LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana in composizione monocratica ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 61587/PC del registro di segreteria, proposto dai signori: Abiosi Antonia (C.F. BSANTN53A69F839V), Andronio Luigi (C.F. NDRLGU44B20H501J), Aronica Carmela (C.F. RNCCML51B14B520U), Banci Antonio (C.F. BNCNTN48H13D612U), Bechi Paolo (C.F. BCHPLA48P11D612F), Bellagamba Giovanni (C.F. BLLGNN40D10D612S), Boncampagni Emma (C.F. BNCMME50D56A390F), Campo Stefano Salvatore Rosario (C.F. CMPSFN36C25B429A), Cappelli Alberto (C.F. CPPLRT44L17D612Q), Cappuccio Giammarco (C.F. CPPGMR34R07A509E), Cariti Giuseppe (C.F. CRTGPP35M06F432X), Cataliotti Luigi (C.F. CTLLGU41A12F656B), Cini Adriano (C.F. CNIDRN41R24D612K), Crivelli Antonio (C.F. CRVNTN47E27D612K), D'Amora Raffaele (C.F. DMRRFL48A14L845N), D'Onofrio Grazia (C.F. DNFGRZ54P41I8090), De Giorgio Giovanni (C.F. DGRGNN42L15H703Q), De Lalla Uberto (C.F. DLLBRT35L01G702Q), De Matteis Aldo (C.F. DMTLDA37C13H047D), De Simone Giulio (C.F. DSMGLI48D03H501I), Di Nubila Vincenzo (C.F. DNBVCN40A19F023C), Donini Nicoletta (C.F. DNNNLT47D46D612M), Drago Fabio Massimo (C.F. DRGFMS40P23Z315R), Favara Franco (C.F. FVRFNC32D22H501I), Fleury Francesco (C.F. FLRFNC36M25D612Z) Germano' Alberto Natale (C.F. GRMLRT36T30H224M), Giambartolomei Giuliano (C.F. GMBGLN45E08H501I), Gironi Emilio (C.F. GRNMLE41H30C933G), La Cava Vittorio (C.F. LCVVTR27R17E716N), Loche Bruno (C.F. LCHBRN35M08B354M), Lombardi Sandra (C.F. LMBSDR52M60G879V), Maiorano Pasquale (C.F. MRNPQL44M22F587M), Maradei Francesco (C.F. MRDFNCC44D22H590W), Marchini Mauro (C.F. MRCMRA37T01H501E), Marchionni Mauro (C.F. MRCMRA40A26D612H), Maresca Bruno (C.F. MRSBRN50T11F839P), Mascagni Pietro (C.F. MSCPTR50M13I726M), Massetani Giovacchino (C.F. MSSGCC39A12I232B), Mazzi Roberto (C.F. MZZRRT47L13D612G), Merlo Rodrigo (C.F. MRLRRG49H25C351E), Miranda Mario Raffaele Felice (C.F. MRNMRF43M04A015E), Mocali Piero (C.F. MCLPRI38P25D612I), Muntoni Giampaolo (C.F. MNTGPL44A03D612G), Nannucci Ubaldo (C.F. NNNBLD33B02D612W), Nistico' Fausto (C.F. NSTFST5305C352H), Notaro Santi (C.F. NTRSNT44D01I754H), Occhipinti Paolo (C.F. CCHPLA47H3OH163W), Ognibene Enrico (C.F. GNBNRC41B11E463K), Ottati Paolo Casare (C.F. TTTPCS44R17L219G), Padoin Paolo (C.F. PDNPLA47A25D612X), Palazzo Salvatore (C.F. PLZSVT38T28D189K), Pappalardo Francesco (C.F. PPPFNC49E03C746Q), Pavone Pasquale (C.F. PVNPQL34R25L049R), Pedone Vincenzo (C.F. PDNVCN46R28147C), Quattrocchi Giuseppe (C.F. QTTGPP38R26F158C), Rados Bruno (C.F. RDSBRN43R16C129C), Ravone Michele (C.F. RVNMHL37S28F839C), Romagnoli Luisa (C.F. RMGLSU54D6E974T), Ruggiero Anna (C.F. RGGNNA47R41F839I), Santilli Renato (C.F. SNTRNT32S25A345Z), Sapere Vincenzo (C.F. SPRVCN38C18E037J), Scarselli Gianfranco (C.F. SCRGFR42B28F656A), Signorelli Antonio (C.F. SGNNTN47E01L049K), Simonetti Maria Laura (C.F. SMNMLR53T62A006E), Soresina Giuseppe (C.F. SRSGPP39D15E625G), Taddei Gian Luigi (C.F. TDDGLG46C02D612L), Tony Piero (C.F. TNYPRI41H03M149X), Vallini Carlo (C.F. VLLCRL43T11C609H), Varriale Bruno (C.F. VRRBRN50H06F839U), tutti rappresentati e difesi dall'avv. Gaetano Viciconte pec gaetano.viciconte@gmail.com e presso quest'ultimo elettivamente domiciliati in Firenze, Viale G. Mazzini n. 60; Contro: a) l'Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore con sede in Roma, via Ciro il Grande n. 21; b) l'Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore con sede in Firenze Viale Belfiore n. 28/A; e nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze, presso cui e' domiciliato in Firenze via Degli Arazzieri n. 4; per l'accertamento: a) del diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico rivalutato senza il blocco imposto dall'art. 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145; b) del diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico spettante senza la riduzione imposta dall'art. l, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145; e per l'annullamento e/o la dichiarazione di nullita', invalidita' e/o efficacia, in parte qua del cedolino del mese di giugno 2019,nonche' di quelli successivi recanti le illegittime riduzioni contestate nel ricorso; nonche' per la condanna dell'INPS alla restituzione delle somme indebitamente non erogate dal mese di giugno/luglio 2019 ivi compresa la quota relativa alle mensilita' da gennaio 2019 a maggio 2019, nonche' di tutte le somme che nelle more del presente giudizio fossero indebitamente erogate in applicazione dell'art. 1, commi 260 e 261 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino al soddisfo. Nella pubblica udienza del 17 dicembre 2019 sono comparsi l'avv. Gaetano Viciconte per i ricorrenti e l'avv. Silvano Imbrieci per l'INPS, non comparsi l'Avvocatura dello Stato ed il Ministero dell'economia. Visti gli atti e documenti di causa; Fatto 1. Le parti ricorrenti, tutti dipendenti pubblici in quiescenza con varie qualifiche, chiedono la declaratoria di illegittimita' de: a) la decurtazione operata dall'INPS, sul trattamento pensionistico corrisposto, in base ad aliquote percentuali e disciplinata dall'art. 1, commi da 261 a 268 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) con riferimento ad importi complessivamente superiori ad euro 100.000 lordi, su base annua, a decorrere dal 1° gennaio 2019 e sino al 31 dicembre 2023; b) la perequazione dei medesimi trattamenti pensionistici per gli anni 2019, 2020 e 2021 siccome designata dalla normativa di cui all'art. 1, comma 260, legge 30 dicembre 2018, n. 145. 2. La richiamata normativa dispone in siffatto modo: «260. Per il periodo 2019 - 2021 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: a) per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS nella misura del 100 per cento; b) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi: 1) nella misura del 97 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari a quattro volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla lettera a), l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 2) nella misura del 77 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volti il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limito incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 3) nella misura del 52 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 4) nella misura del 47 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a otto volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 5) nella misura del 45 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a nove volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a nove volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 6) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiore a nove volte il trattamento minimo INPS. 261. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per la durata di cinque anni, i trattamenti pensionistici diretti a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e della Gestione separata di cui all' art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, i cui importi complessivamente considerati superino 100.000 euro lordi su base annua, sono ridotti di un'aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per la parte eccedente i 130.000 euro fino a 200.000, pari al 30 per cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, pari al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e pari al 40% per la parte eccedente 500.000 euro. 262. Gli importi di cui al comma 261 sono soggetti alla rivalutazione automatica secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. 263. La riduzione di cui al comma 261 si applica in proporzione agli importi dei trattamenti pensionistici, ferma restando la clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui al comma 261 non si applica comunque alle pensioni intermedie liquidate con il sistema contributivo. 264. Gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nell'ambito della loro autonomia, si adeguano alle disposizioni di cui ai commi da 261 a 263 e 265 dalla data di entrata in vigore della presente legge. 265. Presso l'INPS e gli altri enti previdenziali interessati sono istituiti appositi fondi denominati «Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato» in cui confluiscono i risparmi derivati dai commi da 261 a 263. Le somme ivi confluite restano accantonate. 266. Nel fondo di cui al comma 265 affluiscono le risorse rivenienti dalla riduzione di cui ai commi da 261 a 263, accertate sulla base del procedimento di cui all'art. 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241. 267. Per effetto dell'applicazione dei commi da 261 a 263 l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non puo' comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua. 268. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 261 a 263 le pensioni di invalidita', i trattamenti pensionistici di invalidita' di cui alla legge 12 giugno 1984, n. 222, i trattamenti pensionistici riconosciuti ai superstiti e i trattamenti riconosciuti a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466 e alla legge 3 agosto 2004, n. 206». 