LA CORTE D'APPELLO DI ROMA 
                          4ª Sezione lavoro 
 
    Composta dai signori magistrati: 
      dott. Francescopaolo Panariello - Presidente rel.; 
      dott. Fabrizio Riga - Consigliere; 
      dott.ssa Isabella Parolari - Consigliere; 
    pronunziando in grado di  appello  in  funzione  di  giudice  del
lavoro, all'udienza del giorno 26 aprile 2021 ha emesso  la  seguente
Ordinanza nella causa d'appello tra Pala Alessandro n.  05/05/1941  e
Inps. 
    Rilevato che: 
      l'appellante e' stato professore associato presso l'Universita'
«La Sapienza» di Roma fino al 1° novembre 2011, quando e' cessato dal
servizio; 
      con provvedimenti dell'8 febbraio 2012  e  del  1°  marzo  2012
l'Inps gli ha liquidato il trattamento di fine servizio; 
      con lettera del 12 aprile 2017,  prot.  75156,  l'Inps  gli  ha
comunicato di aver proceduto alla riliquidazione del  trattamento  di
fine servizio, precisando che dal nuovo  conteggio  era  derivato  un
conguaglio a suo debito di euro 75.509,64; 
      detta   missiva   e'   stata   preceduta   da    due    lettere
dell'Universita' «La Sapienza» di Roma del 1° marzo  2017  e  del  10
marzo  2017,  con  cui  all'appellante   e'   stata   comunicata   la
rideterminazione dei compensi erogati ed all'Inps e' stato  inoltrato
il modello PA04-TS ai fini della rideterminazione del trattamento  di
fine servizio; 
      il Pala ha  contestato  la  pretesa  restitutoria  eccependo  -
logicamente in via preliminare - l'intervenuta decadenza  del  potere
di modifica. in quanto sarebbe spirato il termine di un anno previsto
dall'art. 30, decreto del Presidente della Repubblica n. 1032/1973; 
      il Tribunale ha rigettato questa eccezione, sostenendo  che  il
dies a quo del termine annuale di decadenza  e'  da  individuare  nel
giorno in cui l'ex  amministrazione  di  appartenenza  ha  comunicato
all'Inps i nuovi dati retributivi rettificati,  ai  fini  dell'esatto
calcolo del trattamento di fine servizio; 
      con il primo motivo di appello il  Pala  si  duole  dell'errata
individuazione del dies a quo del termine di decadenza; 
      ad avviso dell'appellante, il  tenore  della  norma  e'  chiaro
nello stabilire che, in caso  di  «errore  di  calcolo»,  come  nella
specie, il termine di decadenza  di  un  anno  per  la  modifica  del
provvedimento di liquidazione dell'indennita'  di  buonuscita  o  del
trattamento di fine servizio decorre «dalla data di  emanazione»  del
provvedimento errato; 
      se tale fosse l'interpretazione della norma, effettivamente  il
termine  di  decadenza  sarebbe  ampiamente  decorso  (v.  supra)   e
l'appello dovrebbe essere accolto, trattandosi di motivo che  assorbe
tutti gli altri, relativi al contenuto ed  ai  limiti  della  pretesa
restitutoria dell'Inps. 
    Tutto cio' rilevato, 
 
                               Osserva 
 
    1. Il decreto del Presidente della  Repubblica  n.  1032/1973  ha
valore di legge ordinaria, in quanto emanato ai  sensi  dell'art.  6,
legge n. 775/1970, che delego' il Governo ad emanare  testi  unici  -
espressamente «aventi valore di leggi ordinarie» - delle disposizioni
in vigore concernenti le singole materie. La materia qui ordinata  in
testo unico e' quella delle «prestazioni previdenziali in favore  dei
dipendenti civili e militari dello Stato». 
