IL TRIBUNALE DI TRENTO 
 
    Il Giudice a scioglimento della riserva dd. 20 gennaio 2021; 
 
                               Osserva 
 
1. - In fatto 
    Con atto di citazione datato 10 novembre 2014, notificato  il  12
novembre 2014, Norma Toller rappresentava: 
      1)   di   essere    titolare    dell'assegno    vitalizio    di
irreversibilita' erogato  dalla  Regione  autonoma  Trentino  -  Alto
Adige, quantificato nel luglio 2014 in  euro  3155,30  netti  mensili
(euro  5159,65  lordi  mensili),  quale  moglie  del  de   cuius   ex
Consigliere regionale della Regione Autonoma Trentino  -  Alto  Adige
dal 1978 al 1993, sig. Walter Micheli; 
      2)  di  essersi  vista  rideterminare  l'assegno  vitalizio  di
reversibilita' regionale nella ridotta misura di euro  2458.50  netti
mensili  (euro  5159,65  lordi  mensili)  -  cosi  rideterminata   in
applicazione della decurtazione  disposta  dall'art.  2  della  legge
regionale Trentino - Alto Adige n. 5 del 2014; 
      3) che l'assegno vitalizio di reversibilita' prima dell'entrata
in vigore della legge regionale n. 5/2014  risultava  gia'  decurtato
mensilmente da un contributo di solidarieta' per un'aliquota del  4%,
applicato prima facie a partire da gennaio 2005 ai sensi dell'art.  3
della legge regionale n. 4 del 2004 che ha  introdotto  l'art.  4-bis
della legge regionale n. 2/1995 (Interventi in materia di  indennita'
e previdenza ai consiglieri della Regione Autonoma  Trentino  -  Alto
Adige), poi modificato ai sensi e per gli effetti dell'art.  6  della
legge regionale n. n. 6 del 2012, che ne aumentava l'aliquota al 12%;
all'entrata in vigore  della  legge  regionale  n.  5/2014  l'assegno
vitalizio  di   reversibilita'   «soffriva»   altresi'   il   mancato
adeguamento ISTAT, «congelato» dal Consiglio Regionale a  partire  da
gennaio 2009. 
      4) che detto contributo di  solidarieta'  e'  stato  confermato
nell'aliquota del 12% proprio della legge regionale n.  5  del  2014,
art. 4. 
    L'attrice chiedeva in giudizio che fosse accertato il suo diritto
alla corresponsione  dell'assegno  vitalizio  erogato  dal  Consiglio
regionale senza subire le decurtazioni di cui all'art. 2 della  legge
regionale n. n. 5 del 2014 (quanto  al  taglio  lineare  del  20%)  e
quelle di cui agli articoli 3 della legge regionale n.  4  del  2004;
4-bis della legge regionale n. 2 del 1995, 15 della  legge  regionale
n. 6 del 2012 e 4 della legge regionale n.  5  del  2014  (quanto  al
contributo  di  solidarieta'),   con   conseguente   condanna   della
resistente al versamento di quanto indebitamente trattenuto. 
    L'attrice ha censurato gli articoli 2 e 4 della  legge  regionale
n.  5/14  della  menzionata  legge  regionale   e   i   provvedimenti
amministrativi che ne sono conseguiti, lamentandone  la  contrarieta'
ai principi  comunitari  e  convenzionali  dell'affidamento  e  della
cortezza dei rapporti giuridici come garantiti dagli articoli 3,  10,
11 e 117, comma  I  della  Costituzione  e  articoli  6  e  13  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonche'  ha  lamentato  la
contrarieta'  della  suddetta  legge   regionale   ai   principi   di
ragionevolezza  di  gradualita'  e  di  uguaglianza  ed   ancora   la
violazione dei riparto di competenze legislative fissato all'art. 117
Cost., chiedendo che venga sollevata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2 della legge regionale n. 5/2014 e articoli
3 della legge regionale n. 4 del 2004; 4-bis della legge regionale n.
2 del 1995, 15 della legge regionale n. 6 del 2012 e  4  della  legge
regionale n. 5 del 2014. 
    L'attrice ha evocato nel presente giudizio il Consiglio regionale
della Regione autonoma Trentino - Alto Adige e  la  Regione  autonoma
Trentino - Alto Adige,  i  quali  si  sono  costituiti  in  giudizio,
deducendo l'infondatezza di ogni lamentata violazione costituzionale.
Instaurato  il  contradditorio,  la   causa   veniva   istruita   con
concessione dei termini per le memorie istruttorie. 
    Nella  prima  memoria,  parte  attrice  ha   precisato   le   sue
conclusioni, chiedendo che il Tribunale  valutasse  di  sollevate  la
questione  incidentale  di  legittimita'  costituzionale:  i)   delle
disposizioni che avevano introdotto il taglio lineare  del  vitalizio
(art. 2 della legge regionale n. 5 del 2014); ii) delle  disposizioni
che avevano introdotto e poi riformato l'imposizione di un contributo
di solidarieta' a carico dei trattamenti  vitalizi,  con  particolare
rifornimento agli articoli 3 legge regionale n. 4/2004 e 4-bis  legge
regionale n. 2/1995 e degli articoli I comma II° e 4 legge  regionale
n. 5/14. 
2. Quanto alla rilevanza della questione di costituzionalita' 
    Il Tribunale ritiene rilevante  per  lo  scrutinio  del  presente
giudizio la questione di costituzionalita'  degli  articoli  2  della
legge regionale n.  5  del  2014  (in  tema  di  taglio  lineare  del
vitalizio) e 4 della legge regionale n. 5  del  2014,  nonche'  degli
articoli 3 della legge regionale n. 4 del 2004,  4-bis,  della  legge
regionale n. 2 del 1995, 15 della legge regionale  n.  6  del  2012),
intanto potranno ritenersi  fondate  in  quanto  le  disposizioni  di
riferimento  siano  o  meno  conformi  ai  parametri   costituzionali
invocati da parte attrice, di talche' la  questione  di  legittimita'
costituzionale riveste indubbio carattere  di  rilevanza,  dipendendo
dalla stessa la decisione  del  merito  delle  domande  formulate  in
causa. 
    L'intervenuta abrogazione della legge regionale n. 5 del  2014  a
opera  della  legge  regionale  n.  7  del  2019,  secondo  i  comuni
insegnamenti della Corte costituzionale, non priva  di  rilevanza  la
questione, atteso che: 
      - la riforma del vitalizio ex legge regionale n. 7 del 2019 non
dispone retroattivamente; 
      -  di  conseguenza,  le  disposizioni  censurate   sono   state
applicate  medio  tempore  e,  in  particolare,  nell'arco  di  tempo
rispetto al quale si radica il petitum attoreo. 
