TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima Sezione Penale 
 
    Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di  P  G  ,  nato  a  ,  residente  a  via  ,  elettivamente
domiciliato in  Villa  di  Briano  (CE),  via  Kruscev  28  (elezione
all'udienza di convalida del 29 aprile 2021); 
    - sottoposto per questa causa alla misura cautelare  dell'obbligo
di presentazione alla Polizia Giudiziaria (ordinanza applicativa  del
29 aprile 2021); 
    - difeso di fiducia dall'avv. Roberto Guidetti del Foro di Napoli
Nord (nomina depositata all'udienza del 13 maggio 2021); 
    per il reato di cui alla seguente imputazione formulata dal Pm: 
    Art. 497-bis c.p. perche' veniva trovato in possesso del seguente
documento falso valido per l'espatrio: carta d'identita'  elettronica
(con corredo di una tessera sanitaria ed una busta paga), intestata a
tale M      F     , nato a , residente a , 
    Recidiva    , 
    In    , il    , 
    premesso che: 
    P. G. era tratto in arresto a    , intorno alle ore    , del    ,
per il reato di possesso di documenti  di  identificazione  falsi  ex
art. 497-bis c.p.; 
    - al prevenuto, che non nominava un difensore di fiducia,  veniva
individuato un difensore d'ufficio, l'avv. Caterina Nacci  Felli  del
Foro di Firenze, al quale  veniva  data  comunicazione  dell'avvenuto
arresto alle ore     , del       ; 
    - il P. veniva quindi condotto presso la Stazione dei Carabinieri
di Signa, ove trascorreva la notte nella camera di sicurezza; 
    - il pubblico ministero con decreto del 29 aprile 2021  disponeva
la presentazione diretta dell'arrestato per la convalida dell'arresto
ed il successivo giudizio direttissimo; 
    - il fascicolo con gli atti di indagine perveniva  in  aula  alle
ore 10,15 del 29 aprile 2021 e la relativa udienza di convalida aveva
inizio - causa la precedente trattazione  di  ulteriori  procedimenti
con analogo rito - alle ore 14,40 del medesimo giorno; 
    - in particolare, in base agli atti  d'indagine,  nel  pomeriggio
del    , i Carabinieri si recavano presso il negozio  di  in  seguito
alla segnalazione di una possibile  truffa  in  corso.  Sul  posto  i
militari accertavano che  P.  (identificato  con  regolare  documento
d'identita'), utilizzando  una  carta  d'identita'  elettronica,  una
tessera sanitaria ed una busta paga intestati  a  tale  M.  Francesco
aveva cercato di ottenere un finanziamento per l'acquisto  di  alcuni
beni del valore complessivo di circa 1.600  euro.  Il  direttore  del
negozio riferiva di simili tentate truffe poste in essere nei  giorni
precedenti in altri punti  vendita  e  forniva  copia  dei  documenti
utilizzati in tali  occasioni,  riportanti  generalita'  diverse,  ma
sempre la  stessa  fotografia,  compatibile  con  il  viso  del  .  I
Carabinieri sequestravano la carta d'identita' elettronica  intestata
a M. F. e acquisivano copia dei documenti presentati presso gli altri
negozi; 
    - il prevenuto in sede d'interrogatorio ha  in  sostanza  ammesso
l'addebito, dichiarando dapprima  di  avere  acquistato  i  documenti
falsi al prezzo di euro 150 da un soggetto albanese non  identificato
compiutamente e in seguito  precisando  che  a  detto  soggetto  egli
avrebbe dovuto portare i beni fraudolentemente ottenuti,  conseguendo
cosi' un compenso di  circa  500  euro.  A  specifica  domanda  circa
eventuali precedenti penali, egli  dichiarava  di  non  ricordare  il
decreto penale di condanna per ricettazione emesso dal  Tribunale  di
in data (esecutivo in data ) risultante a suo carico dal  certificato
penale in atti; 
    -  le  parti  illustravano  quindi  le  proprie   richieste;   in
particolare il pubblico ministero chiedeva la convalida  dell'arresto
e l'applicazione della misura dell'obbligo di presentazione alla P.  
G.    ;  il  difensore  sottolineava  come   la   carta   d'identita'
elettronica utilizzata  dal  P.     (in  sequestro)  non  recasse  la
dicitura «VALIDA PER L'ESPATRIO» e  pertanto  non  potesse  ritenersi
integrato il reato di cui all'art. 497-bis  c.p.,  cio'  che  avrebbe
comportato l'assenza dei presupposti per un arresto  in  flagranza  e
per l'applicazione di misure cautelari; 
    - il giudice convalidava l'arresto e applicava al P.    la misura
cautelare dell'obbligo di  presentazione  alla  Polizia  Giudiziaria,
disponeva procedersi con rito direttissimo, dando avviso all'imputato
della facolta' di chiedere riti alternativi e termine  a  difesa;  il
difensore chiedeva termine a  difesa  e  il  giudizio  veniva  quindi
rinviato; 
    - all'udienza odierna, fissata  per  la  prosecuzione,  il  nuovo
difensore di fiducia (nel frattempo nominato dall'imputato) munito di
procura speciale chiedeva  definirsi  il  procedimento  ex  art.  444
codice di procedura  penale;  in  particolare  chiedeva  che,  previa
esclusione della contestata recidiva, fosse applicata la pena  finale
di anni uno e mesi quattro di  reclusione  (cosi'  determinata:  pena
base anni due di reclusione, ridotta per il rito alla pena finale  di
anni uno e mesi quattro di Reclusione),  richiesta  subordinata  alla
concessione della sospensione condizionale della  pena;  il  pubblico
ministero prestava il consenso; 
    - per poter addivenire ad una corretta  decisione  riguardo  alla
tempestivita' e quindi alla stessa ammissibilita' in  astratto  della
richiesta difensiva, appare necessario il pronunciamento della  Corte
costituzionale in ordine alla legittimita' costituzionale delle norme
di cui agli articoli 451 comma 5 e 6 e 558 comma  7  e  8  codice  di
procedura penale nella parte  in  cui  prevedono  il  diritto  ad  un
termine a difesa soltanto a seguito  dell'apertura  del  dibattimento
(con conseguente  impossibilita'  di  accedere  ai  riti  alternativi
all'esito di tale termine), invece di prevedere  la  possibilita'  di
accedere ai riti alternativi anche all'esito  del  termine  a  difesa
eventualmente richiesto; 
    cio' premesso, 
 
                              Osserva: 
 
    1. Rilevanza della questione. 
    1.1 All'udienza odierna il difensore del P. , munito  di  procura
speciale, chiedeva definirsi il procedimento con l'applicazione  pena
ex art. 444 codice di procedura penale 
    1.2 L' art. 451 codice di procedura penale  -  che  si  riferisce
allo svolgimento del giudizio direttissimo dinanzi  al  Tribunale  in
composizione collegiale - al quinto comma prescrive:  «Il  presidente
avvisa l'imputato della facolta' di chiedere il  giudizio  abbreviato
ovvero l'applicazione della pena a norma dell'articolo 444». 
