Ricorso ai sensi dell'art. 127 della Costituzione del  Presidente
del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80224030587), presso i cui
uffici domicilia  in  Roma,  alla  via  dei  Portoghesi  n.  12  (fax
0696514000 - PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it); 
    Contro la Regione Lombardia (c.f. 80050050154),  in  persona  del
Presidente della regione in carica pro tempore per  la  dichiarazione
di illegittimita' costituzionale degli articoli 5, 13, 17,  25  della
legge della Regione Lombardia 25 maggio 2021, n. 8,  recante:  «Prima
legge di  revisione  normativa  ordinamentale  2021»  pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n.  21,  del  28  maggio
2021, Supplemento. 
    1.- La legge regionale della Regione Lombardia 25 maggio 2021, n.
8 e' stata emanata in applicazione della previsione di cui alla  l.r.
8 luglio 2014, n. 19 recante «Disposizioni per  la  razionalizzazione
di  interventi  regionali  negli  ambiti  istituzionale,   economico,
sanitario e territoriale» come modificata dalla l.r.  n.  9/2019,  la
quale,  all'art.  1,  comma  3,  secondo  periodo,  prevede  che   il
Presidente della Giunta regionale presenti  al  Consiglio  regionale,
due volte  l'anno,  un  progetto  di  legge  di  revisione  normativa
ordinamentale  «che  puo'  contenere  esclusivamente  circoscritte  e
limitate modifiche, puntuali integrazioni o  specifiche  sostituzioni
di disposizioni  legislative,  con  esclusione  di  disposizioni  che
operano interventi di revisione organica e complessiva di  materie  o
di settori di legislazione regionale». 
    2.- Con deliberazione assunta nella seduta del 22 luglio 2021  il
Consiglio dei ministri ha deciso di impugnare gli articoli 5, 13,  17
e 25 della citata l.r. n. 8/2021,  ravvisando  negli  stessi  diversi
profili di illegittimita' costituzionale. 
    Le predette norme dispongono, in particolare, quanto segue: 
        1. l'art. 5 modifica l'art. 23 della  l.r.  n.  6  del  2015,
concernente «Disciplina regionale dei servizi  di  polizia  locale  e
promozione di politiche integrate di sicurezza  urbana»,  aggiungendo
al comma 4  di  tale  disposizione,  dopo  l'espressione  «caschi  di
protezione»,  le   seguenti   parole:   «guanti   tattici   imbottiti
antitaglio,  dissuasori  di  stordimento  a  contatto,   pistole   al
peperoncino,  termoscanner  portatili,  mefisti,  mascherine,  previa
adeguata formazione»; 
        2. l'art. 13 modifica l'art. 22 della l.r. n.  26  del  1993,
recante «Norme per la protezione  della  fauna  selvatica  e  per  la
tutela  dell'equilibrio  ambientale   e   disciplina   dell'attivita'
venatoria», aggiungendo, al comma 7 di quest'ultimo, dopo  le  parole
«sul posto di caccia», le seguenti parole: «dopo gli  abbattimenti  o
l'avvenuto recupero»; 
        3. l'art. 17 apporta le seguenti modifiche all'art. 26  della
citata legge regionale n. 26/1993: 
          a)  al  comma  1  dopo  le  parole  «muniti   di   anellini
inamovibili» sono inserite  le  seguenti:  «in  materiale  metallico,
plastico o altro materiale idoneo»; 
          b) i commi 5-bis e 5-quater sono abrogati; 
        4. L'art. 25  modifica  l'art.  48  della  l.r.  n.  26/1993,
sostituendo, al comma 6-bis di quest'ultimo, le  parole  «L'attivita'
di vigilanza e controllo e' svolta» con le seguenti: «L'attivita'  di
vigilanza e controllo sugli anellini inamovibili  da  utilizzare  per
gli uccelli da richiamo di cui ai commi 1, 1-bis e 3 dell'art. 26  e'
svolta   verificando    unicamente    la    presenza    dell'anellino
sull'esemplare e deve essere effettuata». 
    Le predette norme della legge regionale n.  8  del  2021  vengono
impugnate per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
I - Illegittimita' dell'art. 5 l.r.  Lombardia  n.  8  del  2021  per
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   d),   della
Costituzione, anche in relazione articoli 5 e 6 della legge  7  marzo
1986, n. 65; 19 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° dicembre  2018,  n.  132;  art.  4,
comma  1,  legge  n.  110/1975,  nel  testo  modificato  dal  decreto
legislativo n. 208/2010. 
