IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GENOVA Prima Sezione riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Magistrati: dott. Mario Tuttobene, Presidente; dott. Maria Cristina Scarzella, giudice; dott. Francesca Lippi, giudice relatore; a scioglimento della riserva decorrente dal 7 luglio 2020 e all'esito della Camera di consiglio tenutasi in data 17 luglio 2020 ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nel procedimento ex art. 22 decreto legislativo n. 150/2011 promosso da M. L. rappresentato e difeso dall'avv.to Carlo Iavicoli nei confronti di Ministero dell'interno Ufficio territoriale di Governo - Prefettura di Genova rappresentati e difesi all'Avvocatura Distrettuale dello Stato. Sui fatti dedotti e sulle questioni di legittimita' costituzionale sollevate da Marco L. M. L. e' stato eletto sindaco del Comune di C. in occasione delle consultazioni elettorali amministrative tenutesi nella primavera del 2017 e ha assunto la carica a partire dall'11 giugno dello stesso anno. Con sentenza emessa in data 30 maggio 2019 il Tribunale di Genova lo ha condannato alla pena di anni tre di reclusione in ordine al reato di peculato per fatti commessi nel periodo dal 2010 al 2015, nel quale ha rivestito la carica di consigliere regionale in Liguria. Con provvedimento prot. n. 0040237 del 31 maggio 2019 il Prefetto di Genova, avuta la comunicazione della sentenza non definitiva del Tribunale di Genova, ha sospeso di diritto L. ai sensi dell'art. 11,comma 1, lettera a) e comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 2351 dalla carica di sindaco del Comune di . Nel presente giudizio L. ha rivolto al Tribunale le domande che vengono qui di seguito trascritte: «Piaccia al Tribunale ecc.mo, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione e/o difesa, respinta e disattesa: in via principale: disapplicare, in quanto costituzionalmente illegittimo, ai sensi dell'art. 5, legge n. 2248/1865 all. E, e comunque privare di ogni giuridica efficacia, il provvedimento prot. n. 0040237 in data 31 maggio 2019 del prefetto titolare dell'Ufficio territoriale del Governo di Genova con il quale l'attore L. M. stato sospeso: ai sensi dell'art. 11, comma 1, lettera «a» e comma 4, decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, dalla carica di sindaco del Comune di , con ogni conseguente pronuncia; in via alternativa o subordinata: a) - preso atto della questione di legittimita' costituzionale sollevata dall'attore L. M., ai sensi dell'art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e art. 23, primo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all'art. 11, comma 1, lettera «a» e comma 4, decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, con riguardo agli articoli 3, comma 1, 25, comma 2, 24, comma 1 e 2, 27, comma 2, 51, comma 1, 113, comma 1, Costituzione, nonche' in relazione al principio di ragionevolezza e di tutela dell'affidamento ed in relazione agli articoli 6-7 CEDU, ritenuta la stessa questione rilevante al fine del decidere e non manifestamente infondata, disporre con ordinanza, ai sensi del citato art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sospendendo conseguentemente il presente giudizio fino alla pronuncia, da parte della stessa in ordine alla sollevata questione, con ogni conseguente provvedimento; b) - all'esito della pronuncia della Corte costituzionale, disapplicare ai sensi dell'art. 5, legge n. 2248/1895 all. E, e comunque privare di ogni giuridica efficacia, il provvedimento prot. n. 0040237 in data 31 maggio 2019 del prefetto titolare dell'Ufficio territoriale del Governo di Genova con il quale l'attore L. M. e' stato sospeso, ai sensi dell'art. 11, comma 1, lettera «a» - comma 4 decreto legislativo 31 dicembre 2012 n. 235, dalla carica di sindaco del Comune di con ogni conseguenziale pronuncia. In ogni caso, con vittoria di spese e competenze di giudizio». L. ha quindi chiesto, in via principale, la disapplicazione ex art. 5 legge n. 2248/1865 All. «E» del provvedimento prefettizio e in ogni caso la declaratoria di inefficacia per illegittimita' e in via alternativa o subordinata, per il caso che il Tribunale non ritenesse di immediata applicabilita' il principio di gerarchia delle fonti, ha proposto eccezione di incostituzionalita' dell'art. 11, comma 1, lettera «a» e comma 4, decreto legislativo n. 235/2012 per contrasto con diversi principi costituzionali. In particolare ha denunciato