    Da ultimo, si precisa che parte attrice ha  subito,  come  emerge
dalla documentazione di causa, sia l'applicazione del  contributo  di
solidarieta'  sia  l'applicazione  del  taglio  lineare  dell'assegno
vitalizio. Le diverse diposizioni hanno determinato effetti  autonomi
e hanno determinato un pregiudizio che s'e' cumulato. Sul  punto,  e'
opinione dei Tribunale che  le  disposizioni  in  esame  meritino  di
essere scrutinate anzitutto singolarmente, nel senso che si  all'art.
2 della legge regionale n. 5 del 2014 sia le citate  disposizioni  in
terna  di   contributo   di   solidarieta'   determinano   dubbi   di
costituzionalita'  che   devono   essere   scrutinati   dalla   Corte
Costituzionale autonomamente.  La  valutazione  complessiva  dei  due
istituti  (taglio  lineare  e  contributo  di  solidarieta')   e   la
considerazione cumulativa degli effetti ribadisce il senso dei  dubbi
di legittimita' costituzionale che  saranno  esposti  infra,  con  la
precisazione  che  l'effetto  incostituzionale  non  sembra  derivare
solamente  dal  cumulo  delle  due  norme,  ma  gia'  dalla   singola
applicazione delle stesse. 
3. Quanto al tentativo d'interpretazione conforme a Costituzione 
    Non  e'  possibile  prospettare  un'interpretazione  conforme   a
Costituzione delle disposizioni censurate, atteso che il loro  tenore
testuale, che impone decurtazioni dell'assegno vitalizio, non  lascia
all'interprete  possibilita'  di  escludere   i   segnalati   effetti
incostituzionali relativi alla decurtazione dell'assegno. 
4. Quanto alla non manifestata infondatezza 
    4.1. - Quanto all'incostituzionalita' del  «taglio  lineare»  del
20% degli assegni vitalizi, ex art. 3 della legge regionale n. 5  del
2014. Come si e' indicato supra, parte attrice ha  subito  il  taglio
lineare del 20% dell'assegno vitalizio  di  reversibilita',  disposto
dall'art. 2 della legge  regionale  n.  5  del  2014.  Il  taglio  e'
illegittimo, per le ragioni che questo Tribunale ha  gia'  illustrato
nell'ord. 21 aprile 2020, attualmente rubricata al n.  123  del  Reg.
Ord. della Corte costituzionale e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana - 1ª Serie speciale - Corte costituzionale,
n.  39  dei  23  settembre  2020,  qui  da  intendersi  integralmente
richiamata. 
    Come indicato nell'ordinanza, l'art. 2 della legge regionale n. 5
del 2014 prevede «una riduzione secca del 20% su tutti i vitalizi  in
corso di erogazione, sia diretti che di reversibilita' tra cui quello
in godimento dell'attore; tale riduzione opera in maniera  definitiva
e permanente a prescindere dalla data di maturazione  del  vitalizio,
il numero dei  mandati  elettivi  svolti,  e  quindi  dei  contributi
versati; inoltre essa ha valenza generale ad astratta [..]». 
    Stante tale effetto, il Tribunale ha rilevato la violazione degli
articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost., in riferimento all'art. 6 della
Convezione EDU, e 117, comma 2,  Cost.,  nonche'  dell'art.  4  dello
statuto regionale, per aver il legislatore regionale debordato  dalla
propria competenza nella materia «ordinamento degli uffici  regionali
e del personale ad essi addetto», con cio'  invadendo  la  competenza
legislativa statale  definita  dall'art.  117  Cost.  (sul  punto  e'
richiamata anche la sentenza Corte cost. n. 287 del 2016). 
    Tali dubbi risultano  non  manifestatamente  infondati  e  devono
essere prospettati anche nel presente giudizio. 
    L'art. 2 della legge  regionale  n.  5  del  2014  introduce  una
modifica in peius della disciplina dei vitalizi erogati dal Consiglio
regionale che e' al  contempo  definitiva,  in  quanto  valevole  per
«tutti  gli  assegni  vitalizi  diretti,  non  attualizzati,   e   di
reversibilita'» a decorrere dal mese successivo all'entrata in vigore
della  legge  (agosto  2014)  e   per   un   intervallo   di'   tempo
indeterminato, e di rilevante consistenza, giacche' incidente per ben
un quinto sull'ammontare lordo mensile del trattamento. 
    Di  conseguenza,  e'  necessario  verificare  se   tale   impatto
retroattivo sia costituzionalmente legittimo oppure no. 
    4.2.  -  E'  opportuno  ricordare  che,  giusto  un  orientamento
condiviso dalla giurisprudenza di legittimita' e  costituzionale,  il
trattamento vitalizio degli ex titolari di cariche pubbliche  non  e'
riconducibile agli ordinari benefici pensionistici  previsti  per  lo
svolgimento di un'attivita' lavorativa. Tali assegni sono trattamenti
connessi alla titolarita' di un mandato  pubblico  elettivo  e  hanno
specificato finalita' previdenziale. 
    Come indicato dall'ord. Cass. Civ. Sez. Un., 8  luglio  2019,  n.
18265: 
      - c'e' un'evidente collegamento tra l'indennita'  del  titolare
di carica elettiva  e  l'assegno  vitalizio,  in  quanto  «cosi  come
l'assenza  di  emolumento  disincentiverebbe  l'accesso  al   mandato
parlamentare  o  il  suo  pieno  e   libero   svolgimento,   rispetto
all'esercizio di altra attivita' lavorativa remunerativa; allo stesso
modo  l'assenza  di  un  riconoscimento  economico  per  il   periodo
successivo  alla  cessazione  del  mandato  parlamentare  [lo  stesso
dicasi, ovviamente, anche per i mandati nelle  assemblee  legislative
regionali]  vorrebbe  quale  disincentivo  rispetto  al   trattamento
previdenziale ottenibile per un'attivita' lavorativa che fosse  stata
intrapresa per il medesimo lasso temporale»; 
      - «la sua corresponsione  sia  sorretta  dalla  medesima  ratio
[dell'indennita' di mandato]  di  sterilizzazione  degli  impedimenti
economici all'accesso alle cariche di rappresentanza democratica  del
Paese e di garanzia dell'attribuzione ai parlamentari [ma tanto  vale
anche per  i  Consiglieri  Regionali]  di  un  trattamento  economico
adeguato ad assicurarne l'indipendenza,  come  del  resto  accade  in
tutti gli ordinamenti ispirati  alla  concessione  democratica  dello
Stato». 
    La funzione di garanzia del democratico ed  eguale  accesso  alle
cariche elettive nonche' di protezione dell'indipendenza e del libero
esercizio de] mandato necessita di una proiezione dell'indipendenza e
del  libero  esercizio  del  mandato  necessita  di  una   proiezione
economica successiva  alla  conclusione  del  mandato.  E'  evidente,
dunque, la funzione previdenziale dell'assegno  vitalizio,  ancorche'
esso sia  diverso  dal  trattamento  pensionistico.  Anche  la  Corte
costituzionale, del  resto,  nella  sentenza  n.  108  del  2019,  ha
affermato  che  il  vitalizio  e'   «fattispecie   analoga   ma   non
sovrapponibile» al trattamento pensionistico. 