    3.- Come si e' evidenziato in premessa, l'art. 5 della l.r. n.  8
del 2021 reca modifiche all'art. 23 della l.r. 1° aprile 2015, n.  6,
concernente «Disciplina regionale dei servizi  di  polizia  locale  e
promozione di politiche integrate di sicurezza urbana». 
    Quest'ultimo  disciplina,  nell'ambito  delle  dotazioni  per  il
servizio di polizia locale, organizzato e gestito dagli  enti  locali
in ambito regionale, gli strumenti di autotutela con i quali  possono
essere equipaggiati gli operatori di  tale  servizio:  tra  essi,  il
comma  4  dell'art.  23  prevedeva  gia'  la  dotazione  di  manette,
giubbotti  antitaglio,  giubbotti  antiproiettile,  cuscini  per   il
trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e caschi  di  protezione;  a
seguito delle modifiche introdotte dall'art. 5 della l.r. in esame, a
tali  dispositivi  si  aggiungono  ora:  «guanti  tattici   imbottiti
antitaglio,  dissuasori  di  stordimento  a  contatto,   pistole   al
peperoncino,  termoscanner  portatili,  mefisti,  mascherine,  previa
adeguata formazione». 
    4.-  La  disciplina  dell'armamento  e  degli   altri   strumenti
operativi in dotazione alla polizia locale e' recata dagli articoli 5
e 6 della legge 7 marzo 1986, n. 65 («Legge  quadro  sull'ordinamento
della polizia municipale»). 
    Attraverso tali disposizioni il legislatore  statale  ha  operato
una summa divisio tra «armamento» vero e proprio ed  altri  «mezzi  e
strumenti operativi» di cui la polizia locale puo' essere provvista. 
    In particolare - compatibilmente con l'art. 117, comma 2, lettera
d) della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva
a legiferare in materia di armi  -  il  citato  art.  5  della  legge
statale prevede, al comma 5, che gli appartenenti ai Corpi e  Servizi
di Polizia locale sono legittimati a  portare,  previo  conseguimento
della qualifica di agente di p.s., le armi ricevute in  dotazione  in
relazione al tipo di servizio da espletare, senza bisogno di  munirsi
della licenza richiesta ai privati, nel territorio di appartenenza  e
negli altri casi di  missioni  nella  circoscrizione  di  altri  enti
locali, specificamente individuati all'art. 4. 
    La disposizione de qua, peraltro, fa rinvio (art. 5, comma 5)  ad
un  apposito  regolamento  approvato   con   decreto   del   Ministro
dell'interno, sentita l'Associazione nazionale dei  comuni  d'Italia,
per la disciplina, tra l'altro, della tipologia e  del  numero  delle
armi in dotazione a tale personale, oltre che del relativo accesso ai
poligoni  di  tiro  per  l'addestramento  al  loro  uso:  regolamento
approvato con decreto ministeriale 4  marzo  1987,  n.  145,  recante
«Norme  concernenti  l'armamento  degli  appartenenti  alla   polizia
municipale ai quali e' conferita la qualita' di  agente  di  pubblica
sicurezza». 
    Il successivo art. 6 della legge statale  rimette,  invece,  alle
regioni la possibilita' di  dettare  normazione  sul  versante  degli
altri strumenti operativi, diversi  da  quelli  la  cui  destinazione
naturale sia l'offesa alla persona (come, ad esempio,  gli  strumenti
di autotutela, quali caschi, guanti, etc.). 
    Invero, nello specifico, tale disposizione, dopo aver chiarito  -
al comma 1 - che la potesta' delle  regioni  in  materia  di  polizia
locale deve essere esercitata nel rispetto delle norme e dei principi
stabiliti dalla stessa legge n. 65 del 1986, precisa - al comma  2  -
che le regioni stesse provvedono,  con  legge,  a  disciplinare,  tra
l'altro (n. 5), «le  caratteristiche  dei  mezzi  e  degli  strumenti
operativi» in dotazione ai Corpi o ai  servizi,  fatto  salvo  quanto
stabilito dal citato art. 5, comma 5, della stessa legge. 
    Tale riparto di competenze trova conferma nella sentenza  n.  167
del  2010,  con  la  quale  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma  4,  della  legge
della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 9/2009, che  identificava  una
serie di servizi in relazione ai quali gli agenti di  polizia  locale
avrebbero dovuto essere muniti di armi. In proposito, la Consulta  ha
evidenziato che «emerge, con chiarezza, quindi,  che  la  particolare
tipologia di servizi ai quali gli  agenti  ed  ufficiali  di  polizia
locale sono adibiti costituisce uno  dei  presupposti  giustificativi
dell'attribuzione,  da   parte   della   normativa   statale,   della
possibilita' per i medesimi di portare le armi.  Pertanto,  la  norma
regionale, enumerando esplicitamente ed autonomamente taluni  servizi
in relazione ai quali gli agenti di polizia locale devono portare  le
armi, interviene a disciplinare  casi  e  modi  di  uso  delle  armi,
invadendo la  competenza  statale  esclusiva  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera d), della Costituzione». 
