Ricorso ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio  dei   ministri   in   carica,   rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  C.F.  80224030587,  n.  fax
0696514000  ed  indirizzo  p.e.c.  per  il  ricevimento  degli   atti
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici  domicilia  in
Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, contro; 
    La Regione  Toscana,  in  persona  del  Presidente  della  giunta
regionale in carica, con sede in Firenze, piazza del Duomo n. 10  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art.  1  della
legge della Regione Toscana 30 dicembre 2020, n. 101, pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n.  135  del  31  dicembre
2020, recante «Disposizioni concernenti gli interventi sugli  edifici
a destinazione d'uso  industriale  o  artigianale  e  commerciale  al
dettaglio. Proroga  del  termine  per  la  presentazione  dei  titoli
abilitativi degli interventi  edilizi  straordinari.  Modifiche  alla
legge regionale n. 24/2009», per contrasto con gli articoli 9 e  117,
primo comma e secondo comma, lettera s) della Costituzione,  rispetto
ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del  2006,  di
recepimento della Convenzione  europea  sul  paesaggio,  nonche'  gli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, oltre a contrastare con i principi di ragionevolezza, buon
andamento dell'amministrazione e leale collaborazione con riferimento
agli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    E cio' a seguito  ed  in  forza  della  delibera  di  impugnativa
assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 26 febbraio 2021. 
 
                                Fatto 
 
    La  legge  della  Regione  Toscana  30  dicembre  2020,  n.  101,
modificando l'art. 3-bis e 7 della legge regionale 8 maggio 2009,  n.
24, recante:  «Misure  urgenti  e  straordinarie  volte  al  rilancio
dell'economia  e  alla  riqualificazione  del   patrimonio   edilizio
esistente», estende alle unita' immobiliari aventi destinazione d'uso
commerciale al dettaglio, non incluse nelle precedenti previsioni, le
misure straordinarie gia' previste per  gli  edifici  a  destinazione
d'uso industriale o artigianale stabilendo, inoltre,  la  proroga  di
tutte le misure del «piano casa» per un ulteriore biennio. 
    La  suddetta  «estensione»  e'   disposta   nonostante   l'intero
territorio regionale sia stato oggetto di pianificazione nel  2015  e
senza che venga assicurata la compatibilita' del predetto piano casa,
oltre   che   con   eventuali   puntuali   prescrizioni   del   piano
paesaggistico, anche con gli indirizzi e  le  direttive  posti  dallo
stesso citato piano, i  quali  devono  essere  concretamente  attuati
dalla pianificazione urbanistica comunale. 
    Tale ultima  pianificazione  viene,  infatti,  derogata  in  modo
generalizzato dalle previsioni normative della legge n. 24 del  2009,
delle quali viene prorogata e ampliata la portata, cosi' menomando la
possibilita' stessa di dare compiuta  attuazione  alla  sovraordinata
pianificazione territoriale di livello regionale, oggetto  di  intesa
con lo Stato. 
    Alle  previsioni  regionali  viene,  dunque,   riconosciuta   una
indubbia portata derogatoria rispetto al  sistema  della  tutela  dei
beni culturali e del paesaggio delineato dal codice di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non assumendo rilievo,  in  senso
contrario, la circostanza che la  legge  regionale  n.  24  del  2009
preveda, all'art. 5, comma 1, una generica  clausola,  in  base  alla
quale «Gli interventi edilizi di cui  agli  articoli  3,  3-bis  e  4
perseguono il fine del miglioramento della qualita' architettonica in
relazione  ai  caratteri  urbanistici,   storici,   paesaggistici   e
ambientali  del  contesto  territoriale  in   cui   sono   inseriti».
Dall'affermazione  di  principio  suddetta  non  risultano,  infatti,
ricavabili  in   alcun   modo   i   principi   di   superiorita'   ed
inderogabilita' delle previsioni del  Piano  paesaggistico,  peraltro
approvato in Toscana, d'intesa con  lo  Stato,  nel  2015,  e  quindi
successivamente alla legge sul c.d. piano casa del 2009. 
    Ulteriori  profili  di  criticita'  si  evincono  in  termini  di
ragionevolezza della normativa regionale che,  nonostante  l'avvenuta
approvazione del Piano paesaggistico regionale d'intesa con lo Stato,
posto al vertice della gerarchia dei piani e le cui disposizioni sono
cogenti  per  gli   strumenti   di   pianificazione   urbanistica   e
territoriale,  reitera  ancora,  ampliandone  la  portata  oggettiva,
previsioni eccezionali  e  derogatorie,  che  trovano  fondamento  in
disposizioni statali ultradecennali di  natura  transitoria,  le  cui
finalita'  avrebbero  dovuto,  semmai,  piu'  coerentemente,  trovare
spazio e confluire all'interno del predetto Piano paesaggistico. 
    Va infatti rimarcato che e' compito del  Piano  paesaggistico  la
«individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle
aree  significativamente  compromesse  o  degradate  e  degli   altri
interventi  di  valorizzazione  compatibili  con  le  esigenze  della
tutela» (art. 143, comma 1, lettera g), del codice). 
    L'art. 143, comma 8, del codice di settore, prevede  inoltre  che
«Il  piano   paesaggistico   puo'   individuare   anche   linee-guida
prioritarie    per    progetti    di     conservazione,     recupero,
riqualificazione,  valorizzazione  e  gestione  di  aree   regionali,
indicandone  gli  strumenti  di  attuazione,   comprese   le   misure
incentivanti». 
    E' all'interno  di  tale  cornice,  pertanto,  che  le  finalita'
perseguite  dalla  regione  avrebbero  dovuto  essere   adeguatamente
considerate, una volta superate le esigenze emergenziali  all'origine
della disciplina transitoria del c.d. piano casa del 2009 e del  c.d.
secondo piano casa, di cui al decreto-legge n. 70 del 2011. 
    Pertanto,  l'art.  1  della  legge  regionale  suddetta,   giusta
determinazione assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 26
febbraio 2021, e' impugnata per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
1. Illegittimita' dell'art. 1 della legge della  Regione  Toscana  30
dicembre  2020,  n.  101  recante   «Disposizioni   concernenti   gli
interventi  sugli  edifici  a  destinazione   d'uso   industriale   o
artigianale e commerciale al dettaglio. Proroga del  termine  per  la
presentazione  dei  titoli  abilitativi  degli   interventi   edilizi
straordinari.  Modifiche  alla  legge  regionale  n.  24/2009»,   per
contrasto con gli articoli 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s)
della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme  interposte
la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul
paesaggio, nonche' gli articoli 135, 143 e 145 del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. 
    1. L'art. 1 della legge della Regione Toscana 30  dicembre  2020,
n. 101 modifica l'art. 3-bis della legge regionale n.  24  del  2009,
estendendo  alle  unita'  immobiliari   aventi   destinazione   d'uso
commerciale al dettaglio le misure straordinarie  gia'  previste  per
gli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale. 
