Ricorso ex art. 127 della Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, C.F. 80224030587, n. fax 0696514000 ed indirizzo p.e.c. per il ricevimento degli atti ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, contro; La Regione Toscana, in persona del Presidente della giunta regionale in carica, con sede in Firenze, piazza del Duomo n. 10 per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Toscana 30 dicembre 2020, n. 101, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 135 del 31 dicembre 2020, recante «Disposizioni concernenti gli interventi sugli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale e commerciale al dettaglio. Proroga del termine per la presentazione dei titoli abilitativi degli interventi edilizi straordinari. Modifiche alla legge regionale n. 24/2009», per contrasto con gli articoli 9 e 117, primo comma e secondo comma, lettera s) della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonche' gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, oltre a contrastare con i principi di ragionevolezza, buon andamento dell'amministrazione e leale collaborazione con riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione. E cio' a seguito ed in forza della delibera di impugnativa assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 26 febbraio 2021. Fatto La legge della Regione Toscana 30 dicembre 2020, n. 101, modificando l'art. 3-bis e 7 della legge regionale 8 maggio 2009, n. 24, recante: «Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente», estende alle unita' immobiliari aventi destinazione d'uso commerciale al dettaglio, non incluse nelle precedenti previsioni, le misure straordinarie gia' previste per gli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale stabilendo, inoltre, la proroga di tutte le misure del «piano casa» per un ulteriore biennio. La suddetta «estensione» e' disposta nonostante l'intero territorio regionale sia stato oggetto di pianificazione nel 2015 e senza che venga assicurata la compatibilita' del predetto piano casa, oltre che con eventuali puntuali prescrizioni del piano paesaggistico, anche con gli indirizzi e le direttive posti dallo stesso citato piano, i quali devono essere concretamente attuati dalla pianificazione urbanistica comunale. Tale ultima pianificazione viene, infatti, derogata in modo generalizzato dalle previsioni normative della legge n. 24 del 2009, delle quali viene prorogata e ampliata la portata, cosi' menomando la possibilita' stessa di dare compiuta attuazione alla sovraordinata pianificazione territoriale di livello regionale, oggetto di intesa con lo Stato. Alle previsioni regionali viene, dunque, riconosciuta una indubbia portata derogatoria rispetto al sistema della tutela dei beni culturali e del paesaggio delineato dal codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non assumendo rilievo, in senso contrario, la circostanza che la legge regionale n. 24 del 2009 preveda, all'art. 5, comma 1, una generica clausola, in base alla quale «Gli interventi edilizi di cui agli articoli 3, 3-bis e 4 perseguono il fine del miglioramento della qualita' architettonica in relazione ai caratteri urbanistici, storici, paesaggistici e ambientali del contesto territoriale in cui sono inseriti». Dall'affermazione di principio suddetta non risultano, infatti, ricavabili in alcun modo i principi di superiorita' ed inderogabilita' delle previsioni del Piano paesaggistico, peraltro approvato in Toscana, d'intesa con lo Stato, nel 2015, e quindi successivamente alla legge sul c.d. piano casa del 2009. Ulteriori profili di criticita' si evincono in termini di ragionevolezza della normativa regionale che, nonostante l'avvenuta approvazione del Piano paesaggistico regionale d'intesa con lo Stato, posto al vertice della gerarchia dei piani e le cui disposizioni sono cogenti per gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, reitera ancora, ampliandone la portata oggettiva, previsioni eccezionali e derogatorie, che trovano fondamento in disposizioni statali ultradecennali di natura transitoria, le cui finalita' avrebbero dovuto, semmai, piu' coerentemente, trovare spazio e confluire all'interno del predetto Piano paesaggistico. Va infatti rimarcato che e' compito del Piano paesaggistico la «individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela» (art. 143, comma 1, lettera g), del codice). L'art. 143, comma 8, del codice di settore, prevede inoltre che «Il piano paesaggistico puo' individuare anche linee-guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti». E' all'interno di tale cornice, pertanto, che le finalita' perseguite dalla regione avrebbero dovuto essere adeguatamente considerate, una volta superate le esigenze emergenziali all'origine della disciplina transitoria del c.d. piano casa del 2009 e del c.d. secondo piano casa, di cui al decreto-legge n. 70 del 2011. Pertanto, l'art. 1 della legge regionale suddetta, giusta determinazione assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 26 febbraio 2021, e' impugnata per i seguenti Motivi 1. Illegittimita' dell'art. 1 della legge della Regione Toscana 30 dicembre 2020, n. 101 recante «Disposizioni concernenti gli interventi sugli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale e commerciale al dettaglio. Proroga del termine per la presentazione dei titoli abilitativi degli interventi edilizi straordinari. Modifiche alla legge regionale n. 24/2009», per contrasto con gli articoli 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s) della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonche' gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 1. L'art. 1 della legge della Regione Toscana 30 dicembre 2020, n. 101 modifica l'art. 3-bis della legge regionale n. 24 del 2009, estendendo alle unita' immobiliari aventi destinazione d'uso commerciale al dettaglio le misure straordinarie gia' previste per gli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale. In questa