    Secondo quanto attestato dal Consiglio regionale  medesimo  (cfr.
Nota del 13 agosto 2014, prot. n. 2317, in  atti  per  produzione  di
parte attrice), la percentuale iniziale  di  contribuzione  e'  stata
fissata al 10% (dal dicembre 1983 al maggio 1985) ed e' salita  prima
al 12% (giugno 1985 - maggio 1986), poi al 14% (giugno 1986  -  marzo
1995, con la precisazione che per sei mesi del 1993  la  combinazione
fu aumentata al 18%), poi ancora  al  22%  (aprile  1995  -  dicembre
2004), al 25% (gennaio 2005 - novembre 2008) e infine addirittura  al
30% (dal dicembre 2008 in avanti). 
    Il  dante  causa  dell'attrice,  consigliere  regionale  dal   13
dicembre 1978 al 12  dicembre  1993,  ha  versato  una  contribuzione
previdenziale che, dall'iniziale 10% e' aumentato fino al  18%.  Tale
circostanza deve essere tenuta in debita considerazione,  anche  alla
luce del noto principio (applicato alla  contribuzione  previdenziale
ma rilevante anche nel caso di specie) che i contributi  versati  non
possono divenire  sostanzialmente  infruttuosi  e  irrilevanti  (cfr.
Corte cost., sentenza n. 67 del 2018). 
    La contribuzione versata e la finalita' di pregio  costituzionale
del  vitalizio  esclude  di  poterlo  qualificare  come   un   odioso
privilegio o un regime di' favore ingiustificato. 
    4.3. - Cio' precisato,  e'  evidente  che  l'impatto  retroattivo
dell'art. 2  della  legge  regionale  n.  5/14  e'  illegittimo,  per
violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost., in riferimento
all'art. 6 della Convenzione EDU. 
    Sul punto possono essere impiegati i consueti indici  sintomatici
della  (ir)  ragionevolezza   della   norma   che   produce   effetti
retroattivi,   costruiti   da    una    consolidata    giurisprudenza
costituzionale. 
    Essi, com'e'  noto,  sono  i  seguenti  (cfr.,  ex  plurimis,  le
sentenze della Corte cost. nn. 78 del 2012, 209  del  2010,  170  del
2013): 
      -  «divieto  di   introdurre   ingiustificate   disparita'   di
trattamento»; 
      - «tutela dell'affidamento legittimamente  sorto  nei  soggetti
quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza  e  la
certezza dell'ordinamento giuridico»; 
      - «rispetto  delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al
potere giudiziario». 
    La Corte costituzionale ha  affermato  che  «nel  nostro  sistema
costituzionale il legislatore puo' emanare disposizioni  retroattive,
il  limite  costituzionale  vigente  per  la  materia  penale».  Tali
disposizioni,  pero',  «non  possono  trasmodare  in  un  regolamento
irrazione ed arbitrariamente incidere  sulle  situazioni  sostanziali
poste  in  essere  da  leggi  precedenti,  frustrando   cosi'   anche
l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che  costituisce
elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato  di  diritto  (v.
sentenze nn. 36 del 1985 e 210 del 1971)». 
    Se  pertanto,  deve  ritenersi   astrattamente   ammissibile   un
intervento legislativo che modifichi i trattamenti  previdenziali  in
essere, «non puo' dirsi consentita una modificazione legislativa che,
intervenendo o in una fase avanzata del  rapporto  di  lavoro  appare
quando gia' sia subentrato lo stato di  quiescenza,  peggiora,  senza
una  inderogabile  esigenza,  in  misura  notevole  ed   in   maniera
definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con
la  conseguente   irrimediabile   verificazione   delle   aspettative
legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo  successivo  alla
cessazione della propria  attivita'  lavorativa»  (sentenza  822  del
1988). 
    Tali  principi  sono  costantemente  ribaditi  anche  dalla  piu'
recente giurisprudenza costituzionale. Nella sentenza n. 54 del 2019,
per esempio, il Giudice di legge ha  ricordato  che  «il  valore  del
legittimo affidamento, che trova copertura costituzionale nell'art. 3
Cost. Non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni  che
modificano in senso sfavorevole agli  interessati  la  disciplina  di
rapporti giuridici "anche se l'oggetto di questi  sia  costituito  da
diritti  soggetti  perfetti".  Cio'  puo'   avvenire,   tuttavia,   a
condizione "che tali disposizioni non trasmodino  in  un  regolamento
irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a  situazioni   sostanziali
fondate sulle leggi precedenti,  l'affidamento  dei  cittadini  nella
sicurezza giuridica da intendersi quale elemento  fondamentale  dello
Stato di diritto" (ex plurimis, sentenza n. 216 e n. 56 del 2015,  n.
219 del 2014, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013,  n.  166  del
2012 e n. 302 del 2010; ordinanza n. 31 del 2011)». 
    4.4. - Ebbene: e' agevole  verificare  che  nel  caso  di  specie
l'art. 2 della legge regionale n. 5 del 2014 introduce  una  modifica
in  peius  della  disciplina  dei  vitalizi  erogati  dal   Consiglio
regionale che e' al  contempo  definitiva,  in  quanto  valevole  per
«tutti  gli  assegni  vitalizi  diretti,  non  attualizzati,   e   di
reversibilita'» a decorrere dal mese successivo all'entrata in vigore
della legge (entrata in vigore nell'agosto 2014) e per un  intervallo
di tempo indeterminato, e di rilevante ammontare, giacche'  incidente
per ben un quinto sull'ammontare lordo mensile del trattamento. 
    La lesione del legittimo  affidamento  comporta  l'illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata non salo  per  violazione
dell'art. 3 Cost., ma anche per violazione dell'art.  117,  comma  1,
Cost., in riferimento all'art. 6  della  Convenzione  Europea  per  i
Diritti  dell'Uomo.  Le  norme  della  CEDU  nel   significato   loro
attribuito dalla Corte EDU, integrano, quali «norme  interposte»,  il
parametro costituzionale espresso  dall'art.  117,  comma  1,  Cost.,
nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna
ai vincoli derivanti  dagli  obblighi  internazionali  (ex  plurimis:
sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010). 
