Ricorso ex art. 127 della  Costituzione  per  il  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   ex    lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, codice fiscale 80224030587, PEC
per  il  ricevimento  degli  atti  ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it
presso i cui uffici in Roma, via  dei  Portoghesi  n.  12  legalmente
domicilia; 
    Contro la  Regione  Lombardia,  codice  fiscale  80050050154,  in
persona del Presidente pro tempore, con sede in Milano, piazza Citta'
di Lombardia n. 1; 
    Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della  legge
della Regione Lombardia 8 aprile 2020, n. 5,  pubblicata  nel  B.U.R.
Supplemento n. 15 del 10  aprile  2020,  recante:  «Disciplina  delle
modalita' e delle procedure  di  assegnazione  delle  concessioni  di
grandi derivazioni idroelettriche in Lombardia e  determinazione  del
canone in attuazione dell'art. 12 del decreto  legislativo  16  marzo
1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni
per il  mercato  interno  dell'energia  elettrica),  come  modificato
dall'art. 11-quater  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135
(Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le
imprese  e  per  la   pubblica   amministrazione)   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019,  n.  12»,  limitatamente
agli articoli 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6; 10, commi 1, 2, lettere b),
b1) e b2), e 3; articoli 4, comma 2; 6; 12, comma  4;  15,  comma  1,
lettera a); 11; 13, comma  1,  lettera  h);  17,  comma  1;  come  da
delibera del Consiglio dei ministri del 5 giugno 2020. 
    Nel B.U.R. del 10  aprile  2020,  Supplemento  n.  15,  e'  stata
pubblicata la legge regionale della Lombardia 8 aprile  2020,  n.  5,
recante:  «Disciplina  delle   modalita'   e   delle   procedure   di
assegnazione delle concessioni di grandi  derivazioni  idroelettriche
in Lombardia e determinazione del canone in attuazione  dell'art.  12
del decreto legislativo  16  marzo  1999,  n.  79  (Attuazione  della
direttiva 96/92/CE  recante  norme  comuni  per  il  mercato  interno
dell'energia elettrica),  come  modificato  dall'art.  11-quater  del
decreto-legge 14 dicembre  2018,  n.  135  (Disposizioni  urgenti  in
materia di sostegno  e  semplificazione  per  le  imprese  e  per  la
pubblica amministrazione) convertito, con modificazioni, dalla  legge
11 febbraio 2019, n. 12». 
    Il  Governo  ritiene  che  tale  legge  sia   censurabile   nelle
disposizioni supra indicate. 
    La  legge  regionale  qui  impugnata,  infatti,   disciplina   le
modalita' e le procedure di assegnazione delle concessioni di  grandi
derivazioni idroelettriche  in  Lombardia  e  la  determinazione  del
canone, in attuazione dell'art. 12 del decreto legislativo  16  marzo
1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni
per il mercato interno dell'energia elettrica). Numerose disposizioni
di tale  legge  regionale,  sono  censurabili  in  quanto  presentano
aspetti  di  illegittimita'  costituzionale,  con  riferimento   agli
articoli 9 e 117, secondo comma, lettere l) e s) della  Costituzione,
che attribuiscono allo Stato la competenza legislativa in materia  di
ordinamento civile e  tutela  del  paesaggio,  violando  altresi'  lo
stesso art. 117, terzo comma della Costituzione,  con  riguardo  alla
materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia,
e gli articoli 42 e 43 della Costituzione,  i  quali  impongono  alla
legge di riconoscere un indennizzo ai privati  che  subiscano,  anche
attraverso   l'imposizione    di    obblighi,    limitazioni    nella
disponibilita' o nell'utilizzo di beni di loro proprieta' o  comunque
necessari per lo svolgimento di un'attivita' d'impresa. 
    Propone pertanto  questione  di  legittimita'  costituzionale  ai
sensi dell'art. 127, comma 1 della Costituzione per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 3, 4,
5 e 6 della  legge  Regione  Lombardia  8  aprile  2020,  n.  5,  per
contrasto con gli articoli 42, 43 e 117, secondo  comma,  lettera  l)
della Costituzione, e terzo comma, in riferimento agli articoli 25  e
26 del regio decreto n. 1775/1933; 12, decreto legislativo n. 79/1999
(norme interposte). 
    L'art. 2 della legge regionale n. 5/2020 dispone, al comma 1,  il
passaggio delle opere di cui all'art. 25, comma 1, del regio  decreto
n. 1775/1933 (c.d. opere bagnate) in proprieta' alla  Regione,  cosi'
come disciplinato dal legislatore statale all'art. 12,  comma  1  del
decreto legislativo n. 79/1999. 
    La disposizione, tuttavia, prevede anche: 
        l'appartenenza  dei  beni  in  parola  al  patrimonio   della
Regione; 
        la proprieta' delle opere stesse; 
        la possibilita' di costituire diritti  di  godimento  diversi
dalla proprieta', fermo restando il mantenimento  della  destinazione
d'uso e la perdurante validita'  della  concessione  nonche'  diritti
reali a beneficio di enti strumentali della Regione o di societa'  da
essa partecipate direttamente o indirettamente. 
    Cosi' testualmente l'art. 2: 
    «1. Alla scadenza della concessione, al termine dell'utenza e nei
casi di decadenza, revoca o rinuncia delle grandi derivazioni d'acqua
a scopo idroelettrico, le opere definite all'art.  25,  comma  1  del
regio decreto n. 1775/1933 passano,  senza  compenso,  in  proprieta'
della Regione in stato di regolare  funzionamento,  ivi  inclusi  gli
impianti, le attrezzature e i sistemi necessari, in  via  diretta  ed
esclusiva, al loro regolare funzionamento, controllo ed esercizio. 
    2. Le opere di cui al comma 1 appartengono  al  patrimonio  della
Regione ai sensi dell'art. 12, comma 1  del  decreto  legislativo  n.
79/1999 e non possono essere sottratte alla loro destinazione,  salvo
che la Regione accerti un prevalente interesse  pubblico  ad  un  uso
diverso  delle  acque  incompatibile  con  il  mantenimento  dell'uso
idroelettrico o il venir meno della funzionalita' tecnica delle opere
per la prosecuzione dell'utilizzo idroelettrico. 
    3. La proprieta' delle opere di cui al comma 1,  funzionali  alla
produzione di energia idroelettrica, non puo' essere ceduta a  terzi.
Sulle medesime opere possono essere costituiti, a  favore  dei  terzi
assegnatari delle concessioni a termini della presente legge, diritti
di godimento diversi dalla proprieta', fermo restando il mantenimento
della destinazione d'uso e la perdurante validita' della concessione.
