UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI PADOVA 
 
    Il Magistrato di sorveglianza dott.ssa  Tecla  Cesaro,  lette  le
istanze con cui C. M., nato a ... il ... , detenuto presso la Casa di
reclusione di ..., in espiazione della  pena  di  cui  alla  sentenza
della Corte d'assise  d'appello  di  Venezia  del  21  febbraio  2014
(inizio pena: 14 aprile 2011; fine pena: 30 dicembre 2022) chiede  la
concessione del beneficio del permesso premio; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Il sig. C. M. in epigrafe generalizzato, con  istanza  da  ultimo
presentata in data  29  giugno  2020  ha  chiesto  al  Magistrato  di
sorveglianza di poter fruire del beneficio  del  permesso  premio  ai
sensi dell'art. 30-ter o.p. ai fini di poter incontrare i  due  figli
minori, attualmente residenti con la madre in Germania. 
    L'istante sta espiando  la  pena  di  anni  14  e  giorni  20  di
reclusione in relazione ad una condanna per  reati  di  cui  all'art.
4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n.  354  (di  seguito  «o.p.»):
associazione di stampo mafioso,  sequestro  di  persona  a  scopo  di
estorsione, usura ed estorsione (tutti reati aggravati  dall'art.  7,
legge n. 203/1991). 
    I fatti riguardano un'associazione a delinquere di stampo mafioso
costituita da soggetti provenienti dall'area del  casertano  e  della
Campania, e da personaggi che operavano nella zona di Padova,  dediti
ad attivita' di  usura,  che  si  incaricavano  di  porre  in  essere
attivita' di recupero  crediti  anche  con  modalita'  estorsive.  in
particolare, tra il 2009 e il 2011, i  componenti  dell'associazione,
qualificandosi  come  appartenenti   al   cosiddetto   "...",   hanno
conseguito profitti coartando la volonta' degli imprenditori in crisi
finanziaria, riscuotendo dagli stessi tassi usurari e facendo ricorso
ad esplicita violenza. 
    Il C., inoltre, si e' reso responsabile di un grave  episodio  di
sequestro di persona a  scopo  di  estorsione  aggravato  dal  metodo
mafioso ai danni di B. M. e del figlio A. (per il quale ha  riportato
una pena di anni 8 mesi 10 giorni 20). 
    Tanto premesso, va evidenziato che l'istanza presentata dal  sig.
C. e' temporalmente ammissibile avendo il detenuto espiato ben  oltre
meta' della pena di tutti i reati (la recidiva reiterata infatti  non
opera essendo stata  ritenuta  subvalente  rispetto  alle  attenuanti
generiche: cfr. Cassazione, sez. I, 13 dicembre 2011, n.  3358).  Nel
dettaglio, il detenuto, tenendo conto dell'inizio  pena  in  data  14
aprile 2011 e degli 855 giorni di liberazione anticipata ha,  invero,
espiato ben oltre meta' della pena per il reato di cui  all'art.  630
c.p. (1)  oltre che la pena per il reato di cui all'art. 416-bis o.p.
(2) . 
    Va peraltro evidenziato che, ad eccezione di un unico e del tutto
occasionale  rilievo   disciplinare   del   13   gennaio   2021   per
atteggiamento offensivo 2021 (sanzionato con 10 giorni di  esclusione
dalle  attivita'  ricreative  e  sportive   per   aver   serbato   un
atteggiamento arrogante e offensivo nei confronti  del  personale  di
polizia  penitenziaria,  fatto  per  il  quale  l'interessato  si  e'
assunto,  nell'immediatezza,  la  propria   responsabilita'   ed   ha
presentato le proprie scuse), il percorso carcerario  nel  corso  del
lungo periodo di detenzione e' sempre stato regolare e  partecipativo
alle  attivita'  trattamentali,  risultandosi  cosi'   integrato   il
requisito della meritevolezza. 
    Essendo in espiazione  reati  ex  art.  4-bis  o.p.,  osserva  il
Magistrato che si pone il  problema  di  valutare  il  profilo  della
pericolosita' del C. - persona che, secondo la nota  24  giugno  2020
della Prefettura di ..., Ufficio ordine  e  sicurezza  pubblica,  «ha
rivestito  un   ruolo   dirigenziale   all'interno   del   sodalizio,
subordinato solamente a M. C.; ha costituito l'alter ego del  capo  e
in caso di sua assenza si e' occupato direttamente in  prima  persona
sia nella gestione complessiva delle riscossioni  del  ratei  usurari
sia soprattutto della attuazione delle minacce e  delle  violenze  ai
danni  delle  vittime»  -  unicamente  in  relazione  all'assenza  di
collegamenti con la  criminalita'  organizzata  avendo  il  C.  visto
accertata   (successivamente   alla    pronuncia    della    sentenza
costituzionale   n.   253   del   2019)   l'impossibilita'   di   una
collaborazione con la giustizia ex art. 4-bis  comma  1-bis  o.p.  in
relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione. 
    Sul punto va evidenziato che se con una prima  ordinanza  del  24
maggio 2017 il Tribunale di sorveglianza di Venezia  aveva  rigettato
l'istanza  di  collaborazione  impossibile  in  relazione  al   reato
associativo evidenziando che, nonostante  la  posizione  verticistica
ricoperta in seno al clan, C. aveva sempre minimizzato il suo  ruolo,
non fornendo indicazioni sulle sue conoscenze del traffico  di  droga
svolto dal gruppo in Campania e degli appartenenti al ... in contatto
con lui,  con  la  successiva  ordinanza  del  19  febbraio  2020  il
Tribunale di sorveglianza Venezia dato atto  che  il  C.  aveva  gia'
espiato  la  porzione  di  pena  riferibile  al  reato   associativo,
riconosceva la collaborazione: impossibile con riferimento  al  reato
di sequestro di persona a scopo di estorsione la cui porzione di pena
era  ancora  in  esecuzione.  L'ordinanza  in  parola   e'   divenuta
definitiva in data 3 dicembre  2020  a  seguito  di  declaratoria  di
inammissibilita' del ricorso per cassazione presentato dalla  Procura
generale presso la Corte  d'appello  di  Venezia  che  sosteneva  non
esservi interesse alla decisione in seguito alla sentenza n. 253/2020
della Corte  costituzionale.  Piu'  precisamente,  con  ordinanza  n.