    Ebbene l'art. 6 CEDU Tutela il diritto a un equo processo e a  un
ricorso effettivo come rimedio per la violazione dei diritti e  degli
interessi legittimi. Da tali previsioni la Corte EDU  ha  ricavato  i
principi  che  limitano  il  potere   degli   Stati   di   legiferare
retroattivamente. In particolare, la  Corte  di  Strasburgo  ha  piu'
volte affermato che, se in linea di principio nulla vieta  al  potere
legislativo  di  regolamentare   in   materia   civile,   con   nuove
disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti  da  leggi
in vigore,  il  principio  della  preminenza  del  diritto  e  quello
all'equo processo sancito dagli articoli 6  e  13  della  Convenzione
impongono che la regolamentazione retroattiva trovi  la  sua  ragione
giustificative in «imperative  ragioni  di  interesse  generale»  (ex
plurimis: CEDU, Sez. II, sent. 7 giugno 2011, Agrati ed altri  contro
Italia; sentenza 31  maggio  2011,  Maggio  contro  Italia;  Sez.  V,
sentenza 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia). 
    Ebbene: tra i motivi imperativi di interesse generale non rientra
l'ottenimento di un mero beneficio economico per la finanza  pubblica
(beneficio che, oltretutto, come si e' visto, non risponde  nel  caso
di specie ad alcuna «inderogabile esigenza» economico - finanziaria).
La  Corte  EDU  lo  ha  piu'  volte  statuito.  Per  tutte  valga  il
riferimento alle sentenze Sez, IV, 28 ottobre [999, Zelinsky,  Pradal
e Gonzales c Francia, e Sez. III, 21  giugno  2007,  SCM  Scanner  de
l'Oziest Lyonnais  c.  Francia.  In  entrambi  i  casi  la  Corte  ha
affermato che le giustificazioni di tipo economico -  riguardanti  il
rischio  di  mettere  in  pericolo  l'equilibrio  finanziario  e   la
prospettiva di un aumento esponenziale dei costi del personale -  che
lo Stato pone  alla  base  del  suo  intervento  non  possono  essere
considerate  di  importanza   generale   e   tale   da   giustificare
un'ingerenza  retroattiva  nelle   situazioni   di   vantaggio   gia'
assicurate dalla legge. 
    Di  conseguenza,  atteso  che   l'unica   ragione   astrattamente
invocabile a sostegno dell'art. 2 della legge regionale n. 5 del 2014
potrebbe   essere   il   conseguimento   di   un   indispensabile   e
irrinunciabile risparmio per  il  Consiglio  regionale,  la  predetta
disposizione si espone ai segnalati dubbi di violazione della CEDU. 
    Anche  nell'ordinamento  dell'Unione  europea,  del   resto,   il
principio di affidamento si sostanzia  nella  legittima  aspettativa,
riconosciuta. a ciascun soggetto in quell'ordinamento operante, a che
non si realizzi  una  irragionevole,  retroattiva  e  pregiudizievole
modificazione del quadro giuridico di riferimento. Cio'  comporta  la
violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. 
    La giurisprudenza della Corte  di  giustizia,  al  proposito,  ha
espressamente chiarito che il principio del legittimo affidamento  e'
fondamentale nell'ordinamento  europeo.  Ci  si  puo'  limitare,  sul
punto, a rinviare, tra le altre, alla  sentenza  CGUE,  14  settembre
2006, cause riunite C - 181/04 e C -  183/04,  ove  si  ricorda  che,
«secondo costante giurisprudenza della Corte, i principi della tutela
del legittimo affidamento e della certezza del  diritto  fanno  parte
dell'ordinamento  giuridico  comunitario;  pertanto   devono   essere
rispettati dalle istituzioni comunitarie ma anche dagli Stati  membri
nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie»
(ma si vedano anche almeno le sentenze 3 dicembre  1998,  causa  C  -
381/97, Belgocodex, 26 aprile 2005, causa C - 376/02, Goed Wonen). 
    Tali   essendo   i    fondamentali    principi    costituzionali,
convenzionali ed eurounitari che regolano la materia, e' evidente che
la disciplina in contestazione li ha frontalmente violati. 
    4.5. - Si deve aggiungere poi, che  il  meccanismo  di  risparmio
disposto dal legislatore regionale si caratterizza per la  linearita'
del taglio. Il trattamento vitalizio non e' stato rivisto sulla  base
della contribuzione versata. Valgono, allora, le considerazioni della
recentissima sentenza Corte cost., n. 44  del  2021,  in  cui  si  e'
affermato che «Il  legislatore  persegue  quindi  l'obiettivo  di  un
risparmio - funzionale anche al contenimento della spesa del  settore
pubblico allargato (sentenze n. 16 del 2010 e  n.  237  del  2009)  -
tramite la riduzione dei costi di funzionamento degli organi elettivi
e delle indennita'  spettanti  agli  ex  consiglieri,  presidenti  ed
assessori regionali (sentenze n. 23 del 2014 e n. 151 del  2021).  Si
e', del resto, in presenza di una tecnica normativa non  nuova,  gia'
utilizzata dal legislatore statale proprio  nella  prospettiva  della
riduzione dei  "costi  della  politica"  (fattispecie  analoghe  sono
scrutinate nelle sentenze n. 99 e n. 23 del 2014, n. 198 e n. 151 del
2012) e che si differenzia anche da altre tipiche  ipotesi  di  tagli
lineari della spesa, per  le  quali  questa  Corte  ha  richiesto  il
requisito della temporaneita' (tra le tante, sentenza n. 103 del 2018
e n. 154 del 2017»). Mentre, il mero taglio  lineare  indiscriminato,
invece, e' gravemente sospetto d'incostituzionalita'. 
    4.6.  -  I  dubbi  di  costituzionalita'  sopra  illustrati  sono
confermati anche da una recente ordinanza di rimessione del Tribunale
di  Trieste  del  6  ottobre  2020,  in  cui  si  e'  censurata   una
disposizione analoga a quella  oggetto  del  presente  giudizio  «per
violazione dei principi di ragionevolezza, di  tutela  del  legittimo
affidamento (quest'ultimo valutato avendo riguardo  alle  motivazioni
che hanno condotto  all'emanazione  degli  interventi  censurati,  al
grado di consolidamento, alla prevedibilita' ed alla proporzionalita'
degli stessi), di certezza del diritto (art. 2, 3, 10,  11,  42,  117
Cost. In relazione  all'art.  6  CEDU)  nonche'  per  violazione  del
principio di sterilizzazione degli impedimenti economici nell'accesso
alle cariche di rappresentanza democratica del Paese (art. 64, 66, 68
e 69 Cost.), di non discriminazione per  ragioni  di  patrimonio  e/p
eta', di parita' di trattamento ed integrazione socio/economica degli
anziani di cui agli articoli 21 e 25 della Carta di Nizza e art.  10,
20 e 157 del  TFUE,  art.  2015  del  Pilastro  europeo  dei  diritti
sociali, risultano non manifestamente infondati. 
    Alla luce di queste considerazioni si manifesta anche  il  dubbio
di violazione dell'art. 97 Cost. in quanto il  legislatore  regionale
e'   intervenuto   violando    il    principio    di    imparzialita'
dell'Amministrazione  e  ha  compresso   i   diritti   dei   soggetti
pregiudicati    senza    ottenere     una     maggiore     efficienza
dell'Amministrazione e della sicurezza previdenziale  nella  garanzia
del mandato elettivo. 
