IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                            Sezione terza 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  962  del   2015,   proposto   da   Magro   Luigi,
rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco De Filippis  e  Maria
Grazia De Simini, con domicilio eletto  presso  lo  studio  dell'avv.
Aurelio De Angelis in Bari, alla via Piccinni n. 128; 
        Contro  Ministero  della  difesa,  in  persona   del   legale
rappresentante pro tempore, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in  Bari,  alla  via
Melo, n. 97; 
        Per l'accertamento dell'illegittimita'  del  silenzio-rifiuto
(ex art. 117 c.p.a.) formatosi sull'istanza  del  25  febbraio  2015,
finalizzata a ottenere il riesame della precedente determinazione  di
cui alla nota del 2 febbraio 2015 e il riconoscimento del  diritto  a
percepire la corresponsione del premio di cui all'art. 2262, comma  3
della legge n.  66  del  15  marzo  2010;  nonche'  del  diritto  del
ricorrente al riconoscimento del premio di  cui  al  menzionato  art.
2262, comma 3 della legge n. 66/2010; e per la condanna del Ministero
della difesa al  pagamento  della  somma  di  euro  21.691,19,  oltre
interessi e rivalutazione come per legge, dalla  data  di  cessazione
del rapporto di lavoro, avvenuta il 7 giugno 2015; 
        Nonche' per l'annullamento, ove occorra, della nota prot.  n.
M  DABA002/P.06.03  del  2  febbraio  2015  con  la  quale  e'  stata
«momentaneamente respinta, con  espressa  riserva  di  dare  risposta
definitiva» l'istanza presentata dal sig. Luigi Magro per beneficiare
della concessione del premio di cui  all'art.  2262  della  legge  n.
66/2010 e di ogni altro atto  presupposto,  preordinato,  connesso  e
conseguente, comunque lesivo dei diritti del ricorrente; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  del  Ministero  della
difesa; 
    Relatore, nell'udienza pubblica  del  giorno  4  marzo  2020,  la
dott.ssa Giacinta Serlenga e uditi per le parti i difensori, come  da
verbale di udienza; 
    Premesso che: 
        il sig.  Luigi  Magro,  tenente  colonnello  dell'Aeronautica
militare, ha prestato servizio presso il  36°  Stormo  di  Gioia  del
Colle, in qualita' di controllore del traffico aereo, dal 27  gennaio
1987 al 7 giugno 2015, data in cui e' cessato dal servizio permanente
per raggiungimento dei limiti di eta'; 
        il suddetto  ha  presentato  domanda  di  corresponsione  del
premio ex art. 2, comma 3, della legge n. 365 del 22  dicembre  2003,
disciplina introdotta in favore del personale  militare  in  possesso
dell'abilitazione di controllore  del  traffico  aereo,  al  fine  di
disincentivarne l'esodo verso l'E.N.A.V. (in tal senso si e' espresso
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, sez. I-bis, 12
marzo  2018  n.  2800,   su   precedente   conforme   del   Tribunale
amministrativo regionale della Campania, Napoli, Sez. VII,  3  aprile
2009) con versamento  dell'intera  somma  in  un'unica  soluzione  al
raggiungimento  dei  limiti  di  eta';   disciplina   successivamente
trasfusa negli articoli 1804 e 2262 del decreto legislativo n. 66 del
15 marzo 2010 (codice dell'ordinamento militare); 
        con nota del  2  febbraio  2015,  l'Aeronautica  militare  ha
riscontrato la predetta richiesta, comunicando all'interessato di non
poter liquidare il premio in  parola,  in  quanto  «i  commi  2  e  3
dell'art. 2262 del d.lgs. 15.03.2010 n. 66 sono stati abrogati  dalla
legge di stabilita' 23.12.2014 n. 190»; 
        con successiva istanza del 25 febbraio 2015, il sig. Magro ha
chiesto il riesame della  suddetta  determinazione  ma  il  Ministero
intimato e'  rimasto  inerte;  ne',  all'atto  della  cessazione  dal
servizio, ha provveduto alla corresponsione del premio; 
        l'interessato ha, dunque, presentato ricorso,  notificato  il
10 luglio 2015  e  depositato  il  successivo  22  luglio,  ai  sensi
dell'art. 117 c.p.a., avverso l'illegittimita' del  silenzio  serbato
dal Ministero sull'istanza  di  riesame,  chiedendo  la  declaratoria
dell'obbligo di provvedere, nonche'  l'accertamento  del  diritto  al
riconoscimento e la  conseguente  condanna  alla  corresponsione  del
premio  di  cui  al  menzionato  art.  2262,  comma  3  del   decreto
legislativo  n.  66/2010,  oltre  l'annullamento  della  nota  del  2
