Ricorso ex art. 127, comma 1, Cost. per il Presidente del Consiglio dei Ministri - (C.F. 80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, telefax n. 06.96.51.40.00; indirizzo PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, giusta delibera del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 20 aprile 2020 ricorrente; contro Regione Abruzzo, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica intimata per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli artt. 2, 3 e 8, comma 2 e 3, della legge Regione Abruzzo del 8 giugno 2021, n. 14, pubblicata nel BUR n. 115 del 9 giugno 2021, recante "Nuova disciplina del Parco naturale regionale Sirente Velino e revisione dei confini. Modifiche alla l.r. 42/2011". per violazione degli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 97 e 117, secondo comma, lettere g) h), l) m) ed s) Cost. in relazione agli artt.9, commi 8bis e 9, 22, comma 1, lett. a) e c), 23, 24, comma 1, L.394/1991 (Legge quadro sulle aree protette), all'art.6, DLGS 152/2006, della Direttiva 2009/147/CE, della direttiva 42/2001/CE, dell'art.6, comma 3, della Direttiva 43/92/CE come recepito dall'art.6 DPR 120/2003 che ha sostituito l'art.5 DPR 357/1997, agli artt. 135, 140, comma 2, 142, comma 1, lett. c, d, f) g), 143, commi 1, lett.c) e 9, 145, commi 3 e 5, 167 , comma 4, 181 del D.LGS. n. 42/2004 (codice dei beni culturali), alla L.47/1985, all'art.32, comma 27, DL n.269/2003, agli artt.55 e 57, commi 1 e 2 cpp, agli 133-141 TULPS e 254 del regolamento di esecuzione di cui al RD 635/1940. 1. Con la legge n.14 dell'8 giugno 2021 la regione Abruzzo ha introdotto la "Nuova disciplina del Parco naturale regionale Sirente Velino e revisione dei confini. Modifiche alla l.r. 42/2011". In particolare, l'art. 2 della predetta legge, che ha sostituito l'art.2 della previgente L.R. Abruzzo n.42/2011 - contenente "Nuova disciplina del Parco Naturale regionale Sirente Velino" - prevede "I confini del Parco naturale regionale Sirente Velino sono individuati come da cartografia in scala 1:100.000 allegata alla presente legge (Allegato 1) e come da cartografia in scala 1:25.000 depositata presso il competente ufficio della Giunta regionale. 2. Il territorio dell'area del Parco comprende i seguenti comuni suddivisi in tre aree comprensoriali: a) Area Subequana: Acciano, Castel di Ieri, Castelvecchio Subequo, Fagnano Alto, Fontecchio, Gagliano Aterno, Goriano Sicoli, Molina Aterno, Ocre, San Demetrio ne' Vestini, Secinaro, Tione degli Abruzzi; b) Area Marsicana: Aielli, Celano, Cerchio, Collarmele, Magliano dei Marsi, Massa d'Albe, Pescina; c) Area dell'Altopiano Sirente Velino: Ovindoli, Rocca di Mezzo e Rocca di Cambio. 3. Le designazioni di cui al comma 6 dell'articolo 11, lettera a), della l.r. 38/1996 sono effettuate garantendo la rappresentativita' di ogni area comprensoriale di cui al comma 2; a tal fine i delegati dei Comuni di ogni area designano i propri rappresentanti con votazioni separate, il cui esito e' ratificato con un'unica deliberazione della Comunita' del Parco. 4. La gestione del Parco, ai sensi dell'articolo 23 della I. 394/1991 e dell'articolo 11 della l.r. 38/1996, e' affidata all'Ente di diritto pubblico denominato Ente Parco Naturale Regionale Sirente Velino, di seguito denominato Ente Parco. 5. L'Ente Parco esercita la direzione e l'amministrazione del Parco ed attua le attivita' necessarie per il conseguimento delle finalita' di cui all'articolo 1.". Il successivo art.3, rubricato "Modifiche all'art.3 della L.R. 42/2011", nel sostituire i commi da 2 a 26 dell'art. 3 della L.R. 42/2011, dispone: "1. All'articolo 3 della L.R. 42/2011 i commi da 2 a 26 sono sostituiti dai seguenti: "2. Sono organi dell'Ente Parco: a) il Presidente; b) il Consiglio direttivo; c) la Comunita' del Parco; d) il Revisore unico. 3. Il Presidente e' nominato con decreto del Presidente della Regione, su proposta della Comunita' del Parco, d'intesa con l'Assessore preposto, tra soggetti dotati di esperienza e competenza in materia amministrativa e in materia di tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio pubblico, naturalistico ed ambientale. 4. La proposta di cui al comma 3 e' formalizzata dalla Comunita' del Parco con apposita deliberazione approvata a maggioranza assoluta. 5. Il Presidente: a) ha la legale rappresentanza dell'Ente, ne coordina l'attivita', convoca e presiede le sedute del Consiglio direttivo; b) esercita i poteri di cui all'articolo 29 della L. 394/1991 e le altre funzioni attribuitegli dalla legge e dallo Statuto; c) in casi straordinari di necessita' ed urgenza, adotta provvedimenti di competenza del Consiglio direttivo, portandoli a ratifica nella prima seduta utile; qualora il Consiglio direttivo non sia ancora costituito, richiede preventivamente il parere dell'ufficio regionale preposto che puo' opporre motivato diniego entro sette giorni dalla data di notifica della richiesta. 6. Il Consiglio direttivo e' composto dal Presidente e da sei membri dei quali: a) tre nominati con decreto del Presidente della Giunta regionale su designazione della Comunita' del Parco come espressione del territorio dell'area protetta, previa votazione segreta con voto limitato ad un nominativo; possono essere designati anche esperti scelti all'esterno degli organi rappresentativi della Comunita'; b) tre nominati dal Consiglio regionale tra esperti in campo ambientale e con esperienza amministrativa o gestionale in enti pubblici. 7. In caso di mancata designazione dei membri, o di parte di essi, di cui alla lettera a), comma 6 entro sessanta giorni dall'insediamento di cui al comma 16, decorsi infruttuosamente ulteriori dieci giorni dall'invio della richiesta fatta dall'ufficio regionale competente, la Giunta regionale provvede alle nomine sostitutive. 8. Il Consiglio direttivo puo' validamente esercitare le funzioni di competenza quando sia composto da almeno quattro membri. 9. I membri del Consiglio direttivo, compreso il Presidente, durano in carica cinque anni con decorrenza dallo specifico atto di nomina e non possono essere nominati per piu' di due volte consecutive. 10. Il Consiglio direttivo nella prima seduta elegge al proprio interno, a votazione segreta e a maggioranza dei votanti, un Vicepresidente. 11. In caso di cessazione dalla carica del Presidente, per qualsiasi motivo, le funzioni sono esercitate dal Vicepresidente ed entro 45 giorni dalla cessazione e' convocata la Comunita' del Parco per la formalizzazione della proposta di cui al comma 4. 12. Il Consiglio direttivo: a) delibera su questioni generali, bilanci, programmi triennali e annuali, contrazione di mutui, acquisti e alienazioni immobiliari; b) ratifica gli atti adottati dal Presidente ai sensi del comma 5, lettera c); c) adotta il Piano del Parco e il Regolamento, ai sensi dell'articolo 14 della L.R. 38/1996; d) adotta lo Statuto dell'Ente Parco, ai sensi dell'articolo 13 della L.R. 38/1996. 13. Al Presidente dell'Ente Parco spetta un'indennita' pari al 60% di quella attribuita per la medesima carica dai parchi nazionali. 14. Al Vicepresidente e ai membri del Consiglio direttivo spetta un gettone di presenza pari ad euro 30,00 per ogni seduta, oltre al rimborso delle spese di viaggio debitamente documentate. 15. La Comunita' del Parco e' costituita dai Sindaci, o Consiglieri comunali delegati, e dal Presidente della Provincia o Consigliere provinciale delegato, dei Comuni e delle Province i cui territori sono ricompresi, anche parzialmente, all'interno del territorio del Parco. 16. Entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge istitutiva del parco naturale regionale, il componente la Giunta competente provvede all'insediamento della Comunita' del Parco. 17. La Comunita' del Parco ha compiti consultivi e propositivi. In particolare il suo parere e' obbligatorio. a) sullo Statuto dell'Ente Parco; b) sul Piano del Parco e sul Regolamento del Parco; c) sul bilancio di previsione e sul conto consuntivo; d) su altre questioni, a richiesta di un terzo dei componenti del Consiglio direttivo. 18. La Comunita' del Parco elegge al suo interno un Presidente ed un Vicepresidente e puo' adottare un proprio regolamento interno per il suo funzionamento. La Comunita' del Parco e' convocata dal Presidente almeno due volte l'anno e quando venga richiesta la convocazione da parte di un terzo dei suoi componenti o su richiesta del Presidente dell'Ente Parco. 