17496/2020 la  Corte  di  cassazione,  dando  continuita'  alle  piu'
recenti pronunce di legittimita', ha evidenziato che la  sentenza  n.
253/2020 della Corte  costituzionale,  introducendo  una  presunzione
relativa  di  pericolosita'  e  regole  probatorie   finalizzate   ad
escludere non solo la attualita' di collegamenti con la  criminalita'
organizzata  ma  anche  il  pericolo  di   ripristino   di   siffatti
collegamenti, «non riguarda le disposizioni in tema di collaborazione
impossibile  che  restano  vigenti  nella   loro   distinta   portata
precettiva, sia in ragione della  diversita'  parziale  delle  regole
dimostrative della assenza di pericolosita',  sia  in  ragione  della
differenza ontologica che riveste l'accertamento  in  positivo  della
impossibilita' della collaborazione». 
    Secondo l'orientamento che appare ormai consolidato della suprema
Corte di cassazione, sposato anche nel caso di specie e  da  ritenere
per questo Magistrato «diritto vivente», si giustificano  due  regimi
di valutazione della pericolosita' dei condannati per reati  ex  art.
4-bis o.p. che non abbiano collaborato con la giustizia. 
    A fronte  della  possibilita'  generale  introdotta  dalla  Corte
costituzionale per il condannato ex art. 4-bis o.p.  di  accedere  al
permesso premio previa verifica della assenza di collegamenti con  la
criminalita'  organizzata  e  del  pericolo  di  ripristino,  per   i
collaboranti «impossibili» o «inesigibili» il Magistrato si  dovrebbe
limitare a valutare la sola sussistenza di rapporti  attuali  con  il
contesto malavitoso come prescritto  dall'art.  4-bis,  comma  1-bis,
o.p., senza estendere  la  verifica  all'aspetto  prognostico  tipico
della valutazione di pericolosita', ossia alla verifica del  pericolo
di ripristino di collegamenti con la  criminalita'  organizzata  come
invece previsto dall'art. 4-bis, comma 1, o.p. per  tutti  gli  altri
condannati che non abbiano collaborato con la giustizia  (motivo  per
il   quale   persisterebbe   l'interesse    all'accertamento    della
collaborazione impossibile o inesigibile, come  affermato  del  resto
proprio nel caso in esame). 
    Questo Magistrato ritiene che l'art. 4-bis,  comma  1-bis,  o.p.,
interpretato nel senso che - anche  dopo  la  pronuncia  della  Corte
costituzionale n. 253 del 2019 - sia  consentito  ai  condannati  non
collaboranti  di   accedere   alla   collaborazione   impossibile   o
inesigibile  per  vedere  valutati   i   permessi   premio   con   il
diversificato regime di valutazione della pericolosita',  si  traduca
in una norma penale irragionevole e pertanto contrastante con  l'art.
3 della Costituzione; 
    Ma   prima   ancora,   questo   Magistrato   ritiene    che    la
differenziazione del regime di valutazione  della  pericolosita'  nei
casi di  collaborazione  impossibile  o  inesigibile,  rispetto  alle
ipotesi riguardanti condannati non collaboranti,  nei  termini  sopra
esposti (3) , sia  irragionevole  per  entrambe  le  categorie  e  si
risolva in lettura  non  costituzionalmente  orientata  del  disposto
introdotto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 253  del  2019.
Ne deriva, peraltro, una irragionevole limitazione per il giudice  di
sorveglianza,   impossibilitato   ad   effettuare   una   valutazione
individualizzata  e  concreta   della   pericolosita'   del   singolo
condannato che, per qualsiasi voglia ragione, non  collabori  con  la
giustizia. Infatti, si ritiene che  la  valutazione  giurisdizionale,
per essere conforme al noto principio  di  individualizzazione  della
fase esecutiva della pena (art. 27, comma  3,  Cost.),  debba  essere
parametrata  anche  all'effettivo  spessore  criminale  del   singolo
detenuto.  Discostandosi  da  questi   principi,   l'attuale   regime
introdotto dal diritto vivente e  come  esplicitato,  tra  le  altre,
nella sentenza della Corte di cassazione n. 5553 del 2020 differenzia
tra: 
        detenuti per cui sussista un margine di utile  collaborazione
con la giustizia, in relazione  ai  quali  si  richiedono  rafforzati
oneri di allegazione e di prova correlati all'«assenza di un pericolo
di ripristino di collegamenti» che viene interpretato come  requisito
autonomo e aggiuntivo rispetto a quello dell'«assenza di collegamenti
attuali con la criminalita' organizzata» di cui all'art. 4-bis, comma
1-bis o.p., peraltro di difficile concretizzazione  pratica:  «...li'
dove vi sia l'opzione del silenzio la dimostrazione probatoria  e'  -
come si e' notato - piu' complessa ed include il parametro aggiuntivo
(sia pure di problematica aderenza a  canoni  epistemiologici  basati
sulla materialita'  dell'oggetto  della  prova),  della  assenza  del
pericolo di ripristino di  tali  collegamenti»  (cosi'  la  Corte  di
legittimita' nella sentenza citata); 
        detenuti  che,  pur  silenti,  abbiano  visto  accertata   la
impossibilita' o inesigibilita' della collaborazione in relazione  ai
quali si ritiene sufficiente la prova dell'«assenza  di  collegamenti
attuali  con  la  criminalita'  organizzata»  (senza  necessita'   di
valutare il pericolo di ripristino dei  collegamenti  e  senza  tener
conto dell'effettivo  spessore  criminale  rivestito  dal  condannato
nonche' dell'atteggiamento soggettivo manifestato). 
