Ricorso  ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e  difeso  ex  lege
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  c.f.  80224030587,  n.  fax
0696514000  ed  indirizzo  pec  per   il   ricevimento   degli   atti
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it, presso i cui uffici in Roma - via
dei Portoghesi n. 12 - e' domiciliato per  legge  contro  la  Regione
Calabria, in persona del presidente della giunta regionale in carica,
con sede a Cittadella Regionale - viale Europa - localita'  Germaneto
-  88100   Catanzaro   per   la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Calabria  n.  23
del 7 luglio 2021, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della  Regione
Calabria n. 54 dell'8 luglio 2021, recante «Proroga  del  termine  di
cui al comma 12 dell'art. 6 della legge regionale  n.  21/2010»,  per
violazione degli articoli 9 e 117, primo e secondo comma, lettera s),
della Costituzione, rispetto ai quali costituiscono norme  interposte
la legge n. 14 del 2006, di recepimento della Convenzione europea sul
paesaggio, e gli  articoli  135,  143  e  145  del  codice  dei  beni
culturali  e  del  paesaggio,   dell'art.   117,   comma   3,   della
Costituzione, per contrasto con i principi  fondamentali  statali  in
materia di governo del territorio  stabiliti  dall'art.  41-quinquies
della legge n. 1150 del 1942, e del principio di leale collaborazione
e cio' a seguito ed in forza della delibera  di  impugnativa  assunta
dal Consiglio dei ministri nella seduta del 5 agosto 2021. 
 
                                Fatto 
 
    La legge regionale  n.  23  del  2021,  intitolata  «Proroga  del
termine di cui al comma 12  dell'art.  6  della  legge  regionale  n.
21/2010», dispone, all'art. 1, una proroga  del  termine  di  cui  al
comma  12  dell'art.  6  della  legge  regionale  n.  21  del   2010,
riguardante «Misure straordinarie a sostegno dell'attivita'  edilizia
finalizzata al miglioramento della qualita' del  patrimonio  edilizio
residenziale», sostituendo le parole «entro il 31 dicembre 2021»  con
le parole «entro il 31 dicembre 2022». 
    In via preliminare, si deve rilevare  che,  in  attuazione  delle
disposizioni di cui all'art. 135, comma 1, e 143, comma 2, del codice
dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42, la Regione Calabria e il Ministero della cultura
hanno  avviato,  sin  dal  2012,  un   rapporto   di   collaborazione
istituzionale  finalizzato  all'elaborazione  congiunta   del   piano
paesaggistico regionale. 
    Il  suddetto  percorso  ha  condotto  all'adozione   del   Quadro
territoriale regionale con valenza  paesaggistica  (QTRP),  approvato
dal Consiglio regionale con la deliberazione n.  134  del  1°  agosto
2016 (pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione  Calabria  n.
84 del 5 agosto 2016). 
    Il QTRP prevede la successiva redazione del piano  paesaggistico,
costituito  da  sedici  piani  paesaggistici  d'ambito,  destinato  a
rappresentare lo strumento di tutela, conservazione e  valorizzazione
del paesaggio; nelle more dell'approvazione del predetto strumento di
pianificazione  territoriale,  sono  stabilite  apposite   norme   di
salvaguardia, attinenti al sistema  delle  tutele,  alla  difesa  del
suolo e alle previsioni dei rischi a scala territoriale. 
    Cio' premesso, con la legge regionale  in  esame  la  regione  ha
prorogato l'operativita' temporale della legge  regionale  11  agosto
2010, n. 21 - c.d. piano casa - la  quale,  com'e'  noto,  disciplina
l'esecuzione  di  interventi  di  razionalizzazione  del   patrimonio
edilizio esistente, di riqualificazione di aree urbane degradate,  di
sostituzione  edilizia,   di   ampliamento   e   di   demolizione   e
ricostruzione di edifici esistenti, in  deroga  alle  previsioni  dei
regolamenti comunali e degli  strumenti  urbanistici  e  territoriali
comunali, provinciali e regionali. 
    La Regione Calabria, gia' con la legge  2  luglio  2020,  n.  10,
aveva apportato modifiche e integrazioni alla legge regionale  n.  21
del 2010, prorogandone l'operativita' - dal 31 dicembre  2020  al  31
dicembre 2021 - nonche' ampliandone la portata applicativa. 
    Avverso la  predetta  legge  pende  ricorso  dinanzi  alla  Corte
costituzionale  (n.  72  del  28  agosto  2020);  nel  dettaglio,  il
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha  chiesto  di  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 2, 3, commi 1 e  3,  e
4, commi 1 e 2, lettera b), della legge regionale 2 luglio  2020,  n.
10, avente ad oggetto «Modifiche  ed  integrazioni  al  piano  casa»,
pubblicata nel Bollettino Ufficiale della regione n. 66 del 2  luglio
2020. 