19. Ai componenti della Comunita' del Parco spettano i rimborsi delle spese di viaggio debitamente documentate, limitatamente per incarichi conferiti dall'Ente. 20. Ai sensi di quanto disposto dall'articolo 16 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento amministrativo) i pareri di competenza della Comunita' del Parco di cui al comma 17 si intendono favorevolmente acquisiti trascorsi venti giorni dalla avvenuta trasmissione degli atti da parte del Presidente dell'Ente Parco. 21. La Giunta regionale, con proprio provvedimento, in caso di vacatio degli organi direttivi, puo' affidare la gestione ad un Commissario scelto tra i dipendenti del Dipartimento competente. 22. Il Revisore unico e' nominato dal Consiglio regionale ed e' scelto tra coloro che sono iscritti nel registro di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 (Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE). 23. Il Revisore unico esercita il riscontro contabile sugli atti dell'Ente Parco secondo le norme di contabilita' dello Stato e sulla base dei regolamenti di contabilita' dell'Ente Parco e la vigilanza sulla regolarita' contabile e finanziaria della gestione dell'Ente Parco. Redige una relazione sul bilancio di previsione e sul conto consuntivo e formula proposte tendenti a conseguire una migliore efficienza ed economicita' della gestione. 24. E' obbligatorio acquisire il parere del Revisore unico sul bilancio preventivo economico e sul conto consuntivo. 25. Il Revisore unico, qualora riscontri gravi irregolarita' nella gestione dell'Ente Parco, ne riferisce immediatamente al Consiglio direttivo ed alla Giunta regionale. 26. Il Revisore ha diritto di accesso agli atti e ai documenti dell'Ente Parco e puo' partecipare, senza diritto di voto, alle sedute del Consiglio direttivo. 27. Il Revisore unico dura in carica cinque anni e non puo' essere rinominato presso lo stesso Ente Parco. 28. Al Revisore unico compete un compenso lordo annuo, determinato dal Consiglio direttivo, nel rispetto della legge regionale 4 luglio 2019, n. 15 (Disposizioni in materia di tutela delle prestazioni professionali e di equo compenso). Al medesimo e' riconosciuto il rimborso delle spese di viaggio debitamente documentate, se sostenute per l'utilizzo di mezzi pubblici, ovvero un'indennita' chilometrica pari ad 1/5 del costo di un litro di benzina, per ogni chilometro percorso con il mezzo proprio, dalla sede del proprio domicilio a quella del Parco. 29. In merito alla quantificazione dei compensi e dei gettoni di presenza, l'Ente Parco assicura il rispetto delle disposizioni nazionali in materia di coordinamento della finanza pubblica e di contenimento della spesa ove applicabili. 30. Sono incompatibili con le cariche di cui alle lettere a), b) e d) del comma 2: a) coloro che hanno riportato condanne che non consentono l'iscrizione nelle liste elettorali, salvi gli effetti della riabilitazione; b) i dipendenti dell'Ente Parco; c) coloro che hanno con l'Ente Parco liti pendenti rientranti nella giurisdizione della magistratura ordinaria, amministrativa o tributaria; d) coloro che hanno parte in imprese che forniscono beni o rendono servizi per conto dell'Ente Parco; e) i Parlamentari nazionali o europei; f) i Consiglieri o Assessori regionali; g) i Sindaci e Assessori di Comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti; h) i Presidenti delle Camere di Commercio; i) il Presidente ed il Vicepresidente della Comunita' del Parco; j) gli Amministratori di enti, aziende ed agenzie dipendenti, vigilate o societa' partecipate dalla Regione. 31. Le cause di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 30 comportano, qualora intervengano in corso di mandato, la decadenza dall'incarico; per le restanti cause l'interessato esercita l'opzione entro 15 giorni dalla seconda nomina, a seguito dei quali decade automaticamente dall'incarico presso l'Ente Parco.". Infine, l'art.8, novellando l'art.12 della precedente L.R. n.42/2011, stabilisce al comma 2, lett.c) che "c) ad apposite guardie del parco assegnate all'Ente Parco cui e' attribuita la qualifica di agente di polizia giudiziaria di cui all'articolo 57 del codice di procedura penale con apposito decreto prefettizio nei limiti territoriali dell'area protetta di competenza; ed al comma 3) che "3. Il personale di cui alle lettere c) ... del comma 2 svolge il proprio servizio in divisa ed e' munito di tesserino di riconoscimento rilasciato dall'Ente Parco.". 2. Le predette disposizioni intervengono in modifica della disciplina del Parco Naturale regionale Sirente-Velino con revisione e riduzione dei suoi confini, restando esclusa l'area di circa 6.400 ettari, in una materia che coinvolge sia profili di tutela ambientale che paesaggistica la cui conservazione e valorizzazione, come codesta Corte ha in piu' occasioni affermato, spetta, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenza n. 172 del 2018; n. 367 del 2007). Con le disposizioni sopra riportate il legislatore regionale, come si spieghera', non ha rispettato la sfera di competenze ad esso destinate, ed ha violato la legislazione emanata dallo Stato nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela del paesaggio, dell'ambiente e dell'ecosistema nonche' in quella di ordinamento penale, che gli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. l), m e s), della Costituzione, attribuiscono in via esclusiva allo Stato. Pertanto, il Presidente del Consiglio dei Ministri propone il presente ricorso, affidandolo ai seguenti motivi in Diritto 1.Illegittimita' dell'art.2 della legge della Regione Abruzzo n.14 dell'8 giugno 2021, A) sotto il profilo della tutela ambientale , per violazione degli artt.9, secondo comma, e 117, secondo comma, lett. s) Cost. in relazione agli obiettivi fissati dalla Strategia europea per la Biodiversita' 2030, agli artt. 22, comma 1, lett. a) e c) e 23, 1 comma, della L. n.394/1991 (Legge quadro sulle aree protette), alla Direttiva 147/2009/CE, alla direttiva 42/2001/CE, all'art. 6 del DLGS 3 aprile 2006, n. 152, all'art.6, comma 3, della Direttiva 43/92/CE, come recepito dall'art.6 del DPR 120/2003, all'art.5 del DPR 357/1997; B) sotto il profilo della tutela paesaggistica, per violazione degli artt.3, 9, secondo comma, 97 e 117, secondo comma, lett. l, m) e s) Cost., in relazione agli artt. 135, 140, comma 2, 142, comma 1, lett. c, d, f, g), 143, commi 1, lett.c) e 9, 145, commi 3 e 5, 167, comma 4, 181 DLGS 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio); alla 1.47/1985, all'art.32, comma 27, DL n.269/2003. 1.A. Sotto il profilo della tutela ambientale. 1.A.a. La norma in esame contempla una nuova perimetrazione, di minore consistenza, attesa l'esclusione di 6.400 ettari, dell'area del Parco regionale Sirente-Velino. In materia ambientale, la Legge quadro sulle aree protette - legge 6 dicembre 1991, n. 394 - contiene i principi fondamentali ai quali le Regioni sono tenute ad adeguarsi, in quanto tale disciplina e' stata reiteratamente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e n. 36 del 2017 Corte Cost.) perche' espressione della competenza esclusiva dello Stato a porre standards uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, non derogabili in peius dalle regioni, pena l'invasione di un ambito di esclusiva spettanza statale. L'art. 23 della suddetta legge quadro sulle aree protette (n. 394/1991) al primo comma dispone: «1. La legge regionale istitutiva del parco naturale regionale, tenuto conto del documento di indirizzo di cui all'articolo 22, comma 1, lettera a), definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il parco, di cui all'articolo 25, comma 1, nonche' i principi del regolamento del parco.» ed il richiamato art. 22, comma 1, lett. a), stabilisce che «Costituiscono principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali: a) la partecipazione delle province, delle comunita' montane e dei comuni al procedimento di istituzione dell'area protetta, fatta salva l'attribuzione delle funzioni amministrative alle province, ai sensi dell'articolo 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Tale partecipazione si realizza, tenuto conto dell'articolo 3 della stessa legge n. 142 del 1990, attraverso conferenze per la redazione di un documento di indirizzo relativo all'analisi territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione provvisoria, all'individuazione degli obiettivi da perseguire, alla valutazione degli effetti dell'istituzione dell'area protetta sul territorio» a garanzia, come disposto alla lett.c), per gli enti locali di partecipare alla gestione dell'area protetta, non potendo