3. L'articolato normativo, osservano le parti ricorrenti, determina due manovre per i ricorrenti, percettori di trattamento pensionistico che eccede euro 100.000 lordi annui, l'una di «blocco» della perequazione per gli anni 2019, 2020 e 2021, l'altra di «taglio» con decurtazione sull'ammontare della pensione da un minimo del 15% ad un massimo del 40%, poiche' in attivita' lavorativa hanno versato contributi con il sistema cd. misto per obblighi di legge, mentre per le pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo si esclude tale misura ablativa sulla somma del trattamento previdenziale. 4. Le parti ricorrenti hanno presentato diffida il 1° luglio 2019 innanzi all'INPS competente per materia ad erogare il trattamento pensionistico decurtato, richiedendo che l'ente previdenziale continuasse ad erogare il trattamento pensionistico gia' in godimento senza operare la decurtazione prevista dalla detta normativa, e con l'avvertenza che, decorsi sessanta giorni dal ricevimento, avrebbero adito le competenti sedi giurisdizionali senza ulteriore avviso per tutelare i propri diritti. Non avendo ricevuto alcun riscontro alla istanza, i ricorrenti hanno dedotto la legittimazione processuale ad adire il giudice contabile ai sensi dell'art. 153 del codice di giustizia contabile. In conseguenza delle molteplici istanze presentate l'INPS ha emanato la circolare n. 44 del 2019 per fornire la interpretazione sull'applicazione dell'art. 1, comma 260 della legge n. 145/2018 e la circolare n. 62/2019 in riferimento all'art. 1, commi da 261 a 268 della legge n. 145/2018. 5. Lamentano, i ricorrenti, di aver subito una misura ablativa eccessivamente onerosa sul trattamento pensionistico. che ha cagionato un danno alla loro situazione economica, e tale misura e' solo l' ultima manovra economica in ordine di tempo destinata ad incidere sui trattamenti pensionistici (cfr., in precedenza, legge 23 dicembre 1999, n. 488, legge 24 dicembre 2003, n. 350, decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni in legge 15 luglio 2011, n. 111; legge 27 dicembre 2013, n. 147). Rilevano i ricorrenti che nella specie gli atti con i quali l'INPS ha applicato il blocco della perequazione del trattamento pensionistico ai sensi dell'art. 1, comma 260 della legge n. 145/2018, e la decurtazione disciplinata dall'art. 1, commi 261 e ss. della medesima legge, in conseguenza della illegittimita' costituzionale della detta normativa, sono illegittimi per violazione dei parametri costituzionali ed eurounitari in materia di trattamenti pensionistici, nonche' per eccesso di potere per aver dato attuazione alla richiamata normativa incostituzionale viziata da diversi profili di incostituzionalita'. 5.1. Una prima censura sollevata dai ricorrenti attiene la violazione degli articoli 3,36 e 38 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza del prelievo di cui all'art. 1, comma 261, della legge n. 145/2018. Le parti attoree, dopo aver richiamato il principio di ragionevolezza che, secondo la giurisprudenza costituzionale, rappresenta il cardine intorno a cui devono ruotare le scelte del legislatore nella materia pensionistica ed assurge a principio di sistema, osservano che la Consulta ha ribadito l'applicabilita' del criterio della proporzionalita' alla quantita' e qualita' del lavoro prestato (art. 36, comma 1 Cost.) e del criterio di adeguatezza, (art. 38, comma 2 Cost.) anche ai trattamenti di quiescenza, in, specie considerando le aspettative di vita e con essa il diritto a condurre una esistenza libera e dignitosa, ai sensi dell'art. 36 Cost. Sicche' proporzionalita' ed adeguatezza, per la Corte costituzionale, non devono sussistere solo al momento del collocamento a riposo, ma essere assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta. Da qui la considerazione che la riduzione quantitativa dei trattamenti pensionistici appare irragionevole oltre che arbitraria e discriminatoria per i soggetti interessati, atteso che il blocco della perequazione e le riduzioni imposte non sono fondati su interessi generali. La normativa oggetto di censura deroga d'altra parte alla disciplina generale di cui all'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, siccome modificato dall'art. 1 decreto-legge n. 65/2015 ed afferma (art. 1, comma 260, della legge n. 145/2018) che «per il periodo 2019 - 2021 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: a) per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS nella misura del 100 per cento: b) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi: 1) nella misura del 97 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari a quattro volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla lettera a), l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 2) nella misura del 77 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volti il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limito incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 3) nella misura del 52 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorata; 4) nella misura del 47 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a otto volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 5) nella misura del 45 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a nove volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a nove volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dal presente numero, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 6) nella misura del 40 per cento peri trattamenti pensionistici complessivamente superiore a nove volte il trattamento minimo INPS». La richiamata disciplina blocca, lamentano i ricorrenti, la perequazione a scaglioni, non osservando i criteri indicati dalla Corte costituzionale al legislatore ed individuati nei seguenti: al la misura eccezionale deve essere circoscritta temporalmente (la sentenza n. 250/2017 prevede un biennio); b) il sacrificio imposto deve essere proporzionato al livello di trattamento pensionistico; c) la misura deve essere giustificata da impellenti ed eccezionali esigenze di bilancio o di impegni di spesa in materia previdenziale i cui risparmi devono essere diretti a fini I tre criteri non sono stati rispettati, considerato che vi e' stata continuita' tra il triennio 2014 - 2016 ed il triennio 2019 - 2021 (cfr. dossier sulla legge di bilancio - profili finanziari pp.78-79) ed il danno cagionato ai ricorrenti e' eccessivo addizionando la sommatoria tra l'abbattimento del potere d'acquisto e gli effetti decurtativi di cui all'art. 1, comma 261, della legge n. 145/2018, mentre la norma oggetto di censura nulla dispone in merito agli scopi che il legislatore si pone di raggiungere con tale misura, non disponendo per il perseguimento di finalita' solidaristiche endo - previdenziali ne' per l'intento (seppur insufficiente) di un mero risparmio di spesa. Parimenti la disposizione dell'art. 1, comma 261, della legge n. 145/2018 supera i criteri della ragionevolezza e proporzionalita', in quanto non garantisce la tutela della capacita' reddituale dei soggetti interessati rispetto alla erosione determinata dal valore d'acquisto della moneta, non e' proporzionata rispetto agli scopi (non indicati) ne' e' posta per porre freno ad impellenti esigenze di bilancio. 5.2. Altra violazione e' costituita dal conflitto con gli articoli 2.3, 36 e 38 della Costituzione per il profilo della natura non temporanea dei sacrifici imposti dall'art. 1, comma 261 della legge n. 145/2018. La giurisprudenza costituzionale ha sostenuto che - in tema di interventi restrittivi sui trattamenti economici - sono imposti sacrifici economici costituzionalmente sostenibili solo se tali sacrifici hanno il carattere della eccezionalita', della contingenza, della non arbitrarieta', della stretta attinenza allo scopo prefissato nonche' della temporaneita' limitata degli stessi, ed in presenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica per fini solidaristici (sent. n. 250/2017, 169/2017 e n. 108/2018), criteri inapplicati nella specie in specie in ordine alla «contingente situazione finanziaria» o «impellenti esigenze di finanza pubblica», anche considerato che ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitato a periodo brevi, e' per sua natura definitiva e che per tale ragione deve essere salvaguardato il potere di acquisto dei rapporti di quiescenza. Nella specie non vi e' stato alcun bilanciamento degli interessi in gioco (esigenze di contenimento della spesa pubblica ed esigenze di tutela dei diritti economici dei pensionati) con effetti definitivi ed irreversibili sulla situazione economica della categoria dei pensionati e considerato che le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta (come insegnato dalla Corte costituzionale) e che la disposizione si pone all'interno di un ciclo continuo di disposizioni che decurtano i trattamenti pensionistici dei ricorrenti (a scaglioni temporali di tre anni ciascuno, tra il 2000 ed il 2016, vi sono stati quattro prelievi rubricati dal legislatore come «contributo di solidarieta'» l'art. 3, legge n. 488/1989, art. 3, comma 102, legge n. 350/2003, art. 18, comma 22-bis, decreto-legge n. 98/2011, art. 1, comma 486, legge n. 177/2013). 