TRIBUNALE DI SASSARI 
                           Sezione Lavoro 
 
    Il Giudice, letti gli atti e  valutato  il  quadro  normativo  in
vigore,  ritiene  di  dovere   d'ufficio   sollevare   questione   di
legittimita' costituzionale del decreto  legislativo  n.  252  del  5
dicembre 2005, emanato dal Governo in forza  della  legge  delega  n.
243/2004, nella parte in cui ha omesso di  disporre,  come  stabilito
dall'art. 2, lettera e), n. 8, della legge delega: «l'attribuzione ai
fondi pensione della contitolarita' con i propri iscritti del diritto
alla contribuzione, compreso il trattamento di fine rapporto  cui  e'
tenuto il datore di lavoro, e la  legittimazione  dei  fondi  stessi,
rafforzando  le  modalita'   di   riscossione   anche   coattiva,   a
rappresentare i propri iscritti nelle controversie aventi ad  oggetto
i contributi omessi nonche' l'eventuale danno derivante  dal  mancato
conseguimento dei relativi rendimenti», ed ha comunque omesso in modo
assoluto di prevedere alternativi strumenti idonei  a  garantire  una
adeguata,  piena  ed  efficace  tutela  del  diritto  del  lavoratore
all'adempimento dell'obbligo di contribuzione incombente  sul  datore
di lavoro. 
    Tale omessa previsione appare infatti, innanzi tutto  e  in  modo
evidente, in violazione dell'art. 76 della Costituzione, in quanto la
complessa normativa deliberata dal Governo con il decreto legislativo
n. 252/2015, senza la  previsione  della  legittimazione  attiva  del
Fondo previdenziale ad agire in giudizio contro il datore  di  lavoro
per ottenere l'accertamento e  quindi  l'esecuzione  dell'obbligo  di
versamento delle quote di TFR spettanti al  lavoratore,  e  senza  la
previsione di alternativi strumenti idonei a garantire una  adeguata,
piena ed efficace tutela del diritto del  lavoratore  all'adempimento
dell'obbligo di contribuzione incombente sul  datore  di  lavoro,  ha
stravolto completamente (in tal senso, Corte costituzionale ordinanza
n. 283/2013, red. Napolitano:  «il  mancato  o  incompleto  esercizio
della delega non comporta di per se' la violazione degli articoli  76
e  77  della  Costituzione,  salvo  che  cio'   non   determini   uno
stravolgimento della legge di delegazione»)  lo  spirito  complessivo
della delega parlamentare con cui era stato previsto un meccanismo di
bilanciamento delle posizioni e dei poteri delle parti, e lo ha fatto
a  tutto  danno,  ingiustificato,  del  lavoratore,  con  conseguente
violazione anche degli  articoli  3,  38  e  47  della  Costituzione,
nonche' dell'art. 24  della  Costituzione,  per  le  ragioni  che  di
seguito si espongono. 
    De iure condito, in caso di omesso versamento da parte del datore
di lavoro delle quote di TFR che progressivamente maturano, in favore
del  dipendente  che   abbia   aderito   alla   formula   del   Fondo
complementare, l'unico soggetto che a norma del  decreto  legislativo
n.  252/2015,  come  anche  interpretato  dalla  giurisprudenza,   e'
legittimato ad agire in giudizio nei confronti del datore  di  lavoro
e' il lavoratore medesimo, non il fondo. 
    Per  effetto  dell'adesione  (anche  mediante   il   conferimento
espresso o tacito del TFR) al contratto di previdenza complementare -
contratto autonomo e distinto dal rapporto di lavoro  che  ne  e'  il
presupposto - il lavoratore acquista  da  un  lato  il  diritto  alla
futura prestazione pensionistica nei confronti del Fondo, nelle forme
e nei limiti previsti dall'art. 8, decreto legislativo n.  252  cit.,
dall'altro, nei  confronti  del  datore  di  lavoro,  il  diritto  al
versamento in favore del Fondo dei contributi e degli  accantonamenti
destinati a finanziare la posizione previdenziale, di  cui  egli  non
puo' esigere il pagamento in proprio diretto favore poiche'  estranei
al proprio patrimonio (cosi', per tutte, Corte di cassazione  civile,
sez. I, 16 maggio 2018, n. 12009. Est. Campese). 