gli stessi essere estromessi dal procedimento con cui si compie un atto di evidente rilievo gestionale, quale quello di variazione dei confini del parco. L'art.2 dell'impugnata legge, rubricato "Ente Parco e confini", nel far riferimento alla cartografia in allegato 1 e nel richiamare, per sostituirlo, l'art.2 della L.42/2011 ed il suo allegato 1, ha disposto la riduzione del perimetro del Parco Regionale Sirente - Velino, come precedentemente risultante dalla cartografia presente nella normativa modificata di cui all'art.2 L.R. 42/2011. Ma nel disporre cio', in primo luogo, non ha rispettato gli obiettivi fissati dalla Strategia europea per la Biodiversita' 2030, la quale richiede ad ogni Stato membro di individuare una superfice protetta pari al 30% del territorio nazionale, e, di questa, a considerare strettamente protetto il 10%. In secondo luogo, la variazione dei confini, contenuta nell'art.2, che non ha comportato modifiche del piano del parco, anziche' essere effetto della partecipazione dei rappresentanti degli enti locali, risulta essere stata attuata direttamente con la legge, senza aver posto in essere il medesimo procedimento seguito dal legislatore per la perimetrazione provvisoria dei confini, nel quale, ai sensi dell'art. 22 della legge quadro, erano state coinvolte anche le autonomie locali. 1.A.b. L'art.2, riducendo l'area del Parco di 6.400 ettari, si pone ancora in contrasto con la Direttiva 2009/147/CE, che ha formalmente riconosciuto tutta l'area quale Zona di Protezione Speciale -codice IT7110130 della Rete Natura2000 della UE - rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell'Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE "Habitat" e costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla stessa Direttiva Habitat, che vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e che comprende le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della suddetta Direttiva 2009/147/CE "Uccelli" concernente la conservazione degli uccelli selvatici - riconoscimento in relazione al quale il Parco regionale Sirente-Velino, per mezzo dello Stato italiano, ha percepito cospicui finanziamenti dalla Commissione Europea al fine di tutelare l'Orso bruno, oggetto dell'accordo PATOM (Accordo tra Pubbliche Amministrazioni per l'implementazione del Piano d'Azione per la tutela dell'Orso bruno marsicano). Conseguentemente, la sancita esclusione di siffatta, estesa porzione di territorio dal Parco Regionale, in riferimento alle leggi nazionali ed eurounitarie e alle misure di conservazione attualmente vigenti nelle aree della Rete Natura 2000, interessate dalla riperimetrazione, che avevano tenuto conto dei vincoli imposti dal Parco Regionale, avra' come conseguenza che, venendo meno anche i vincoli imposti su tale porzione di territorio, lo Stato italiano rischiera' la contestazione, anche in sede comunitaria, dell'inefficacia di dette misure di conservazione, con correlati riflessi anche sullo stesso accordo PATOM. 1.A.c. In una visione complessiva e di sistema degli impatti della norma regionale e nella ipotizzabile riconducibilita' della intervenuta riperimetrazione del Parco regionale alla nozione di "Piano", si delineano anche potenziali riflessi contrastanti con l'art. 6, DLGS 3 aprile 2006, n. 152 «in considerazione dei possibili impatti sulle finalita' di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica». Cio', tenuto conto della ampia nozione di "piano", recata dalla Direttiva 42/2001/CE sulla Valutazione Ambientale Strategica, come recepita dal legislatore nazionale, in relazione alla quale la Commissione Europea e' intervenuta piu' volte chiarendo, sulla base di una uniforme giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ("[...] in considerazione della finalita' della direttiva 2001/42, consistente nel garantire un livello elevato di protezione dell'ambiente, le disposizioni che delimitano l'ambito di applicazione di tale direttiva, ed in special modo quelle che enunciano le definizioni degli atti ivi previsti, devono essere interpretate in senso ampio" sentenza C-567/10, punti 24-43). La Valutazione Ambientale Strategica deve, quindi, essere prevista per tutte quelle decisioni che determinano effetti sulle modalita' di uso di una determinata area, provocandone un sostanziale cambiamento. In proposito, sul concetto di "piano", si richiamano i paragrafi 3.3, 3.4, 3.5 e 3.6 del documento della Commissione Europea "Attuazione della direttiva 2001/42/ce concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente", in cui viene chiarito, in maniera inequivocabile, che "uno dei possibili parametri di valutazione puo' essere la misura in cui e' probabile che un atto abbia effetti significativi sull'ambiente. Una possibile interpretazione e' che i termini includano qualsiasi dichiarazione ufficiale che vada oltre le aspirazioni e stabilisca un corso di azione per il futuro" e, piu' avanti, "Cio' potrebbe includere, ad esempio, piani per la destinazione dei suoli che stabiliscano le modalita' di riassetto del territorio o che fissino delle regole o un orientamento sul tipo di sviluppo che potrebbe essere appropriato o consentito in determinate aree o ancora che propongano i criteri da tenere in considerazione nel concepimento del nuovo progetto". Tra l'altro, si deve anche considerare che la VAS e' ancora piu' rilevante nei procedimenti che hanno per oggetto la rete Natura 2000 e, sempre in tale ottica, a tale violazione si accompagnerebbe anche quella, correlata, della mancata sottoposizione del provvedimento a Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA), di cui all'art. 6, comma 3, della Direttiva 43/92/CE, come recepito dall'art. 6, DPR 12 marzo 2003, n. 120, che ha sostituito l'art. 5, DPR 8 settembre 1997, n. 357, applicabile anche ai piani e ai programmi (anche in questo caso la Commissione Europea, a pag. 41 del documento "Gestione dei siti Natura 2000 - Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat)" ha osservato: "Di ovvia rilevanza a norma della direttiva Habitat sono i piani territoriali o di destinazione dei suoli. Alcuni di essi hanno effetti legali diretti per la destinazione d'uso dei terreni, altri invece soltanto indiretti. A titolo di esempio, i piani territoriali regionali o aventi un'ampia estensione geografica spesso non sono applicati direttamente, bensi' costituiscono la base per piani piu' dettagliati o fungono da quadro generale per consensi allo sviluppo con effetti legali diretti. Entrambi i tipi di piani di destinazione dei suoli si dovrebbero considerare coperti dall'articolo 6, paragrafo 3, nella misura in cui possono avere effetti significativi su un sito Natura 2000.") Pertanto, la Regione Abruzzo, attraverso un apposito screening di Valutazione di Incidenza Ambientale, avrebbe dovuto valutare quale effetto avra' il provvedimento sull'Orso bruno, presente nei siti SIC/ZPS (e anche esternamente ad essi, nelle aree oggetto appunto della riperimetrazione) limitrofi al territorio ora escluso dall'area protetta. A riguardo, va ribadito quanto gia' affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 38/2015, per cui "la disciplina della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di "Natura 2000", contenuta nell'art. 5 del regolamento di cui al d.P.R. n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", rientrante nella competenza esclusiva statale, e si impone a pieno titolo, anche nei suoi decreti attuativi, nei confronti delle Regioni ordinarie". 