5.3. Ulteriore ragione di censura e' costituita dalla violazione degli articoli 2, 3, 36, comma 1, e 38, comma 2, della Costituzione per il profilo della irragionevolezza e sproporzionalita' intrinseca della disciplina a causa della genericita' delle misure introdotte, non essendo stata giustificata una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica ne' la misura imposta e' agganciata ad alcun intento solidaristico. 5.4. I ricorrenti lamentano anche la violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione per il profilo della irragionevolezza della misura del prelievo. Si censura la norma sotto un duplice profilo, sia per il quantum delle aliquote (da un minimo del 15% ad un massimo del 40%) a fronte del 6% e del 18% - quest'ultimo definito dalla Corte costituzionale «ai limiti» (sent. n. 173/2016) in altra previsione normativa scrutinata (art. 1, comma 486, legge n. 147/2013), sia per la scelta, fermo restando il principio di discrezionalita' legislativa, operata per il trattamento «di pensione anticipata cd. quota 100» e per le «disposizioni urgenti in materia di cittadinanza» determinativi di ben piu' consistenti spese (con un rapporto. osservano i ricorrenti di 1 a 100 tra incrementi di spesa e risparmio della medesima). 5.5. Ulteriore censura e' costituita dalla violazione degli articoli 3, 23. 36, 38 e 53 della Costituzione per la natura giuridica - di tributo - configurabile nella specie in quanto viene imposta arbitrariamente una misura economica che ha natura di imposta speciale (decurtazione patrimoniale priva di un rapporto sinallagmatico tra le parti, prelievo coattivo collegato alla pubblica spesa inerente ad un presupposto economico dettato dall'indice di capacita' contributiva dei soggetti interessati dalla disposizione), ne' l'art. 1, comma 265, della legge n. 145/2018 ha una finalita' solidaristica in generale o endoprevidenziale, ed incidendo peraltro la normativa su redditi - di pensione - ormai consolidati nel loro ammontare e non suscettivi di modifiche migliorative sul piano sinallagmatico. 5.6. Vi e' anche secondo i ricorrenti la violazione, da parte dell'art. 1, comma 261, della legge n. 145/2018, degli articoli 2, 3, comma 2, 36, comma 1, e 38, comma 2, 53 della Costituzione per il profilo della arbitrarieta' e della disparita' di trattamento per una sola categoria di cittadini, essendosi operata una violazione del principio di universalita' e del principio di uguaglianza del prelievo a parita' di presupposto d'imposta economicamente rilevante. Nella specie il provvedimento restrittivo non e' stato previsto all'interno di un quadro complessivo di sacrifici imposti a tutti i cittadini, ed ulteriore profilo di vizio deriva dalla esclusione della detta misura per i superstiti (art. 1, comma 261) titolari della pensione di reversibilita'. 5.7. Altro vizio si fonda sul conflitto con gli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione per l'irragionevole raffronto tra sistema previdenziale contributivo e retributivo in quanto la norma esclude, ex art. 1, comma 262, dalla decurtazione patrimoniale le pensioni liquidate con il sistema contributivo. I ricorrenti censurano le misure ablative dei trattamenti economici circoscritte solo ad una determinata categoria di soggetti, a parita' di capacita' contributiva (Corte cost. n. 223/2013), asserendo che per di piu' la decurtazione e' operata in maniera discriminatoria sui soli percettori di reddito da pensione e, tra questi, sul trattamento pensionistico «diretto» e non calcolato «interamente» attraverso un meccanismo ascrivibile al cd. «metodo contributivo», con compromissione della funzione di solidarieta' sociale attribuita alla pubblica amministrazione. Peraltro i ricorrenti riscuotono solo la minor somma tra i due risultati ottenuti a seguito del doppio calcolo disposto dall'art. 24, comma 2. del decreto-legge n. 2011/2011, siccome modificato dall'art. 1, comma 707, della legge n. 190/2014 (legge di stabilita' del 2015); ne consegue che ingiustificata e discriminatoria appare la esclusione dalla decurtazione sia di chi fruisce di un sistema pensionistico maturato con il sistema contributivo, sia di chi si e' beneficiario dei trattamenti della cd. gestione separata INPS. La norma in siffatto modo colpisce solo una parte della platea dei pensionati con trattamenti elevati, essendo esclusi i pensionati di altre gestioni previdenziali ed incidendo in siffatto modo su una sola categoria, in distonia con quanto affermato da orientamenti della Corte costituzionale (sent. n. 223/2012) non includendo sia i pensionati percettori di trattamento pensionistico di pari importo, ma a carico di gestioni diverse dall'INPS, sia i percettori di redditi di omologo livello, in particolare considerando che la riduzione del trattamento pensionistico non costituisce un prelievo una tantum ma protratto nel tempo (cinque anni). 5.8. Ulteriore parametro violato e' costituito dalla violazione degli articoli 3, 36, 38, 97, 101 e 104, comma 1 della Costituzione, per il profilo della lesione dell'imparzialita' della pubblica amministrazione e dell'indipendenza della magistratura. Una declinazione di tale posizione riguarda la posizione dei pubblici dipendenti la cui imparzialita' e' garantita da un adeguato trattamento economico, e dell'indipendenza della magistratura, la cui imparzialita' va salvaguardata anche sotto il profilo economico, come affermato da numerose decisioni della Corte costituzionale (cfr. ex plurimis n. 223/2012) ma anche di orientamenti della Corte comunitaria (CGUE Grande Sez. 27 ottobre 2018 causa C-64/16). Non sussistono, pertanto, condizioni legittimanti la disciplina censurata in quanto la medesima: a) non possiede alcun tratto di proporzionalita'; b) non produce effetti limitati nel tempo (in quanto la normativa si estende per ben cinque anni e si estende ad analoghe disposizioni «punitive» precedenti; c) colpisce una sola categoria di pubblici funzionari; d) non persegue alcun obiettivo perequativo. 5.9. I ricorrenti prospettano anche la violazione degli articoli 3, 36, 38, 97, 101 e 104, comma 1 della Costituzione, per il profilo della lesione dell'imparzialita' della pubblica amministrazione e dell'indipendenza della magistratura anche per l'irragionevole raffronto tra sistema previdenziale contributivo e retributivo codificandosi, in siffatto modo, una disparita' di trattamento nei confronti dei magistrati pensionati con sistema retributivo che, da uno studio dell'INPS del 2015, hanno subito riduzioni piu' consistenti da quelli subiti di chi gode del sistema contributivo e sono, nella specie, ulteriormente decurtati per ulteriori cinque anni di una consistente aliquota del proprio trattamento pensionistico. 5.10. Si eccepisce inoltre anche la violazione dell'art. 1, commi 261 e 265, della legge n. 145/2018 in riferimento agli articoli 3, 36, 38 e 97 Cost. per il profilo della sottrazione di somme alla gestione previdenziale per accantonamento delle somme nel «Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici», ma senza che il sistema previdenziale possa beneficiarne per qualsiasi attivita' degli enti previdenziali, compromettendo in siffatto modo il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. 5.11. Ulteriore censura attiene il conflitto dell'art. 1, comma 261 con gli articoli 3 e 81 della Costituzione e dell'art. 21 della legge n. 196/2009, in quanto la decurtazione imposta va ben oltre lo spazio temporale di programmazione del bilancio dello stato previsto dalla legge che si riferisce ad un periodo triennale, e siccome deriva, oltre che dalla normativa citata. dall'art. 1, comma 1, della legge n. 145/2018, mentre la misura ablativa censurata comprende un periodo quinquennale. 5.12. Viene anche sollevata la violazione degli articoli 3, 36, 38 e 42, nonche' degli articoli 97 e 117, comma 1, Cost., con riferimento al principio di legittimo affidamento e degli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nonche' della tutela della proprieta' privata cosi' come tutelati dall'ordinamento dell'Unione europea, anche in riferimento all'art. 1 del Primo Prot. AGG. La tesi attorea lamenta la incostituzionalita' della richiamata normativa per violazione del principio del legittimo affidamento la cui tutela costituisce un «principio connaturato allo stato di diritto» (Corte cost. n. 103/2013), in quanto il «taglio» interviene, modificandoli in peius, su rapporti di durata sorti prima della sua entrata in vigore, determinando una specie di retroattivita' impropria in quanto applicata sulle situazioni in essere, connotate da una posizione giuridica consolidata, ne' ricorrono esigenze inderogabili o condizioni eccezionali giustificativi il vulnus economico. Il principio di affidamento, lamentano i ricorrenti (cfr. Corte costituzionale n. 108/2019 nonche' n. 89/2018), trova copertura costituzionale nell'art. 3, quale manifestazione del valore della certezza del diritto, ed e' riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ed in merito la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha statuito che il mero interesse finanziario pubblico non costituisce ragione di per se' sufficiente a giustificare interventi retroattivi senza alcuna prevedibilita', con interventi peggiorativi proporzionati rispetto all'obiettivo perseguito e per «interessi pubblici sopravvenuti»: sicche' vi e' nella specie la violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo costituente violazione dell'art. 117 della Costituzione, oltre alla violazione dell'art. 42 della Costituzione in quanto decurtazione relativa a somme nella disponibilita' dei ricorrenti e costituente un «onere anomalo ed esorbitante (secondo una qualificazione assegnata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo ai caratteri connotanti la limitazione) e non connotate da un carattere temporale. 