    In questa prospettiva: 
        il comma 1 modifica la rubrica del  predetto  art.  3-bis  in
modo da dare atto di tale estensione; 
        il comma 2 sostituisce il testo del comma 1  dell'art.  3-bis
nei termini seguenti: 
          «1. Fermo restando il rispetto delle condizioni di messa in
sicurezza idraulicogeomorfologiche previste dalla  normativa  vigente
in materia: 
a) sugli edifici  a  destinazione  d'uso  industriale  o  artigianale
inseriti all'interno del perimetro individuato ai sensi dell'art.  2,
comma 1,  lettera  c),  ricadenti  in  aree  con  destinazione  d'uso
produttiva, sono ammessi gli interventi di addizione volumetrica o di
sostituzione edilizia con un incremento  massimo  del  20  per  cento
della superficie utile lorda esistente alla data del 25 agosto 2011 e
legittimata da titolo abilitativo; 
b) sulle unita' immobiliari aventi destinazione d'uso commerciale  al
dettaglio, limitatamente agli esercizi di vicinato  di  cui  all'art.
13, comma 1, lettera d), della legge regionale 23 novembre  2018,  n.
62 (Codice del commercio) e  agli  esercizi  di  somministrazione  di
alimenti e bevande di cui all'art. 48 della medesima legge  regionale
n. 62/2018, sono ammessi gli interventi di addizione  volumetrica  o,
se previsti dagli strumenti  urbanistici  comunali,  di  sostituzione
edilizia con un incremento massimo del 20 per cento  e  comunque  non
superiore a centro metri quadrati di superficie utile lorda esistente
alla data del 25 agosto 2011 e legittimata da titolo abilitativo». 
    Alla luce di quanto disposto  dall'art.  2,  sono  poi  prorogate
tutte le misure del predetto «piano casa»,  tra  le  quali  anche  le
misure incentivanti relative agli edifici a destinazione commerciale,
introdotte dalla richiamata  novella,  prevedendo  che  «Al  comma  2
dell'art. 7 della legge regionale n. 24/2009 le parole: "31  dicembre
2020" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2022".». 
    Le modifiche apportate  alla  legge  regionale  n.  24  del  2009
dall'art. 1 della legge regionale n. 101 del 2020 perseguono, dunque,
lo scopo di ampliare la portata applicativa della legge, che consente
ora anche gli interventi di addizione volumetrica o  di  sostituzione
edilizia, con un incremento massimo del  venti  per  cento,  per  gli
immobili  destinati  al  commercio  al  dettaglio  individuati  dalla
disposizione richiamata. 
    Alle addizioni volumetriche  previste  dall'art.  1  si  applica,
conseguentemente, la previsione dell'art. 3-bis, comma  1-bis,  della
legge regionale n. 24 del 2009, il quale dispone che «Gli  interventi
di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia di cui  al  comma
1, sono realizzati in deroga ai parametri urbanistici ed edilizi, nel
rispetto  delle  distanze  minime  e  delle   altezze   massime   dei
fabbricati». 
    L'art. 1 della legge regionale in esame si pone in contrasto  con
le esigenze di tutela del paesaggio. 
    Occorre tenere presente che la legge regionale n.  24  del  2009,
all'art. 5, comma 2,  individua  gli  immobili  esclusi  dal  proprio
ambito applicativo, indicando, tra gli altri, gli edifici: 
        «(...) 
        b) collocati all'interno delle zone territoriali omogenee «A»
di cui all'art. 2 del decreto ministeriale n.  1444/1968  o  ad  esse
assimilabili,  cosi'  come  definite  dagli   strumenti   urbanistici
comunali; 
        c) definiti di valore storico,  culturale  ed  architettonico
dagli strumenti urbanistici comunali; 
        d) vincolati quali immobili di  interesse  storico  ai  sensi
della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio); 
        e) collocati nelle aree  di  inedificabilita'  assoluta  come
definite dall'art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47  (Norme  in
materia di controllo dell'attivita'  urbanistico-edilizia,  sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizie); 
        f)  collocati  nei  territori  dei  parchi  e  delle  riserve
nazionali o regionali; 
        (...)». 
    Se e' vero che  tale  elencazione  esclude  l'applicazione  della
legge regionale in relazione ai beni  culturali,  nonche'  ad  alcune
tipologie di beni  paesaggistici  (centri  storici,  aree  protette),
tuttavia la medesima legge rimane operante in relazione a  tutti  gli
altri beni paesaggistici e, inoltre, a buona parte del paesaggio  non
vincolato, costituente comunque oggetto  di  tutela  ai  sensi  della
Convenzione europea del paesaggio,  sottoscritta  a  Firenze  del  20
ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9 gennaio 2006, n.
14. 
    La legge della Toscana n. 24 del 2009 consente, quindi, sin dalla
sua entrata in vigore, risalente a oltre undici anni or  sono  -  con
previsioni ora estese agli interventi di cui all'art. 1  della  legge
n. 101 del 2020, oggetto di censura in questa sede - la realizzazione
in via «straordinaria» di rilevanti interventi di trasformazione  del
territorio, che beneficiano di significative primalita' volumetriche,
in  deroga  alla  pianificazione  urbanistica,   senza   che   alcuna
previsione della medesima legge assicuri che  i  predetti  interventi
siano conformi alle previsioni  del  Piano  paesaggistico  regionale,
approvato previa intesa con lo Stato, ai sensi  degli  articoli  135,
143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di  cui  alla
legge 22 gennaio 2004, n. 42. 
    Va, infatti, rimarcato che, nel disporre la potenziale deroga  ai
piani  urbanistici  comunali,  la  legge   regionale   non   assicura
l'intangibilita'  delle  prescrizioni  che  derivano  dal  necessario
procedimento di adeguamento o conformazione di tali ultimi  strumenti
rispetto al Piano paesaggistico  regionale,  ne'  prevede  che  -  in
assenza di adeguamento o conformazione in accordo con  le  competenti
strutture  del  Ministero  -  le  previsioni   del   medesimo   Piano
paesaggistico siano comunque inderogabili. 
    Non puo' infatti assurgere al ruolo di clausola  di  salvaguardia
il disposto, del tutto generico, di cui all'art. 5, comma 1, in  base
al quale «Gli interventi edilizi di cui agli articoli 3,  3-bis  e  4
perseguono il fine del miglioramento della qualita' architettonica in
relazione  ai  caratteri  urbanistici,   storici,   paesaggistici   e
ambientali del contesto territoriale  in  cui  sono  inseriti».  Tale
previsione puo' valere soltanto a riconoscere, in linea di principio,
la generale finalita' di migliorare, mediante la realizzazione  degli
interventi, l'integrazione del  manufatto  nel  contesto  in  cui  si
colloca, senza peraltro che siano definiti i parametri valutativi  di
tale finalita'. 
    La  circostanza   che   la   legge   regionale   sia   precedente
all'approvazione del Piano paesaggistico previa intesa con  lo  Stato
(approvazione avvenuta nel 2015)  non  vale  a  elidere  l'illustrato
profilo di criticita', ma semmai lo  aggrava,  rendendo  ancora  piu'
arduo  dedurre  dalla  predetta  generica  previsione  una  effettiva
salvaguardia dell'intera disciplina del Piano paesaggistico  ad  essa
successivo. 
    Nello specifico, la novella  censurata  amplia  il  novero  degli
interventi assentibili in  deroga,  comprendendovi  anche  quelli  di
addizione volumetrica  o  di  sostituzione  edilizia  con  incremento
volumetrico degli edifici aventi destinazione  d'uso  commerciale  al
dettaglio, estendendo, al contempo, l'efficacia della normativa di un
ulteriore biennio. 