    Pertanto,  l'art.  1  della  legge  regionale  suddetta,   giusta
determinazione assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del  5
agosto 2021, e' impugnata per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
    Illegittimita' costituzionale dell'art.  1  della  legge  Regione
Calabria n. 23 del 2021 intitolata «Proroga del  termine  di  cui  al
comma 12 dell'art. 6 della legge regionale n. 21/2010» per violazione
degli articoli 9 e 117, primo e  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, rispetto ai quali  costituiscono  norme  interposte  la
legge n. 14 del 2006, di recepimento della  Convenzione  europea  sul
paesaggio, e gli  articoli  135,  143  e  145  del  codice  dei  beni
culturali  e  del  paesaggio,   dell'art.   117,   comma   3,   della
Costituzione, per contrasto con i principi  fondamentali  statali  in
materia di governo del territorio  stabiliti  dall'art.  41-quinquies
della  legge  n.  1150  del  1942,   e   del   principio   di   leale
collaborazione. 
    Come gia' detto, la legge regionale n. 23  del  2021,  intitolata
«Proroga del termine di cui al  comma  12  dell'art.  6  della  legge
regionale n. 21/2010», ha  disposto,  all'art.  1,  una  proroga  del
termine di cui al comma 12 dell'art. 6 della legge  regionale  n.  21
del 2010, riguardante «Misure straordinarie a sostegno dell'attivita'
edilizia finalizzata al miglioramento della qualita'  del  patrimonio
edilizio residenziale», sostituendo le parole «entro il  31  dicembre
2021» con le parole «entro il 31 dicembre 2022». 
    Di conseguenza, con l'art. 1 della citata legge regionale  n.  23
del 2021, la Regione Calabria ha apportato nuovamente delle modifiche
alla legge n. 21 del 2010 - in particolare al comma  12  dell'art.  6
della legge regionale in questione -  prevedendo  che  l'istanza  per
l'esecuzione degli interventi rientranti nel c.d.  piano  casa  possa
essere presentata non piu' fino al 31 dicembre 2021, bensi'  fino  al
31 dicembre 2022. 
    La disposizione innanzi richiamata risulta manifestamente affetta
da illegittimita' costituzionale per i motivi di seguito illustrati. 
1. La finalita' della legge regionale n. 21 del 2010, recante il c.d.
piano casa, era quella di consentire interventi «straordinari» per un
periodo temporalmente limitato. 
    La stessa Corte costituzionale, intervenuta al riguardo,  non  ha
mancato di rilevare come il c.d. piano casa si configuri alla stregua
di «misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta
nel  2008  dal  legislatore  statale,  contenuta  nell'art.  11   del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,   la   competitivita'   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. 
    In particolare, l'art. 11, comma 5,  lettera  b),  prevedeva  che
detto piano potesse realizzarsi anche attraverso possibili incrementi
premiali  di  diritti  edificatori  finalizzati  alla  dotazione   di
servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualita' urbana, nel
rispetto delle aree necessarie  per  le  superfici  minime  di  spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o  a
parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile
1968, n. 1444. 
    Nel 2009, per dare attuazione a tale norma fece seguito  l'intesa
raggiunta in sede di  Conferenza  unificata,  stipulata  in  data  1°
aprile 2009, che ha consentito ai legislatori regionali (...) aumenti
volumetrici (pari al 20 per cento o  al  35  per  cento  in  caso  di
demolizione e ricostruzione) a fronte di  un  generale  miglioramento
della qualita' architettonica e/o energetica del patrimonio  edilizio
esistente» (Corte costituzionale n. 70 del 2020;  cfr.  anche,  ancor
piu' nettamente, Corte costituzionale n. 217 del 2020). 
    La predetta finalita' pare tuttavia essere stata snaturata  dalla
Regione Calabria, la quale, attraverso le continue proroghe apportate
con le leggi regionali che si sono susseguite nel tempo -  da  ultimo
quella prevista con la legge regionale in esame - ha  determinato  la
sostanziale stabilizzazione, per oltre  un  decennio,  delle  deroghe
consentite dalla legge n. 21 del 2010, con il risultato di accrescere
enormemente, per sommatoria, il numero degli  interventi  assentibili
in deroga alla pianificazione urbanistica e territoriale. 
    Al riguardo, si rammenta come la Corte costituzionale abbia  piu'
volte rimarcato che  le  norme  regionali  che  dispongono  proroghe,
successive nel tempo, al termine di efficacia  inizialmente  previsto
hanno l'effetto di consolidare nel tempo l'assetto «in deroga»  (cfr.
ad  esempio,  in  materia  di   tutela   della   concorrenza,   Corte
costituzionale n. 233 del 2020: «principi garantiti  dalla  normativa
interna  e  sovranazionale  possono  risultare  compromessi  da   una
pluralita' di proroghe che, anche  se  di  breve  durata,  realizzino
sommandosi tra di loro un'alterazione del mercato, ostacolando, senza
soluzione di continuita', l'accesso al settore di nuovi operatori»). 