5.13. Viene, infine, prospettato la violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. per violazione degli articoli 21 e 25 della Carta di Nizza, degli articoli 10 e 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dell'art. 15 del Pilastro europeo dei diritti sociali, della direttiva 2000/78/CE i quali stabiliscono un quadro generale per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. La normativa oggetto di censura, osserva la parte attorea, non si presenta rispettosa dei principi comunitari di non discriminazione per ragioni di patrimonio e/o eta', di parita' di trattamento ed integrazione socio/economica degli anziani, nonche' di adeguatezza dei trattamenti retributivi, con riferimento all'inclusione negli stessi di tutti i vantaggi attuali e futuri, anche in riferimento ai contributi corrisposti, non essendo escluso che talune prestazioni - corrisposte dopo la cessazione dal rapporto di lavoro - possano avere carattere di retribuzione. La Corte di giustizia della UE ha chiarito piu' volte che, sotto l'egida dell'art. 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, trovano tutela tutte le retribuzioni, anche quelle consistenti in prestazioni corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro. 5.14. Concludono, i ricorrenti, per raccoglimento del ricorso, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 260 a 268. della legge n. 145 del 2018, e per: accertare e dichiarare il diritto alla corresponsione del trattamento pensionistico spettante ai ricorrenti senza la riduzione imposta dall'art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n 145; accertare e dichiarare il diritto alla corresponsione dei ricorrenti del trattamento pensionistico rivalutato senza il blocco di cui comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145; annullare o dichiarare nullo, invalido e/o inefficace il cedolino pensionistico dei ricorrenti (tranne la dott.ssa Simonetti Maria Laura) relativo al mese di giugno 2019 e con riferimento espresso alla dott.ssa Simonetti Maria Laura del mese di luglio 2019, nonche' di quelli successivi recanti le illegittime riduzioni ivi rilevate; condannare l'INPS alla restituzione delle somme indebitamente non erogate ai ricorrenti nel mese di giugno 2019, nonche' nel mese di luglio 2019 con riferimento alla dott.ssa Simonetti Maria Laura, ivi compresa la quota relativa alle mensilita' da gennaio 2019 a maggio/giugno 2019, nonche' di tutte le somme che nelle more della definizione del presente giudizio non fossero indebitamente state erogate, in applicazione dell'art. 1, commi 260 e 261, della legge 30 dicembre 2018 ,n. 145, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino al soddisfo. 6. Con memoria depositata in data 2 dicembre 2019 si e' costituito in giudizio l'INPS contestando le eccezioni di costituzionalita' sollevate dai ricorrenti. 6.1. In ordine alle norme che dispongono la decurtazione della pensione l'istituto eccepisce il rispetto del parametro della temporaneita' del prelievo, rappresentando il quinquennio un periodo specificamente circoscritto (peraltro nella sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 non era stato fissato un limite massimo della durata del prelievo), e peraltro non vi e' continuita' tra le diverse misure adottate dal legislatore nel corso degli anni, ne' omogeneita' di contenuti, per cui non vi e' consolidamento nel tempo dell'incidenza sulle pensioni piu' elevate (nessuna riduzione in tal senso era stata disposta dal 2007 al 2011). 6.2. Con riferimento al carattere selettivo del contributo l'ente previdenziale sostiene la coerenza e ragionevolezza dell'esclusione delle categorie di pensionati amministrate dagli enti di previdenza obbligatori (decreto legislativo n. 504/1994 e n. 103/1996), avendo la Corte costituzionale (n. 7/2017) riconosciuto la necessita' di preservare l'equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni, mentre la esclusione dei titolari di trattamenti ai superstiti si radica sulla peculiarita' del regime giuridico delle pensioni ai superstiti determinate in misura ridotta sin dall'inizio (che puo' arrivare sino al 50%) e soggette ad ulteriori possibili decurtazioni in caso di cumulo con altri redditi dei beneficiari ai sensi della Tab. F della legge n. 335/1995. 6.3. L'INPS rigetta anche l'asserito carattere discriminatorio del contributo, rispetto ai cittadini percettori di redditi omologhi non da pensione, osservando che tale connotazione e' stata piu' volte esclusa dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 160/2007) in relazione a disposizioni omologhe a quella contestata, valorizzando la funzione solidaristica interna al sistema previdenziale e l'attitudine delle pensioni piu' elevate a sostenere tali temporanei sacrifici. 6.4. Sulla irragionevole discriminazione dei soggetti incisi, in relazione ai percettori di trattamenti pensionistici liquidati interamente secondo il meccanismo contributivo, osserva l'INPS che per questi ultimi la pensione e' determinata in funzione dei contributi versati nel corso della vita lavorativa. sicche' risulterebbe «superflua e perfino ingiusta» l'imposizione di un prelievo aggiuntivo. Parimenti congrua appare la soggezione al contributo dei titolari di trattamenti liquidati con il sistema di calcolo cd. misto, considerato che essi beneficiano di una terza quota di pensione, afferente ai contributi versati dopo il 31 dicembre 2011, che puo' determinare un importo complessivo superiore a quello ottenibile con il meccanismo interamente contributivo. 6.5. Priva di fondamento, osserva l'istituto previdenziale, e' l'asserita sottrazione al sistema previdenziale delle somme acquisite per effetto della disciplina contestata, considerata l'espressa previsione normativa - art. 1, comma 265 - dell'accantonamento delle citate risorse in Fondi istituiti presso le gestioni previdenziali, e ritenuta la sussistenza della procedura della conferenza dei servizi per la decisione sulla destinazione delle stesse, per cui viene individuata una specifica finalita' istituzionale alle somme acquisite. 6.6. Non e' condivisibile neanche la censura in ordine alla irragionevolezza dei contributo sul piano quantitativo considerato che la Corte costituzionale si limita (cfr. sentenza n. 173/2016) ad individuare dei parametri di portata generale (sostenibilita' e proporzionalita' del prelievo), e vista l'adeguata presenza di scaglioni reddituali (cinque invece dei tre previsti dalla legge n. 147/2013), con espressa previsione di una clausola di salvaguardia secondo cui «l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non puo' comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua». 6.7. Ne', osserva la parte resistente, puo' configurarsi il prelievo come avente la natura di tributo, in assenza di due (dei tre) elementi delle fattispecie tributarie, ovvero la definitivita' della decurtazione patrimoniale a carico dei soggetti passivi e la destinazione delle risorse acquisite al finanziamento delle pubbliche spese: in tal senso depongono la durata quinquennale del prelievo - quindi transitorio - e l'accantonamento dei risparmi conseguiti in Fondi previdenziali specificamente previsti. Neppure si realizza la dedotta violazione dell'art. 23 della Costituzione, trattandosi di prestazioni patrimoniali imposte per un arco temporale limitato e finalizzate ad un circuito di solidarieta' interno al sistema previdenziale. 6.8. Infondata e' anche l'eccezione di incostituzionalita' con riferimento all'asserita lesione del principio di affidamento, essendosi affermato nella giurisprudenza costituzionale un indirizzo interpretativo (n. 22/2003, n. 160/2007, n. 223/2012, n. 116/2013 e n. 173/2016) per cui tale tipologia di contributi e' ammessa purche' non arbitraria, non lesiva in maniera eccessiva delle legittime aspettative del soggetto inciso e sorretto da finalita' di solidarieta' previdenziale, requisiti sussistenti nel caso oggetto di scrutinio. 6.9. Da disattendere e' anche l'eccezione afferente la lesione dei principi di imparzialita' della pubblica amministrazione e dell'indipendenza della magistratura, non investendo la decurtazione i trattamenti retributivi, ne' sussistendo equiparabilita' tra le pensioni e le retribuzioni (cfr. Corte costituzionale n. 124/2017), e d'altro canto esiste una portata generale del contributo che comprende anche pensionati del settore privato e quindi non essendo l'incidenza circoscritta al settore pubblico. 