    Gli interventi in esame sono realizzati, ai  sensi  della  citata
previsione di cui all'art. 3-bis, comma 1-bis, della legge  regionale
n. 24 del 2009, in deroga ai parametri urbanistici ed edilizi, e cio'
anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e  disciplinate  dal
Piano   paesaggistico   territoriale   (PPTR)   approvato   con    la
deliberazione n. 37 del 2015, previa intesa con lo  Stato,  ai  sensi
degli articoli 135  e  143  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    Anche laddove in tali aree fosse  assicurato  il  rispetto  delle
c.d. prescrizioni d'uso (ossia i criteri  di  gestione  del  vincolo,
volti a orientare la fase autorizzatoria)  contenute  nel  piano,  la
disciplina   derogatoria,   sovrapponendosi    alla    pianificazione
urbanistica, impedirebbe comunque di rendere operative le  previsioni
di indirizzo e di direttiva contenute nel  piano  paesaggistico,  che
proprio  mediante  gli  strumenti  pianificatori  dei  comuni  devono
trovare concreta declinazione e applicazione sul territorio. 
    Mediante l'estensione della disciplina del c.d.  piano  casa,  la
Regione Toscana  permette,  quindi,  la  realizzazione  di  ulteriori
interventi di rilevante impatto sul territorio  in  deroga  al  Piano
paesaggistico approvato previa intesa con lo Stato. 
    E cio', come detto, non solo con  riferimento  al  paesaggio  non
direttamente vincolato, ma persino in relazione ai beni paesaggistici
vincolati. 
    Vengono,  cosi',  radicalmente  disconosciute  la  natura  e   la
funzione del Piano paesaggistico, il quale costituisce  lo  strumento
cardine della pianificazione del territorio, cui  devono  conformarsi
gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale (art. 145, commi
4 e 5, del codice di settore), e  che  e'  immediatamente  cogente  e
prevalente sulle previsioni  dei  piani  territoriali  e  urbanistici
(art. 143, comma 9, del codice), oltre che assolutamente inderogabile
da parte di qualsivoglia altro  atto  pianificatorio  (cfr.  articoli
145, comma 3 del codice). 
    Con la novella di cui all'art. 1 della legge regionale  in  esame
la regione estende, dunque, ulteriormente una disciplina  derogatoria
introdotta per la prima volta nel  2009  e  che  gia'  consentiva  la
realizzazione di interventi straordinari di  ampliamento  di  edifici
abitativi (art. 3), di interventi sugli edifici a destinazione  d'uso
industriale o artigianale (art. 3-bis) e di  interventi  straordinari
di demolizione e ricostruzione di edifici abitativi (art. 4). A  tali
rilevanti categorie di opere si aggiungono, ora, anche gli interventi
su edifici a destinazione commerciale al dettaglio (art. 3-bis,  come
novellato), e cio' - come detto  -  anche  nelle  aree  sottoposte  a
tutela paesaggistica ai sensi del Codice dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    L'estensione della citata disciplina derogatoria anche a  edifici
a  destinazione   commerciale,   si   pone,   dunque,   in   evidente
contrapposizione con la finalita' normativa originaria del c.d. piano
casa, consistente nell'autorizzare interventi «straordinari», per  un
periodo temporalmente limitato, su  edifici  abitativi,  concorrendo,
unitamente alle continue proroghe disposte dal legislatore regionale,
al risultato di accrescere enormemente,  per  sommatoria,  il  numero
degli  interventi  assentibili  in  contrasto   con   la   disciplina
urbanistica e paesaggistica, quest'ultima, peraltro, condivisa tra lo
Stato  e  la  regione  con  l'approvazione  del  PPTR,  in  tal  modo
determinando una riduzione dei livelli di  tutela  paesaggistica  ivi
previsti. 
    Nello specifico, la previsione censurata pregiudica il  ruolo  di
strumento cardine  della  disciplina  d'uso  dei  beni  paesaggistici
assegnato al Piano paesaggistico  e,  quindi,  invade  la  competenza
esclusiva dello Stato sancita dall'art. 117, secondo  comma,  lettera
s), della Costituzione, parametro  rispetto  al  quale  costituiscono
norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del medesimo codice. 
    Gli interventi consentiti dalla previsione normativa sono infatti
collocati al di  fuori  del  necessario  quadro  di  riferimento  che
dovrebbe essere costituito - laddove  incidano  su  beni  soggetti  a
tutela paesaggistica - dalle previsioni del Piano  paesaggistico,  ai
sensi degli articoli 135, 143, 145 del codice di settore. 
    Soltanto a quest'ultimo strumento, elaborato d'intesa tra Stato e
regione,  spetta  stabilire,   per   ciascuna   area   tutelata,   le
prescrizioni  d'uso,   nonche'   individuare   la   tipologia   delle
trasformazioni compatibili, di quelle vietate e le  condizioni  delle
eventuali trasformazioni. 
    La  legge  regionale  in  esame  introduce  invece  una  modifica
unilaterale  della  disciplina   di   tutela   prevista   dal   Piano
paesaggistico  gia'  approvato,  la  cui  revisione   puo'   avvenire
esclusivamente mediante una nuova intesa,  ai  sensi  dell'art.  143,
comma 2, del codice di settore. 
    Il   legislatore   nazionale,   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al Piano paesaggistico
una   posizione   di   assoluta   preminenza   nel   contesto   della
pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145,  comma
3, del codice di settore sanciscono, infatti, l'inderogabilita' delle
previsioni del predetto strumento da  parte  di  piani,  programmi  e
progetti nazionali o  regionali  di  sviluppo  economico  e  la  loro
cogenza rispetto  agli  strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata
prevalenza  del  Piano  paesaggistico  su  ogni  altro   atto   della
pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte  costituzionale
n. 180 del 2008). 
    Si  tratta  di  una  scelta  di  principio  la  cui  validita'  e
importanza  e'  gia'  stata  affermata   piu'   volte   dalla   Corte
costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che
intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli  strumenti
di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la  necessaria
condivisione delle scelte attraverso uno strumento di  pianificazione
sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la regione. 
    La  Corte  costituzionale  ha,  infatti,   da   tempo   affermato
l'esistenza di un vero e proprio obbligo,  costituente  un  principio
inderogabile della legislazione statale,  di  elaborazione  congiunta
del piano paesaggistico con  riferimento  ai  beni  vincolati  (Corte
costituzionale n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria
della   pianificazione   paesaggistica   «e'   assunta    a    valore
imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale  in  quanto
espressione  di  un  intervento  teso  a  stabilire  una  metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e   paesaggistici   sull'intero    territorio    nazionale»    (Corte
costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza  n.  272  del
2009). 
    2.  La  Regione  Toscana,  con  l'estensione   agli   edifici   a
destinazione  commerciale  di  norme  derogatorie  e   straordinarie,
destinate ad applicarsi anche con riferimento ai  beni  paesaggistici
in difformita' alle prescrizioni d'uso stabilite dal  piano,  nonche'
agli indirizzi e alle direttive contenute nel piano stesso, determina
surrettiziamente l'effetto di operare una pianificazione ex lege  che
non tiene conto dei valori paesaggistici, ponendosi al di fuori della
necessaria condivisione con lo Stato. 
