TRIBUNALE DI ROMA 
                   II Sezione lavoro e previdenza 
 
 R.G. 2949\19 (Fathia Mohamed Hizam vs. Cosi' Per Gioco 2 S.R.L.S.) 
 
    Il Tribunale di Roma,  II  Sezione  lavoro  e  previdenza,  nella
persona del Presidente di Sezione dott. Ermanno  Cambria,  Magistrato
designato per la trattazione dell'emarginata  causa,  a  scioglimento
della  riserva  assunta  all'udienza  del  15   dicembre   2020,   ha
pronunciato la seguente ordinanza, 
 
                              Premesso 
 
    che con  ricorso  ritualmente  depositato  Fathia  Mohamed  Hizam
conveniva in giudizio la soc. Cosi' per Gioco 2  s.r.l.s.  esponendo,
in sintesi: 
        1) di aver lavorato alle dipendenze della  convenuta  dal  1°
settembre 2016 al 18 luglio 2018 con  contratto  di  lavoro  a  tempo
indeterminato, con inquadramento nel 5° livello del  c.c.n.l.  Scuole
Private Aninsei e mansioni di maestra d'inglese, inizialmente  presso
la scuola dell'infanzia  e,  dal  2016,  presso  la  scuola  primaria
gestite dalla resistente; 
        2) di aver osservato, da ultimo e dopo alcune  modifiche,  un
orario di  6  ore  settimanali,  con  ultima  retribuzione  lorda  di
riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto  pari  ad
euro 278,49; 
        3) di essere stata licenziata con lettera del 17 luglio  2018
con effetti a partire dal 18 luglio 2018 «ai sensi dell'art. 3  della
legge   n.   604/1966   per   giustificato   motivo   oggettivo    di
riorganizzazione aziendale»; 
        4)   di   aver   tempestivamente   impugnato   il    predetto
licenziamento con  lettera  raccomandata  a.r.  4-6  settembre  2018,
rimanendo a disposizione per la ripresa del servizio; 
        5) che, con lettera raccomandata  a.r.  datata  18  settembre
2018, indirizzata alla CGIL Centro Ovest Litoranea  di  via  Ostiense
164 M in Roma, spedita il  26  settembre  2018  e  recapitata  il  28
successivo,  la  resistente  comunicava  la   revoca   del   predetto
licenziamento invitandola a riprendere servizio per la  data  del  1°
ottobre 2018 alle  medesime  condizioni  contrattuali  in  precedenza
applicate; 
        5) di aver comunicato,  con  telegramma  29  settembre  2019,
nonche' con lettera raccomandata 28 settembre - 2 ottobre 2019,  alla
resistente la tardivita' della revoca anzidetta ai sensi dell'art.  5
decreto  legislativo  n.  23/2015,  revoca  da   ritenersi   pertanto
inefficace, insistendo nella impugnativa  di  licenziamento  e  nelle
rivendicazioni ivi formulate; 
        6) che i motivi addotti a fondamento del licenziamento  erano
insussistenti ed infondati, precisando che: I) il  licenziamento  era
privo di una reale motivazione giacche' faceva  generico  riferimento
ad una non  meglio  specificata  «riorganizzazione  aziendale»  senza
alcuna  verifica  di  ricollocazione  della  ricorrente   nell'ambito
dell'organizzazione aziendale, apparendo, tale motivazione, una  mera
petizione di principio priva di valore  descrittivo  in  ordine  alla
ragione del licenziamento; II) non vi era stata  alcuna  soppressione
del suo posto di lavoro poiche' la lavoratrice avrebbe potuto  essere
ricollocata   nell'ambito   dell'organizzazione    aziendale    della
resistente, anche in mansioni inferiori; III) la resistente non aveva
avuto alcun ridimensionamento aziendale  tant'e'  che,  dalla  visura
camerale della convenuta, il personale dipendente risultava invariato
dal 2016, consistente  in  7  unita';  IV)  le  classi  della  scuola
primaria, ove lavorava la ricorrente, erano aumentate nel tempo, e in
ciascuna classe era impiegata un'insegnante di inglese indicando,  in
particolare, le assunzioni di nuovo personale fra cui  insegnanti  di
inglese   risultanti   dal    sito    internet    della    resistente
www.bimbiingioco.it - V) la societa'  resistente,  nella  scelta  dei
dipendenti da licenziare, non aveva  operato  alcun  raffronto  delle