Su tali opere possono, inoltre, essere  costituiti  diritti  reali  a
beneficio di enti strumentali della Regione o  di  societa'  da  essa
partecipate  direttamente  o  indirettamente.  Esse  possono  essere,
altresi', conferite agli stessi  soggetti,  ferma  restando  la  loro
inalienabilita' se ed in quanto destinate alla produzione di  energia
idroelettrica». 
    La stessa norma dispone inoltre, ai commi 5 e  6,  l'acquisizione
dei  beni  diversi  da  quelli  di  cui  al   comma   1   («Ai   fini
dell'acquisizione dei beni diversi da quelli di cui al comma  1,  nel
caso cio' fosse necessario per l'assegnazione della  concessione,  si
applicano le disposizioni di cui all'art. 25, comma 2 e seguenti, del
regio decreto n. 1775/1933, con corresponsione all'avente diritto  di
un prezzo determinato secondo  le  modalita'  e  i  criteri  indicati
all'art. 12, comma 1-ter,  lettera  n)  del  decreto  legislativo  n.
79/1999. La giunta regionale puo' avvalersi dell'apporto di  soggetti
terzi, di societa' da essa partecipate direttamente o indirettamente,
o di propri enti strumentali per la valutazione del prezzo spettante.
Nel caso non vi  sia  accordo  sulla  determinazione  del  prezzo  in
applicazione  dei  criteri  di  cui   al   precedente   periodo,   la
controversia e' deferita ad un collegio arbitrale costituito  da  tre
membri,  di  cui   uno   nominato   dalla   giunta   regionale,   uno
dall'interessato, il terzo d'accordo tra le parti, o in  mancanza  di
accordo, dal Presidente del tribunale  delle  acque  territorialmente
competente. Il collegio arbitrale si  esprime  entro  novanta  giorni
dalla nomina. 
    6. I beni di cui  al  comma  5  possono  essere  acquisiti  dalla
Regione, nei limiti delle  disponibilita'  di  bilancio,  e  messi  a
disposizione, a parita' di condizioni, dei soggetti  che  partecipano
alle procedure di assegnazione delle relative  concessioni.  Ai  fini
dell'applicazione del termine triennale di avviso preventivo  di  cui
all'art. 25, comma 3 del regio decreto n. 1775/1933 si assume, per le
concessioni gia'  scadute  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge, che tale preavviso possa essere  effettuato  entro  i
tre anni precedenti al termine del 31 dicembre 2023 di  cui  all'art.
12, comma 1-sexies del decreto legislativo n. 79/1999»). 
    Orbene,  le  descritte  previsioni   regionali   travalicano   le
competenze legislative regionali delegate  dal  legislatore  statale,
secondo cui, ai sensi dell'art. 12, comma 1-ter  del  citato  decreto
legislativo n. 79/1999, «... le regioni disciplinano con legge, entro
un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e
comunque non oltre il 31 marzo 2020, le modalita' e le  procedure  di
assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a  scopo
idroelettrico ...». 
    Nella parte  in  cui  disciplinano  la  proprieta'  dei  beni  in
questione e la costituzione di  diritti  di  godimento  e  reali  sui
medesimi, infatti, le disposizioni impugnate invadono  la  competenza
esclusiva dello Stato, in quanto vanno ad  incidere  su  una  materia
riconducibile all'ordinamento civile ex art. 117,  comma  2,  lettera
l), con conseguente illegittimita', esorbitando  anche  dalla  delega
conferita dal legislatore statale. 
    La   portata   della   norma    regionale,    infatti,    risulta
particolarmente ampia, in quanto, come detto, non solo al primo comma
dispone il passaggio delle opere di cui  all'art.  25,  comma  1  del
regio decreto n. 1775/1933 in proprieta' alla Regione  (e  tanto  era
stato gia' disciplinato dal legislatore statale all'art. 12, comma  1
del decreto legislativo n. 79/1999, proprio perche',  in  difetto  di
tale specificazione, tali beni  avrebbero  continuato  a  passare  in
proprieta' dello Stato, ex art. 25, regio decreto n.  1775/1933),  ma
disciplina anche: a) l'appartenenza dei beni in parola al  patrimonio
della Regione; b) la proprieta' delle opere stesse  (non  cedibile  a
terzi); c)  la  possibilita'  di  costituire  «diritti  di  godimento
diversi  dalla  proprieta',  fermo  restando  il  mantenimento  della
destinazione d'uso e  la  perdurante  validita'  della  concessione»;
(comma 3) «diritti  reali  a  beneficio  di  enti  strumentali  della
Regione  o  di  societa'   da   essa   partecipate   direttamente   o
indirettamente» (soggetti, questi ultimi, ai quali la Regione prevede
la possibilita' di conferimento delle opere, «ferma restando la  loro
inalienabilita' se ed in quanto destinate alla produzione di  energia
idroelettrica»). 
    Le  previsioni  regionali  travalicano  evidentemente  la  delega
conferita dal legislatore statale  (art.  12,  comma  1-ter,  decreto
legislativo n. 79/1999), secondo cui «... le regioni disciplinano con
legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore  della  presente
disposizione e comunque non oltre il 31 marzo 2020, le modalita' e le
procedure di assegnazione delle  concessioni  di  grandi  derivazioni
d'acqua a scopo idroelettrico ...», nella parte in  cui  disciplinano
la proprieta' dei beni in questione e la costituzione di  diritti  di
godimento e reali sui medesimi. 
    I beni cui il legislatore statale fa riferimento, infatti, e  per
i quali dispone il passaggio in proprieta' alle regioni senza diritto
al compenso, sono quelli (e solo quelli) di cui all'art. 25, comma  1
del regio decreto n. 1775/1933, ovvero: tutte le opere  di  raccolta,
di regolazione e di derivazione, principali e  accessorie,  i  canali
adduttori dell'acqua, le condotte forzate  ed  i  canali  di  scarico
(beni che rientrano nel demanio idrico, come puo' evincersi anche  da
Corte  costituzionale,  sentenza  n.  133/2005,   su   conflitto   di
attribuzioni in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico). 
    Altra e' la facolta' di cui all'art. 25, comma 2 del citato regio
decreto n. 1775/1933, ora riconosciuta in capo alle regioni: «...  di
immettersi  nell'immediato   possesso   di   ogni   altro   edificio,
macchinario,  impianto  di  utilizzazione,  di  trasformazione  e  di
distribuzione inerente alla concessione, corrispondendo  agli  aventi
diritto un prezzo uguale al valore di stima del materiale  in  opera,
calcolato  al  momento  dell'immissione  in  possesso,  astraendo  da
qualsiasi valutazione del reddito da  esso  ricavabile.  (...).».  La
stessa norma precisa all'ultimo comma che «Agli effetti  del  secondo
comma  del  presente  articolo,  per  impianti  di  trasformazione  e
distribuzione inerenti  alla  concessione  si  intendono  quelli  che
trasportano prevalentemente energia  prodotta  dall'impianto  cui  si
riferisce la concessione». 