    Al riguardo, la Corte ha riconosciuto la prevalenza dell'impronta
unitaria della pianificazione paesaggistica,  rimarcando  che:  «Come
questa Corte ha avuto modo di  affermare  anche  di  recente  con  la
sentenza n. 367 del 2007,  sul  territorio  vengono  a  gravare  piu'
interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti  la  conservazione
ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva  allo
Stato, in  base  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione;  dall'altro,  quelli   riguardanti   il   governo   del
territorio e la  valorizzazione  dei  beni  culturali  ed  ambientali
(fruizione del territorio), che sono affidati, in  virtu'  del  terzo
comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello  Stato
e delle regioni. In definitiva, si "tratta di due tipi di tutela, che
ben  possono   essere   coordinati   fra   loro,   ma   che   debbono
necessariamente restare distinti" (cosi' la citata  sentenza  n.  367
del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato
e regione in materia di paesaggio, la "separatezza tra pianificazione
territoriale ed urbanistica,  da  un  lato,  e  tutela  paesaggistica
dall'altro",  prevalendo,  comunque,   "l'impronta   unitaria   della
pianificazione paesaggistica" (sentenza  n.  182  del  2006).  E'  in
siffatta piu' ampia prospettiva che, dunque, si colloca il  principio
della "gerarchia"  degli  strumenti  di  pianificazione  dei  diversi
livelli territoriali, espresso dall'art. 145 del decreto  legislativo
n. 42 del 2004» (sentenza n. 180 del 2008). 
    Mediante la  legge  in  esame,  la  Regione  Toscana  disconosce,
invece, il ruolo preminente del Piano paesaggistico,  dettando  norme
unilaterali che prevedono  la  realizzazione  di  interventi  edilizi
aggiuntivi persino rispetto all'intesa del 2009  -  che  peraltro  ha
ormai definitivamente esaurito la propria finalita' - con premialita'
volumetriche «incentivanti» in  deroga  agli  strumenti  urbanistici,
nonostante la  copianificazione,  da  intendersi  come  «condivisione
reciproca sull'impostazione, i caratteri,  le  linee  generali  e  le
finalita' del piano», costituisca un principio inderogabile posto dal
codice di settore (Corte costituzionale n. 240 del 2020). 
    Ancora  di  recente,  codesta  ecc.ma  Corte  ha  avuto  modo  di
affermare che la disciplina statale volta a proteggere  l'ambiente  e
il paesaggio, operando come un limite alla disciplina che le  regioni
dettano nelle materie di loro  competenza,  «richiede  una  strategia
istituzionale  ad  ampio  raggio,  che  si  esplica  in  un'attivita'
pianificatoria estesa sull'intero territorio nazionale [...] affidata
congiuntamente allo Stato e alle regioni (sentenza n. 66  del  2018).
E' in questa prospettiva che il  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio pone, all'art. 135, un obbligo  di  elaborazione  congiunta
del piano paesaggistico, con riferimento agli immobili  e  alle  aree
dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 136  (le
cosiddette "bellezze  naturali"),  alle  aree  tutelate  direttamente
dalla legge ai sensi dell'art. 142  (le  cosiddette  "zone  Galasso",
come territori costieri, fiumi, torrenti,  parchi)  e,  infine,  agli
ulteriori immobili ed aree di notevole interesse pubblico (art.  143,
lettera d)». Tale obbligo costituisce, in  particolare,  un  riflesso
della   gia'   citata   «impronta   unitaria   della   pianificazione
paesaggistica», rappresentando,  dunque,  un  principio  inderogabile
della legislazione statale  che  «mira  a  garantire,  attraverso  la
partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in  materia,
l'effettiva ed uniforme tutela dell'ambiente  (sentenza  n.  210  del
2016) (sentenza n. 86 del  2019,  ma  gia'  nello  stesso  senso,  ex
plurimis, sentenze n. 178, 68 e n. 66 del 2018, n. 210 del  2016,  n.
64 del 2015, n. 197 del 2014, n. 211 del 2013)» (Corte costituzionale
n. 240 del 2020). 
    Ne deriva, secondo la consolidata giurisprudenza  costituzionale,
che ogni intervento regionale volto a modificare  unilateralmente  la
disciplina di un'area protetta,  «costituisce  violazione,  non  solo
degli  impegni  in  ipotesi  assunti  con  il   Ministero   in   sede
procedimentale, ma soprattutto di quanto prescritto  dal  codice  dei
beni culturali e del paesaggio», chiamato ad attuare,  in  un  ambito
affidato  alla  competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato,  le
politiche di tutela dell'ambiente (Corte  costituzionale  n.  86  del
2019). 
    In  questa   prospettiva,   giova   rimarcare   come   la   Corte
costituzionale abbia da tempo affermato l'illegittimita' delle  norme
regionali che prevedano il rilascio di titoli edilizi in deroga  alla
pianificazione paesaggistica. Si e', infatti,  sottolineato  che  «Il
codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio  definisce  (...),  con
efficacia  vincolante  anche  per  le  regioni,  i  rapporti  tra  le
prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni  di  carattere
urbanistico ed edilizio - sia contenute in un atto di pianificazione,
sia espresse in atti autorizzativi  puntuali,  come  il  permesso  di
costruire -  secondo  un  modello  di  prevalenza  delle  prime,  non
alterabile  ad  opera  della  legislazione  regionale»  e   che   «E'
importante sottolineare che l'eventuale scelta della regione (...) di
perseguire  gli  obiettivi  di  tutela  paesaggistica  attraverso  lo
strumento   dei   piani   urbanistico-territoriali   con    specifica
considerazione dei valori paesaggistici non modifica  i  termini  del
rapporto fra tutela  paesaggistica  e  disciplina  urbanistica,  come
descritti, e, piu' precisamente,  non  giustifica  alcuna  deroga  al
principio secondo il quale, nella disciplina delle trasformazioni del
territorio, la tutela del  paesaggio  assurge  a  valore  prevalente»
(Corte costituzionale n. 11 del 2016). 
    Questo profilo di illegittimita' non viene meno per il fatto  che
tali   interventi    siano    assentibili    previa    autorizzazione
paesaggistica,   peraltro   con   dequotazione   del    parere    del
soprintendente a mero parere obbligatorio e non vincolante, a seguito
dell'approvazione del Piano paesaggistico, in caso di esito  positivo
della verifica dell'avvenuto adeguamento degli strumenti  urbanistici
(cfr. art. 146, comma 5, del codice). 
    E cio' in quanto - fermo restando il rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica - a essere compromessa e' la necessita' imprescindibile
di una valutazione  complessiva  della  trasformazione  del  contesto
tutelato, che  deve  invece  avvenire  nella  sede  naturale  a  cio'
deputata, ossia nell'ambito del Piano paesaggistico. 
    In relazione ai  beni  paesaggistici,  una  eventuale  disciplina
finalizzata alla c.d.  rigenerazione  urbana,  con  riferimento  agli
immobili a destinazione commerciale,  avrebbe  dovuto  quindi  essere
trasfusa nel Piano paesaggistico regionale, approvato  previa  intesa
con lo  Stato,  e  attuata  mediante  la  pianificazione  urbanistica
comunale, e non in deroga a quest'ultima. 
    Come gia' ricordato, e' compito infatti del  Piano  paesaggistico
la «individuazione degli interventi di  recupero  e  riqualificazione
delle aree significativamente compromesse o degradate e  degli  altri
interventi  di  valorizzazione  compatibili  con  le  esigenze  della
tutela» (art. 143, comma 1, lettera g), del codice). 