    Di   seguito,   pertanto,   verranno   illustrati   i    passaggi
argomentativi che conducono a ritenere rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimita' dell'art. 4-bis, comma  1-bis,
o.p. cosi' come interpretato dall'orientamento prevalente della Corte
di cassazione, per contrasto con gli articoli 3 e 27, comma 3, Cost. 
La genesi della collaborazione c.d. impossibile. 
    Come e' noto,  l'art.  4-bis,  comma  1,  o.p.,  come  modificato
dall'art. 15 del decreto-legge n. 306 del 1992, prevede come  regola,
per i condannati di reati di criminalita' organizzata, che  l'accesso
ai benefici penitenziari (tra i  quali,  fino  alla  pronuncia  della
Corte costituzionale, anche i permessi premio)  sia  condizionato  al
fatto che il condannato abbia collaborato attivamente con l'autorita'
giudiziaria a norma dell'art. 58-ter o.p. 
    La norma pone una preclusione assoluta nel  presupposto  che  «e'
solo  la  scelta  collaborativa  ad  esprimere  con  certezza  quella
volonta' di emenda che l'intero ordinamento  penale  deve  tendere  a
realizzare». 
    L'art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. consente, peraltro, l'accesso  ai
benefici nelle ipotesi di collaborazione inesigibile per la  limitata
partecipazione del condannato al fatto criminoso e di  collaborazione
impossibile per l'integrale accertamento dei fatti, sempre che  venga
accertata l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata. 
    Con la citata disposizione normativa, il legislatore ha  recepito
le indicazioni del Giudice delle  leggi  fornite  dalle  sentenze  1°
marzo 1995, n. 68 e 27 luglio 1994, n. 357 con cui si  e'  dichiarata
la illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis o.p. nella parte  in
cui non consentiva al condannato di accedere ai benefici penitenziari
nelle ipotesi in cui non vi fosse margine per un'utile collaborazione
con la giustizia. Tale evenienza, in particolare, si  verifica  nelle
ipotesi in cui la  sentenza  di  merito  abbia  garantito  una  piena
ricostruzione fattuale della vicenda criminosa oppure nei casi in cui
il  patrimonio  conoscitivo  del  condannato  non  gli  consenta   di
collaborare. 
    La  ratio  della  disposizione,  ben  manifestata  nella   stessa
sentenza n. 68/1995 della Corte costituzionale, e' quella di  evitare
di frustrare inutilmente  il  precetto  sancito  dall'art.  27  della
Costituzione richiedendo  come  presupposto,  per  l'applicazione  di
istituti   funzionali   alla   rieducazione   del   condannato,    un
comportamento  che  obiettivamente  non  puo'  essere  prestato   (ad
impossibilia nemo tenetur). 
    In queste ipotesi, peraltro,  la  concessione  del  beneficio  e'
subordinata alla acquisizione, da parte del Giudice  investito  della
richiesta  dell'istituto  premiale,  di  elementi  indicativi   della
assenza di un collegamento con la criminalita' organizzata sulla base
di una presunzione di permanenza della pericolosita'; ne consegue  un
meccanismo di inversione  dell'onere  della  prova  che  richiede  al
detenuto, in caso di informazioni di polizia che non diano  conto  di
elementi positivi di distacco dall'ambiente criminale di provenienza,
di dimostrare la insussistenza di collegamenti  con  la  criminalita'
organizzata. 
Gli orientamenti post sentenza n. 253 del 2019. 
    Com'e' noto, con sentenza n. 253 del 2019 la Corte costituzionale
ha dichiarato che il sistema delineato dagli articoli 4-bis, comma 1,
e 58-ter o.p. e' costituzionalmente illegittimo nella parte in cui si
non prevede che, ai detenuti per i delitti commessi avvalendosi delle
condizioni previste dall'art. 416-bis codice penale ovvero al fine di
agevolare l'attivita' delle associazioni in  esso  previste,  possano
essere concessi permessi premio anche in  assenza  di  collaborazione
con la giustizia, allorche' siano stati acquisiti  elementi  tali  da
escludere  sia  l'attualita'  di  collegamenti  con  la  criminalita'
organizzata sia il pericolo del ripristino di tali legami malavitosi.
Ne deriva che la condanna per  taluno  dei  reati  contemplati  dalla
citata  disposizione  dell'ordinamento  penitenziario   consente   di
fondare una mera presunzione relativa, di tal  che  il  Giudice  puo'
considerare altri elementi rilevanti, in concreto, per la concessione
dei permessi premio. 
    Mentre l'ammissione al lavoro all'esterno e l'accesso alle misure
alternative alla  detenzione  e'  possibile  solo  se  il  condannato
collabori  utilmente  con  la  giustizia   (salve   le   ipotesi   di
collaborazione impossibile o inesigibile quali eccezioni alla  regola
generale), con riferimento ai permessi premio la regola generale  e',
oggi,  quella  per  cui  l'accesso  ai  medesimi  e'   consentito   a
prescindere  dal  fatto  che  vi   sia   stato   accertamento   della
collaborazione attiva, ferma restando la necessita' di una verifica .
della assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata  e  del
pericolo del loro ripristino. 
