazione" rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialita' cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione [...] In breve, creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all'abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignita' umana, sono compiti cui lo Stato non puo' abdicare in nessun caso". Altra sentenza di questa Corte (sentenza n. 49 del 1987) aveva gia' riconosciuto "indubbiamente doveroso da parte della collettivita' intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione". Tali statuizioni, pur espresse in ordine allo specifico favor, di cui all'art. 47, secondo comma, della Costituzione, per l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione, hanno una portata piu' generale ricollegandosi al fondamentale diritto umano all'abitazione riscontrabile nell'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948) e nell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16 dicembre 1966 dall'Assemblea generale della Nazioni Unite e' ratificato dall'Italia il 15 settembre 1978, in seguito ad autorizzazione disposta con legge 25 ottobre 1977, n. 881)». Anche piu' di recente, la Corte costituzionale ha confermato la qualificazione del «diritto sociale all'abitazione che e' diritto attinente alla dignita' e alla vita di ogni persona» (sentenza n. 106/2018). I titolari di questo diritto, nei procedimenti per convalida di sfratto per morosita', sono persone che spesso si trovano in condizioni di marginalita' sociale e, dunque, nella difficolta' economica, materiale, tecnica e linguistica di articolare difese convincenti ai fini dell'ottenimento di una pronuncia favorevole ove ne sussistano i presupposti. Il contrasto con l'art. 24 e con l'art. 111, comma II della Costituzione puo' dunque sintetizzarsi in questo: se e' vero che il procedimento per convalida di sfratto si fonda su una presunzione di mancanza di contestazione effettiva o comunque su una presunzione di inconsistenza delle difese del convenuto, l'attivita' processuale che consente di vincere questa presunzione dovrebbe essere affidata a un professionista, perche' potrebbe darsi il rischio, insostenibile per la Costituzione vigente, che un interesse di natura personale venga pregiudicato quando non ci siano in concreto le ragioni che ne giustifichino il sacrificio, e cio' non solo perche' il procedimento e' a cognizione sommaria, ma anche perche', al suo interno, il convenuto «puo'» difendersi senza l'assistenza di un professionista, risolvendosi questa possibilita', paradossalmente, in un vulnus del principio per cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita'». Si potrebbe obiettare che l'obbligatorieta' dell'assistenza difensiva e' stata affermata dalla Corte costituzionale «sempre e soltanto con riferimento al processo penale di cognizione, agli incidenti di esecuzione penale, al processo per le misure di sicurezza, tra cui il ricovero in manicomio giudiziario, ed al processo per le misure di prevenzione [...] procedimenti caratterizzati, tutti, dal compimento di indagini e valutazioni preordinate all'adozione ed esecuzione di misure penali o di misure "che trovano causa nella pericolosita' sociale - criminale" del soggetto». Il Tribunale ritiene, tuttavia, che il punto non sia il confronto con i provvedimenti che incidono sulle liberta' personali e che si fondano sulla pericolosita' del destinatario, ma il confronto con le ordinarie cause civili. In altri termini, il problema non sta nel fatto che, nel procedimento di convalida, l'assistenza difensiva non e' obbligatoria (come nel processo penale) ma nel fatto che, se il convenuto/intimato sceglie di contraddire, l'assistenza difensiva non e' obbligatoria, come nella quasi totalita' delle cause civili. Per esempio, il convenuto in una causa di risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento dell'obbligo di pagamento del prezzo, se intende costituirsi, deve essere assistito da un difensore; il convenuto in una causa, peraltro a cognizione sommaria, di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento dell'obbligo di pagamento dei canoni puo' comparire senza essere assistito da un difensore, ponendo in essere comportamenti processuali significativamente incisivi sul proprio interesse sostanziale di natura personale (per esempio, l'opposizione alla convalida puo' determinare l'emanazione di un'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 del codice di procedura civile). A cio' si aggiunga che, in via di principio, la risoluzione del contratto di locazione potrebbe essere ottenuta anche nelle forme dell'art. 447-bis del codice di procedura civile; che la controparte contrattuale debba essere assistita da difesa tecnica (447-bis del codice di procedura civile) o possa non esserlo (657 e ss. del codice di procedura civile), in relazione alla medesima ipotesi, dipende dunque dalla strategia processuale prescelta dal locatore. Ad avviso del Tribunale, il giudizio di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento dell'obbligo di pagamento dei canoni, pure se strutturato nelle forme sommarie del procedimento per convalida di sfratto, non e' equiparabile alle altri procedimenti giudiziari in cui e' ammessa la difesa personale delle parti: 1) sia perche' e' un giudizio di cognizione, a differenza del procedimento per l'amministrazione di sostegno o del processo esecutivo; 2) sia perche' la parte cui e' consentita la difesa personale subisce l'iniziativa processuale di un'altra per cui invece e' prescritta la difesa tecnica, a differenza dei procedimenti di insinuazione al passivo, dove la facolta' di difesa «in proprio» e' bilaterale (e la parte «convenuta» e' il fallimento); 3) sia perche' il «valore» della causa, evidentemente collegato alla natura degli interessi in gioco, non e' qualitativamente comparabile a quello delle controversie in cui la decisione avviene secondo equita', a quello delle controversie di cui all'art. 14 del decreto legislativo n. 150/2011 (trattandosi di credito per prestazioni professionali) o a quello delle controversie tributarie in cui e' consentito alla parte di stare in giudizio personalmente (art. 12, comma II del decreto legislativo n. 546/1992); 4) sia perche' la regola di riparto dell'onere probatorio e' diversa da quella vigente nel giudizio di primo grado di opposizione a sanzione amministrativa, in cui il giudice accoglie l'opposizione «quando non vi sono prove sufficienti della responsabilita' dell'opponente» (art. 6, comma XI del decreto legislativo n. 150/2011). Per quanto riguarda le cause di competenza del giudice di pace, si osserva che, ove il valore sia superiore a euro 1.100,00, opera un regime giuridico per cui l'obbligatorieta' della difesa tecnica vale come principio derogabile su «autorizzazione» (art. 82, comma II del codice di procedura civile), bilanciamento non riprodotto in materia di convalida di sfratto, di competenza del Tribunale; davanti all'ufficio giudiziario «superiore» (seppure la competenza qui sia «per materia»), quindi, lo standard di tutela giurisdizionale si abbassa invece di innalzarsi. Del resto, se l'art. 660, comma VI del codice di procedura civile fu introdotto nel 1995, epoca in cui la competenza in materia di convalida di sfratto era del pretore, per compensare il venir meno della facolta' di autorizzare la parte a stare in giudizio di persona, e' lecito ritenere che, una volta trasferita la competenza al Tribunale (dal 1998 in poi), ove, salve le eccezioni prima menzionate, la difesa nelle cause civili deve esplicarsi attraverso il ministero di un difensore, non sussista piu' la ragione di ordine pratico che poteva giustificare la novella legislativa del 1995, ovvero il consolidamento di una prassi normalmente seguita davanti all'ufficio giudiziario (ora, non piu') competente e che, per altro verso, caratterizza oggi la difesa delle parti davanti al giudice di pace. Il confronto con il procedimento monitorio rivela invece che l'ingiunto, anche per poche migliaia di euro, se certamente puo' scegliere di non opporre il decreto ingiuntivo (cosi' come l'intimato, la cui contumacia ha gli stessi effetti della mancata opposizione), per interloquire con il giudice deve (a differenza dell'intimato) costituirsi a mezzo di un difensore, cosi' come accade al destinatario del ricorso nei procedimenti cautelari, pur nella brevita' del termine a difesa. Il Tribunale osserva infine che, di recente, la Cassazione civile - sentenza n. 21930/2018, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 14, comma I-bis del testo unico sull'immigrazione