    Ai sensi del  successivo  sesto  comma  «L'imputato  e'  altresi'
avvisato della facolta' di  chiedere  un  termine  per  preparare  la
difesa non superiore a dieci giorni. Quando l'imputato si  avvale  di
tale  facolta',  il  dibattimento   e'   sospeso   fino   all'udienza
immediatamente successiva alla scadenza del termine». 
    1.3 L'art. 558  codice  di  procedura  penale  -  che  disciplina
l'udienza  di  convalida  e  il  giudizio  direttissimo  dinanzi   al
Tribunale  Monocratico  -  al  settimo  comma  analogamente  prevede:
«L'imputato ha facolta' di  chiedere  un  termine  per  preparare  la
difesa non superiore a cinque giorni. Quando l'imputato si avvale  di
tale  facolta',  il  dibattimento   e'   sospeso   fino   all'udienza
immediatamente successiva alla scadenza del termine». 
    L'ottavo comma del medesimo articolo prevede poi che «Subito dopo
l'udienza  di  convalida,  l'imputato  puo'  formulare  richiesta  di
giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena  su  richiesta»
(in tal caso il giudizio si svolge dinanzi allo  stesso  giudice  del
dibattimento e si applicano le disposizioni  dell'art.  452  comma  2
codice di procedura penale). 
    In ragione di quanto previsto dall'art. 549 codice  di  procedura
penale,  «Nel  procedimento  davanti  al  tribunale  in  composizione
monocratica, per tutto cio' che non e' previsto nel presente libro  o
in altre disposizioni, si osservano le norme contenute nei libri  che
precedono, in quanto applicabili». 
    1.4 Le norme in questione potrebbero in astratto interpretarsi in
modo conforme ai principi costituzionali in tema di  diritto  difesa.
In particolare, sulla questione interpretativa  e'  gia'  intervenuta
anche la Corte costituzionale con l'ordinanza n.  254  del  1993,  in
relazione  al  disposto  dell'allora  vigente  art.  566  codice   di
procedura penale (disposizione sostanzialmente analoga a  quella  poi
formulata dal Legislatore all'art. 558 codice di procedura penale  in
relazione alla convalida  dell'arresto  e  al  giudizio  direttissimo
dinanzi al Tribunale in composizione monocratica). 
    Nell'occasione la Corte costituzionale aveva modo di affermare il
seguente principio: «Nel giudizio  direttissimo  davanti  al  pretore
(art. 566 codice di procedura penale)  la  richiesta,  da  parte  del
giudicabile, subito dopo l'udienza di convalida dell'arresto,  di  un
termine per preparare la difesa, comportando, a norma  dell'art  451,
sesto  comma,  codice  di  procedura  penale,  la   sospensione   del
dibattimento - non ancora aperto -  fino  all'udienza  immediatamente
successiva alla scadenza del termine, non gli impedisce di  formulare
la richiesta  di  applicazione  della  pena,  potendo  questa  essere
avanzata, anche nell'ipotesi  in  questione  [...]  fino  al  normale
termine previsto dall'art. 446 codice di procedura  penale,  e  cioe'
fino alla dichiarazione di apertura del  dibattimento.  Il  contrario
assunto del giudice a quo, secondo il quale. la richiesta del termine
di  difesa  subito  dopo  l'udienza  di  convalida  precluderebbe  la
possibilita' di chiedere i riti alternativi, si basa infatti  su  una
errata  interpretazione  dell'art.  566,  ottavo  comma,  codice   di
procedura penale, letto come se  dicesse  che  l'imputato  "debba"  -
laddove dice solo che "puo'" - formulare tale richiesta  subito  dopo
l'udienza  di  convalida,  cadendo  di  conseguenza  le  censure   di
violazione del principio di  eguaglianza  e  del  diritto  di  difesa
avanzate in proposito». 
    Su tali presupposti, la Corte  costituzionale  dichiarava  quindi
manifestamente  infondata  la  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  566,  ottavo  comma,  codice  di  procedura
penale con riferimento agli articoli 3 e 24 Cost. 
    1.5 Detta interpretazione era invero  gia'  stata  seguita  dalla
Corte di cassazione nel 1992. Con sentenza n. 8032 del 26 giugno 1992
il supremo Consesso di legittimita' affermava che  «Nel  disposto  di
cui all'art. 566 codice di procedura penale (convalida dell'arresto e
giudizio direttissimo) le due richieste di  termine  a  difesa  e  di
applicazione  (alternativa)  di  uno  dei  "riti  speciali"  previsti
nell'art. 444 e nell'art. 442  codice  di  procedura  penale  vengono
riconosciute al giudicabile come  facolta'  che  il  medesimo  "puo'"
(giammai deve) formulare subito dopo l'udienza di convalida, e  cioe'
a partire da quel momento processuale, sicche' la richiesta  di  rito
speciale puo' intervenire sino alla formale dichiarazione di apertura
del dibattimento di primo grado». 