prospettiva: il comma 1 modifica la rubrica del predetto art. 3-bis in modo da dare atto di tale estensione; il comma 2 sostituisce il testo del comma 1 dell'art. 3-bis nei termini seguenti: «1. Fermo restando il rispetto delle condizioni di messa in sicurezza idraulicogeomorfologiche previste dalla normativa vigente in materia: a) sugli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale inseriti all'interno del perimetro individuato ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera c), ricadenti in aree con destinazione d'uso produttiva, sono ammessi gli interventi di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia con un incremento massimo del 20 per cento della superficie utile lorda esistente alla data del 25 agosto 2011 e legittimata da titolo abilitativo; b) sulle unita' immobiliari aventi destinazione d'uso commerciale al dettaglio, limitatamente agli esercizi di vicinato di cui all'art. 13, comma 1, lettera d), della legge regionale 23 novembre 2018, n. 62 (Codice del commercio) e agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui all'art. 48 della medesima legge regionale n. 62/2018, sono ammessi gli interventi di addizione volumetrica o, se previsti dagli strumenti urbanistici comunali, di sostituzione edilizia con un incremento massimo del 20 per cento e comunque non superiore a centro metri quadrati di superficie utile lorda esistente alla data del 25 agosto 2011 e legittimata da titolo abilitativo». Alla luce di quanto disposto dall'art. 2, sono poi prorogate tutte le misure del predetto «piano casa», tra le quali anche le misure incentivanti relative agli edifici a destinazione commerciale, introdotte dalla richiamata novella, prevedendo che «Al comma 2 dell'art. 7 della legge regionale n. 24/2009 le parole: "31 dicembre 2020" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2022".». Le modifiche apportate alla legge regionale n. 24 del 2009 dall'art. 1 della legge regionale n. 101 del 2020 perseguono, dunque, lo scopo di ampliare la portata applicativa della legge, che consente ora anche gli interventi di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia, con un incremento massimo del venti per cento, per gli immobili destinati al commercio al dettaglio individuati dalla disposizione richiamata. Alle addizioni volumetriche previste dall'art. 1 si applica, conseguentemente, la previsione dell'art. 3-bis, comma 1-bis, della legge regionale n. 24 del 2009, il quale dispone che «Gli interventi di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia di cui al comma 1, sono realizzati in deroga ai parametri urbanistici ed edilizi, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati». L'art. 1 della legge regionale in esame si pone in contrasto con le esigenze di tutela del paesaggio. Occorre tenere presente che la legge regionale n. 24 del 2009, all'art. 5, comma 2, individua gli immobili esclusi dal proprio ambito applicativo, indicando, tra gli altri, gli edifici: «(...) b) collocati all'interno delle zone territoriali omogenee «A» di cui all'art. 2 del decreto ministeriale n. 1444/1968 o ad esse assimilabili, cosi' come definite dagli strumenti urbanistici comunali; c) definiti di valore storico, culturale ed architettonico dagli strumenti urbanistici comunali; d) vincolati quali immobili di interesse storico ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio); e) collocati nelle aree di inedificabilita' assoluta come definite dall'art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie); f) collocati nei territori dei parchi e delle riserve nazionali o regionali; (...)». Se e' vero che tale elencazione esclude l'applicazione della legge regionale in relazione ai beni culturali, nonche' ad alcune tipologie di beni paesaggistici (centri storici, aree protette), tuttavia la medesima legge rimane operante in relazione a tutti gli altri beni paesaggistici e, inoltre, a buona parte del paesaggio non vincolato, costituente comunque oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14. La legge della Toscana n. 24 del 2009 consente, quindi, sin dalla sua entrata in vigore, risalente a oltre undici anni or sono - con previsioni ora estese agli interventi di cui all'art. 1 della legge n. 101 del 2020, oggetto di censura in questa sede - la realizzazione in via «straordinaria» di rilevanti interventi di trasformazione del territorio, che beneficiano di significative primalita' volumetriche, in deroga alla pianificazione urbanistica, senza che alcuna previsione della medesima legge assicuri che i predetti interventi siano conformi alle previsioni del Piano paesaggistico regionale, approvato previa intesa con lo Stato, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui alla legge 22 gennaio 2004, n. 42. Va, infatti, rimarcato che, nel disporre la potenziale deroga ai piani urbanistici comunali, la legge regionale non assicura l'intangibilita' delle prescrizioni che derivano dal necessario procedimento di adeguamento o conformazione di tali ultimi strumenti rispetto al Piano paesaggistico regionale, ne' prevede che - in assenza di adeguamento o conformazione in accordo con le competenti strutture del Ministero - le previsioni del medesimo Piano paesaggistico siano comunque inderogabili. Non puo' infatti assurgere al ruolo di clausola di salvaguardia il disposto, del tutto generico, di cui all'art. 5, comma 1, in base al quale «Gli interventi edilizi di cui agli articoli 3, 3-bis e 4 perseguono il fine del miglioramento della qualita' architettonica in relazione ai caratteri urbanistici, storici, paesaggistici e ambientali del contesto territoriale in cui sono inseriti». Tale previsione puo' valere soltanto a riconoscere, in linea di principio, la generale finalita' di migliorare, mediante la realizzazione degli interventi, l'integrazione del manufatto nel contesto in cui si colloca, senza peraltro che siano definiti i parametri valutativi di tale finalita'. La circostanza che la legge regionale sia precedente