TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA 
 
    Il  giudice  sciolta  la  riserva  assunta  all'udienza  del   24
settembre 2019, ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Con l'atto introduttivo del presente giudizio  per  convalida  di
sfratto, Riccardo Paolini ed Edoardo Paolini hanno allegato: 
        1) contratto di locazione ad  uso  abitativo  del  1°  luglio
2017, regolarmente registrato, stipulato con Salvatore  Carlomagno  e
Blanca  Marina  Gonzales  Garcia  avente  per  oggetto  il  godimento
dell'immobile in Modena descritto in atto di intimazione; 
        2) l'inadempimento dei conduttori in relazione a: 2.1) canoni
dovuti per le  mensilita'  di  settembre,  novembre,  dicembre  2018,
febbraio, marzo 2019, per complessivi  euro  2.950,00;  2.2)  mancato
rimborso di oneri accessori per euro 750,00. 
    All'udienza 14 maggio 2019, i conduttori, comparsi personalmente,
hanno fatto presente: 
        1) di aver diritto a un  contributo  pubblico  per  morosita'
incolpevole; 
        2) di aver consegnato  a  parte  locatrice,  tramite  agenzia
immobiliare, il relativo modulo in vista  dell'acquisizione  del  suo
consenso; 
        3) di non aver ottenuto la restituzione del modulo. 
    Per le ragioni esposte a verbale di udienza,  e'  stato  disposto
l'ordine  di  esibizione  nei  confronti  del  legale  rappresentante
dell'agenzia immobiliare. 
    All'udienza 18 giugno 2019, a seguito della verifica  dell'omessa
comunicazione al terzo dell'ordine di esibizione, poi reiterato il 19
giugno 2019, i conduttori hanno chiesto il termine ex art.  55  della
legge n. 392/1978. 
    In data 13 settembre 2019 il legale  rappresentante  dell'agenzia
immobiliare ha depositato in cancelleria una dichiarazione in cui  ha
dato atto di aver consegnato la richiesta di  contributo  a  Riccardo
Paolini il 12 marzo 2019 e di non averla poi ricevuta in restituzione
in  quanto  i  locatori  gli  avrebbero  riferito   di   non   essere
intenzionati a prestare il consenso necessario per  l'erogazione  del
contributo ai conduttori. 
    All'udienza 24 settembre 2019 parte locatrice, in  considerazione
della  mancata  sanatoria  della  morosita',  ha  insistito  per   la
convalida dello sfratto. 
    La norma che il Tribunale e' chiamato ad applicare, in  esito  al
procedimento disciplinato dagli articoli  657  e  ss  del  codice  di
procedura civile, e' l'art.  55  della  legge  n.  392/1978,  ove  si
prevede: 
        La morosita' del conduttore nel pagamento dei canoni o  degli
oneri di cui all'art. 5 puo' essere sanata in sede giudiziale per non
piu' di tre volte nel corso di un quadriennio se il  conduttore  alla
prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per
gli oneri accessori maturati  sino  a  tale  data,  maggiorato  degli
interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal
giudice. 
        Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice,  dinanzi
a comprovate condizioni di difficolta' del conduttore, puo' assegnare
un termine non superiore a giorni novanta. 
        In tal caso rinvia l'udienza a non oltre dieci  giorni  dalla
scadenza del termine assegnato. 
        La morosita' puo' essere sanata,  per  non  piu'  di  quattro
volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine  di
cui al secondo comma e'  di  centoventi  giorni,  se  l'inadempienza,
protrattasi per non oltre due  mesi,  e'  conseguente  alle  precarie
condizioni economiche del conduttore, insorte  dopo  la  stipulazione
del contratto e  dipendenti  da  disoccupazione,  malattie  o  gravi,
comprovate condizioni di difficolta'. 
        Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude
la risoluzione del contratto. 
    Secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita',  la  richiesta  di
concessione del termine ex art. 55 della legge n. 392/1978  manifesta
una volonta' incompatibile  con  quella  di  opporsi  alla  convalida
(Cassazione - sentenza n. 5540/2012). Pertanto, l'art. 55 della legge
cit. puo' essere considerato un'ipotesi speciale  dell'art.  663  del
codice di procedura  civile  nella  parte  in  cui  prevede  che  «se
l'intimato [...] comparendo non si oppone, il  giudice  convalida  la
licenza o lo sfratto». 
    A  sua  volta,  la   non   opposizione   dell'intimato   comparso
personalmente, come nel caso  di  specie,  presuppone  l'operativita'
dell'art. 660, comma VI  del  codice  di  procedura  civile,  ove  si
prevede  che  «ai  fini  dell'opposizione  e  del  compimento   delle
attivita' previste negli articoli da 663 a  666,  e'  sufficiente  la
comparizione personale dell'intimato». 
    Il Tribunale e' consapevole che l'art. 55 della legge n. 392/1978
costituisce una norma eccezionale che deroga al  principio  per  cui,
una  volta  che  il  creditore  abbia  chiesto  la  risoluzione   del
contratto, il debitore  inadempiente  «non  puo'  piu'  adempiere  la
propria obbligazione» (art. 1453, comma III del codice civile). 
    La rigidita' del  meccanismo  introdotto  dalla  concessione  del
termine cd «di grazia» pare costituire una sorta di compensazione per
il  sacrificio,  normalmente  non  contemplato,  dell'interesse   del
creditore, che abbia  chiesto  la  risoluzione,  al  venir  meno  del
rapporto contrattuale. In altri  termini,  una  volta  intrapreso  il
sub-procedimento di sanatoria, all'udienza di verifica il giudice non
puo' e non deve fare altro che accertare se  sia  stato  eseguito  il
«pagamento» cosi' come indicato dall'art.  55,  ultimo  comma,  legge
cit. 
    Se il pagamento non e' avvenuto, il giudice deve  convalidare  lo
sfratto per morosita', cioe' deve risolvere il contratto di locazione
ad uso abitativo. 
    Nel caso di specie, l'applicazione dell'art. 55 della legge  cit.
confligge con l'acquisizione al processo di elementi che  inducono  a
ritenere che le condizioni che impongono al giudice di  risolvere  il
contratto, incidendo sull'interesse abitativo dei  conduttori,  siano
state generate dalla disparita' tra le due parti  processuali,  l'una
assistita da difesa tecnica, l'altra non assistita da difesa tecnica,
palesandosi cosi', con rilievo decisivo ai fini della presente causa,
una violazione dei principi di cui  all'art.  24  della  Costituzione
(effettivita' della tutela  giurisdizionale)  e  all'art.  111  della
Costituzione (giusto processo). 
    Il primo indice di questa disparita' si e' avuto all'udienza  del
14 maggio 2019, in cui i conduttori  hanno  fatto  presente  di  aver
chiesto, tramite l'agente immobiliare,  ai  locatori  di  firmare  il
modulo per il contributo per la «morosita' incolpevole». L'assenza di
un difensore ha impedito ai conduttori, non a conoscenza del disposto
di cui all'art. 210 del codice di procedura civile, di  formulare  la
relativa istanza e cio' ha indotto questo giudicante a emettere,  con
un'obiettiva forzatura del dato normativo, l'ordine di esibizione nei
confronti  dell'agente  immobiliare,  indicato  dai  conduttori  come
probabile detentore del documento. 
    Il passaggio argomentativo cruciale  e'  pero'  costituito  dalla
definizione  dell'incidenza  della  disciplina  pubblicistica   della
«morosita' incolpevole» sul piano civilistico,  sia  sostanziale  (il
rapporto di locazione) sia processuale (il procedimento per convalida
di sfratto). 