    1.6  Nonostante  detta  pronuncia  e  pur   essendo   intervenuto
l'autorevole avallo della  Corte  costituzionale,  l'orientamento  in
questione e' stato fatto proprio dalla Corte di  cassazione  solo  in
poche altre pronunce, la sentenza Sez. 6 n. 42696 del 23 ottobre 2008
e la sentenza Sez. 6, n. 13118 del 19 gennaio 2010. Quest'ultima,  in
particolare, dopo aver ribadito che «le richieste di termine a difesa
e di applicazione alternativa  di  uno  dei  riti  speciali  previsti
nell'art 444 e nell'art.  442  codice  di  procedura  penale  vengono
riconosciute  all'imputato  quali  facolta'  che  il  medesimo   puo'
esercitare subito dopo l'udienza di convalida,  ossia  a  partire  da
quel momento processuale fino alla formale dichiarazione di  apertura
del dibattimento di primo grado» ha  affermato  che  «nell'ambito  di
questo arco temporale, l'imputato e' legittimato a  richiedere  prima
il termine per preparare la sua difesa e,  successivamente,  uno  dei
riti speciali». 
    1.7  La  citata  interpretazione  e'  stata  viceversa  disattesa
dall'orientamento prevalente e infine consolidatosi  della  Corte  di
cassazione. 
    Cosi'  -  in  casi  concreti  di  denegata  ammissione  al   rito
abbreviato - Cassazione Sez. 1,  Sentenza  n.  17796  del  2008  («La
richiesta di rito abbreviato, nel caso previsto dall'art. 452  codice
di procedura penale, comma 2, che qui interessa, posto che l'imputato
era stato arrestato in flagranza di reato  e  presentato  a  giudizio
direttissimo,  deve   essere   proposta   prima   dell'apertura   del
dibattimento. Essa  e'  pertanto  da  considerare  tardiva  e  quindi
inammissibile quando sia stata proposta dopo che abbia avuto luogo la
contestazione del reato e la concessione del  termine  a  difesa,  la
quale ultima, come  si  evince  dall'art.  451  codice  di  procedura
penale, comma 6, (in base al quale, ove detta concessione  sia  stata
disposta, il dibattimento "e' sospeso"),  presuppone  che  l'apertura
del dibattimento abbia gia' avuto luogo (v. Cassazione n.  10569  del
1992, rv. 192129)») e Cassazione Sez. 5, Sentenza  n.  12778  del  18
febbraio 2010 Rv. 246899 - 01 («In  tema  di  giudizio  direttissimo,
l'avvenuta concessione del termine a difesa, ai sensi dell'art.  451,
comma sesto, codice di procedura penale, presupponendo che abbia gia'
avuto luogo l'apertura del dibattimento,  preclude  la  richiesta  di
giudizio abbreviato,  prevista  dall'art.  452,  comma  secondo,  del
codice di rito»). 
    A tali pronunce  -  che  invero  hanno  affrontato  la  questione
piuttosto sinteticamente - ne sono seguite altre che hanno inquadrato
piu' sistematicamente la relazione tra termine a difesa e accesso  ai
riti  alternativi  a  seguito  della  convalida  dell'arresto,  tutte
giungendo alla conclusione della cui legittimita' costituzionale  qui
si dubita. 
    In particolare - in un caso in cui  il  giudice  di  primo  grado
aveva dichiarato aperto il dibattimento solo nell'udienza di  rinvio,
fissata a seguito della concessione del termine a difesa, e solo dopo
aver emesso l'ordinanza che rigettava la richiesta di rito abbreviato
- la Corte di cassazione con sentenza  Sez.  1,  n.  25153  del  2018
dichiarava manifestamente infondato il ricorso (in cui  si  lamentava
per l'appunto la mancata ammissione al rito  abbreviato)  affermando:
«la giurisprudenza di questa Corte e' costante (Sez. 5, n. 12778  del
18  febbraio  2010,  Glaudi,  Rv.  246899;  Sez.  1,  n.  17796   del
22/04/2008, Salhi, Rv. 240022; Sez. 6,  n.  10569  del  17  settembre
1992, Spasiano, Rv. 192129) nell'affermare che, in tema  di  giudizio
direttissimo, l'avvenuta concessione del termine a difesa,  ai  sensi
dell'art. 451, comma 6, codice di procedura penale, presupponendo che
abbia gia' avuto  luogo  l'apertura  del  dibattimento,  preclude  la
richiesta di giudizio abbreviato prevista dall'art. 452, comma 2, del
codice  di  rito.  E'  il  sistema  processuale,  per  effetto  delle
disposizioni appena menzionate, che colloca la richiesta di  giudizio
abbreviato, nel rito direttissimo, nella fase anteriore  all'apertura
del dibattimento, e viceversa la richiesta di termini a  difesa,  che
si presenta alla prima alternativa, in seno ad un  dibattimento  che,
venendo da tale ultima richiesta  sospeso,  deve  considerarsi  ormai
aperto, anche indipendentemente  da  una  formale  dichiarazione  del
giudice in tal senso». 