all'approvazione del Piano paesaggistico previa intesa con lo Stato (approvazione avvenuta nel 2015) non vale a elidere l'illustrato profilo di criticita', ma semmai lo aggrava, rendendo ancora piu' arduo dedurre dalla predetta generica previsione una effettiva salvaguardia dell'intera disciplina del Piano paesaggistico ad essa successivo. Nello specifico, la novella censurata amplia il novero degli interventi assentibili in deroga, comprendendovi anche quelli di addizione volumetrica o di sostituzione edilizia con incremento volumetrico degli edifici aventi destinazione d'uso commerciale al dettaglio, estendendo, al contempo, l'efficacia della normativa di un ulteriore biennio. Gli interventi in esame sono realizzati, ai sensi della citata previsione di cui all'art. 3-bis, comma 1-bis, della legge regionale n. 24 del 2009, in deroga ai parametri urbanistici ed edilizi, e cio' anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e disciplinate dal Piano paesaggistico territoriale (PPTR) approvato con la deliberazione n. 37 del 2015, previa intesa con lo Stato, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Anche laddove in tali aree fosse assicurato il rispetto delle c.d. prescrizioni d'uso (ossia i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) contenute nel piano, la disciplina derogatoria, sovrapponendosi alla pianificazione urbanistica, impedirebbe comunque di rendere operative le previsioni di indirizzo e di direttiva contenute nel piano paesaggistico, che proprio mediante gli strumenti pianificatori dei comuni devono trovare concreta declinazione e applicazione sul territorio. Mediante l'estensione della disciplina del c.d. piano casa, la Regione Toscana permette, quindi, la realizzazione di ulteriori interventi di rilevante impatto sul territorio in deroga al Piano paesaggistico approvato previa intesa con lo Stato. E cio', come detto, non solo con riferimento al paesaggio non direttamente vincolato, ma persino in relazione ai beni paesaggistici vincolati. Vengono, cosi', radicalmente disconosciute la natura e la funzione del Piano paesaggistico, il quale costituisce lo strumento cardine della pianificazione del territorio, cui devono conformarsi gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale (art. 145, commi 4 e 5, del codice di settore), e che e' immediatamente cogente e prevalente sulle previsioni dei piani territoriali e urbanistici (art. 143, comma 9, del codice), oltre che assolutamente inderogabile da parte di qualsivoglia altro atto pianificatorio (cfr. articoli 145, comma 3 del codice). Con la novella di cui all'art. 1 della legge regionale in esame la regione estende, dunque, ulteriormente una disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 e che gia' consentiva la realizzazione di interventi straordinari di ampliamento di edifici abitativi (art. 3), di interventi sugli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale (art. 3-bis) e di interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici abitativi (art. 4). A tali rilevanti categorie di opere si aggiungono, ora, anche gli interventi su edifici a destinazione commerciale al dettaglio (art. 3-bis, come novellato), e cio' - come detto - anche nelle aree sottoposte a tutela paesaggistica ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. L'estensione della citata disciplina derogatoria anche a edifici a destinazione commerciale, si pone, dunque, in evidente contrapposizione con la finalita' normativa originaria del c.d. piano casa, consistente nell'autorizzare interventi «straordinari», per un periodo temporalmente limitato, su edifici abitativi, concorrendo, unitamente alle continue proroghe disposte dal legislatore regionale, al risultato di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi assentibili in contrasto con la disciplina urbanistica e paesaggistica, quest'ultima, peraltro, condivisa tra lo Stato e la regione con l'approvazione del PPTR, in tal modo determinando una riduzione dei livelli di tutela paesaggistica ivi previsti. Nello specifico, la previsione censurata pregiudica il ruolo di strumento cardine della disciplina d'uso dei beni paesaggistici assegnato al Piano paesaggistico e, quindi, invade la competenza esclusiva dello Stato sancita dall'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, parametro rispetto al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del medesimo codice. Gli interventi consentiti dalla previsione normativa sono infatti collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che dovrebbe essere costituito - laddove incidano su beni soggetti a tutela paesaggistica - dalle previsioni del Piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143, 145 del codice di settore. Soltanto a quest'ultimo strumento, elaborato d'intesa tra Stato e regione, spetta stabilire, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni d'uso, nonche' individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni. La legge regionale in esame introduce invece una modifica unilaterale della disciplina di tutela prevista dal Piano paesaggistico gia' approvato, la cui revisione puo' avvenire esclusivamente mediante una nuova intesa, ai sensi dell'art. 143, comma 2, del codice di settore. Il legislatore nazionale, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al Piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del codice di settore sanciscono, infatti, l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonche' l'immediata prevalenza del Piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte costituzionale n. 180 del 2008). Si tratta di una scelta di principio la cui validita' e importanza e' gia' stata affermata piu' volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la regione. La Corte costituzionale ha, infatti, da tempo affermato l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico con riferimento ai beni vincolati (Corte costituzionale n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale» (Corte costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009). 