febbraio 2015; 
        con  sentenza  parziale  n.  29/2016,   questa   sezione   ha
dichiarato inammissibile il ricorso avverso il silenzio e rimessa sul
ruolo la domanda di accertamento del diritto alla corresponsione  del
premio stesso, venuta in decisione all'odierna udienza; 
    Rilevato che: 
        il   ricorrente,   subordinatamente   a    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  norma,  solleva  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  261  della  legge  di
stabilita' 23 dicembre 2014, n. 190, richiamata  dall'amministrazione
resistente a sostegno delle su riportate determinazioni negative, per
violazione degli articoli 3 e 36 della Costituzione; 
        in particolare, assume preliminarmente che  l'art.  1,  comma
261 della legge n. 190/2014 vada interpretato  in  un  senso  atto  a
salvaguardare il legittimo affidamento  ingeneratosi  nel  lavoratore
all'atto dell'opzione - esercitata nel 2003 - per la  permanenza  nei
ruoli dell'Aeronautica militare, impedendo alla norma  in  parola  di
operare   con   efficacia   retroattiva   rispetto   ad   aspettative
consolidate, in ragione di una scelta operata  in  un  momento  molto
risalente nel tempo; 
        in subordine, solleva questione  di  costituzionalita'  della
cennata  normativa  sulla  base  degli  argomenti  qui   di   seguito
riportati: 
          a) la disposizione in esame, abrogando la disposizione  del
codice militare di cui all'art. 2262 che viene qui in considerazione,
determinerebbe un'alterazione del rapporto di  sinallagmaticita'  tra
prestazioni gia' rese  e  retribuzione  corrispondente  promessa,  in
violazione dell'art. 36 della Costituzione; 
          b) la norma stessa, in  mancanza  della  previsione  di  un
graduale regime  transitorio  teso  a  evitare  la  vanificazione  di
aspettative legittimamente  createsi  nel  tempo  (e  confermate  dal
legislatore nel 2010) nonche' ad evitare irragionevoli disparita'  di
trattamento, violerebbe i principi di uguaglianza  sostanziale  e  di
ragionevolezza,  sanciti   dall'art.   3   della   Costituzione;   in
particolare  riserverebbe  un   trattamento   uguale   a   situazioni
radicalmente diverse, in ragione del fatto che porrebbe sullo  stesso
piano il personale di cui al comma  3  dell'art.  2262  (tra  cui  il
ricorrente), che avrebbe percepito l'intero trattamento premiale solo
al raggiungimento dei limiti di eta' ed il personale di cui al  comma
2 della stessa disposizione, che avrebbe - medio tempore -  percepito
parte dei premi e che, per effetto  dell'abrogazione  disposta  dalla
norma sospettata di incostituzionalita', perderebbe  solo  il  premio
residuo; tanto piu' che la norma  abrogativa  e'  entrata  in  vigore
soltanto sei mesi prima del pensionamento dell'odierno ricorrente; 
    Considerato che: 
        la  suggerita  interpretazione  adeguatrice  non  si  ritiene
praticabile in ragione del tenore letterale della norma e  della  sua
ratio, che non consentono di attribuire alla  stessa  un  significato
diverso  da  quello  sospettato  di  incostituzionalita',  cioe'   il
significato di vietare - per ragioni  di  copertura  finanziaria  (la
disposizione incriminata e' infatti contenuta in legge finanziaria) -
la  liquidazione  del  premio  di  cui  si  discute  in  favore   dei
controllori di volo (tra cui e' l'odierno ricorrente)  che  avrebbero
perfezionato i requisiti per  andare  in  pensione,  nel  quinquennio
2014-2018, per aver raggiunto i quarantacinque anni e non superato  i
cinquanta alla data di entrata in vigore della legge n. 365/2003; ove
si cercasse  infatti  di  attribuirvi  un  significato  diverso,  nel
tentativo di risolvere le antinomie  di  sistema,  si  finirebbe  per
privare la norma di qualsivoglia significato ed effetto; 
        deve dunque esaminarsi la questione di costituzionalita',  in
punto di rilevanza  e  di  non  manifesta  infondatezza,  secondo  il
costante insegnamento della Consulta alla stregua del quale  «nessuna
disposizione di legge puo' essere dichiarata illegittima sol  perche'
suscettibile di essere  interpretata  in  contrasto  con  i  precetti
costituzionali, ma deve esserlo soltanto  quando  non  sia  possibile
attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione»  (ex
plurimis, la sentenza n. 271 del 14 dicembre 2017); 