    Nello stesso senso - in un caso in cui  il  difensore  ricorrente
deduceva che «L'espressione "il dibattimento e'  sospeso",  contenuta
nell'art. 451 codice di procedura penale, non andava intesa in  senso
meramente  letterale,   ma   come   sinonimo   dell'espressione   "il
procedimento e' sospeso"», dovendosi ritenere diversamente la lesione
del diritto di  difesa  costituzionalmente  tutelato  -  la  sentenza
Cassazione Sez. 5, n. 52042 del 2019, che respingeva tra l'altro come
manifestamente  infondata  la  questione  di  costituzionalita':  «La
concessione del termine a difesa e' prevista dall'art. 451 codice  di
procedura penale solo nell'ipotesi  in  cui  si  proceda  a  giudizio
direttissimo nelle forme del dibattimento. Piu' volte questa Corte di
cassazione ha gia' affermato  che  l'art.  451  codice  di  procedura
penale, nel disciplinare lo svolgimento  del  giudizio  direttissimo,
dopo aver disposto che il pubblico ministero  contesta  l'imputazione
all'imputato presente (comma 4),  prescrive  che  il  presidente  del
collegio deve avvisare il prevenuto della  facolta'  di  chiedere  il
giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena su accordo delle
parti (comma 5); solo in un  secondo  momento,  e  quindi  quando  il
prevenuto non si sia avvalso della  facolta'  predetta,  procedendosi
oltre (e quindi entrando nel  dibattimento),  il  presidente  formula
l'ulteriore avviso relativo alla facolta' di chiedere un termine  per
preparare la difesa nel giudizio - direttissimo -  ormai  introdotto,
ai sensi del comma 6 dell'art. 45  del  codice  di  procedura  penale
L'anteriorita' della previsione dell'avviso relativo alla facolta' di
avvalersi  di  uno  dei  due   riti   alternativi   al   dibattimento
(patteggiamento o  giudizio  abbreviato»,  rispetto  alla  previsione
concernente l'avviso  della  facolta'  di  chiedere  un  termine  per
preparare la difesa non e' solo di carattere temporale, come e'  dato
desumere dalla collocazione normativa delle due previsioni (la  prima
nel quinto comma e la seconda nel  successivo  sesto  comma),  ma  e'
anche e soprattutto  di  ordine  logico,  essendo  evidente  che  chi
sceglie di non difendersi (concordando la pena) o di farsi  giudicare
«allo stato degli atti» mostra chiaramente di  non  aver  bisogno  di
alcun termine per preparare la difesa, avendo deciso  di  evitare  il
procedimento incardinato con il rito  direttissimo,  optando  per  un
diverso  rito  alternativo,  ritenuto   piu'   vantaggioso.   Se   il
legislatore  avesse  voluto   imporre   al   giudice   di   assolvere
contemporaneamente l'adempimento dell'obbligo dei due avvisi  (quello
di segnalare la  possibilita'  di  avvalersi  di  uno  dei  due  riti
alternativi e quello di chiedere un termine per preparare la difesa),
avrebbe formulato la norma in modo  diverso,  inserendo  entrambe  le
prescrizioni in un unico  contesto  normativo  e  non  in  due  commi
distinti (Sez. 1, n. 29446 del 21 giugno 2001, Carone,  Rv.  219475).
[...] Quando il prevenuto non si sia avvalso della facolta' di optare
per un rito alternativo, procedendosi oltre (e  quindi  entrando  nel
dibattimento), il presidente formula l'ulteriore avviso relativo alla
facolta' di chiedere un termine per preparare la difesa nel  giudizio
- direttissimo - ormai introdotto, se  l'avviso  produce  un  effetto
positivo, il dibattimento (che non  potrebbe  essere  se  non  quello
direttissimo, ormai irritrattabilmente attivato), e' sospeso (per  il
tempo corrispondente al termine concesso). [...] Proprio  perche'  la
facolta' di chiedere un termine a difesa  presuppone  che  l'imputato
abbia rinunciato alla facolta' di optare per un  rito  alternativo  e
che si proceda nelle forme del rito ordinario, la  giurisprudenza  di
questa Corte di cassazione e' costante  nell'affermare  che  l'omesso
avviso della facolta' di  chiedere  un  termine  a  difesa,  previsto
dall'art. 451, comma 6,  codice  di  procedura  penale,  non  produce
alcuna nullita' qualora  l'imputato  abbia  optato  per  il  giudizio
abbreviato  ovvero  per  l'applicazione  della  pena,  in  quanto  la
concessione del predetto termine spetta solo nel caso in cui  proceda
a giudizio direttissimo [...] In applicazione dei  suddetti  principi
si e' pure osservato che l'avvenuta concessione del termine a difesa,
ai  sensi  dell'art.  451,  comma  6,  codice  di  procedura  penale,
presupponendo che abbia gia' avuto luogo l'apertura del dibattimento,
preclude la richiesta di giudizio abbreviato, prevista dall'art. 452,
comma secondo, del codice di rito  [...]  Quanto  alla  eccezione  di
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  451  codice  di  procedura
penale, nella parte in  cui  prevede  la  facolta'  dell'imputato  di
chiedere un termine a difesa solo nella  ipotesi  in  cui  non  abbia
optato  per  un  rito  alternativo,   essa   risulta   manifestamente
infondata,  attesa  la  evidente  differenza  tra  l'ipotesi  in  cui
l'arrestato abbia scelto di non difendersi (concordando la pena) o di
farsi giudicare «allo stato degli atti», mostrando  in  tal  modo  di
rinunciare ad un diritto  di  difesa  pieno)  ed  in  particolare  al
diritto di chiedere ed ottenere nuove prove al fine di  ottenere  una
riduzione di pena, e l'ipotesi  in  cui  l'imputato  abbia  preferito
conservare un pieno ed illimitato diritto  di  difesa.  Non  sussiste
violazione dell'art. 24 della Costituzione  perche'  l'impossibilita'
di chiedere il termine a difesa nel caso di giudizio  abbreviato,  ai
sensi dell'art. 591 codice di procedura penale, e'  il  risultato  di
una libera scelta dell'imputato, cui non e' impedito di optare per il
rito ordinario, ed e' compensato dalla piu'  vantaggiosa  definizione
del giudizio abbreviato». 
    Nello stesso senso ancora Cassazione Sez. 6 - , Sentenza n. 14129
del 19 febbraio 2019 Rv. 275430 - 01 e, da ultimo, Cassazione Sez.  5
- , Sentenza n. 9567 del  16  dicembre  2020  Rv.  280624  -  01  (in
precedenza anche Cassazione Sez.  4,  Sentenza  n.  20189  del  2001,
Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 43713 del  2002,  Cassazione  Sez.  5,
Sentenza n. 21573 del 2010 e Cassazione Sez. 7,  Ordinanza  n.  11722
del 2014). 
    1.8  Occorre  dunque  prendere  atto  dell'interpretazione  ormai
consolidatasi   nella   giurisprudenza   di   legittimita'.   Secondo
l'orientamento ormai costante della Corte di cassazione, subito  dopo
la convalida dell'arresto l'imputato deve scegliere se accedere ad un
rito alternativo e, solo in caso contrario, ha diritto ad un  termine
a  difesa,  che  viene  quindi  inteso  come  strumentale  solo  alla
preparazione della difesa per il dibattimento; quest'ultimo  inoltre,
a seguito della concessione del termine  a  difesa,  deve  intendersi
implicitamente  aperto  (con   conseguente   preclusione   dei   riti
alternativi), a prescindere da una dichiarazione formale. 