    Va, poi, ricordato che non assume alcun  rilievo  la  circostanza
che il Governo non abbia impugnato la legge regionale n. 21 del 2010,
la cui efficacia e' stata prorogata dalla legge n. 23 del  2021,  sia
perche' - come anticipato e come piu'  diffusamente  si  dira'  -  il
contrasto  con  i  principi  costituzionali  discende  proprio  dalla
trasformazione  di  una  misura  eccezionale  e  temporanea  in   una
disciplina a regime, sia perche', comunque, la  Corte  costituzionale
ha da tempo chiarito che  «nei  giudizi  in  via  principale  non  si
applica l'istituto dell'acquiescenza, atteso che la norma  impugnata,
anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di  una  norma  anteriore
non impugnata, ha comunque l'effetto di reiterare la lesione  da  cui
deriva l'interesse a ricorrere» (cfr. sentenza  Corte  costituzionale
n. 56 del 2020, che richiama le precedenti sentenze n. 41  del  2017,
n. 231 e n. 39 del 2016). 
    La scelta cosi' operata dalla regione presenta  delle  criticita'
rispetto alla disciplina di tutela dei beni  paesaggistici  contenuta
nel codice dei beni culturali e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto
legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  risultando  invasiva  della
potesta'  legislativa  esclusiva  spettante  allo  Stato   ai   sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    Gli interventi di trasformazione  urbanistica  ed  edilizia  sono
invero collocati al di fuori del necessario quadro di riferimento che
dovrebbe essere costituito dalle previsioni del piano  paesaggistico,
ai sensi degli articoli  135,  143  e  145  del  codice  di  settore.
Soltanto a quest'ultimo strumento, elaborato  d'intesa  tra  Stato  e
regione, spetta infatti di stabilire, per ciascuna area tutelata,  le
c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri di gestione  del  vincolo,
volti a  orientare  la  fase  autorizzatoria)  e  di  individuare  la
tipologia delle  trasformazioni  compatibili  e  di  quelle  vietate,
nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    La legge regionale n. 21 del 2010 - la cui operativita' e'  stata
prorogata dall'art. 1 della legge in oggetto - contrasta, dunque, con
la scelta del legislatore statale di rimettere alla pianificazione la
disciplina d'uso dei beni paesaggistici (c.d. vestizione dei vincoli)
ai fini dell'autorizzazione degli interventi, come esplicitata  negli
articoli 135,  143  e  145  del  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  costituenti  norme  interposte  rispetto   al   parametro
costituzionale di cui agli articoli 9 e 117, secondo  comma,  lettera
s), della Costituzione. 
    Al riguardo, occorre tenere presente che la parte III del  codice
dei beni culturali e del paesaggio delinea  un  sistema  organico  di
tutela  paesaggistica,  inserendo  i   tradizionali   strumenti   del
provvedimento   impositivo   del   vincolo   e    dell'autorizzazione
paesaggistica  nel  quadro  della  pianificazione  paesaggistica  del
territorio, che  deve  essere  elaborata  concordemente  da  Stato  e
regione. Tale pianificazione concordata prevede,  per  ciascuna  area
tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri  di  gestione
del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria)  e  stabilisce
la tipologia delle trasformazioni compatibili e  di  quelle  vietate,
nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    Il   legislatore   nazionale,   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva  in  materia,  ha  assegnato  dunque  al  piano
paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della
pianificazione territoriale. 
    Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del codice di  settore
sanciscono infatti l'inderogabilita' delle  previsioni  del  predetto
strumento da  parte  di  piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o
regionali di sviluppo economico  e  la  loro  cogenza  rispetto  agli
strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata  prevalenza  del  piano
paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale  e
urbanistica (cfr. Corte costituzionale n. 180 del 2008). 
    Si  tratta  di  una  scelta  di  principio  la  cui  validita'  e
importanza  e'  gia'  stata  affermata   piu'   volte   dalla   Corte
costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che
intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli  strumenti
di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la  necessaria
condivisione delle scelte attraverso uno strumento di  pianificazione
sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la regione. 
    La Corte ha, infatti, affermato l'esistenza di un vero e  proprio
obbligo, costituente un  principio  inderogabile  della  legislazione
statale, di  elaborazione  congiunta  del  piano  paesaggistico,  con
riferimento ai beni vincolati (Corte costituzionale n. 86 del 2019) e
ha   rimarcato   che   l'impronta   unitaria   della   pianificazione
paesaggistica «e' assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile
dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento reso
a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della  legislazione
di tutela dei beni culturali e paesaggistici  sull'intero  territorio
nazionale» (Corte costituzionale n.  182  del  2006;  cfr.  anche  la
sentenza n. 272 del 2009). 
    Questo profilo di illegittimita' non viene meno in relazione alla
circostanza per cui, nelle aree  vincolate,  la  realizzazione  degli
interventi in questione risulta subordinata al  previo  rilascio  del
positivo atto  di  assenso  degli  enti  ministeriali  preposti  alla
tutela. 
    E  cio',  in  quanto,  a  essere  compromessa  e'  la  necessita'
imprescindibile di una valutazione complessiva  della  trasformazione
del contesto tutelato, quale dovrebbe avvenire nell'ambito del  piano
paesaggistico, adottato previa intesa con lo Stato e del quale,  come
detto, la Regione Calabria e' tuttora sprovvista. 