    La previsione regionale, invece, finisce per estendere il  regime
di regionalizzazione previsto per le opere «bagnate» ad  una  cerchia
piu' ampia di beni che potrebbero ricadere nella definizione  di  cui
all'art. 25, comma 2, regio decreto  n.  1775/1993  (che  ricomprende
edifici, macchinari,  impianti  di  utilizzazione,  trasformazione  e
distribuzione inerenti la concessione) per i  quali  e'  previsto  un
diverso regime di valorizzazione ai sensi dell'art. 12, comma  1-ter,
lettera n) del decreto legislativo n. 79 del 1999. 
    Oltre cio', lo stesso art. 2, al comma 4, prevede che  restino  a
carico del concessionario  uscente  gli  interventi  di  manutenzione
necessari per la sicurezza,  fino  al  subentro  dell'aggiudicatario,
senza prevedere che al  riguardo  sia  riconosciuto  al  primo  alcun
indennizzo («4. Nel caso  in  cui  il  concessionario  uscente  abbia
eseguito,  a  proprie  spese  e  nel  periodo  di   validita'   della
concessione, investimenti sulle opere di  cui  al  comma  1,  purche'
previsti   dall'atto   di   concessione   o   comunque    autorizzati
dall'autorita' concedente, lo stesso concessionario  puo'  richiedere
alla Regione un indennizzo pari al valore della parte  di  opera  non
ammortizzata, fermo restando quanto previsto all'art.  26  del  regio
decreto n. 1775/1933. La realizzazione di interventi di manutenzione,
necessari per la sicurezza, resta a carico del concessionario uscente
fino al termine di cui all'art. 3, comma 12.»). 
    Ne', per gli interventi da porre in essere tra la scadenza  della
concessione  e  il  subentro  dell'aggiudicatario,  tale   indennizzo
potrebbe essere incluso nell'indennizzo in generale  riconosciuto  al
concessionario uscente per gli investimenti,  previsti  dall'atto  di
concessione o comunque autorizzati  dal  concedente,  realizzati  nel
periodo di validita' della concessione. 
    Orbene, nella  misura  in  cui  la  suddetta  disciplina  esclude
l'indennizzo  per  gli  interventi  di   manutenzione   ordinaria   e
straordinaria posti in essere a sue spese dal concessionario  uscente
per assicurare la sicurezza degli impianti  (e  del  territorio),  la
stessa risulta illegittima per contrasto con l'art.  12  del  decreto
legislativo n. 79/1999, che non prevede ne' consente di imporre  agli
operatori tale genere di oneri;  nonche'  con  l'art.  26  del  regio
decreto n. 1775/1933, il  quale  prevede  espressamente  che  l'onere
degli interventi di manutenzione straordinaria posti  in  essere  dal
concessionario nell'ultimo quinquennio della concessione sia a carico
dello  Stato.  La  norma   regionale,   peraltro,   laddove   esclude
l'indennizzo per gli interventi di manutenzione anche  straordinaria,
introduce un ovvio disincentivo all'effettuazione di tali interventi,
o  comunque  un  incentivo  alla  minimizzazione  degli  stessi,  con
conseguente rilevante pericolo per la sicurezza degli impianti. 
    La norma regionale risulta quindi in contrasto con  gli  articoli
117, terzo comma della Costituzione, per violazione delle sopracitate
norme interposte, da considerarsi principi fondamentali in materia di
produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale   dell'energia,
integrando, altresi', un contrasto con gli articoli  42  e  43  della
Costituzione. Questi ultimi, in particolare, impongono alla legge  di
riconoscere un indennizzo ai privati che subiscano, anche  attraverso
l'imposizione  di  obblighi,  limitazioni  nella   disponibilita'   o
nell'utilizzo di beni di loro proprieta' o comunque necessari per  lo
svolgimento di un'attivita' d'impresa. 
    Con   conseguente   ulteriore   illegittimita'   della   relative
disposizioni regionali impugnate. 
    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma  1,  comma
2, lettere b), b1) e b2) e comma 3 della legge  Regione  Lombardia  8
aprile 2020, n. 5, per contrasto con l'art. 117,  terzo  comma  della
Costituzione,  in  riferimento  all'art.  12,  comma  1-ter,  decreto
legislativo n. 79/1999 e  all'art.  11-quater  del  decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135 (norme interposte). 
    L'art. 10, comma 1 della legge  impugnata  lede  illegittimamente
l'obbligo di disciplinare con legge  regionale  la  materia  de  qua,
imposto dal legislatore statale; oltre cio', dal  combinato  disposto
delle norme contenute nell'art. 10, comma 2, lettere b), b1) e b2), e
comma 3, risulta l'illegittima sottrazione al procedimento unico, cui
partecipano tutte  le  amministrazioni  interessate,  della  fase  di
selezione delle proposte progettuali presentate. 
    Nel dettaglio. 
    Il citato art. 10, al comma 1 stabilisce  che:  «Con  regolamento
regionale sono definiti, nel rispetto di  quanto  previsto  ai  sensi
della  presente  legge  e  del  principio  di  non  aggravamento  del
procedimento, tempi e modalita' per lo  svolgimento  da  parte  della
Regione delle procedure  di  assegnazione  di  cui  all'art.  9,  ivi
compresa la disciplina del procedimento unico per la valutazione  dei
progetti presentati». 
    Per quanto qui di interesse, riguardo alle singole fasi in cui si
articolano le procedure di assegnazione, l'art. 10, comma 2,  prevede
poi che  «Le  procedure  di  assegnazione  di  cui  al  comma  1,  si
articolano nelle seguenti fasi: 
    a) adozione e pubblicazione del bando di assegnazione (...); 
    b) procedimento unico di valutazione e selezione delle istanze  e
della  relativa  documentazione  tecnico-progettuale,  presentate  in
esito alla fase di cui alla lettera a),  che  comprende  le  seguenti
attivita': 
    b1)  istruttoria  e  valutazione   delle   proposte   progettuali
presentate ai  fini  della  loro  selezione  e  individuazione  della
proposta progettuale su cui effettuate le successive attivita': 
    b2) verifica o valutazione di impatto ambientale, valutazione  di
incidenza  nei  confronti  dei   siti   di   importanza   comunitaria
interessati,  autorizzazione  paesaggistica  e  ogni  altro  atto  di
assenso, concessione, permesso, licenza  o  autorizzazione,  comunque
denominato, previsto dalla normativa statale, regionale o  locale,  e
conseguente adeguamento della  proposta  progettuale  selezionata  in
esito all'attivita' b1)». 