    2. Per la liquidazione dell'indennita' di buonuscita (nel caso in
esame trattamento di fine servizio), l'art. 26, comma 2, decreto  del
Presidente della Repubblica cit.  prevede  che  l'amministrazione  di
appartenenza del dipendente trasmetta all'amministrazione  del  Fondo
di previdenza (ora all'Inps) un «progetto di liquidazione». 
    L'art. 30, comma 1, lettera b), e comma 2, decreto del Presidente
della Repubblica cit. prevede che, qualora vi sia stato un errore nel
calcolo dell'indennita' di buonuscita,  il  provvedimento  errato  e'
revocato, modificato o rettificato non oltre il termine  di  un  anno
dalla data di sua emanazione. 
    L'ultimo  comma  dell'art.  30,  decreto  del  Presidente   della
Repubblica cit. individua pero'  un  diverso  termine  di  decadenza.
Precisamente, dispone che «Nel  caso  previsto  dall'art.  26,  comma
sesto, il provvedimento e' revocato,  modificato  o  rettificato  nel
termine   di   sessanta   giorni   dalla    ricevuta    comunicazione
dell'amministrazione statale». 
    A sua volta, l'art. 26, sesto comma, decreto del Presidente della
Repubblica   cit.   dispone:   «Eventuali   modifiche   relative    a
provvedimenti dell'amministrazione statale, che comportino variazioni
concernenti  l'indennita'  di  buonuscita   gia'   erogata,   saranno
comunicate alla amministrazione del Fondo di previdenza, ai fini  del
pagamento  di  supplementi  dell'indennita'   predetta   ovvero   del
recupero, mediante trattenute sul trattamento  di  quiescenza,  delle
somme non dovute». 
    Se dunque il caso concreto rientrasse in quest'ultima previsione,
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  30   cit.
perderebbe la sua rilevanza e, risultando rispettato  questo  diverso
termine di decadenza (sessanta giorni  dal  ricevimento  della  nuova
comunicazione dell'Universita'), il primo (ed assorbente)  motivo  di
appello del Pala dovrebbe essere rigettato. 
    Tuttavia, questa Corte ritiene che  -  come  argomenta  anche  la
difesa dell'Inps - l'art. 26, comma 6, decreto del  Presidente  della
Repubblica cit. non sia applicabile al caso concreto. 
    Infatti, tale norma si riferisce a  modifiche  dei  provvedimenti
dell'amministrazione di appartenenza adottati come «datore di lavoro»
e che  quindi  incidano  sul  rapporto  di  lavoro  (ad  esempio  una
ricostruzione  di  carriera),  dai  quali  derivi,  come  conseguenza
ulteriore, una diversa quantificazione dell'indennita' di buonuscita.
E' questo il significato - logico prima che giuridico - del predicato
verbale «comportino», utilizzato nella norma. 
    Nel caso in  esame,  invece,  il  provvedimento  originario  (poi
modificato  da  quello  successivo),  adottato  dall'Universita',  e'
inerente proprio al calcolo del trattamento di fine servizio, il  cui
obbligo grava pero' sull'Inps. Dunque non  e'  un  provvedimento  che
attenga ad  altra  materia,  dal  quale  discenda,  come  conseguenza
ulteriore,  una  diversa  quantificazione  del  trattamento  di  fine
servizio. Sicche' l'errore commesso dall'Inps nella  liquidazione  di
questo trattamento e' dipeso proprio da  un  errore  commesso  a  suo
tempo dall'Universita' - a rapporto di lavoro del Pala ormai  estinto
- nell'elaborazione del «progetto di  liquidazione»  del  t.f.s.  (ex
art. 26, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica cit.) sulla
base di una determinata (ma  risultata  poi  errata)  quantificazione
dell'indennita' di perequazione ex art.  31  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 761/1979 utile ai fini del  trattamento  di  fine
servizio. 