la violazione del principio di presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma 2 della Costituzione sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 236/2015, la misura della sospensione abbia carattere sanzionatorio, sia per essere conseguenza di una condanna penale non definitiva che per il suo carattere afflittivo, consistente nella limitazione dell'esercizio dell'elettorato passivo, diritto personalissimo ed assoluto costituzionalmente garantito. Dalla natura sanzionatoria della sospensione deriverebbe la violazione dell'art. 27, comma 2, della Costituzione, in quanto la misura viene applicata automaticamente sulla base di una presunzione legale di colpevolezza conseguente ad una pronuncia di condanna non definitiva e per un periodo di tempo prestabilito. Sempre per la natura vincolata del provvedimento prefettizio, la disciplina della sospensione, secondo l'attore, si porrebbe in contrasto con il diritto inviolabile di difesa di cui all'art. 24, comma 1 e 2, della Costituzione, il diritto di impugnabilita' degli atti della pubblica amministrazione di cui all'art. 113, comma 1, della Costituzione, nonche' con il diritto ad un equo processo di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberata' fondamentali (CEDU). L'istituto della sospensione sarebbe inoltre in contrasto con il principio di ragionevolezza per quanto riguarda il bilanciamento tra la finalita' di tutela perseguita e il sacrificio imposto all'interessato. La sospensione infatti si applica anche per fatti non necessariamente concernenti la carica pubblica, comportando ia privazione per diciotto mesi del diritto costituzionale di elettorato passivo, con conseguente lesione dell'immagine pubblica e privata dell'interessato, sulla base di una illegittima presunzione di colpevolezza, senza possibilita' di «ripristino» di detta privazione, nemmeno in caso di successiva assoluzione. Inoltre nel caso specie, essendo i fatti per cui e' stata pronunciata la condanna non definitiva anteriori alla entrata in vigore del decreto legislativo - n. 235/2012 ed anteriori anche alla candidatura ed alla assunzione della carica di sindaco, si configurerebbe la violazione del principio di irretroattivita' della legge penale di cui all'art. 25, comma 2, della Costituzione e dell'art. 7 CEDU. La misura della sospensione contrasterebbe anche con il principio di eguaglianza ex art. 3, comma 1, della Costituzione in quanto situazioni analoghe sono disciplinate in maniera diversa senza alcuna giustificabile ragione, posto che il candidato sindaco condannato con sentenza non definitiva per il reato di cui all'art. 314 del codice penale, anteriormente alla candidatura ed alla elezione, puo' esercitare il proprio diritto di elettorato passivo, mentre se la stessa condanna interviene nel periodo di esercizio della sua carica ex art. 11, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 235/2012 opera automaticamente la sospensione dalla carica. Infine, la sospensione, in quanto fondata su una sentenza di condanna non definitiva lederebbe sia il legittimo affidamento del soggetto che riveste un ruolo istituzionale a proseguire nell'incarico ricoperto costituente espressione del diritto costituzionale di elettorato passivo, sia la tutela dell'affidamento di coloro che hanno esercitato legittimamente il loro diritto di elettorato attivo mediante il quale un candidato e' stato eletto. Secondo le difese svolte nel presente giudizio dal Ministero dell'interno e dalla Prefettura, invece, tutte le doglianze espresse dall'attore non sono meritevoli di accoglimento in quanto fondate sulla natura sanzionatoria della misura di sospensione prevista dal richiamato art. 11, che deve essere esclusa sulla base del consolidato orientamento della Corte costituzionale di cui alle sentenze numero 236/2015 e 276/2016 e 36/2019. La Corte, infatti, investita in piu' occasioni della valutazione di eventuali profili di illegittimita' costituzionale della normativa in oggetto, ha affermato costantemente che la sospensione «costituisce una misura cautelare diretta ad evitare che coloro che sono stati condannati anche in via non definitiva per determinati reati gravi o comunque offensivi della pubblica amministrazione rivestano cariche amministrative, mettendo cosi in pericolo il buon andamento dell'amministrazione stessa e la sua onorabilita', e anche in questi casi il bilanciamento operato dal legislatore fra il menzionato interesse