IL CONSIGLIO DI STATO 
 
              in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) 
 
    Ha pronunciato la  presente  ordinanza  sul  ricorso  in  appello
iscritto al numero di registro generale 7833 del  2020,  proposto  da
Comune di  Santa  Venerina,  in  persona  del  sindaco  pro  tempore,
rappresentato e difeso  dagli  avvocati  Marcello  Clarich  e  Andrea
Scuderi, con domicilio eletto presso lo studio  di  quest'ultimo,  in
Roma, via Stoppani l; 
    Contro    Ingegneria    &    Appalti    s.r.l.,    in     persona
dell'amministratore  unico  e  legale  rappresentante  pro   tempore,
rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio  Saitta,  con  domicilio
eletto presso il suo studio, in Roma, piazza Cavour 17; 
    Per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio - Sede di Roma (sezione seconda) n. 9250/2020,
resa tra le parti, concernente l'ottemperanza del lodo arbitrale  del
13 luglio 2010, n. 95, del collegio  della  Camera  arbitrale  presso
l'Autorita' di Vigilanza sui Contratti Pubblici, costituito ai  sensi
dell'art. 32 della convenzione tra il Comune di Santa Venerina  e  la
Ingegneria & Appalti s.r.l.; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  della  Ingegneria  &
Appalti s.r.l.; 
    Viste le memorie e tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 27 maggio  2021  il
Consigliere Fabio Franconiero, nessuno essendo comparso per le parti; 
 