    Quanto alla problematica  della  sopravvivenza  della  disciplina
della collaborazione impossibile o irrilevante, di cui al comma 1-bis
dell'art. 4-bis  o.p.,  a  seguito  della  richiamata  pronuncia  del
Giudice delle leggi, l'ormai consolidato indirizzo  giurisprudenziale
della Corte di cassazione ritiene che le disposizioni in  materia  di
collaborazione impossibile continuano comunque ad applicarsi «sia  in
ragione della diversita' parziale  delle  regole  dimostrative  della
assenza  di  pericolosita',  sia  in  ragione  di   una   percepibile
differenza ontologica tra le ipotesi dei collaboranti che scelgono di
non collaborare (comma 1) e  coloro  che  invece  non  possono  farlo
(comma 1-bis)» (Cass., sez. I, 28  gennaio  2020,  n.  5553,  Grasso;
cfr., nello stesso senso, Cassazione, sez. I, 24 settembre  2020,  n.
31025, Vigerelli; Cassazione, sez. I, 14 settembre  2020,  n.  31017,
Rotondale;  Cassazione,  sez.  I,  14  settembre  2020,   n.   29151,
Maccarrone). 
    A fronte  della  regola  generale  per  cui  il  condannato  puo'
accedere  ai  permessi  premio  previa  verifica  della  assenza   di
collegamenti attuali e  del  pericolo  di  ripristino,  la  Corte  di
legittimita' ritiene giustificato l'interesse del detenuto a ottenere
l'accertamento della  collaborazione  impossibile  in  ragione  della
«diversita'  parziale  delle  regole  dimostrative  dell'assenza   di
pericolosita'».     Infatti,     nel     caso     di     accertamento
dell'inesigibilita'/impossibilita'    della    collaborazione,     il
condannato puo' beneficiare di un'attenuazione  del  rigore  previsto
sia per l'oggetto della prova (assenza di collegamenti attuali  senza
necessita' di vagliare il pericolo di ripristino), sia per il  regime
probatorio (rafforzato nel caso dell'art. 4-bis,  comma  1,  o.p.  in
quanto esteso all'onere di fornire veri e propri elementi di prova  a
sostegno dell'assenza di collegamenti e pericolo di ripristino, se le
informazioni pervenute dal comitato provinciale  per  l'ordine  e  la
sicurezza pubblica depongano in senso negativo). 
    Il tutto a fronte  di  «una  percepibile  differenza  ontologica,
posto  che  l'accertamento  in  positivo   della   impossibilita'   o
inesigibilita'  della  collaborazione  consente  di  qualificare   in
termini univoci la scelta del detenuto di  non  fornire  informazioni
all'autorita' giudiziaria» (Cass. 10551/2020). Si dice: un  conto  e'
la posizione di «chi puo' collaborare ma  soggettivamente  non  vuole
(silente per sua scelta), un conto  e'  la  posizione  di  chi  vuole
collaborare ma oggettivamente non puo' (silente suo malgrado)». 
Sulla  non  manifesta  infondatezza   dei   dubbi   di   legittimita'
costituzionale della disposizione normativa in esame dopo la sentenza
n. 253 del 2019 (4) 
    Come sopra  evidenziato,  la  Corte  di  cassazione,  dichiarando
inammissibile il ricorso proposto dalla Procura  generale  presso  la
Corte  d'appello  di  Venezia,  ha  imposto  a  questo   Giudice   di
interpretare l'art. 4-bis o.p., cosi' come rivisto  alla  luce  della
sentenza n. 253 del 2019, nel senso di dare continuita' alla  portata
precettava della collaborazione impossibile e di applicare il  regime
probatorio «rafforzato» di cui al primo comma dell'art. 4-bis o.p. ai
soli condannati che, pur potendo collaborare, scelgono di non farlo. 
    Tale conclusione  non  pare  ragionevole  in  quanto,  come  gia'
evidenziato, non si ravvede una base argomentativa razionale per  una
differenziazione nella valutazione della pericolosita' e  quindi  per
escludere un regime probatorio unitario che consenta al magistrato di
sorveglianza una individualizzazione del vaglio di pericolosita'  sia
con riferimento ai condannati per reati di cui  all'art.  4-bis  o.p.
non collaboranti sia con riguardo  ai  condannati  appartenenti  alla
categoria dei collaboranti c.d. «impossibili» o «inesigibili». 
    Occorre   evidenziare,   infatti,   che   l'accertamento    della
collaborazione impossibile nulla esprime in merito  all'atteggiamento
soggettivo del singolo condannato (effettiva volonta' di collaborare,
da  escludersi  nel  caso  di  condannato  non  resipiscente  e   non
penitente, come nel caso in esame) e, piu' in generale, al profilo di
pericolosita' concreta  del  singolo  condannato  in  relazione  alla
posizione   apicale   o   marginale   rivestita   all'interno   della
organizzazione  criminale  (si  veda,  in  questi  termini,  la  gia'
richiamata Cassazione, sez. I, 23  gennaio  2017,  n.  3263).  Ed  e'
proprio per tale ragione che non vi e' alcuna ragione  per  escludere
il «collaboratore impossibile» (in particolare quello che continui  a
tenere  un  atteggiamento  non  penitente  e  che   abbia   rivestito
nell'organizzazione criminale un ruolo  apicale,  come  nel  caso  in
esame) dal meccanismo probatorio delineato dalla Corte costituzionale
per quanti mantengano il silenzio c.d. qualificato, interpretato  nel
senso che si andra' ad evidenziare. 
    Se e' ragionevole ipotizzare una presunzione di collegamento  con
la  criminalita'  organizzata  nei  confronti  di  chi,  pur  potendo
parlare, tace non  e'  altrettanto  ragionevole  ritenere  escluso  o
affievolito siffatto collegamento per il solo fatto che l'interessato
sia  stato  destinatario  di  una  sentenza  che   abbia   consentito
l'integrale accertamento dei fatti di reato posti a fondamento  della
pronuncia di condanna passata in giudicato. Cio', si ribadisce,  vale
a maggior ragione per quelle ipotesi in cui il condannato  non  abbia
mai collaborato con la giustizia ed abbia, al contempo, dimostrato la
volonta' di non collaborare (come nel caso di negazione dei fatti  di
reato). 