    Detta esegesi - pur non condivisa da questo giudice, secondo  cui
le norme in questione potrebbero  interpretarsi  nel  senso  indicato
dalla stessa Corte costituzionale con l'ordinanza n. 254 del  1992  -
e' ormai quella affermatasi nella giurisprudenza di legittimita', si'
da assurgere al rango di diritto vivente. 
    1.9 Alla stregua di tale diritto vivente questo giudice  dovrebbe
ora rigettare la richiesta di applicazione pena ex art. 444 codice di
procedura penale (in quanto tardiva) e procedere con il dibattimento,
risultando  questo  implicitamente  gia'  aperto  a   seguito   della
concessione del termine a difesa. 
    1.10 Qualora invece le norme di cui agli articoli 451 comma 5 e 6
e 558 comma 7 e 8  codice  di  procedura  penale  fossero  dichiarate
costituzionalmente  illegittime  nella  parte  in  cui  prevedono  il
diritto ad un termine a difesa soltanto a seguito  dell'apertura  del
dibattimento  (e  non  prima  di  tale  apertura,  fatta   salva   la
possibilita' dell'imputato di accedere ai riti alternativi a  seguito
del termine a difesa), ne deriverebbe  il  diritto  dell'imputato  ad
accedere ai riti alternativi, con  conseguente  ammissibilita'  della
richiesta di applicazione  pena  ex  art.  444  codice  di  procedura
penale. 
    La dichiarazione  d'incostituzionalita'  che  qui  si  suggerisce
inciderebbe dunque significativamente sulle modalita' di  definizione
del procedimento a carico dell'attuale imputato. 
    2. Non manifesta infondatezza 
    2.1 Si dubita della legittimita' costituzionale  delle  norme  di
cui agli articoli 451 comma 5 e 6  e  558  comma  7  e  8  codice  di
procedura penale nella parte  in  cui  prevedono  il  diritto  ad  un
termine a difesa soltanto a seguito  dell'apertura  del  dibattimento
(con conseguente  impossibilita'  di  accedere  ai  riti  alternativi
all'esito di tale termine), invece di prevedere  la  possibilita'  di
accedere ai riti alternativi anche all'esito  del  termine  a  difesa
eventualmente richiesto. 
    2.2 Tale disciplina normativa pare violare i precetti di cui agli
articoli 3, 24 e 117 della  Costituzione  (l'art.  117  in  relazione
all'art. 6 comma 3 lettera b) della Convenzione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e  all'art.  14
comma 3 lettera b)  del  Patto  internazionale  relativo  ai  diritti
civili e politici di New York). 
    2.3 L'omesso riconoscimento all'imputato  della  possibilita'  di
optare per un rito alternativo all'esito del termine a difesa di  cui
agli articoli 451 comma 6 e 558 comma 7 codice  di  procedura  penale
pare violare in primo luogo l'art. 24 della Costituzione. 
    2.3.1 Come chiarito ormai da molti anni  e  reiteratamente  dalla
Corte costituzionale, la richiesta di  riti  alternativi  costituisce
«una modalita' di esercizio, e tra le piu' qualificanti, del  diritto
di difesa» (cosi',  la  sentenza  n.  82  del  2019,  ma  in  termini
sostanzialmente analoghi - per citare solo le pronunzie degli  ultimi
anni - anche le sentenze n. 206 del 2017, n. 141 del 2018, n. 14  del
2020 e n. 19 del 2020). 
    2.3.2 Pare dunque essenziale che, per esercitare  consapevolmente
tale espressione qualificata del diritto di difesa, l'imputato  possa
fruire di un termine (per quanto minimo, quale quello previsto  dagli
articoli 451  e  558  codice  di  procedura  penale),  onde  valutare
serenamente  e  ponderatamente  se  chiedere  l'accesso  ad  un  rito
alternativo e a quale eventualmente tra quelli possibili. 
    2.3.3 L'accesso ai procedimenti speciali comporta  l'accettazione
di modalita' piu' limitate di esercizio del  diritto  di  difesa  (in
particolare, nel patteggiamento l'applicazione diretta di una pena  e
nel rito abbreviato l'accettazione di un giudizio «allo  stato  degli
atti»),   ma   tale   circostanza   -    lungi    dal    giustificare
l'indisponibilita' di  un  congruo  termine  a  difesa  per  valutare
l'eventuale richiesta del rito  alternativo  -  sembra  al  contrario
postulare a  maggior  ragione  l'esigenza  di  fruire  di  un  simile
termine. 
    Posto  cioe'   che   tali   riti   alternativi   comportano   una
significativa compromissione delle prerogative  difensive,  e'  tanto
piu' necessario che la valutazione circa l'accesso o meno a tali riti
sia adeguatamente ponderata dall'imputato. 
    2.3.4 In proposito, non paiono  superflue  alcune  considerazioni
circa  le  condizioni  fattuali  in  cui  diversamente   una   simile
valutazione dovrebbe essere  compiuta.  L'imputato,  all'esito  della
convalida dell'arresto, si trova normalmente  in  una  condizione  di
stanchezza fisica  e/o  di  turbamento  emotivo:  e'  stato  da  poco
arrestato; quasi sempre ha trascorso  anche  la  notte  in  stato  di
detenzione; in caso di  applicazione  di  una  misura  cautelare,  ha
appena  appreso  dell'ulteriore  limitazione  che  la  sua   liberta'
personale subira' nell'immediato futuro;  inoltre,  ha  potuto  avere
solo un rapido colloquio col proprio difensore,  spesso  d'ufficio  e
quindi appena conosciuto. 
    A titolo  esemplificativo  (ma  si  tratta  di  situazione  molto
ricorrente), il PUOTI - soggetto alla prima esperienza detentiva - e'
stato tratto in arresto a Sesto  Fiorentino  nel  pomeriggio  del  28
aprile 2021;  in  pari  data  gli  e'  stato  nominato  un  difensore
d'ufficio, il quale ha avuto comunicazione dell'avvenuto arresto alle
ore 18,00. Il prevenuto e'  stato  poi  condotto  alla  Stazione  dei
Carabinieri di Signa, ove ha  trascorso  la  notte  nella  camera  di
sicurezza e la mattina seguente e' stato portato  a  Firenze  per  la
convalida dell'arresto e la celebrazione del  giudizio  direttissimo;
una volta in aula ha potuto interloquire brevemente con un  difensore
che non aveva mai visto prima; il fascicolo e gli  atti  relativi  al
procedimento in questione sono pervenuti alle ore 10,15  e  l'udienza
di convalida e' iniziata alle ore 14,40 (ma sarebbe  potuta  iniziare
anche prima se non ci fossero stati altri procedimenti analoghi). 