    5.- Sulla scorta di quanto evidenziato, pare doversi ritenere che
alcune delle previsioni  introdotte  dalla  novella  contenuta  nella
norma regionale in esame invadono il perimetro di  materia  riservato
alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato dal citato art.  117,
comma 2, lettera d) della Costituzione. 
    E'  il  caso,  in  particolare,  della   possibilita',   prevista
dall'art. 5 della l.r. n. 8/2021, di  dotare  la  polizia  locale  di
«dissuasori di stordimento a contatto». 
    Tale espressione sembra, infatti, far riferimento  a  dispositivi
rientranti nella categoria delle «armi comuni ad impulso  elettrico»,
di cui  all'art.  19  del  decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132. 
    In giurisprudenza e' stato chiarito come lo storditore  elettrico
debba a tutti gli effetti essere  considerato  un'«arma  comune»,  in
quanto strumento  naturalmente  destinato  ad  offendere  l'eventuale
aggressore (cfr. sul punto, Cassazione Pen., Sez. I, 9  giugno  2004,
n. 25912 e Cassazione Pen., Sez. II, 21 novembre 2016, n. 49325). 
    Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte,  l'attribuzione
di tale tipologia di  apparati  alla  polizia  locale  non  puo'  che
risultare preclusa al legislatore regionale,  a  meno  di  sconfinare
nella citata riserva di legge statale in  materia  di  armi  prevista
dall'art. 117, comma 2, lettera d). 
    6.- D'altra  parte,  il  citato  art.  19  del  decreto-legge  n.
113/2018 ha previsto la possibilita' di avviare la sperimentazione di
armi comuni ad impulso elettrico nell'ambito dei Corpi e  Servizi  di
polizia locale dei Comuni capoluogo di provincia  e  per  quelli  con
popolazione superiore a centomila abitanti. 
    A  tale  sperimentazione,  tuttavia,  potra'  essere  dato  corso
soltanto una volta approvate, da parte della Conferenza unificata, le
linee generali in materia di formazione del personale e tutela  della
salute, di cui al citato art. 19. 
    In un secondo momento, con l'adozione  del  decreto  ministeriale
previsto  dal  comma  1-bis  del  medesimo  art.  19,  la   dotazione
sperimentale delle armi in parola sara',  altresi',  consentita  alle
polizie locali di comuni con  un  numero  di  abitanti  inferiore  ai
centomila. 
    Anche sotto tale profilo, dunque, la  norma  regionale  in  esame
appare invasiva della  competenza  del  legislatore  statale,  avendo
disciplinato  la  possibilita'  di  utilizzo   dei   dispositivi   in
questione, da parte degli operatori della polizia  locale  in  ambito
regionale, al di fuori della procedura prevista dal ridetto art.  19,
la quale, in ogni caso, sarebbe destinata ad autorizzare il  predetto
utilizzo meramente a titolo sperimentale. 
    7.- L'altro  caso  in  cui  l'ordinamento  giuridico  statale  fa
riferimento agli strumenti di dissuasione mediante  stordimento  deve
individuarsi nelle disposizioni del decreto legislativo  n.  204  del
2010, le quali ne proibiscono il porto, introducendo, a tal fine, una
previsione ad hoc nell'art. 4, comma 1, legge n. 110/1975 (cfr. anche
art. 49, regio decreto n. 635/1940). 
    Anche tale previsione conferma, quindi, le conclusioni  circa  la
illegittimita' della  norma  regionale  di  cui  all'art.  5  citato,
allorche' interviene in un ambito riservato al  legislatore  statale,
al di  fuori  del  perimetro  delle  norme  di  legge  con  le  quali
quest'ultimo ha esercitato la predetta competenza legislativa. 
    8.-  Infine,  anche  qualora  i  «dissuasori  di  stordimento   a
contatto» non fossero qualificabili come arma ad  impulso  elettrico,
giacche' inidonei al lancio di dardi o freccette, essi non  sarebbero
comunque annoverabili nella categoria degli «strumenti di tutela», ma
piuttosto in quella delle armi proprie, perche' la loro  destinazione
primaria, ancorche'  a  scopo  difensivo,  non  potrebbe  che  essere
l'offesa alla persona, atteso che il loro effetto e' quello di  porre
una persona,  con  diverso  gradiente  di  intensita',  in  stato  di
momentanea incapacita'. 