    4.7. - Parimenti fondata risulta la censura di  violazione  della
competenza legislativa regionale, pure prospettata da parte attrice. 
    La disciplina rilevante nella presente controversia (nella  parte
in cui dispone retroattivamente) esorbita completamente  dalla  sfera
di competenza legislativa regionale in materia di  ordinamento  degli
organi e degli uffici regionali (di cui all'art. 4 dello  Statuto  di
autonomia)  e,  per  converso,  rientra  nella  materia  «ordinamento
civile», di competenza esclusiva  statale  ai  sensi  dell'art.  117,
comma 2, lett. l), Cost. 
    E'  indicativo,  sul  punto,   un   solido   orientamento   della
giurisprudenza costituzionale: 
      - le Regioni (ivi comprese quelle ad  autonomia  speciale)  non
possono sottrarsi alla riserva alla potesta'  esclusiva  dello  Stato
«della materia "ordinamento civile", ai sensi  del  nuovo  art.  117,
secondo  comma,  lettera  l,  della  Costituzione),  consistente  nel
divieto  di  alterare  le  regole  fondamentali  che  disciplinano  i
rapporti privati» (sentenze nn. 367 del 2006, 82 del 2003); 
      - invade detto ambito di  competenza  la  legge  regionale  che
disponga  dell'attivita'  «di  organismi  e  di  gestioni  [...]   di
carattere privato», regolandone non solo i compiti e le funzioni,  ma
anche i «rapporti  giuridici  e  amministrativi,  dunque  pure  nella
titolarita' dei beni eventualmente posseduti, al  di  fuori  di  ogni
procedura di eventuale ablazione per ragioni di  interesse  pubblico,
con conseguente corresponsione di indennizzi», perche' in questo modo
la norma regionale «da un lato travalica il  limite,  ora  ricordato,
del divieto di alterare le fondamentali regole del  diritto  privato;
dall'altro  lato  si  risolve  in   una   violazione   dei   principi
costituzionali  di  autonomia  e  di  salvaguardia  della  proprieta'
privata e della liberta' di associazione» (sentenza n. 282 del 2004); 
      -  la  competenza  statale  e'  usurpata   anche   laddove   il
legislatore regionale abbia introdotto  un'apposita  disciplina,  «in
deroga all'articolata regolamentazione  statale  di  diritto  privato
speciale, sulla cessione dei  crediti  vantati  nei  confronti  della
pubblica amministrazione» (sentenza n. 131 del 2013, massima che puo'
essere agevolmente estesa al caso di specie); 
      - non compete al legislatore regionale  «disciplinare  un'ampia
ed indeterminata categoria  di  atti,  a  contenuto  provvedimentale,
negoziale  (e,  dunque,   espressione   dell'autonomia   privata)   o
deliberativo, escludendo che essi siano efficaci e, comunque, possano
impegnare l'amministrazione, sino a quando non  siano  realizzate  le
condizioni nella norma stessa previste»,  in  quanto  «la  disciplina
dell'effetto giuridico, cioe' dell'idoneita' o attitudine di un  atto
a produrre certe conseguenze nel mondo  del  diritto,  appartiene  al
diritto civile, dal quale, dunque, e' regolata» (sentenza n. 159  del
2013); 
      - eccezion fatta per le norme in  materia  di  procedimento  di
espropriazione per pubblica  utilita',  sfugge  alla  competenza  del
legislatore regionale la disciplina che  incide  nella  proprieta'  e
nella titolarita' dei beni privati (sentenze nn. 74 e 114 de] 2012). 
      4.8. - Non basta. L'art. 2 della legge regionale n. 5 del  2014
appare altresi'  violativo  del  riparto  di  competenze  legislative
previsto dall'art. 117, comma 3, Cost. In materia  di  «coordinamento
della  finanza  pubblica».  Si  e'  gia'  visto,  infatti,   che   il
decreto-legge n. 174 del  2012,  convertito,  con  modificazioni,  in
legge n. 213 dei 2012, all'art. 2, comma 1, lett. m), ha  incentivato
- prevedendo, in caso di mancato adeguamento, la sanzione del  taglio
dei trasferimenti erariali - la  riduzione  da  parte  delle  Regioni
delle indennita' di carica degli organi  politici,  stabilendo  pero'
che la riduzione dei «trattamenti pensionistici o vitalizi in  favore
di colore  che  abbiano  ricoperto  la  carica  di  presidente  della
regione, di consigliere regionale o  di  assessore  regionale»  fosse
disposta «fatti salvi i relativi trattamenti  gia'  in  erogazione  a
tale data». Ebbene: la Corte costituzionale, chiamata a  pronunciarsi
proprio sui ricorsi proposti da due Regioni a statuto speciale aventi
ad oggetto l'art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 174 del  2012,  ha
dichiarato  infondate   le   relative   questioni   di   legittimita'
costituzionale  connesse  sia  all'inidoneita'  della   clausola   di
salvaguardia di cui all'art. 2, comma 4,  decreto-legge  n.  174  del
2012 a tutelare le  loro  prerogative  statuarie,  sia  alla  pretesa
incostituzionalita'  della  disciplina   sostanziale   prevista   dal
richiamato art. 2, comma 1. La Corte, in particolare, ha chiarito che
detto  articolo  rientra  nella  competenza  legislativa  statale  in
materia di «coordinamento della finanza pubblica», rilevando che  «il
censurato art. 2, comma l [...],  pur  contenendo  alcune  previsioni
puntuali, le configura non come obblighi bensi' come oneri. Esso  non
utilizza, dunque, la tecnica tradizionale  d'imposizione  di  vincoli
alla spesa ma un meccanismo indiretto  che  lascia  alle  Regioni  la
scelta  se  adeguarsi  o  meno,  prevedendo,  in  caso  negativo,  la
conseguenza sanzionatoria del taglia dei trasferimenti erariali [...]
Il meccanismo  cosi'  delineato  realizza  il  duplice  obiettivo  di
indurre a  tagli  qualitativamente  determinati  e  di  garantire  il
contenimento della spesa  pubblica  secondo  la  tradizionale  logica
quantitativa: in linea di principio, dunque, le norme  censurate  non
esorbitano dai limiti propri della competenza statale concorrente  in
materia di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 23  del
2014). 
    In quanto espressione di un  «principio  di  coordinamento  della
finanza pubblica» (ibid.), pertanto, il rispetto dell'art.  2,  comma
1, lett. m), si impone anche alle Regioni a statuto speciale. 