    Ad avviso del Tribunale, se l'erogazione del contributo  pubblico
prevede, come nel caso di specie,  in  base  ai  criteri  applicativi
vigenti, il necessario consenso del locatore, la mancata adesione del
predetto non puo' generare, sia sul piano sostanziale, sia sul  piano
processuale, effetti negativi per il  conduttore  che  versi  in  una
«situazione di sopravvenuta impossibilita' a provvedere al  pagamento
del canone locativo a ragione della perdita o  consistente  riduzione
della capacita' reddituale  del  nucleo  familiare»,  in  conseguenza
degli eventi indicati nella disciplina di riferimento  (decreto-legge
31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28
ottobre 2013,  n.  124;  in  particolare,  l'art.  6,  comma  V,  che
istituisce presso il Ministero delle infrastrutture e  dei  trasporti
un Fondo destinato agli inquilini  morosi  incolpevoli;  decreto  del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti  30  marzo  2016,  che
indica le concrete modalita' applicative). 
    Una  diversa  conclusione  colliderebbe  con  la  ormai  compiuta
acquisizione giuridica secondo cui la clausola di buona fede in senso
obiettivo   costituisce   fonte   di   obblighi   di   considerazione
dell'interesse  della  controparte,  nei   limiti   dell'apprezzabile
sacrificio, in ogni  fase,  anche  quella  patologica,  del  rapporto
obbligatorio. 
    Sul punto basti menzionare, in termini generali, la pronuncia  n.
21255/2013 della Corte di cassazione, in cui  si  chiarisce  che  «il
rapporto obbligatorio precede e segue  l'integrazione  della  vicenda
negoziale - intesa nella sua duplice dimensione di fatto storico e di
fattispecie programmatica - ed e' integrato  nella  sua  piu'  intima
essenza da doveri  di  comportamento  che  [...]  appaiono  piuttosto
funzionali a governare secondo buona fede i differenti aspetti  della
complessa vicenda  interpersonale  dipanatasi  tra  le  parti,  cosi'
operando nella (diversa e piu' ampia) logica  del  rapporto  e  della
(complessita' della) fattispecie». 
    Questi doveri di comportamento condizionano, piu' in particolare,
anche l'esercizio dei diritti potestativi, dal momento che «anche  in
presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti  a
rispettare il principio generale della buona fede ed  il  divieto  di
abuso del diritto, preservando l'uno  gli  interessi  dell'altro.  Il
potere  di  risolvere  di  diritto  il  contratto  avvalendosi  della
clausola risolutiva  espressa,  in  particolare,  e'  necessariamente
governato dal principio di buona fede,  da  tempo  individuato  dagli
interpreti sulla base del dettato normativo  (articoli:  1175,  1375,
1356, 1366, 1371 del codice civile, ecc.) come direttiva fondamentale
per valutare l'agire dei privati e come concretizzazione delle regole
di  azione   per   i   contraenti   in   ogni   fase   del   rapporto
(precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del  contratto).  Il
principio di buona fede si pone allora, nell'ambito della fattispecie
dell'art. 1456 del codice civile,  come  canone  di  valutazione  sia
dell'esistenza  dell'inadempimento,  sia  del  conseguente  legittimo
esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto,  al  fine
di evitarne l'abuso ed impedendone l'esercizio ove contrario ad  essa
(ad esempio escludendo i  comportamenti  puramente  pretestuosi,  che
quindi  non  riceveranno  tutela  dall'ordinamento)»  (Cassazione   -
sentenza n. 23868/2015). 
    Gia' da tempo, la S.C. aveva peraltro affermato che «il principio
di  buona  fede  (intesa,  questa,  nel  senso  sopra  chiarito  come
requisito  della  condotta)  costituisce  ad  un  tempo  criterio  di
valutazione  e  limite  anche  del  comportamento  discrezionale  del
contraente dalla cui volonta' dipende (in parte) l'avveramento  della
condizione», in quanto e' «proprio l'elemento potestativo  quello  in
relazione al quale il dovere di comportarsi  secondo  buona  fede  ha
piu' ragion d'essere, perche' e' con riguardo a quell'elemento che la
discrezionalita' contrattualmente attribuita alla parte  deve  essere
esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza» (SS.UU. -
sentenza n. 18450/2005). 
    Dal punto di vista processuale, la Corte di cassazione, a partire
da SS.UU. n. 23726/2007, e' costante nell'affermare due principi: 
        «a) la regola di correttezza  e  buona  fede,  che  specifica
all'interno del rapporto obbligatorio la necessita' di soddisfare gli
"inderogabili  doveri  di  solidarieta'",  il  cui   adempimento   e'
richiesto dall'art. 2 della Costituzione, regola  che  viene  violata
quando il creditore  aggravi  ingiustificatamente  la  posizione  del
debitore; b) la garanzia del processo giusto e di durata  ragionevole
di cui al novellato art. 111 della Costituzione,  la  quale  esclude,
innanzi  tutto,  che  possa  ritenersi  "giusto"  il   processo   che
costituisca esercizio dell'azione in  forme  eccedenti,  o  devianti,
rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, che segna il limite,
oltreche'  la  ragione  dell'attribuzione,  al  suo  titolare,  della
potestas agendi» (Cassazione - sentenza n.  4228/2015,  ove  pure  si
scrive che l'art. 24 della  Costituzione  «tutelando  il  diritto  di
azione non esclude certamente che la legge  possa  richiedere,  nelle
controversie meramente patrimoniali, che per  giustificare  l'accesso
al giudice il valore  economico  della  pretesa  debba  superare  una
soglia minima di rilevanza, innanzi tutto economica e, quindi,  anche
giuridica»). 
    In questo quadro, il  Tribunale  ritiene  che  acconsentire  alla
richiesta del conduttore  in  vista  dell'erogazione  del  contributo
pubblico per  la  sanatoria  della  morosita'  (salvaguardando  cosi'
l'interesse,   abitativo,   della   controparte   contrattuale)   non
costituisca un apprezzabile sacrificio per il locatore, in assenza di
elementi che depongano in senso contrario (che il  locatore  dovrebbe
addurre in sede processuale), non foss'altro perche', in questo modo,
il suo credito per canoni ottiene soddisfazione. 
    Con riferimento al procedimento per convalida di sfratto,  appare
evidente  la  ratio  che  accomuna  la  disciplina  della   morosita'
incolpevole con la previsione della concessione del  termine  di  cui
all'art. 55 della legge n. 392/1978: la  conservazione  del  rapporto
contrattuale nei casi in cui, come e' stato  osservato  in  dottrina,
«il  conduttore  sia   incorso   incolpevolmente   nell'inadempimento
dell'obbligo di pagamento di quanto dovuto quale corrispettivo  della
locazione» ad uso abitativo. 
    La medesima dottrina  ha,  altresi',  auspicato  il  collegamento
delle disposizioni in tema di morosita' incolpevole con la previsione
dell'art. 55 della legge cit.;  questo  collegamento  e'  tanto  piu'
auspicabile,  ad  avviso  del  Tribunale,  in  quanto  la  menzionata
disciplina  pubblicistica  determina  la  possibile  confluenza   nel
procedimento sommario di questioni che la  sua  impalcatura  formale,
predisposta  avendo  a  mente  situazioni  di  facile   e   immediata
qualificazione, non sembra piu' in grado di sostenere. 
    Prima  di  approfondire  questo  aspetto,  puo'  dirsi   che   il
comportamento del locatore  che  non  acconsenta  all'erogazione  del
contributo per la morosita' incolpevole nei confronti del  conduttore
che ne abbia diritto in base ai criteri  stabiliti  dalla  disciplina
ministeriale  e  ripresi  nei  bandi  comunali  integri,  sul   piano
sostanziale, la violazione di un obbligo di considerare  l'interesse,
abitativo,  della  controparte  contrattuale   in   assenza   di   un
apprezzabile  sacrificio  per  l'interesse  proprio  e,   sul   piano
processuale, la compromissione dell'obiettivo  che  l'art.  55  della
legge n. 392/1978 si propone di raggiungere, ovvero  la  prosecuzione
del rapporto contrattuale tramite la sanatoria della morosita' dovuta
alle condizioni di difficolta' economica del conduttore. 