posizioni lavorative fungibili con quella della ricorrente sulla base
dei criteri posti dall'art. 5 legge n. 223/1991, mentre  quest'ultima
aveva indicato le dipendenti comparabili  con  minore  anzianita'  di
servizio e carico familiare, specificando altresi' di avere un figlio
minore a carico (Gianlorenzo Greco nato il 21 giugno 2014 a Roma); 
    che, cio' posto, ella deduceva in sintesi: 
        A) che la revoca del licenziamento era palesemente tardiva  e
inefficace  perche'  comunicata  a  un  soggetto  terzo  e  non  alla
ricorrente ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo citato; 
        B) che la disciplina  applicabile,  essendo  il  rapporto  di
lavoro sorto successivamente al 7 marzo 2015, era quella  di  cui  al
decreto legislativo 23 del 2015 e, in particolare, gli articoli 3 e 9
del medesimo decreto  con  la  precisazione  che  trattandosi,  nella
specie, di un'impresa priva dei requisiti di cui all'art. 18, comma 8
e 9, legge n.  300/1970,  in  caso  di  accoglimento  della  domanda,
l'indennizzo  sarebbe  risultato  dimezzato  e  non  avrebbe   potuto
superare le sei mensilita' dell'ultima retribuzione percepita; 
        C)  che  il  giustificato  motivo  oggettivo  era  del  tutto
insussistente sia sotto il profilo della  presunta  soppressione  del
posto di lavoro che in ordine al c.d. repêchage e comunque  anche  la
scelta  della  ricorrente  come  unita'  in  esubero  da   licenziare
risultava in contrasto coi principi di correttezza e buona fede; 
        D) che dal di' del licenziamento era  rimasta  disoccupata  e
priva di reddito; 
        E) che sulla misura  dell'indennita'  risarcitoria  sollevava
dubbi  in  ordine  alla  conformita'   costituzionale   del   sistema
sanzionatorio previsto dall'art. 9 del decreto legislativo n. 23/2015
per le «piccole imprese»; 
    che, dopo aver esposto quanto fin qui riportato, chiedeva: 
        a) accertarsi  la  non  ricorrenza  del  giustificato  motivo
oggettivo e/o la violazione del requisito di motivazione e dichiarare
risolto  il  rapporto  di  lavoro  con   effetto   dalla   data   del
licenziamento con condanna  della  resistente  al  pagamento  in  suo
favore della indennita' di cui  all'art.  9,  comma  1,  del  decreto
legislativo n. 23/2015 chiedendo peraltro  al  Giudice  di  sollevare
questione di costituzionalita'  della  predetta  norma  alla  stregua
delle previsioni di cui agli articoli 3, comma 1, 4  e  35  comma  1,
della Costituzione nonche' dell'art. 117, comma 1, della Costituzione
in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea,  risultando  la
questione  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non  manifestamente
infondata; 
    che restava contumace la societa' resistente, sebbene ritualmente
evocata in giudizio; 
    che, istruita la causa per documenti, il Giudice rilevava che  la
questione   di   costituzionalita'   proposta   era   meritevole   di
approfondimenti e invitava il difensore  a  voler  redigere  brevi  e
concise  note  riepilogative  con  riferimento  alla  non   manifesta
infondatezza  e  rilevanza  concreta  della  questione  nel  presente
giudizio; 
    che, alla luce di tali premesse, 
 
                               Osserva 
 
I) Sulla rilevanza della questione. 
    I.1)  Dagli  atti  di   causa   risulta   pienamente   dimostrata
l'esistenza del rapporto di lavoro, le modalita' essenziali  del  suo
svolgimento (mansioni, orario e retribuzione) e la sua risoluzione ad
iniziativa della resistente per giustificato motivo oggettivo. 
    Si puo' quindi affermare che tra la ricorrente e la resistente e'
intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal  1°  settembre  2016
sino al 18 luglio 2018. 
    I.2)  Il  licenziamento  intimato  alla  ricorrente  per   motivo
oggettivo e' illegittimo per il mancato assolvimento, da parte  della
resistente, dell'onere di provarne il fondamento. 