    4.9. - Si deve poi aggiungere che, secondo la  prospettazione  di
parte attrice, non  adeguatamente  contestata  dalle  amministrazioni
convenute, l'intervento riduttivo e' stato effettuato  senza  che  vi
fosse una ragione stringente e  insuperabile  connessa  alla  finanza
pubblica.  Tale  circostanza  rileva  ai  fini  della   verifica   di
proporzionalita' e ragionevolezza dell'intervento in esame. 
5. - Quanto all'illegittimita' costituzionale delle disposizioni  sul
c.d. «contributo di solidarieta'» 
    Quanto agli effetti del c.d. «contributo di solidarieta'» si deve
osservare quanto segue: 
      - l'art. 3 della legge regionale n. 4 del  2004  ha  introdotto
l'art. 4-bis nella legge regionale n. 2 del 1995, che ha istituito  a
partire dal 1° gennaio  2005  un  «contributo  di  solidarieta'»  per
un'aliquota pari al 4%; 
      - l'art. 15 della legge regionale n. 6 del  2012  ha  aumentato
l'aliquota del contributo di solidarieta' fino ad un massimo del 12%,
poi confermata dall'art. 4 della legge regionale n. 5/2014. Nel  caso
dell'attrice  nel  presente  giudizio  si  e'  concretamente  passati
dall'originario 4% al 12% a partire da gennaio 2014; 
      - a luglio 2014  (prima  dell'entrata  in  vigora  della  legge
regionale n. 5 del 2014), l'assegno  di  reversibilita'  dell'attrice
(la quale ne e' in godimento  dal  giugno  2008),  in  ragione  delle
decurtazioni a titolo di contributo di  solidarieta'  e  del  mancato
adeguamento ISTAT,  era  gia'  ridotto  di  circa  17%  (12%  per  il
contributo di solidarieta' e per la restante  parte  per  il  mancato
adeguamento ISTAT «bloccato» dal 2009. 
       - con l'entrata in vigore della legge regionale n. 5 del  2014
(agosto 2014) e' stato introdotto il taglio del 20%  (art.  2)  e  il
contributo di solidarieta' e' stato confermato al 12% (art. 4); 
      - ad agosto 2014 con l'entrata in vigore della legge  regionale
n. 5/2014, il taglio dell'assegno di  reversibilita'  era  quindi  di
circa  il  37%  (rispetto  al  17%  del  mese  precedente)   con   un
aggravamento delle riduzioni pari al 20% sul precedente. 
      Parte  attrice  ha  osservato   che,   perdurante   il   blocco
dell'adeguamento ISTAT, a dicembre 2019 (mese  di  abrogazione  della
legge regionale n. 5/14,  a  seguito  dell'approvazione  della  legge
regionale  n.  7  del  2019),   la   decurtazione   dell'assegno   di
reversibilita' era arrivata a circa il  39,5%,  di  cui  20%  per  il
«taglio lineare», il 12% a titolo di contributo di solidarieta' ed il
resto per mancato adeguamento ISTAT. 
    Ha soggiunto che nel luglio del 2020 il  Consiglio  Regionale  ha
versato gli arretrati ISTA ma non ha liquidato l'intero ammontare per
il periodo 2009-2019, bensi' solo quanto  rilevante  per  il  periodo
2014-2019. A  tal  proposito,  parte  attrice  ha  richiamato  quanto
disposto dall'art.  2  della  legge  regionale  n.  8  de  2011  che,
novellando le precedenti ll. regg. nn. 2 del 1995 e 8  del  2009,  ha
stabilito la «ripresa»  della  rivalutazione  «con  base  1°  gennaio
2009», il limite dell'incremento ISTA per  il  periodo  precedente  e
l'applicazione a far data dalla fine della XIV legislatura regionale. 
    5.1. - Alla luce di  quanto  illustrato  in  fatto,  i  dubbi  di
costituzionalita' dedotti in merito all'art. 2 della legge  regionale
n. 5 del 2014 devono essere estesi anche alle disposizioni in tema di
contributo di solidarieta' e, in particolare, all'art. 4 della  legge
regionale n. 5 del 2014, ove  si  prevedeva  che  «Il  contributo  di
solidarieta' da applicare agli assegni vitalizi inferiori alla misura
del 30,40 per cento della  base  di  calcolo  prevista  dal  comma  2
dell'art. 8 della legge regionale n. 6 del 2012  e'  pari  al  6  per
cento. Agli assegni di reversibilita' riferiti  ad  assegni  vitalizi
non attualizzati, maturati fino alla misura del 57  per  cento  della
medesima base di calcolo, il contributo di solidarieta' da  applicare
e' pari all'8 per cento ed agli assegni di reversibilita' riferiti ad
assegni vitalizi di misura superiore, il contributo  di  solidarieta'
da applicare e' apri al 12 per cento». 
    5.2. - In via del tutto preliminare si deve osservare che  questo
tipo di misura e' solo  nomine  diversa  dal  taglio  lineare  sopra,
atteso che: 
      - l'intervento non e' di  tipo  solidaristico,  in  quanto  non
trasferisce risorse da una categoria  a  un'altra  di  percettori  di
trattamento con finalita' previdenziale; 
      - l'intervento non  e'  di  tipo  perequativo,  in  quanto  non
intende equiparare una categoria di  soggetti  titolari  dell'assegno
vitalizio ad altre categorie (in tesi meno  beneficiate  per  profili
meritevoli di considerazione da parte del legislatore regionale); 
      -  al  contrario,  l'intervento   ha   l'unica   finalita'   di
penalizzazione dei soggetti cui si applica e avvantaggia il  bilancio
regionale; 
      -  peraltro  non  risulta  che  il  bilancio  regionale  avesse
necessita' o urgenza di reperire risorse in tale  maniera  e  misura,
anche alla luce del fatto che per i trattamenti  vitalizi  in  essere
era stato costruito adeguato e capiente fondo di garanzia; 
      - l'intervento non era  adeguatamente  circoscritto  nel  tempo
(sul punto si puo' richiamare la recentissima sentenza Corte cost. n.
234 del 2020, in tema di decurtazione  delle  pensioni  elevate,  che
fissa nel triennio il  termine  massimo  ragionevole  di  misure  che
impanano  su  un  trattamento  in  godimento  e  che   escludono   la
reiterabilita' - pur sotto altro nome e forma - dei tagli). 
    5.3. - Tutto cio' considerato, valgono anche per  questo  profilo
le deduzioni sopra richiamate per l'art. 2 della legge regionale n. 5
del 2014, in tema di violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma  1,
Cost. In riferimento all'art. 6 della Convenzione EDU, e  117,  comma
2,  Cost.  Nonche'  dell'art.  4  dello  Statuto  regionale,  che  si
sintetizzano come segue: 
      - il prelievo interviene  in  forma  retroattiva  con  evidente
violazione del legittimo affidamento, tutelato  dagli  articoli  3  e
117, comma 1, Cost., in riferimento all'art. 6 della Convenzione EDU; 
      - il prelievo e' irragionevole, nella misura in cui  decurta  -
un beneficio avente  finalita'  previdenziale  e  che  sorge  da  una
rilevante   contribuzione   privata,   che   viene    sostanzialmente
espropriata a favore del soggetto pubblico; 
      - l'imposizione del contributo di solidarieta' determinando  un
prelievo  a  carico  del  trattamento,  esorbita   dalla   competenza
legislativa regionale ex art. 4 dello statuto. 