    Il Tribunale  e'  consapevole  che  tale  obbligo  a  carico  del
locatore puo' essere ricavato solo in via  interpretativa  alla  luce
dei principi prima esposti,  non  ravvisandosi  nella  disciplina  di
diritto pubblico, che pare invece  presupporre  un  libero  consenso.
Ritiene, tuttavia, difficilmente superabile l'argomento per  cui,  se
tutti  i  locatori  rifiutassero  di  aderire,  la  disciplina  sulla
morosita' incolpevole rimarrebbe, per lo  piu',  lettera  morta,  con
conseguente spreco di risorse pubbliche. 
    Se e' vero che l'art. 1, comma II del decreto del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti 31 maggio 2019 prevede che «le regioni
possono riallocare sul Fondo nazionale per il sostegno alla locazione
di cui all'art. 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431  e  successive
modifiche le risorse  (del  Fondo  destinato  agli  inquilini  morosi
incolpevoli) che risultino non utilizzate dai comuni, al netto  delle
procedure in corso, alla data del 30 giugno 2019», e'  altresi'  vero
che la neutralizzazione del mancato  utilizzo  di  tali  risorse,  in
ipotesi, anche solo in parte, imputabile ai locatori che non  abbiano
prestato il consenso alle richieste dei conduttori (ovvero a un  piu'
generale difetto di comunicazione, come pare  ipotizzare  il  decreto
ministeriale cit.),  mediante  il  sostegno  a  nuove  locazioni  «in
ingresso», non compensa l'incisione, gia' avvenuta,  degli  interessi
abitativi individuati e specifici di chi sia  stato  destinatario  di
una pronuncia di  risoluzione  del  contratto  di  locazione  ad  uso
abitativo che si sarebbe potuta evitare se il  contributo  gli  fosse
stato erogato. 
    In altri termini, l'allocazione  (futura)  di  risorse  in  vista
della  tutela  di  un  interesse  diffuso  (o  comunque,  non  ancora
individualizzatosi) non puo', ad avviso del  Tribunale,  giustificare
il mancato utilizzo (attuale) di quelle stesse risorse in vista della
tutela di un interesse specifico e individuale (di natura personale),
per cui erano state originariamente  previste  e  per  cui  sarebbero
esistite tutte le condizioni di erogazione salvo il mancato  consenso
del locatore, che si ripercuote  sulla  dimensione,  enucleata  dalla
giurisprudenza di legittimita', dinamica  e  composita  del  rapporto
obbligatorio. 
    Cio' posto, per quel che rileva ai fini della presente  causa,  i
conduttori  hanno  introdotto,  nei  limiti  dell'assenza  di  difesa
tecnica,  il  tema  del  mancato  consenso  dei  locatori  alla  loro
richiesta di contributo per la morosita' incolpevole. Solo a  seguito
dello spirare del termine ex art. 55  della  legge  n.  392/1978,  e'
pervenuta  nella   cancelleria   del   Tribunale   la   dichiarazione
dell'agente immobiliare che ha confermato la loro versione dei fatti,
precisando che il documento e' stato da lui consegnato ai locatori  e
non piu' restituito. 
    Quindi, il  Tribunale,  per  un  verso  dovrebbe  pronunciare  la
risoluzione del contratto per mancato pagamento entro il  termine  cd
di «grazia»; per un altro, sarebbe tenuto a farlo in  una  situazione
in cui e' processualmente acquisito un comportamento dei locatori che
ha impedito ai conduttori di accedere a un  contributo  pubblico  che
avrebbe potuto consentire  la  sanatoria  della  morosita'  entro  il
termine. 
    L'uso del condizionale e' deliberato. Infatti, ancora all'udienza
24 settembre 2019, non era certo che esistessero  tutti  i  requisiti
che avrebbero consentito ai conduttori di accedere al contributo. 
    Sul punto, il Tribunale si limita a evidenziare che: 
        1) una volta notificato l'atto  di  intimazione,  i  locatori
hanno determinato l'esistenza di uno dei requisiti  per  l'ammissione
dei conduttori al contributo (art. 3, comma I, lettera b) del decreto
ministeriale 30 marzo 2016); 
        2) almeno una delle forme di contributo previste dal  decreto
ministeriale (art. 5, comma I, lettera a) era astrattamente in  grado
di  coprire  la  morosita'   allegata   dagli   intimanti   nell'atto
introduttivo; 
        3) sebbene l'art. 5, comma I, lettera a) parli  di  «rinuncia
all'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile», cio' non
debba  intendersi  come  necessaria  presenza  di  una  pronuncia  di
convalida  di  sfratto,  dal  momento  che  la  normativa  pone  come
requisito per l'ammissione solo la notifica di un atto di intimazione
e che la ratio e'  evidentemente  quella  di  non  far  risolvere  il
contratto di locazione (quindi dovrebbe intendersi che la rinuncia e'
necessaria solo ove il provvedimento di rilascio medio tempore vi sia
stato; per inciso, un'eventuale comportamento ostativo  dei  locatori
vanificherebbe lo scopo della normativa anche  nella  fase  esecutiva
post-convalida); 
        4) il «consenso» del locatore ove il contributo sia richiesto
in pendenza di giudizio di cognizione, se  del  caso  contestualmente
all'apertura del sub-procedimento di sanatoria  di  cui  all'art.  55
della legge  n.  392/1978,  pare  dunque  risolversi  soltanto  nella
disponibilita'  a  ricevere  il  pagamento  che   determinerebbe   la
sanatoria della morosita'. 
    Si  tratta  dunque  di  capire  quale  parte  sconti  il  mancato
assolvimento dell'onere di allegazione nel processo degli elementi il
cui rilievo emerge alla luce delle considerazioni sopra  esposte.  Se
non  fosse  che  il  documento  (il  modulo  da  firmare   consegnato
all'agente immobiliare perche' lo inoltrasse  ai  locatori)  non  era
piu'  nella  disponibilita'  dei  conduttori,  in  via  di  principio
dovrebbe trattarsi della parte intimata. 
    Tuttavia, il Tribunale ritiene che, in assenza di difesa  tecnica
(assenza consentita e - pare doversi dire, sul punto si  tornera'  in
seguito - agevolata dall'art. 660, comma VI del codice  di  procedura
civile), l'elaborazione di una strategia processuale che consenta  ai
conduttori di fare emergere, diversamente calibrando questi  elementi
a seconda delle varie scansioni procedimentali: 
        1) l'obbligo del locatore, fondato sulla  clausola  di  buona
fede in senso obiettivo e, dunque, sul principio di  solidarieta'  ex
art. 2 della Costituzione, di salvaguardare l'interesse abitativo del
conduttore prestando il suo consenso nella  richiesta  di  contributo
per la morosita' incolpevole; 
        2)  la  documentazione  che  comprovi  la   sussistenza   dei
presupposti dell'esistenza di questo obbligo (cioe', i requisiti  per
l'erogazione  ai  conduttori  del   contributo   per   la   morosita'
incolpevole  idoneo  a  sanare  la   morosita',   ivi   compresa   la
disponibilita' oggettiva delle risorse); 
        3) la derivazione  causale  dal  comportamento  del  locatore
della condizione  di  mancata  sanatoria  della  morosita'  entro  il
termine ex art. 55 della legge n. 392/1978; 
    sia inesigibile per chi non sia versato nelle materie giuridiche. 