    I.3) Le conseguenze sono quelle di cui all'art. 3, comma  1,  del
decreto  legislativo  n.  23/2015  («...  nei  casi  in  cui  risulta
accertato  che  non  ricorrono  gli  estremi  del  licenziamento  per
giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo  o
giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro  alla
data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di
un'indennita'  non  assoggettata  a  contribuzione  previdenziale  di
importo pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento
per il calcolo del trattamento di fine  rapporto  per  ogni  anno  di
servizio, in misura comunque non inferiore a sei e  non  superiore  a
trentasei mensilita'») con la correzione prevista dall'art. 9,  comma
1, del medesimo decreto («Ove il datore di  lavoro  non  raggiunga  i
requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della
legge  n.  300  del  1970,  ...  l'ammontare   delle   indennita'   e
dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, ... e'  dimezzato  e  non
puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'»). 
    I.4) Riguardo all'applicabilita'  dell'art.  9  cit.,  la  stessa
ricorrente  ha  confermato  in  ricorso   l'assenza   del   requisito
occupazionale/dimensionale. 
    I.5) Nessun ostacolo all'applicazione delle previsioni  anzidette
puo' discendere dalla revoca del licenziamento sopra descritta per la
sua palese tardivita' e, quindi, inefficacia come previsto  dall'art.
5 del medesimo decreto («nell'ipotesi di  revoca  del  licenziamento,
purche'  effettuata  entro  il  termine  di  quindici  giorni   dalla
comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo,  il
rapporto  di  lavoro  si  intende  ripristinato  senza  soluzione  di
continuita', con diritto del lavoratore  alla  retribuzione  maturata
nel periodo precedente alla revoca,  e  non  trovano  applicazione  i
regimi  sanzionatori  previsti  dal  presente  decreto»)  in   quanto
l'impugnativa e' intervenuta il 4-6 settembre 2018 e la revoca il  28
settembre 2018. La revoca, inoltre, era stata comunicata  a  soggetto
terzo e non alla lavoratrice. 
    I.6) Sulla base di quanto premesso,  il  licenziamento  impugnato
dovra' essere dichiarato illegittimo e sanzionato secondo  l'art.  3,
comma 1 e 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo  2015,  n.  23,
con conseguente  applicazione  degli  articoli  3  e  9  del  decreto
legislativo n. 23/2015, trovando quindi conferma la  rilevanza  della
questione di costituzionalita'. 
II. Sulla non manifesta infondatezza. 
Il quadro normativo. 
    II.1) La tipologia di  tutela  prevista  dall'art.  9,  comma  1,
decreto legislativo n. 23/2015 riguarda i dipendenti  dei  datori  di
lavoro che non raggiungano i requisiti di cui all'art. 18,  ottavo  e
nono comma, della legge n. 300 del 1970 (ottavo comma: «  ...  datore
di lavoro, imprenditore o non imprenditore,  che  in  ciascuna  sede,
stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha  avuto
luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze  piu'  di  quindici
lavoratori o piu' di cinque se si tratta  di  imprenditore  agricolo,
nonche' al datore di lavoro, imprenditore  o  non  imprenditore,  che
nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di quindici dipendenti  e
all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa piu'
di  cinque  dipendenti,  anche   se   ciascuna   unita'   produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni  caso
al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu'
di sessanta dipendenti»). 
    Inoltre per costoro non trova attuazione l'art. 3, comma  2,  del
decreto legislativo n. 23/2015 (art. 9, comma 1, cit.)  e  quindi,  a
fronte  di  un  licenziamento  ingiustificato,   trova   applicazione
unicamente la sanzione costituita da un'indennita' risarcitoria. 
    II.2) La sentenza  n.  194/2018  della  Corte  costituzionale  ha
dichiarato  incostituzionale  l'art.  3,   comma   1,   del   decreto
legislativo  n.   23/2015   con   riferimento   alla   determinazione
dell'indennita'  spettante  al  lavoratore  ingiustamente  licenziato
ancorata  unicamente  al  criterio   dell'anzianita'   di   servizio.
Inevitabilmente, l'incostituzionalita' si e' estesa all'art. 9, comma
1, del medesimo decreto in quanto la  previsione,  applicabile  nella
specie in ragione delle  dimensioni  occupazionali  della  convenuta,
recita testualmente: «... l'ammontare delle indennita' e dell'importo
previsti dall'art. 3, comma 1, ... e' dimezzato e non  puo'  in  ogni
caso superare il limite di sei mensilita'». 