nella parte in cui non prevede che il procedimento di convalida della misura della consegna del passaporto per il cittadino straniero attinto da decreto prefettizio di espulsione si svolga in udienza con l'assistenza obbligatoria di un difensore. Non tutte le condizioni soggettive che giustificano il decreto di espulsione hanno a che fare con la pericolosita' (scadenza del permesso di soggiorno e mancato rinnovo nel termine di sessanta giorni). L'obiezione classica che si muove al ragionamento fin qui condotto e' pero' quella per cui la comparizione personale e', appunto, una facolta' di cui l'intimato puo' non avvalersi, nominando un difensore. Come si accennava in precedenza, e' del tutto plausibile che di tale facolta' l'intimato in uno sfratto per morosita' sia lieto di avvalersi, dal momento che gli consente di risparmiare il corrispettivo per l'attivita' di un difensore attraverso cui costituirsi in una situazione di difficolta' economica. Ad avviso del Tribunale, e' abbastanza intuibile il circolo vizioso per cui un soggetto in condizioni di difficolta' economica, pure in ipotesi bisognoso di una tutela giurisdizionale, non solo «formale», ma ricca di contenuti complessi (cio' che puo' accadere pure all'interno di un procedimento per convalida di sfratto), sia ben disposto a optare per la comparizione personale, pertanto: 1) ponendo in essere in maniera inavvertita comportamenti processuali da cui dipendono decisioni che incidono su un suo diritto di natura personale; 2) difendendosi in modo asimmetrico rispetto alla sua controparte rappresentata da un professionista; 3) pregiudicando le possibilita' di ottenere una pronuncia favorevole, provvisoria o definitiva; 4) peggiorando, in ultima analisi, le sue pregresse condizioni di difficolta'. Schematizzando, senza pretese di esaustivita', puo' accadere che: 1) l'intimato si opponga alla convalida in una situazione in cui un difensore gli consiglierebbe di non opporsi (perche' sarebbe in ogni caso destinatario di un ordine provvisorio di rilascio con scarsissime o inesistenti possibilita' di ottenere una pronuncia favorevole nel rito mutato); 2) l'intimato si opponga alla convalida in una situazione in cui un difensore strutturerebbe la sua opposizione in modo tale da non renderlo destinatario di un ordine provvisorio di rilascio; 3) l'intimato non si opponga alla convalida, chiedendo o meno il termine ex art. 55, legge n. 392/1978, in una situazione in cui un difensore gli consiglierebbe di opporsi, perche', destinatario o meno di un ordine provvisorio di rilascio, avrebbe buone possibilita' di ottenere una pronuncia favorevole nel rito mutato; 4) per quel che qui rileva, l'intimato non si opponga alla convalida, chiedendo il termine ex art. 55, legge n. 392/1978, in una situazione per cui un difensore sarebbe in grado di fare emergere, gia' all'udienza di comparizione, il comportamento ostativo del locatore rispetto all'ottenimento del contributo per la morosita' incolpevole che consentirebbe al conduttore di sanarla, nonche' la sussistenza dei requisiti per accedervi. Il passaggio critico e', con ogni evidenza, quello per cui le condizioni di difficolta' economica rischiano di incidere negativamente sulla qualita' dell'esplicazione della tutela giurisdizionale dei diritti, alterando la parita' delle parti all'interno del procedimento per convalida di sfratto; cio' soprattutto perche' l'intimato, proprio in ragione delle sue condizioni di difficolta', materiale e morale (come e' lecito supporre quando si rischia di perdere la propria abitazione), puo' non essere in grado, in solitudine e a priori, di valutare l'idoneita' delle proprie ragioni giuridiche, se esistenti e documentate (e molto ci sarebbe da dire sulla capacita' tecnica di documentarle), a evitare, in caso di opposizione, l'ordine provvisorio di rilascio ovvero una pronuncia definitiva sfavorevole a seguito del mutamento del rito, con l'aggravio di spese conseguente. La facolta' di accedere al patrocinio a spese dello Stato, pure riconosciuta dalla Corte di cassazione (sentenza n. 164/2018) «in ogni giudizio civile, pure di volontaria giurisdizione, ed anche quando l'assistenza tecnica del difensore non e' prevista come obbligatoria», non elide questa criticita', sia per gli obiettivi