LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Composta dai signori: 
        Giancarlo Coraggio - Presidente 
        Giuliano Amato - Giudice 
        Silvana Sciarra - Giudice 
        Daria de Pretis - Giudice 
        Nicolo' Zanon - Giudice 
        Franco Modugno - Giudice 
        Augusto Antonio Barbera - Giudice 
        Giulio Prosperetti - Giudice 
        Giovanni Amoroso - Giudice 
        Francesco Vigano' - Giudice 
        Luca Antonini - Giudice 
        Stefano Petitti - Giudice 
        Angelo Buscema - Giudice 
        Emanuela Navarretta - Giudice 
        Maria Rosaria San Giorgio - Giudice 
    ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di legittimita'
costituzionale  dell'art.  262,  primo  comma,  del  codice   civile,
promosso dal Tribunale ordinario di Bolzano nel procedimento vertente
tra la Procura della Repubblica del Tribunale ordinario di Bolzano  e
D.        G.        e altro,  con  ordinanza  del  17  ottobre  2019,
iscritta al n. 78 del registro  ordinanze  2020  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28 - 1ª Serie speciale  «Corte
costituzionale» - dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 13 gennaio  2021  il  giudice
relatore Giuliano Amato; 
    deliberato nella camera di consiglio del 14 gennaio 2021. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 17  ottobre  2019,  il  Tribunale
ordinario  di  Bolzano  ha  sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 262, primo comma, del codice civile che, nel
disciplinare il cognome del figlio nato fuori dal matrimonio, prevede
che «Se il riconoscimento e' stato effettuato  contemporaneamente  da
entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre»; 
    che la disposizione e' censurata nella parte in cui non  consente
ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al  momento
della nascita, il solo cognome materno; 
    che questa preclusione si porrebbe in contrasto, in primo  luogo,
con l'art. 2  della  Costituzione,  sotto  il  profilo  della  tutela
dell'identita' personale; sarebbe, inoltre, violato  l'art.  3  della
Costituzione, sotto il profilo dell'uguaglianza  tra  donna  e  uomo,
come gia' rilevato da questa Corte nella sentenza n. 286 del 2016; e'
denunciata, infine, la violazione dell'art. 117, primo  comma,  della
Costituzione, in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per
la salvaguardia diritti dell'uomo  e  liberta'  fondamentali  (CEDU),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4  agosto  1955,  n.  848,  che  trovano  corrispondenza  negli
articoli 7 e 21 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007; 
    che il Tribunale di Bolzano e' chiamato a decidere in  ordine  al
ricorso proposto dal pubblico ministero, ai sensi  dell'art.  95  del
decreto del Presidente della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396
(Regolamento per la revisione e la  semplificazione  dell'ordinamento
dello stato civile, a norma dell'art. 2, comma  12,  della  legge  15
maggio 1997, n. 127), al fine di ottenere la rettificazione dell'atto
di nascita di una bambina, cui i genitori, non uniti  in  matrimonio,
hanno  concordemente  voluto  attribuire  il  solo  cognome  materno,
confermando tale volonta' anche nel corso del procedimento dinanzi al
giudice a qua; 
    che, tuttavia, questa scelta dei genitori e'  preclusa  dall'art.