pubblico e gli altri interessi, pubblici e privati, in gioco, non appare irragionevole.» La Corte ha escluso che «le misure della incompatibilita', della decadenza e della sospensione abbiano carattere sanzionatorio» rappresentando solo «conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche amministrative e della PA» trattandosi la sospensione «di mera anticipazione dell'effetto interdittivo derivatone dal giudicato, anch'esso parimenti non diretto a finalita' punitive». E ancora: «la sospensione della carica prevista nella disposizione all'esame di questa Corte e' limitata a diciotto mesi, decorsi i quali la sospensione viene meno» e pertanto «risulta assente quel connotato di speciale gravita' necessario perche' la misura che non presenta finalita' deterrente e punitiva possa essere assimilata, sul piano della sua afflittivita', a una sanzione penale o a una sanzione amministrativa.» La natura latu sensu cautelare dell'istituto era gia' stata riconosciuta dalla Consulta con riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 15 comma 4-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55. Secondo i convenuti non coglie nel segno la tesi secondo cui l'art. 11 del decreto legislativo n. 235 del 2012 costituirebbe un vulnus al diritto alla difesa in quanto non e' vero che contro la misura sospensiva non sia dato strumento giurisdizionale, tanto meno in sede di urgenza. La legge infatti non sottrae al vaglio giurisdizionale il provvedimento, ma semplicemente sottrae all'amministrazione la scelta dell'applicazione della misura a carattere vincolato. Anche la doglianza relativa all'asserita violazione del principio di irretroattivita' della sanzione penale sarebbe infondata perche' si basa sull'assunto erroneo della natura sanzionatoria della misura. In ordine alla violazione dell'art. 7 CEDU la Corte asserisce che «dal quadro delle garanzie apprestate dalla CEDU come interpretate dalla Corte di Strasburgo non e' ricavabile un vincolo ad assoggettare una misura amministrativa cautelare, quale la sospensione dalle cariche elettive in conseguenza di una condanna penale non definitiva, al divieto convenzionale di retroattivita' della legge penale» (Corte costituzionale n. 276/2016). Infine non sarebbe ravvisabile la violazione del principio di uguaglianza in quanto in entrambe le ipotesi prospettate dall'attore, opererebbe - in ogni caso - la misura della sospensione di cui all'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012, in ossequio alla sua indiscutibile natura cautelare (il candidato condannato con sentenza non definitiva gia' al tempo della candidatura, se eletto, dovrebbe essere subito sospeso per 18 mesi ai sensi del richiamato art. 11, lettera a), decreto legislativo n. 235/2012). Sulla giurisdizione del giudice ordinario e sulla competenza per territorio del Tribunale di Genova. Le S.U. della Corte di Cassazione hanno costantemente enunciato il principio di diritto secondo cui «in materia di contenzioso elettorale, amministrativo sono devolute al giudice ordinario le controversie concernenti l'ineleggibilita', la decadenza e l'incompatibilita', in quanto volte alla tutela del diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato passivo, ne' la giurisdizione del giudice ordinario incontra limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilita' venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento di decadenza, perche' anche in tale ipotesi la decisione verte non sull'annullamento dell'atto amministrativo, bensi' sul diritto soggettivo perfetto inerente l'elettorato attivo o passivo» (cfr Cassazione, S.U. n. 5574/2012, Cassazione, S.U. n. 11646/2003; Cassazione, S.U.8469/2004). Inoltre con la sentenza n. 11131/15 resa a sezioni unite la Suprema Corte, risolvendo il conflitto con la giurisdizione amministrativa, adita in prima battuta, ha rilevato che «in tema di enti pubblici locali la sospensione dalla carica elettiva a norma dell'art. 11 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 consegue direttamente ed esclusivamente alla condanna penale dell'eletto in quanto il decreto prefettizio che accerta la sussistenza della causa di sospensione e' provvedimento non discrezionale ma vincolato. Ha ritenuto pertanto che l'impugnazione della sospensione rientri nella giurisdizione ordinaria a tutela del diritto soggettivo di elettorato passivo, che non si esaurisce con la partecipazione all'elezione, ma si estende allo