    Nel  caso  di  specie,  pertanto,  l'indennita'   dovra'   essere
individuata  (vds.  anche  infra  sub  II.5))  nello  stretto   varco
risultante fra il minimo di tre  e  il  massimo  di  sei  mensilita',
determinata utilizzando i parametri  indicati  nella  sentenza  della
Corte costituzionale n. 194 del 2018 e confermati nella  sentenza  n.
150 del 2020 (anzianita'  di  servizio  del  lavoratore,  numero  dei
dipendenti    occupati,    dimensioni    dell'attivita'    economica,
comportamento e condizioni delle parti). 
    Nella fattispecie in esame,  pertanto,  in  considerazione  della
retribuzione lorda di riferimento per il calcolo del  trattamento  di
fine rapporto pari a euro 278,49, la  misura  dell'indennizzo  potra'
variare fra euro 835,47 ed euro 1.670,94. 
    II.3) L'originaria tutela c.d. «obbligatoria» contenuta nell'art.
8 della legge n.  604/1966,  applicabile  ai  lavoratori  assunti  da
datori di lavoro antecedentemente al 7  marzo  2015,  salvo  il  caso
previsto dall'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 23/2015, e'
riservata ai dipendenti da datori di lavoro che abbiano un numero  di
lavoratori come sopra indicato e alle c.d. organizzazioni di tendenza
(art. 4, comma  2,  legge  n.  108/1990  alle  quali,  pero',  per  i
dipendenti assunti dopo l'entrata in vigore del  decreto  legislativo
n.  23/2015,  trova  invece   integrale   applicazione   quest'ultima
normativa). 
    II.4) L'originaria tutela c.d. «obbligatoria» contenuta nell'art.
8 della legge n. 604/1966 prevede, ancora  oggi  quando  applicabile,
una tutela costituita dalla riassunzione in servizio o, in  mancanza,
dal pagamento di una indennita' variabile fra 2,5 e, al ricorrere  di
alcune condizioni, un  massimo  di  14  mensilita'  («Quando  risulti
accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per  giusta
causa o  giustificato  motivo,  il  datore  di  lavoro  e'  tenuto  a
riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni  o,
in mancanza,  a  risarcire  il  danno  versandogli  un'indennita'  di
importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di  6  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo  al  numero
dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianita'
di servizio  del  prestatore  di  lavoro,  al  comportamento  e  alle
condizioni delle parti. La misura massima della  predetta  indennita'
puo' essere maggiorata fino a 10  mensilita'  per  il  prestatore  di
lavoro con anzianita' superiore ai dieci anni e fino a 14  mensilita'
per il prestatore di lavoro con anzianita' superiore ai  venti  anni,
se dipendenti da  datore  di  lavoro  che  occupa  piu'  di  quindici
prestatori di lavoro»). 
    Risulta, quindi, che l'art. 9, comma 1, del  decreto  legislativo
n. 23/2015 non riproduce, se non in piccola parte, le disposizioni di
cui all'art. 8 della legge n. 604/1966 (cfr. Corte costituzionale  n.
150/2020 punto 6.2). 
    II.5) L'intervento del  decreto-legge  12  luglio  2018,  n.  87,
convertito dalla legge 9 agosto 2018,  n.  96  che  ha  innalzato  la
soglia dell'indennita' contemplata nell'art. 3, comma 1, del  decreto
legislativo n. 23/2015, ha avuto quale effetto quello di  restringere
l'intervallo entro cui deve essere determinata l'indennita'  prevista
per i datori di lavoro sotto-soglia portandolo ad un range che va  da
tre a sei mensilita'. 
    II.6) Le sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020  della  Corte
costituzionale hanno chiarito che la  determinazione  dell'indennita'
non puo' essere ancorata al solo criterio dell'anzianita' di servizio
«inidonea  a   esprimere   le   mutevoli   ripercussioni   che   ogni
licenziamento  produce  nella  sfera  personale  e  patrimoniale  del
lavoratore» (sent. n. 150/2020 pp. 11.4 e  12)  precisando  che,  «in
chiave correttiva» il giudice potra' ponderare  anche  altri  criteri
desumibili dal sistema, facendo espresso richiamo all'art. 18,  sesto
comma, legge n. 300/1970 e all'art. 8 della legge n. 604 del 1966  e'
quindi: (i) la  gravita'  delle  violazioni,  (ii)  il  numero  degli
occupati, (iii) le dimensioni dell'impresa, (iv) il  comportamento  e
le condizioni delle parti. 