                          Premesso in fatto 
 
    - nel presente giudizio di ottemperanza la Ingegneria  &  Appalti
s.r.l. ricorre per l'integrale esecuzione del lodo arbitrale indicato
in epigrafe, con cui il Comune di Santa Venerina e' stato  condannato
a  risarcirle  i  danni   conseguenti   alla   risoluzione   disposta
dall'amministrazione locale, a decorrere dal_10 gennaio  2009,  della
concessione in finanza di progetto tra le parti, risalente  al  2003,
avente ad oggetto  la  progettazione  ed  esecuzione  dei  lavori  di
costruzione  di  quattro  impianti  di   trattamento   delle   acque,
l'adeguamento dei serbatoi esistenti, la costruzione di  un  impianto
di produzione di acqua da tavola e la relativa gestione per la durata
di trent'anni; 
    - l'importo liquidato in sede arbitrale a titolo di  risarcimento
dei danni  a  favore  della  societa'  ricorrente  ammonta  in  linea
capitale ad euro 4.318.405 (per  valore  degli  impianti  realizzati,
crediti maturati nel corso dell'esecuzione e mancati guadagno); 
     ad  esso  si  aggiungono   gli   accessori,   costituiti   dalla
rivalutazione monetaria e dagli interessi sulle diverse voci per  cui
l'ente locale e' stato  condannato,  con  le  decorrenze  e  i  tassi
indicati nel lodo; 
    - a causa dell'insostenibilita' per il  bilancio  comunale  della
somma liquidata in sede arbitrale il  Comune  di  Santa  Venerina  ha
dichiarato il proprio dissesto ai sensi degli artt.  244  e  ss.  del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui  al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267  (delibera  del  consiglio
comunale del 12 marzo 2013, n. 9); 
    - in seguito all'adesione del Comune alla procedura  semplificata
ex   art.   258   T.u.e.l.    e    della    conseguente    erogazione
dell'anticipazione di liquidita' del Ministero dell'interno  prevista
dall'art. 33 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure  urgenti
per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale;  convertito,  con
modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89),  il  credito  della
Ingegneria & Appalti e' stato  inserito  nella  massa  passiva  del1a
procedura e pagato in data  22  gennaio  2018  per  l'intero  importo
ammesso in linea capitale, oltre che per gli interessi maturati  fino
al momento della dichiarazione di dissesto, e cioe' al 11 marzo 2013; 
    - la Ingegneria & Appalti ha quindi ricevuto  la  somma  di  euro
4.830.953,92, di cui euro 4.354.405,96 in sorte capitale (comprensivo
delle  spese  di  funzionamento  del  collegio  arbitrale)  ed   euro
476.547,96 a titolo di interessi; 
    tuttavia,  una  volta  chiusa  la   gestione   liquidatoria   con
l'approvazione del rendiconto ai sensi dell'art.  256  T.u.e.l.,  con
nota in data 4 giugno 2018 (seguite da  ulteriori  note  in  data  14
gennaio e 7 febbraio 2020) la societa', «tenuto anche conto dell'art.
248 del T.u.e.l.», ha chiesto all'amministrazione  tornata  in  bonis
«il  pagamento  degli  interessi  moratori   maturati   previsti   in
contratto, successivamente alla dichiarazione di dissesto», ed  avuto
riscontro negativo (con note comunali in data  2  luglio  2018  e  13
febbraio 2020) ha promosso il presente giudizio di ottemperanza; 
    - il ricorso e'  stato  accolto  in  primo  grado  dal  Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio - Sede di Roma, con la sentenza
indicata in epigrafe, con cui e' stato  ordinato  all'amministrazione
resistente di dare «piena ed esatta esecuzione al  giudicato  di  cui
trattasi»; 
    - a fondamento della pronuncia di accoglimento  del  ricorso,  il
giudice di primo grado ha tra l'altro statuito  che  in  analogia  al
fallimento dell'imprenditore privato nel dissesto  finanziario  degli
enti locali «la procedura di liquidazione collettiva dei  debiti  non
osta al permanere di pretese esigibili verso  il  debitore  in  bonis
senza che rilevi  -  nelle  more  della  prima  -  l  'inesigibilita'
temporanea del pagamento in capo a quest'ultimo che parte  resistente
oggi vorrebbe opporre alla pretesa della societa' ricorrente»; 
    - il Comune di Santa Venerina  ha  quindi  proposto  il  presente
appello, nel quale premette  che  l'onere  riveniente  dal  pagamento
degli interessi maturati  sul  credito  in  linea  capitale  dopo  la
dichiarazione del precedente dissesto - quantificati dalla Ingegneria
& Appalti nella prima richiesta di pagamento, datata 4 giugno 2018 in
euro 1.385.676,83, ed euro 1.812.677,50 nell'ultima richiesta  del  7
febbraio 2020 - e'  insostenibile  per  il  proprio  bilancio  e  che
dovrebbe pertanto essere dichiarato un nuovo dissesto; 
    - nel merito l'amministrazione  appellante,  oltre  a  riproporre
l'eccezione  di  inammissibilita'  del  ricorso  della  Ingegneria  &
Appalti, per non avere questa impugnato le proprie note di  riscontro
negativo alle richieste di pagamento, deduce che il  pagamento  nella
procedura di dissesto degli enti locali  dell'intera  sorte  capitale
del credito ne avrebbe determinato l'estinzione; 
    - la deduzione si fonda  sull'assunto  secondo  cui  l'art.  248,
comma 4, T.u.e.l., nel disporre che dalla data in cui  e'  deliberato
il dissesto dell'ente locale i debiti insoluti  «non  producono  piu'
interessi ne' sono soggetti a rivalutazione  monetaria»,  prevede  un
regime di inesigibilita' temporanea degli accessori del  credito  non
soddisfatto integralmente per sorte capitale; 
    - per il Comune di Santa Venerina andrebbero quindi  circoscritti
a questo caso i principi affermati dalla Corte  costituzionale  nella
sentenza del 17 luglio 1998, n. 269 (resa in relazione alla normativa
previgente al testo unico di cui al decreto legislativo  n.  267  del
2000 e in esso trasfusa), posti dalla sentenza appellata a fondamento
dell'accoglimento del ricorso; 
    - secondo l'amministrazione appellante il pagamento  del  credito
per l'intera sorte capitale  avrebbe  invece  «natura  transattiva  e
tombale»; 
    -  a  fondamento  della  tesi  viene  addotta  un'interpretazione
dell'art.  248,  comma  4,  T.u.e.l.  di   tipo   logico-sistematico,
imperniata sulla finalita' della liquidazione delle passivita'  degli
enti locali all'interno  della  procedura  di  dissesto  finanziario,
consistente nel sollecito ripristino della loro piena funzionalita'; 
 