2. La Regione Toscana, con l'estensione agli edifici a destinazione commerciale di norme derogatorie e straordinarie, destinate ad applicarsi anche con riferimento ai beni paesaggistici in difformita' alle prescrizioni d'uso stabilite dal piano, nonche' agli indirizzi e alle direttive contenute nel piano stesso, determina surrettiziamente l'effetto di operare una pianificazione ex lege che non tiene conto dei valori paesaggistici, ponendosi al di fuori della necessaria condivisione con lo Stato. Al riguardo, la Corte ha riconosciuto la prevalenza dell'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, rimarcando che: «Come questa Corte ha avuto modo di affermare anche di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono a gravare piu' interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione; dall'altro, quelli riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtu' del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni. In definitiva, si "tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti" (cosi' la citata sentenza n. 367 del 2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e regione in materia di paesaggio, la "separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro", prevalendo, comunque, "l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica" (sentenza n. 182 del 2006). E' in siffatta piu' ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della "gerarchia" degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall'art. 145 del decreto legislativo n. 42 del 2004» (sentenza n. 180 del 2008). Mediante la legge in esame, la Regione Toscana disconosce, invece, il ruolo preminente del Piano paesaggistico, dettando norme unilaterali che prevedono la realizzazione di interventi edilizi aggiuntivi persino rispetto all'intesa del 2009 - che peraltro ha ormai definitivamente esaurito la propria finalita' - con premialita' volumetriche «incentivanti» in deroga agli strumenti urbanistici, nonostante la copianificazione, da intendersi come «condivisione reciproca sull'impostazione, i caratteri, le linee generali e le finalita' del piano», costituisca un principio inderogabile posto dal codice di settore (Corte costituzionale n. 240 del 2020). Ancora di recente, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di affermare che la disciplina statale volta a proteggere l'ambiente e il paesaggio, operando come un limite alla disciplina che le regioni dettano nelle materie di loro competenza, «richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un'attivita' pianificatoria estesa sull'intero territorio nazionale [...] affidata congiuntamente allo Stato e alle regioni (sentenza n. 66 del 2018). E' in questa prospettiva che il Codice dei beni culturali e del paesaggio pone, all'art. 135, un obbligo di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento agli immobili e alle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 136 (le cosiddette "bellezze naturali"), alle aree tutelate direttamente dalla legge ai sensi dell'art. 142 (le cosiddette "zone Galasso", come territori costieri, fiumi, torrenti, parchi) e, infine, agli ulteriori immobili ed aree di notevole interesse pubblico (art. 143, lettera d)». Tale obbligo costituisce, in particolare, un riflesso della gia' citata «impronta unitaria della pianificazione paesaggistica», rappresentando, dunque, un principio inderogabile della legislazione statale che «mira a garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, l'effettiva ed uniforme tutela dell'ambiente (sentenza n. 210 del 2016) (sentenza n. 86 del 2019, ma gia' nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 178, 68 e n. 66 del 2018, n. 210 del 2016, n. 64 del 2015, n. 197 del 2014, n. 211 del 2013)» (Corte costituzionale n. 240 del 2020). Ne deriva, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, che ogni intervento regionale volto a modificare unilateralmente la disciplina di un'area protetta, «costituisce violazione, non solo degli impegni in ipotesi assunti con il Ministero in sede procedimentale, ma soprattutto di quanto prescritto dal codice dei beni culturali e del paesaggio», chiamato ad attuare, in un ambito affidato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, le politiche di tutela dell'ambiente (Corte costituzionale n. 86 del 2019). In questa prospettiva, giova rimarcare come la Corte costituzionale abbia da tempo affermato l'illegittimita' delle norme regionali che prevedano il rilascio di titoli edilizi in deroga alla pianificazione paesaggistica. Si e', infatti, sottolineato che «Il codice dei beni culturali e del paesaggio definisce (...), con efficacia vincolante anche per le regioni, i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio - sia contenute in un atto di pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali, come il permesso di costruire - secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile ad opera della legislazione regionale» e che «E' importante sottolineare che l'eventuale scelta della regione (...) di perseguire gli obiettivi di tutela paesaggistica attraverso lo strumento dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici non modifica i termini del rapporto fra tutela paesaggistica e disciplina urbanistica, come descritti, e, piu' precisamente, non giustifica alcuna deroga al principio secondo il quale, nella disciplina delle trasformazioni del territorio, la tutela del paesaggio assurge a valore prevalente» (Corte costituzionale n. 11 del 2016). Questo profilo di illegittimita' non viene meno per il fatto che tali interventi siano assentibili previa autorizzazione paesaggistica, peraltro con dequotazione del parere del soprintendente a mero parere obbligatorio e non vincolante, a seguito dell'approvazione del Piano paesaggistico, in caso di esito positivo della verifica dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici (cfr. art. 146, comma 5, del