    In   conclusione,   l'argomentazione   su   cui   si   fonda   la
differenziazione del regime della  pericolosita'  «l'accertamento  in
positivo della impossibilita' o inesigibilita'  della  collaborazione
consente di qualificare in termini univoci la scelta del detenuto  di
non fornire informazioni all'autorita' giudiziaria» non ha fondamento
se si considera che, come  gia'  evidenziato,  rimane  estraneo  alla
verifica dell'accertamento della  collaborazione  impossibile  (oltre
che inesigibile) qualsivoglia verifica sull'atteggiamento  soggettivo
del detenuto e, in particolare, sulla  circostanza  che  egli  voglia
effettivamente  collaborare,  rilevando  unicamente  il   solo   dato
oggettivo  dell'impossibilita'  della  collaborazione.   Anzi,   puo'
capitare che l'atteggiamento soggettivo delle due diverse  figure  di
non collaboranti sia identico, perche' anche chi si vede accertata la
collaborazione impossibile puo' non voler collaborare (come nel  caso
di specie). 
    Ed invero, appare piu' corretto l'orientamento di alcune sentenze
che evidenziano come, in questi casi, il  silenzio  sia  neutro,  nel
senso  che  non  e'  dato  sapere  se  il  detenuto  voglia  o   meno
collaborare. 
    E, allora, se e' possibile che il detenuto abbia la  volonta'  di
collaborare ma non sia in grado  di  farlo  perche'  la  sentenza  ha
operato  una  completa  ricostruzione  della  vicenda  criminosa   o,
comunque,  il  suo  patrimonio  di  conoscenze  e'  limitato,  appare
altrettanto possibile che egli non abbia  mai  voluto  collaborare  e
continui a non volerlo fare. 
    L'orientamento  in   esame,   dunque,   porterebbe   a   valutare
diversamente, sotto il profilo della  pericolosita',  due  situazioni
affini rappresentate da detenuti che  -  pure  portatori  di  analoga
caratura criminale - mai hanno espresso la volonta'  di  collaborare.
Non e'  da  escludere,  infatti,  che  un  detenuto  di  elevatissima
caratura criminale che non abbia  mai  espresso  alcuna  volonta'  di
collaborare possa vedersi riconosciuta la collaborazione impossibile,
a differenza di un condannato di spessore criminale piu' modesto. 
    Per  contro,  una  valutazione  in  concreto  potrebbe   rivelare
addirittura una minore pericolosita' del soggetto che sceglie di  non
collaborare pur potendolo fare (ad esempio perche' mosso  dai  timori
per la propria e l'altrui incolumita'),  rispetto  a  quello  che  si
trova nell'impossibilita' di farlo ma che  non  lo  avrebbe  comunque
fatto (perche' si e' sempre  rifiutato  di  farlo  senza  manifestare
alcun atteggiamento di  distacco  da  logiche  associative  e  magari
rivestendo all'interno dell'associazione criminosa un ruolo apicale). 
    In  definitiva,  non  pare  giustificarsi   l'instaurazione   del
procedimento volto all'accertamento della collaborazione  impossibile
o inesigibile finalizzato, ora  e  per  quanto  riguarda  i  permessi
premio, ad una valutazione processualmente  differenziata  -  e,  nei
termini esposti piu' favorevole - dell'elemento  della  pericolosita'
criminale del singolo. 
    L'illustrato regime  differenziato  contrasta,  inoltre,  con  il
principio  di  individualizzazione   della   risposta   sanzionatoria
previsto dal terzo comma dell'art. 27 Cost., che deve accompagnare il
detenuto anche durante la fase di esecuzione della condanna  divenuta
oramai definitiva. In questo senso, e' necessario che le  valutazioni
esprimibili dalla magistratura di  sorveglianza  siano  in  grado  di
valorizzare  le  specificita'  di  ogni   singolo   detenuto,   senza
aprioristici ed astratti automatismi normativi. Invero, gia' il primo
comma dell'art. 13 o.p. stabilisce che «Il trattamento  penitenziario
deve rispondere ai particolari bisogni della personalita' di  ciascun
soggetto», con cio' esprimendo  la  necessita'  di  valorizzare  ogni
elemento della struttura personologica del condannato  e  consentendo
(anche) ai  magistrati  di  sorveglianza  di  adeguare  gli  istituti
predisposti dall'ordinamento penitenziario alle  specifiche  esigenze
trattamentali dei singoli condannati. 
    Per  tali  ragioni,  si   ritiene   l'eliminazione   del   regime
differenziato imposto dal diritto vivente restituira'  al  magistrato
di sorveglianza, nei confronti di tutti i  condannati  per  reati  ex
art. 4-bis, comma 1, o.p. che intendano  accedere  al  beneficio  del
permesso  premio,   il   potere   di   effettuare   una   valutazione
individualizzata   della   personalita',   e   quindi   anche   della
pericolosita', del singolo detenuto istante. 
Soluzione alternativa rinvenibile nel sistema e  impraticabilita'  di
una interpretazione conforme. 
    Ritiene il Magistrato che sia possibile rinvenire nel sistema una
soluzione alternativa rispettosa dei  parametri  della  costituzione,
come peraltro evidenziato da autorevole dottrina. 