    Cio' premesso, 
    A) Sulla rilevanza della questione: 
        in  punto  di  rilevanza  si  osserva  che  la  questione  di
legittimita' sollevata e' decisiva ai fini  della  risoluzione  della
controversia in esame, giacche'  il  rifiuto  di  corresponsione  del
premio  de   quo   e'   dichiaratamente   collegato   all'intervenuta
abrogazione del comma 2 dell'art. 2262  del  codice  dell'ordinamento
militare, ad opera dell'art. 1, comma 261 della legge n. 190/2014, la
cui  applicazione  alla  fattispecie  in  esame  non   potrebbe   che
comportare il rigetto della pretesa azionata; -  in  buona  sostanza,
soltanto  ove  la  disposizione  abrogativa  del  beneficio   venisse
dichiarata  incostituzionale,  la  domanda  giudiziale  promossa  dal
ricorrente - di accertamento della spettanza del premio controverso e
di   conseguente   condanna   dell'amministrazione   alla    relativa
corresponsione - potrebbe essere accolta; 
        il  giudizio  principale  non  puo'  dunque  essere  definito
indipendentemente da tale questione e la soluzione  della  stessa  e'
strumentale alla definizione della controversia (ex  plurimis,  Corte
costituzionale 23 maggio 2018, n. 104; idem 12 ottobre 2017, n. 213). 
    B) Sulla non manifesta infondatezza: 
        la  questione  di  costituzionalita'  appare   altresi'   non
manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 36 e 97 della
Costituzione; 
        in particolare l'art. 36  viene  in  considerazione,  poiche'
pone  in  uno  stringente  rapporto  sinallagmatico  le   prestazioni
lavorative e la relativa retribuzione, nell'ottica  di  garantire  un
compenso sufficiente e adeguato alla quantita' e  alla  qualita'  del
lavoro svolto; nella fattispecie, l'abrogazione postuma,  a  distanza
di oltre dieci anni dall'introduzione del premio e dalla  conseguente
opzione operata da alcuni soggetti (tra cui il ricorrente) di restare
nei ruoli dell'amministrazione militare anziche' transitare nei ruoli
dell'E.N.A.V. (nei quali le stesse mansioni risultavano e sono ancora
oggi  meglio  retribuite),  comporta   un'alterazione   -   in   modo
retroattivo - del  compenso  promesso,  con  evidente  compromissione
dell'equilibrio tra prestazione resa e retribuzione  complessivamente
percepita; 
        l'art.  3  viene  poi  in  considerazione  poiche'  la  norma
censurata, in ragione dei suoi effetti  necessariamente  retroattivi,
risulta   lesiva   dei   canoni   costituzionali   di    uguaglianza,
ragionevolezza e legittimo affidamento: 
          a)  del  canone  di  uguaglianza,  perche'   -   come   ben
rappresentato  dal  ricorrente  -  ha  posto  sullo  stesso  piano  i
dipendenti di cui al terzo e secondo comma dell'art. 2262 del decreto
legislativo 15 marzo 2010, n. 66, sebbene soltanto i primi  (tra  cui
il ricorrente) non hanno ricevuto in  toto  il  premio  promesso;  in
secondo luogo, perche' il premio stesso e' stato ripristinato e viene
oggi nuovamente corrisposto all'atto della cessazione  del  servizio,
come comprovato  dalla  documentazione  in  atti  (cfr.  doc.  1  del
deposito ricorrente in data 22 gennaio 2020), con l'effetto  di  aver
determinato un'iniqua sperequazione in danno dei  soli  soggetti  che
hanno integrato i requisiti nel  quinquennio  2014-2018  (si  tratta,
peraltro, di un gruppo di dipendenti pubblici piuttosto esiguo); 
          b) del canone di ragionevolezza e di legittimo affidamento,
poiche'  la  decurtazione  ex  post  del  premio  dalla   complessiva
retribuzione tradisce l'affidamento che i dipendenti in questione (e,
in particolare, il ricorrente) hanno  riposto  nella  certezza  della
corresponsione del trattamento economico premiale di cui  si  tratta,
optando  per   la   prosecuzione   del   rapporto   di   lavoro   con
l'amministrazione militare nel 2003, non essendo stati neanche  posti
nella condizione di optare per il prepensionamento,  onde  conservare
il beneficio di cui si tratta. La corresponsione del denegato  premio
finale rappresenta invero il perfezionamento  di  una  fattispecie  a
formazione progressiva, il cui  presupposto  -  radicatosi  nel  2003
(attraverso - si ribadisce - l'opzione per la  permanenza  nei  ruoli
militari) -  e'  stato  confermato  dal  codice  militare  nel  2010,
riproducendo la norma verosimilmente  nell'ottica  della  tutela  dei
diritti quesiti. 