    II.7) Volendo riassumere si puo' affermare che la tutela prevista
dall'art. 9, comma 1,  decreto  legislativo  n.  23/2015  riguarda  i
lavoratori dipendenti da datori di lavoro individuati  esclusivamente
sulla base del numero dei dipendenti occupati  e  prevede  unicamente
una  soluzione  indennitaria  che  puo'  essere   determinata   nello
strettissimo intervallo fra tre e sei mensilita'. 
III) Interpretazione adeguatrice. 
    III.1) La tesi secondo cui l'art. 9, comma 1,  cit.  non  sarebbe
idoneo a  soddisfare  il  test  di  adeguatezza  e,  soprattutto,  di
dissuasivita'  nella  reazione  dell'ordinamento  di  fronte  ad   un
licenziamento ingiustificato non sembra poter esser  risolta  in  via
interpretativa,  neppure  per  mezzo   della   cd.   «interpretazione
adeguatrice». 
    Cio' perche' l'art. 9 e' assolutamente inequivoco, nel suo tenore
letterale,  nel  parametrare  l'indennita'  dimezzandola  rispetto  a
quella indicata nell'art. 3, comma 1, cit., ma, comunque, nel  limite
delle sei mensilita'. 
    Non  e'  esperibile,  pertanto,  a  fronte  dell'univoco   tenore
letterale della norma censurata, un'interpretazione  adeguatrice  non
ravvisandosene alcuna (Corte costituzionale, Sent., 9 novembre  2020,
n. 234, p. 13.1.1.). 
IV) Violazione dei principi di effettivita' e ragionevolezza. 
    IV.1) La distinzione fra le tutele in  ragione  delle  dimensioni
occupazionali datoriali e' fondata su un elemento che risulta esterno
al rapporto di lavoro. La ragione e lo scopo di  tale  differenza  e'
costituito dal fatto che, nelle piccole realta' lavorative,  potrebbe
risultare problematico il riassorbimento del prestatore, mentre nelle
realta'   di   grandi   dimensioni,   ove   il   rapporto   e'   piu'
spersonalizzato, il ripristino del rapporto  risulterebbe  certamente
piu' agevole. 
    IV.2) Tuttavia entrambe le tutele  mirano  ad  affermare  che  il
«diritto al  lavoro»  (art.  4,  primo  comma,  della  Costituzione),
affiancato alla «tutela»  del  lavoro  «in  tutte  le  sue  forme  ed
applicazioni»  (art.  35,  primo  comma,  della   Costituzione),   si
sostanzia nel riconoscere, tra l'altro, che i limiti posti al  potere
di recesso del datore di lavoro correggano un disequilibrio di  fatto
esistente nel contratto di lavoro  (Corte  costituzionale  n.  194/18
punto 9.1). 
    Sebbene il legislatore, in caso di  licenziamento  invalido,  ben
possa,  «nell'esercizio  della  sua  discrezionalita',  prevedere  un
meccanismo di tutela anche  solo  risarcitorio-monetario»  cio'  deve
avvenire  «nel  rispetto  del  principio  di  ragionevolezza»  (Corte
costituzionale n. 194/18 - punto 9.2).  Inoltre,  «la  qualificazione
come "indennita'" dell'obbligazione prevista dall'art.  3,  comma  1,
del decreto legislativo n. 23 del 2015 [e dell'art. 9  in  questione]
non ne esclude la natura di rimedio  risarcitorio,  a  fronte  di  un
licenziamento» (Corte costituzionale n. 194/18 - punto 10). 
    In particolare la Corte costituzionale afferma  che,  sebbene  la
regola generale di integralita' della riparazione  e  di  equivalenza
della stessa  al  pregiudizio  cagionato  al  danneggiato  non  abbia
copertura costituzionale, deve essere  «garantita  l'adeguatezza  del
risarcimento»  che,  «ancorche'   non   necessariamente   riparatorio
dell'intero  pregiudizio  subito   dal   danneggiato,   deve   essere
necessariamente equilibrato» (punto 12.1). 
    IV.3) La mancata adeguatezza del ristoro nei  termini  precisati,
ad avviso della Corte costituzionale, viola l'art.  3,  comma  1,  ma
anche l'art. 4  e  l'art.  35,  comma  1  della  Costituzione  (Corte
costituzionale 194/18  -  punto  13).  Inoltre  il  mancato  adeguato
ristoro del pregiudizio patito dal  lavoratore  per  l'ingiustificato
licenziamento entra i tensione con il parametro interposto costituito
dall'art. 24 della Carta sociale europea secondo cui «l'indennizzo e'
congruo se e' tale da assicurare un adeguato ristoro per il  concreto
pregiudizio subito dal lavoratore licenziato senza un valido  motivo»
(Corte costituzionale 194/18 - punto 14). 