    Avuto riguardo al gia' descritto scopo della disciplina contenuta
nel comma  1-bis  dell'art.  4-bis  o.p.  (contenere  le  ipotesi  di
presunzione  assoluta  di  pericolosita'  sociale   in   assenza   di
collaborazione  utile),  e'  ragionevole  ritenere   che   la   Corte
costituzionale, con la sentenza n.  253,  abbia  inteso  estendere  a
tutte le ipotesi di condannati non collaboranti il regime  probatorio
in  precedenza  esistente  nel  nostro   ordinamento,   senza   voler
introdurre - come invece sostiene il  piu'  recente  indirizzo  della
giurisprudenza di legittimita' - una pluralita' di  regimi  probatori
volti alla dimostrazione della sopravvenuta recisione dei legami  con
gli ambienti associativi di appartenenza, con conseguente abrogazione
implicita in parte qua delle disposizioni in tema  di  collaborazione
impossibile o inesigibile (che restano vigenti e continuano ad  avere
una portata percettiva originaria con riferimento ai benefici diversi
dal permesso premio). 
    A   ben   vedere,   dalle   stesse   motivazioni   della    Corte
costituzionale, si ricava che per la concessione dei permessi  premio
ai  condannati  non  collaboranti  viene   ripristinato   il   regime
probatorio originariamente formulato nel  decreto-legge  n.  152  del
1991: «...  prima  dell'introduzione  del  decisivo  requisito  della
collaborazione con la giustizia, l'art. 1 del  decreto-legge  n.  152
del 1991, come convertito, gia' stabiliva, per i reati  della  "prima
fascia" (comprendenti l'associazione  di  tipo  mafioso,  i  relativi
"delitti-satellite", il sequestro di persona a scopo di estorsione  e
l'associazione finalizzata al narcotraffico), che l'accesso a  taluni
benefici previsti dall'ordinamento penitenziario fosse possibile alla
stregua di un parametro  probatorio  particolarmente  elevato,  cioe'
solo  se  fossero  stati  acquisiti  "elementi  tali   da   escludere
l'attualita'  di  collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata  o
eversiva"; [...]  In  tale  contesto,  l'acquisizione  di  stringenti
informazioni in merito all'eventuale attualita' di  collegamenti  con
la  criminalita'  organizzata  (a  partire  da   quelli   di   natura
economico-patrimoniale)  non  solo  e'  criterio   gia'   rinvenibile
nell'ordinamento (sentenze n. 40 del 2019 e n. 222 del  2018)  -  nel
caso di specie, nella stessa disposizione  di  cui  e'  questione  di
legittimita' costituzionale (sentenza  n.  236  del  2016)  -  ma  e'
soprattutto criterio costituzionalmente necessario (sentenza  n.  242
del 2019)  per  sostituire  in  parte  qua  la  presunzione  assoluta
caducata,   alla   stregua   dell'esigenza   di   prevenzione   della
"commissione di nuovi reati" (sentenze n. 211 del 2018 e n.  177  del
2009)  sottesa  ad  ogni  previsione  di  limiti  all'ottenimento  di
benefici penitenziari (sentenza n. 174 del 2018)». 
    La  Corte  costituzionale  evidenzia   che   l'accostamento   del
requisito dell'esclusione dell'attualita' dei rapporti (gia' previsto
nel comma 1-bis) all'ulteriore prova dell'esclusione del pericolo  di
ripristino dei collegamenti medesimi - «tenuto conto  delle  concrete
circostanze  personali  e  ambientali»  -  costituisce  un   «aspetto
logicamente collegato al precedente, del quale condivide il carattere
necessario alla luce della Costituzione, al fine di  evitare  che  il
gia' richiamato interesse alla prevenzione della commissione di nuovi
reati, tutelato dallo stesso art. 4-bis ordin.  penit.,  finisca  per
essere vanificato». Come pure osservato  da  una  certa  parte  della
dottrina, la valutazione circa l'assenza del pericolo  di  ripristino
dei collegamenti potrebbe essere letto come la concreta declinazione,
per gli autori di reati della criminalita' organizzata, del requisito
dell'assenza  di  pericolosita'  sociale,  da  valutare  -  in  senso
prognostico  e  probabilistico  -  ai  fini  della  concessione   del
beneficio di cui all'art. 30-ter o.p. 
    Secondo  tali  argomentazioni,   l'assenza   del   pericolo   del
ripristino  era  requisito  gia'   valutabile   dal   magistrato   di
sorveglianza che si trovava a valutare la concedibilita' del permesso
ai  sensi  del  comma  1-bis  dell'art.  4-bis  o.p.,  anche  per  la
considerazione logica per cui, rispetto a un condannato per reati  di
criminalita' organizzata di stampo mafioso  che  abbia  trascorso  un
significativo  periodo  di   detenzione   carceraria,   il   problema
principale che si pone, piu' che  quello  relativo  alla  sussistenza
attuale di collegamenti con la  criminalita'  organizzata  spesso  da
escludere soprattutto nei casi di condannati non sottoposti a  regime
ex art. 41-bis op, e' proprio quello del pericolo di  ripristino  dei
collegamenti. 
    Questo Magistrato ritiene che la sentenza n. 253 del  2019  della
Corte costituzionale dovrebbe essere  intesa  nel  senso  di  rendere
applicabili le regole dimostrative della assenza di pericolosita'  di
cui al comma 1-bis a  tutti  i  condannati  non  collaboranti,  senza
distinzione  tra  condannati  che  scelgono  di  non  collaborare   e
condannati che non possono collaborare, con  effetto  abrogativo  del
disposto  dell'art.  4-bis,  comma  1-bis  nella  parte  relativa  ai
permessi premio. 