    Pertanto,  nel  giudizio  de  quo,  appunto  il   lavoratore   ha
depositato, ed ha dovuto depositare, ricorso monitorio  chiedendo  in
pendenza di rapporto la condanna del datore di lavoro  al  versamento
delle quote di TFR al Fondo. 
    Pero', essendo stato configurato dal  legislatore,  per  pacifica
interpretazione giurisprudenziale, un rapporto trilaterale tra datore
di  lavoro,  lavoratore  e  Fondo,  con   conseguente   liticonsorzio
necessario fra le tre parti, il lavoratore  che  pur  disponga  della
prova cartolare e immediata  dell'omesso  versamento  del  datore  di
lavoro al Fondo (costituita da una parte dalle buste paga, dal CUD  o
altro documento attestante la misura del TFR maturato,  e  dall'altra
dalla comunicazione del Fondo che attesta al  lavoratore  il  mancato
versamento), come avvenuto nel giudizio de  quo,  non  puo'  accedere
alla tutela monitoria del suo credito, che e' la forma di  tutela  di
merito piu' veloce ed efficace prevista dall'ordinamento,  in  quanto
da un lato in sede monitoria  non  e'  possibile  l'integrazione  del
contraddittorio anteriormente alla pronuncia del decreto  ingiuntivo,
data la particolare struttura del processo  che  si  svolge  inaudita
altera parte, dall'altro l'art. 81 del  codice  di  procedura  civile
vieta che, fuori dai casi espressamente previsti dalla legge si possa
far valere nel processo in nome  proprio  un  diritto  altrui,  o  un
diritto anche altrui (cioe', anche  del  Fondo),  come  nel  caso  di
specie. 
    Il lavoratore pertanto  e'  costretto  a  depositare  un  ricorso
ordinario contro il datore di lavoro e nei confronti del Fondo, e  ad
affrontare  l'attesa  dei  tempi  piu'  lunghi  che  connotano  detto
giudizio,  con  tutti  i  rischi  legati   all'eventuale   insolvenza
sopravvenuta del debitore. 
    Non essendovi ragioni che possono giustificare  l'esclusione  del
lavoratore, nel caso  di  sua  adesione  a  un  Fondo  previdenziale,
dall'accesso alla tutela monitoria, sussistendo i presupposti di  cui
all'art. 633 del codice di procedura civile  costituiti  dal  credito
avente ad oggetto una somma liquida di denaro e della  prova  scritta
del credito, e' evidente che il decreto legislativo n. 252  del  2005
viola altresi' gli articoli 3 e 24 della  Costituzione,  nonche'  gli
articoli 38  e  47  della  Costituzione,  giacche'  solo  un  diritto
soggettivo che sia possibile difendere  in  giudizio  con  tutti  gli
strumenti  forniti  dall'ordinamento  puo'  ritenersi  effettivamente
tutelato  dalla  normazione  primaria,  e  il  diritto  al  TFR   del
lavoratore, istituto che vale a garantirgli un trattamento di  tutela
per la vecchiaia ex art. 38 della Costituzione,  ed  e'  comunque  un
mezzo di risparmio ex art.  47  della  Costituzione,  deve  ritenersi
violato dal  complesso  delle  norme  con  cui  il  Governo  ha  dato
attuazione alla delega legislativa. 
    Ne'  la  ingiustificata  lesione  della  sfera   soggettiva   del
lavoratore, come sopra sostenuta, puo' venire meno per effetto  della
possibilita' eventuale di  chiedere  un  sequestro  conservativo  sul
patrimonio del datore di lavoro, ai sensi dell'art. 671 del codice di
procedura civile, a garanzia del proprio  credito  nelle  more  dello
svolgimento del giudizio ordinario, in quanto detta  norma  onera  il
ricorrente della dimostrazione di dati di fatto ulteriori rispetto  a
quelli necessari per chiedere e ottenere la tutela monitoria, i  dati
di fatto idonei  a  cagionare  un  «fondato  timore»  di  perdere  la
garanzia del proprio credito. 