    I principi ora illustrati  trovano  costante  affermazione  nella
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  la  quale,  anche   di
recente,  ha  ribadito  che  «la  circostanza  che  la  regione   sia
intervenuta a dettare una deroga ai limiti per  la  realizzazione  di
interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure
con riguardo alle pertinenze, in deroga  agli  strumenti  urbanistici
senza seguire l'indicata modalita' procedurale collaborativa e  senza
attendere l'adozione  congiunta  del  piano  paesaggistico  regionale
delinea una lesione della sfera di competenza statale in  materia  di
"tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", che  si
impone al legislatore regionale, sia nelle regioni a statuto speciale
(sentenza n. 189 del 2016) che a  quelle  a  statuto  ordinario  come
limite all'esercizio di competenze  primarie  e  concorrenti»  (Corte
costituzionale n. 86 del 2019). 
    Come pure evidenziato dalla Corte, «Quanto detto non vanifica  le
competenze delle regioni e  degli  enti  locali,  "ma  e'  l'impronta
unitaria della pianificazione paesaggistica che e' assunta  a  valore
imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale  in  quanto
espressione  di  un  intervento  teso  a  stabilire  una  metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e paesaggistici sull'intero territorio nazionale:  il  paesaggio  va,
cioe', rispettato  come  valore  primario,  attraverso  un  indirizzo
unitario  che   superi   la   pluralita'   degli   interventi   delle
amministrazioni locali"  (sentenza  n.  182  del  2006;  la  medesima
affermazione e' presente anche nelle successive sentenze  n.  86  del
2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014)». 
    L'obbligo di elaborazione congiunta del piano paesaggistico mira,
dunque, «a  garantire,  attraverso  la  partecipazione  degli  organi
ministeriali ai procedimenti  in  materia,  l'effettiva  ed  uniforme
tutela dell'ambiente (sentenza n. 210 del 2016) (sentenza n.  86  del
2019, ma gia' nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 178, 68  e
n. 66 del 2018, n. 210 del 2016, n. 64 del 2015, n. 197 del 2014,  n.
211 del 2013)» (Corte costituzionale n. 240 del 2020). 
    Ne deriva, secondo la consolidata giurisprudenza  costituzionale,
che ogni intervento regionale volto a modificare  unilateralmente  la
disciplina di un'area  protetta  «costituisce  violazione,  non  solo
degli  impegni  in  ipotesi  assunti  con  il   Ministero   in   sede
procedimentale, ma soprattutto di quanto prescritto  dal  codice  dei
beni culturali e del paesaggio», chiamato ad attuare,  in  un  ambito
affidato  alla  competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato,  le
politiche di tutela dell'ambiente (Corte  costituzionale  n.  86  del
2019). 
    Mediante la legge in  esame,  la  Regione  Calabria  si  sottrae,
dunque, ingiustificatamente al proprio obbligo di redazione congiunta
con lo Stato del piano paesaggistico,  esercitando  una  funzione  di
disciplina del paesaggio e dei beni paesaggistici in modo  del  tutto
autonomo, nonostante la copianificazione costituisca, come detto,  un
principio inderogabile posto dal codice, al quale la regione  si  e',
peraltro,  specificamente   obbligata,   nell'ambito   del   percorso
condiviso con  il  Ministero  della  cultura  e  tradottosi,  finora,
nell'approvazione del solo QTRP (cfr. Corte costituzionale n. 240 del
2020). 
    Le osservazioni  ora  svolte  non  sono  affatto  smentite  dalla
circostanza che, in base all'art. 2, comma 3, lettera h), della legge
regionale n. 21 del 2010, gli interventi della medesima legge possono
essere realizzati fatte salve - tra l'altro  -  le  disposizioni  del
codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  di  cui  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    E',  infatti,  evidente  come  in  una  regione  priva   di   una
pianificazione paesaggistica estesa all'intero territorio  regionale,
conforme alle previsioni degli articoli  135  e  143  del  codice,  e
adottata previa intesa con  lo  Stato  almeno  con  riferimento  agli
ambiti soggetti a vincolo  paesaggistico,  la  suddetta  clausola  di
salvaguardia si risolva in un mero flatus vocis. 
    Il rispetto del codice dei beni culturali potra'  essere  inteso,
infatti,  soltanto  nel   limitato   significato   della   necessaria
acquisizione  dell'autorizzazione   paesaggistica   ai   fini   della
trasformazione dei beni sottoposti a vincolo, ma - come detto - viene
a essere completamente neutralizzato  l'altro  fondamentale  pilastro
della tutela paesaggistica previsto dalla legislazione statale, ossia
il piano paesaggistico. 
    La  legge  regionale  consente  infatti  la  realizzazione  degli
interventi nonostante l'assenza di una  sovraordinata  pianificazione
paesaggistica conforme al codice. 
    In altri termini,  la  regione,  da  un  lato,  si  sottrae  agli
obblighi posti a suo carico dagli articoli 135 e 143 del  codice,  e,
dall'altro, esercita surrettiziamente essa  stessa,  con  legge,  una
funzione di pianificazione del paesaggio, anche vincolato, stabilendo
la compatibilita' di massima di una serie di interventi senza  alcuna
valutazione specifica dei singoli contesti. 