ostacoli alla conoscenza dell'istituto per un'ampia fascia di persone destinatarie di un'intimazione di sfratto (di cui e' lecito supporre la marginalita' sociale e, dunque, l'esistenza di condizioni di difficolta' economica, materiale, tecnica, linguistica), sia per la brevita' del termine a difesa nel procedimento di convalida. La necessita' della difesa tecnica da parte di un difensore rappresenta spesso il logico presupposto della presentazione dell'istanza di ammissione al beneficio, di cui l'avente diritto viene a conoscenza proprio grazie al difensore (si pensi alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, dove e' giustamente prevista l'assistenza legale obbligatoria). Ne', come e' ovvio, puo' costituire una giustificazione di questo assetto il timore delle ripercussioni sull'erario di un accesso massivo degli aventi diritto, tra gli intimanti nei procedimenti per convalida di sfratto, al gratuito patrocinio. Quindi, proprio ai soggetti bisognosi di maggiore tutela (le persone che si trovano in difficolta' economica tale da non poter piu' pagare i canoni di locazione, ma che potrebbero addurre ragioni giuridiche o circostanze di fatto idonee a ottenere una pronuncia favorevole nel procedimento sommario ovvero a seguito di mutamento del rito) si offre, per uno strano paradosso, una facolta' - la comparizione personale - che puo' facilmente risolversi in una deminutio. L'argomento per cui la garanzia di una piu' effettiva tutela dei loro diritti e' «a loro disposizione» (potendosi munire di un difensore a spese proprie o a spese dello Stato) o, al limite, differita (potendosi aprire, a seguito di opposizione, il giudizio a cognizione piena in cui e' obbligatoria, nel caso di costituzione, l'assistenza di un difensore, ma dopo che l'intimato e' stato, con ogni probabilita', destinatario di un'ordinanza di rilascio ex art. 665 del codice di procedura civile) ad avviso del Tribunale, nell'attuale contesto socio-economico, rischia di essere fuorviante. L'argomento per cui la facolta' di difendersi personalmente si raccorda alla brevita' del termine a difesa, sulla base dell'assunto per cui nei venti giorni liberi non ci sarebbe tempo di trovare un difensore a spese proprie o di concludere il procedimento di ammissione al gratuito patrocinio (problemi a cui potrebbe avviarsi attraverso buone prassi da concordare con il Foro; per quanto si tratti di un sistema giuridico diverso, la dottrina nordamericana ha suggerito alle Corti «di introdurre come requisito di validita', in ogni atto di citazione da notificare alla controparte, accanto alla vocatio in jus, la chiara menzione dell'eventuale appointment of counsel per il caso di indigenza del convenuto. Tale notice, rendendo tempestivamente edotto il non abbiente del suo diritto costituzionale, potrebbe senza dubbio indurlo a comparire in giudizio e ad usufruire, cosi', dei benefici del legal aid»), non e' persuasivo per il suo indulgere a una sorta di «china discendente», per cui la minor difesa, sotto un certo aspetto, giustificherebbe una minor difesa sotto un altro aspetto, con il rischio implicito, e costituzionalmente inaccettabile, che la china non si arresti. Il procedimento per convalida di sfratto e' invece un processo in cui i principi espressi dagli articoli 24 e 111 della Costituzione reclamano piena e compiuta attuazione (o, almeno, non in misura minore rispetto alle altre cause civili, che possono essere anche di contenuto solo economico): 1) per la rilevanza degli interessi in gioco; 2) per la duplice cognizione sommaria che vi si esplica (considerando anche l'ordinanza provvisoria di rilascio); 3) per la fragilita' dei soggetti coinvolti (vittime della crisi del settore produttivo e della conseguente instabilita' dei rapporti di lavoro, circostanze la cui diacronia rispetto alle epoche in cui fu vagliata la legittimita' costituzionale del procedimento di cui si tratta e' del tutto evidente, tenuto conto che i fenomeni migratori hanno ampliato le categorie di persone bisognose di alloggio e, al tempo stesso, esposte alla difficolta' di trovare le risorse economiche per adempiere alle proprie obbligazioni); 4) per le tempistiche accelerate che lo caratterizzano (in funzione del rapido ottenimento di un titolo esecutivo); 5) per l'esistenza