    L'art. 143, comma 8, del codice di settore, prevede  inoltre  che
«Il  piano   paesaggistico   puo'   individuare   anche   linee-guida
prioritarie    per    progetti    di     conservazione,     recupero,
riqualificazione,  valorizzazione  e  gestione  di  aree   regionali,
indicandone  gli  strumenti  di  attuazione,   comprese   le   misure
incentivanti». 
    Per questa via,  sarebbe  stato  raggiunto  lo  scopo  -  cui  e'
preordinata la pianificazione paesaggistica - di evitare che, in sede
di  rilascio  delle   autorizzazioni   paesaggistiche,   le   singole
trasformazioni  vengano  valutate  in  modo  parcellizzato,   e   non
nell'ambito della considerazione complessiva  del  contesto  tutelato
specificamente demandata al Piano paesaggistico,  secondo  la  scelta
operata al riguardo dal legislatore nazionale. 
    La disposizione regionale censurata e', pertanto, illegittima per
violazione della potesta' legislativa esclusiva in materia di  tutela
del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  s)  della
Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte  gli
articoli 135,  143  e  145  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
    In ordine al principio di inderogabilita'  delle  previsioni  del
Piano paesaggistico, e'  utile  evidenziare  un  ulteriore  punto  di
criticita' nella disposizione in esame. 
    Si e' detto  che  il  principio  di  gerarchia  dei  piani  trova
fondamento negli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3,  del  codice,
che prevedono che «A far data dall'adozione del  piano  paesaggistico
non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'art. 134,
interventi in contrasto con le prescrizioni di  tutela  previste  nel
piano stesso. A far data dalla approvazione  del  piano  le  relative
previsioni e prescrizioni sono immediatamente  cogenti  e  prevalenti
sulle previsioni dei piani territoriali ed  urbanistici»  (art.  143,
comma 9) e che «Le previsioni dei piani  paesaggistici  di  cui  agli
articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e
progetti nazionali o regionali di sviluppo  economico,  sono  cogenti
per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle citta'  metropolitane
e delle province, sono immediatamente prevalenti  sulle  disposizioni
difformi  eventualmente  contenute   negli   strumenti   urbanistici,
stabiliscono   norme   di   salvaguardia   applicabili   in    attesa
dell'adeguamento  degli  strumenti  urbanistici   e   sono   altresi'
vincolanti per gli interventi settoriali.  Per  quanto  attiene  alla
tutela del paesaggio, le disposizioni dei  piani  paesaggistici  sono
comunque  prevalenti  sulle  disposizioni  contenute  negli  atti  di
pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative  di
settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle  aree  naturali
protette» (art. 145, comma 3). 
    Il comma 4 del richiamato art. 145 a sua  volta  prevede  che  «I
comuni, le citta' metropolitane, le province e gli enti gestori delle
aree  naturali  protette  conformano  o  adeguano  gli  strumenti  di
pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni  dei  piani
paesaggistici, secondo le procedure previste dalla  legge  regionale,
entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due
anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprieta'  derivanti  da
tali previsioni non sono oggetto di indennizzo.». 
    In una regione in cui sia stato approvato il Piano  paesaggistico
regionale, dunque,  l'eventuale  deroga  agli  strumenti  urbanistici
confligge apertamente con il principio di inderogabilita'  dei  piani
paesaggistici, considerato che  gli  strumenti  urbanistici  comunali
devono essere conformati o adeguati non solo alle prescrizioni  d'uso
contenute nel Piano paesaggistico (immediatamente conformative  degli
usi del territorio), ma anche alle disposizioni  di  indirizzo  e  di
direttiva   contenute   nello   stesso   piano   (che   spetta   alla
pianificazione urbanistica declinare in concreto e attuare). 
    Come evidenziato dal giudice amministrativo, «In un certo  senso,
il rapporto  che  intercorre  tra  gli  strumenti  di  pianificazione
paesistica e i piani urbanistici, e' simile a quello che caratterizza
il  rapporto  tra  le  competenze  statali  in  materia   di   tutela
dell'ambiente e del paesaggio (ambito  "trasversale"  riservato  alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato) e  quelle  delle  regioni
nella materia di loro specifica attribuzione» (Cons. Stato, sez.  IV,
8 luglio 2019, n. 4778). 
    La deroga agli strumenti urbanistici consentita  dal  c.d.  piano
casa  regionale  potrebbe  allora  tradursi  nella  violazione  della
pianificazione  paesaggistica,   alla   quale   gli   stessi   devono
conformarsi, con diretta lesione non solo  dell'esigenza  urbanistica
di ordinato sviluppo  del  territorio,  ma  anche  della  tutela  del
paesaggio,   costituente   valore   primario   e   assoluto    (Corte
costituzionale n. 367 del 2007). 
    Consegue da quanto illustrato  che,  nel  sistema  ordinamentale,
l'approvazione del Piano paesaggistico regionale dovrebbe  comportare
il naturale esaurimento della disciplina  regionale  del  c.d.  piano
casa (primo o secondo), atteso che - da un lato  -  con  l'emanazione
del piano paesaggistico  tutte  le  esigenze  di  c.d.  rigenerazione
urbana dovrebbero trovare in quella sede la loro disciplina a regime,
e  -  dall'altro  -  non  e'  consentito   alla   regione   disporre,
unilateralmente, in quali casi consentire la deroga  degli  strumenti
urbanistici (conformati  o  da  conformare  al  piano  paesaggistico)
minando concretamente l'operativita' del piano approvato d'intesa con
lo Stato. 
    Si ribadisce che solo all'interno del Piano paesaggistico possono
trovare  adeguata  disciplina,  a  regime,  gli  interventi   a   cui
connettere  premialita'  volumetriche  o  incentivi,  se   del   caso
attivando  le   procedure   per   introdurre   specifiche   normative
incentivanti,  ove  non  siano  gia'  previste,  come  disposto   dal
richiamato art. 143, comma 8. 
    3. Sotto altro profilo, deve considerarsi che la legge  regionale
24 del 2009, a seguito  delle  modifiche  apportatevi  da  diversi  e
successivi    interventi    riformatori    e,     in     particolare,
dell'introduzione, ad opera della legge regionale  n.  40  del  2011,
dell'art. 3-bis, costituisce attuazione non solo del c.d. piano  casa
(frutto dell'intesa tra Stato, regioni ed enti locali del  1°  aprile
2009), ma anche dell'art. 5, comma 9,  del  decreto-legge  13  maggio
2011, n. 70. 
    Con   riferimento   a   quest'ultima   disciplina,    la    Corte
costituzionale ha espressamente  affermato  la  natura  di  principio
fondamentale, inderogabile dalle regioni, della previsione di cui  al
comma 11, secondo periodo, del predetto art. 5 (Corte  costituzionale
n. 217 del 2020), la quale fa salvo -  tra  l'altro  -  «il  rispetto
(...) delle disposizioni contenute nel codice dei  beni  culturali  e
del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
La predetta clausola va intesa, con ogni evidenza, come volta a  fare
salvo l'intero sistema della tutela  previsto  dal  codice.  E,  come
detto, tale  sistema  richiede  necessariamente  che  le  valutazioni
sottese al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche siano  basate
su un quadro di disciplina stabilito  a  monte,  sulla  base  di  una
valutazione dei diversi contesti, e contenuto nel piano paesaggistico
elaborato previa intesa con lo Stato (articoli 135  e  143),  le  cui
previsioni non sono derogabili da  piani  e  programmi  regionali  di
qualsivoglia natura (art.  145,  comma  3),  inclusi,  quindi,  anche
quelli diretti alle finalita' di c.d. efficientamento energetico  cui
si dichiara indirizzata la normativa censurata  (cfr.  commi  2  e  3
dell'art. 3-bis). 