    9.- Pertanto, alla luce delle considerazioni che  precedono,  per
concludere sul punto,  la  disposizione  regionale  in  esame  merita
censura in quanto viola l'art. 117, secondo comma, lettera d),  della
Costituzione, che riserva  allo  Stato  la  competenza  esclusiva  in
materia di armi e si pone in contrasto con  le  norme  statali  sopra
citate, con le quali la  suddetta  competenza  e'  stata  esercitata,
anche con specifico riguardo ai dispositivi scrutinati  nel  presente
motivo di ricorso. 
    10.- Le  altre  disposizioni  della  legge  regionale  in  esame,
menzionate in epigrafe, appaiono costituzionalmente  illegittime,  in
quanto contrastanti  con  gli  standard  di  tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema posti dal legislatore  statale  nell'esercizio  della
competenza  esclusiva  ex  art.  117,  comma  2,  lettera  s),  della
Costituzione, avuto particolare riguardo alla  vigente  normativa  in
materia di protezione della fauna selvatica e di  prelievo  venatorio
dettata dalla legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157  (recante  «Norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per  il  prelievo
venatorio»), ritenuta da codesta ecc.ma Corte  disciplina  contenente
il nucleo  minimo  di  salvaguardia,  il  cui  rispetto  deve  essere
assicurato   sull'intero   territorio    nazionale    (sent.    Corte
costituzionale n. 21/2021). 
    Piu' specificamente, la giurisprudenza della Corte  ha  affermato
che «spetta allo Stato,  nell'esercizio  della  potesta'  legislativa
esclusiva in materia  di  tutela  dell'ambiente,  e  dell'ecosistema,
prevista  dall'art.   117,   secondo   comma,   lettera   s),   della
Costituzione, stabilire standard minimi e uniformi  di  tutela  della
fauna, ponendo regole che possono essere  modificate  dalle  regioni,
nell'esercizio della loro potesta' legislativa in materia di  caccia,
esclusivamente  nella  direzione  dell'innalzamento  del  livello  di
tutela» (sentenze n. 303 del 2103, n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012). 
II -  Illegittimita'  dell'art.  13  l.r.  Lombardia  n.  8/2021  per
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   s),   della
Costituzione, anche in relazione all'art. 12, comma 12-bis, legge  n.
157/1992. 
    11.- Orbene, l'art. 13 della l.r. n.  8/2021,  recante  «Modifica
all'art. 22 della l.r. n. 26 del 1993», aggiungendo  al  comma  7  di
tale disposizione, dopo le parole «sul posto di caccia», le  seguenti
parole: «dopo  gli  abbattimenti  o  l'avvenuto  recupero»,  e  cosi'
prevedendo che i capi  di  selvaggina  debbano  essere  annotati  sul
tesserino venatorio anche una volta avvenuta l'attivita' di recupero,
anziche' dopo l'abbattimento, si pone in  contrasto  con  l'art.  12,
comma 12-bis, della citata legge n. 157 del 1992, ai sensi del quale:
«La fauna selvatica stanziale  e  migratoria  abbattuta  deve  essere
annotata sul tesserino venatorio di  cui  al  comma  12  subito  dopo
l'abbattimento». 
    Come noto, in precedenza la Corte costituzionale, con sentenza n.
291/2019, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15,
comma 1, lettera j), della l.r. Lombardia 4  dicembre  2018,  n.  17,
nella parte in cui aveva sostituito le parole «dopo gli  abbattimenti
accertati»  con  le  parole  «dopo  gli  abbattimenti  e   l'avvenuto
recupero». 
    Nell'ambito  della  suddetta  pronuncia,  codesta  ecc.ma  Corte,
nell'attribuire al tesserino  venatorio  funzione  abilitativa  e  di
controllo per la verifica della selvaggina cacciata e il rispetto del
regime della caccia controllata (v. gia' sentenza n.  90  del  2013),
ha, altresi', posto in rilievo che attraverso le annotazioni presenti
sul tesserino  «sono  acquisiti  gli  elementi  di  conoscenza  della
consistenza numerica della fauna selvatica, necessari  a  predisporre
le misure di salvaguardia, in  special  modo  quelle  riguardanti  le
specie piu' vulnerabili». 