    Dunque  il  lavoratore,  quando  abbia   aderito   a   un   Fondo
previdenziale disponendo il conferimento  ad  esso  delle  quote  del
proprio TFR, in caso di  inadempimento  del  datore  di  lavoro  deve
necessariamente affrontare i tempi  del  giudizio  ordinario  o  deve
ricorrere alla tutela cautelare sempre che ne sussistano e che riesca
a dimostrare la sussistenza dei relativi  presupposti,  senza  potere
avvalersi della celere, semplice e meno costosa procedura  monitoria,
che puo' invece utilizzare qualunque altro creditore sol che vanti un
credito liquido e dimostrato per tabulas. 
    La  differenza  di  trattamento  e'  palese,  ingiustificata,   e
ingiusta,  con  conseguente  grave  violazione  dell'art.   3   della
Costituzione. 
    Sarebbe bastato, e basterebbe, che il legislatore delegato, o per
esso la Corte costituzionale con sentenza additiva, avesse previsto o
prevedesse,  integrandosi  cosi'  l'espressa   previsione   richiesta
dall'art. 81 del  codice  di  procedura  civile,  che  il  lavoratore
aderente  al  Fondo  puo'  domandare  al  giudice   la   condanna   o
l'ingiunzione del datore di lavoro, avente ad oggetto  il  versamento
del TFR  al  Fondo,  senza  la  necessita'  della  partecipazione  al
giudizio del Fondo  medesimo  ogni  qualvolta,  come  avvenuto  nella
procedura de  quo,  il  Fondo  stesso  abbia  attestato  per  tabulas
l'ammontare delle somme gia' versate, o di quelle da  versare,  sulle
quali pertanto non vi puo' essere contestazione, con  la  conseguenza
che il Fondo non puo' ritenersi titolare di un  interesse  meritevole
di tutela a partecipare al giudizio. 
    Nel caso  concreto  sottoposto  all'attenzione  del  giudice,  il
lavoratore  ha  chiesto  la  ingiunzione  del  datore  di  lavoro  al
versamento  del  TFR  al  Fondo,  essendo  provati  per  tabulas   la
convenzione trilaterale avente ad oggetto il conferimento del TFR  al
Fondo,  l'ammontare  del  TFR   gia'   maturato,   ed   il   parziale
inadempimento del datore; non avrebbe potuto agire  per  ottenere  il
diretto pagamento a se'  del  TFR,  in  quanto  detto  diritto  sorge
soltanto al momento della cessazione del rapporto di lavoro,  che  e'
invece tuttora in corso; e neppure la giurisprudenza ritiene  che  il
Fondo medesimo abbia legittimazione attiva ad agire contro il  datore
di lavoro per i versamenti dovuti. 
    Ci  troviamo  pertanto  di  fronte   ad   un   diritto   «monco»,
illegittimamente  sfornito  di  una  parte  rilevante  della   tutela
giurisdizionale che  l'ordinamento  appresta  invece  ad  ogni  altro
diritto patrimoniale. 
    Il che e' tanto piu' grave, se si  considera  che  l'art.  8  del
decreto legislativo n. 252/2005 prevede anche una serie  di  casi  di
adesione «tacita» del lavoratore ai Fondi complementari. 
    Nel giudizio de quo il giudice si trova di fronte all'alternativa
di adeguarsi ad una interpretazione delle  norme  regolanti  i  Fondi
complementari che non condivide, perche' si traducono in una denegata
giustizia e porterebbero al  rigetto  della  domanda  monitoria,  pur
relativa ad un credito liquido e fondato su prova scritta, o assumere
una  pronuncia  in  contrasto,   in   accoglimento   della   domanda,
probabilmente destinata ad essere riformata. 
    Si  rende  pertanto  indispensabile   il   ricorso   alla   Corte
costituzionale.