codice). E cio' in quanto - fermo restando il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica - a essere compromessa e' la necessita' imprescindibile di una valutazione complessiva della trasformazione del contesto tutelato, che deve invece avvenire nella sede naturale a cio' deputata, ossia nell'ambito del Piano paesaggistico. In relazione ai beni paesaggistici, una eventuale disciplina finalizzata alla c.d. rigenerazione urbana, con riferimento agli immobili a destinazione commerciale, avrebbe dovuto quindi essere trasfusa nel Piano paesaggistico regionale, approvato previa intesa con lo Stato, e attuata mediante la pianificazione urbanistica comunale, e non in deroga a quest'ultima. Come gia' ricordato, e' compito infatti del Piano paesaggistico la «individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela» (art. 143, comma 1, lettera g), del codice). L'art. 143, comma 8, del codice di settore, prevede inoltre che «Il piano paesaggistico puo' individuare anche linee-guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti». Per questa via, sarebbe stato raggiunto lo scopo - cui e' preordinata la pianificazione paesaggistica - di evitare che, in sede di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, le singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato, e non nell'ambito della considerazione complessiva del contesto tutelato specificamente demandata al Piano paesaggistico, secondo la scelta operata al riguardo dal legislatore nazionale. La disposizione regionale censurata e', pertanto, illegittima per violazione della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In ordine al principio di inderogabilita' delle previsioni del Piano paesaggistico, e' utile evidenziare un ulteriore punto di criticita' nella disposizione in esame. Si e' detto che il principio di gerarchia dei piani trova fondamento negli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del codice, che prevedono che «A far data dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'art. 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso. A far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici» (art. 143, comma 9) e che «Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle citta' metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresi' vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette» (art. 145, comma 3). Il comma 4 del richiamato art. 145 a sua volta prevede che «I comuni, le citta' metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione. I limiti alla proprieta' derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo.». In una regione in cui sia stato approvato il Piano paesaggistico regionale, dunque, l'eventuale deroga agli strumenti urbanistici confligge apertamente con il principio di inderogabilita' dei piani paesaggistici, considerato che gli strumenti urbanistici comunali devono essere conformati o adeguati non solo alle prescrizioni d'uso contenute nel Piano paesaggistico (immediatamente conformative degli usi del territorio), ma anche alle disposizioni di indirizzo e di direttiva contenute nello stesso piano (che spetta alla pianificazione urbanistica declinare in concreto e attuare). Come evidenziato dal giudice amministrativo, «In un certo senso, il rapporto che intercorre tra gli strumenti di pianificazione paesistica e i piani urbanistici, e' simile a quello che caratterizza il rapporto tra le competenze statali in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio (ambito "trasversale" riservato alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato) e quelle delle regioni nella materia di loro specifica attribuzione» (Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4778). La deroga agli strumenti urbanistici consentita dal c.d. piano casa regionale potrebbe allora tradursi nella violazione della pianificazione paesaggistica, alla quale gli stessi devono conformarsi, con diretta lesione non solo dell'esigenza urbanistica di ordinato sviluppo del territorio, ma anche della tutela del paesaggio, costituente valore primario e assoluto (Corte costituzionale n. 367 del 2007). Consegue da quanto illustrato che, nel sistema ordinamentale, l'approvazione del Piano paesaggistico regionale dovrebbe comportare il naturale esaurimento della disciplina regionale del c.d. piano casa (primo o secondo), atteso che - da un lato - con l'emanazione del piano paesaggistico tutte le esigenze di c.d. rigenerazione urbana dovrebbero trovare in quella sede la loro disciplina a regime, e - dall'altro - non e' consentito alla regione disporre, unilateralmente, in quali casi consentire la deroga degli strumenti urbanistici (conformati o da conformare al piano paesaggistico) minando concretamente l'operativita' del piano approvato d'intesa con lo Stato. Si ribadisce che solo all'interno del Piano paesaggistico possono trovare adeguata disciplina, a regime, gli interventi a cui connettere premialita' volumetriche o incentivi, se del caso attivando le procedure per introdurre specifiche normative incentivanti, ove non siano gia' previste, come disposto dal richiamato art. 143, comma 8. 