di forme di contributo pubblico che ne possono orientare l'esito. Il Tribunale non ignora che la Corte costituzionale: 1) con sentenze numeri: 89/1972, 94/1973, 171/1974, 94/1979 e con ordinanza n. 69/1988 ha dichiarato infondate le questioni di legittimita' costituzionale variamente prospettate in relazione agli articoli 657, 660, 663, 665 del codice di procedura civile, ma non sotto lo specifico profilo dell'incidenza della (possibile, anche all'epoca, in relazione alla competenza, prima ripartita - a seconda del valore - tra conciliatore e pretore, poi solo del pretore) assenza di difesa tecnica sull'effettivita' della tutela giurisdizionale dell'intimato nel procedimento per convalida di sfratto e in un contesto sociale ed economico diverso da quello attuale; 2) piu' in particolare, dopo l'inserimento dei commi V e VI a opera del decreto-legge n. 432/1995 convertito in legge n. 534/1995, con ordinanza n. 448/1998, ha dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale prospettata in relazione all'art. 660, comma V del codice di procedura civile, incidentalmente «considerando anche la particolare disciplina del procedimento per convalida di sfratto, che attribuisce all'intimato la facolta' di comparire personalmente in udienza per opporsi alla convalida», ai sensi del comma successivo, ma da tale affermazione non si traggono convincimenti in ordine ai profili qui sollevati, diversi e in parte fondati su una norma costituzionale vigente dal 1999. Tanto premesso, occorre sospendere la causa promossa dagli intimanti, promuovendo, nell'ambito della stessa, questione incidentale di legittimita' costituzionale. Tale questione, stante quanto fin qui esposto, ha ad oggetto, in via graduata: 1) l'art. 660, comma VI del codice di procedura civile ove si prevede che «ai fini dell'opposizione e del compimento delle attivita' previste negli articoli da 663 a 666, e' sufficiente la comparizione personale dell'intimato»; 2) l'art. 663 del codice di procedura civile nella parte in cui, prevedendo che «se l'intimato [...] comparendo non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto», comprende le ipotesi in cui la comparizione personale dell'intimato ne ha pregiudicato la difesa; 3) l'art. 55, ultimo comma, legge n. 392/1978 nella parte in cui, prevedendo che «il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto», non comprende, tra i casi di esclusione della risoluzione, le ipotesi in cui la comparizione personale dell'intimato ne ha pregiudicato la difesa. Rispetto a tali norme, non essendo praticabile un'interpretazione adeguatrice o estensiva, si pone un dubbio - a parere del Tribunale, non manifestamente infondato - di conformita' rispetto: 1) al parametro costituito dal principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, in particolare sotto il profilo del diritto di difesa, di cui all'art. 24 della Costituzione, in quanto tali norme consentono la convalida dello sfratto, cioe' la risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo, all'esito di un processo in cui le ragioni giuridiche o di fatto che l'intimato avrebbe potuto addurre a suo favore, in ogni scansione processuale, ponendo in essere in maniera avvertita i comportamenti processuali che indirizzano, secondo le variabili previste, in senso per se' vantaggioso il corso del procedimento, non sono state addotte o sono state addotte in maniera incompleta o inefficace, mediante l'adozione (o l'omissione) di comportamenti processuali - significativamente incidenti su un proprio diritto di natura personale - non assistiti dal patrocinio di un difensore abilitato; 2) al parametro costituito dal principio del «giusto processo» di cui all'art. 111 della Costituzione, inteso come presidio contro l'esercizio dell'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, in quanto tali norme consentono che la minore effettivita' della tutela giurisdizionale dell'interesse sostanziale dell'intimato rispetto alla tutela giurisdizionale dell'interesse sostanziale dell'intimante possa risolversi nell'adozione di una pronuncia favorevole all'intimante, e sfavorevole all'intimato, che non sarebbe stata adottata se vi fosse stato equilibrio nella tutela giurisdizionale degli interessi contrapposti; 3) al parametro costituito dal principio del «contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita'», sancito dall'art. 111, comma II della Costituzione, in quanto tali norme consentono la convalida dello sfratto, cioe' la risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo all'esito di un processo in condizioni di obiettiva disparita' tra le parti che siano comparse, l'una assistita da difesa tecnica, l'altra non assistita da difesa tecnica, ove entrambe abbiano ragioni giuridiche o di fatto da addurre ai fini di una decisione favorevole; 4) al parametro costituito dall'art. 3, comma II della Costituzione inteso come ragionevolezza, che esclude il trattamento diverso di situazioni analoghe, quali, nella specie, devono essere ritenute: 4.1) la condizione dell'intimante nel procedimento per convalida di sfratto per morosita'; 4.2) la condizione dell'intimato che intenda contraddire nel procedimento per convalida di sfratto per morosita' e che abbia ragioni giuridiche o di fatto da addurre ai fini di una decisione per se' favorevole; infatti, tali norme consentono che, a fronte di un'obbligatoria introduzione delle ragioni giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini di una decisione favorevole con l'ausilio di una difesa tecnica nel primo caso, le ragioni giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini di una decisione favorevole siano veicolate nel procedimento senza l'ausilio di una difesa tecnica nel secondo caso (cio' che puo' tradursi, peraltro, nella loro inefficace, incompleta o tardiva allegazione); 5) al parametro costituito dall'art. 3, comma II della Costituzione inteso come ragionevolezza, che esclude il trattamento diverso di situazioni analoghe, quali, nella specie, devono essere ritenute: 5.1) la condizione del convenuto che intenda contraddire nelle ordinarie cause di risoluzione di contratti a prestazioni corrispettive di valore superiore a euro 1.100,00 (nonche' la condizione del convenuto in una causa di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento dell'obbligo di pagamento dei canoni, quale che sia il valore, nelle forme dell'art. 447-bis del codice di procedura civile); 5.2) la condizione dell'intimato che intenda contraddire nel procedimento per convalida di sfratto per morosita'; infatti, tali norme consentono che, a fronte di un'obbligatoria introduzione nel processo con l'ausilio di una difesa tecnica delle ragioni giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini di una decisione favorevole nei casi sub 5.1, le ragioni giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini di una decisione favorevole siano veicolate nel processo senza l'ausilio di una difesa tecnica nei casi sub 5.2 (cio' che puo' tradursi, peraltro, nella loro inefficace, incompleta o tardiva allegazione); 6) al parametro costituito dall'art. 3, comma II della Costituzione inteso come ragionevolezza, che esclude il trattamento diverso di situazioni analoghe, quali, nella specie, devono essere ritenute: 6.1) la condizione del resistente nei procedimenti cautelari e la condizione dell'ingiunto nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo; 6.2) la condizione dell'intimato che intenda contraddire nel procedimento per convalida di sfratto per morosita'; infatti, tali norme consentono che, a fronte di un'obbligatoria introduzione nel processo con l'ausilio di una difesa tecnica delle ragioni giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini di una decisione favorevole nei casi sub 6.1, le ragioni giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini di una decisione favorevole siano veicolate nel processo senza l'ausilio di una difesa tecnica nel caso sub 6.2 (cio' che puo' tradursi, peraltro, nella loro inefficace, incompleta o tardiva allegazione). La questione, oltreche' non manifestamente infondata, per quanto fin qui esposto, appare anche dotata di rilevanza rispetto alla fattispecie in esame: dall'applicazione delle norme, che tra loro si sorreggono e della cui costituzionalita' si dubita, il Tribunale non puo' prescindere per la definizione della controversia sottoposta al suo esame, in cui la risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo e' imposta da una situazione processuale verosimilmente venutasi a creare per l'assenza di difesa tecnica dei conduttori, che