    Per questa via, viene a essere depotenziato anche lo strumento  a
valle dell'autorizzazione paesaggistica, atteso che:  (i)  i  privati
sono indotti a confidare nella possibilita' del rilascio  del  titolo
e,  quindi,  ne  fanno  richiesta:   (ii)   in   sede   di   rilascio
dell'autorizzazione,  non   e'   possibile   valutare   adeguatamente
l'effetto cumulativo dei singoli interventi. 
    Alla luce di tutto quanto sopra illustrato, emerge la  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, rispetto
al quale costituiscono norme interposte gli articoli 135, 143  e  145
del codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    Inoltre, l'abbassamento  del  livello  della  tutela  determinato
dall'art. 1 della legge regionale in oggetto comporta  la  violazione
anche dell'art. 9 della Costituzione, che sancisce la rilevanza della
tutela del paesaggio  quale  interesse  primario  e  assoluto  (Corte
costituzionale  n.  367  del  2007),  per  violazione  dei  parametri
interposti costituiti dagli articoli 135, 143 e  145  del  codice  di
settore. 
    Al riguardo, occorre rilevare che lo stesso art. 1, comma 1,  del
codice enuncia il principio secondo cui le disposizioni ivi contenute
costituiscono attuazione dell'art. 9 della Costituzione,  consentendo
la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale  «in  coerenza
con le attribuzioni di cui all'art. 117 della Costituzione». 
    Valorizzando tale auto-qualificazione, la Corte costituzionale ha
piu' volte avuto modo di affermare che il codice dei beni culturali e
del  paesaggio  assume  le  «connotazioni   tipiche   del   parametro
interposto,  alla  stregua  del  quale  misurare  la   compatibilita'
costituzionale  delle  disposizioni   con   esso   eventualmente   in
contrasto» e tali da pregiudicare  la  preservazione  del  territorio
nazionale (Corte costituzionale n. 194 del 2013). 
    Quest'ultima,  peraltro,  va  attuata  «attraverso  un  indirizzo
unitario  che   superi   la   pluralita'   degli   interventi   delle
amministrazioni locali», garantendo un livello uniforme di tutela non
derogabile unilateralmente dalla regione, in quanto espressione di un
intervento teso a stabilire una «metodologia  uniforme  nel  rispetto
della legislazione di  tutela  dei  beni  culturali  e  paesaggistici
sull'intero territorio nazionale» (Corte costituzionale  n.  182  del
2006). 
    I beni paesaggistici  propri  di  ciascuna  regione  trascendono,
d'altra  parte,  nella  logica  degli  articoli   9   e   117   della
Costituzione,  sia  come  valore  culturale  e  sociale,   sia   come
bene-interesse  giuridicamente   rilevante,   l'ambito   territoriale
regionale, riferibile alla collettivita' ivi stanziata, per assurgere
a una dimensione sicuramente nazionale. Per tale ragione, il  compito
di tutelare il paesaggio  e  l'ambiente  rientra  tra  le  competenze
esclusive  dello  Stato,  e,  in  presenza  di  eventuali  competenze
concorrenti, il potere degli organi regionali  di  intervenire  nelle
materie in esame incontra un preciso limite  costituito,  quantomeno,
dal potere di necessaria codecisione statale. 
2. La disciplina derogatoria dettata dalla norma regionale  in  esame
opera, oltre  che  in  relazione  ai  beni  paesaggistici,  anche  in
relazione al paesaggio non vincolato, costituente comunque oggetto di
tutela ai sensi della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta
a Firenze del 20 ottobre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 9
gennaio 2006, n. 14. 
    La Convenzione prevede infatti, all'art. 1, lettera  a),  che  il
termine «paesaggio» «designa una  determinata  parte  di  territorio,
cosi' come e' percepita dalle popolazioni  il  cui  carattere  deriva
dall'azione  di   fattori   naturali   e/o   umani   e   dalle   loro
interrelazioni».   Oggetto   della   protezione   assicurata    dalla
Convenzione sono, quindi,  tutti  i  paesaggi,  e  non  solo  i  beni
soggetti a vincolo paesaggistico. 
    Con riferimento  ai  paesaggi,  cosi'  definiti,  la  Convenzione
prevede, all'art. 5, che «Ogni parte si impegna a: 
        a)  riconoscere  giuridicamente  il   paesaggio   in   quanto
componente  essenziale  del  contesto  di  vita  delle   popolazioni,
espressione della diversita' del loro comune patrimonio  culturale  e
naturale e fondamento della loro identita'; 
        b) stabilire e attuare politiche  paesaggistiche  volte  alla
salvaguardia, alla  gestione  e  alla  pianificazione  dei  paesaggi,
tramite l'adozione delle misure specifiche di cui al seguente art. 6; 
        c) avviare procedure di partecipazione  del  pubblico,  delle
autorita' locali e regionali e degli altri soggetti  coinvolti  nella
definizione e  nella  realizzazione  delle  politiche  paesaggistiche
menzionate al precedente capoverso b); 
        d) integrare il paesaggio nelle politiche  di  pianificazione
del territorio, urbanistiche  e  in  quelle  a  carattere  culturale,
ambientale, agricolo,  sociale  ed  economico,  nonche'  nelle  altre
politiche che possono avere  un'incidenza  diretta  o  indiretta  sul
paesaggio». 