svolgimento della funzione elettiva». Quanto alla competenza del Tribunale di Genova essa e' radicata in virtu' dell'art. 25 codice di procedura civile, essendo convenuta in giudizio una amministrazione dello Stato, oltre che per il fatto che la controversia ha ad oggetto il diritto di elettorato passivo di organi di amministrazione locale operanti nell'ambito del circondario del Tribunale di Genova (art. 82, primo comma, decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570). Sull'interesse attuale e concreto del ricorrente. Il ricorrente e' portatore di un interesse attuale e concreto ex art. 100 del codice di procedura civile ad ottenere una sentenza che accerti il diritto di elettorato passivo, diritto soggettivo costituzionalmente garantito ex art. 51, comma 1, della Costituzione, in quanto riveste tuttora la carica di sindaco, pur essendo stato temporaneamente sospeso per il periodo di diciotto mesi dalle funzioni per effetto del provvedimento prefettizio emesso ai sensi dell'art. 11, comma 1, lettera «a», e comma 4, del decreto legislativo n. 235/2012 di cui chiede la disapplicazione e denuncia l'illegittimita' costituzionale. Sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. L'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948, stabilisce che: «La questione di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e ritenuta dal giudice non manifestamente infondata, e' rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione». Detta disposizione si salda con quella dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, la quale, con terminologia letteralmente piu' restrittiva, prevede che: «Nel corso di un giudizio dinanzi ad un'autorita' giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimita' costituzionale mediante apposita istanza». In base ad esse il giudice puo' sollevare questione relativamente a una disposizione di legge solo e nei limiti in cui essa deve essere applicata in una controversia concreta. La necessaria applicabilita' dell'atto sindacato costituisce una logica, diretta derivazione del carattere incidentale del controllo di costituzionalita'. Se non si richiedesse l'applicazione nel giudizio a quo della disposizione asseritamente illegittima, il giudice potrebbe formulare questioni di costituzionalita' del tutto sganciate dalle vicende applicative della legge e, dunque, astratte od ipotetiche; la rilevanza e' cio' che assicura la concretezza della questione e instaura un legame fra il giudizio costituzionale e il giudizio a quo. Gli interessi tutelati nei due distinti ed autonomi procedimenti (giudizio costituzionale e giudizio a quo) devono quindi essere diversi e non sovrapponibili. Nel giudizio a quo si fa valere l'interesse soggettivo e concreto delle parti a ottenere un bene della vita o a non subire una limitazione della propria liberta' per effetto di una legge incostituzionale; nel giudizio costituzionale si salvaguarda l'interesse obiettivo dell'ordinamento alla legalita' costituzionale. Il giudice a quo deve quindi accertare ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e dell'art. 23, comma 2, della legge n. 87/1953 la sussistenza dei due presupposti per la proponibilita' della questione: la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Per il carattere incidentale del giudizio di legittimita' costituzionale la rilevanza della questione ricorre quando il giudizio a quo non puo' essere definito se prima non viene risolto il dubbio di legittimita' costituzionale che investe la disposizione di legge che deve essere applicata. Solo in seconda battuta il giudice a quo deve accertare che la questione non sia manifestamente infondata e deve quindi valutare la serieta' e la non pretestuosita' della proposta questione, escludendo anche che non sia esperibile nei confronti della disposizione contestata una interpretazione conforme a Costituzione. Nel caso in esame, sul profilo della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, si osserva che l'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012 prevede la sospensione di diritto dalla carica di sindaco, provvedimento in relazione al quale il Collegio ritiene che non si possa procedere alla disapplicazione dell'atto amministrativo, cosi come richiesto dall'attore in via principale ex art. 5 legge n. 2248/1865 (legge sul contenzioso amministrativo) che presuppone la non conformita' a legge dell'atto amministrativo, ipotesi che nel caso di specie