    La Regione, quindi, scompone il procedimento unico di valutazione
in piu' fasi, la prima delle quali volta alla selezione - sulla  base
di  apposita  istruttoria  -   ed   individuazione   delle   proposte
progettuali su cui effettuare le successive attivita'. 
    Tuttavia, al comma 3, il medesimo art. 10, viene specificato  che
soltanto «L'attivita'  tecnico-amministrativa  di  cui  al  comma  2,
lettera b2), si svolge tramite conferenza  di  servizi  di  cui  alla
legge  7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove   norme   sul   procedimento
amministrativo), alla quale partecipano, ai sensi dell'art. 12, comma
1-ter, lettera m)  del  decreto  legislativo  n.  79/1999,  tutte  le
amministrazioni centrali o locali, gli enti e i soggetti ai quali,  a
termini di legge, compete assumere un atto di  assenso,  concessione,
permesso, licenza o autorizzazione, comunque denominato»,  escludendo
quindi da tale ambito l'attivita' di cui  al  comma  2,  lettera  b1)
(istruttoria, valutazione e selezione delle proposte progettuali). 
    La nuova disciplina, pertanto, risulta illegittima, ponendosi  in
contrasto con il novellato art. 12 del citato decreto legislativo  n.
79 del 1999, che, al comma 1-ter, prevede  quanto  segue:  «(...)  le
regioni disciplinano con legge (...) le modalita' e le  procedure  di
assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a  scopo
idroelettrico, stabilendo in particolare: [...] 
    (lettera   m))   "le   modalita'   di   valutazione,   da   parte
dell'amministrazione competente, dei  progetti  presentati  in  esito
alle  procedure  di  assegnazione,  che  avviene  nell'ambito  di  un
procedimento unico ai fini della selezione delle proposte progettuali
presentate, che tiene luogo della verifica o valutazione  di  impatto
ambientale, della valutazione di incidenza nei confronti dei riti  di
importanza comunitaria interessati e dell'autorizzazione, comunque  e
denominata, prevista dalla normativa statale, regionale o  locale;  a
tal fine, alla valutazione delle  proposte  progettuali  partecipano,
ove  necessario,  il  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare, il  Ministero  dello  sviluppo  economico,  il
Ministero per i beni e le attivita'  culturali  e  gli  enti  gestori
delle aree naturali protette di cui alla legge 6  dicembre  1991,  n.
394: per gli aspetti connessi alla sicurezza degli invasi di  cui  al
decreto-legge 8 agosto 1994, n. 507, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 21 ottobre 1994, n. 584, e all'art. 6, comma 4-bis  della
legge 1° agosto 2002, n. 166, al procedimento valutativo partecipa il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti"». 
    Deriva da  cio'  l'illegittimita'  delle  disposizioni  impugnate
sotto un duplice profilo: 
        da un lato l'art. 10, comma 1, risulta illegittimo in  quanto
rinvia ad un successivo provvedimento regolamentare di  dettaglio  la
disciplina del predetto procedimento, mentre la legge statale  impone
alla Regione di disciplinare con legge le modalita' sulla base  delle
quali la stessa, in quanto amministrazione procedente, e' chiamata  a
valutare  i  progetti  presentati  all'esito   delle   procedure   di
assegnazione; 
        dall'altro (combinato disposto art. 10, comma 2, lettere  b),
b1) e b2) e comma 3) sottrae al procedimento unico (cui,  tramite  lo
strumento  della  conferenza  di  servizi,   partecipano   tutte   le
amministrazioni interessate) la selezione delle proposte  progettuali
presentate; mentre la disposizione  statale  prescrive  espressamente
che tale valutazione avvenga nell'ambito  di  un  procedimento  unico
finalizzato - ancor prima che  alla  valutazione  -  alla  «selezione
delle proposte progettuali presentate». 
    Sul punto va ricordato che l'art. 11-quater del decreto-legge  14
dicembre 2018, n. 135 ha inciso sensibilmente sulla disciplina  delle
concessioni  di  grandi  derivazioni  idroelettriche,  disponendo  la
regionalizzazione della proprieta' delle opere idroelettriche (di cui
all'art. 25, primo comma del testo unico di cui al regio  decreto  11
dicembre 1933, n. 1775) alla scadenza delle concessioni e nei casi di
decadenza o rinuncia alle stesse  e  conferendo  alle  regioni,  gia'
titolari della funzione amministrativa di rilascio delle  concessioni
di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, la  potesta'  di
legiferare sulle modalita' e sulle procedure  di  assegnazione  delle
medesime concessioni, seppure nel rispetto di  principi  e  parametri
indicati dalla legge statale. 
    Rispetto a tale quadro, e' evidente che la  novella  legislativa,
nel delineare il nuovo assetto regolatorio della materia (connotato -
come detto - dal riconoscimento di nuove prerogative in favore  delle
regioni), ha contestualmente introdotto, in un'ottica di compromesso,
una serie di previsioni  volte  a  salvaguardare  principi  e  valori
ritenuti basilari, primi fra tutti quelli tesi a garantire la  tutela
della  concorrenza   e   la   tutela   dell'ambiente,   evidentemente
riconducibili ad ambiti di  competenza  statale  esclusiva.  In  tale
contesto si inserisce e si giustifica la previsione dettata dall'art.
12,  comma  1-ter,  lettera  m)  che,  includendo   nell'ambito   del
procedimento unico la selezione (a monte) delle proposte  progettuali
presentate, riscontra l'esigenza di assicurare - anche a tali fini  -
il coinvolgimento delle amministrazioni  statali,  a  garanzia  della
controllabilita'  della  scelta  effettuata  in  ordine  al  progetto
migliore sul piano tecnico e ambientale, di una maggiore  trasparenza
del procedimento stesso e, in ultima analisi, a garanzia del rispetto
di quegli stessi principi che la riforma legislativa in  esame,  come
detto, ha inteso salvaguardare. 
    Stante quanto precede, riservare alla sola  sfera  di  competenza
regionale l'attivita' di selezione dei progetti presentati, di  fatto
imprimendo  un  indirizzo  univoco  di  valutazione   in   ordine   a
quell'unico  progetto  individuato,  sminuisce  la  rilevanza   della
previsione di un procedimento unitario, in patente contrasto  con  la
ratio sottesa alla previsione  medesima,  volta  a  salvaguardare  il
corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali  e  della  tutela
ambientale,  in  un'ottica   di   valorizzazione   della   produzione
idroelettrica nazionale e di tutela e conservazione del bene acqua. 