    L'attendibilita' dei dati raccolti risulta, inoltre, maggiormente
garantita nel momento in cui siffatto adempimento viene effettuato in
maniera tempestiva, da cio' derivando la necessita' che l'annotazione
sul  tesserino  venatorio  debba  essere   effettuata   subito   dopo
l'abbattimento, sia per la fauna selvatica stanziale che  per  quella
migratoria. 
    Al riguardo occorre evidenziare che la richiamata  previsione  di
cui all'art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157/1992, si  pone  nel
solco della procedura d'infrazione allora avviata nei confronti della
Repubblica  italiana  (caso  EU  Pilot  6955/14/EN  VI),  in   merito
all'attivita' di monitoraggio del prelievo venatorio, in relazione al
quale era stata riscontrata l'esistenza di una variegata legislazione
regionale, che consentiva di differire,  con  riferimento  alle  sole
specie migratorie, l'annotazione degli abbattimenti al termine  della
giornata di caccia. 
    Secondo  la  Commissione  europea,  dunque,  l'assenza   di   una
regolamentazione omogenea generava difficolta' nell'espletamento  dei
controlli da parte delle autorita' competenti e  il  tempo  trascorso
tra l'abbattimento  e  l'annotazione  rendeva  inattendibili  i  dati
raccolti. 
    Pertanto, l'aggiunta del comma 12-bis all'art. 12 della legge  n.
157 del 1992 si e' resa necessaria per la  chiusura  della  ricordata
procedura  e  per  garantire  una  raccolta   piu'   puntuale   delle
informazioni, derivante  dalla  contestualita'  dell'annotazione,  in
funzione dell'efficace programmazione del prelievo faunistico. 
    Ne consegue che la finalita'  di  tutela  delle  specie,  sottesa
all'art. 12, comma 12-bis,  della  legge  n.  157  del  1992,  motiva
l'inclusione  della  norma  nell'ambito  delle  prescrizioni  statali
costituenti   soglie   minime   di   protezione   ambientale   (Corte
costituzionale, sentenza n. 249 del  2019),  non  derogabili  neppure
nell'esercizio della competenza regionale in materia di caccia, salva
la possibilita' di prescrivere  livelli  di  tutela  ambientale  piu'
elevati  di  quelli  previsti  dallo  Stato  (Corte   costituzionale,
sentenze n. 174 e n. 74 del 2017, n. 278 del 2012, n. 104 del 2008  e
n. 378 del 2007). 
    Nella prospettiva  di  tutela  della  sopravvivenza  della  fauna
selvatica,  l'obbligo  di  annotazione   non   puo'   che   investire
l'abbattimento  dell'esemplare,  inteso  come  evento  effettivamente
realizzatosi, a nulla rilevando la materiale apprensione del capo. 
    Pertanto, la norma censurata, che subordina  le  annotazioni  sul
tesserino venatorio al preventivo  recupero  dell'animale,  contrasta
con la ratio sottesa alla disciplina normativa statale e  abbassa  la
soglia di protezione da essa stabilita, cosi'  violando  l'art.  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione,  nell'esercizio  della
competenza legislativa  esclusiva  prevista  dal  quale  la  suddetta
soglia deve essere fissata. 
III  -  Illegittimita'  dell'art.  17,  comma  1,  lettera  a),  l.r.
Lombardia n. 8/2021 per  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione, anche in relazione all'art. 5,  comma
7, legge n. 157/1992. 
    12.- L'art. 17 l.r. n. 8/2021, nel  modificare  l'art.  26  della
l.r. n. 26 del 1993, dispone quanto segue: 
        «1. All'art. 26 della legge regionale 16 agosto 1993,  n.  26
(Norme per la protezione  della  fauna  selvatica  e  per  la  tutela
dell'equilibrio ambientale e  disciplina  dell'attivita'  venatoria),
sono apportate le seguenti modifiche: 
          a)  al  comma  1  dopo  le  parole  «muniti   di   anellini
inamovibili» sono inserite  le  seguenti:  «in  materiale  metallico,
plastico o altro materiale idoneo»; 
          b) i commi 5-bis e 5-quater sono abrogati». 
    In particolare, con la modifica di cui all'anzidetta  lettera  a)
del comma 1, dell'articolo citato, viene consentito l'impiego di  una
fascetta inamovibile per l'identificazione dei richiami  vivi,  anche
al posto dell'unico contrassegno  ammesso  dalla  normativa  statale,
ossia l'anello inamovibile numerato. 
    La disposizione si pone, pertanto, in  contrasto  con  l'art.  5,
comma 7, della legge n. 157/1992, a  mente  del  quale,  «E'  vietato
l'uso di  richiami  che  non  siano  identificabili  mediante  anello
inamovibile, numerato secondo le  norme  regionali  che  disciplinano
anche la procedura in materia». 