6.10. L'istituto previdenziale respinge anche le censure concernenti la violazione dell'art. 81 della Costituzione e delle norme comunitarie sotto molteplici profili che prevedono il divieto di discriminazione tra le persone in ragione dell'eta'. Con riferimento alla violazione dell'art. 81 della Costituzione non appare conferente il parametro costituzionale evocato ne' la ratio dell'allegata violazione, non essendo comunque idonea ad integrarla in alcun modo il solo elemento della durata quinquennale del prelievo. In ordine ai principi comunitari di tutela degli anziani, essi non implicano l'esclusione di interventi normativi che modifichino in senso riduttivo i trattamenti pensionistici, ne' nella specie appare configurabile alcuna lesione del diritto delle persone anziane «ad una vita dignitosa ed indipendente » o di quello a «partecipare alla vita sociale e culturale», vista l'incidenza su pensioni di significativo importo. 6.11. Sull'intervento di contrazione del meccanismo perequativo delle pensioni (art. 1, comma 260, legge n. 145/2018), l'INPS osserva che appare infondata l'eccezione di incostituzionalita', in quanto la norma attuale ha introdotto un numero piu' elevato di aliquote in relazione ai diversi scaglioni reddituali ed ha disposto percentuali di perequazione in larga parte piu' favorevoli rispetto alla omologa disciplina vigente nel pregresso arco temporale 2014 - 2018. Ne deriva il rispetto dei criteri di progressivita' parametrati sui canoni di proporzionalita' ed adeguatezza dell'intervento riduttivo secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale (sentenze n. 70/2015 e 250/2017). Conclude l'INPS per la reiezione di tutte le eccezioni di costituzionalita' prospettate dalle parti attrici con rigetto della domanda preliminare di sospensione del giudizio e remissione degli atti alla Corte costituzionale e, nel merito, chiede il rigetto del ricorso per infondatezza delle domande avanzate dai ricorrenti, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese di lite. 7. Con memoria difensiva l'Avvocatura distrettuale dello Stato deduce la non ascrivibilita' alla fattispecie tributaria della norma contestata, siccome affermato anche dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 173/2016) in una vicenda analoga e ribadito in altra sentenza (n. 213/2017) afferenti a «risparmi» di cui all'art. 1, comma 487, della legge n. 147/2013. Osserva l'avvocatura erariale che il ricalcolo opera correttamente, su quei trattamenti che in tutto od in parte non hanno una correlazione, un «rapporto di sinallagmaticita'» con l'ammontare dei contributi versati e che prevede aliquote che comunque restano al di sotto del «vantaggio percentuale» connesso all'applicazione del sistema retributivo rispetto a quello contributivo. In ogni caso la riduzione e' sostenibile, vista la salvaguardia del trattamento non inferiore ad euro 100.000,00. Quanto alla riduzione per scaglioni del meccanismo di perequazione dei trattamenti di cui all'art. 1, comma 260, tale provvedimento e' in linea con altri provvedimenti di contenuto sostanzialmente analogo scrutinati dalla Corte costituzionale e ritenuti infondati (sent. n. 250/2017), in quanto interventi aventi natura e finalita' perequative riferiti alle pensioni piu' elevate ma anche con la previsione del tetto massimo (immutabile e non soggetto a indicizzazioni o adeguamenti) delle retribuzioni dei funzionari pubblici di cui agli articoli 23-ter decreto-legge n. 201/2011 e 13, comma 1, decreto-legge n. 66/2014, ritenuti legittimi dalla Corte costituzionale anche in ordine alla perpetuazione degli effetti nel tempo (sent. n. 124/2017). Nella odierna udienza di discussione le parti ricorrenti hanno insistito per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, in particolare sotto il profilo della violazione del principio di affidamento, richiamando alcuni orientamenti della Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 8 ottobre 2013 Da Concecao Mateus contro Portogallo e Santos Januario contro Portogallo) e depositando una nota dell'INPS avvalorante la rilevante e perdurante perdita del potere d'acquisto dei magistrati pensionati, atti su cui l'INPS non si e' opposta. Le parti ricorrenti hanno inoltre insistito sulle ulteriori questioni di costituzionalita' e sull'accoglimento del ricorso, mentre il legale difensore dell'INPS si e' rimessa alla memoria chiedendo il rigetto del ricorso. Quindi la causa e' stata introitata per la decisione. Diritto 1. Il giudizio in esame ha ad oggetto la richiesta della rideterminazione del trattamento pensionistico avanzato dai ricorrenti senza le decurtazioni introdotte dalla contrazione della rivalutazione automatica per il triennio 2019/2021 (art. 1, comma 260, legge 30 dicembre 2018, n. 145) e dal prelievo sull'importo annuale lordo, previsto per il quinquennio 2019/2023 (art. 1, comma 261 legge 30 dicembre 2018, n. 145). Le parti ricorrenti a sostegno delle pretese formulate hanno eccepito la violazione della normativa in quanto confliggente con molteplici disposizioni della Costituzione ed in specie con gli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81, 97, 101, 104 e 117 ma anche con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, costituente violazione dell'art. 117 della Costituzione. 2. La Corte costituzionale ha emesso numerose pronunce aventi ad oggetto gli interventi legislativi di compressione dei diritti patrimoniali acquisiti dai percettori di trattamenti pensionistici nonche' di revisione del meccanismo di perequazione automatica degli stessi, introdotti dall'art. 34, comma 1, legge n. 448/1998 ed in entrambe le materie ha affermato che la discrezionalita' del legislatore nell'adozione di misure che incidono sui diritti previdenziali non preclude la necessita' di verificare, per ciascun intervento, il rispetto dei fondamentali principi di ragionevolezza, adeguatezza ed affidamento. In ordine al prelievo nella sentenza n. 173/2016 si e' statuito che «in linea di principio, il contributo di solidarieta' sulle pensioni puo' ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali e' necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi, appunto di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 Cost.), il cui rispetto e' oggetto di uno scrutinio «stretto» di costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato alla mancanza di arbitrarieta'». In riferimento alla perequazione nella sentenza n. 250/2017 si e' affermato che «la discrezionalita' spettante al legislatore nella scelta dei meccanismi diretti ad assicurare nel tempo l'adeguatezza dei trattamenti pensionistici trova pur sempre un limite nel "criterio di ragionevolezza"». Quest'ultimo, «cosi' come delineato dalla giurisprudenza citata (della Corte costituzionale) in relazione ai principi contenuti negli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive la discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali» (sent. n. 70/2015). Sicche' «ne consegue che la sussistenza della discrezionalita' legislativa... non esclude la necessita' di verificare nel merito le scelte di volta in volta operate ... quale che sia il contesto giuridico e di fatto nel quale esse si inseriscono, contesto nel quale questa Corte, nel compiere tale verifica, non potra', ovviamente non tenere conto». 3.1. Violazione degli articoli 3, 53 ed 81 della Costituzione. Le parti ricorrenti osservano che la misura adottata (art. 1, commi da 261 a 268, legge n. 145/2018) e contestata in questa sede, costituisce una misura economica avente natura tributaria e di imposta speciale, ritenuta la decurtazione patrimoniale priva di un rapporto sinallagmatico tra le parti, costituente un prelievo coattivo collegato alla pubblica spesa ed inerente ad un presupposto economico determinato dall'indice di capacita' contributiva dei soggetti interessati dalla censurata norma, ed inoltre non ha una finalita' solidaristica o endoprevidenziale. Sulla natura del tributo costante giurisprudenza della Corte costituzionale ha individuato lo stesso nel «prelievo coattivo che e' finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed e' posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacita' contributiva» (ex multis sentenze n. 102/2008, n. 269/2017, n. 250/2017, n. 173/2016, n. 70/2015 e n. 116/2013 e n. 223/2012). Va ricordato sul tema che la omologa misura (art. 1, comma 486/2013) e' stata ritenuta dalla Corte costituzionale non sussumibile nella categoria del tributo «non essendo acquisito allo Stato ne' destinato alla fiscalita' generale, ed essendo, invece, prelevato in via diretta dall'INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali - anziche' versarli all'Erario in qualita' di sostituti di imposta - lo trattengono all'interno delle proprie gestioni, con specifiche finalita' solidaristiche endo- previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti "esodati"». Analogamente la Consulta aveva ritenuto costituzionale l'art. 37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria 2000), ritenuto non in conflitto con gli articoli 3 e 53 in quanto finalizzato a realizzare «un circuito di solidarieta' interno al sistema previdenziale» (ordinanza n. 22 