    Retrospettivamente, a seguito della dichiarazione  depositata  in
cancelleria dall'agente immobiliare, e' possibile  ipotizzare  che  i
conduttori, qualora fossero stati assistiti da un avvocato, avrebbero
potuto: 
        1)  opporsi  alla  convalida  all'udienza  14  maggio   2019,
demandando al giudizio a cognizione piena, a seguito di mutamento del
rito, l'accertamento del loro diritto al contributo per la  morosita'
incolpevole e la mancata cooperazione  dei  locatori  in  tal  senso,
verosimilmente allegando prove  documentali  per  evitare  di  essere
esposti all'ordinanza di rilascio ex art. 665 del codice di procedura
civile; 
        2) in alternativa, chiedere il termine ex art. 55 della legge
n. 392/1978 previa dimostrazione dei requisiti  per  l'accesso  a  un
contributo per la morosita'  incolpevole  messo  a  disposizione  dal
Comune di  Modena,  idoneo  a  sanare  la  morosita',  stimolando  il
contraddittorio con i locatori sul punto; 
        3) evidenziare, all'udienza  di  verifica  del  24  settembre
2019, la derivazione causale della mancata sanatoria della  morosita'
dal comportamento  dei  locatori  ostativo  alla  concessione  di  un
contributo che avrebbe potuto sanarla (a nulla rilevando,  ad  avviso
del Tribunale che al contributo pubblico sia possibile accedere anche
in fase esecutiva, ove  peraltro  sarebbe  inutile  far  emergere,  a
rapporto ormai risolto,  l'inadempimento  dell'obbligo  collaborativo
del locatore). 
    Come si vede, la situazione processuale in cui  il  Tribunale  e'
chiamato a decidere sulla richiesta di convalida  di  sfratto  si  e'
determinata in  ragione  della  mancata  attivazione,  da  parte  dei
conduttori, di una serie di variabili che avrebbero potuto  innescare
diversi esiti e in cui avrebbe potuto trovare  corretta  esplicazione
l'effettivita' della tutela giurisdizionale dei loro diritti. 
    La  non  corretta  esplicazione  di  una  tutela  giurisdizionale
effettiva per i diritti dei conduttori, nel caso di  specie,  e',  ad
avviso del Tribunale, imputabile alla  facolta',  che  il  codice  di
procedura civile pure loro attribuisce, di comparire nel procedimento
per convalida di sfratto non assistiti da difesa tecnica. 
    In   termini   generali,   dalla   riflessione   della   dottrina
processualcivilistica  che  si  e'  interrogata  sul  fondamento  del
procedimento per convalida di sfratto e, in  particolare,  della  sua
peculiare cognizione sommaria, emerge come, in  tale  rito  speciale,
l'unica giustificazione del sacrificio della cognizione piena in tale
rito  speciale  sia  la   valutazione,   presuntiva,   compiuta   dal
legislatore, della scarsa consistenza delle difese del convenuto. 
    Piu'  in  particolare,  e  per  quel  che  qui  ci  occupa,  tale
valutazione presuntiva  pare  l'unica  spiegazione  plausibile  anche
della «sufficienza», come dice l'art. 660, comma  VI  del  codice  di
procedura civile (la norma e' entrata in vigore nel  1995,  epoca  in
cui la competenza in materia di  convalida  apparteneva  al  pretore,
verosimilmente per compensare il venir meno, con la riforma dell'art.
82 del codice di procedura civile da parte della legge  n.  374/1991,
della possibilita' di autorizzare la parte a  stare  in  giudizio  di
persona), della comparizione  personale  dell'intimato  ai  fini  del
compimento delle attivita' processuali tipiche del  procedimento  per
convalida di sfratto (oltre all'argomento, di carattere piu'  pratico
che giuridico, e, come si cerchera' di spiegare  meglio  in  seguito,
controproducente, della «possibilita' in piu'»). 
    Quindi,  ove  invece   si   manifesti   un'esigenza   di   tutela
giurisdizionale (derivante nel caso di  specie  dall'incidenza  della
disciplina pubblicistica sulla morosita' incolpevole sul rapporto  di
locazione), viene meno il fondamento stesso, se  non  del  sacrificio
della  cognizione  piena,  evitabile  attraverso  l'opposizione  alla
convalida (scelta processuale di cui e' pero'  agevole  sostenere  la
preferibilita' se effettuata tramite un  avvocato,  dal  momento  che
l'intimato cosi' si espone  a  un  possibile  ordine  provvisorio  di
rilascio ex art. 665 del codice  di  procedura  civile),  sicuramente
della facolta' per l'intimato di stare in giudizio non  assistito  da
difesa tecnica,  e  cio'  in  ogni  scansione  del  procedimento  per
convalida di sfratto. 
    In altri termini, la compatibilita' con i principi costituzionali
della facolta' dell'intimato di difendersi da solo  nel  procedimento
per convalida di sfratto sta e cade con l'assunto per cui tale difesa
sia in sostanza un guscio vuoto. 
    Se  cosi'  non  e',   e   se   dunque   un'esigenza   di   tutela
giurisdizionale si pone davvero, se del caso in base a prospettazioni
giuridiche complesse o a circostanze di fatto non agevoli da provare,
pare difficilmente superabile la duplice constatazione per  cui,  nel
procedimento per  convalida  di  sfratto  per  morosita',  la  tutela
giurisdizionale dell'intimato ha (a  tutto  voler  concedere)  minori
possibilita' di essere  effettiva  (rispetto  a  quella  degli  altri
convenuti nella quasi totalita' delle cause civili) e il processo non
si  svolge  in  condizioni  di  parita'  (rispetto  alla  controparte
processuale). 
    Si tratta, peraltro, della tutela giurisdizionale di un interesse
di natura personale  e  di  elevato  rango  costituzionale,  come  la
consulta ha avuto modo di affermare nella pronuncia n. 404/1988: 
        «[...] "il "diritto all'abitazione" rientra fra  i  requisiti
essenziali caratterizzanti la socialita' cui  si  conforma  lo  Stato
democratico voluto dalla  Costituzione  [...]  In  breve,  creare  le
condizioni minime di uno Stato sociale,  concorrere  a  garantire  al
maggior  numero  di  cittadini  possibile  un  fondamentale   diritto
sociale, quale quello all'abitazione, contribuire a che  la  vita  di
ogni persona rifletta ogni giorno e  sotto  ogni  aspetto  l'immagine
universale della dignita' umana, sono compiti cui lo Stato  non  puo'
abdicare in nessun caso". Altra sentenza di questa Corte (sentenza n.
49 del 1987) aveva gia' riconosciuto "indubbiamente doveroso da parte
della  collettivita'  intera  impedire  che  delle  persone   possano
rimanere prive di abitazione". 
        Tali statuizioni,  pur  espresse  in  ordine  allo  specifico
favor, di cui all'art. 47, secondo  comma,  della  Costituzione,  per
l'accesso del risparmio  popolare  alla  proprieta'  dell'abitazione,
hanno  una  portata  piu'  generale  ricollegandosi  al  fondamentale
diritto  umano  all'abitazione  riscontrabile  nell'art.   25   della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre
1948) e nell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti  economici,
sociali e culturali (approvato il  16  dicembre  1966  dall'Assemblea
generale  della  Nazioni  Unite  e'  ratificato  dall'Italia  il   15
settembre 1978, in seguito ad autorizzazione disposta  con  legge  25
ottobre 1977, n. 881)». 
    Anche piu' di recente, la Corte costituzionale ha  confermato  la
qualificazione del «diritto sociale  all'abitazione  che  e'  diritto
attinente alla dignita' e alla vita di  ogni  persona»  (sentenza  n.
106/2018). 
    I titolari di questo diritto, nei procedimenti per  convalida  di
sfratto  per  morosita',  sono  persone  che  spesso  si  trovano  in
condizioni di  marginalita'  sociale  e,  dunque,  nella  difficolta'
economica, materiale, tecnica  e  linguistica  di  articolare  difese
convincenti ai fini dell'ottenimento di una pronuncia favorevole  ove
ne sussistano i presupposti. 