1.B. Sotto il profilo della tutela paesaggistica. Per effetto della revisione in senso riduttivo dei confini, effettuata dall'art. 2 della legge regionale in esame, parte dei territori dei Comuni, prima ricompresi nel Parco, sono sottratti oltre che alla tutela naturalistica, quali aree protette, anche alla correlata tutela paesaggistica, imposta ex lege sulle medesime aree, ai sensi dell'art.142, comma 1, lett. f), del Codice dei beni culturali e del paesaggio (di seguito, anche solo codice) di cui al DLGS 42/2004. Si tratta, ad esempio, del comune di Fagnano Alto e dei pregevoli centri del comune di Acciano, nonche' del centro storico di Gagliano Aterno, che risultera' completamente sprovvisto di strumenti di tutela. La scelta regionale risulta completamente immotivata e gravemente penalizzante per la tutela del paesaggio, che ha finora mantenuto intatta la propria rilevante valenza ambientale ed estetica, fortemente rinaturalizzato dal bosco e contraddistinto da centri storici con caratteri di grande pregio, pur se notevolmente danneggiati a causa del sisma del 2009 e quasi disabitati. L'art. 142, comma 1, lett.f), del Codice contempla, tra le categorie di beni tutelati paesaggisticamente per legge, "i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonche' i territori di protezione esterna dei parchi", gia' riconosciuti meritevoli di tutela ope legis dalla legge n. 431/1985 (c.d. legge Galasso), in quanto considerate "comunque di interesse paesaggistico" e percio' sottoposte alla normativa di tutela. Il contesto naturalistico-ambientale di spiccato rilievo paesaggistico, costituito dal Parco Naturale Regionale del Sirente-Velino risulta, quindi, integralmente tutelato ope legis anche dal punto di vista paesaggistico, oltre che dal punto di vista naturalistico, da oltre trent'anni. Alcune porzioni dello stesso contesto sono tutelate paesaggisticamente anche in riferimento alla previsione di cui alle lettere d), c) e g) dell'art. 142, comma 1, del Codice. Sono inoltre presenti aree tutelate con decreti ministeriali (D.M. 21/6/85 Gole di San Venanzio e D.M. 21/6/85 Monte Sirente). II perimetro originario del Parco risulta, inoltre, riportato come "Parco esistente" nel Piano Paesistico Regionale (PPR) vigente, approvato con atto del Consiglio Regionale 141/21 del 1990, cosi' come nello strumento adottato nel 2004, e nel redigendo Piano paesaggistico, per il quale e' prevista la co-pianificazione con il Ministero della cultura, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio che prevede che le aree tutelate per legge siano necessariamente comprese nell'elaborazione del Piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lett.c), e siano oggetto di co-pianificazione obbligatoria tra lo Stato e le Regioni (art. 135). Al riguardo, si precisa che, benche' l'attivita' di co-pianificazione non abbia ancora condotto alla definitiva approvazione del Piano paesaggistico regionale, ai sensi del Codice, sono tuttora pienamente validi ed efficaci gli accordi tra la Regione Abruzzo e il Ministero della Cultura oggetto dell'Intesa sottoscritta nel 2009 e del disciplinare aggiornato, sottoscritto in data 8 giugno 2016. Tali accordi si riferiscono a tutto il territorio regionale. L'iter di elaborazione e approvazione della legge regionale in esame, invece, non ha previsto alcun coinvolgimento degli Uffici territoriali di detto Ministero costituendo l'espressione di una scelta unilaterale della Regione Abruzzo su una materia che attiene all'attivita' di copianificazione paesaggistica obbligatoria. La modifica unilaterale dei confini del Parco regionale, in senso riduttivo, da parte della Regione, quindi, e' costituzionalmente illegittima in quanto un'ampia parte del territorio regionale, pur mantenendo invariati i caratteri di pregio riconosciuti da oltre trent'anni, viene esclusa dal perimetro del Parco naturale e, conseguentemente, sottratta oltre che alla tutela naturalistica anche a quella paesaggistica. Seppure alle Regioni sia consentito legittimamente modificare i confini dei parchi regionali con propria legge, come di recente affermato dalla Corte Costituzionale - che ha ritenuto legittimo l'ampliamento del Parco regionale dell'Appia Antica da parte della Regione Lazio con la legge regionale n. 7/2018 (sentenza n.276/2020) - deve tuttavia rimarcarsi che, in quel caso, si trattava di un ampliamento dei confini del Parco, e conseguentemente, anche di ampliamento del relativo vincolo paesaggistico, attivita' conforme alla costante giurisprudenza della Corte che riconosce alle Regioni, in materia ambientale, la potesta' di dettare leggi volte unicamente a incrementare il livello della tutela, e non certo a ridurlo. La Corte ha riconosciuto alle Regioni un ruolo integrativo e concorrente, meramente aggiuntivo e non sostitutivo, della potesta' statale in materia di tutela dei beni culturali (cfr. sentenza Corte cost. n. 194/2013); ruolo da ritenersi analogamente predicabile anche in materia di tutela del paesaggio, ove le Regioni esercitano le specifiche competenze amministrative alle stesse attribuite dal Codice. Con la legge in esame, la Regione Abruzzo ha, quindi, ecceduto i limiti propri dell'autonomia regionale, come delimitati dalle pronunce della Corte (da ultimo, cfr. sentenza n. 134/2020, nella quale si afferma: "Questa Corte ha infatti ripetutamente ricondotto all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. la disciplina ambientale dei parchi (da ultimo, sentenze n. 290 del 2019; n. 121 del 2018), pur riconoscendo che il parco regionale resta «tipica espressione dell'autonomia regionale» (sentenza n. 108 del 2005), e che esso «ben puo' essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost., purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le Regioni» (sentenza n. 44 del 2011)". 1.B.a. Nello specifico, l'art. 2 della legge regionale si pone anzitutto in contrasto con l'art. 142, comma 1, Iett.f), del Codice che sottopone a tutela paesaggistica per legge i territori dei parchi e delle riserve, nonche' le fasce di protezione esterna dei parchi, in ragione del valore paesaggistico intrinseco che tali aree presentano per le loro caratteristiche morfologiche e ubicazionali. La norma regionale, riducendo notevolmente i confini del Parco, inteso quale bene paesaggistico, sottrae alla tutela paesaggistica ampie porzioni di territorio, ad oggi tutelate in forza della legge nazionale. La Corte costituzionale ha gia' riconosciuto l'illegittimita' di disposizioni regionali che miravano, sostanzialmente, alla rimozione di vincoli paesaggistici esistenti ope legis, mediante "sottrazione" del territorio regionale alla categoria prevista dal legislatore statale (ci si riferisce alla sentenza n. 210/2014 che ha dichiarato illegittimo l'art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19, il quale privava il sistema di tutela del paesaggio e dell'ambiente del presidio costituito dagli usi civici in tal modo direttamente incidendo, invadendola, sulla competenza esclusiva dello Stato in materia). In tale occasione la Corte ha rimarcato che "La coesistenza dei due ambiti competenziali impone la ricerca di un modello procedimentale che permetta la conciliazione degli interessi che sono ad essi sottesi". Secondo la Corte, in tali casi, lo strumento del piano paesaggistico si rivela inadeguato, in quanto "la tutela dell'interesse ambientale esige l'anticipazione dell'intervento statale alla fase della formazione del piano di accertamento straordinario previsto dalla disposizione regionale censurata", fase che, nel caso in esame, coincide con l'iter regionale che ha portato alla riduzione dei confini del Parco, quale presupposto amministrativo su cui poggia il vincolo paesaggistico. La Corte ha infatti affermato che "La necessita' di tale anticipazione deriva dalla stessa natura del bene protetto. Gli usi civici, infatti, analogamente ad altre fattispecie quali le universita' agrarie, i parchi e le riserve, non trovano la loro fonte nel dato puramente geografico, oggetto; di mera rilevazione nel piano paesaggistico (come accade, ad esempio, per le fasce di rispetto), bensi' in precedenti atti amministrativi, cosicche' e' in questa fase a monte che si consuma la scelta ambientale. (...) D'altra parte l'eventuale apposizione di un diverso vincolo non e' in grado di assicurare una tutela equivalente, poiche' in questo caso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche ambientali richiede non una disciplina meramente "passiva", fondata su limiti e divieti, ma un intervento attivo, e cioe' la cura assidua della conservazione dei caratteri che rendono il bene di interesse ambientale" concludendo: "In tale prospettiva, deve concludersi che per una efficace tutela del paesaggio e dell'ambiente non e' sufficiente un intervento successivo alla soppressione degli usi civici: occorre al contrario garantire che lo Stato possa far valere gli interessi di cui e' portatore sin nella formazione del piano straordinario di accertamento demaniale, concorrendo a verificare se sussistano o meno le condizioni per la loro stessa conservazione, ferme restando le regole nazionali inerenti al loro regime giuridico e alle relative forme di tutela". Anche piu' recentemente, la Corte ha annullato una disposizione regionale che, modificando una precedente legge regionale che aveva introdotto un vincolo "ha surrettiziamente aggirato il vincolo posto dalla norma interposta costituita dall'art. 142, comma 1, lettera g), del d.lgs. N. 42 del 2004" (sentenza n. 141/2021). La norma regionale denunciata, pertanto, riducendo i confini del Parco regionale, i cui territori sono tutelati ope legis dal Codice, ha violato la norma statale che sottopone a tutela paesaggistica il territorio dei parchi, anche regionali, in quanto, operando autonomamente e senza il coinvolgimento dello Stato, ha sottratto parte del territorio regionale, contraddistinto per i suoi caratteri di pregio naturalistico-ambientale, alla tutela paesaggistica imposta ope legis. 