    Per le ragioni esposte, la norma regionale impugnata si  pone  in
contrasto con la disposizione statale  dettata  dall'art.  12,  comma
1-ter,  lettera  m)  e,  piu'  in  generale,  con  il  nuovo  assetto
regolatorio  della  materia,  per  come   delineato   dalla   novella
legislativa recata dall'art. 11-quater del decreto-legge 14  dicembre
2018, n. 135 e con la ratio alla  stessa  sottesa,  disposizione  che
costituisce norma interposta, determinando  la  violazione  dell'art.
117, terzo comma della Costituzione con  riguardo  alla  gia'  citata
materia  della  produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale
dell'energia. 
    3. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 4, comma 2;  6;
10, comma 3; 12, comma 4; 15, comma 1, lettera a) della legge Regione
Lombardia 8 aprile 2020, n. 5, per contrasto con  gli  articoli  117,
terzo comma della Costituzione,  in  riferimento  agli  articoli  12,
comma 1-ter, decreto legislativo n. 79/1999 e agli articoli 14  e  28
dello statuto della Regione Lombardia (Legge regionale statutaria  n.
1 del 30 agosto 2008), come norme interposte. 
    Posto  quanto  precede,  ulteriori   disposizioni   della   legge
regionale impugnata risultano violare il principio di  legalita',  in
quanto rinviano la disciplina di aspetti essenziali a norme future di
rango inferiore alla legge ordinaria regionale, quali  regolamenti  e
delibere di giunta o bandi di gara, senza indicare  i  criteri  guida
della successiva potesta' regolamentare della giunta - che lo  stesso
statuto  vigente  della  Regione  Lombardia  individua  quale  organo
esecutivo  e  non  deliberativo  (art.  28),  essendo   la   potesta'
legislativa regionale  esercitata  in  via  esclusiva  dal  consiglio
regionale (art. 14: «1. Il consiglio regionale esercita  la  funzione
legislativa attribuita dalla Costituzione alla Regione, concorre alla
determinazione  dell'indirizzo  politico  regionale  ed  esplica   le
funzioni di controllo sull'attivita' della giunta, nonche' ogni altra
funzione conferitagli da norme costituzionali, statutarie e da  leggi
dello Stato e della Regione»). 
    La materia della produzione, del trasporto e della  distribuzione
nazionale  dell'energia,  e'  infatti  demandata  alla   legislazione
concorrente, all'interno della quale l'art.  12  (in  particolare  il
comma 1-ter) si pone come norma nazionale di riferimento, che rimanda
taluni compiti regolatori alla legislazione regionale.  In  contrasto
con tale disposizione, diverse norme della legge impugnata rinviano -
senza principi, indirizzi  o  indicazioni  entro  cui  muoversi  -  a
regolamenti o delibere di giunta (non  leggi  regionali,  quindi)  il
compito di disciplinare alcuni aspetti di tali materie. 
    Cio' comporta la violazione  della  riserva  di  legge  regionale
contenuta nell'art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999  (norma
interposta),  ponendosi  le  norme  impugnate  in  contrasto  con  un
principio fondamentale,  la  cui  determinazione  e'  riservata  alla
legislazione  dello  Stato,  in  quanto   relativa   a   materia   di
legislazione concorrente, cioe' la  produzione,  il  trasporto  e  la
distribuzione  nazionale  dell'energia  (art.  117,  comma  3   della
Costituzione). 
    Nel dettaglio, da tale profilo illegittimita' sono affette: 
        la disposizioni contenuta nell'art. 4, comma 2  («2.  Per  le
derivazioni di cui al comma 1 la giunta regionale stipula intese  con
la Regione o provincia autonoma confinante per  definire  i  rapporti
necessari  a  procedere  all'assegnazione   della   concessione   per
l'utilizzo delle acque  e  delle  opere  acquisite  nelle  rispettive
proprieta'»), che individua nella giunta regionale l'organo  deputato
alla  stipula  di  intese  con  la  Regione  o   provincia   autonoma
confinante,  per  definire   i   rapporti   necessari   a   procedere
all'assegnazione della  concessione  di  derivazione  interregionali;
cio',  senza  definire  le  specifiche  modalita'  procedimentali  da
seguire  in  termini   di   gestione   delle   derivazioni,   vincoli
amministrativi e ripartizione dei canoni tra le  regioni  e  province
autonome  interessate.  Ed  in  assenza  della  legge  regionale   di
riferimento, come detto, risulta violata la riserva di cui al  citato
art. 12 (in particolare il comma 1-ter); 
        l'art. 6,  il  quale  rimanda  al  regolamento  regionale  la
disciplina  di  valutazione  dell'interesse  pubblico  all'uso  delle
acque.  Rinvio  del  tutto  generico,  in  quanto  prevede  solo   la
partecipazione  dei  «comuni  territorialmente   interessati»   («Con
regolamento regionale sono disciplinate le modalita' e  le  procedure
di valutazione dell'interesse pubblico in relazione  ai  diversi  usi
delle acque in coerenza con le previsioni di cui al comma 1,  nonche'
le modalita' di coinvolgimento, preliminarmente  all'indizione  delle
procedure di assegnazione delle  concessioni  di  cui  alla  presente
legge, dei comuni territorialmente  interessati.»),  e  non  contiene
specifici indirizzi procedimentali che garantiscano la considerazione
dell'interesse nazionale, anche in termini  di  partecipazione  dello
Stato  al  procedimento,  in  ragione  dell'ampiezza  della   materia
concorrente  «produzione,   trasporto   e   distribuzione   nazionale
dell'energia» e  del  rapporto  sussistente  tra  potere  legislativo
regionale e i principi  fondamentali  della  legislazione  statale  e
comunitaria. Principi fra cui quelli applicabili alla  produzione  di
energia elettrica da fonti rinnovabili, come confermati dalla recente
sentenza di codesta Corte costituzionale n. 148 del 2019; 
        l'art. 10, comma 3, che rinvia alla disciplina secondaria per
la partecipazione delle amministrazioni dello stato  alla  conferenza
di  servizi  finalizzata   alle   autorizzazioni   al   progetto   di
concessione. In proposito va evidenziato che l'art. 12, comma  1-ter,
lettera m) del decreto legislativo n. 79/1999 richiama  espressamente
gli aspetti  connessi  alla  sicurezza  degli  invasi,  e  quindi  la
partecipazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel
procedimento valutativo dei progetti presentati, secondo il quale  la
legge regionale e' chiamata a coinvolgere  le  varie  amministrazioni
ministeriali per gli aspetti di relativi competenza. Su tale profilo,
quindi, la norma regionale contrasta con la norma nazionale; 
        l'art. 12, comma 4 («La giunta regionale definisce  ulteriori