    Il contrasto con l'art. 24 e  con  l'art.  111,  comma  II  della
Costituzione puo' dunque sintetizzarsi in questo: se e' vero  che  il
procedimento per convalida di sfratto si fonda su una presunzione  di
mancanza di contestazione effettiva o comunque su una presunzione  di
inconsistenza delle difese del convenuto, l'attivita' processuale che
consente di vincere questa presunzione dovrebbe essere affidata a  un
professionista, perche' potrebbe darsi il rischio, insostenibile  per
la Costituzione vigente, che un interesse di natura  personale  venga
pregiudicato quando non ci  siano  in  concreto  le  ragioni  che  ne
giustifichino il sacrificio, e cio' non solo perche' il  procedimento
e' a cognizione sommaria,  ma  anche  perche',  al  suo  interno,  il
convenuto «puo'» difendersi senza l'assistenza di un  professionista,
risolvendosi questa possibilita', paradossalmente, in un  vulnus  del
principio per cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le
parti, in condizioni di parita'». 
    Si  potrebbe  obiettare  che  l'obbligatorieta'   dell'assistenza
difensiva e' stata affermata dalla  Corte  costituzionale  «sempre  e
soltanto con riferimento  al  processo  penale  di  cognizione,  agli
incidenti  di  esecuzione  penale,  al  processo  per  le  misure  di
sicurezza, tra cui  il  ricovero  in  manicomio  giudiziario,  ed  al
processo  per   le   misure   di   prevenzione   [...]   procedimenti
caratterizzati, tutti,  dal  compimento  di  indagini  e  valutazioni
preordinate all'adozione ed esecuzione di misure penali o  di  misure
"che trovano causa  nella  pericolosita'  sociale  -  criminale"  del
soggetto». 
    Il Tribunale ritiene, tuttavia, che il punto non sia il confronto
con i provvedimenti che incidono sulle liberta' personali  e  che  si
fondano sulla pericolosita' del destinatario, ma il confronto con  le
ordinarie cause civili. In altri termini, il  problema  non  sta  nel
fatto che, nel procedimento di convalida, l'assistenza difensiva  non
e' obbligatoria (come nel processo penale) ma nel fatto  che,  se  il
convenuto/intimato sceglie di contraddire, l'assistenza difensiva non
e' obbligatoria, come nella quasi totalita' delle cause civili. 
    Per esempio,  il  convenuto  in  una  causa  di  risoluzione  del
contratto  di  compravendita  per   inadempimento   dell'obbligo   di
pagamento del prezzo, se intende costituirsi, deve  essere  assistito
da un difensore; il convenuto in una  causa,  peraltro  a  cognizione
sommaria, di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento
dell'obbligo di pagamento dei  canoni  puo'  comparire  senza  essere
assistito  da  un  difensore,   ponendo   in   essere   comportamenti
processuali  significativamente  incisivi   sul   proprio   interesse
sostanziale di natura  personale  (per  esempio,  l'opposizione  alla
convalida puo' determinare l'emanazione di  un'ordinanza  provvisoria
di rilascio ex art. 665 del codice di procedura civile). 
    A cio' si aggiunga che, in via di principio, la  risoluzione  del
contratto di locazione potrebbe essere  ottenuta  anche  nelle  forme
dell'art. 447-bis del codice di procedura civile; che la  controparte
contrattuale debba essere assistita da difesa  tecnica  (447-bis  del
codice di procedura civile) o possa non esserlo (657 e ss. del codice
di procedura civile), in relazione  alla  medesima  ipotesi,  dipende
dunque dalla strategia processuale prescelta dal locatore. 
    Ad avviso del Tribunale, il giudizio di risoluzione del contratto
di locazione per inadempimento dell'obbligo di pagamento dei  canoni,
pure  se  strutturato  nelle  forme  sommarie  del  procedimento  per
convalida di sfratto, non e'  equiparabile  alle  altri  procedimenti
giudiziari in cui e' ammessa la difesa personale delle parti: 
        1) sia perche' e' un giudizio di cognizione, a differenza del
procedimento  per  l'amministrazione  di  sostegno  o  del   processo
esecutivo; 
        2) sia perche' la parte cui e' consentita la difesa personale
subisce l'iniziativa  processuale  di  un'altra  per  cui  invece  e'
prescritta la  difesa  tecnica,  a  differenza  dei  procedimenti  di
insinuazione al passivo, dove la facolta' di difesa «in  proprio»  e'
bilaterale (e la parte «convenuta» e' il fallimento); 
        3)  sia  perche'  il  «valore»  della  causa,   evidentemente
collegato  alla   natura   degli   interessi   in   gioco,   non   e'
qualitativamente comparabile a quello delle controversie  in  cui  la
decisione avviene secondo equita', a quello delle controversie di cui
all'art. 14 del  decreto  legislativo  n.  150/2011  (trattandosi  di
credito per prestazioni professionali) o a quello delle  controversie
tributarie in cui e' consentito  alla  parte  di  stare  in  giudizio
personalmente  (art.  12,  comma  II  del  decreto   legislativo   n.
546/1992); 
        4) sia perche' la regola di riparto dell'onere probatorio  e'
diversa da quella vigente nel giudizio di primo grado di  opposizione
a sanzione amministrativa, in cui il giudice  accoglie  l'opposizione
«quando  non  vi  sono  prove   sufficienti   della   responsabilita'
dell'opponente»  (art.  6,  comma  XI  del  decreto  legislativo   n.
150/2011). 
    Per quanto riguarda le cause di competenza del giudice  di  pace,
si osserva che, ove il valore sia superiore a euro 1.100,00, opera un
regime giuridico per cui l'obbligatorieta' della difesa tecnica  vale
come principio derogabile su «autorizzazione» (art. 82, comma II  del
codice di procedura civile), bilanciamento non riprodotto in  materia
di  convalida  di  sfratto,  di  competenza  del  Tribunale;  davanti
all'ufficio giudiziario «superiore» (seppure la  competenza  qui  sia
«per materia»), quindi, lo  standard  di  tutela  giurisdizionale  si
abbassa invece di innalzarsi. 
    Del resto, se l'art. 660, comma VI del codice di procedura civile
fu introdotto nel 1995, epoca in cui  la  competenza  in  materia  di
convalida di sfratto era del pretore, per compensare  il  venir  meno
della facolta' di  autorizzare  la  parte  a  stare  in  giudizio  di
persona, e' lecito ritenere che, una volta trasferita  la  competenza
al Tribunale (dal  1998  in  poi),  ove,  salve  le  eccezioni  prima
menzionate, la difesa nelle cause civili deve  esplicarsi  attraverso
il ministero di un difensore, non sussista piu' la ragione di  ordine
pratico che poteva giustificare  la  novella  legislativa  del  1995,
ovvero il consolidamento di una prassi  normalmente  seguita  davanti
all'ufficio giudiziario (ora, non piu') competente e che,  per  altro
verso, caratterizza oggi la difesa delle parti davanti al giudice  di
pace. 
    Il confronto con il  procedimento  monitorio  rivela  invece  che
l'ingiunto, anche per poche migliaia  di  euro,  se  certamente  puo'
scegliere  di  non  opporre  il  decreto   ingiuntivo   (cosi'   come
l'intimato, la cui contumacia ha gli  stessi  effetti  della  mancata
opposizione), per interloquire con  il  giudice  deve  (a  differenza
dell'intimato) costituirsi a mezzo di un difensore, cosi' come accade
al destinatario del ricorso nei  procedimenti  cautelari,  pur  nella
brevita' del termine a difesa. 
    Il Tribunale osserva infine che, di recente, la Cassazione civile
- sentenza n. 21930/2018,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale in relazione all'art. 14, comma I-bis del testo  unico
sull'immigrazione nella parte in cui non prevede che il  procedimento
di convalida della  misura  della  consegna  del  passaporto  per  il
cittadino straniero attinto da decreto prefettizio di  espulsione  si
svolga in udienza con l'assistenza obbligatoria di un difensore.  Non
tutte  le  condizioni  soggettive  che  giustificano  il  decreto  di
espulsione hanno a  che  fare  con  la  pericolosita'  (scadenza  del
permesso di soggiorno e  mancato  rinnovo  nel  termine  di  sessanta
giorni). 