262, primo comma, codice civile anche  all'esito  della  sentenza  di
questa Corte n. 286 del 2016, che ha riconosciuto la possibilita'  di
aggiungere al patronimico il cognome della madre, mentre nel caso  in
esame la volonta' di entrambi i genitori  e'  volta  all'acquisizione
del solo cognome materno; 
    che,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,   la   questione   di
legittimita' costituzionale  sarebbe  rilevante  poiche',  applicando
l'art. 262, primo comma, del codice civile  con  il  solo  correttivo
introdotto  dalla  sentenza  richiamata,  il  ricorso  del   pubblico
ministero dovrebbe essere accolto e l'atto di nascita dovrebbe essere
rettificato; qualora, invece, fosse accolta  la  presente  questione,
sarebbe  consentita  l'assunzione  del  solo  cognome  materno,  come
richiesto  da  entrambi  i  genitori,  con  conseguente  rigetto  del
ricorso; 
    che, ritenendo  esclusa  la  possibilita'  di  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata,  il  giudice  a  quo  ravvisa  la  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 262, primo comma, del codice civile nella parte in cui tale
disposizione  non  consente  ai  genitori,  di  comune  accordo,   di
trasmettere al figlio, al momento  della  nascita,  il  solo  cognome
materno; 
    che questa disciplina sarebbe in contrasto sia con l'art. 2 della
Costituzione, sotto il profilo della tutela dell'identita' personale,
sia   con   l'art.   3   della   Costituzione,   sotto   il   profilo
dell'uguaglianza tra donna e uomo; 
    che il Tribunale ritiene  che  l'acquisizione  del  cognome  alla
nascita avvenga unicamente sulla base di una discriminazione  fondata
sul sesso dei genitori, anche in presenza  di  una  diversa  volonta'
comune degli stessi;  come  riconosciuto  dalla  stessa  sentenza  di
questa Corte n. 286 del 2016, il sistema  in  vigore  deriva  da  una
concezione patriarcale della famiglia e della potesta' maritale,  che
non e' piu' compatibile con il principio costituzionale della parita'
tra uomo e donna; 
    che la disposizione censurata sarebbe, altresi', in contrasto con
l'art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione  agli
articoli 8 e 14 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali;  al  riguardo,  e'
richiamata la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo  del
7 gennaio 2014 (Cusan e Fazzo contro Italia), che  ha  affermato  che
l'impossibilita'  per  i  genitori  di  attribuire  al  figlio,  alla
nascita, il cognome della madre, anziche' quello del  padre,  integra
la violazione dell'art. 14 (Divieto di discriminazione), in combinato
disposto con l'art. 8 (Diritto  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare) della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  principi  che   trovano
corrispondenza  negli  articoli  7  e  21  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, che pure verrebbero in rilievo; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione  sia  dichiarata  inammissibile  e,
comunque, infondata; 
    che  ad  avviso   dell'interveniente   le   questioni   sarebbero
inammissibili,  poiche'  l'intervento  richiesto  richiederebbe   una
operazione manipolativa esorbitante dai poteri di questa Corte  (sono
richiamate le sentenze n. 61 del 2006 e le ordinanze n. 586 e n.  176
del 1988); 
    che, nel merito, le questioni sarebbero manifestamente infondate;
nel caso in esame le censure del giudice  a  quo  sarebbero  volte  a
rimettere ai genitori la scelta del cognome da attribuire  ai  figli,
in particolare attraverso l'indicazione  del  solo  cognome  materno;
tuttavia, la norma di sistema  attributiva  del  cognome  paterno  al
figlio - ferma restando la  possibilita'  di  aggiungere  il  cognome
materno - non consente, proprio a tutela del diritto  del  figlio  al
nome, di far dipendere l'attribuzione del cognome  dalla  scelta  dei
genitori. 