    Il   successivo   provvedimento   dell'Universita'    e'    stato
«modificativo» di tale quantificazione e, quindi, e'  in  realta'  da
intendersi come «correttivo» proprio  di  quell'errore  a  suo  tempo
commesso  e,  pertanto,   costituisce   un   diverso   «progetto   di
liquidazione». In definitiva, l'oggetto  immediato  e  diretto  della
«modifica» e' stato proprio uno dei  dati  (id  est  l'indennita'  di
perequazione ex art. 31, decreto del Presidente della  Repubblica  n.
761/1979) necessari per  la  liquidazione  del  trattamento  di  fine
servizio spettante all'appellante. 
    Ne deriva che, non vertendosi nell'ambito  applicativo  dell'art.
26, comma 6, decreto del Presidente della  Repubblica  n.  1032/1973,
torna ad essere applicabile il regime previsto dai  primi  due  commi
dell'art. 30, decreto del Presidente della Repubblica  cit.,  con  il
conseguente termine di decadenza di un anno, decorrente dalla data di
emanazione dell'originario provvedimento (errato) di liquidazione del
trattamento di fine servizio da parte dell'Inps  (succeduto  ex  lege
all'Inpdap). 
    Sul punto il dato testuale della norma e' talmente chiaro, da non
lasciare adito a dubbi.  Di  conseguenza,  il  primo  (e  assorbente)
motivo di appello del Pala dovrebbe essere accolto. 
    3. Ne' puo' accedersi alla tesi (sostenuta  da  una  parte  della
giurisprudenza capitolina  di  merito),  secondo  cui  il  potere  di
rettifica dell'Inps, previsto dall'art. 30,  decreto  del  Presidente
della Repubblica cit., sarebbe limitato solo agli errori di fatto e/o
di calcolo, mentre quello in esame sarebbe un  errore  «di  diritto»,
che resterebbe pertanto imputabile  all'Inps  senza  possibilita'  di
rimedio. 
    Va  infatti   considerato   che,   in   mancanza   di   ulteriori
specificazioni, l'errore di  calcolo  considerato  dalla  norma  puo'
essere determinato anche da  un  errore  di  diritto  circa  le  voci
computabili nella base di calcolo del t.f.s., perche'  anche  in  tal
caso si verifica - appunto - un errore di calcolo. Quindi, nella  sua
nozione onnicomprensiva (e in difetto di ulteriori specificazioni e/o
limitazioni), la norma dell'art. 30  cit.  prende  in  considerazione
solo l'aspetto finale ed omnicomprensivo dell'errore «a valle» e  non
anche le ragioni «a monte» che lo hanno determinato.  Resta  pertanto
irrilevante la natura - di fatto o di diritto - dell'errore  commesso
«a monte», causativo, a sua volta, dell'errore di calcolo «a valle». 
    4. Posta dunque l'astratta applicabilita' dell'art.  30,  decreto
del Presidente della Repubblica cit., anche su  sollecitazione  della
difesa  dell'Inps  articolata  nella  memoria  di  costituzione   nel
presente  grado  di  giudizio,  questa   Corte   dubita   della   sua
legittimita' costituzionale. 
    4.1. Con riguardo all'art. 3 della Costituzione,  va  evidenziato
che il tertium comparationis e' rappresentato: 
      sia dal t.f.r.  nel  lavoro  subordinato  privato,  sebbene  il
relativo obbligo gravi sullo stesso datore di lavoro; 
      sia nelle altre tipologie previste  per  il  pubblico  impiego,
come ad esempio l'indennita' premio di servizio dei dipendenti  degli
enti locali, il  cui  obbligo  grava  anche  in  tal  caso  sull'ente
previdenziale. 
    In entrambe queste fattispecie l'eventuale eccedenza dell'importo
liquidato, rispetto a quello effettivamente spettante al  dipendente,
puo' essere sempre  chiesto  in  ripetizione  secondo  la  disciplina
dell'indebito oggettivo (art. 2033  del  codice  civile),  sottoposto
unicamente  all'ordinario  termine  decennale  di  prescrizione  (per
l'indennita' premio di servizio per i dipendenti degli  enti  locali,
v. in tal senso la Cassazione 24 maggio 2005, n. 10915). 