    I principi ora illustrati  trovano  costante  affermazione  nella
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  la  quale,  anche   di
recente,  ha  ribadito  che  «la  circostanza  che  la  regione   sia
intervenuta a dettare una deroga ai limiti per  la  realizzazione  di
interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure
con riguardo alle pertinenze, in deroga agli  strumenti  urbanistici,
senza seguire l'indicata modalita' procedurale collaborativa e  senza
attendere l'adozione congiunta  del  piano  paesaggistico  regionale,
delinea una lesione della sfera di competenza statale in  materia  di
"tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", che  si
impone al legislatore regionale, sia nelle regioni a statuto speciale
(sentenza n. 189 del 2016) che a  quelle  a  statuto  ordinario  come
limite all'esercizio di competenze  primarie  e  concorrenti»  (Corte
costituzionale n. 86 del 2019). 
    Come  evidenziato  da  codesta  ecc.  Corte,  «Quanto  detto  non
vanifica le competenze delle regioni e  degli  enti  locali,  "ma  e'
l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che e' assunta
a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in
quanto espressione di un intervento teso a stabilire una  metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e paesaggistici sull'intero territorio nazionale:  il  paesaggio  va,
cioe', rispettato  come  valore  primario,  attraverso  un  indirizzo
unitario  che   superi   la   pluralita'   degli   interventi   delle
amministrazioni locali"  (sentenza  n.  182  del  2006;  la  medesima
affermazione e' presente anche nelle successive sentenze  n.  86  del
2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015  e  n.  197  del  2014)»
(Corte costituzionale n. 240 del 2020). 
    Tali  principi  valgono  ancora  di  piu'  anche  ove  il   Piano
paesaggistico  sia  gia'  stato  approvato,  e  tuttavia  la  regione
intervenga unilateralmente, menomandone l'effettiva applicazione. 
    4.  L'abbassamento  del  livello  della  tutela   del   paesaggio
derivante  dalla  previsione  censurata   determina,   altresi',   il
contrasto con l'art. 9 della Costituzione, che sancisce la  rilevanza
della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte
costituzionale n. 367 del 2007 e 101 del 2010),  per  violazione  dei
parametri interposti costituiti dagli articoli 135,  143  e  145  del
codice di settore. 
    Al riguardo, occorre rilevare che lo stesso art. 1, comma 1,  del
codice enuncia il principio secondo cui le disposizioni ivi contenute
costituiscono attuazione dell'art. 9 della Costituzione,  consentendo
la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale  «in  coerenza
con  le  attribuzioni  di  cui  all'art.  117  della   Costituzione».
Valorizzando tale auto-qualificazione,  la  Corte  costituzionale  ha
piu' volte avuto modo di affermare che il codice dei beni culturali e
del  paesaggio  assume  le  «connotazioni   tipiche   del   parametro
interposto,  alla  stregua  del  quale  misurare  la   compatibilita'
costituzionale  delle  disposizioni   con   esso   eventualmente   in
contrasto» e tali da pregiudicare  la  preservazione  del  territorio
nazionale (Corte  costituzionale  n.  194  del  2013).  Quest'ultima,
peraltro, va attuata «attraverso un indirizzo unitario che superi  la
pluralita' degli interventi delle amministrazioni locali», garantendo
un livello uniforme di tutela non  derogabile  unilateralmente  dalla
regione, in quanto espressione di un intervento teso a stabilire  una
«metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di  tutela  dei
beni culturali  e  paesaggistici  sull'intero  territorio  nazionale»
(Corte costituzionale n. 182 del 2006). 
    I beni paesaggistici  propri  di  ciascuna  regione  trascendono,
d'altra  parte,  nella  logica  degli  articoli   9   e   117   della
Costituzione,  sia  come  valore  culturale  e  sociale,   sia   come
bene-interesse  giuridicamente   rilevante,   l'ambito   territoriale
regionale, riferibile alla collettivita' ivi stanziata, per assurgere
a una dimensione sicuramente nazionale. Per tale ragione, il  compito
di tutelare il paesaggio  e  l'ambiente  rientra  tra  le  competenze
esclusive  dello  Stato,  e,  in  presenza  di  eventuali  competenze
concorrenti, il potere degli organi regionali  di  intervenire  nelle
materie in esame incontra un preciso limite  costituito,  quantomeno,
dal potere di necessaria co-decisione statale. 
    5. Deve, ancora, osservarsi che la disciplina derogatoria dettata
dalla legge n. 24 del 2009 e' operante indiscriminatamente  non  solo
con riferimento a tutti i beni paesaggistici, ma anche  al  paesaggio
non vincolato. 
    Al riguardo, va tenuto presente che anche tale paesaggio, pur non
assoggettato al regime dei vincoli di  cui  si  e'  detto,  e'  stato
oggetto di pianificazione da  parte  della  regione  nell'ambito  del
piano territoriale del 2015, costituendo, comunque, oggetto di tutela
ai sensi della Convenzione  europea  del  paesaggio,  sottoscritta  a
Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la  legge  9
gennaio 2006, n. 14. 
    La Convezione prevede, infatti, all'art. 1, lettera  a),  che  il
termine «paesaggio» «designa una  determinata  parte  di  territorio,
cosi come e' percepita dalle popolazioni,  il  cui  carattere  deriva
dall'azione  di   fattori   naturali   e/o   umani   e   dalle   loro
interrelazioni». 
    Oggetto  della  protezione  assicurata  dalla  Convenzione  sono,
quindi, tutti i paesaggi, e  non  solo  i  beni  soggetti  a  vincolo
paesaggistico. 
    Con riferimento  ai  paesaggi,  cosi'  definiti,  la  Convenzione
prevede, all'art. 5, che «Ogni parte si impegna a: 
        a)  riconoscere  giuridicamente  il   paesaggio   in   quanto
componente  essenziale  del  contesto  di  vita  delle   popolazioni,
espressione della diversita' del loro comune patrimonio  culturale  e
naturale e fondamento della loro identita'; 
        b) stabilire e attuare politiche  paesaggistiche  volte  alla
salvaguardia, alla  gestione  e  alla  pianificazione  dei  paesaggi,
tramite l'adozione delle misure specifiche di cui al seguente art. 6; 
        c) avviare procedure di partecipazione  del  pubblico,  delle
autorita' locali e regionali e degli altri soggetti  coinvolti  nella
definizione e  nella  realizzazione  delle  politiche  paesaggistiche
menzionate al precedente capoverso b); 
        d) integrare il paesaggio nelle politiche  di  pianificazione
del territorio, urbanistiche  e  in  quelle  a  carattere  culturale,
ambientale, agricolo,  sociale  ed  economico,  nonche'  nelle  altre
politiche che possono avere  un'incidenza  diretta  o  indiretta  sul
paesaggio.». 