    L'interpretazione offerta  e'  stata  seguita  da  un  primissimo
orientamento della Corte di cassazione che affermava come, a  seguito
della  sentenza  della  Corte  costituzionale   doveva   negarsi   la
persistenza  dell'interesse   alla   collaborazione   impossibile   o
inesigibile poiche' il presupposto della collaborazione impossibile o
inesigibile era stato  introdotto  nell'ordinamento  quale  sorta  di
contraltare alla collaborazione effettiva con la giustizia  nei  casi
in cui la stessa non fosse  utilmente  praticabile:  «...  Una  volta
venuta meno l'assoluta necessita' della sussistenza  di  quest'ultima
per poter accedere al permesso premio viene a perdere giustificazione
anche la prima» (sentenza n. 3309 del 2020,  ric.  Spampinato;  nello
stesso senso: Cassazione, sez. I, 13 dicembre 2019, n. 1636, Marrone;
Cassazione, sez. I, 10 dicembre 2019, n. 7931, Triglia). 
    Tuttavia, tale  soluzione  e'  stata  superata  dall'orientamento
contrario della perdurante vigenza di  un  regime  differenziato  tra
comma 1 e comma 1-bis dell'art.  4-bis  o.p.  adottato  da  tutte  le
successive sentenze della Corte di  cassazione  sino  a  divenire  un
orientamento oramai stabilizzato. 
    Si richiamano sul punto le sentenze  della  Corte  di  cassazione
sez. V, 22 ottobre 2020, (ud.  22  ottobre  2020,  dep.  21  dicembre
2020), n. 36887, Cassazione  sez.  I,  24  settembre  2020,  (ud.  24
settembre 2020, dep. 6 novembre 2020), n. 31025, Cassazione  sez.  I,
22 giugno 2020, (ud. 22 gigno 2020, dep. 21 ottobre 2020), n. 29140 e
n. 29141, Cassazione sez. I, 24 settembre  2020,  (ud.  24  settembre
2020, dep. 21 ottobre 2020), n. 29151, Cassazione sez. I, 12 dicembre
2019, (ud. 12 dicembre 2019, dep. 23 marzo 2020), n. 10551 Cass. sez.
I, 28 gennaio 2020, (ud. 28 gennaio 2020, dep. 12 febbraio 2020),  n.
5553, tutte concordi nel ritenere che «il dictum della Consulta abbia
eliminato il procedimento di accertamento ex art. 4-bis, comma  1-bis
ord. pen. anche  in  relazione  alla  materia  dei  permessi  premio,
osservandosi come il novum portato dalla decisione costituzionale sia
quello di aver introdotto una opzione decisoria aggiuntiva,  rispetto
a quelle gia'  esistenti,  e  che  il  condannato  puo'  chiedere  di
attivare». In tal senso «la decisione della Corte costituzionale  non
riguarda ... le disposizioni in terna di collaborazione impossibile o
inesigibile  (tenute  espressamente  al  di  fuori  dell'oggetto  del
giudizio)...». 
    In   tale   quadro   giurisprudenziale,    univoco    e    solido
nell'interpretazione del dettato dell'art. 4-bis  o.p.  come  esitato
dalla pronuncia della Corte costituzionale n.  253/2019,  non  appare
praticabile una diversa interpretazione che consenta  di  superare  i
dubbi di legittimita' costituzionale gia' evidenziati. 
    Inoltre,  nel  caso  di  specie,  ogni   opzione   interpretativa
alternativa e' preclusa dal fatto  che  tale  orientamento  e'  stato
recepito dalla Corte di cassazione con  l'ordinanza  del  3  dicembre
2020  che  si  e'  espressa  nel  presente  procedimento  dichiarando
espressamente l'inammissibilita' del reclamo della  Procura  generale
che aveva sostenuto l'orientamento contrario citato. 
    Per le esposte motivazioni e  data  l'impossibilita'  di  fornire
un'interpretazione conforme al dato  costituzionale  dell'art.  4-bis
o.p. per come interpretato dalla suprema Corte di  cassazione  (anche
nel caso de quo), questo Giudice ritiene di sollevare la questione di
legittimita' costituzionale con riferimento agli  articoli  3  e  27,
comma 3  della  Costituzione  nella  parte  in  cui,  ai  fini  della
concessione  del  permesso  premio,  richiede  un   doppio   binario,
diversificando  la  posizione  di  chi  esprima  la  scelta  di   non
collaborare rispetto a colui che si trovi  nella  condizione  di  non
poterlo fare. 
Sulla rilevanza della questione. 
    Gli esposti dubbi di legittimita' costituzionale  manifestano  la
loro   rilevanza   nel   caso   di   specie   posto   che,    secondo
l'interpretazione accolta  dalla  Corte  di  cassazione  in  sede  di
dichiarazione di inammissibilita' del ricorso avanzato dalla  Procura
generale,  questo  Magistrato,  investito  dell'istanza  di  permesso
premio da parte del sig. C., condannato per  reati  di  cui  all'art.
4-bis, comma 1, o.p., dovrebbe limitarsi, a fronte  dell'accertamento
della   collaborazione   impossibile   operata   dal   Tribunale   di
sorveglianza di Venezia, a valutare la  sussistenza  di  collegamenti
attuali tra  l'istante  e  la  criminalita'  organizzata  secondo  il
diverso, e piu' favorevole regime delineato  dall'art.  4-bis,  comma
1-bis o.p. Tale conclusione esprime la  propria  irragionevolezza  se
raffrontata con l'opera valutativi che il Giudice di sorveglianza  e'
chiamato ad effettuare - a seguito della sentenza  costituzionale  n.
253  del  2019  -  nei  confronti  della  restante  generalita'   dei
condannati non collaboranti ex art. 4-bis, comma 1 o.p., in relazione
ai quali l'accesso ai permessi premio e' subordinato  non  solo  alla
verifica  dell'assenza  di  collegamenti  attuali  con   il   crimine
organizzato ma anche della mancanza di un pericolo di ripristino  dei
collegamenti stessi. 