    La predetta questione si pone anche rispetto al t.f.r. nel lavoro
subordinato privato, sebbene in tal caso il soggetto obbligato sia lo
stesso datore di lavoro e, quindi, eventuali errori sarebbero  a  lui
attribuibili. Questo profilo non e' tale, pero', da  giustificare  la
diversita' di trattamento. 
    Anzi, proprio laddove - come nel pubblico impiego -  non  vi  sia
coincidenza fra soggetto obbligato a pagare il  t.f.s.  e  datore  di
lavoro, l'imposizione di un termine di decadenza a carico  del  primo
(id est l'ente previdenziale) per  eventuali  rettifiche  dipese  e/o
disposte tardivamente dal secondo si rivela irragionevole, in  quanto
pone  il  debitore  (Inps)  alla  merce'  dei  possibili  errori  e/o
omissioni del datare  di  lavoro  (amministrazione  statale  o  altre
amministrazioni soggette  alla  disciplina  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1032/1973), sulle quali il  primo  non
ha alcun potere di incidenza. 
    Quindi  la  decadenza  finisce  per  perdere  il  suo   autentico
significato di sanzione per un  comportamento  inerte  imputabile  al
soggetto che ha il potere di rettificare il debito. Nella fattispecie
descritta dalla  norma,  infatti,  l'inerzia  rilevante  finisce  per
essere  non  quella  dell'Inps,  bensi'  quella  dell'amministrazione
datrice di lavoro, che comunichi con anni  di  ritardo  la  rettifica
dell'originario  «progetto  di  liquidazione».  E  ciononostante   la
conseguenza  sarebbe  la  decadenza  che  colpisce  l'Inps,  soggetto
obbligato a pagare il t.f.s., al quale verrebbe in tal modo  impedito
di recuperare l'eccedenza corrisposta  illegittimamente  per  errore,
anche di diritto, dipeso da un fatto ad esso non imputabile. 
    Potrebbe obiettarsi che questo sistema non  escluderebbe  in  tal
caso  il  diritto  dell'Inps  di  chiedere   all'amministrazione   di
appartenenza  dell'ex   dipendente   il   risarcimento   del   danno,
rappresentato  dalla  somma  indebitamente  corrisposta   per   fatto
imputabile a quell'amministrazione (autrice dell'errato «progetto  di
liquidazione» originario)  e  divenuta  irripetibile  a  causa  della
decadenza imputabile a quella stessa amministrazione. 
    Ma  e'  agevole  replicare  che  questo  rimedio,   pur   laddove
configurabile, non escluderebbe l'irragionevolezza  della  disparita'
di  trattamento  e,  quindi,  la   violazione   dell'art.   3   della
Costituzione. 
    4.2. Con riguardo  all'art.  97  della  Costituzione,  si  palesa
certamente contrario al principio di buona amministrazione di un ente
pubblico previdenziale - e, quindi, di buona  gestione  del  pubblico
danaro, istituzionalmente affidato a quell'ente  -  un  regime,  come
quello qui scrutinato, che tuteli  esclusivamente  l'affidamento  del
beneficiario del t.f.s., senza  alcuna  giustificazione  legata  alle
peculiarita' del suo rapporto di pubblico  impiego.  Al  riguardo  si
consideri che per altre categorie di pubblici dipendenti (come quelli
degli enti locali), nonche' per i dipendenti  privati,  l'ordinamento
giuridico non prevede alcun termine  di  decadenza,  ma  solo  quello
ordinario di prescrizione (v. supra). 
    5. La predetta questione e'  «rilevante»,  in  quanto  dalla  sua
soluzione dipende l'esito dell'appello e,  in  particolare,  del  suo
primo motivo, avente carattere preliminare ed assorbente. 
    La medesima questione e' altresi' «non manifestamente  infondata»
per tutte le ragioni sopra esposte ed illustrate. 
    Visto l'art. 23 della legge n. 83/1957;