    In forza del successivo art. 6, inoltre, l'Italia si e' impegnata
all'adozione  di  misure  specifiche,  tra  l'altro,   in   tema   di
«Identificazione e valutazione», da attuare «Mobilitando  i  soggetti
interessati conformemente all'art. 5.c, e ai  fini  di  una  migliore
conoscenza dei propri paesaggi, ogni parte si impegna a: 
        a)  i.  identificare  i  propri  paesaggi,  sull'insieme  del
proprio territorio; 
          ii. analizzarne le caratteristiche, nonche' le dinamiche  e
le pressioni che li modificano; 
          iii. seguirne le trasformazioni; 
        b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori
specifici che sono loro attributi dai soggetti  e  dalle  popolazioni
interessate; (...)». 
    Le misure richieste  dalla  Convenzione  prevedono,  inoltre,  la
fissazione  di  appositi  obiettivi  di  qualita'   paesaggistica   e
l'attivazione degli «strumenti di intervento volti alla salvaguardia,
alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi». 
    L'adempimento degli impegni assunti  mediante  la  sottoscrizione
della Convenzione richiede che tutto il  territorio  sia  oggetto  di
pianificazione e di  specifica  considerazione  dei  relativi  valori
paesaggistici, anche per le parti che non  siano  oggetto  di  tutela
quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, cio' si  traduce
nei precetti contenuti all'art. 135 del codice  di  settore,  il  cui
testo e' stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n.  63
del 2008, a seguito del recepimento della Convenzione in questione. 
    In particolare, il comma 1 del predetto art. 135  stabilisce  che
«Lo Stato e  le  regioni  assicurano  che  tutto  il  territorio  sia
adeguatamente conosciuto, salvaguardato,  pianificato  e  gestito  in
ragione dei differenti valori espressi dai diversi  contesti  che  lo
costituiscono. A  tale  fine  le  regioni  sottopongono  a  specifica
normativa d'uso il territorio mediante  piani  paesaggistici,  ovvero
piani  urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione   dei
valori  paesaggistici,  entrambi  di   seguito   denominati:   "piani
paesaggistici".  L'elaborazione  dei  piani   paesaggistici   avviene
congiuntamente  tra  Ministero  e  regioni,  limitatamente  ai   beni
paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1,  lettere  b),  c)  e  d),
nelle forme previste dal medesimo art. 143.». 
    Il medesimo art. 135 disciplina, poi, la funzione e  i  contenuti
del Piano paesaggistico. 
    Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non  vincolato,
le regioni sono tenute alla pianificazione paesaggistica, nell'ambito
della quale deve trovare spazio - tra l'altro - la  «riqualificazione
delle aree compromesse o degradate». 
    In questa prospettiva, appare confliggente  con  le  disposizioni
dell'art. 135 del  codice  di  settore,  che  danno  attuazione  alla
Convenzione  europea  sul  paesaggio,  prevedere  che  interventi  di
impatto assai rilevante sul territorio, quali quelli  previsti  dalla
legge regionale n. 24 del 2009, avvengano sulla base  di  un'astratta
previsione di legge e siano  affidati  nell'an,  nel  quomodo  e  nel
quando  alla  libera  iniziativa  dei  privati,  invece   di   essere
pianificati  specificamente  nell'ambito  dello  strumento   apposito
previsto dalla medesima disposizione nazionale, del quale,  peraltro,
la Regione Toscana si e' dotata  sin  dal  2015.  Al  riguardo,  deve
tenersi  presente  che,  come  sopra  detto,  nessuna   clausola   di
salvaguardia delle previsioni del  Piano  paesaggistico  e'  presente
nella legge n. 24 del 2009. 
    Per le  ragioni  illustrate,  emerge,  dunque,  ulteriormente  la
violazione degli articoli 9 e 117, primo comma,  della  Costituzione,
rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n.  14  del
2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonche'
gli articoli 135, 143 e 145 del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
2. Illegittimita' dell'art. 1 della legge della  Regione  Toscana  30
dicembre  2020,  n.  101  recante   «Disposizioni   concernenti   gli
interventi  sugli  edifici  a  destinazione   d'uso   industriale   o
artigianale e commerciale al dettaglio. Proroga del  termine  per  la
presentazione  dei  titoli  abilitativi  degli   interventi   edilizi
straordinari.  Modifiche  alla  legge  regionale  n.   24/2009»   per
contrasto con i principi di ragionevolezza  e  buon  andamento  della
pubblica amministrazione, in violazione degli articoli 3 e  97  della
Costituzione, e con il principio di leale collaborazione. 
    1.  Le  disposizioni  regionali  contrastano,  altresi',  con   i
principi di ragionevolezza e di buon andamento  dell'amministrazione,
violando cosi' gli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    Sotto il profilo in esame, deve rilevarsi che la  regione  amplia
la portata di una disciplina  derogatoria  introdotta  per  la  prima
volta nel 2009 e che consente sin da allora la realizzazione di nuove
volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica, estendendone di
due anni il termine di efficacia. 
    La finalita' normativa era originariamente quella  di  consentire
interventi straordinari, per un periodo temporalmente limitato, dato,
questo, puntualmente evidenziato dalla Corte costituzionale, la quale
non ha mancato di rilevare come il c.d. piano casa fosse una  «misura
straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta  nel  2008
dal legislatore statale, contenuta nell'art. 11 del decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica  e  la  perequazione  tributaria),  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  6   agosto   2008,   n.   133»   (Corte
costituzionale n. 70 del 2020; cfr. anche Corte costituzionale n. 217
del 2020). Non a caso, anche nelle premesse della legge regionale  n.
24 del 2009 viene richiamata «l'intesa sottoscritta in data 31  marzo
2009 (...) in sede di conferenza unificata»,  relativa  proprio  alla
predetta misura di carattere eccezionale e temporaneo. 
    Questa originaria finalita' appare essere stata  snaturata  dalla
regione, la quale ha determinato la sostanziale stabilizzazione,  per
oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla  legge  n.  24  del
2009 e persino  l'ampliamento  della  relativa  portata  applicativa.
Occorre rilevare  al  riguardo  che  in  molte  regioni,  invece,  le
disposizioni del piano casa hanno cessato ogni efficacia, proprio  in
virtu' della loro natura essenzialmente «temporanea». 
    Il risultato e' quello di accrescere enormemente, per sommatoria,
il numero degli  interventi  consentiti  ex  lege,  al  di  fuori  di
qualsivoglia   valutazione   del   singolo   contesto   territoriale,
scardinando cosi' il principio fondamentale in materia di governo del
territorio - sotteso all'intero impianto della legge  urbanistica  n.
1150 del 1942, in particolare a seguito delle  modifiche  apportatevi
dalla legge n. 765 del 1967 - secondo  il  quale  gli  interventi  di
trasformazione edilizia e urbanistica sono  consentiti  soltanto  nel
quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di
disciplina degli usi del territorio necessaria e  insostituibile,  in
quanto idonea a fare  sintesi  dei  molteplici  interessi,  anche  di
rilievo   costituzionale,   che   afferiscono   a   ciascun    ambito
territoriale. 