          La Corte costituzionale, pur in assenza della codificazione
nella   Carta   fondamentale   di   un   divieto   generalizzato   di
irretroattivita' della legge, ha piu' volte valorizzato il  principio
dell'affidamento   del   cittadino   sulla   certezza   e   sicurezza
dell'ordinamento giuridico, quale elemento essenziale dello Stato  di
diritto, che non puo' essere leso da norme con  effetti  retroattivi,
incidenti in modo arbitrario e irragionevole su  situazioni  regolate
da leggi precedenti, quand'anche le scelte siano dettate da  esigenze
di contenimento della spesa pubblica (cfr. in particolare la sentenza
n. 271/2011; in termini, la n. 416 del 1999, la n. 374 del 2002 e  la
n. 156 del 2007); e tali principi sono  stati  riaffermati  anche  di
recente (cfr., da ultimo, le sentenze n. 108/2019 e n. 26/2020). 
          Tornando alla fattispecie in esame, non puo'  revocarsi  in
dubbio  che   la   disposizione   censurata   interferisca   con   la
regolamentazione giuridica del  rapporto  tra  le  parti,  andando  a
modificare situazioni gia'  consolidate  e  acquisite  al  patrimonio
giuridico degli interessati, indotti - si ribadisce ancora una  volta
- a permanere nei  ruoli  dell'amministrazione  militare,  confidando
nella convenienza riferita a quello specifico  quadro  normativo;  il
legislatore e', cioe',  intervenuto  su  situazioni  in  cui  si  era
consolidato  l'affidamento   riguardo   alla   regolamentazione   del
rapporto, sacrificando tali posizioni -  all'esito  di  un'arbitraria
ponderazione - a distanza di un periodo  di  tempo  considerevolmente
ampio,  sufficiente  a   giustificare   l'affidamento   nell'avvenuto
consolidamento della situazione sostanziale; 
        infine,   la    norma    censurata,    inducendo    un'azione
amministrativa iniqua, determina anche una violazione  del  principio
di buon andamento della pubblica amministrazione,  sancito  dall'art.
97 della Costituzione; 
    Ritenuto che risulta evidente  il  contrasto  della  disposizione
censurata con gli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione,  integrando
la  disposizione  sospettata  di  incostituzionalita'  un'ipotesi  di
esercizio irrazionale del potere del legislatore di emanare norme con
effetto retroattivo, incidendo sul legittimo affidamento dei soggetti
coinvolti,  sul  rapporto  sinallagmatico  tra  prestazione  resa   e
retribuzione proporzionale e sufficiente e, in  ultima  analisi,  sul
buon andamento dell'azione amministrativa; 
    Ritenuto, per le su esposte ragioni, di sollevare la questione di
costituzionalita' dell'art. 1, comma 261, della legge n. 190/2014 per
violazione degli  articoli  3,  36  e  97  della  Costituzione  e  di
sospendere conseguentemente ogni decisione sulla controversia oggetto
del  giudizio  principale  in  attesa  della  pronunzia  della  Corte
costituzionale;