    In forza del successivo art. 6, inoltre, l'Italia si e' impegnata
all'adozione  di  misure  specifiche,  tra  l'altro,   in   tema   di
«Identificazione e valutazione», da attuare «Mobilitando  i  soggetti
interessati conformemente all'art. 5.c, e ai  fini  di  una  migliore
conoscenza dei propri paesaggi, ogni parte si impegna a: 
        a) i -  identificare  i  propri  paesaggi,  sull'insieme  del
proprio territorio; 
        ii - analizzarne le caratteristiche, nonche' le  dinamiche  e
le pressioni che li modificano; 
        iii - seguirne le trasformazioni; 
        b) valutare i paesaggi identificati, tenendo conto dei valori
specifici che sono loro attributi dai soggetti  e  dalle  popolazioni
interessate; (...)». 
    Le misure richieste  dalla  Convenzione  prevedono,  inoltre,  la
fissazione  di  appositi  obiettivi  di  qualita'   paesaggistica   e
l'attivazione degli «strumenti di intervento volti alla salvaguardia,
alla gestione e/o alla pianificazione dei paesaggi». 
    L'adempimento degli impegni assunti  mediante  la  sottoscrizione
della Convenzione richiede che tutto il  territorio  sia  oggetto  di
pianificazione e di  specifica  considerazione  dei  relativi  valori
paesaggistici, anche per le parti che non  siano  oggetto  di  tutela
quali beni paesaggistici. Nel sistema ordinamentale, cio' si  traduce
nei precetti contenuti all'art. 135 del codice  di  settore,  il  cui
testo e' stato integralmente riscritto dal decreto legislativo n.  63
del 2008, a seguito del recepimento  della  Convenzione  europea  del
paesaggio. 
    In particolare, il comma 1 del predetto art. 135  stabilisce  che
«Lo Stato e  le  regioni  assicurano  che  tutto  il  territorio  sia
adeguatamente conosciuto, salvaguardato,  pianificato  e  gestito  in
ragione dei differenti valori espressi dai diversi  contesti  che  lo
costituiscono. A  tale  fine  le  regioni  sottopongono  a  specifica
normativa d'uso il territorio mediante  piani  paesaggistici,  ovvero
piani  urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione   dei
valori  paesaggistici,  entrambi  di   seguito   denominati:   "piani
paesaggistici"  L'elaborazione  dei   piani   paesaggistici   avviene
congiuntamente  tra  Ministero  e  regioni,  limitatamente  ai   beni
paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1,  lettere  b),  c)  e  d),
nelle forme previste dal medesimo art. 143». 
    Il medesimo art. 135 disciplina, poi, la funzione e  i  contenuti
del piano paesaggistico. 
    Ne deriva che, anche con riferimento al paesaggio non  vincolato,
le regioni sono tenute alla  pianificazione  paesaggistica,  pur  non
essendo tenute a tale pianificazione necessariamente d'intesa con  lo
Stato. 
    Con l'ennesima proroga degli interventi del c.d.  piano  casa  di
cui alla legge regionale n. 21 del 2010, la Regione Calabria, invece,
consente la realizzazione di  una  serie  di  interventi,  aventi  un
impatto significativo, anche per sommatoria, sui paesaggi,  vincolati
e non: 
        senza che  tali  interventi  siano  correttamente  inquadrati
nella  pianificazione  regionale,  allo  scopo  di  disciplinarne  la
compatibilita' con i singoli contesti; 
        persino «in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e
degli strumenti urbanistici e territoriali  comunali,  provinciali  e
regionali» (art. 2, comma 3 della legge regionale n. 21 del 2010). 
    E', pertanto, evidente come - a dispetto della generica  clausola
di salvaguardia contenuta all'art. 2,  comma  3,  lettera  h),  della
legge regionale in esame - la norma contestata realizzi  quanto  meno
una manifesta elusione delle previsioni normative  che  impongono  la
pianificazione dei paesaggi quale strumento  imprescindibile  per  la
tutela dei valori che essi esprimono, in conformita' alla Convenzione
europea del paesaggio. 
    Per le ragioni illustrate, emerge, dunque,  la  violazione  degli
articoli 9 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto ai  quali
costituiscono norme interposte la legge n. 14 del 2006 di recepimento
della Convenzione europea sul paesaggio, nonche'  gli  articoli  135,
143 e 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio. 
3. Come detto, la Regione Calabria ha gia' prorogato il  termine  per
avvalersi del c.d. piano casa, perpetuando il regime  «straordinario»
introdotto per la prima volta nel 2010 e che consente sin  da  allora
la realizzazione di nuove volumetrie in  deroga  alla  pianificazione
urbanistica. 