    Gli interventi regionali - e da ultimo quello operato dalla legge
n. 101 del 2020, che amplia la portata della legge n. 24 del  2009  -
hanno  quindi  l'effetto  di  estendere,   in   maniera   del   tutto
irragionevole,  una  disciplina  eccezionale,  in  quanto   volta   a
consentire  la  realizzazione  di  volumi  edilizi  in  deroga   agli
strumenti urbanistici. E cio', per di piu', al di  fuori  del  quadro
della  pianificazione  paesaggistica  elaborata  in  conformita'   al
codice, che dovrebbe costituire la sede necessaria di valutazione del
corretto inserimento di tali interventi  nei  contesti  sottoposti  a
tutela. 
    Al riguardo, deve tenersi presente che la Corte ha affermato  che
la compressione di diritti  costituzionali,  quali  l'interesse  alla
tutela del paesaggio e il principio di copianificazione, puo'  essere
giustificata, al piu', per ragioni eccezionali e per un limitato arco
temporale,  qualificandosi  conseguentemente  come   illegittima   la
proroga reiterata di tale compressione  (cfr.  Corte  costituzionale,
sentenza n. 186 del 2013). 
    Cio' vale, a maggior ragione, nel  caso  in  cui  il  legislatore
regionale non si limiti ad una mera  reiterazione  dei  provvedimenti
normativi in questione, ma ne disponga, come nella vicenda in  esame,
un ampliamento, estendendone la portata oggettiva al di  fuori  delle
ipotesi originariamente  previste,  con  l'effetto  di  aggravare  la
compressione dei diritti costituzionali, in  assenza,  tuttavia,  del
contesto di eccezionalita' che ne aveva consentito l'introduzione. 
    Sul punto, si evidenzia  che  la  giurisprudenza  amministrativa,
richiamata anche dalla codesta ecc. Corte nella sentenza n.  217  del
2020,  ha  statuito  la  necessita'   di   assoggettare   a   stretta
interpretazione le  disposizioni  sul  «piano  casa»  (tra  le  tante
Tribunale amministrativo regionale Campania, sentenza 3 agosto  2020,
n.  3474,  e  Cons.  Stato,  sez.  IV,  30  ottobre  2017,  n.  4992,
riguardanti specificamente i  limiti  di  densita'  edilizia  di  cui
all'art. 7 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968). 
    Cio' significa che la normativa regionale  che  apporti  continue
modifiche  in  senso  ampliativo  alla  portata  delle   disposizioni
statali, fino ad arrivare a un regime derogatorio sempre piu' ampio e
stabile nel  tempo,  si  pone  in  contrasto  anche  con  i  principi
costituzionali   di    ragionevolezza    e    di    buon    andamento
dell'amministrazione. 
    Si ravvisa, inoltre, un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza
riferibile al possibile  contrasto  della  normativa  regionale,  che
consente la deroga agli strumenti urbanistici, con  il  principio  di
intangibilita' dello strumento di  pianificazione  di  vertice  nella
gerarchia dei piani, ossia il Piano paesaggistico, al quale  i  piani
sottordinati devono necessariamente conformarsi. 
    La possibile deroga a  questi  ultimi,  che  hanno  l'obbligo  di
recepire le prescrizioni inderogabili di piano e che fanno propri gli
indirizzi e le direttive  dello  stesso,  potrebbe  infatti  tradursi
nella deroga al Piano paesaggistico, approvato  in  Toscana  d'intesa
con lo Stato nel 2015. 
    Cio' appare in se' contradditorio,  e  quindi  irragionevole,  in
quanto, da una parte, la regione approva il  Piano  paesaggistico  e,
dall'altra,  reitera  ed  anzi  amplia  la  portata  di  disposizioni
eccezionali derogatorie al piano stesso, al di fuori della necessaria
cornice pianificatoria  inderogabile  e  cogente  per  gli  strumenti
urbanistici. 
    Come  detto,  l'approvazione  del   Piano   paesaggistico   segna
necessariamente il naturale  esaurimento  delle  normative  regionali
applicative del c.d. piano casa, con riguardo a  tutto  il  paesaggio
regionale, sia esso vincolato o meno. 
    Le finalita' di  efficientamento  energetico  perseguite  con  la
normativa regionale, nonche',  piu'  in  generale,  la  finalita'  di
favorire la  riqualificazione  urbana,  il  recupero,  il  riuso,  il
miglioramento del patrimonio edilizio esistente attraverso interventi
edilizi di miglioramento  dei  tessuti  urbani,  dovrebbero,  quindi,
trovare adeguato spazio all'interno del Piano  paesaggistico,  anche,
se del caso, in sede di revisione o aggiornamento del piano stesso. 
    Piu' in generale, la previsione a regime di interventi di impatto
molto  rilevante  sul  territorio   realizzabili   in   deroga   alla
pianificazione urbanistica e al  Piano  paesaggistico  e  al  decreto
ministeriale  n.  1444  del  1968  determina  esiti  irragionevoli  e
contrari al  buon  andamento  dell'amministrazione,  con  conseguente
violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    2. Da ultimo, l'intervento unilaterale della regione, destinato a
trovare  applicazione  anche  in  relazione  ai  beni  paesaggistici,
oggetto di co-pianificazione in accordo con lo Stato, costituisce una
violazione del principio di leale collaborazione, cui  devono  essere
improntati  i  rapporti  tra  le  amministrazioni   coinvolte   nella
pianificazione del paesaggio, e in forza del quale e'  precluso  alla
regione esercitare unilateralmente la funzione di disciplina dei beni
paesaggistici (Corte costituzionale n. 240 del 2020).  E  cio'  tanto
piu' a fronte di un accordo gia' concluso con lo Stato e trasfuso  in
un apposito piano, che la regione continua unilateralmente a limitare
nella sua concreta operativita'. 
    Al riguardo, va rilevato che, secondo  il  costante  insegnamento
della Corte costituzionale,  il  principio  di  leale  collaborazione
«deve presiedere a tutti i rapporti  che  intercorrono  tra  Stato  e
regioni», trattandosi di strumento idoneo, per la sua  elasticita'  e
adattabilita', a «regolare in modo dinamico i rapporti in  questione,
attenuando  i  dualismi  ed  evitando  eccessivi  irrigidimenti».  In
particolare,  la  Corte  ha  chiarito  che  «il  principio  di  leale
collaborazione, anche in una concezione minimale, impone  alle  parti
che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede  istituzionale  di
tener fede ad un impegno assunto» (Corte  costituzionale  n.  31  del
2006),  dovendosi,  dunque,  ritenere  illegittima  la   disposizione
regionale che, ponendosi al di fuori del percorso  condiviso  con  lo
Stato nella predisposizione del  piano  paesaggistico  regionale,  ne
pregiudichi la concreta operativita'. 
    L'esigenza di assicurare il pieno e proficuo coinvolgimento degli
organi  statali  in  materia  di  pianificazione  paesistica  deriva,
d'altra parte, proprio dalla «commistione di competenze  diverse,  di
cui sono titolari lo Stato  e  le  regioni  e  dall'esistenza  di  un
interesse  unitario  alla  tutela  del  paesaggio»,  circostanze  che
impongono, in un quadro di competenze  amministrative  e  legislative
tanto articolato, un esercizio delle  stesse  quantomeno  armonico  e
coordinato (Corte costituzionale n. 240 del 2020, n. 86 del 2019, nn.
68 e 66 del 2018).