    Considerato che il Tribunale ordinario di  Bolzano  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 262, primo  comma,
del codice civile che, nel dettare  la  disciplina  del  cognome  del
figlio nato fuori dal matrimonio, prevede che «Se  il  riconoscimento
e' stato effettuato contemporaneamente  da  entrambi  i  genitori  il
figlio assume il cognome del padre»;  la  disposizione  e'  censurata
nella parte in cui non consente ai genitori, di  comune  accordo,  di
trasmettere al figlio, al momento  della  nascita,  il  solo  cognome
materno; 
    che questa preclusione si porrebbe in contrasto, in primo  luogo,
con l'art. 2  della  Costituzione,  sotto  il  profilo  della  tutela
dell'identita' personale; sarebbe, inoltre, violato  l'art.  3  della
Costituzione, sotto il profilo dell'uguaglianza  tra  donna  e  uomo,
come gia' rilevato da questa Corte nella sentenza n. 286 del 2016; e'
denunciata, infine, la violazione dell'art. 117, primo  comma,  della
Costituzione, in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per
la salvaguardia diritti dell'uomo  e  liberta'  fondamentali  (CEDU),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4  agosto  1955,  n.  848,  che  trovano  corrispondenza  negli
articoli 7 e 21 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007; 
    che,  in  via  preliminare,  non  e'   fondata   l'eccezione   di
inammissibilita' sollevata dalla difesa dello Stato per il  carattere
manipolativo dell'intervento richiesto a questa Corte; 
    che, infatti,  il  petitum  del  rimettente  e'  circoscritto  al
riconoscimento della  possibilita',  attualmente  preclusa  dall'art.
262, primo comma, del codice civile, di  trasmettere  al  figlio,  di
comune accordo, alla nascita, il  solo  cognome  materno;  con  cio',
dunque, il giudice a quo chiede l'addizione di una specifica  ipotesi
derogatoria,  costituzionalmente  imposta,  volta  a  riconoscere  il
paritario rilievo dei genitori  nella  trasmissione  del  cognome  al
figlio; 
    che le questioni sollevate  dal  giudice  a  quo,  relative  alla
preclusione della facolta' di scelta del solo cognome  materno,  sono
strettamente connesse alla piu' ampia questione che ha ad oggetto  la
generale disciplina dell'automatica attribuzione del cognome paterno; 
    che la secolare prevalenza  del  cognome  paterno  trova  il  suo
riconoscimento normativo - oltre che nella disposizione  censurata  -
negli articoli 237 e 299  del  codice  civile;  nell'art.  72,  primo
comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n.  1238  (Ordinamento  dello
stato civile); negli articoli 33 e  34  del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per  la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a
norma dell'art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127); 
    che questa Corte e' gia' stata chiamata,  in  piu'  occasioni,  a
valutare la legittimita'  costituzionale  di  questa  disciplina,  in
riferimento sia al principio di parita' dei genitori, sia al  diritto
all'identita' personale dei figli, sia alla salvaguardia  dell'unita'
familiare; 
    che, sin da epoca risalente, e' stata evidenziata la possibilita'
di introdurre sistemi diversi di determinazione del nome,  egualmente
idonei a salvaguardare  l'unita'  della  famiglia,  senza  comprimere
l'eguaglianza e l'autonomia dei genitori (ordinanze n. 586 e  n.  176
del 1988); 
    che, in tempi piu' recenti, e' stato  espressamente  riconosciuto
che «l'attuale sistema di attribuzione del cognome e' retaggio di una
concezione patriarcale della famiglia, la quale  affonda  le  proprie
radici nel diritto di  famiglia  romanistico,  e  di  una  tramontata
potesta' maritale, non piu' coerente con i principi  dell'ordinamento
e con il valore costituzionale dell'uguaglianza  tra  uomo  e  donna»
(ordinanza n. 61 del 2006); 
    che,  da  ultimo,  ravvisando  il  contrasto  della  regola   del
patronimico  con  gli  articoli  2,  3,  29,  secondo  comma,   della
Costituzione,   questa   Corte   ha    dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale della norma desumibile dagli articoli 237, 262  e  299