    2.3.5 In tale contesto, perche' la scelta di accedere ad un  rito
alternativo  -  che  comporta  la  compromissione  delle  prerogative
difensive (o addirittura l'applicazione concordata  di  una  pena)  -
possa avvenire con la necessaria  lucidita'  e  ponderazione,  sembra
essenziale che imputato e difensore possano disporre  di  un  termine
per effettuare detta valutazione. 
    2.3.6 Neppure il fatto che si proceda a seguito di un arresto  in
flagranza  di  reato  sembra  poter  giustificare  la  negazione  del
suddetto termine prima della scelta del rito. 
    Se e' vero che la constatazione diretta  del  fatto  di  reato  o
delle tracce recenti dello stesso da parte della Polizia  Giudiziaria
rende in qualche  modo  piu'  agevole  la  ricostruzione  del  fatto,
cionondimeno i reati oggetto del rito direttissimo  possono  comunque
presentare profili di complessita' in fatto o in diritto, cosi'  come
prima della scelta del rito possono risultare opportuni  o  necessari
per la Difesa approfondimenti circa i precedenti dell'imputato  o  le
relative condizioni di vita. 
    Cosi', ad esempio, nel caso di specie - pur essendo  pacifico  il
possesso da parte dell'imputato di una carta d'identita'  elettronica
falsa, fatto ammesso anche dall'imputato - in  sede  di  convalida  e
applicazione di misura si e' posta la questione circa la validita'  o
meno per l'espatrio della carta d'identita'  elettronica  in  assenza
dell'espressa  dicitura  «valida  per  l'espatrio»,  con  conseguente
configurabilita' o meno del reato ex art.  497-bis  codice  penale  E
ancora l'imputato ha dichiarato di non sapere  nulla  del  precedente
del 2000 risultante a suo carico dal certificato penale e  sulla  cui
base gli e' stata contestata la recidiva.  Si  tratta  senz'altro  di
aspetti che la Difesa potrebbe avere avuto interesse ad  approfondire
(tramite  la  consultazione  di  banche   dati,   l'acquisizione   di
documenti, ecc.) non solo in  funzione  del  dibattimento,  ma  anche
dell'eventuale richiesta di riti alternativi. 
    2.3.7 Infine la  soluzione  qui  propugnata  non  sembra  trovare
ostacolo nella speditezza propria del rito di cui agli articoli 451 e
558 codice di procedura penale. 
    Da un lato non pare che la concessione di un breve termine  possa
compromettere le esigenze cui risponde il rito direttissimo  (d'altro
canto il citato termine e' previsto per l'ipotesi  del  dibattimento,
che gia' di per se' comporta  tempi  piu'  lunghi  rispetto  ai  riti
alternativi). 
    Dall'altro, sembra dover in ogni caso  prevalere  il  diritto  di
difesa dell'imputato. 
    2.3.8  In  definitiva,   pare   necessario   garantire   comunque
all'imputato la  possibilita'  di  una  ponderata  valutazione  della
strategia difensiva che - a meno di non voler ridurre il  diritto  di
difesa  ad  un  piano  meramente  formale   -   non   puo'   avvenire
obbligatoriamente   seduta   stante   all'esito    della    convalida
dell'arresto; si deve piuttosto consentire che quella modalita',  tra
le piu' qualificate, di esercizio del diritto di difesa possa  essere
attuata allo spirare del termine a difesa eventualmente richiesto, la
cui funzione deve poter essere anche quella di valutare in un periodo
di tempo adeguato l'opzione per i riti alternativi. 
    L'attuale   disciplina   del   rito   direttissimo,   nel   porre
all'imputato un'alternativa secca tra la richiesta di procedersi  con
un rito alternativo e quella di  un  termine  a  difesa,  compromette
significativamente il diritto di difesa dell'imputato (gia' prima che
questi abbia fatto accesso  al  rito  alternativo),  atteso  che  non
consente (del tutto ingiustificatamente) che la scelta di accedere ai
riti alternativi sia il risultato di una valutazione ponderata  delle
strade percorribili. 
    2.4 La normativa in questa sede censurata si  pone  in  contrasto
anche con l'art. 3 della Carta costituzionale. 
    2.4.1 In primo luogo detta disciplina comporta una  irragionevole
disparita' di trattamento - in relazione alle  garanzie  difensive  -
tra il soggetto condotto in udienza per rispondere del reato con rito
direttissimo e il soggetto che  venga  invece  processato  con  altro
rito. 
    La  natura  accelerata  del  rito  direttissimo  comporta   delle
differenze rispetto agli altri riti che si  giustificano  in  ragione
della flagranza di reato, dell'intervenuto  arresto  dell'imputato  e
della non necessita' per il  pubblico  ministero  di  ulteriori  atti
d'indagine. La negazione all'imputato di un termine per preparare  la
difesa prima dell'eventuale  richiesta  di  un  rito  alternativo  (e
quindi l'esclusione del rito alternativo una volta chiesto il termine
a difesa) non sembra pero' rientrare in tale logica:  un  termine  di
pochi giorni non comporta  infatti  un  ritardo  significativo  nello
svolgimento del processo. 
    Quando l'esercizio  dell'azione  penale  da  parte  del  pubblico
ministero avviene in altra forma) l'imputato  fruisce  sempre  di  un
piu' o meno consistente termine a comparire, utile -  oltre  che  per
organizzarsi praticamente per l'udienza  -  anche  per  preparare  la
difesa. 