    L'obiezione  classica  che  si  muove  al  ragionamento  fin  qui
condotto e' pero'  quella  per  cui  la  comparizione  personale  e',
appunto, una facolta' di cui l'intimato puo' non avvalersi, nominando
un  difensore.  Come  si  accennava  in  precedenza,  e'  del   tutto
plausibile che  di  tale  facolta'  l'intimato  in  uno  sfratto  per
morosita' sia lieto di avvalersi, dal momento  che  gli  consente  di
risparmiare  il  corrispettivo  per  l'attivita'  di   un   difensore
attraverso  cui  costituirsi  in  una   situazione   di   difficolta'
economica. 
    Ad avviso del  Tribunale,  e'  abbastanza  intuibile  il  circolo
vizioso per cui un soggetto in condizioni di  difficolta'  economica,
pure in ipotesi bisognoso di una  tutela  giurisdizionale,  non  solo
«formale», ma ricca di contenuti complessi (cio'  che  puo'  accadere
pure all'interno di un procedimento per convalida  di  sfratto),  sia
ben disposto a optare per la comparizione personale, pertanto: 
        1) ponendo in essere  in  maniera  inavvertita  comportamenti
processuali da cui dipendono decisioni che incidono su un suo diritto
di natura personale; 
        2)  difendendosi  in  modo  asimmetrico  rispetto  alla   sua
controparte rappresentata da un professionista; 
        3) pregiudicando le possibilita' di  ottenere  una  pronuncia
favorevole, provvisoria o definitiva; 
        4)  peggiorando,  in  ultima  analisi,   le   sue   pregresse
condizioni di difficolta'. 
    Schematizzando, senza pretese di esaustivita', puo' accadere che: 
        1) l'intimato si opponga alla convalida in una situazione  in
cui un difensore gli consiglierebbe di non opporsi  (perche'  sarebbe
in ogni caso destinatario di un ordine provvisorio  di  rilascio  con
scarsissime o inesistenti  possibilita'  di  ottenere  una  pronuncia
favorevole nel rito mutato); 
        2) l'intimato si opponga alla convalida in una situazione  in
cui un difensore strutturerebbe la sua opposizione in  modo  tale  da
non renderlo destinatario di un ordine provvisorio di rilascio; 
        3) l'intimato non si opponga alla convalida, chiedendo o meno
il termine ex art. 55, legge n. 392/1978, in una situazione in cui un
difensore gli consiglierebbe di opporsi, perche', destinatario o meno
di un ordine provvisorio di rilascio, avrebbe buone  possibilita'  di
ottenere una pronuncia favorevole nel rito mutato; 
        4) per quel che qui rileva, l'intimato non  si  opponga  alla
convalida, chiedendo il termine ex art. 55, legge n. 392/1978, in una
situazione per cui un difensore sarebbe in grado  di  fare  emergere,
gia' all'udienza  di  comparizione,  il  comportamento  ostativo  del
locatore rispetto all'ottenimento del  contributo  per  la  morosita'
incolpevole che consentirebbe al conduttore di  sanarla,  nonche'  la
sussistenza dei requisiti per accedervi. 
    Il passaggio critico e', con ogni evidenza,  quello  per  cui  le
condizioni   di   difficolta'   economica   rischiano   di   incidere
negativamente   sulla   qualita'   dell'esplicazione   della   tutela
giurisdizionale  dei  diritti,  alterando  la  parita'  delle   parti
all'interno  del  procedimento  per  convalida   di   sfratto;   cio'
soprattutto  perche'  l'intimato,  proprio  in  ragione   delle   sue
condizioni  di  difficolta',  materiale  e  morale  (come  e'  lecito
supporre quando si rischia di perdere la  propria  abitazione),  puo'
non  essere  in  grado,  in  solitudine  e  a  priori,  di   valutare
l'idoneita'  delle  proprie  ragioni  giuridiche,  se   esistenti   e
documentate (e molto ci sarebbe da dire sulla  capacita'  tecnica  di
documentarle),  a  evitare,  in   caso   di   opposizione,   l'ordine
provvisorio di rilascio ovvero una pronuncia definitiva sfavorevole a
seguito del mutamento del rito, con l'aggravio di spese conseguente. 
    La facolta' di accedere al patrocinio a spese dello  Stato,  pure
riconosciuta dalla Corte di cassazione  (sentenza  n.  164/2018)  «in
ogni giudizio civile, pure  di  volontaria  giurisdizione,  ed  anche
quando l'assistenza  tecnica  del  difensore  non  e'  prevista  come
obbligatoria», non elide questa criticita',  sia  per  gli  obiettivi
ostacoli alla conoscenza dell'istituto per un'ampia fascia di persone
destinatarie di un'intimazione di sfratto (di cui e' lecito  supporre
la marginalita' sociale  e,  dunque,  l'esistenza  di  condizioni  di
difficolta' economica, materiale, tecnica, linguistica), sia  per  la
brevita' del termine a difesa nel procedimento di convalida. 
    La necessita' della difesa  tecnica  da  parte  di  un  difensore
rappresenta  spesso  il  logico   presupposto   della   presentazione
dell'istanza di ammissione al  beneficio,  di  cui  l'avente  diritto
viene a  conoscenza  proprio  grazie  al  difensore  (si  pensi  alle
controversie  in   materia   di   riconoscimento   della   protezione
internazionale, dove  e'  giustamente  prevista  l'assistenza  legale
obbligatoria). 
    Ne', come e' ovvio, puo' costituire una giustificazione di questo
assetto il timore  delle  ripercussioni  sull'erario  di  un  accesso
massivo degli aventi diritto, tra gli intimanti nei procedimenti  per
convalida di sfratto, al gratuito patrocinio. 
    Quindi, proprio ai soggetti  bisognosi  di  maggiore  tutela  (le
persone che si trovano in difficolta' economica  tale  da  non  poter
piu' pagare i canoni di locazione, ma che potrebbero addurre  ragioni
giuridiche o circostanze di fatto idonee  a  ottenere  una  pronuncia
favorevole nel procedimento sommario ovvero a  seguito  di  mutamento
del rito) si offre, per uno  strano  paradosso,  una  facolta'  -  la
comparizione personale  -  che  puo'  facilmente  risolversi  in  una
deminutio. 
    L'argomento per cui la garanzia di una piu' effettiva tutela  dei
loro diritti  e'  «a  loro  disposizione»  (potendosi  munire  di  un
difensore a spese proprie o  a  spese  dello  Stato)  o,  al  limite,
differita (potendosi aprire, a seguito di opposizione, il giudizio  a
cognizione piena in cui e' obbligatoria, nel  caso  di  costituzione,
l'assistenza di un difensore, ma dopo che l'intimato  e'  stato,  con
ogni probabilita', destinatario di un'ordinanza di rilascio  ex  art.
665  del  codice  di  procedura  civile)  ad  avviso  del  Tribunale,
nell'attuale contesto socio-economico, rischia di essere fuorviante. 
    L'argomento per cui la facolta' di  difendersi  personalmente  si
raccorda alla brevita' del termine a difesa, sulla base  dell'assunto
per cui nei venti giorni liberi non ci sarebbe tempo  di  trovare  un
difensore  a  spese  proprie  o  di  concludere  il  procedimento  di
ammissione al gratuito patrocinio (problemi a cui  potrebbe  avviarsi
attraverso buone prassi da concordare con  il  Foro;  per  quanto  si
tratti di un sistema giuridico diverso, la dottrina nordamericana  ha
suggerito alle Corti «di introdurre come requisito di  validita',  in
ogni atto di citazione da notificare alla controparte,  accanto  alla
vocatio in jus, la  chiara  menzione  dell'eventuale  appointment  of
counsel per il caso di indigenza del convenuto. Tale notice, rendendo
tempestivamente   edotto   il   non   abbiente   del   suo    diritto
costituzionale, potrebbe senza dubbio indurlo a comparire in giudizio
e  ad  usufruire,  cosi',  dei  benefici  del  legal  aid»),  non  e'
persuasivo per il suo indulgere a una sorta di  «china  discendente»,
per cui la minor difesa, sotto un certo aspetto, giustificherebbe una
minor difesa sotto un altro aspetto,  con  il  rischio  implicito,  e
costituzionalmente inaccettabile, che la china non si arresti. 