del codice civile; 72, primo comma, del regio  decreto  n.  1238  del
1939; e 33 e 34 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  396
del 2000, nella parte in cui non  consente  ai  genitori,  di  comune
accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche  il
cognome materno; la dichiarazione di illegittimita' costituzionale e'
stata estesa, in via consequenziale,  ai  sensi  dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento della Corte costituzionale), all'art. 262, primo comma,
del codice civile, e all'art. 299, terzo  comma,  del  codice  civile
(sentenza n. 286 del 2016); 
    che  in  tale  decisione  -  pur  essendo  stata  riaffermata  la
necessita' di ristabilire il principio della parita' dei  genitori  -
si  e'  preso  atto  che,  in  via  temporanea,  «in  attesa  di   un
indifferibile  intervento  legislativo,  destinato   a   disciplinare
organicamente la  materia,  secondo  criteri  finalmente  consoni  al
principio  di   parita'»,   «sopravvive»   la   generale   previsione
dell'attribuzione  del  cognome  paterno,  destinata  a  operare   in
mancanza di accordo espresso dei genitori; 
    che, tuttavia, anche dopo questa pronuncia,  gli  inviti  ad  una
sollecita rimodulazione della disciplina - in grado di  coniugare  il
trattamento paritario delle posizioni soggettive dei genitori con  il
diritto all'identita' personale del figlio - sinora non  hanno  avuto
seguito; 
    che, pertanto, la  prevalenza  del  cognome  paterno  costituisce
tuttora il presupposto  delle  disposizioni,  sopra  richiamate,  che
declinano la regola del patronimico nelle sue  diverse  esplicazioni,
tra le quali rientra certamente la disposizione  censurata  dell'art.
262, primo comma, del codice civile; 
    che, di conseguenza, anche laddove fosse riconosciuta la facolta'
dei genitori di scegliere, di comune  accordo,  la  trasmissione  del
solo cognome materno, la regola che impone  l'acquisizione  del  solo
cognome paterno dovrebbe essere ribadita in tutte le  fattispecie  in
cui tale accordo manchi o, comunque,  non  sia  stato  legittimamente
espresso; in questi casi,  verosimilmente  piu'  frequenti,  dovrebbe
dunque essere riconfermata la prevalenza del cognome paterno, la  cui
incompatibilita' con il valore fondamentale dell'uguaglianza e' stata
da tempo riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte  (sentenze
n. 286 del 2016 e n. 61 del 2006); 
    che, in questo quadro, neppure il consenso, su  cui  fa  leva  la
limitata  possibilita'  di  deroga  alla  generale   disciplina   del
patronimico, potrebbe ritenersi espressione di  un'effettiva  parita'
tra le parti, posto che una di esse non ha bisogno  dell'accordo  per
far prevalere il proprio cognome; 
    che, pertanto,  nella  perdurante  vigenza  del  sistema  che  fa
prevalere il cognome paterno, lo stesso meccanismo consensuale -  che
il rimettente vorrebbe estendere all'opzione del solo cognome materno
- non porrebbe rimedio  allo  squilibrio  e  alla  disparita'  tra  i
genitori; 
    che «il modo in  cui  occasionalmente  sono  poste  le  questioni
incidentali di  legittimita'  costituzionale  non  puo'  impedire  al
giudice delle leggi l'esame pieno del  sistema  nel  quale  le  norme
denunciate sono inserite» (ordinanza n. 183 del  1996;  nello  stesso
senso, sentenza n. 179 del 1976 e ordinanze n. 230 del 1975 e n.  100
del 1970); 
    che, alla luce del rapporto di presupposizione  e  di  continenza
tra la questione  specifica  dedotta  dal  giudice  a  quo  e  quella
nascente dai dubbi di legittimita' costituzionale  ora  indicati,  la
risoluzione della questione  avente  ad  oggetto  l'art.  262,  primo
comma, del codice civile, nella parte in  cui  impone  l'acquisizione
del solo cognome paterno, si configura come logicamente pregiudiziale
e strumentale per definire le questioni sollevate dal giudice  a  qua
(ex multis, sentenze n. 255 del 2014, n. 179 del  1976,  n.  195  del
1972; nonche' ordinanze n. 114 e n. 96 del 2014, n. 42 del  2001;  n.
197 e n. 183 del 1996; n. 297 e n. 225 del 1995; n. 294 del 1993;  n.