    In tutti i  casi  (richiesta  di  rinvio  a  giudizio,  citazione
diretta a giudizio, giudizio  immediato,  procedimento  per  decreto)
l'ordinamento prevede il riconoscimento  di  un  piu'  o  meno  lungo
termine, durante il quale  l'imputato  e  il  suo  difensore  possono
preparare la difesa e quindi anche  valutare  l'eventuale  scelta  di
procedere con un rito alternativo. Nel giudizio  direttissimo  invece
il  termine  a  difesa  e'  previsto   solo   previa   apertura   del
dibattimento, con conseguente  impossibilita'  di  accedere  ai  riti
alternativi o, viceversa, accesso immediato ai riti alternativi senza
un'adeguata ponderazione. 
    2.4.2 L'ordinamento prevede poi la possibilita' per l'imputato di
chiedere un  termine  a  difesa  anche  nelle  ipotesi  di  modifiche
dell'imputazione o  di  contestazioni  di  nuovi  reati  o  di  nuove
circostanze   da   parte   del   pubblico   ministero    nel    corso
dell'istruttoria dibattimentale (art. 519 c.p.p.). Ove l'imputato sia
assente, anzi, la contestazione deve essere inserita nel verbale  del
dibattimento, che deve essere notificato per  estratto  all'imputato,
con il rispetto di un termine almeno pari a quello previsto dall'art.
429 codice di procedura penale. 
    Per effetto  dei  plurimi  interventi  manipolativi  della  Corte
costituzionale,  a   seguito   delle   contestazioni   suppletive   e
dell'eventuale termine a difesa (addirittura obbligatorio nel caso di
assenza dell'imputato), l'interessato ha la facolta' di  accedere  ai
riti alternativi. 
    La giurisprudenza della Corte costituzionale ha  negli  anni  via
via ritenuto illegittime quelle preclusioni poste  alla  facolta'  di
accedere  ai  riti  alternativi   nei   casi   di   mutamento   delle
contestazioni in  sede  dibattimentale  (sentenza  n.  82/2019:  «Se,
dunque, la possibilita' di richiedere i riti alternativi si  salda  a
fil doppio al diritto di difesa  -  in  particolare,  al  diritto  di
scegliere il modello processuale  piu'  congeniale  all'esercizio  di
quel diritto  -  e  se  e'  la  regiudicanda,  nelle  sue  dimensioni
"cristallizzate", a costituire la base su cui  operare  tali  scelte,
non puo' che desumersi la incoerenza con quel  diritto  di  qualsiasi
preclusione che ne limiti l'esercizio concreto, tutte le volte in cui
il sistema ammetta una mutatio libelli in sede dibattimentale»). 
    Sebbene nel rito direttissimo  non  vi  sia  un  mutamento  della
contestazione, cionondimeno la situazione di  fatto  nella  quale  si
trova l'imputato e' comunque quella di un soggetto che - allo  stesso
modo  dell'imputato  che  veda  muoversi   nuove   contestazioni   in
dibattimento - ha appena conosciuto gli addebiti a suo carico. 
    Posto che l'ordinamento riconosce all'imputato - sia  nell'ambito
del giudizio ordinario e dei riti diversi dal  direttissimo  sia  nel
caso di contestazioni suppletive - la possibilita' di  fruire  di  un
congruo lasso di tempo per valutare eventualmente anche la scelta  di
un rito alternativo, risulta del tutto  irragionevole  la  disciplina
qui censurata e prevista per il rito direttissimo,  nella  misura  in
cui non consente che il  termine  a  difesa  richiesto  dall'imputato
all'esito della convalida sia funzionale anche  all'eventuale  scelta
dei riti alternativi. 
    Detta   disciplina   risulta   tanto   piu'    irragionevole    e
discriminatoria  ove  si  considerino  le   condizioni   gia'   sopra
rappresentate nelle quali normalmente versa l'imputato presentato per
la convalida dell'arresto e la celebrazione  del  rito  direttissimo,
condizioni  che  ancor  meno   si   prestano   ad   una   valutazione
(nell'immediatezza) lucida e serena dell'accesso o meno  ad  un  rito
alternativo. 
    2.5 La norma qui censurata pare contrastare anche con l'art.  117
della Costituzione (che prescrive che  la  potesta'  legislativa  sia
esercitata  nel  rispetto  dei  vincoli  derivanti   dagli   obblighi
internazionali) in relazione all'art. 6 comma 3 lettera b) CEDU. 
    Detto articolo della Convenzione prevede che ogni accusato  abbia
diritto di «disporre del tempo e  delle  facilitazioni  necessarie  a
preparare la sua difesa». 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha piu' volte  evidenziato
che, affinche' il processo nei confronti di un soggetto  possa  dirsi
effettivamente equo, non solo l'accusato deve essere informato  circa
la natura delle contestazioni a lui mosse ma, dal momento in cui egli
ne ha contezza, allo stesso devono anche essere garantiti il tempo  e
i mezzi necessari per preparare adeguatamente la difesa. 
    I principi in questione sono stati valorizzati nel caso  BORISOVA
c. BULGARIA che affronta il tema  dell'effettivita'  del  diritto  di
difesa nel caso di soggetto arrestato ed immediatamente sottoposto  a
processo. In tale occasione, la Corte europea dei  diritti  dell'uomo
ha ribadito come il diritto dell'accusato ad  essere  informato,  nel
piu' breve tempo possibile, in una lingua a lui  comprensibile  e  in
modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa  formulata  a
suo  carico  (previsto  dall'art.  6  comma  3   lettera   a)   della
Convenzione)  debba  essere  considerato  alla   luce   del   diritto
dell'imputato a preparare la sua difesa previsto dall'art. 6 comma  3
lettera b), essendo le due disposizioni connesse tra  loro  (sentenza
21.12.2006 BORISOVA c. BULGARIA par. 40-45). 
    In  particolare,  la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha
ritenuto nel caso di specie la violazione delle  norme  in  questione
dal momento che l'accusata era stata dapprima arrestata, poi condotta
in cella e successivamente (nel  giro  di  poche  ore)  sottoposta  a
processo, senza che  alla  stessa  fosse  stato  garantito  il  tempo
necessario (adequate time) e  gli  strumenti  per  preparare  la  sua
difesa (la BORISOVA aveva avuto contezza dell'accusa mossa  nei  suoi
confronti appena prima di essere stata presentata in udienza; non  le
era stato permesso di contattare un avvocato  ne'  un  familiare;  il
tempo per preparare la sua difesa non era stato piu' lungo di un paio
d'ore). 