    Il procedimento per convalida di sfratto e' invece un processo in
cui i principi espressi dagli articoli 24 e  111  della  Costituzione
reclamano piena e compiuta  attuazione  (o,  almeno,  non  in  misura
minore rispetto alle altre cause civili, che possono essere anche  di
contenuto solo economico): 
        1) per la rilevanza degli interessi in gioco; 
        2) per la duplice  cognizione  sommaria  che  vi  si  esplica
(considerando anche l'ordinanza provvisoria di rilascio); 
        3) per la fragilita' dei soggetti  coinvolti  (vittime  della
crisi del settore produttivo e  della  conseguente  instabilita'  dei
rapporti di lavoro, circostanze la cui diacronia rispetto alle epoche
in cui fu vagliata la legittimita' costituzionale del procedimento di
cui si tratta e' del tutto evidente,  tenuto  conto  che  i  fenomeni
migratori  hanno  ampliato  le  categorie  di  persone  bisognose  di
alloggio e, al tempo stesso, esposte alla difficolta' di  trovare  le
risorse economiche per adempiere alle proprie obbligazioni); 
        4) per le tempistiche accelerate che  lo  caratterizzano  (in
funzione del rapido ottenimento di un titolo esecutivo); 
        5) per l'esistenza di forme di  contributo  pubblico  che  ne
possono orientare l'esito. 
    Il Tribunale non ignora che la Corte costituzionale: 
        1) con sentenze numeri: 89/1972, 94/1973, 171/1974, 94/1979 e
con ordinanza n. 69/1988 ha  dichiarato  infondate  le  questioni  di
legittimita' costituzionale variamente prospettate in relazione  agli
articoli 657, 660, 663, 665 del codice di procedura  civile,  ma  non
sotto lo specifico profilo  dell'incidenza  della  (possibile,  anche
all'epoca, in relazione alla competenza, prima ripartita - a  seconda
del valore - tra  conciliatore  e  pretore,  poi  solo  del  pretore)
assenza   di   difesa   tecnica   sull'effettivita'   della    tutela
giurisdizionale  dell'intimato  nel  procedimento  per  convalida  di
sfratto e in un contesto  sociale  ed  economico  diverso  da  quello
attuale; 
        2) piu' in particolare, dopo l'inserimento dei commi V e VI a
opera del decreto-legge n. 432/1995 convertito in legge n.  534/1995,
con ordinanza n. 448/1998, ha dichiarato infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale prospettata in  relazione  all'art.  660,
comma V del codice di procedura civile, incidentalmente «considerando
anche la particolare disciplina del  procedimento  per  convalida  di
sfratto,  che  attribuisce  all'intimato  la  facolta'  di  comparire
personalmente in udienza per opporsi alla convalida»,  ai  sensi  del
comma  successivo,  ma  da  tale   affermazione   non   si   traggono
convincimenti in ordine ai profili qui sollevati, diversi e in  parte
fondati su una norma costituzionale vigente dal 1999. 
    Tanto  premesso,  occorre  sospendere  la  causa  promossa  dagli
intimanti,   promuovendo,   nell'ambito   della   stessa,   questione
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Tale questione, stante quanto fin qui esposto, ha ad oggetto,  in
via graduata: 
        1) l'art. 660, comma VI del codice di procedura civile ove si
prevede  che  «ai  fini  dell'opposizione  e  del  compimento   delle
attivita' previste negli articoli da 663 a  666,  e'  sufficiente  la
comparizione personale dell'intimato»; 
        2) l'art. 663 del codice di procedura civile nella  parte  in
cui, prevedendo che «se l'intimato [...] comparendo non si oppone, il
giudice convalida la licenza o lo sfratto», comprende le  ipotesi  in
cui la comparizione personale dell'intimato  ne  ha  pregiudicato  la
difesa; 
        3) l'art. 55, ultimo comma, legge n. 392/1978 nella parte  in
cui, prevedendo che «il  pagamento,  nei  termini  di  cui  ai  commi
precedenti, esclude la risoluzione del contratto», non comprende, tra
i casi  di  esclusione  della  risoluzione,  le  ipotesi  in  cui  la
comparizione personale dell'intimato ne ha pregiudicato la difesa. 
    Rispetto a tali norme, non essendo praticabile un'interpretazione
adeguatrice o estensiva, si pone un dubbio - a parere del  Tribunale,
non manifestamente infondato - di conformita' rispetto: 
        1) al parametro  costituito  dal  principio  di  effettivita'
della tutela giurisdizionale, in particolare  sotto  il  profilo  del
diritto di difesa, di cui all'art. 24 della Costituzione,  in  quanto
tali  norme  consentono  la  convalida  dello   sfratto,   cioe'   la
risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo, all'esito di
un processo in cui le ragioni giuridiche o di  fatto  che  l'intimato
avrebbe potuto addurre a suo favore, in ogni  scansione  processuale,
ponendo in essere in maniera avvertita  i  comportamenti  processuali
che indirizzano, secondo le variabili  previste,  in  senso  per  se'
vantaggioso il corso del procedimento, non sono state addotte o  sono
state addotte in maniera incompleta o inefficace, mediante l'adozione
(o l'omissione) di  comportamenti  processuali  -  significativamente
incidenti su un proprio diritto di natura personale -  non  assistiti
dal patrocinio di un difensore abilitato; 
        2)  al  parametro  costituito  dal  principio   del   «giusto
processo»  di  cui  all'art.  111  della  Costituzione,  inteso  come
presidio  contro  l'esercizio  dell'azione  in  forme  eccedenti,   o
devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, in  quanto
tali  norme  consentono  che  la  minore  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale  dell'interesse  sostanziale  dell'intimato  rispetto
alla tutela giurisdizionale dell'interesse sostanziale dell'intimante
possa  risolversi   nell'adozione   di   una   pronuncia   favorevole
all'intimante, e sfavorevole  all'intimato,  che  non  sarebbe  stata
adottata se vi fosse stato equilibrio  nella  tutela  giurisdizionale
degli interessi contrapposti; 
        3) al parametro costituito dal principio del «contraddittorio
tra le parti, in condizioni di parita'», sancito dall'art. 111, comma
II della Costituzione, in quanto tali norme consentono  la  convalida
dello sfratto, cioe' la risoluzione del contratto di locazione ad uso
abitativo  all'esito  di  un  processo  in  condizioni  di  obiettiva
disparita' tra le parti che siano comparse, l'una assistita da difesa
tecnica, l'altra  non  assistita  da  difesa  tecnica,  ove  entrambe
abbiano ragioni giuridiche o di fatto  da  addurre  ai  fini  di  una
decisione favorevole; 
        4) al  parametro  costituito  dall'art.  3,  comma  II  della
Costituzione inteso come ragionevolezza, che esclude  il  trattamento
diverso di situazioni analoghe, quali, nella  specie,  devono  essere
ritenute: 4.1) la  condizione  dell'intimante  nel  procedimento  per
convalida di sfratto per morosita'; 4.2) la condizione  dell'intimato
che intenda contraddire nel procedimento per convalida di sfratto per
morosita' e che abbia ragioni giuridiche o di  fatto  da  addurre  ai
fini di  una  decisione  per  se'  favorevole;  infatti,  tali  norme
consentono  che,  a  fronte  di  un'obbligatoria  introduzione  delle
ragioni giuridiche o di fatto astrattamente  utili  ai  fini  di  una
decisione favorevole con l'ausilio di una difesa  tecnica  nel  primo
caso, le ragioni giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini di
una decisione  favorevole  siano  veicolate  nel  procedimento  senza
l'ausilio di una difesa tecnica  nel  secondo  caso  (cio'  che  puo'
tradursi, peraltro,  nella  loro  inefficace,  incompleta  o  tardiva