    Si e' pure gia' evidenziato come il carattere straordinario della
normativa relativa al cd. piano casa sia stato rimarcato anche  dalla
Corte costituzionale (Corte costituzionale n. 70  del  2020)  e  come
tale finalita' risulti del tutto snaturata  mediante  la  sostanziale
stabilizzazione, per oltre  un  decennio,  delle  deroghe  consentite
dalla legge regionale n. 21 del 2010 alla pianificazione urbanistica. 
    Il risultato e' quello di assicurare a regime la possibilita'  di
realizzare   interventi   di   rilevante   impatto   sul   territorio
direttamente ex lege, in  deroga  agli  strumenti  di  pianificazione
urbanistica,  e  quindi  del  tutto  al  di  fuori  di   qualsivoglia
valutazione del singolo contesto territoriale. 
    Secondo l'intesa sul piano casa siglata nel  2009,  infatti,  «La
disciplina introdotta dalle suddette leggi regionali avra'  validita'
temporalmente definita, comunque non superiore a diciotto mesi  dalla
loro entrata in vigore, salvo diverse  determinazioni  delle  singole
regioni». Se pur e' fatta salva una diversa  volonta'  regionale,  la
espressa previsione di un termine, peraltro di  soli  diciotto  mesi,
non consente di ipotizzare, legittimamente, una «messa a regime»,  da
parte delle regioni, di una normativa eccezionale e derogatoria  alla
pianificazione urbanistica. 
    Va sottolineato, al riguardo, che il  giudice  amministrativo  ha
sempre rimarcato il carattere temporaneo  del  c.d.  piano  casa,  il
quale, riflettendo l'esigenza di promuovere gli investimenti  privati
nel settore dell'edilizia, «e' una  disciplina  che  possiede  natura
eccezionale in merito a  specifici  interventi.  In  particolare,  la
normativa de qua e' destinata adoperare  per  un  arco  temporalmente
limitato» (cfr. Tribunale amministrativo  regionale  della  Campania,
Napoli, Sez. II, 10 giugno 2020, n. 2304). 
    Anche la normativa del c.d. «secondo piano casa», di cui all'art.
5, commi 9 e  seguenti,  del  decreto-legge  n.  70  del  2011  (c.d.
«decreto sviluppo») si qualifica per il suo carattere straordinario e
derogatorio. 
    La giurisprudenza ha infatti evidenziato la sua «natura di  norma
di favore eccezionale (essendo diretta a regolare in termini  diversi
un minor numero di ipotesi rispetto a quelle ordinarie)  ...  tenendo
conto del fatto che essa non e' comunque suscettibile di applicazioni
oltre gli scopi cui e' preordinata, con la conseguenza che  essa  non
puo'  prevalere  sulle  regole  che  fissano   standard   o   criteri
inderogabili, tra cui il  decreto  ministeriale  n.  1444  del  1968,
imponendo altresi' il rispetto  delle  altre  discipline  richiamate»
(Cass. pen. Sez. III, 20 novembre 2019, n.  2695;  cfr.  al  riguardo
anche Corte costituzionale n. 217 del 2020). 
    Tale  lettura  si  impone,  nell'ambito   di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata, in ragione del fatto  che  -  in  forza
della norma di interpretazione autentica di  cui  all'art.  1,  comma
271, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 - agevolazioni incentivanti
ivi  previste  «prevalgono  sulle  normative  di   piano   regolatore
generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi, fermi
i limiti di cui all'art. 5, comma 11,  secondo  periodo,  del  citato
decreto-legge n. 20 del 2011». 
    La  deroga  della  pianificazione  urbanistica   deve,   infatti,
considerarsi ammissibile per un tempo necessariamente limitato e  non
e' ipotizzabile a  regime,  pena  la  destrutturazione  dell'ordinato
assetto del territorio, con conseguenze irragionevoli e contrarie  al
principio del buon andamento. 
    In molte regioni, infatti, le disposizioni del piano  casa  hanno
cessato  ogni  efficacia,  proprio  in  virtu'  della   loro   natura
essenzialmente «temporanea». 
    Cio' detto, non puo' non osservarsi come  per  il  tramite  della
«stabilizzazione»  della  normativa  sul  c.d.  piano   casa,   venga
scardinato il  principio  fondamentale  in  materia  di  governo  del
territorio - sotteso all'intero impianto della legge  urbanistica  n.
1150 del 1942, in particolare a seguito delle  modifiche  apportatevi
dalla legge n. 765 del 1967 - secondo  il  quale  gli  interventi  di
trasformazione edilizia e urbanistica sono  consentiti  soltanto  nel
quadro della pianificazione urbanistica, che esercita una funzione di
disciplina degli usi del territorio necessaria e  insostituibile,  in
quanto idonea a fare  sintesi  dei  molteplici  interessi,  anche  di
rilievo   costituzionale,   che   afferiscono   a   ciascun    ambito
territoriale. 
    In particolare, costituiscono principi fondamentali in materia di
governo del territorio, che si impongono  alla  potesta'  legislativa
concorrente spettante in materia alle regioni  a  statuto  ordinario,
quelli posti dall'art. 41-quinquies della legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150, articolo aggiunto dall'art. 17 della  legge  6  agosto
1967, n. 765. 