1.B.b. La scelta del legislatore regionale appare contraria anche al principio di co-pianificazione obbligatoria imposto dal Codice con riferimento alle aree tutelate per legge, oltre che agli altri beni paesaggistici (artt. 135, 143 e 145), dimostrandosi lesiva delle competenze primarie in materia di tutela del paesaggio come riconosciute allo Stato, in via esclusiva, dall'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost. Appare evidente, infatti, che il legislatore regionale e' intervenuto unilateralmente a modificare il bene paesaggistico "Parco Naturale regionale Sirente Velino", gia' confluito nel Piano paesaggistico regionale, elaborato dalla Regione ai sensi della normativa c.d. Galasso, nonche' nel nuovo Piano paesaggistico in corso di elaborazione con lo Stato e oggetto di co-pianificazione obbligatoria, intervenendo al di fuori del quadro necessario della pianificazione paesaggistica, nel quale oggi e' confluito il bene paesaggistico de quo. Solo al Piano paesaggistico, elaborato congiuntamente con lo Stato, quanto meno con riferimento ai beni paesaggistici, spetta, infatti, la ricognizione dei beni paesaggistici e l'elaborazione delle relative prescrizioni d'uso, nonche' l'individuazione della tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate nonche' delle condizioni delle eventuali trasformazioni. Il legislatore nazionale, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia ha, infatti, assegnato al Piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice sanciscono l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonche' l'immediata prevalenza del Piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (cfr. Corte cost. n. 180/2008). Si tratta di una scelta di principio, la cui validita' e importanza e' gia' stata affermata piu' volte dalla Corte costituzionale, che ha da tempo statuito l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del Piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost. n. 86/2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica "e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale" (Corte cost., n. 182/2006; cfr. anche la sentenza n. 272/2009). La Corte ha riconosciuto la prevalenza dell'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica: "Come questa Corte ha avuto modo di affermare anche di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono a gravare piu' interessi pubblici: da un lato, quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; dall'altro, quelli riguardanti il governo de territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati, in virtu' del terzo comma dello stesso art. 117, alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. In definitiva, si «tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare distinti» (cosi' la citata sentenza n. 367/2007). Ne consegue, sul piano del riparto di competenze tra Stato e Regione, in materia di paesaggio, la «separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall'altro», prevalendo, comunque, «l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica» (sentenza n. 182/2006). E' in siffatta piu' ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della "gerarchia" degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall'art. 145 del d.lgs.n. 42 del 2004" (sentenza n. 180/2008). La norma regionale e' illegittima in quanto determina una vistosa deroga, se non addirittura un pieno contrasto, al principio della necessaria prevalenza della pianificazione paesaggistica rispetto a ogni altro piano, programma o progetto nazionale o regionale (ex art. 145, comma 3, del Codice). 1.B.c. La norma in esame appare contraria anche al principio di irrevocabilita' dei vincoli paesaggistici, accolto dal Codice. Occorre, a riguardo, evidenziare che la natura meramente accertativa del vincolo paesaggistico, in conseguenza del cui riconoscimento trova applicazione il regime di tutela, fa si' che una volta riconosciuto l'interesse paesaggistico del bene, lo stesso non possa piu' essere revocato, neppure mediante contrarius actus. Tale irrevocabilita' discende, secondo i principi, dalla natura meramente ricognitiva dei vincoli paesaggistici, come riconosciuta dalla Corte fin dalla sentenza n. 56/1968, in quanto i "beni immobili qualificati di bellezza naturale hanno valore paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualita' indicate dalla legge. Costituiscono cioe' una categoria che originariamente e' di interesse pubblico e l'Amministrazione, operando nei modi descritti dalla legge rispetto ai beni che la compongono, non ne modifica la situazione preesistente, ma acclara la corrispondenza delle sue qualita' alla prescrizione normativa". A maggior ragione, l'accertamento di un interesse pubblico "immanente al bene" si verifica se l'individuazione dei beni paesaggistici, anziche' essere compiuta dall'amministrazione mediante puntuali provvedimenti amministrativi, e' effettuata dallo stesso legislatore, mediante l'indicazione di specifiche categorie di beni, i quali sono quindi ritenuti originariamente di interesse paesaggistico. Se l'individuazione del bene paesaggistico e' sufficiente a svelarne la natura intrinseca di interesse pubblico, detta natura non puo' venire meno per effetto della revoca della fonte del vincolo, sia essa un provvedimento amministrativo o una norma primaria o anche una disposizione del piano paesaggistico. Tale principio, direttamente discendente dall'art. 9 Cost., e' accolto nel Codice che non ha riprodotto l'art. 14 del vecchio regolamento di cui al R.D. n.1357/1940, da considerarsi implicitamente abrogato, che prevedeva il potere ministeriale, sentita la Commissione provinciale, di "togliere o restringere il vincolo (...) quando siano venute a mancare o a mutare le esigenze che lo avevano determinato". Il Codice, infatti, nega persino al piano paesaggistico, benche' elaborato congiuntamente e condiviso con specifico accordo procedimentale tra Regione e Stato, il potere di rimuovere o ridurre vincoli paesaggistici preesistenti (cfr. art. 140, comma 2). La disposizione si riferisce ai vincoli provvedimentali, in quanto non potrebbe, nemmeno in via ipotetica, dubitarsi che il piano possa revocare vincoli imposti dallo stesso legislatore. La disciplina di tutela paesaggistica ha accentuato, rispetto alle originarie disposizioni della legge n. 1497/1939, una logica, per cosi' dire "incrementale", secondo la quale i vincoli possono essere estesi e integrati nei contenuti precettivi, e non perdono efficacia ne' devono essere sottoposti a forme di revisione o conferma, ma non possono venire meno una volta imposti, salvi i casi eccezionali nei quali sia definitivamente perduto l'elemento materiale nel quale si esprime il valore paesaggistico meritevole di tutela. Tali conclusioni, peraltro, sono pacificamente accolte dal Giudice amministrativo, che, con riferimento ai boschi, anche recentemente ha ribadito "L'art. 142, comma 1, lettera g) del d.lgs. N. 42/2004 ha individuato i territori coperti da boschi fra i beni paesaggistici tutelati per legge, con previsione meramente ricognitiva. Ne consegue, dunque, che i boschi costituiscono un bene paesaggistico sottoposto a tutela diretta dalla legge con vincoli che gli strumenti di pianificazione regionale devono recepire, non soggetti a decadenza, perche' traggono origine dalle caratteristiche dell'area, il cui valore paesaggistico impone limitazioni all'esercizio delle facolta' di uso della stessa, rispetto alle quali non solo l'intervento dell'Amministrazione, ma anche quello del legislatore, assume valenza, come detto, ricognitiva e non costitutiva derivante dalla qualita' intrinseche del bene tutelato" (Consiglio di Stato, sentenza n. 6921/2018). Si sottolinea che il legislatore statale ha espressamente sancito, nel Testo unico delle foreste di cui al d.lgs. N. 34 del 2017, il divieto di diminuzione del livello di tutela stabilito dal legislatore, in diretta applicazione dell'art.9 della Costituzione, conformando la funzione integrativa regionale in senso (solo) ampliativo della tutela. Analogamente, in materia di usi civici, il legislatore statale e' intervenuto in occasione della legge n. 168/2017, concernente i domini collettivi precisando, riguardo al vincolo paesaggistico, che "Tale vincolo e' mantenuto sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici" (cfr. art. 3, comma 6), con cio' sancendo il principio in base al quale il vincolo paesaggistico gravante sull'uso civico non si puo' considerare estinto in virtu' dei provvedimenti di sclassificazione, che hanno, in ogni caso, riguardo a interessi diversi dalla tutela del paesaggio. Poiche' con riferimento alla categoria di beni di cui alla lett.f) dell'art. 142, comma 1, del Codice, tale principio non risulta esplicitato, la Regione, intervenendo sui confini del Parco in senso riduttivo, consegue l'effetto di ridurre illegittimamente anche il vincolo paesaggistico, in contrasto con il richiamato principio di irrevocabilita' del vincolo paesaggistico. 