    IV.4) Un primo argomento a sostegno della irragionevolezza  della
tutela apprestata per i lavoratori dipendenti  da  datori  di  lavoro
sotto-soglia e' costituito dalla estrema esiguita' della  tutela  che
non  puo'  superare  le  sei  mensilita'  e   non   prevede   neanche
l'alternativa della riassunzione. 
    Quindi una misura che non garantisce un'equilibrata compensazione
del  risarcimento  anche  nella  prospettiva  della  non   necessaria
integrale riparazione del pregiudizio. 
    La misura dell'adeguatezza dell'indennizzo deve tener conto, come
rilevato dalla Corte costituzionale,  dell'«adeguato  contemperamento
degli interessi in conflitto» (Corte costituzionale 194/2018 -  punto
12.1) ovvero «la liberta' di organizzazione dell'impresa da un lato e
la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall'altro»  (Corte
costituzionale 194/2018 - punto 12.3). 
    IV.5) Oltre a cio', giova rilevare che,  se  dal  contemperamento
delle protezioni costituzionali  fra  piccole  imprese  e  lavoratori
risulti lampante come sia del tutto inadeguata la  previsione  di  un
indennizzo cosi'  esiguo  da  parte  dell'art.  9  cit.,  deve  anche
valutarsi la portata dissuasiva della sanzione. 
    Invero, la Corte costituzionale ha correttamente  accostato  alla
funzione risarcitoria  del  pregiudizio  patito  dal  dipendente  per
l'adozione di un atto illecito da parte del datore di lavoro anche la
funzione dissuasiva volta ad evitare che il datore assuma tali atti. 
    Quindi, nel contemperamento degli interessi  protetti,  non  solo
occorre garantire un adeguato ristoro per il pregiudizio  patito  dal
lavoratore ma anche correggere il disequilibrio  di  fatto  esistente
nel contratto di lavoro dissuadendo la parte piu'  forte,  ovvero  il
datore  di  lavoro,  anche  se  impresa  minore,   dall'adottare   un
licenziamento ingiustificato che gli costerebbe un'esigua indennita'. 
    Giova riprendere il principio contenuto nell'art. 24 della  Carta
sociale europea ove si  fa  esplicito  riferimento  al  «diritto  dei
lavoratori  licenziati  senza  un  valido  motivo,  ad   un   congruo
indennizzo o altra adeguata  riparazione»  e  la  giurisprudenza  del
Comitato europeo dei  diritti  sociali  che  ha  espresso  un  chiaro
principio  secondo  cui  il   risarcimento   per   il   licenziamento
illegittimo deve essere allo stesso tempo proporzionato rispetto alla
perdita sofferta dalla vittima e sufficientemente  dissuasivo  per  i
datori di lavoro, con l'avvertimento che qualsiasi limite massimo  al
risarcimento  che  impedisce  che  i  danni  siano   commisurati   al
pregiudizio subito e che non abbiano  un  carattere  sufficientemente
dissuasivo e' proibito. 
    IV.6) Fra le decisioni del Comitato europeo dei diritti  sociali,
pur non assistite, nel  sistema  nazionale,  dalla  forza  vincolante
propria dello ius cogens ma certamente dotate di un peso  orientativo
soft sull'interpretazione del diritto interno, quella pubblicata l'11
febbraio  2020  (sul  reclamo  collettivo  n.  158/2017)  si   occupa
espressamente anche della disposizione di cui all'art. 9 del  decreto
legislativo n. 23 del 2015  e  si  esprime  nel  modo  seguente:  «Il
Comitato ricorda che, ai sensi della Carta, i  lavoratori  licenziati
senza un valido motivo devono  ottenere  un  indennizzo  o  un  altro
risarcimento  adeguato.  I  meccanismi  indennitari   sono   ritenuti
conformi alla Carta  quando  prevedono:  il  rimborso  delle  perdite
finanziarie subite tra la  data  del  licenziamento  e  la  decisione
dell'organo del ricorso; la possibilita' di reintegro del  lavoratore
e/o indennita' di un importo sufficientemente elevato  da  dissuadere
il datore di lavoro e  compensare  il  danno  subito  dalla  vittima»
(punto 87) «... qualsiasi tetto massimo (plafond),  che  svincola  le
indennita' scelte dal  danno  subito  e  non  presenti  un  carattere
sufficientemente dissuasivo, e', in  linea  di  principio,  contrario
alla Carta, come, in una certa misura,  ha  gia'  espresso  la  Corte
costituzionale nella decisione n. 194/2018» (punto 96) «...  in  caso
di licenziamento illegittimo (...), la vittima ha la scelta  tra  due
opzioni risarcitorie per  il  danno  materiale  giudiziario  o  extra
giudiziario limitato da un tetto massimo (plafond) che non  copre  le
perdite  finanziarie  effettivamente   sostenute   dalla   data   del
licenziamento. Il Comitato ritiene che le condizioni di  ciascuna  di
queste due opzioni risarcitorie sono tali da incoraggiare,  o  quanto
meno da non dissuadere,  il  ricorso  al  licenziamento  illegittimo»
(punto 101). 