    Al  riguardo  occorre  precisare  che  l'anello  inamovibile   di
dimensioni correlate al tarso di ogni specie di volatile  costituisce
tecnicamente  l'unica  forma  di   contrassegno   che   consente   di
distinguere legittimi  richiami  vivi  di  allevamento  da  marcature
apposte in maniera fraudolenta ad esemplari  catturati  illecitamente
in natura; l'anello puo', infatti,  essere  apposto  solo  nei  primi
giorni di vita degli esemplari, rimanendo inamovibile  alla  crescita
dell'animale  nei  giorni  successivi;  diversamente,  una   fascetta
potrebbe essere apposta ad esemplari adulti di illecita  provenienza,
ragion per cui le disposizioni statali non contemplano tale tipologia
di contrassegno. 
    La   tassativita'   dell'utilizzo   dell'anello    identificativo
inamovibile e la esclusivita' in capo allo Stato nella determinazione
degli «standard minimi e uniformi» in materia di tutela  della  fauna
e' stata ribadita anche  dalla  sentenza  n.  441  depositata  il  22
dicembre 2006, con la quale la Corte costituzionale ha precisato  che
l'adozione di deroghe regionali contrasta con la finalita' di  tutela
della fauna selvatica e, dunque, con la necessita'  di  garantire  un
adeguato  sistema  di  controlli,  in  ossequio  a  quanto   previsto
dall'art. 5 della legge n. 157/1992. 
    Nel caso di specie, la norma regionale, nel  fare  riferimento  a
«ogni  altro  materiale  idoneo»,  prevede,  in  maniera  palesemente
illegittima,  la  possibilita'  per  la  regione  di  determinare  la
sussistenza di una non meglio identificata idoneita'  dei  materiali,
senza tuttavia precisare quale sia  la  procedura  e  quali  siano  i
parametri e i criteri che consentano di pervenire a tale conclusione. 
    Si ritiene,  altresi',  sul  punto,  che  la  modifica  normativa
introdotta con la disposizione in esame non offra  garanzie  riguardo
alla inamovibilita' e, di conseguenza, alla verifica  della  liceita'
della nascita del soggetto in  ambiente  controllato,  in  quanto  la
proposta utilizzazione di  «anelli  in  materiale  plastico  o  altro
materiale idoneo», non  garantirebbe  la  certezza  che  il  soggetto
detenuto ai fini di richiamo  sia  realmente  frutto  di  nascita  in
cattivita', in quanto l'anellino potrebbe essere «calzato»  anche  da
soggetti adulti di provenienza non accertata. 
    Il  materiale  plastico,  contrariamente  al  metallo,  potrebbe,
difatti, essere allargato e  modificato  facilmente,  consentendo  di
applicate al tarso di un soggetto di  cattura  anellini  deformati  e
utilizzabili in modo illegale. Inoltre,  la  plastica  non  offre  le
garanzie del metallo in quanto e' soggetta a  deformarsi  nel  tempo,
consentendo  anche  la  modifica  della   stampigliatura   dei   dati
dell'allevatore,  dell'anno  di  nascita,  del  soggetto   e   numero
progressivo. 
    Per tali ragioni gli anelli in metallo offrono maggiori  garanzie
di  quelli  in  plastica,  che  non  sono  ammessi  dai   regolamenti
internazionali  e  dalla  Confederazione  ornitologica  mondiale  per
mostre e fiere ornitologiche. 
    Dal momento che le associazioni ornitologiche hanno  approvato  e
riconosciuto contrassegni metallici che vengono utilizzati  da  tutti
gli allevatori autorizzati dalle regioni  italiane,  ai  sensi  della
legge n. 157/1992 e di vigenti leggi regionali, deve ritenersi che  i
medesimi anellini siano idonei e non sostituibili con altri materiali
che non potrebbero garantire il riconoscimento dei soggetti  nati  in
cattivita'. 
    In definitiva,  e  per  concludere  sul  punto,  la  disposizione
regionale in esame viola l'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, introducendo disposizioni che, in contrasto con  l'art.
5, comma 7, della legge  n.  157/1992,  volto  a  stabilire  standard
minimi e uniformi  di  tutela  della  fauna,  in  applicazione  della
riserva di competenza legislativa  esclusiva  statale  fissata  dalla
norma  costituzionale,  fissano  regole  in  materia  di  caccia  che
abbassano il predetto livello di tutela. 