1.B.d. L'art.2 della normativa regionale, operando la riduzione dei confini del Parco regionale, determina altresi' un abbassamento dei livelli di tutela in violazione dell'art. 9 Cost. La Corte costituzionale, nella nota sentenza n. 151/1985, ha evidenziato come il legislatore, con il decreto-legge n. 312/1985 e con la legge di conversione n. 431/1985, abbia proceduto all'individuazione di porzioni e di elementi del territorio stesso "secondo tipologie paesistiche ubicazionali o morfologiche rispondenti a criteri largamente diffusi e consolidati nel lungo tempo", introducendo "una tutela del paesaggio improntata a integralita' e globalita', vale a dire implicante una riconsiderazione assidua dell'intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale" sancendo la piena legittimita' della scelta del legislatore statale e chiarendo come "Una tutela cosi' concepita e' aderente al precetto dell'art. 9 Cost., il quale, secondo una scelta operata al piu' alto livello dell'ordinamento, assume il detto valore come primario (cfr. sentenze di questa Corte n. 94 del 1985 e n.359 del 1985), cioe' come insuscettivo di 'essere subordinato a qualsiasi altro". Appare evidente, quindi, che l'operazione "inversa" compiuta dalla Regione Abruzzo, di espungere dal Parco parte del territorio regionale prima ricompreso all'interno del suo perimetro e quindi (prima) interamente soggetto al vincolo paesaggistico ope legis, e' lesiva anche dell'art. 9 Cost, che eleva il paesaggio al rango di valore "primario e assoluto" (sentenza Corte cost. n. 367/2007). 1.B.e. La norma regionale e' altresi' contraria ai principi di proporzionalita' e ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 Cost. La Regione ha, infatti, ridotto i confini del Parco, sottraendo parte dei territori alla tutela paesaggistica esistente ope legis, senza che tale abrogazione sia giustificata dal contemperamento con altri interessi costituzionalmente protetti, eventualmente coinvolti e considerati prevalenti. Risulta, anzi, che i territori, ora esclusi, dal Parco, abbiano conservato nell'ultimo trentennio le caratteristiche che avevano a suo tempo sorretto la sottoposizione alla tutela naturalistica e, conseguentemente, anche a quella paesaggistica. La Corte costituzionale ha gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale di simili normative regionali che intervengono retroattivamente su disposizioni precedenti al solo fine di sottrarre al regime di tutela categorie di beni precedentemente vincolati (ci si riferisce al caso delle zone umide della Sardegna, su cui cfr. sentenza Corte cost. n. 308/2013). In quell'occasione la Corte ha ritenuto, tra l'altro, che "... la volonta' del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. N. 42 del 2004, nella volonta' di assicurare un'adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1 della legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). L'effetto prodotto dalla norma regionale impugnata, all'opposto, risulta essere quello di una riduzione dell'ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che cio' sia imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali. E cio', peraltro, in violazione di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario. Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n.20 del 2012". A cio' deve aggiungersi che l'eliminazione del vincolo paesaggistico determina, manifestamente arbitrari e irragionevoli, in quanto comporta un ingiustificato abbassamento del livello della tutela del paesaggio. Anche a voler ammettere che un vincolo paesaggistico gia' imposto possa venire meno, dovrebbe quanto meno ritenersi che l'eliminazione del vincolo debba essere giustificata da una ponderazione di interessi che faccia emergere un altro valore costituzionale primario meritevole di prevalere su quello paesaggistico. Nulla di simile e' dato rinvenire nella legge regionale in esame, la quale ignora i vincoli paesaggistici imposti da oltre trent'anni, sottraendo parte dei territori comunali dal perimetro del Parco, pur in costanza del valore naturalistico-ambientale riconosciuto dal legislatore meritevole di tutela naturalistica, oltre che paesaggistica ope legis, e senza che emerga alcuna finalita' di tutela di altri interessi meritevoli di tutela prevalente. Ulteriore profilo di irragionevolezza si collega al fatto che l'eliminazione del vincolo paesaggistico comporta l'archiviazione dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica gia' pendenti, rendendo improvvisamente e irragionevolmente privi di causa non solo i provvedimenti autorizzatori gia' rilasciati, ma anche le sanzioni gia' irrogate per gli illeciti paesaggistici realizzati, in aperto contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. 1.B.f. Il primo effetto dell'abrogazione del vincolo paesaggistico e', sicuramente, quello di consentire il rilascio del condono edilizio (ai sensi delle normative eccezionali del 1985, del 1994 e del 2004) anche per edificazioni che non sarebbero state condonabili. Con riferimento alle domande finalizzate al rilascio del provvedimento di condono per abusi realizzati prima dell'imposizione del vincolo paesaggistico del 1989, la norma riveste un manifesto effetto premiale, atteso che, per le edificazioni abusivamente eseguite nei territori prima facenti parte del Parco, le domande potranno essere senz'altro accolte, senza necessita' di acquisire il parere dell'Amministrazione preposta alla tutela del paesaggio, che dovrebbe operare la valutazione di compatibilita' con il vincolo sopravvenuto, ai sensi dell'art.32 della legge n. 47/1985. Cio' che e' piu' grave, e rende manifestamente evidente l'illegittimita' costituzionale della disciplina censurata, e' l'effetto che si produrra' con riferimento alle edificazioni eseguite dopo l'imposizione del vincolo del 1989, atteso che, per tali edificazioni, non sarebbe stato possibile neppure astrattamente accedere al condono edilizio del 2004. Come e' noto, infatti, l'art.32, comma 27, lett. d), del DL n. 269/2003 preclude in modo assoluto la sanatoria delle opere abusive qualora "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonche' dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Appare evidente che il mutamento di disciplina, da parte della Regione, e' sostanzialmente indirizzato a facilitare il ricorso alla sanatoria edilizia, con efficacia estesa anche al passato, cosi' da ampliare, irragionevolmente, la sfera dei possibili beneficiari, rendendo persino ammissibili retroattivamente domande di condono che, in assenza della norma censurata, non sarebbero state neppure scrutinabili nel merito. Al riguardo, deve qui ricordarsi che, con la sentenza n. 39/2006, la Corte Costituzionale ha gia' censurato, per manifesta irragionevolezza e contrarieta' all'art. 3 Cost., la normativa regionale (della Regione Siciliana) volta a rendere retroattivamente piu' ampia l'area di applicazione del condono edilizio, affermando che la tutela dei vincoli paesaggistici ed ambientali prevale sulle ipotesi di condono edilizio. Conseguentemente, la disciplina regionale si pone in violazione della potesta' esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., nonche' della potesta' dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lett. m) e di tutela del paesaggio nell'ambito delle procedure di condono edilizio (art. 117, secondo comma, lett. s), in concreto esercitata mediante la legge n. 47/1985 e l'art. 3; D.L. n. 269/2003. 