    IV.7) Ne consegue che la  disposizione  di  cui  all'art.  9  del
decreto legislativo n. 23 del 2015 risulta  palesemente  viziata  per
incostituzionalita' nella parte in cui determina  un  limite  massimo
del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo in caso di  licenziamento
ingiustificato comminato da un datore di lavoro che non  raggiunga  i
requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della
legge n. 300 del 1970. 
V)  L'irragionevolezza  del  rigido  criterio   del   «numero   degli
occupati». 
    V.1) Nelle sentenze della  Corte  costituzionale  n.  194/2018  e
150/2020 viene evidenziato come il  criterio  per  la  determinazione
dell'indennizzo costituito dalla  sola  anzianita'  di  servizio  sia
rigido   e,   per   questo,   inadeguato   e   irragionevole   (Corte
costituzionale 194/2018 punto 3 e Corte costituzionale 150/2020 punto
11.3). 
    V.2) Afferma la Corte che  «nell'appiattire  la  valutazione  del
giudice  sulla  verifica  della  sola  anzianita'  di  servizio,   la
disposizione  in  esame   determina   un'indebita   omologazione   di
situazioni che, nell'esperienza concreta, sono profondamente  diverse
e cosi' entra in conflitto con il principio  di  eguaglianza»  mentre
«l'adeguatezza deve essere valutata alla luce della molteplicita'  di
funzioni  che  contraddistinguono  l'indennita'  disciplinata   dalla
legge.  Alla  funzione  di  ristoro  del  pregiudizio  arrecato   dal
licenziamento  illegittimo  si  affianca,   infatti,   anche   quella
sanzionatoria e dissuasiva» (Corte costituzionale n. 150/2020  -  pp.
12 e 13). 
    V.3) Il sistema di tutele disegnato dall'art. 9, comma 1, decreto
legislativo n. 23/2015 che prevede una misura indennitaria ricompresa
in un divario fra tre e sei mensilita' risulta talmente  limitato  da
costituire una forma pressoche' uniforme di tutela. 
    Cio' si coglie in maniera molto evidente nei casi, come quello di
specie, ove il divario fra il minimo e il massimo e' strettissimo  in
quanto la misura dell'indennizzo potra' variare fra  euro  835,47  ed
euro 1.670,94. 
    In questo modo, si riducono in modo apprezzabile sia la  funzione
compensativa sia l'efficacia  deterrente  della  tutela  indennitaria
(cfr. Corte costituzionale 150/2020 n. 13.1). 
    V.4)  L'argomento  di  fondo  che  permea  le  motivazioni  delle
sentenze n. 194/2018 e n. 150/2020 e' costituito dal fatto che «in un
prudente   bilanciamento   tra   gli   interessi   costituzionalmente
rilevanti,  l'esigenza   di   uniformita'   di   trattamento   e   di
prevedibilita' dei costi di un atto, che l'ordinamento qualifica  pur
sempre come illecito, non puo' sacrificare in maniera  sproporzionata
l'apprezzamento delle particolarita' del  caso  concreto»  risultando
necessario  consentire  al  Giudice   di   utilizzare,   «in   chiave
correttiva», anche altri  criteri  desumibili  dal  sistema,  facendo
espresso richiamo all'art. 18,  sesto  comma,  legge  n.  300/1970  e
all'art. 8 della legge n. 604 del 1966 e quindi, oltre all'anzianita'
di servizio, la gravita' delle violazioni, il numero degli  occupati,
le dimensioni dell'impresa, il comportamento e  le  condizioni  delle
parti. 