    5.4. - A tali  dubbi  se  ne  devono  aggiungere  altri  relativi
proprio alla natura del contributo di solidarieta'. 
    Sul  punto  si  deve  ricordare  quanto  osservato  dalla   Corte
costituzionale nella sentenza  n.  116  del  2013,  confermata  dalla
recentissima sentenza n. 234 del 2020: 
      - in termini  generali,  i  contributi  di  solidarieta'  hanno
«natura tributaria»,  essendo  previsti  «a  carico  dei  trattamenti
pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatorie», costituendo «un prelievo analogo a  quello  effettuato
sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici»; 
      - la previsione  di  un  contributo  di  solidarieta'  infatti,
«integra una decurtazione  patrimoniale  definitiva  del  trattamento
pensionistico, con acquisizione  al  bilancio  statale  del  relativo
ammontare, che presenta tutti i  requisiti  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte per  caratterizzare  il  prelievo  come  tributario  (ex
plurimus, sentenze n 223 del 2012; n. 141 del 2009; n. 335 n.  102  e
n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2003)». 
    Riconosciuta la natura tributaria del prelievo, nella sentenza n.
113 del 2016 la Corte ha affermato che e' illegittimo  un  contributo
di  solidarieta'  che,  in  buona  sostanza,  determina   un   carico
tributario imposto a una platea limitata di  contribuenti  percettori
di reddito («al fine  di  reperire  risorse  per  la  stabilizzazione
finanziaria,  il  legislatore  ha  imposto  ai   soli   titolari   di
trattamenti pensionistici, per  la  medesima  finalita',  l'ulteriore
speciale prelievo  tributario  oggetto  di  censura,  attraverso  una
ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi»). 
    Nella citata sentenza della Corte costituzionale si  e'  aggiungo
che «tale sostanziale identita' dr ratio  dei  differenti  interventi
"di  solidarieta'"  determina  un  giudizio  di  irragionevolezza  ed
arbitrarieta'  del  diverso  trattamento  riservato  alla   categoria
colpita, «foriero peraltro di un risultato di  bilancio  che  avrebbe
potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato, laddove  il
legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini
e  di  solidarieta'  economica,  anche  modulando   diversamente   un
"universale" intervento impositivo». Se da un  lato  l'eccezionalita'
della  situazione  economica  che  lo  Stato   deve   affrontare   e'
suscettibile di consentire il ricorso  a  strumenti  eccezionali  nel
difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli  interessi
finanziari e di garantire i servizi e la protezione di  cui  tutti  i
cittadini  necessitano,  dall'altro  cio'  non  puo'   e   non   deve
determinare ancora una volta un'obliterazione dei fondamentali canoni
di uguaglianza sui quali si fonda l'ordinamento costituzionale». 
    Tali considerazioni si possono de  plano  applicare  al  caso  di
specie, in ragione del fatto che: 
      - sono presenti i medesimi indici della natura tributaria della
misura; 
      - l'assegno vitalizio pur non avendo «natura» previdenziale, ha
«finalita'» previdenziale e  deriva  da  una  contribuzione  gravante
sull'indennita' di carica; 
      - l'assegno e' sostanzialmente analogo a fonti  di  reddito  di
natura previdenziale nonche' ad altre fonti di reddito  derivanti  da
rendite maturate con risparmio derivante dal reddito da lavoro. 
    Ne consegue che anche in questo caso sono violati gli articoli  3
e 53 Cost. Perche'  si  ripropone  l'illegittimita'  e  irragionevole
limitazione della platea dei soggetti. 
    Si aggiunga che nella citata  sentenza  la  Corte  costituzionale
osserva  che  «il  giudizio   di   irragionevolezza   dell'intervento
settoriale appare ancor piu' palese,  laddove  si  consideri  che  la
giurisprudenza  della  Corte   ha   ritenuto   che   il   trattamento
pensionistico ordinario n. 166 del 2006); sicche' il maggior prelievo
tributario rispetto ad altre  categorie  risulta  con  piu'  evidenza
discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai  consolidati
nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia'  rese  da
cittadini che hanno esaurito la loro  vita  lavorativa,  rispetto  ai
quali non  risulta  piu'  possibile  neppure  ridisegnare  sul  piano
sinallagmatico il rapporto  di  lavoro».  Anche  tali  considerazioni
possono valere nel caso di specie, in ragione del fatto che l'assegno
- occorre ribadirlo - deriva da una rilevante contribuzione privata. 
    5.5. - Nella sentenza n. 173 del 2016, la Corte costituzionale e'
stata  chiamata  a  scrutinare  plurime  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre  2013,
n. 147, sollevate da distinte Sezioni giurisdizionali della Corte dei
conti /anche) in riferimento agli articoli 2, 3, 36  e  38  Cost.  In
particolare, la disposizione censurata prevedeva  un  «contributo  di
solidarieta'» per  il  triennio  2014-2016  su  tutti  i  trattamenti
pensionistici eccedenti una determinata percentuale  del  trattamento
minimo INPS,  con  devoluzione  delle  somme  cosi'  trattenute  alle
competenti gestioni previdenziali obbligatorie. 
    In tale occasione, la Corte ha  affermato  che  per  superare  lo
scrutinio «stretto» di costituzionalita' il  prelievo  forzoso  sulle
pensioni (i.e. Nel caso di allora, il «contributo  di  solidarieta'»)
deve, tra  l'altro,  «essere  comunque  utilizzato  come  misura  una
tantum». 
    Nel caso allora scrutinato, la Corte costituzionale ha dichiarato
infondata la relativa questione,  osservando,  fra  l'altro,  che  il
prelievo, «in ragione della sua temporaneita', non si palesa  di  per
se' insostenibile, pur innegabile comportando  un  sacrificio  per  i
titolari di siffatte pensioni» e che «l'intervento legislativo di cui
al denunciato comma 486,  nel  suo  porsi  come  misura  contingente,
straordinaria  e  temporalmente  circoscritta,  supera  lo  scrutinio
"stretto" di costituzionalita'». 
    Ebbene: nulla di tutto cio' accade nel caso di specie, alla  luce
della segnalata lunghissima durata del prelievo imposto  (da  gennaio
2005 fino a dicembre 2019), con aliquote sempre maggiori. 