IV - Illegittimita' dell'art. 17, comma 1, lettera b), l.r. Lombardia
n. 8/2021 per violazione dell'art. 117, primo comma e secondo  comma,
lettera s), della Costituzione. 
    13.- Lo stesso art. 17 l.r. n. 8/2021, nell'abrogare  (lettera  b
del comma 1) i commi 5-bis e 5-quater dell'art. 26, l.r. n.  26/1993,
determina  la  soppressione  della  banca  dati  dei  richiami   vivi
istituita da quest'ultima norma presso la Giunta regionale. 
    A tale riguardo si evidenzia  che,  nel  dicembre  del  2010,  la
Commissione europea ebbe ad avviare la procedura  EU  PILOT  1611  /1
0/ENVI nei confronti dell'Italia per non corretta applicazione  della
Direttiva Uccelli 2009/147 CE in materia di  cattura  richiami  vivi,
seguita, nel 2014 dalla costituzione di messa in  mora  (in  data  20
febbraio 2014) dello Stato italiano. 
    Proprio a seguito dell'apertura del suddetto caso EU  Pilot  1611
/1 0/ENVI, fu costituita la banca dati dei richiami vivi, essendo  in
tale contesto emersa la necessita'  per  le  regioni  di  dotarsi  di
siffatto strumento compendiante i dati dei richiami vivi detenuti dai
cacciatori, al fine  di  soddisfare  il  requisito  delle  condizioni
rigidamente  controllate,  previsto  dall'art.  9,  comma  1,   della
direttiva 2009/147/CE. 
    Nel  merito,  infatti,  era  stata  contestata  alla   Repubblica
italiana la violazione dell'art. 8, in combinato  con  l'allegato  IV
art. 8 della  Direttiva  Uccelli  con  riferimento  alla  caccia,  la
cattura o l'uccisione di uccelli nel quadro della medesima direttiva,
che prescrive agli Stati membri di vietare  il  ricorso  a  qualsiasi
mezzo, impianto o metodo di cattura o di uccisione  in  massa  o  non
selettiva o  che  possa  portare  localmente  all'estinzione  di  una
specie, in particolare di quelli elencati  all'allegato  IV,  lettera
a). Tale violazione si configurava anche in ragione del fatto che  le
disposizioni oggetto della procedura erano state adottate  senza  che
fossero rispettate le condizioni previste dall'art. 9 (deroghe). 
    Dunque l'introduzione, nella legislazione regionale lombarda, del
comma 5-bis, dell'art. 26, l.r. n. 26/1993,  prevista  dalla  l.r.  3
aprile 2014, n 14, aveva stabilito la costituzione della  banca  dati
regionale dei richiami vivi di  cattura  e  allevamento  appartenenti
alle specie di cui all'art. 4 della legge n. 157/1992,  detenuti  dai
cacciatori «al fine di garantire le condizioni previste dall'art.  9,
comma 1, lettera c) della Direttiva 200911 47/CE». 
    E' pertanto evidente che, attraverso l'abrogazione della suddetta
banca dati, la regione ha contravvenuto  al  formale  impegno  a  suo
tempo assunto  al  fine  di  ottenere  l'archiviazione  della  citata
procedura  PILOT,   violando   l'art.   117,   primo   comma,   della
Costituzione, nonche', ancora una volta, l'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), della Carta costituzionale. 
V -  Illegittimita'  dell'art.  25,  l.r.  lombardia  n.  8/2021  per
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   s),   della
Costituzione, anche in relazione agli articoli 5, comma 7, 27  e  28,
legge n. 157/1992. 
    14.- L'art. 25 della l.r. n. 8/2021, recante  «Modifica  all'art.
48 della l.r. n. 26 del 1993», dispone quanto segue: 
        «1. All'art. 48 della legge regionale 16 agosto 1993,  n.  26
(Norme per la protezione  della  fauna  selvatica  e  per  la  tutela
dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attivita' venatoria)  e'
apportata la seguente modifica: 
          a) al comma 6-bis le parole  «L'attivita'  di  vigilanza  e
controllo e' svolta» sono sostituite dalle seguenti: «L'attivita'  di
vigilanza e controllo sugli anellini inamovibili  da  utilizzare  per
gli uccelli da richiamo di cui ai commi 1, 1-bis e 3 dell'art. 26  e'
svolta   verificando    unicamente    la    presenza    dell'anellino
sull'esemplare e deve essere effettuata». 
    Cosi' disponendo, la modifica introdotta  dalla  norma  in  esame
riduce fortemente l'ambito della funzione di vigilanza e controllo in
materia faunistico-venatoria, svolta dagli agenti di vigilanza  sugli
anellini inamovibili da utilizzare per gli uccelli da richiamo. 