certamente non ricorre, essendo pacifico che il ricorrente ha riportato una condanna peri reati indicati dall'art. 10 del decreto legislativo n. 235/2012 e si trova dunque nelle condizioni previste dall'art. 11 per la sospensione di diritto dalla carica di sindaco. Inoltre, sempre sotto il profilo della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, il Collegio ritiene di non poter addivenire alla soluzione della controversia attraverso un'interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata dell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012, posto che i dubbi prospettati dalla difesa del ricorrente e rilevati dal Tribunale, anche alla luce delle pronunce gia' rese dalla Corte costituzionale, non possono essere superati sul piano ermeneutico. La disapplicazione del provvedimento prefettizio non puo' quindi prescindere dal giudizio di costituzionalita' sull'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012. Quanto al presupposto della non manifesta fondatezza della questione di legittimita' costituzionale si evidenzia, in primo luogo, che con l'ordinanza n. 64 del 27 dicembre 2019 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 17 giugno 2020 il Tribunale di Genova ha promosso incidente di costituzionalita' con riferimento all'art. 8 del decreto legislativo n. 235/2012 - che, analogamente all'art. 11, prevede la sospensione di diritto dalle cariche regionali - e che la citata ordinanza richiama alcuni dei parametri costituzionali che vengono in rilievo nel presente procedimento. Al riguardo osserva il Collegio che peraltro non sia possibile ricorrere allo strumento della «sospensione impropria» del presente procedimento in attesa dell'esito dei giudizio di costituzionalita' sull'art. 8 della legge citata in quanto l'eventuale declaratoria di illegittimita' di tale disposizione non potrebbe produrre effetti nel presente giudizio nel quale viene in rilievo l'art. 11. Tanto premesso, riguardo alle questioni di legittimita' prospettate per violazione degli articoli 27 comma 2, 3 comma 1, 25 comma 2 della Costituzione sul presupposto che la misura della sospensione dalla carica elettiva abbia natura sanzionatoria, ritiene il Collegio che i congrui precedenti della Consulta debbano portare a valutare come manifestamente infondati i dubbi di incostituzionalita' dedotti dalla parte ricorrente con riferimento ai predetti parametri costituzionali. In particolare si rileva che la giurisprudenza costituzionale, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha chiarito che i provvedimenti di sospensione conseguenti alle condanne penali riportate per determinati reati non hanno natura sanzionatoria e svolgono una funzione meramente cautelare, operante ex lege, volta ad evitare la permanenza in cariche pubbliche di rilievo di soggetti fortemente indiziati di gravi condotte delittuose ovvero riconosciuti responsabili delle stesse. Le misure della incandidabilita', della decadenza e della sospensione dalla carica non costituirebbero sanzioni o effetti penali della condanna, ma «l'espressione del venir meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche elettive» che il legislatore puo' disciplinare discrezionalmente sulla base dell'art. 51 della Costituzione (cfr le pronunce della Corte costituzionale n. 236/2015 e n. 276/2016). Al contrario, ritiene il Collegio che siano non manifestamente infondate, con riferimento all'art. 1l del decreto legislativo n. 235/2012, le questioni di illegittimita' costituzionale che sono gia' prospettate in parte da codesto Tribunale nell'ordinanza n. 64 del 27 dicembre 2019 per le ragioni che sono qui di seguito illustrate. Questione di legittimita' dell'art. 11 in relazione agli articoli 24 e 113 della Costituzione. Come gia' evidenziato l'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012 introduce l'automatica sospensione dalla carica di sindaco come conseguenza della condanna per determinati reati, elencati all'art. 10 del medesimo decreto legislativo, e quindi prescinde dalla valutazione della gravita' del fatto accertato in sede penale e dal criterio di proporzionalita' della misura applicata rispetto alla fattispecie concreta. La Corte costituzionale ha riconosciuto l'esistenza di ragioni pubbliche sufficienti a giustificare la disciplina introdotta con la legge Severino, nata come misura anti-corruzione e volta a tutelare la trasparenza e il buon andamento della pubblica amministrazione. Cionondimeno