    5.6. - Da ultimo si deve ricordare che  la  cit.  sentenza  Corte
cost. n, 173 del 2016, scrutinando l'art. 1, comma 486,  della  legge
n. 147 del 2013, ha affermato, tra l'altro, che: 
      i) «in linea di principio, il contributo di solidarieta'  sulle
pensioni puo' ritenersi  misura  consentita  al  legislatore  ove  la
stessa non ecceda i limiti entro i quali e' necessariamente costretta
in  forza  del  combinato   operare   dei   principi,   appunto,   di
ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (articoli
3 e 38 Cost.) il cui rispetto e' oggetto di uno  scrutinio  "stretto"
di  costituzionalita',  che  impone  un   grado   di   ragionevolezza
complessiva ben piu' elevato di quello che,  di  norma,  e'  affidato
alla mancanza di arbitrarieta'»; 
      ii)  «Il   contributo,   dunque,   deve   operare   all'interno
dell'ordinamento previdenziale, come misura di solidarieta'  "forte",
mirata  a  puntellare  il  sistema  pensionistico,  e   di   sostegno
previdenziale ai  piu'  deboli,  anche  in  un'ottica  di  mutualita'
intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave  crisi
del sistema stesso, indotta da vari fattori - endogeni ed esogeni (il
piu'   delle   volte   tra   loro   intrecciati:   crisi    economica
internazionale, impatto  sulla  economia  nazionale,  disoccupazione,
mancata  alimentazione  della  previdenza,  riforme  strutturali  del
sistema  pensionistico)  -  che  devono  essere  oggetto  di  attenta
ponderazione  da  parte  del  legislatore,  in  modo   da   conferire
all'intervento quella incontestabile ragionevolezza, a  fronte  della
quale soltanto puo' consentirsi di derogare (in termini  accettabili)
al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento
pensionistico gia' maturato (sentenza n. 69  del  2014,  n.  166  del
2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis)»; 
      iii) «L'effettivita' delle  condizioni  di  crisi  del  sistema
previdenziale consente, appunto di salvaguardare anche  il  principio
dell'affidamento,  nella  misura  in  cui  il  prelievo  non  risulti
sganciato dalla realta' economico -  sociale,  di  cui  i  pensionati
stessi sono partecipi e consapevoli»; 
      iv) «L'indecenza sulle pensioni (ancorche') "piu' elevate" deve
essere contenuta in limiti di sostenibilita' e non  superare  livelli
apprezzabili: per cui, le aliquote di  prelievo  non  possono  essere
eccessive e devono rispettare il principio di  proporzionalita',  che
e' esso stesso criterio, in se', di ragionevolezza della misura». 
    Nessuno dei test cosi' elaborati e' superato  dalla  disposizione
qui esaminata. Essa, infatti, non e' contenuta in limiti  ragionevoli
e certamente non e' intesa a reperire risorse  che  vengono  riemesse
nello specifico sistema di tutela previdenziale. Evidente, dunque, la
violazione degli articoli 3 e 38 Cost., in quanto un prelievo  su  un
beneficio avente finalita' previdenziale  e'  interamente  incamerato
dall'Amministrazione,   invece   di   essere   reimpiegato   per   la
sostenibilita' del sistema previdenziale. 
    Anche in questo caso poi, deve ribadirsi il dubbio di  violazione
dell'art. 97 Cost., in quanto il legislatore regionale e' intervenuto
violando il principio  di  imparzialita'  dell'Amministrazione  e  ha
compresso i diritti dei  soggetti  pregiudicati  senza  ottenere  una
maggiore   efficienza   dell'Amministrazione   e   della    sicurezza
previdenziale nella garanzia del mandato elettivo. 
    5.7. - Quanto sopra illustrato vale non  solamente  per  l'ultima
modifica del contributo di solidarieta',  di  cui  all'art.  4  della
legge regionale n. 5 del 2014. Le censure relative al superamento dei
limiti fissati dalla Corte costituzionale  per  l'imposizione  di  un
contributo di solidarieta', infatti, specialmente in riferimento alla
durata  non  limitata  delle  contributo  (che,  invece,   e'   stato
costantemente   aumentato   nell'aliquota)   sollevano    dubbi    di
costituzionalita' della disciplina sul contributo di solidarieta' sin
dalla sua istituzione, atteso che esso  era  di  aliquota  non  certo
irrilevante e imposto senza limiti di durata,  oltre  che  senza  una
precisa  finalita'  di  finanziamento  di  strumenti  aventi  analogo
impiego. 
6. - Quanto all'abrogazione delle disposizioni censurate 
    Come  gia'  osservato,  pendente  il  presente  procedimento   e'
intervenuta la legge regionale n. 7  del  2019  che  ha  abrogato  il
contributo di solidarieta', segnatamente abrogando l'art. 4-bis della
legge regionale n. 2 del 1995 (che aveva introdotto il contributo  di
solidarieta' nell'aliquota del 4% a partire da gennaio 2005),  l'art.
15 della legge regionale n. 6 del 2012 (che ha elevato per  l'attrice
il contributo di solidarieta' al 12% a partire da gennaio 2014) e gli
articoli 2 e 4 della legge regionale n. 5 del 14 (che  hanno  imposto
il taglio del 20%, sopra detto, nonche' confermato il  contributo  di
solidarieta' al 12%). 
    Rimane comunque l'interesse dell'attrice a veder sollevata  anche
la questione di costituzionalita' delle norme che hanno introdotto  e
poi aumentato il prelievo a titolo di contributo di solidarieta'  per
il periodo 1° gennaio 2005 (anno di introduzione dell'istituto)  fino
al dicembre 2019 (anno di abrogazione dell'istituto). 
    Alla luce della giurisprudenza costituzionale, deve ritenersi che
la durata massima del contributo  di  solidarieta'  possa  essere  al
massimo triennale,  sicche'  le  disposizioni  Sopra  censurate  sono
illegittime, nella parte in cui non limitano a  tre  anni  la  durata
massima del contributo di solidarieta', nonche' nella  parte  in  cui
non prevedono che le risorse risparmiate debbano essere  devolute  al
finanziamento dei trattamenti correlati ai  mandati  elettivi  aventi
finalita' di garanzia previdenziale. 
    In atti, parte attrice ha  riassunto  gli  effetti  concreti  del
pregiudizio subito (memoria autorizzata dd. 13 novembre 2020 allegata
quale doc. 1 all'istanza dd. 25 novembre 2020), in cui si  evince  un
taglio mensile netto che e' salito a partire da gennaio 2005  da  una
iniziale aliquota finale del 4% pari ad curo  2002,04  mensili  (solo
contributo di solidarieta'), a un'aliquota finale a dicembre 2019 del
39,46% pari ad euro 2346,48 (taglio lineare del 20% ex art. 2,  legge
regionale n. 5/14, contributo di solidarieta' per un'aliquota del 12%
ex art. 4, legge  regionale  n.  5/14  e  mancato  adeguamento  ISTAT
«bloccato» da gennaio 2009). 
    Tali  deduzioni  comprovano  la  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza dei dubbi di costituzionalita' sopra indicati.