avrebbero potuto meglio esplicare, se invece assistiti, la loro tutela giurisdizionale in relazione all'accesso al contributo per la morosita' incolpevole e al comportamento ostativo dei locatori. Sotto questo profilo, si osserva, con particolare riferimento all'art. 660, comma VI del codice di procedura civile, che il requisito della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale impone di verificare l'incompatibilita' della predetta norma con i principi sopra elencati solo «a valle», cioe' all'esito di un procedimento per convalida di sfratto in cui sia emerso (come nel caso di specie, mediante la dichiarazione dell'agente immobiliare che ha confermato il flatus vocis dei conduttori comparsi personalmente) il venir meno dell'unica ratio che pare giustificare la disciplina eccentrica rispetto alla generalita' dei procedimenti civili, cioe' la tendenziale assenza, per l'intimato, sulla base di una valutazione presuntiva del legislatore, di ragioni astrattamente utili per ottenere una decisione (anche solo provvisoria) favorevole. Ove tale ratio venga meno, come nel caso di specie, la difesa tecnica per l'intimato che intenda contraddire nel procedimento per convalida di sfratto per morosita' pare un requisito indispensabile e costituzionalmente imposto. Un'eventuale valutazione «a monte», cioe' non appena l'intimato compaia non assistito da difesa tecnica, pare sconsigliata sia dalla (ir)rilevanza della questione (in quella fase, solo potenziale), sia dalla forma di contro-abuso cui si presterebbe, dal momento che occorrerebbe, in ogni ipotesi (ivi comprese quelle in cui la comparizione personale non determini alcun pregiudizio alla difesa dell'intimato), sospendere il procedimento. Infine, il Tribunale sottolinea che la rilevanza della questione, nel caso di specie, non e' determinata dal positivo accertamento dell'esistenza dei requisiti per cui i conduttori avrebbero potuto ottenere l'erogazione del contributo di un contributo pubblico tale da sanare la morosita', ma dall'accertamento di un profilo (l'esistenza o meno dei requisiti per cui i conduttori avrebbero potuto ottenere l'erogazione del contributo di un contributo pubblico tale da sanare la morosita', nonche' dell'obbligo del locatore di prestare il suo consenso) che avrebbe potuto e dovuto entrare nel thema decidendum e nel thema probandum della presente causa, sia nella fase sommaria, anche in funzione della richiesta di concessione del termine ex art. 55, legge n. 392/1978, sia, se del caso, nella fase a cognizione piena a seguito del mutamento del rito, in base ad allegazioni, produzioni documentali, scelte processuali effettuate dai conduttori con l'ausilio della difesa tecnica (la cui assenza, per le ragioni sopra esposte, non puo' essere «imputata» agli intimati, anche in considerazione della natura personale del loro interesse in gioco). Il Tribunale e' consapevole che un'eventuale declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 660, comma VI del codice di procedura civile avrebbe un impatto molto piu' significativo sul funzionamento del procedimento per convalida di sfratto rispetto agli altri profili qui sollevati «in subordine», sul presupposto del mantenimento in vigore dell'art. 660, comma VI del codice di procedura civile. Ritiene, tuttavia, che questa norma apra a un rischio intollerabile a Costituzione vigente: che l'interesse abitativo di una persona o di un nucleo familiare, spesso in condizioni di difficolta' economica, sia sacrificato quando non ce ne siano i presupposti, perche' l'assenza di questi presupposti non e' stata, o non e' stata efficacemente, rappresentata nel processo (con la poco appagante - a tutto voler concedere - giustificazione che cio', in fondo, e' accaduto, per sua «scelta») da un difensore che «avra' modo di dire la sua parola, che a volta potra' essere decisiva, al momento giusto», come si legge nella relazione al codice del 1940, par. 33. Nessuna preclusione alla proponibilita' della questione incidentale puo' derivare dalla natura sommaria del rito esperito dagli intimanti, comunque annoverabile tra i possibili giudizi a quibus, stante l'idoneita' ad assumere efficacia omogenea a quella del giudicato ex art. 2909 del codice civile del provvedimento definitorio del presente giudizio.