1.B.h. Sotto ulteriore profilo, strettamente connesso a quanto sin qui osservato, l'abolizione de vincolo determinera' il venir meno in radice di abusi paesaggistici che non sarebbero stati neppure sanabili ai sensi degli artt. 167 e 181 del Codice. Le suddette disposizioni consentono, infatti, di valutare la compatibilita' paesaggistica delle opere eseguite in assenza di autorizzazione paesaggistica esclusivamente nei casi tassativamente indicati al comma 4 dell'art. 167. In particolare, la sanatoria e' esclusa in radice laddove siano stati realizzati superfici utili o volumi o siano stati aumentati quelli legittimamente realizzati. L'abolizione del vincolo paesaggistico comportera' il venir meno anche degli illeciti, stante la radicale eliminazione del vincolo, con conseguente abolizione anche del trattamento sanzionatorio penale con invasione, da parte della Regione, della potesta' statale in materia di ordinamento penale (art 117, secondo comma, lett. l). La Corte costituzionale ha gia' puntualizzato, in passato, in tema di condono edilizio, che "Non vi e' dubbio sul fatto che solo il legislatore statale puo' incidere sulla sanzionabilita' penale"(sentenza n. 487/1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalita' in materia "di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilita' (sentenze n. 327/2000, n. 149/1999 e n.167/1989, richiamate nella sentenza n. 196/2004): In tale ottica, le disposizioni regionali che incidono sul trattamento sanzionatorio degli illeciti paesaggistici, anche sul piano amministrativo, si pongono in contrasto con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti uniformemente in tutto il territorio nazionale, venendo, quindi, in rilievo la violazione della potesta' esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. l) Cost., nonche' della potesta' dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lett. m) e dell'art. 117, secondo comma, lettera s) pe violazione degli artt.167 e 181 del Codice, da considerare parametri interposti. 1.B.i. L'art.2 della legge regionale in esame, laddove introduce il nuovo comma 1 dell'art. 2 delle legge regionale n. 42 del 2011, viola il principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto esse costituisce il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al di fuori del percorso condiviso con lo Stato, trasfuso nell'intesa sottoscritta nel 2009 e che ha condotto al disciplinare aggiornato, sottoscritto in data 8 giugno 2016. Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione "deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni", atteso che "la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti' (cosi' ir particolare, tra le tante, Corte cost. n. 31/2006). In particolare, la Corte ha chiarito che "Il Principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono ui accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto" (cosi' ancora la sentenza richiamata). Piu' recentemente, la Corte ha ribadito che la "unitarieta' del valore della tutela paesaggistica comporta (...) l'impossibilita' di scindere il procedimento di pianificazione paesaggistica in subprocedimenti che vedano del tutto assente la componente statale", sottolineando che il principio di leale collaborazione deve concretizzarsi in "un confronto costante, paritario e leale tra le parti, che deve caratterizzare ogni fase del procedimento e non seguire la sua conclusione" (sentenza n. 240/2020). La scelta unilaterale della Regione Abruzzo, al di fuori del percorso di collaborazione gia' proficuamente avviato con lo Stato, si pone in contrasto anche con il predetto principio, traducendosi in un comportamento non leale, nella misura in cui, nonostante il percorso di collaborazione avviato, la Regione approva la riduzione dei confini del Parco naturale, destinata a produrre i suoi effetti nelle more dell'approvazione del Piano paesaggistico oggetto di accordo con il Ministero della Cultura. 2. Illegittimita' dell'art.3 della legge della Regione Abruzzo n.14 dell'8 giugno 2021 per violazione dell'art. 117 Cost., comma 2, lett. s) in relazione agli artt. 22, comma 1, lett.c), 23 e 24, comma 1, della legge n. 394 del 6 dicembre 1991. L'art.3 della legge regionale in esame, nel sostituire i commi da 2 a 26 dell'art. 3 della L.R. 42/2011, si pone in contrasto con il parametro interposto statale di cui all'art. 24, comma 1, della legge quadro n. 394 del 1991 - legge quadro. sulle aree protette - che, sotto la rubrica "Organizzazione amministrativa del parco naturale regionale" prevede che: «1. In relazione alla peculiarita' di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale prevede, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa, indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione e i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalita' di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione della comunita' del parco.» Nella sua attuale formulazione l'art. 3 della L.R. 14/2021 - sopra riportato - assorbe in larga parte i contenuti dello statuto del Parco regionale, stabilendo direttamente i criteri per la composizione degli Organi del Parco, nonche' i relativi poteri sostanziando cosi' un'indebita spoliazione delle potesta' regolamentari della comunita' locale da parte del consiglio regionale, laddove tale regolamentazione deve essere demandata allo Statuto. Cio' comporta l'inosservanza dei principi fondamentali in tema di disciplina delle aree naturali protette regionali, recati dalla legge quadro n. 394/1991, che all'art.22, comma 1, lett.c), prevede «la partecipazione degli enti locali interessati alla gestione dell'area protetta;» i quali hanno, per l'appunto, la facolta' di stabilire la forma organizzativa dell'Ente Parco attraverso la redazione dello Statuto che, in analogia con quanto esplicitamente previsto per i Parchi nazionali all'art. 9, comma 8-bis e 9, della L. 394/91, «e' deliberato dal consiglio direttivo, sentito il parere della Comunita' del parco» e, solo successivamente alla sua deliberazione, puo' passare ad essere sottoposto a verifica di legittimita' da parte della Regione, che puo' richiederne il riesame, attendere le controdeduzione dell'Ente ed infine adottare lo Statuto. Tenuto, altresi', conto che l'art. 24 della citata legge quadro conferisce competenza organizzativa alla fonte statutaria, proprio perche' essa permette di adeguare l'organizzazione del parco alle "peculiarita'" del territorio. Una disciplina uniforme, come quella contenuta nella norma impugnata, non e' percio' idonea ad adattarsi alla specificita' dell'area del parco, ponendo cosi' a repentaglio lo standard minimo di tutela dell'ambiente prescritto dal legislatore statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., a cui deve conformarsi la potesta' legislativa residuale della Regione in tema di organizzazione dei propri enti (cfr. in tal senso, sentenza Corte Cost. n. 134/2020). Si ritiene opportuno, a riguardo, richiamare, stante la relativa attinenza, quanto sancito dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 134/2020 - con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Liguria n. 3/2019, nella parte in cui modificava con legge regionale i confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del Beigua. A giudizio della Consulta, ognuna di queste variazioni, "non e' stata affidata a modifiche del piano del parco, alle quali avrebbero potuto partecipare i rappresentanti degli enti locali, ma e' avvenuta direttamente con legge, e deve percio' osservare il medesimo procedimento seguito dal legislatore ai fini della perimetrazione provvisoria dei confini, ai sensi dell'art. 22 della legge quadro, compresa la interlocuzione con le autonomie locali". Detto pronunciamento s'inserisce nel solco di quanto dalla stessa Corte gia' affermato riguardo alla partecipazione degli enti locali, ritenuta necessaria e non surrogabile con forme alternative di coinvolgimento (sentenza n. 282/2000), in quanto esprimente, nell'attuale riparto delle competenze legislative, uno standard minimo inderogabile di tutela dell'ambiente, atto a garantire che sia acquisita al procedimento di istituzione e di soppressione di detti parchi la voce di chi rappresenta lo specifico territorio, i cui interessi sono in tal modo posti in rilievo. Il mancato coinvolgimento degli enti locali, costituisce, quindi, un vizio della fase procedimentale, che si trasferisce alla legge provvedimento con cui essa e' stata conclusa e di cui conosce la Corte (sentenze n. 2/2018; n. 241/2008; n. 311/1999). La Regione, quindi, ha inteso modificare d'imperio i confini del Parco naturale regionale Sirente Velino eludendo le