il rigido automatismo della struttura normativa introdotta con il decreto legislativo n. 235/2012 che considera esclusivamente il rapporto tra la permanenza in una carica elettiva e l'intervenuta condanna penale per determinati reati - senza possibilita' per il soggetto interessato di sindacare il provvedimento di sospensione e decadenza sotto il profilo della proporzionalita' - si pone in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto e' fortemente limitativo del diritto di difesa. La normativa in questione considera infatti de iure «pericolosa» la permanenza in carica del condannato in ragione della valutazione fatta ex ante dal legislatore e considera il condannato «indegno» della carica elettiva, circostanze entrambe che contrastano con la ritenuta natura cautelare e non sanzionatoria della misura della sospensione. Si sottolinea a tal proposito che per i titoli di reato in relazione ai quali sono previste decadenza e correlata sospensione non e' consentito al giudice penale - di apprezzarne in concreto la gravita' dei fatti. Invero ad alcune fattispecie minori di peculato e di corruzione (si pensi, quanto al reato di peculato, all'utilizzo di alcuni fogli di carta dell'amministrazione per scrivere una lettera personale e, quanto al reato di corruzione impropria, al regalo di modesto valore economico da parte di un soggetto beneficiato da un determinato provvedimento) non e' applicabile la causa di non punibilita' prevista dall'art. 133-bis del codice penale (introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2015) in virtu' del quale la punibilita' puo' essere esclusa previo vaglio concreto del giudice delle ipotesi di lieve entita'. Tale disposizione infatti non e' applicabile a reati con pena edittale massima superiore ad anni cinque. Ne consegue che gli autori di condotte di peculato e corruzione lievi, de iure condito, sono soggetti alla decadenza e alla sospensione da cariche politiche ottenute anche con larghissimo consenso nella consapevolezza da parte dell'elettorato dell'esistenza di un procedimento penale e dei fatti in esso ascritti all'eletto. Il risultato e' che anche in questi casi, in forza della normativa che si intende sottoporre al vaglio di costituzionalita', viene modificata la volonta' dell'elettorato sulla base di una valutazione fatta in astratto ex lege, senza che sia esperibile alcun rimedio che consenta l'apprezzamento da parte dell'Autorita' giudiziaria del fatto accertato in sede penale. Al riguardo si osserva che la pericolosita' presunta ex lege e' ormai totalmente espulsa sia dal novero delle misure cautelari sia dallo stesso ambito delle misure di sicurezza personali, laddove e' stato ritenuto sulla base dei soli principi dell'ordinamento costituzionale italiano la necessita' assoluta dell'esame in concreto del caso. L'eccezione attinente alla mancata previsione da parte della legge Severino nel caso in esame da parte dell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/12) della possibilita' di effettuare una valutazione di proporzionalita' tra la condanna riportata e la sospensione da pronunciarsi non pare quindi manifestamente infondata in relazione al diritto di azione sancito dall'art. 24 della Costituzione e dall'art. 113 della Costituzione. L'art. 24 dispone che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento», mentre l'art. 113 della Costituzione comma l e 2 prevede che «contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti». Va precisato che la possibilita' ammessa dalla giurisprudenza di' legittimita' di adire l'Autorita' giudiziaria ordinaria per impugnare il provvedimento sospensivo non consente un'interpretazione adeguatrice dell'art. 11 del decreto legislativo n. 235/2012, nell'ottica di sindacare il provvedimento sospensivo sotto il profilo della proporzionalita', essendo a tal scopo indispensabile l'intervento correttivo del giudice delle leggi o del legislatore. La mancanza di giustiziabilita' della sospensione, anche per l'impossibilita' di ottenere tutela giurisdizionale in via cautelare allo scopo di riesaminare gli accertamenti del giudice penale, appare dunque in contrasto con il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale e si ritiene pertanto che il dubbio di costituzionalita' dell'art. 1 del decreto legislativo n. 235/2012 per violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione non sia manifestamente infondato e necessiti del vaglio della Corte.