    Tale conclusione si impone nel caso di specie in quanto  il  sig.
C., esponente di vertice dell'associazione  camorristica  insediatasi
nel padovano, avendo espiato la  quota  parte  di  pena  relativa  ai
restanti delitti, ha  ottenuto  l'accertamento  della  collaborazione
impossibile  limitatamente  al  delitto  di  sequestro  a  scopo   di
estorsione posto in essere ai danni di B. M. e del figlio A. Trattasi
di reato realizzato nell'ambito delle attivita' illecite  del  gruppo
malavitoso in relazione al quale la  sentenza  della  Corte  d'assise
appello di Venezia del 21 febbraio 2014 ha  accertato  compiutamente,
senza lasciare elementi insoluti, la specifica vicenda criminosa. 
    Quanto all'atteggiamento del C. in merito alla  sua  appartenenza
al gruppo di stampo mafioso,  egli  continua  a  minimizzare  il  suo
ruolo,  non  fornendo  indicazioni  utili  in  relazione   alle   sue
conoscenze  in  merito  al  traffico  di  droga  svolto  dal   gruppo
camorristico in Campania e all'individuazione degli  appartenenti  al
... che si sono posti in contatto con lui. 
    Tanto esposto, questo Giudice ritiene che l'interpretazione della
Corte  di  cassazione  volta  ad  introdurre  un  regime   probatorio
differenziato sia ancor piu' irragionevole in  quelle  ipotesi,  come
quelle del caso in  esame,  in  cui  risultano  in  espiazione  reati
caratterizzati dalla stessa eguale connotazione ostativa e in cui  si
giustificherebbe il medesimo vaglio della sussistenza di un  pericolo
di ripristino di collegamenti con la criminalita' organizzata. 
    L'interpretazione del dato normativo offerta dalla suprema  Corte
di cassazione nell'odierno procedimento difetta,  in  definitiva,  di
eccessiva astrattezza e finisce per creare automatismi e  presunzioni
processuali che, in materia di permessi premio ex art.  30-ter  o.p.,
sono stati abbandonati dalla  Corte  costituzionale  proprio  con  la
citata sentenza n. 253 del 2019. 
    Tanto esposto, infine, pare opportuno sottolineare che  l'odierna
questione di legittimita' e' volta solo apparentemente  a  richiedere
una pronuncia in malam partem -  in  ogni  caso  ammissibile  secondo
l'insegnamento della Corte costituzionale da ultimo ribadito  con  la
sentenza  n.  236  del  2018  -  nei  confronti  dei  condannati  non
collaboranti. Difatti, questo Giudice ritiene che il venir  meno  del
regime  differenziato  della  valutazione  della  pericolosita'   ora
legittimato  dall'art.  4-bis  comma  1-bis  o.p.,   restituira'   al
magistrato di sorveglianza, nei confronti di tutti i  condannati  per
reati ex art. 4-bis, comma 1, o.p. che intendano accedere al permesso
premio,  il  potere  di  effettuare  una   valutazione   omogenea   e
individualizzata della pericolosita' del  detenuto  non  collaborante
(suo malgrado o comunque renitente), con la possibilita' di  indagare
anche le ragioni che hanno indotto lo stesso a scegliere il  silenzio
e  con  un  metro  di  giudizio  unitario,  utilizzando  un   sistema
valutativo non meno rispetto  a  quello  preesistente,  risalente  al
decreto-legge n. 152 del 1991 e che potra' intendersi operante  anche
per i condannati che non abbiano vista  accertata  la  collaborazione
impossibile. Si  sottolinea  in  questo  senso  che  la  riconosciuta
costituzionalita' del regime unitario consentirebbe  una  valutazione
individualizzata  volta  anche  perimetrare  la   vigente   «probatio
diabolica» («di problematica aderenza a canoni epistemologici  basati
sulla materialita' dell'oggetto della prova» cfr. Cassazione, sez.  I
pen, 28 gennaio 2020, n. 5553) richiesta ai fini della  dimostrazione
dell'assenza del pericolo  di  ripristino  dei  collegamenti  con  la
criminalita' organizzata, cosi' come attualmente  interpretato  dalla
suprema  Corte  di  cassazione  con  riferimento  ai  condannati  non
collaboranti ex art. 4-bis, comma 1 o.p. 
 
__________ 

(1) Reato per il quale, come  si  andra'  ad  evidenziare,  ha  visto
    accertata la impossibilita' della collaborazione ex  art.  4-bis,
    comma 1-bis o.p. 

(2) Reato per il quale, come  si  andra'  ad  evidenziare,  ha  visto
    rigettata la richiesta di accertamento della impossibilita' della
    collaborazione. 

(3) Concedibilita' del permesso previa acquisizione di elementi  tali
    da escludere l'attualita' di  collegamenti  con  la  criminalita'
    organizzata,  terroristica  o  eversiva  in  deroga  alla  regola
    generale come introdotta a seguito della  pronuncia  della  Corte
    costituzionale n. 253 del 2019, che  richiede  l'acquisizione  di
    elementi tali da escludere l'attualita' di  collegamenti  con  la
    criminalita' organizzata terroristica o eversiva e il pericolo di
    ripristino degli stessi. 

(4) Ovverosia  dell'art.  4-bis,  comma  1-bis  nella  parte  in  cui
    consente  di   accedere   alla   collaborazione   impossibile   o
    inesigibile per accedere ai permessi  premio  previa  valutazione
    della «assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata» o
    comunque di accedere ai permessi premio previa valutazione  della
    «assenza  di  collegamenti  con  la  criminalita'   organizzata»,
    interpretato  il  disposto,  dopo   la   sentenza   della   Corte
    costituzionale n. 253/2019, nei termini sopra indicati.