    V.5) Al contrario, nel sistema di tutele disegnato  dall'art.  9,
comma 1, decreto legislativo n. 23/2015, il criterio del numero degli
occupati costituisce l'unico  effettivo  criterio  di  determinazione
dell'indennita'. Esso e'  un  criterio  che  non  serve  ad  adeguare
l'indennita'   bensi'    unicamente    a    limitarla.    L'esiguita'
dell'intervallo   concesso   al    Giudice    nella    determinazione
dell'indennizzo non consente di valorizzare nessuno  degli  ulteriori
criteri indicati dalla Corte costituzionale sopra indicati. 
    In  particolare,  trattandosi  di  licenziamento  ingiustificato,
nessun rilievo puo' essere dato alla gravita' della violazione il che
integra una inosservanza del principio di uguaglianza/ragionevolezza,
che conduce a sanzionare in modo  pressoche'  uguale  violazioni  non
solo produttive di  danni  diseguali,  ma  di  gravita'  che  possono
essere, a loro volta, totalmente differenti. 
    V.6) In piu' deve rilevarsi come il numero dei dipendenti  e'  un
criterio trascurabile nell'ambito di quella che e' l'attuale economia
che, com'e' notorio, ha permesso  a  un  colosso  come  Instagram  di
sostenere nel  2015  un'impresa  gigantesca  con  tredici  dipendenti
mentre, nello stesso periodo, la Kodak,  che  aveva  un'attivita'  di
impresa  analoga,  ma  analogica  e  non  digitale,  aveva  140  mila
dipendenti. 
    V.7) Piu' significativo e' invece il  criterio  delle  dimensioni
dell'impresa, criterio correttivo per adeguare l'indennizzo  al  caso
concreto, piu'  elastico  rispetto  a  quello  del  solo  numero  dei
dipendenti in quanto riferibile anche  ai  dati  economico/finanziari
ricavabili dai bilanci. Questo criterio ben potra' essere  utilizzato
dal Giudice valorizzandone la portata anche alla  luce  dell'art.  44
della Costituzione ove e' sancito un principio generale di favore per
le piccole imprese. Con la precisazione che da esso, pero', non  puo'
desumersi l'esclusione di un'adeguata  tutela  del  posto  di  lavoro
(cfr. Corte costituzionale 143/98). 
    V.8) Alla luce di  cio',  puo'  affermarsi  che  il  criterio  di
determinazione dell'indennita'  risarcitoria  previsto  dall'art.  9,
comma 1, decreto legislativo n. 23/2015,  non  e'  affatto  idoneo  a
soddisfare  il  test  di  adeguatezza  alla  stregua   dei   principi
costituzionali (art. 3, comma 1, 4, 35, comma  1,  e  117,  comma  1,
della Costituzione) e sovranazionali (art.  24  della  Carta  sociale
europea). 
VI) Conclusioni. 
    In conclusione, il licenziamento ingiustificato  intimato  da  un
datore di lavoro privo dei requisiti di cui all'art. 18, commi 8 e 9,
legge  n.  300/1970  integra  un  illecito  che  deve  dar  luogo   a
un'indennita' «adeguata e personalizzata»,  ancorche'  forfettizzata,
secondo  la  stessa  logica  che  regge  le  sentenze   della   Corte
costituzionale n. 194/2018 e n. 150/2020. 
    Appare quindi non  manifestamente  infondata,  in  rapporto  agli
articoli 3, comma 1, 4, 35 comma 1, e 44, comma 1, della Costituzione
nonche' dell'art. 117,  comma  1,  della  Costituzione  in  relazione
all'art. 24 della Carta sociale europea, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4  marzo
2015, n. 23, con riguardo alle parole «ove il datore  di  lavoro  non
raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e  nono
comma, della legge n. 300 del 1970, ... l'ammontare delle  indennita'
e dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, ... e' dimezzato e  non
puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'». 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  e',  oltre   che
ammissibile, anche rilevante, in quanto la norma positiva di  cui  si
tratta impedisce  l'accoglimento  della  domanda  attorea,  possibile
soltanto attraverso  l'eliminazione  o  l'integrazione  della  stessa
merce' l'intervento della Corte delle leggi;