previste procedure di revisione del piano del parco, attraendo cosi' a se' interamente il governo delle aree protette, che viene sottratto agli Enti Parco previsti dalla legge statale n. 394/1991. A riguardo, non puo' non evidenziarsi, con riferimento ai citati profili di illegittimita', che, come ripetutamente statuito dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 315 e n. 193/2010, n. 44, n. 269 e n. 325/2011, n. 14/2012, n. 212/2014 e n. 36/2017), la disciplina delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), ed e' contenuta nella legge n. 394/1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi, assumendo anche i connotati di normativa interposta che deve considerarsi espressione, per l'appunto, dell'esercizio della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 44/2011, n. 315 e n. 20/2010). Le Regioni, pertanto, in ambito di aree protette, possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale (Corte Cost. sentenze n. 44/2011, n. 193/2010, n. 61/2009 e n. 232/2008). In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come "il territorio dei parchi, siano essi nazionali o regionali, ben (possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art.117 Cost., purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le Regioni" (Corte Cost., sentenze nn.rr. 232/2008, punto 5. Del Considerato in diritto e 44/2011, gia' citata). Nell'ambito, quindi, delle materie di loro competenza, le Regioni trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale. Questi, tuttavia, non impediscono al legislatore regionale di adottare discipline normative che prescrivano livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati (di recente, Corte Cost., sentenze n. 66/2018, n. 74/2017, n. 267/2016 e n. 149/2015), i quali «implicano logicamente il rispetto degli standard adeguati e uniformi fissati nelle leggi statali» (Corte Cost., sentenza n. 315/2010), che rappresentano, ex se, limiti invalicabili per l'attivita' legislativa della Regione, in quanto statuenti norme imperative che devono essere rispettate sull'intero territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale. Come gia' sottolineato, la legge quadro n. 394/1991 e' stata reiteratamente ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e n. 36 del 2017), da cio' derivandone, dunque, che le Regioni sono tenute ad adeguarsi ai principi fondamentali da essa dettati, pena l'invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale. La stessa Corte Costituzionale ha, altresi', posto in evidenza come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale si estrinsechi nella predisposizione, da parte degli enti gestori delle aree protette, «di strumenti organizzativi, programmatici e gestionali per la valutazione di rispondenza delle attivita' svolte nei parchi alle esigenze di' protezione» dell'ambiente e dell'ecosistema (sentenza n. 171/2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74/2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 387/2008). La piu' volte menzionata L. n. 394/1991 non si limita, dunque, a dettare standard minimi uniformi finalizzati a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali e regionali - istituiti ai sensi dell'art. 8 della legge quadro (rispettivamente, con decreto del Presidente della Repubblica e con decreto del Ministro dell'ambiente) - ma impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore regionale nell'ambito delle proprie competenze (sentenze n. 74 e n. 36 del 2017, n. 212/2014, n. 171/2012, n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011). Anche in relazione alle aree protette regionali, invero, il legislatore statale, pur riconoscendo che il parco regionale resta «tipica espressione dell'autonomia regionale» (sentenza n. 108/2005), e che esso «ben puo' essere oggetto di regolamentazione da parte della Regione, in materie riconducibili ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost., purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del patrimonio naturale, da ritenere vincolante per le Regioni» (sentenza n. 44/2011), ha predisposto un modello fondato sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera della legge regionale istitutiva (art.23), sull'adozione, «secondo criteri stabiliti con legge regionale in conformita' ai principi di cui all'articolo 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22, comma 1, lett. D), peraltro significativamente ed espressamente ricompreso tra i «principi fondamentali per la disciplina delle aree naturali protette regionali»), nonche' su un modello organizzativo tramite il quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale (art. 24). Per altro verso, puo' senz'altro riconoscersi che il legislatore statale ha previsto, per le aree. naturali protette regionali, un quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per le aree naturali protette nazionali, tale che le Regioni abbiano un qualche margine di discrezionalita' tanto in relazione alla disciplina delle stesse aree protette regionali quanto sul contemperamento tra la protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da parte del legislatore regionale. Cio' non toglie che debba essere, comunque, garantita la conforme corrispondenza ai canoni inderogabili imposti dalla normativa nazionale, essendo manifestazione di quello standard minimo di tutela che il legislatore statale ha individuato nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e che, come dianzi gia' posto in rilievo, le Regioni possono accompagnare con un surplus di tutela, ma non certo derogare in peius. 3. Illegittimita' dell'art.8, comma 2, lett.c), e comma 3, della legge regionale n.14/2021 per violazione dell'art.117 Cost., comma 2, lett.g) h) l), in relazione agli artt.55 e 57, commi 1 e 2, codice di procedura penale e agli artt.133-141 T.U.L.P.S. e all'art.254 del regolamento ddi esecuzione di cui al RD 6 maggio 1940 n.635. L'art. 8, comma 2, lett.c) della legge regionale in esame novella l'art.12 della legge regionale n. 42/2011, stabilendo che: "ad apposite guardie del parco assegnate all'Ente Parco" e' attribuita la qualifica di agente di polizia giudiziaria con decreto prefettizio..." . il predetto personale - che non sembra rientrare nell'organico dell'Ente Parco poiche', a tenore della norma regionale, gli viene "assegnato" aliunde - svolge il proprio servizio (di sorveglianza sul territorio del Parco) in divisa ed e' munito di tesserino di riconoscimento rilasciato dall'Ente Parco (comma 3 testualmente: "Il personale di cui alle lettere c)...del comma 2 svolge il proprio servizio in divisa ed e' munito del tesserino di riconoscimento rilasciato dall'Ente Parco"). Al riguardo si osserva, innanzitutto, che cosi' come costantemente affermato dalla Corte costituzionale, "va ritenuta costituzionalmente illegittima una norma regionale che (...) provveda ad attribuire (...) la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria, trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla legislazione statale" (v. sentenze nn. 313/2003, 167/2010, 8/2017, 82/2018). E', infatti, principio consolidato che ufficiali o agenti di polizia giudiziaria possono essere solo i soggetti indicati all'art.57, commi 1 e 2, del Codice di procedura penale, nonche' quelli ai quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni di cui all'art.55 del medesimo Codice, aggiungendo che le fonti da ultimo richiamate non possono essere che statali, in considerazione di quanto previsto dall'art.117, secondo comma, lett. h) e l) Cost., in materia, rispettivamente, di ordine pubblico e sicurezza e di ordinamento e giurisdizione penale. La qualifica di agente di polizia giudiziaria non puo', pertanto, essere conferita sulla base della legge regionale in esame. In assenza di una specifica disciplina statale in materia, inoltre, la richiamata previsione normativa regionale appare invasiva della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato di cui all'art. 117, secondo comma, lett. g), Cost., poiche' attribuisce al prefetto compiti non previsti dalla legge statale. Inoltre, si evidenzia che le previsioni regionali di cui alla lett. c) del comma 2, nonche' di cui al comma 3, ove si riferiscono alla figura e allo status della "guardia particolare giurata", invadono la competenza esclusiva statale di cui all'art.117, secondo comma, lett. h) Cost., cui si ricollega la disciplina dettata dagli articoli 133-141 T.U.L.P.S. e dall'art. 254 del relativo regolamento di esecuzione, di cui al R.D. 6 maggio 1940, n. 635.