3. Sotto altro profilo, deve considerarsi che la legge regionale 24 del 2009, a seguito delle modifiche apportatevi da diversi e successivi interventi riformatori e, in particolare, dell'introduzione, ad opera della legge regionale n. 40 del 2011, dell'art. 3-bis, costituisce attuazione non solo del c.d. piano casa (frutto dell'intesa tra Stato, regioni ed enti locali del 1° aprile 2009), ma anche dell'art. 5, comma 9, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70. Con riferimento a quest'ultima disciplina, la Corte costituzionale ha espressamente affermato la natura di principio fondamentale, inderogabile dalle regioni, della previsione di cui al comma 11, secondo periodo, del predetto art. 5 (Corte costituzionale n. 217 del 2020), la quale fa salvo - tra l'altro - «il rispetto (...) delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42». La predetta clausola va intesa, con ogni evidenza, come volta a fare salvo l'intero sistema della tutela previsto dal codice. E, come detto, tale sistema richiede necessariamente che le valutazioni sottese al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche siano basate su un quadro di disciplina stabilito a monte, sulla base di una valutazione dei diversi contesti, e contenuto nel piano paesaggistico elaborato previa intesa con lo Stato (articoli 135 e 143), le cui previsioni non sono derogabili da piani e programmi regionali di qualsivoglia natura (art. 145, comma 3), inclusi, quindi, anche quelli diretti alle finalita' di c.d. efficientamento energetico cui si dichiara indirizzata la normativa censurata (cfr. commi 2 e 3 dell'art. 3-bis). I principi ora illustrati trovano costante affermazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, anche di recente, ha ribadito che «la circostanza che la regione sia intervenuta a dettare una deroga ai limiti per la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici, senza seguire l'indicata modalita' procedurale collaborativa e senza attendere l'adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, delinea una lesione della sfera di competenza statale in materia di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", che si impone al legislatore regionale, sia nelle regioni a statuto speciale (sentenza n. 189 del 2016) che a quelle a statuto ordinario come limite all'esercizio di competenze primarie e concorrenti» (Corte costituzionale n. 86 del 2019). Come evidenziato da codesta ecc. Corte, «Quanto detto non vanifica le competenze delle regioni e degli enti locali, "ma e' l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioe', rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralita' degli interventi delle amministrazioni locali" (sentenza n. 182 del 2006; la medesima affermazione e' presente anche nelle successive sentenze n. 86 del 2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014)» (Corte costituzionale n. 240 del 2020). Tali principi valgono ancora di piu' anche ove il Piano paesaggistico sia gia' stato approvato, e tuttavia la regione intervenga unilateralmente, menomandone l'effettiva applicazione. 4. L'abbassamento del livello della tutela del paesaggio derivante dalla previsione censurata determina, altresi', il contrasto con l'art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto (Corte costituzionale n. 367 del 2007 e 101 del 2010), per violazione dei parametri interposti costituiti dagli articoli 135, 143 e 145 del codice di settore. Al riguardo, occorre rilevare che lo stesso art. 1, comma 1, del codice enuncia il principio secondo cui le disposizioni ivi contenute costituiscono attuazione dell'art. 9 della Costituzione, consentendo la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale «in coerenza con le attribuzioni di cui all'art. 117 della Costituzione». Valorizzando tale auto-qualificazione, la Corte costituzionale ha piu' volte avuto modo di affermare che il codice dei beni culturali e del paesaggio assume le «connotazioni tipiche del parametro interposto, alla stregua del quale misurare la compatibilita' costituzionale delle disposizioni con esso eventualmente in contrasto» e tali da pregiudicare la preservazione del territorio nazionale (Corte costituzionale n. 194 del 2013). Quest'ultima, peraltro, va attuata «attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralita' degli interventi delle amministrazioni locali», garantendo un livello uniforme di tutela non derogabile unilateralmente dalla regione, in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una «metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale» (Corte costituzionale n. 182 del 2006). I beni paesaggistici propri di ciascuna regione trascendono, d'altra parte, nella logica degli articoli 9 e 117 della Costituzione, sia come valore culturale e sociale, sia come bene-interesse giuridicamente rilevante, l'ambito territoriale regionale, riferibile alla collettivita' ivi stanziata, per assurgere a una dimensione sicuramente nazionale. Per tale ragione, il compito di tutelare il paesaggio e l'ambiente rientra tra le competenze esclusive dello Stato, e, in presenza di eventuali competenze concorrenti, il potere degli organi regionali di intervenire nelle materie in esame incontra un preciso limite costituito, quantomeno, dal potere di necessaria co-decisione statale. 5. Deve, ancora, osservarsi che la disciplina derogatoria dettata dalla legge n. 24 del 2009 e' operante indiscriminatamente non solo con riferimento a tutti i beni paesaggistici, ma anche al paesaggio non vincolato. Al riguardo, va tenuto presente che anche tale paesaggio, pur non assoggettato al regime dei vincoli di cui si e' detto, e' stato oggetto di pianificazione da parte della regione nell'ambito del piano territoriale del 2015, costituendo, comunque, oggetto di tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14. La Convezione prevede, infatti, all'art. 1, lettera a), che il termine «paesaggio» «designa una determinata parte di territorio, cosi come e' percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». Oggetto della protezione assicurata dalla Convenzione sono, quindi, tutti i paesaggi, e non solo i beni soggetti a vincolo paesaggistico. Con riferimento ai paesaggi, cosi' definiti, la Convenzione prevede, all'art. 5, che «Ogni parte si impegna a: a) riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversita' del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identita'; b) stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l'adozione delle misure specifiche di cui al seguente art. 6; c) avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorita' locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche menzionate al precedente capoverso b); d) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonche' nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio.». In forza del