    Con le disposizioni ora richiamate,  il  legislatore  statale  ha
infatti stabilito: 
        (i) che tutto il territorio comunale debba essere pianificato
e che, dunque,  ogni  intervento  di  trasformazione  urbanistica  ed
edilizia del territorio debba inserirsi nel  quadro  dello  strumento
urbanistico comunale; 
        (ii) che «In tutti i comuni,  ai  fini  della  formazione  di
nuovi strumenti urbanistici o della revisione  di  quelli  esistenti,
debbono essere osservati limiti inderogabili di densita' edilizia, di
altezza, di distanza tra i fabbricati, nonche' rapporti  massimi  tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi  e  spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, a  verde  pubblico  o
parcheggi» (ottavo comma) e che «I limiti e i rapporti  previsti  dal
precedente comma sono definiti per zone  territoriali  omogenee,  con
decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per
l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici In sede
di prima  applicazione  della  presente  legge,  tale  decreto  viene
emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della  medesima»  (nono
comma);  disposizione,  quest'ultima,   che   ha   trovato   puntuale
attuazione con l'emanazione del decreto ministeriale 2  aprile  1968,
n. 1444,  recante  «Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,  di
altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti  massimi  tra  spazi
destinati  agli  insediamenti  residenziali  e  produttivi  e   spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare affini della formazione  dei  nuovi  strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765». 
    In questo quadro, il legislatore nazionale  ha  previsto  che  la
possibilita' di assentire interventi in  deroga  alla  pianificazione
urbanistica sia ammessa soltanto in forza di una  decisione  assunta,
caso per caso, a livello locale, sulla base di  una  ponderazione  di
interessi che tenga conto del contesto territoriale (cfr. art. 14 del
decreto del Presidente della Repubblica 6 luglio 2001, n. 380). 
    Posta la predetta cornice di principio, non  e'  consentito  alle
regioni - al di fuori della normativa straordinaria e temporanea  del
c.d. piano casa, avente copertura  a  livello  statale  -  introdurre
deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica e  agli
standard urbanistici di cui al decreto ministeriale n. 1444 del 1968,
tanto piu' laddove  tali  deroghe  generalizzate  assumano  carattere
stabile nel tempo. 
    Una tale opzione normativa viene, infatti, a snaturare del  tutto
la funzione propria della pianificazione urbanistica e degli standard
fissati a livello statale, volti ad assicurare l'ordinato assetto del
territorio. 
    E', pertanto,  violato  anche  l'art.  117,  terzo  comma,  della
Costituzione, per contrasto con i principi  fondamentali  statali  in
materia di governo del territorio  stabiliti  dall'art.  41-quinquies
della legge n. 1150  del  1942,  come  attuato  mediante  il  decreto
ministeriale n. 1444  del  1968,  dall'art.  2-bis  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e dall'art. 5, comma  11,
del decreto-legge n. 70 del 2011. 
4. L'art. 1 della legge regionale in oggetto,  nella  misura  in  cui
dispone la proroga dell'operativita' temporale della legge  regionale
11 agosto 2010, n. 21, si pone altresi' in contrasto con il principio
costituzionale di leale  collaborazione,  in  quanto  costituisce  il
frutto di una scelta assunta unilateralmente  dalla  regione,  al  di
fuori del percorso condivise con lo Stato che, come  gia'  detto,  ha
condotto all'adozione del Quadro territoriale regionale  con  valenza
paesaggistica (QTRP). 
    Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della  Corte
costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere
a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e regioni», atteso  che
«la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente
idoneo  a  regolare  in  modo  dinamico  i  rapporti  in   questione,
attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi'  in
particolare, tra le tante, Corte costituzionale n. 31 del 2006). 
    In particolare, la Corte ha chiarito che «Il principio  di  leale
collaborazione, anche in una accezione minimale,  impone  alle  parti
che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede  istituzionale  di
tener  fede  ad  un  impegno  assunto»  (cosi'  ancora  la   sentenza
richiamata). 
    L'esigenza di assicurare il pieno e proficuo coinvolgimento degli
organi  statali  in  materia  di  pianificazione  paesistica  deriva,
d'altra parte, proprio dalla «commistione di competenze  diverse,  di
cui sono titolari lo Stato  e  le  regioni  e  dall'esistenza  di  un
interesse  unitario  alla  tutela  del  paesaggio»,  circostanze  che
impongono, in un quadro di competenze  amministrative  e  legislative
tanto articolato, un esercizio delle  stesse  quantomeno  armonico  e
coordinato (Corte costituzionale n. 240 del 2020, n. 86 del 2019,  n.
68 e n. 66 del 2018). 
    La  scelta  della  Regione  Calabria   di   assumere   iniziative
unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso  di  collaborazione
gia' proficuamente avviato  con  lo  Stato,  si  pone,  pertanto,  in
contrasto anche con il predetto principio (cfr. Corte  costituzionale
n. 240 del 2020).