requisiti  di  capacita'  tecnica,  organizzativa,   patrimoniale   e
finanziaria e le relative soglie, tenuto conto della tipologia  degli
impianti  oggetto  del  bando.  Tali  requisiti  sono   proporzionati
all'oggetto e alle caratteristiche della concessione, in relazione al
livello di complessita' degli  interventi  necessari  in  termini  di
miglioramento e risanamento ambientale  del  bacino  idrografico,  di
incremento della potenza di generazione e della producibilita', volti
ad assicurare il migliore utilizzo degli impianti  produttivi,  degli
sbarramenti, degli invasi e, in generale,  delle  opere  al  servizio
della derivazione, in condizioni di sicurezza»), che  demanda  a  una
delibera di giunta la facolta' di  imporre,  nel  singolo  bando  per
l'aggiudicazione della concessione, «ulteriori requisiti di capacita'
tecnica,   organizzativa;   patrimoniale   e   finanziaria»   per   i
partecipanti, senza che a monte la legge regionale abbia disciplinato
i criteri e i limiti di  tale  facolta';  con  cio'  determinando  la
concreta  possibilita'  di  violazione  del  principio  di  libera  e
paritaria concorrenza, costituzionalmente tutelato; 
        l'art. 15, comma 1, lettera a) («1. La giunta  regionale,  ai
sensi dell'art. 11, comma 3, prevede specifici obblighi e limitazioni
gestionali, ai quali possono essere soggetti i progetti  di  utilizzo
delle opere e delle acque, con particolare riguardo: 
        a) agli obblighi e ai vincoli inerenti alla  sicurezza  delle
persone e del territorio, anche  con  riferimento  alle  esigenze  di
laminazione delle piene, nonche' alla sicurezza degli  sbarramenti  a
servizio della derivazione d'acqua»), che rinvia ad una  delibera  di
giunta l'individuazione di condizioni generali per gli obblighi  e  i
vincoli inerenti alla  sicurezza  delle  persone  e  del  territorio,
subordinatamente ai quali sono ammissibili i progetti di sfruttamento
e utilizzo delle opere e delle  acque,  anche  con  riferimento  alla
possibilita' di utilizzare l'acqua invasata per  scopi  idroelettrici
per fronteggiare situazioni di crisi  idrica  o  per  la  laminazione
delle piene. 
    Tutte le norme citate, come visto, pur impattando  sulla  materia
di legislazione concorrente «produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale  dell'energia»,  senza  alcun  indicazione  in  merito   ai
principi  o  all'indirizzo  da  seguire,  demandano   la   competenza
regolatoria alla giunta regionale, con cio' violando  la  riserva  di
legge  regionale  sancita  dall'art.  12,  comma  1-ter  del  decreto
legislativo n. 79/1999. 
    Con  conseguente  palese  illegittimita'   costituzionale   delle
stesse. 
    4. - Illegittimita' costituzionale  degli  articoli  6,  11,  13,
comma 1, lettera h) e 17, comma 1, della legge  Regione  Lombardia  8
aprile 2020, n. 5, per contrasto con gli articoli 9, 42,  43  e  117,
secondo comma, lettera s) della  Costituzione,  in  riferimento  agli
articoli 12, comma 1-ter, decreto legislativo n. 79/1999 e 132,  142,
comma 1, 143 e 145 del decreto legislativo 22  gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio), quali norme interposte. 
    Profili di illegittimita' costituzionale  presentano  inoltre  le
disposizioni contenute negli articoli 6, 11, 13, comma 1, lettera  h)
e 17, comma 1 della legge regionale in esame. 
    Nel dettaglio. 
    Ai sensi dell'art. 12 del decreto  legislativo  n.  79  del  1999
(«Nel rispetto dell'ordinamento dell'Unione europea e  degli  accordi
internazionali, nonche' dei  principi  fondamentali  dell'ordinamento
statale e delle disposizioni di cui al presente articolo, le  regioni
disciplinano con legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore
della presente disposizione e comunque non oltre il 31 marzo 2020, le
modalita' e le procedure di assegnazione delle concessioni di  grandi
derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, stabilendo in  particolare
...», infatti, le regioni sono richiamate espressamente  al  rispetto
dei principi  fondamentali  dell'ordinamento  statale,  tra  i  quali
rientra necessariamente la tutela  del  paesaggio  e  del  patrimonio
storico artistico della nazione, costituenti interessi costituzionali
primari ai sensi dell'art. 9 della Costituzione.  Come  e'  noto,  le
concessioni di grandi  derivazioni  d'acqua  a  scopo  idroelettrico,
aventi a oggetto l'utilizzo di acque pubbliche  a  fine  di  produrre
energia da fonti rinnovabili, incidono  necessariamente  sullo  stato
dei corsi d'acqua, i quali costituiscono beni paesaggistici  tutelati
ope legis dall'art. 142, comma 1 del Codice dei beni culturali e  del
paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.  42  (1.
«Sono comunque di interesse  paesaggistico  e  sono  sottoposti  alle
disposizioni di questo titolo: a) i territori  costieri  compresi  in
una fascia  della  profondita'  di  trecento  metri  dalla  linea  di
battigia, anche per i  terreni  elevati  sul  mare;  b)  i  territori
contermini ai laghi compresi  in  una  fascia  della  profondita'  di
trecento metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati
sui laghi; c) i fiumi, i torrenti, i  corsi  d'acqua  iscritti  negli
elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni  di  legge  sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11  dicembre
1933, n. 1775, e le relative sponde o  piedi  degli  argini  per  una
fascia di centocinquanta metri ciascuna; d) le montagne per la  parte
eccedente milleseicento metri sul livello  del  mare  per  la  catena
alpina e milleduecento metri sul  livello  del  mare  per  la  catena
appenninica e per le isole; e) i ghiacciai e i circhi glaciali; f)  i
parchi e le riserve nazionali o regionali,  nonche'  i  territori  di
protezione esterna dei parchi; g) i territori coperti da foreste e da
boschi,  ancorche'  percorsi  o  danneggiati  dal  fuoco,  e   quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento, come  definiti  dall'art.  2,
commi 2 e 6 del decreto legislativo 18 maggio 2001,  n.  227;  h)  le
aree assegnate alle universita' agrarie e  le  zone  gravate  da  usi
civici; i) le zone umide incluse nell'elenco previsto dal decreto del
Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448; l) i  vulcani;  m)
le zone di interesse archeologico». 
    Ai  sensi  dell'art.  11  della  legge  regionale  in  esame,  la
procedura di assegnazione delle concessioni di grandi  derivazioni  a
scopo idroelettrico e' indetta mediante la pubblicazione di un bando.