378 del 1992, n. 230 del 1975 e n. 100 del 1970); 
    che d'altra parte, ancorche' siano  legittimamente  prospettabili
soluzioni  normative  differenziate,  l'esame  di  queste  specifiche
istanze di tutela costituzionale, attinenti a  diritti  fondamentali,
non puo' essere pretermesso,  poiche'  «l'esigenza  di  garantire  la
legalita' costituzionale deve, comunque sia, prevalere su  quella  di
lasciare spazio alla discrezionalita' del legislatore per la compiuta
regolazione della materia» (sentenza n. 242 del  2019;  nello  stesso
senso, sentenze n. 96 del 2015, n. 162 del 2014 e n. 113 del 2011); 
    che la non manifesta infondatezza della  questione  pregiudiziale
e' rilevabile nel contrasto della vigente disciplina,  impositiva  di
un solo cognome e ricognitiva di un solo  ramo  genitoriale,  con  la
necessita', costituzionalmente imposta dagli articoli  2  e  3  della
Costituzione, di  garantire  l'effettiva  parita'  dei  genitori,  la
pienezza dell'identita'  personale  del  figlio  e  di  salvaguardare
l'unita' della famiglia; 
    che tutto cio' porta a dubitare della legittimita' costituzionale
della disciplina dell'automatica acquisizione del  solo  patronimico,
che trova espressione nell'art. 262, primo comma, del codice civile; 
    che e' stato osservato sin da epoca risalente che  la  prevalenza
attribuita al ramo paterno nella trasmissione del  cognome  non  puo'
ritenersi  giustificata  dall'esigenza  di  salvaguardia  dell'unita'
familiare, poiche' «e' proprio l'eguaglianza  che  garantisce  quella
unita' e, viceversa, e' la diseguaglianza a metterla in pericolo», in
quanto l'unita' «si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti
fra i coniugi sono governati  dalla  solidarieta'  e  dalla  parita'»
(sentenza n. 133 del 1970); nel caso  in  esame,  ancora  una  volta,
«[l]a perdurante violazione del principio di  uguaglianza  "morale  e
giuridica" dei coniugi [...] contraddice,  ora  come  allora,  quella
finalita'   di   garanzia   dell'unita'   individuata   quale   ratio
giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla  parita'  dei
coniugi» (sentenza n. 286 del 2016); 
    che  «la  previsione  dell'inderogabile  prevalenza  del  cognome
paterno sacrifica il diritto all'identita' del minore, negandogli  la
possibilita' di essere identificato, sin dalla nascita, anche con  il
cognome materno» (ancora sentenza n. 286 del 2016); 
    che, infine, il dubbio di legittimita' costituzionale che investe
l'art. 262, primo  comma,  del  codice  civile,  attiene  anche  alla
violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione agli articoli 8 (Diritto al rispetto della vita  privata  e
familiare)  e  14  (Divieto  di  discriminazione)  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali; 
    che, a questo riguardo, la Corte europea dei  diritti  dell'uomo,
nella sentenza 7 gennaio  2014,  Cusan  e  Fazzo  contro  Italia,  ha
ritenuto che la rigidita' del sistema italiano - che fa prevalere  il
cognome paterno e nega rilievo ad una diversa volonta'  concordemente
espressa dai genitori - costituisce una  violazione  del  diritto  al
rispetto della vita privata e familiare,  determinando  altresi'  una
discriminazione ingiustificata tra i genitori, in contrasto  con  gli
articoli 8 e 14 Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 
    che, pertanto, questa Corte non  puo'  esimersi,  ai  fini  della
definizione del presente giudizio, dal risolvere pregiudizialmente le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 262, primo  comma,
del codice civile, nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo
dei genitori, impone l'automatica acquisizione del  cognome  paterno,
anziche' dei cognomi di entrambi i genitori, per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione agli articoli 8 e  14  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.