successivo art. 6, inoltre, l'Italia si e' impegnata all'adozione di misure specifiche, tra l'altro, in tema di «Identificazione e valutazione», da attuare «Mobilitando i soggetti interessati conformemente all'art. 5.c, e ai fini di una migliore conoscenza dei propri paesaggi, ogni parte si impegna a: a) i. identificare i propri paesaggi, sull'insieme del proprio territorio; ii. analizzarne le caratteristiche, nonche' le dinamiche e le pressioni che li modificano; iii. seguirne le trasformazioni; b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori specifici che sono loro attributi dai soggetti e dalle popolazioni interessate; (...)». Le misure richieste dalla Convenzione prevedono, inoltre, la fissazione di appositi obiettivi di qualita' paesaggistica e l'attivazione degli «strumenti di intervento volti alla salvaguardia, alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi». L'adempimento degli impegni assunti mediante la sottoscrizione della Convenzione richiede che tutto il territorio sia oggetto di pianificazione e di specifica considerazione dei relativi valori paesaggistici, anche per le parti che non siano oggetto di tutela quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, cio' si traduce nei precetti contenuti all'art. 135 del codice di settore, il cui testo e' stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n. 63 del 2008, a seguito del recepimento della Convenzione in questione. In particolare, il comma 1 del predetto art. 135 stabilisce che «Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: "piani paesaggistici". L'elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143.». Il medesimo art. 135 disciplina, poi, la funzione e i contenuti del Piano paesaggistico. Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non vincolato, le regioni sono tenute alla pianificazione paesaggistica, nell'ambito della quale deve trovare spazio - tra l'altro - la «riqualificazione delle aree compromesse o degradate». In questa prospettiva, appare confliggente con le disposizioni dell'art. 135 del codice di settore, che danno attuazione alla Convenzione europea sul paesaggio, prevedere che interventi di impatto assai rilevante sul territorio, quali quelli previsti dalla legge regionale n. 24 del 2009, avvengano sulla base di un'astratta previsione di legge e siano affidati nell'an, nel quomodo e nel quando alla libera iniziativa dei privati, invece di essere pianificati specificamente nell'ambito dello strumento apposito previsto dalla medesima disposizione nazionale, del quale, peraltro, la Regione Toscana si e' dotata sin dal 2015. Al riguardo, deve tenersi presente che, come sopra detto, nessuna clausola di salvaguardia delle previsioni del Piano paesaggistico e' presente nella legge n. 24 del 2009. Per le ragioni illustrate, emerge, dunque, ulteriormente la violazione degli articoli 9 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul paesaggio, nonche' gli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 2. Illegittimita' dell'art. 1 della legge della Regione Toscana 30 dicembre 2020, n. 101 recante «Disposizioni concernenti gli interventi sugli edifici a destinazione d'uso industriale o artigianale e commerciale al dettaglio. Proroga del termine per la presentazione dei titoli abilitativi degli interventi edilizi straordinari. Modifiche alla legge regionale n. 24/2009» per contrasto con i principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, in violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, e con il principio di leale collaborazione. 1. Le disposizioni regionali contrastano, altresi', con i principi di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione, violando cosi' gli articoli 3 e 97 della Costituzione. Sotto il profilo in esame, deve rilevarsi che la regione amplia la portata di una disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 e che consente sin da allora la realizzazione di nuove volumetrie in deroga alla pianificazione urbanistica, estendendone di due anni il termine di efficacia. La finalita' normativa era originariamente quella di consentire interventi straordinari, per un periodo temporalmente limitato, dato, questo, puntualmente evidenziato dalla Corte costituzionale, la quale non ha mancato di rilevare come il c.d. piano casa fosse una «misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell'art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133» (Corte costituzionale n. 70 del 2020; cfr. anche Corte costituzionale n. 217 del 2020). Non a caso, anche nelle premesse della legge regionale n. 24 del 2009 viene richiamata «l'intesa sottoscritta in data 31 marzo 2009 (...) in sede di conferenza unificata», relativa proprio alla predetta misura di carattere eccezionale e temporaneo. Questa originaria finalita' appare essere stata snaturata dalla regione, la quale ha determinato la sostanziale stabilizzazione, per oltre un decennio, delle deroghe consentite dalla legge n. 24 del 2009 e persino l'ampliamento della relativa portata applicativa. Occorre rilevare al riguardo che in molte regioni, invece, le disposizioni del piano casa hanno cessato ogni efficacia, proprio in virtu' della loro natura essenzialmente «temporanea». Il risultato e' quello di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi consentiti ex lege, al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale, scardinando cosi' il principio fondamentale in materia di governo del territorio - sotteso all'intero impianto della legge urbanistica n. 1150 del 1942, in particolare a seguito delle modifiche apportatevi dalla legge n. 765 del 1967 - secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale. Gli interventi regionali - e da ultimo quello operato dalla legge n. 101 del 2020, che amplia la portata della legge n. 24 del 2009 - hanno quindi l'effetto di estendere, in maniera del tutto irragionevole, una disciplina eccezionale, in quanto volta a consentire la realizzazione di