La  giunta  regionale  definisce,  con  propria  deliberazione,   gli
elementi  essenziali  del  bando,  la  durata  della  concessione,  i
requisiti di ammissione,  i  criteri  di  selezione  degli  operatori
economici e delle offerte  e  individua  il  Responsabile  unico  del
procedimento (RUP). 
    Orbene, nell'ambito dei contenuti del predetto bando, l'art.  13,
al comma 1, lettera h), prevede la specificazione dei livelli  minimi
in termini di  miglioramento  e  risanamento  ambientale  del  bacino
idrografico di pertinenza. Tali livelli minimi sono  meglio  definiti
al successivo art. 17, ai sensi del quale «La  giunta  regionale,  ai
sensi dell'art. 11, comma 3, e secondo quanto prescritto  e  indicato
dal Piano regionale di tutela delle acque e dal Piano di gestione del
distretto idrografico del fiume Po, ovvero  dalla  pianificazione  di
bacino provinciale  piu'  specifica,  ove  esistente,  definisce  gli
obiettivi minimi da conseguire mediante interventi di  conservazione,
miglioramento e risanamento  ambientale  del  bacino  idrografico  di
pertinenza,  finalizzati  alla  tutela  dei  corpi  idrici   e   alla
mitigazione degli impatti sull'ambiente, con particolare  riferimento
ai seguenti aspetti: 
    a) il mantenimento della continuita' fluviale; 
    b) le modalita' di rilascio delle  portate  nei  corpi  idrici  a
valle delle opere di captazione e derivazione d'acqua,  in  relazione
agli effetti  sulle  biocenosi  fluviali  di  valle,  ferma  restando
l'applicazione  del  deflusso   ecologico,   come   stabilito   dalla
disciplina vigente in materia; 
    c) la mitigazione delle alterazioni  idromorfologiche  dei  corpi
idrici interessati o impattati dal complesso delle opere  a  servizio
degli impianti posti a bando di gara; 
    d)   la   tutela   dell'ecosistema,   della   natura   e    della
biodiversita'». 
    La giunta regionale, quindi, definisce gli  obiettivi  minimi  da
conseguire mediante  interventi  di  conservazione,  miglioramento  e
risanamento  ambientale  del  bacino   idrografico   di   pertinenza,
finalizzati alla tutela dei corpi idrici  e  alla  mitigazione  degli
impatti  sull'ambiente,  attenendosi  alle  prescrizioni  del   Piano
regionale di tutela delle acque, del Piano di gestione del  distretto
idrografico del fiume Po o della pianificazione di bacino provinciale
piu' specifica, ove esistente. 
    La disposizione e' illegittima. 
    I  medesimi  interventi   di   conservazione,   miglioramento   e
risanamento ambientale, infatti, avrebbero dovuto essere definiti nel
rispetto, altresi', del piano paesaggistico, cosi'  come  la  tutela,
gia' prevista  all'art.  17,  primo  comma,  lettera  d),  in  favore
dell'ecosistema, della natura e della  biodiversita'  avrebbe  dovuto
essere estesa, altresi', ai valori paesaggistici dei corpi idrici. 
    Le  citate  norme  regionali,   dunque,   risultano   illegittime
costituzionalmente in quanto omettono del  tutto  di  considerare  il
ruolo centrale assegnato dall'ordinamento al  piano  paesaggistico  e
l'evoluzione  della  disciplina  della  materia  della   tutela   del
paesaggio nel  senso  della  necessaria  co-pianificazione  dei  beni
tutelati, che scaturisce  a  sua  volta  dall'assetto  costituzionale
della materia delineato dalla riforma costituzionale del 2001. 
    E' di tutta evidenza, infatti, che le norme regionali  in  esame,
incidenti su beni  paesaggistici  tutelati  ope  legis,  non  possano
prescindere dalla normativa di settore in materia  paesaggistica,  la
quale costituisce parametro  interposto  alla  tutela  costituzionale
riservata al paesaggio, costituente valore primario e assoluto (Corte
costituzionale n. 367 del 2007). 
    Sul punto, la circostanza che l'art. 12 del  decreto  legislativo
n. 79 del  1999  non  contenga  un  esplicito  riferimento  al  piano
paesaggistico  non  esclude   comunque   l'obbligo   della   Regione,
nell'attuare  le  previsioni  della  legge  statale,  di  subordinare
espressamente ogni e qualsivoglia decisione pubblica  concernente  la
modifica dello stato  dei  luoghi  in  relazione  ai  corsi  d'acqua,
costituenti beni sottoposti a tutela, alle  previsioni  del  predetto
piano, da adattarsi previa intesa tra lo Stato e la Regione. 
    Non  puo'  ritenersi,  infatti,  che  i   criteri   dettati   dal
legislatore  statale  per  l'esercizio  della  potesta'   legislativa
regionale alle lettere da a) a p) del comma 1-ter di  detto  art.  12
siano gli unici principi cui la medesima  potesta'  legislativa  deve
attenersi, e ritenuti esaustivi anche di questi ultimi. 
    Nel  dettare  i  criteri  per  l'esercizio   della   delega,   il
legislatore statale ha stabilito, alle predette lettere da a)  a  p),
quali siano i profili che la Regione  deve  specificamente  regolare,
indicando talora il ventaglio delle scelte  nell'ambito  delle  quali
deve essere definita una specifica opzione (ad esempio, la lettera e)
richiede la fissazione di precisi requisiti di capacita' finanziaria,
organizzativa e tecnica degli operatori, e indica a  tal  fine  anche
appositi requisiti minimi). 
    E' tuttavia indubitabile, come sopra detto,  che,  nell'esercizio
delle medesime attribuzioni legislative, la  Regione  sia  tenuta  ad
osservare anzitutto i principi fondamentali dell'ordinamento statale,
tra i quali rientra il necessario rispetto del  quadro  ordinamentale
tracciato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, con il quale
e' stata esercitata la potesta' legislativa esclusiva dello Stato  in
materia di tutela dei beni  culturali  e  del  paesaggio  (art.  117,
secondo comma, lettera s) della Costituzione). 
    Se, quindi, il legislatore non ha inteso elencare espressamente e
dettagliatamente tutti tali principi, e' nondimeno  evidente  che  la
Regione non avrebbe potuto esimersi dal darvi  concreta  e  specifica
applicazione. 
    In  particolare,  la   Regione   avrebbe   dovuto   espressamente
inquadrare l'esercizio  delle  funzioni  amministrative  disciplinate
mediante la  propria  legge  nel  contesto  del  piano  paesaggistico
elaborato previa intesa con lo Stato, ai sensi  degli  articoli  135,
143 e 145 del Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  (norme
interposte). 