del 2003), e neppure contraria agli articoli 2, 36 e 38 Cost. (ordinanza n. 160 del 2007)» Si e' pertanto assegnata alla detta decurtazione la natura di «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'art. 23 Cost., avente la finalita' di contribuire agli oneri del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000, ordinanza n. 22/2003). Di converso nella norma censurata (art. 1, commi 261 e 265 della legge n. 145/2018) non appare individuata alcuna destinazione «vincolata» delle risorse a finalita' solidaristiche endo-previdenziali, atteso che la previsione sottrae le somme alla gestione previdenziale accantonandole nel «Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici», senza che il sistema previdenziale possa beneficiarne per l'attivita' degli enti previdenziali, ed essendo pertanto la misura correlata ad alcun intento solidaristico vista l'assenza di individuazione delle finalita' perseguite. Nella specie le somme restano semplicemente accantonate non potendo disporne gli enti previdenziali per un tempo indeterminato ed indeterminabile nella propria gestione per fini solidaristici, vista l'assenza di una indicazione legislativa in merito, prevedendo la norma in modo alquanto generico la previsione della Conferenza dei servizi per la determinazione delle somme da destinare ad essi. Pertanto l'effetto e' contraddittorio ed illogico perche' si comprimono i diritti patrimoniali dei pensionati interessati dalla norma senza che il sistema previdenziale possa beneficiarne per predisporre programmi di tutela della collettivita'. La misura imposta non aggancia, in sostanza, le sue finalita' ad alcun intento solidaristico, ma e' prevista unicamente nel Dossier sulla legge di Bilancio - Profili finanziari, redatto dal Servizio Bilancio dello Stato della Camera dei deputati del 23 dicembre 2018, che afferma che le risorse saranno destinate all'INPS, senza addurre alcuna motivazione. Vieppiu' il documento delle Camere redatto nel gennaio 2019 dopo l'approvazione della legge di bilancio (legge n. 145/2018) e del disegno di legge collegato in materia fiscale (decreto-legge n. 119/2018, conv. con legge n. 138/2018) in cui sono analizzati la composizione e gli effetti sui saldi di finanza pubblica della manovra di bilancio 2019/2021, la riduzione e la rimodulazione dei trattamenti pensionistici di maggior importo vengono indicati come meri interventi di riduzione della spesa, senza alcuna specifica finalizzazione istituzionale (e rappresentate come meri interventi di riduzione della spesa), come ordinari strumenti di finanziamento dei livelli di spesa approvati (in termini Servizio Bilancio del Senato e Servizio Bilancio dello della Camera Dossier Gennaio 2019 - manovra di bilancio 2019 - 2021 - Effetti sui saldi e conto risorse impieghi). Assume significato anche la questione che la incidenza sul trattamento pensionistico dei ricorrenti non e' stata giustificata da una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, anzi la manovra di bilancio per il 2019 (per il triennio sino al 2021) e' stata connotata da un carattere «espansivo» per il compatto previdenziale (con ampliamento degli aventi diritto al collocamento in quiescenza) a fronte dei requisiti previsti dalla legge cd. Fornero (trattamento di pensione anticipata cd. quota 1,00). Appare evidente che in siffatto contesto non si configura la introduzione di norme introdotte in una situazione emergenziale cui si fa fronte attraverso uno strumento «straordinario» di ausilio (Corte costituzionale n. 250/2017, n. 169 /2017 e n. 108/2018) bensi' di mezzi di copertura aggiuntivi delle spese pubbliche mediante imposizione con prelievo a carico di alcune categorie di pensionati discriminati rispetto a soggetti non incisi a parita' di condizioni reddituali ed al di fuori di un quadro complessivo di sacrifici imposti, in violazione del principio di universalita' e del principio di uguaglianza, atteso che l'art. 53 «non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro»: cfr. Corte costituzionale n. 116/2013. Il prelievo «selettivo» avente natura tributaria ed avente come destinatari gli odierni ricorrenti e sussumibili nella fiscalita' generale, deriva dall'arco temporale efficace per la decurtazione pari a cinque anni, e quindi superiore allo spazio temporale della programmazione di bilancio di cui agli articoli e 3 e 81 della Costituzione ed in violazione dell'art. 21 della legge n. 196/2009 che si riferisce ad un arco temporale triennale a fronte della misura ablativa quinquennale, con effetti sommatoci ad altre misure di decurtazioni subite negli anni precedenti. Sicche' un soggetto collocato in quiescenza nel 2014 si trova a percepire in un decennio la pensione intera unicamente per il biennio 2017 e 2018 (considerati i quattro prelievi rubricati dal legislatore come «contributo di solidarieta'», art. 3, legge n. 488/1989, art. 3, comma 102, legge n. 350/2003, art. 18, comma 22-bis, decreto-legge n. 98/2011, art. 1, comma 486, legge n. 177/2013) manifestando la vera natura dell'intervento di riduzione delle pensioni di importo elevato di cui all'art. 1, commi da 261 a 268 della legge n. 145/2018 avente natura sostanzialmente tributaria, considerato che in concreto «determina una decurtazione patrimoniale arbitrariamente duratura del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo gettito e costituisce un prelievo coattivo correlato ad uno specifico indice di capacita' contributiva , che esprime l'idoneita' del soggetto passivo alla obbligazione tributaria. Nei descritti termini esso si presenta confliggente con i principi di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, gravando soltanto su specifiche categorie di pensionati e non su tutti i cittadini: con cio' risultando ingiustificatamente discriminatorio e non rispettoso dei canoni fondamentali di uguaglianza a parita' di reddito e di universalita' dell'imposizione»: in siffatto modo Corte conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli-Venezia Giulia n. 6/2019 (ord.). L'intervento selettivo a carico dei pensionati, vista la natura di retribuzione differita del trattamento pensionistico, determina una grave violazione del principio di ragionevolezza che, secondo gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale determina il perno introno al quale devono ruotare le scelte del legislatore nella materia pensionistica, venendo il maggior prelievo a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati soggetti che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu' possibile neppure disegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro. 3.2. Violazione degli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione. Ove non si ritenesse il prelievo de quo avente natura tributaria, permarrebbero i dubbi di costituzionalita' della detta misura ai sensi dei criteri e principi elaborati dalla Corte costituzionale in occasione del giudizio di costituzionalita' sul contributo posto sulle pensioni piu' elevate dall'art. 1, comma 486 della legge n. 147/2013: a tale contributo la Consulta ha assegnato la natura di prestazione patrimoniale imposta per legge, ai sensi dell'art. 23 Costituzione. Anche alla luce di tale processo interpretativo la disciplina non puo' essere scrutinata positivamente visto quanto statuito dalla sentenza n. 173/2016 secondo cui «dal combinato operare dei principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 Cost.) il rispetto dei canoni costituzionali e' oggetto di uno scrutinio "stretto" di costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato alla mancanza di arbitrarieta'». Visto il parametro valutativo di «stretta costituzionalita'» si individuano le condizioni in presenza delle quali risultano adeguatamente bilanciati «la garanzia del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica con altri valori costituzionalmente rilevanti» e che la Corte determina in siffatto modo: «in definitiva il contributo di solidarieta', per superare lo scrutinio "stretto" di costituzionalita' e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarieta' previdenziale (articoli 2 e 38), deve: operare all'interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema: incidere sulle pensioni piu' elevate (in rapporto alle pensioni minime): presentarsi come prelievo sostenibile: rispettare il principio di proporzionalita': essere comunque utilizzato come misura una tantum». I parametri indicati dalla Corte costituzionale appaiono disattesi dalla legge n. 145/2018 (art. 1. commi 261 - 268) sotto molteplici profili. In primo luogo non e' dato rinvenire nell'ordito normativo alcuna condizione di eccezionalita' e/o di specifica crisi del sistema previdenziale cui si debba far fronte con il prelievo de qua, anzi la medesima decurtazione e' «organica» ad una manovra di bilancio complessivamente espansiva proprio nel settore previdenziale. Non ricorrono, inoltre, i presupposti di una «solidarieta' forte» e «mutualita' intergenerazionale» posta a fondamento del positivo giudizio di ragionevolezza sull'intervento selettivo del legislatore, ne' appare esistente una sicura destinazione intra-previdenziale dei risparmi attesi, sussistendo di converso una serie di elementi indicativi della destinazione di tali risorse (risparmi di spesa) alla ordinaria copertura delle spese previste nella legge di bilancio, diventando in siffatto modo strumento di «sistema». D'altro canto si e' gia' richiamata nella presente ordinanza la ripetitivita' delle scelte del legislatore di operare (al di la' del biennio di «intervallo» - 2017 - 20181 una ritenuta quinquennale - che «rischia» di essere definitiva vista la condizione anagrafica della maggior parte dei ricorrenti - sulle pensioni oggetto del giudizio, costituente non tanto prelievo una tantum - come invocato dalla Corte costituzionale -, ma come ordinario meccanismo di finanziamento del sistema previdenziale con un sacrificio imposto, anche sotto il profilo dell'affidamento, ad una ristretta cerchia dei soggetti, sostitutivo di un intervento di una fiscalita' generale nei confronti di tutti i cittadini in violazione degli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione (cfr. anche Corte conti Sezione giurisdizionale Regione Lazio n. 308/2019 ord.). Ne' l'ammontare elevato dei trattamenti oggetto di decurtazione e l'articolazione del contributo secondo diverse aliquote appaiono idonee a configurare le condizioni stabilite dalla richiama sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016. 4. Violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. Anche l'intervento di revisione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni (art. 1, comma 260, della legge n. 145/2018) non appare immune da censure di incostituzionalita'. La richiamata norma interviene sul sistema della cd. indicizzazione delle pensioni, rimodulando i limiti di perequazione gia' introdotti dall' art. 1, comma 483, della legge n. 147/2013 (legge di stabilita' 2014) per il triennio 2014 - 2016, ed in seguito estesi anche al 2017 e 2018 dall'art. 1, comma 286, della legge n. 208/2015. La vigente disciplina riconosce la perequazione sulla base di aliquote decrescenti, relative ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a nove volte il trattamento minimo INPS, mentre la disciplina previgente considerava i trattamenti pensionistici con importo complessivo sino a sei volte il trattamento minimo. Tale intervento si inserisce in un trend di provvedimenti che, nell'ottica di una medesima ratio ispiratrice, ha depotenziato (e talora del tutto escluso) la perequazione dei trattamenti pensionistici di maggior importo a decorrere dall'anno 2012. Il dossier parlamentare del dicembre 2018 ha richiamato la legislazione susseguitasi in materia: l'art. 34, comma 1, della legge n. 448/1998 costituente la norma fondante della perequazione dei trattamenti pensionistici, l'art. 69, comma l, della legge n. 388/2000, che prevede una prima distribuzione del meccanismo secondo «fasce» reddituali, il «blocco» biennale previsto per il 2012/2013 previsto nella cd. legge Fornero (art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011, abrogativo del precedente art. 18, comma 3, del decreto-legge n. 98/2011) poi scrutinato e dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70/2015, ed in seguito riproposto con il decreto-legge n. 65/2015 (confermativa in sostanza del blocco biennale sui trattamenti superiori a sei volte il minimo INPS), sino alla rideterminazione introdotta con l'art. 1, comma 483 della legge n. 147/2013 (protratta anche per il 2017/2018). In ordine alla revisione /rimodulazione e relativo blocco del sistema perequativo a decorrere dal 2012 e sulla costituzionalita' della modulazione della perequazione, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi affermando che «dall'analisi dell'evoluzione normativa in subiecta materia, si evince che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici e' uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all'art. 38, secondo comma, Cost. Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013). Per le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita' e per la sua strumentalita' rispetto all'attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalita', sulle scelte discrezionali del legislatore cui spetta di intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario. Un tale intervento deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono. La ragionevolezza di tali finalita' consente di predisporre e perseguire un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell'art. 3, secondo comma. Cost. cosi' da evitare disparita' di trattamento in danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici (cfr. sentenza n. 70/2015)». Il dictum della Corte costituzionale evidenzia che anche lo scrutinio di ragionevolezza delle misure di contenimento dell'indicizzazione delle pensioni si esprima sul piano del bilanciamento tra valori costituzionali, e nella finalita' secondo cui i canoni di proporzionalita' ed adeguatezza delle retribuzioni e delle pensioni «non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta, senza che cio' comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche graduale, dei termini suddetti»: Corte costituzionale n. 70/2015. Occorre considerare, inoltre, che ogni blocco o riduzione dell'adeguamento delle pensioni determina una perdita del potere di acquisto non piu' recuperabile e sostanzialmente definito e strutturale, atteso che le successive rivalutazioni saranno calcolate non sul valore reale originario, ma sull'ultimo importo nominale, eroso dal mancato adeguamento. In tali termini la Corte costituzionale ha rimarcato, nel giudizio delle scelte del legislatore, la sussistenza di obiettive e specifiche esigenze di finanza pubblica, al fine di giudicare ragionevole, o meno, la prevalenza di queste sui diritti dei soggetti che hanno subito decurtazioni, nell'ambito dei principi di cui agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. Su tale profilo la sentenza n. 250/2017 ha riconosciuto la legittimita' costituzionale della riduzione della perequazione introdotta con l'art. 24, commi 25 e 25-bis, del decreto-legge n. 201/2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011) come sostituito (il comma 25) e inserito (il comma 25-bis) rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109/2015 rilevando che le norme esaminate fossero relative a puntuali ragioni giustificative, debitamente evidenziate nei documenti bilancio. La Corte ha osservato che «nel valutare la compatibilita' delle misure di adeguamento delle pensioni con i vincoli posti dalla finanza pubblica, questa Corte ha sostenuto che manovre correttive attuate dal Parlamento ben possono escludere da tale adeguamento le pensioni "di importo piu' elevato" (ord. n. 256/200.1). Nel replicare, in piu' occasioni, una tale scelta, che privilegia i trattamenti pensionistici di modesto importo, il legislatore soddisfa un canone di non irragionevolezza che trova riscontro nei maggiori margini di resistenza delle pensioni di importo piu' alto rispetto agli effetti dell'inflazione». Le indicate interpretazioni rese dalla Corte costituzionale consentono di affermare che l'intervento normativa sulla perequazione censurato in questa sede evidenzia due profili di criticita'. In primo luogo non e' giustificato da specifiche esigenze di contenimento della spesa pubblica, ma e' compreso tra i mezzi di copertura delle spese approvate con la manovra di bilancio, non essendo specifico il vincolo teleologico che dovrebbe fondare l'ammissibilita' di un bilanciamento dei valori costituzionali di proporzionalita' ed adeguatezza in senso «sfavorevole» ai percettori dei trattamenti pensionistici piu' elevati. Altro aspetto attiene al consolidamento temporale (dieci anni consecutivi) del minor adeguamento del potere d'acquisto delle pensioni colpite (dal 2012 al 2021) che, articolato in dieci anni, non appare ascrivibile al criterio della transitorieta', ed in cui molto rilevante appare il cd. effetto di trascinamento e la definitivita' della decurtazione derivante dalla mancata/ limitata perequazione, soprattutto considerando gli effetti addizionali derivanti dalla riduzione dell'importo del trattamento annuo in sei dei dieci anni considerati (dal 2014 al 2016 e dal 2019 al 2021). Ne deriva la dubbia legittimita' costituzionale della norma esaminata - per violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione - in ordine al profilo non transitorio dell'intervento di graduazione del meccanismo perequativo e della carenza di adeguate e motivate ragioni di finanza pubblica giustificanti la sua introduzione. La ritenuta insussistenza di elementi qualificanti permette di affermare che la disciplina introdotta dal legislatore non e' ragionevole, in quanto confliggente con i canoni di proporzionalita' ed adeguatezza delle pensioni, posti a salvaguardia delle pensioni nel corso del tempo (seppure non nella misura corrispondente) al variare delle dinamiche retributive. Ne' tale mancanza genetica e funzionale appare compensabile dal dato della progressivita' della minore indicizzazione, in assenza delle condizioni di ammissibilita' previste dalla Corte costituzionale (sent. n. 70/2015): «la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure tese a paralizzarlo esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalita', poiche' risulterebbe incrinata la principale finalita' di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d' acquisto delle pensioni». 