    In base al precedente testo del comma 6-bis dello stesso art. 48,
infatti, prima della modifica, la suddetta attivita' era  esercitata,
in generale, «nel massimo rispetto  del  benessere  animale  e  senza
pratiche invasive o manipolazioni che  possano  arrecare  danni  alla
salute dei volatili». 
    Invece ora, a seguito della modifica, la  norma  prevede  che  il
controllo e  la  vigilanza  si  svolgano  verificando  unicamente  la
presenza dell'anellino sull'esemplare di uccello da richiamo. 
    La modifica si  pone  in  evidente  contrasto  con  la  normativa
nazionale di  settore,  stabilendo  una  oggettiva  limitazione  alla
possibilita',  per  il   personale   di   vigilanza,   di   espletare
compiutamente la propria attivita' di pubblico interesse  finalizzata
al controllo sul rispetto delle norme vigenti nello Stato. 
    In particolare, ai sensi dell'art. 5,  comma  7  della  legge  n.
157/1992, «E' vietato l'uso di richiami che non siano  identificabili
mediante anello inamovibile, numerato secondo le norme regionali  che
disciplinano anche la procedura in materia». L'eventuale violazione a
siffatto  precetto  normativo,   trova   una   precisa   collocazione
sanzionatoria di natura  penale,  nell'art.  30,  lettera  h),  della
medesima legge. 
    La giurisprudenza di legittimita' si e' gia' piu' volte  espressa
sull'illiceita' di comportamenti idonei a rendere non  identificabili
i richiami vivi. 
    In particolare, con la sentenza n. 7949/2013 del 19 febbraio 2013
(Udienza del 20 settembre 2012), la Terza Sezione penale della  Corte
di cassazione ha riconosciuto il reato di  uso  di  mezzi  di  caccia
vietati, nel caso di richiami vivi non identificabili tramite  anello
inamovibile. 
    Con la successiva sentenza n. 33152 del 25 novembre  2020,  la  V
Sezione penale della Corte di cassazione ha, altresi', precisato  che
ricorrerebbe il reato di cui all'art. 468, comma 2, del codice penale
qualora venisse posta  in  essere  una  contraffazione  degli  anelli
identificativi dei richiami,  laddove  espressamente  destinati  alla
funzione di pubblica attestazione (e' questo  il  caso  degli  anelli
inamovibili rilasciati dalla pubblica amministrazione competente  per
scongiurare l'uso fraudolento di richiami vivi provento  di  illecite
catture in natura), senza nulla rilevare in merito  al  sequestro  di
richiami vivi con  anelli  danneggiati  ad  opera  del  personale  di
vigilanza operante. 
    Cio' posto, la  modifica  apportata  dal  legislatore  regionale,
limitando la funzione  dell'agente  accertatore  e  costringendolo  a
verificare «unicamente la presenza dell'anellino»,  senza  consentire
in alcun modo di maneggiare l'animale, impedisce di verificare sia la
sussistenza del requisito della inamovibilita'  dell'anello,  sia  la
numerazione che sullo stesso deve, essere indicata. 
    Tali  limiti   comportano,   dunque,   la   mancata   sussistenza
dell'ulteriore requisito  della  identificabilita',  con  conseguenti
riflessi (in termini impeditivi) sull'espletamento dell'attivita'  di
vigilanza, in uno degli ambiti che ha riscontrato il  maggior  numero
di irregolarita' in sede europea (cfr. caso EU Pilot 1611 /1 0/ENVI). 
    In ragione  di  cio',  il  divieto  di  verifica  sugli  anellini
inamovibili e' da ritenersi in contrasto con i compiti  di  vigilanza
venatoria stabiliti dagli articoli 27 e 28 della legge  n.  157/1992,
in cui risultano ricompresi anche quelli sugli anelli inamovibili dei
richiami vivi, riducendo i livelli minimi  di  tutela  ambientale  in
materia. 
    Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro  normativo
eurounitario e statale in cui  si  colloca  la  tutela  delle  specie
oggetto della disposizione censurata, si rileva  il  contrasto  della
norma regionale con il secondo comma, lettera s), dell'art. 117 della
Costituzione, poiche' tendente a  ridurre  in  peius  il  livello  di
tutela della fauna selvatica stabilito dalla legislazione  nazionale,
invadendo illegittimamente la competenza legislativa esclusiva  dello
Stato  in  materia  di  tutela   dell'ambiente   e   dell'ecosistema,
esercitata con le menzionate disposizioni della legge n. 157/1992.