    Ne' il richiamo al piano paesaggistico puo'  ritenersi  implicito
negli   sporadici   richiami   al    paesaggio,    all'autorizzazione
paesaggistica e  alla  pianificazione  territoriale  contenuti  nella
legge regionale. 
    Basta considerare, al  riguardo,  che  nessuna  previsione  della
legge in esame assicura che la tutela del  paesaggio  e  il  rilascio
delle  autorizzazioni  paesaggistiche  siano  inquadrati  nell'ambito
delle previsioni del piano paesaggistico, cui spetta in via esclusiva
la valutazione complessiva dell'assetto delle aree tutelate  e  delle
trasformazioni ivi ammissibili sotto il profilo paesaggistico. 
    Manifestamente  insufficiente   e'   anche   il   richiamo   alla
«pianificazione  e   programmazione   territoriale,   ambientale   ed
energetica, statale e regionale» contenuto  all'art.  6.  Si  tratta,
infatti, di una locuzione generica, che non solo  non  da'  esplicito
rilievo al piano paesaggistico, ma ne pretermette anche il  ruolo  di
necessaria  sovra  ordinazione  rispetto  a  ogni   altro   strumento
pianificatori (cfr. art. 145, comma 3 del Codice dei beni culturali e
del paesaggio). 
    Peraltro, la norma prevede che la giunta regionale debba soltanto
«tenere  conto»  di  tutto  il  complesso  degli  atti  pianificatori
genericamente  richiamati,  e  non  necessariamente  osservarli.   Il
richiamo, peraltro,  e'  comunque  limitato  al  solo  profilo  della
valutazione dei diversi possibili usi delle acque, ma non anche  alle
modalita'  di  realizzazione   delle   concessioni   di   derivazione
idroelettrica. 
    In  base  alle  considerazioni  sopra  esposte  le   disposizioni
regionali in esame sono costituzionalmente  illegittime,  in  primis,
per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), e  dell'art.
9 della Costituzione, nella parte in cui, all'art. 17, comma  1,  non
subordinano la  definizione  degli  obiettivi  minimi  da  conseguire
mediante interventi di  conservazione,  miglioramento  e  risanamento
ambientale del bacino idrografico  di  pertinenza,  finalizzati  alla
tutela  dei  corpi  idrici   e   alla   mitigazione   degli   impatti
sull'ambiente, nell'ambito delle concessioni  di  grandi  derivazioni
idroelettriche, al rispetto delle previsioni del piano paesaggistico,
approvato, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  n.  42  del
2004. 
    In  tal  senso,  va  ulteriormente  osservato  che  il  punto  di
equilibrio tra poteri statali e regionali nella materia della  tutela
e valorizzazione del paesaggio, risponde a un fondamentale principio,
che sorregge l'intero sistema  della  tutela:  la  codecisione  e  la
compartecipazione necessarie tra Stato e Regione in tutte  e  tre  le
fasi  in   cui   si   articola   la   tutela   paesaggistica,   ossia
individuazione, pianificazione e  gestione,  quest'ultima  esercitata
mediante il rilascio delle autorizzazioni degli  interventi  relativi
ai beni tutelati. 
    In questa prospettiva, scopo del piano paesaggistico e' quello di
evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche,
le singole trasformazioni vengano valutate in modo  parcellizzato,  e
non  nell'ambito  della  considerazione  complessiva   del   contesto
tutelato   specificamente    demandata    al    predetto    strumento
pianificatorio, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore
nazionale. 
    Si  tratta  di  una  scelta  di  principio  la  cui  validita'  e
importanza e' gia' stata affermata piu' volte da  codesta  Corte,  la
quale ha avuto modo di sottolineare l'esistenza di un vero e  proprio
obbligo, costituente un  principio  inderogabile  della  legislazione
statale, di  elaborazione  congiunta  del  piano  paesaggistico,  con
riferimento ai beni vincolati (Corte costituzionale n. 86 del  2019).
In  particolare,  si  e'  rimarcato  che  l'impronta  unitaria  della
pianificazione paesaggistica «e' assunta  a  valore  imprescindibile,
non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di  un
intervento teso a stabilire una  metodologia  uniforme  nel  rispetto
della legislazione di  tutela  dei  beni  culturali  e  paesaggistici
sull'intero territorio nazionale» (Corte costituzionale  n.  182  del
2006; la sentenza n. 272 del 2009). In particolare, codesta Corte  ha
affermato che «La disciplina statale volta a proteggere l'ambiente  e
il  paesaggio  viene  quindi  a  "funzionare  come  un  limite   alla
disciplina che le regioni e le province  autonome  dettano  in  altre
materie di loro competenza", salva la facolta' di  queste  ultime  di
adottare norme di tutela ambientale piu'  elevata  nell'esercizio  di
competenze previste dalla Costituzione,  che  concorrano  con  quella
dell'ambiente (sentenza n. 199 del 2014; nello stesso senso, sentenze
n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008, n. 378 del
2007). Essa richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che
si  esplica  in  un'attivita'   pianificatoria   estesa   sull'intero
territorio nazionale. In tal senso, l'attribuzione allo  Stato  della
competenza esclusiva di tale  "materia  obiettivo"  non  implica  una
preclusione assoluta all'intervento  regionale,  purche'  questo  sia
volto all'implementazione del valore  ambientale  e  all'innalzamento
dei suoi livelli di tutela» (sentenza n. 66 del 2018). 
    Il piano paesaggistico, in quanto piano sovraordinato a tutti gli
altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica,  sia
settoriale  (cfr.  art.  145   del   Codice),   quindi,   costituisce
l'architrave del sistema della tutela  del  paesaggio  e,  per  cosi'
dire, la «Costituzione del territorio». 
    Spetta,  conseguentemente,   alle   regioni,   nel   disciplinare
l'esercizio  delle  funzioni  amministrative   loro   demandate,   di
assicurare che tutte le determinazioni concernenti  i  beni  tutelati
siano necessariamente inquadrate nel contesto di  disciplina  dettato
dal predetto piano, pena la violazione  dei  precetti  costituzionali
sopra richiamati. 
    Conseguentemente le norme regionali contenute negli  articoli  6,
11, 13, comma 1, lettera h) e 17, comma  1,  invadono  la  competenza
legislativa esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali
e del paesaggio di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s)  della
Costituzione - rispetto al quale le citate previsioni del Codice  dei
beni culturali e  del  paesaggio  costituiscono  norme  interposte  -
ponendosi altresi' in contrasto, con il principio fondamentale  della
tutela del paesaggio e  del  patrimonio  storico  e  artistico  della
nazione di cui all'art. 9 della Costituzione. 
    Per questi motivi  la  legge  regionale  deve  essere  impugnata,
limitatamente alle norme sopra evidenziate, ai  sensi  dell'art.  127
della Costituzione.