5. Violazione degli articoli 3, 42 e 117 della Costituzione. La suddette considerazioni permettono di ritenere violato il principio di affidamento, in specie con il «taglio» imposto dalla legge n. 145/2018 ai trattamenti pensionistici modificandoli, in peius, su rapporti di durata sorti prima della sua entrata in vigore. Il Giudice delle leggi ha affermato (sent. n. 103/2013) che il divieto di retroattivita' della legge, previsto dall'art. 11 delle Preleggi costituisce «valore fondamentale di civilta' giuridica» che si declina nell'ambito penale come divieto di retroattivita' in malam partem che non subisce alcuna deroga, ai sensi dell'art. 25 della Costituzione (cfr. ex plurimis Corte costituzionale n. 236/2011 e n. 78/2012), mentre in ambito extrapenale il legislatore puo' adottare norme retroattive ma solo «purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanto motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). Sulla specifica questione la giurisprudenza costituzionale ha elaborato «una serie di limiti generali sull'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civilta' giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento»: «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento»; «la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto»; «la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico»; «il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenze n. 209/2010 e n. 103/2013). Con recente decisione n. 108/2019 la Corte costituzionale ha affermato che «il divieto di irretroattivita' della legge costituisce principio fondamentale di civilta' giuridica e il legislatore puo' approvare disposizioni con efficacia retroattiva, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale (ex plurimis sentenza n. 170/2013) una legge che intervenga retroattivamente a ridurre attribuzioni di natura patrimoniale va sottoposta a stretto scrutinio di ragionevolezza». La Corte ha inoltre affermato che «tra i limiti che la giurisprudenza costituzionale ha individuato all'ammissibilita' di leggi con effetto retroattivo, rileva particolarmente... l'affidamento legittimamente sorto nei soggetti interessati alla stabile applicazione della disciplina modificata», affidamento che trova copertura costituzionale nell'art. 3 della Costituzione, e' ritenuto principio connaturato allo Stato di diritto (cfr. sentenze n. 73 del 2017, n. 170 e 160 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209/2010) ed e' da considerarsi ricaduta e declinazione "soggettiva" dell'indispensabile carattere di coerenza di un ordinamento giuridico, quale manifestazione del valore della certezza di diritto»... L'aspettativa radicata e qualificata, pur non impedendo al legislatore di modificare in peius la disciplina dei rapporti di durata, tuttavia non prevede che le disposizioni retroattive «possano trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello stato di diritto» (sent. n. 36/1985). In ordine all'affidamento meritevole di tutela in quanto qualificato nella sua stabilita' la sentenza n. 89/2018 lo ha disegnato come «il consolidamento, nel tempo, della situazione normativa che ha generato la posizione giuridica incisa dal nuovo assetto regolatorio, sia perche' protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento» (sent. n. 56/2015). Il principio era stato gia' oggetto di applicazione con sentenza n. 822 del 1988 secondo cui «non puo' dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando gia' sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa». Ribadendo il principio stabilito la Corte costituzionale (n. 208/2014) ha affermato che «il diritto alla pensione costituisce una situazione soggettiva di natura patrimoniale, imprescrittibile, assistita da speciali garanzie di certezza e stabilita' e da una particolare tutela da parte dell'ordinamento (sentenza n. 116/2013), anche in ragione della condizione oggettiva di debolezza in cui il titolare viene a trovarsi, dia nell'ambito del rapporto obbligatorio che si instaura con l'amministrazione sia nella particolare fase della vita in cui l'uscita dall'attivita' lavorativa e l'eta' comportano un difficile adattamento al nuovo stato». La peculiare situazione giuridica consolidata di cui titolari i ricorrenti puo' essere compressa, secondo la Corte costituzionale, unicamente (sent. n. 203/2016), tra l'altro, per: a) interessi pubblici sopravvenuti; b) con un intervento innovativo, ma prevedibile. In ordine al primo aspetto la sentenza n. 108/2019 ha affermato che «nel solco di una giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell' uomo che non considera il mero interesse finanziario pubblico ragione di per se' sufficiente a giustificare interventi retroattivi (sentenze 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 25 novembre 2010 Lilly France contro Francia...), questa Corte ha gia' affermato che una disciplina retroattiva non puo' tradire l'affidamento del privato specie se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, pur se l'intervento retroattivo sia dettato dalla necessita' di contenere la spesa pubblica o di far fronte ad esigenze eccezionali» ( sentenza n. 216 del 2015 e n. 170 del 2013). In tal senso il principio di affidamento, riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ed art. 1 Protocollo n. 1 allegato alla Convenzione, comporta che la sua violazione determina anche la violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., che vincola la legge italiana ad osservare la Convenzione, elevando non un adattamento dell' ordinamento interno all'ordinamento pattizio ma a parametro di legittimita' costituzionale il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali contenuti nelle leggi di esecuzione. In materia la Corte costituzionale ha statuito in materia (n. 109/2017) che «nell'attivita' interpretativa che gli spetta ai sensi dell'art. 101, secondo comma, Cost., il giudice comune ha il dovere di evitare violazioni della Convenzione europea e di applicarne le disposizioni, sulla base dei principi di diritto espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specie quando il caso sia riconducibile a precedenti di questa ultimo (sentenza n. 68 del 2017 n. 276 e n. 36 del 2016). In tale attivita' egli incontra, tuttavia, il limite costituito dalla presenza di una legislazione interna di contenuto contrario alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali: in un caso del genere - verificata l'impraticabilita' di una interpretazione in senso convenzionalmente conforme, non potendo disapplicare la norma interna, ne' farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la Convenzione e, pertanto, con la Costituzione, alla luce di quanto disposto dall'art. 117, primo comma Cost. - deve sollevare questione di legittimita' costituzionale della norma interna, per violazione di tale parametro costituzionale (ex plurimis sentenze n. 150/2015, n. 264/2012, n. 113/2011, n. 93/2010, n. 311 e n. 239 del 2009)». Non appare sussistere nella specie neppure la prevedibilita' dell'evento considerato che i pensionati odierni ricorrenti avevano sopportato altri sacrifici, e non era prevedibile una sostanziale «stabilizzazione delle compressioni», rendendo imprevedibile l'ipotesi di un nuovo taglio che aveva ad oggetto somme astrattamente gia' nella disponibilita' dei ricorrenti, violando in siffatto modo anche l'art. 42 della Costituzione determinando una misura ablativa della proprieta' privata, e colpendo una specifica categoria di soggetti, senza che sia stato svolto alcun giudizio di bilanciamento tra gli interessi coinvolti. pur essendo chiara la giurisprudenza costituzionale in materia (sent. n. 7012015, n. 116/2013 e n. 223/2012). 6. Per quanto sopra esposto, visti l'art. 134 Cost. e la legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 1, comma 260, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 avente ad oggetto «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019 - 2021» per contrasto con gli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione, in ordine all'intervento di riduzione per un triennio della rivalutazione automatica delle pensioni di elevato importo; dell'art. 1, commi da 261 a 268 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 avente ad oggetto «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» per contrasto con gli articoli 3, 23, 36, 38, 42, 53 e 81 nonche' dell'art. 117, primo comma della Costituzione rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) e all'art. 1 del Protocollo addizionale di detta Convezione firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 in quanto norme interposte in ordine all'intervento di decurtazione percentuale per un quinquennio dell'ammontare lordo annuo dei medesimi trattamenti. Si dispone, in conseguenza, la sospensione del giudizio in epigrafe, ordinando l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e gli adempimenti a cura della cancelleria di cui al dispositivo.