    Ancor piu' recentemente la Corte europea dei diritti dell'uomo si
e' espressa nei medesimi termini, ritenendo violato l'art. 6 comma  3
lettera b) della Convenzione, anche in un caso  nel  quale  il  tempo
intercorso tra l'elaborazione del verbale contenente la contestazione
a carico del soggetto e la trattazione del relativo caso davanti alla
Corte era stato di poche ore e non era  chiaro  quanto  tempo  avesse
avuto l'accusato  per  poter  visionare  i  documenti  relativi  alla
propria posizione (Corte Edu, sentenza 12 febbraio 2019  MUCHNIK  AND
MORDOVIN v. RUSSIA, par. 34-39) 
    La  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  in   un'ottica   di
effettivita' del diritto di difesa, ha ribadito che  l'accusato  deve
avere  l'opportunita'  di  preparare   la   propria   difesa   e   di
rappresentare tutti gli argomenti difensivi nel  processo,  cosi'  da
poterne  concretamente  influenzare  l'esito.  In  tale  contesto  ha
altresi' affermato che l'adeguatezza  del  tempo  e  degli  strumenti
garantiti ad  un  imputato  deve  essere  valutata  alla  luce  delle
circostanze di ciascun  caso  particolare.  Nella  prospettiva  della
Corte europea dei diritti dell'uomo, al fine di parametrare il  tempo
e le facilitazioni necessarie, rilevano la presenza di  un  difensore
(sempre garantita  nel  rito  direttissimo  italiano),  ma  anche  la
gravita' e complessita' delle accuse e lo stato di  detenzione  o  di
liberta' dell'accusato, fattori questi che viceversa presentano delle
criticita' rispetto al rito  direttissimo:  le  accuse  sono  infatti
sempre di gravita' tale da giustificare l'arresto dell'accusato  (nei
citati casi esaminati  dalla  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
viceversa si trattava di illeciti di modesta gravita') e la richiesta
da parte del pubblico ministero di una  misura  cautelare  coercitiva
(diversamente ex art. 121 disp. att. codice di  procedura  penale  il
pubblico  ministero  dovrebbe  disporre  la   liberazione   immediata
dell'arrestato e non la presentazione in udienza per la  convalida  e
la celebrazione del rito direttissimo); la complessita' e'  variabile
(ed e' prevista anzi  l'obbligatorieta'  del  rito  direttissimo  per
taluni reati in materia  di  armi  o  d'immigrazione  tutt'altro  che
semplici); l'accusato e' ancora in stato di detenzione  o  e'  appena
stato liberato. 
    E' allora evidente come la normativa qui censurata  si  ponga  in
contrasto con l'art. 6 comma 3 lettera b) della CEDU, nella misura in
cui non consente al soggetto arrestato e immediatamente  condotto  in
udienza per la convalida dell'arresto  e  la  celebrazione  del  rito
direttissimo, di richiedere un termine  a  difesa  finalizzato  anche
alla successiva eventuale scelta di procedere con un rito alternativo
(scelta che rappresenta - come ribadito dalla Corte costituzionale  -
una delle espressioni piu' significative del diritto di difesa e  per
la valutazione circa il cui esercizio deve  quindi  essere  garantito
quel adequate time garantito proprio dall'art. 6 comma 3  lettera  b)
della CEDU). 
    2.6 Da ultimo viene in rilievo la violazione dell'art. 117  Cost.
in  relazione  all'art.  14,  comma  3,   lettera   b),   del   Patto
internazionale sui diritti civili  e  politici  di  New  York.  Detto
articolo del Patto di New York (reso esecutivo in Italia con la legge
25 ottobre 1977, n. 881) prevede che «Ogni individuo accusato  di  un
reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, come minimo alle
seguenti garanzie:  [...]  b)  a  disporre  del  tempo  e  dei  mezzi
necessari alla preparazione della  difesa  ed  a  comunicare  con  un
difensore di sua scelta». 
    Il Patto internazionale in questione, la cui finalita' era quella
di porre dei vincoli alle condotte dei singoli  Stati,  fa  anch'esso
riferimento alle garanzie minime da riconoscere all'imputato, tra  le
quali annovera quella relativa al tempo ed ai  mezzi  necessari  alla
preparazione della difesa. 
    Per le medesime ragioni gia'  esposte  in  relazione  all'art.  6
comma 3 lettera b) della CEDU, si dubita che la normativa  in  questa
sede censurata sia conforme  alla  disciplina  internazionale  appena
richiamata e si ritiene pertanto che detto contrasto determini la sua
illegittimita' costituzionale in relazione all'art. 117 Cost.,  nella
misura in cui  questo  prescrive  che  la  legislazione  interna  sia
conforme ai vincoli che derivano dagli obblighi internazionali. 
    3. Possibilita' di un'interpretazione conforme 
    3.1 Come gia'  sopra  esposto,  sarebbe  astrattamente  possibile
un'interpretazione delle norme qui censurate  in  senso  conforme  al
dettato costituzionale. 
    3.2 Tuttavia, detta interpretazione conforme si  scontra  con  la
consolidata giurisprudenza di legittimita' gia' sopra esaminata. 
    3.3 Come rilevato piu'  volte  dalla  Corte  costituzionale,  "in
presenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato, «il giudice a
quo, se pure e' libero di non uniformarvisi e  di  proporre  una  sua
diversa  esegesi,  ha,  alternativamente,  la  facolta'  di  assumere
l'interpretazione censurata in termini  di  "diritto  vivente"  e  di
richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con  i
parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 39  del  2018,  n.
259 del 2017 e n. 200 del 2016; ordinanza n.  201  del  2015).  Cio',
senza  che  gli  si  possa  addebitare  di  non  aver  seguito  altra
interpretazione, piu' aderente ai parametri stessi, sussistendo  tale
onere solo in assenza di un contrario diritto vivente (tra le  altre,
sentenze n. 122 del 2017 e n. 11 del  2015)»  (sentenza  n.  141  del
2019)" (cosi', da ultimo, la sentenza della Corte  costituzionale  n.
95 del 2020).