volumi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici. E cio', per di piu', al di fuori del quadro della pianificazione paesaggistica elaborata in conformita' al codice, che dovrebbe costituire la sede necessaria di valutazione del corretto inserimento di tali interventi nei contesti sottoposti a tutela. Al riguardo, deve tenersi presente che la Corte ha affermato che la compressione di diritti costituzionali, quali l'interesse alla tutela del paesaggio e il principio di copianificazione, puo' essere giustificata, al piu', per ragioni eccezionali e per un limitato arco temporale, qualificandosi conseguentemente come illegittima la proroga reiterata di tale compressione (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 186 del 2013). Cio' vale, a maggior ragione, nel caso in cui il legislatore regionale non si limiti ad una mera reiterazione dei provvedimenti normativi in questione, ma ne disponga, come nella vicenda in esame, un ampliamento, estendendone la portata oggettiva al di fuori delle ipotesi originariamente previste, con l'effetto di aggravare la compressione dei diritti costituzionali, in assenza, tuttavia, del contesto di eccezionalita' che ne aveva consentito l'introduzione. Sul punto, si evidenzia che la giurisprudenza amministrativa, richiamata anche dalla codesta ecc. Corte nella sentenza n. 217 del 2020, ha statuito la necessita' di assoggettare a stretta interpretazione le disposizioni sul «piano casa» (tra le tante Tribunale amministrativo regionale Campania, sentenza 3 agosto 2020, n. 3474, e Cons. Stato, sez. IV, 30 ottobre 2017, n. 4992, riguardanti specificamente i limiti di densita' edilizia di cui all'art. 7 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968). Cio' significa che la normativa regionale che apporti continue modifiche in senso ampliativo alla portata delle disposizioni statali, fino ad arrivare a un regime derogatorio sempre piu' ampio e stabile nel tempo, si pone in contrasto anche con i principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione. Si ravvisa, inoltre, un ulteriore profilo di irragionevolezza riferibile al possibile contrasto della normativa regionale, che consente la deroga agli strumenti urbanistici, con il principio di intangibilita' dello strumento di pianificazione di vertice nella gerarchia dei piani, ossia il Piano paesaggistico, al quale i piani sottordinati devono necessariamente conformarsi. La possibile deroga a questi ultimi, che hanno l'obbligo di recepire le prescrizioni inderogabili di piano e che fanno propri gli indirizzi e le direttive dello stesso, potrebbe infatti tradursi nella deroga al Piano paesaggistico, approvato in Toscana d'intesa con lo Stato nel 2015. Cio' appare in se' contradditorio, e quindi irragionevole, in quanto, da una parte, la regione approva il Piano paesaggistico e, dall'altra, reitera ed anzi amplia la portata di disposizioni eccezionali derogatorie al piano stesso, al di fuori della necessaria cornice pianificatoria inderogabile e cogente per gli strumenti urbanistici. Come detto, l'approvazione del Piano paesaggistico segna necessariamente il naturale esaurimento delle normative regionali applicative del c.d. piano casa, con riguardo a tutto il paesaggio regionale, sia esso vincolato o meno. Le finalita' di efficientamento energetico perseguite con la normativa regionale, nonche', piu' in generale, la finalita' di favorire la riqualificazione urbana, il recupero, il riuso, il miglioramento del patrimonio edilizio esistente attraverso interventi edilizi di miglioramento dei tessuti urbani, dovrebbero, quindi, trovare adeguato spazio all'interno del Piano paesaggistico, anche, se del caso, in sede di revisione o aggiornamento del piano stesso. Piu' in generale, la previsione a regime di interventi di impatto molto rilevante sul territorio realizzabili in deroga alla pianificazione urbanistica e al Piano paesaggistico e al decreto ministeriale n. 1444 del 1968 determina esiti irragionevoli e contrari al buon andamento dell'amministrazione, con conseguente violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. 2. Da ultimo, l'intervento unilaterale della regione, destinato a trovare applicazione anche in relazione ai beni paesaggistici, oggetto di co-pianificazione in accordo con lo Stato, costituisce una violazione del principio di leale collaborazione, cui devono essere improntati i rapporti tra le amministrazioni coinvolte nella pianificazione del paesaggio, e in forza del quale e' precluso alla regione esercitare unilateralmente la funzione di disciplina dei beni paesaggistici (Corte costituzionale n. 240 del 2020). E cio' tanto piu' a fronte di un accordo gia' concluso con lo Stato e trasfuso in un apposito piano, che la regione continua unilateralmente a limitare nella sua concreta operativita'. Al riguardo, va rilevato che, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e regioni», trattandosi di strumento idoneo, per la sua elasticita' e adattabilita', a «regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti». In particolare, la Corte ha chiarito che «il principio di leale collaborazione, anche in una concezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (Corte costituzionale n. 31 del 2006), dovendosi, dunque, ritenere illegittima la disposizione regionale che, ponendosi al di fuori del percorso condiviso con lo Stato nella predisposizione del piano paesaggistico regionale, ne pregiudichi la concreta operativita'. L'esigenza di assicurare il pieno e proficuo coinvolgimento degli organi statali in materia di pianificazione paesistica deriva, d'altra parte, proprio dalla «commistione di competenze diverse, di cui sono titolari lo Stato e le regioni e dall'esistenza di un interesse unitario alla tutela del paesaggio», circostanze che impongono, in un quadro di competenze amministrative e legislative tanto articolato, un esercizio delle stesse quantomeno armonico e coordinato (Corte costituzionale n. 240 del 2020, n. 86 del 2019, nn. 68 e 66 del 2018).