allegazione); 
        5) al  parametro  costituito  dall'art.  3,  comma  II  della
Costituzione inteso come ragionevolezza, che esclude  il  trattamento
diverso di situazioni analoghe, quali, nella  specie,  devono  essere
ritenute: 5.1) la condizione del convenuto  che  intenda  contraddire
nelle ordinarie cause  di  risoluzione  di  contratti  a  prestazioni
corrispettive  di  valore  superiore  a  euro  1.100,00  (nonche'  la
condizione del convenuto in una causa di risoluzione del contratto di
locazione per inadempimento dell'obbligo  di  pagamento  dei  canoni,
quale che sia il valore, nelle forme dell'art. 447-bis del codice  di
procedura civile);  5.2)  la  condizione  dell'intimato  che  intenda
contraddire nel procedimento per convalida di sfratto per  morosita';
infatti, tali norme  consentono  che,  a  fronte  di  un'obbligatoria
introduzione nel processo con l'ausilio di una difesa  tecnica  delle
ragioni giuridiche o di fatto astrattamente  utili  ai  fini  di  una
decisione favorevole nei casi sub 5.1, le  ragioni  giuridiche  o  di
fatto astrattamente utili ai fini di una decisione  favorevole  siano
veicolate nel processo senza l'ausilio di una difesa tecnica nei casi
sub 5.2 (cio' che puo' tradursi,  peraltro,  nella  loro  inefficace,
incompleta o tardiva allegazione); 
        6) al  parametro  costituito  dall'art.  3,  comma  II  della
Costituzione inteso come ragionevolezza, che esclude  il  trattamento
diverso di situazioni analoghe, quali, nella  specie,  devono  essere
ritenute:  6.1)  la  condizione  del  resistente   nei   procedimenti
cautelari  e  la  condizione  dell'ingiunto   nel   procedimento   di
opposizione a decreto ingiuntivo; 6.2)  la  condizione  dell'intimato
che intenda contraddire nel procedimento per convalida di sfratto per
morosita';  infatti,  tali  norme  consentono  che,   a   fronte   di
un'obbligatoria introduzione nel processo con l'ausilio di una difesa
tecnica delle ragioni giuridiche o di fatto  astrattamente  utili  ai
fini di una  decisione  favorevole  nei  casi  sub  6.1,  le  ragioni
giuridiche o di fatto astrattamente utili ai fini  di  una  decisione
favorevole siano veicolate nel processo senza l'ausilio di una difesa
tecnica nel caso sub 6.2 (cio' che  puo'  tradursi,  peraltro,  nella
loro inefficace, incompleta o tardiva allegazione). 
    La questione, oltreche' non manifestamente infondata, per  quanto
fin qui esposto, appare  anche  dotata  di  rilevanza  rispetto  alla
fattispecie in esame: dall'applicazione delle norme, che tra loro  si
sorreggono e della cui costituzionalita' si dubita, il Tribunale  non
puo' prescindere per la definizione della controversia sottoposta  al
suo esame, in cui la risoluzione del contratto di  locazione  ad  uso
abitativo e' imposta da  una  situazione  processuale  verosimilmente
venutasi a creare per l'assenza di difesa tecnica dei conduttori, che
avrebbero potuto meglio  esplicare,  se  invece  assistiti,  la  loro
tutela giurisdizionale in relazione all'accesso al contributo per  la
morosita' incolpevole e al comportamento ostativo dei locatori. 
    Sotto questo profilo, si  osserva,  con  particolare  riferimento
all'art. 660, comma  VI  del  codice  di  procedura  civile,  che  il
requisito   della   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale impone di verificare l'incompatibilita' della predetta
norma con i principi sopra elencati solo «a valle»,  cioe'  all'esito
di un procedimento per convalida di sfratto in cui sia  emerso  (come
nel caso di specie, mediante la dichiarazione dell'agente immobiliare
che  ha  confermato  il  flatus   vocis   dei   conduttori   comparsi
personalmente) il venir meno dell'unica ratio che  pare  giustificare
la disciplina eccentrica rispetto alla generalita'  dei  procedimenti
civili, cioe' la tendenziale assenza, per l'intimato, sulla  base  di
una valutazione presuntiva del legislatore, di ragioni  astrattamente
utili per ottenere una decisione (anche solo provvisoria) favorevole. 
    Ove tale ratio venga meno, come nel caso  di  specie,  la  difesa
tecnica per l'intimato che intenda contraddire nel  procedimento  per
convalida di sfratto per morosita' pare un requisito indispensabile e
costituzionalmente imposto. 
    Un'eventuale valutazione «a monte», cioe' non  appena  l'intimato
compaia non assistito da difesa tecnica, pare sconsigliata sia  dalla
(ir)rilevanza della questione (in quella fase, solo potenziale),  sia
dalla forma di contro-abuso  cui  si  presterebbe,  dal  momento  che
occorrerebbe,  in  ogni  ipotesi  (ivi  comprese  quelle  in  cui  la
comparizione personale non determini alcun  pregiudizio  alla  difesa
dell'intimato), sospendere il procedimento. 
    Infine, il Tribunale sottolinea che la rilevanza della questione,
nel caso di specie, non  e'  determinata  dal  positivo  accertamento
dell'esistenza dei requisiti per cui i  conduttori  avrebbero  potuto
ottenere l'erogazione del contributo di un contributo  pubblico  tale
da  sanare  la  morosita',  ma  dall'accertamento   di   un   profilo
(l'esistenza o meno dei requisiti  per  cui  i  conduttori  avrebbero
potuto ottenere l'erogazione del contributo di un contributo pubblico
tale da sanare la morosita', nonche'  dell'obbligo  del  locatore  di
prestare il suo consenso) che avrebbe potuto  e  dovuto  entrare  nel
thema decidendum e nel thema  probandum  della  presente  causa,  sia
nella fase sommaria, anche in funzione della richiesta di concessione
del termine ex art. 55, legge n. 392/1978, sia, se  del  caso,  nella
fase a cognizione piena a seguito del mutamento del rito, in base  ad
allegazioni, produzioni documentali,  scelte  processuali  effettuate
dai conduttori con l'ausilio della difesa tecnica  (la  cui  assenza,
per le  ragioni  sopra  esposte,  non  puo'  essere  «imputata»  agli
intimati, anche in considerazione della  natura  personale  del  loro
interesse in gioco). 
    Il Tribunale e'  consapevole  che  un'eventuale  declaratoria  di
incostituzionalita' dell'art. 660, comma VI del codice  di  procedura
civile avrebbe un impatto molto piu' significativo sul  funzionamento
del procedimento per convalida di sfratto rispetto agli altri profili
qui sollevati «in subordine», sul  presupposto  del  mantenimento  in
vigore dell'art. 660, comma VI del codice di procedura civile. 
    Ritiene,  tuttavia,  che  questa  norma   apra   a   un   rischio
intollerabile a Costituzione vigente: che  l'interesse  abitativo  di
una persona o  di  un  nucleo  familiare,  spesso  in  condizioni  di
difficolta' economica, sia sacrificato  quando  non  ce  ne  siano  i
presupposti, perche' l'assenza di questi presupposti non e' stata,  o
non e' stata efficacemente, rappresentata nel processo (con  la  poco
appagante - a tutto voler concedere - giustificazione  che  cio',  in
fondo, e' accaduto, per sua «scelta») da un difensore che «avra' modo
di dire la sua parola, che a volta potra' essere decisiva, al momento
giusto», come si legge nella relazione al codice del 1940, par. 33. 
    Nessuna   preclusione   alla   proponibilita'   della   questione
incidentale puo' derivare dalla natura  sommaria  del  rito  esperito
dagli intimanti, comunque annoverabile  tra  i  possibili  giudizi  a
quibus, stante l'idoneita' ad assumere efficacia  omogenea  a  quella
del giudicato ex  art.  2909  del  codice  civile  del  provvedimento
definitorio del presente giudizio.