                       Considerato in diritto 
 
I)   sulla   rilevanza   ed   ammissibilita'   delle   questioni   di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.; 
    I.1) come si desume dalle censure formulate nell'appello e  sopra
sintetizzate,   nel   presente   giudizio   si   verte    sull'esatta
interpretazione ed applicazione dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l., che
per quanto rileva nel presente giudizio prevede che dalla data in cui
e' deliberato il dissesto «e sino all'approvazione del rendiconto  di
cui all'art. 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute  per
anticipazioni di cassa gia' erogate non producono piu' interessi  ne'
sono soggetti a rivalutazione monetaria»; 
    I.2) l'applicazione di tale  disposizione  di  ordinamento  degli
enti  locali  non  e'   innanzitutto   impedita   dall'eccezione   di
inammissibilita' del ricorso riproposta dal Comune di Santa  Venerina
con il primo motivo d'appello; 
    I.3)  l'eccezione  si  fonda  infatti  sulla  non   condivisibile
premessa per cui le sopra menzionate note di riscontro negativo delle
richieste della Ingegneria & Appalti  di  pagamento  degli  interessi
ancora  dovuti  avrebbero  natura  di  provvedimenti  amministrativi,
pertanto destinati a consolidarsi se non  impugnati  nel  termine  di
decadenza ex art. 29 cod. proc. amm., e non gia', come invece  appare
correttamente  statuito  dalla  sentenza  di  primo  grado,  di  atti
riconducibili al rapporto paritetico di credito  originato  dal  lodo
arbitrale azionato nel  presente  giudizio  di  ottemperanza,  emessi
quindi dall'amministrazione appellante in qualita' di debitore e  non
gia' di autorita' in posizione  di  supremazia  nei  confronti  della
societa' creditrice; 
    I.4) sotto un  distinto  profilo,  non  e'  inoltre  percorribile
l'opzione interpretativa seguita dall'ente locale appellante  secondo
cui l'arresto  del  decorso  degli  accessori  del  credito  previsto
dall'art. 248, comma  4,  T.u.e.l.  sarebbe  definitivo  in  caso  di
pagamento integrale della sorte capitale nella procedura di dissesto; 
    I.5) oltre a non essere suffragata  dal  tenore  letterale  della
disposizione, che fissa all'approvazione del rendiconto ex  art.  256
T.u.e.l. la durata dell'effetto, l'opzione si pone in  contrasto  con
la  giurisprudenza  costituzionale,  espressa  nella   sopra   citata
sentenza della Corte costituzionale del  dichiarate  non  fondate  le
questioni di costituzionalita' della  previgente  disposizione  (art.
81, comma 4,  del  decreto  legislativo  25  febbraio  1995,  n.  77;
Ordinamento  finanziario  e  contabile  degli   enti   locali,   come
modificato  dall'  art.  21  del  «correttivo»,  di  cui  al  decreto
legislativo 11 giugno 1996, n. 336); 
    I.6)  con  pronuncia  interpretativa  di  rigetto  la  Corte   ha
affermato che «in coerenza con le caratteristiche  di  una  procedura
concorsuale», la disposizione relativa agli accessori del credito  ha
la finalita' di determinare esattamente la  consistenza  della  massa
passiva da ammettere al pagamento nell'ambito del dissesto  dell'ente
locale, ma essa «non implica la «estinzione» dei crediti non  ammessi
o residui, i quali conclusa la procedura  di  liquidazione,  potranno
essere fatti valere nei confronti dell'ente risanato»; 
    I.7) l'affermazione di principio della Corte e' quindi riferibile
ad ogni pretesa creditoria rimasta insoddisfatta  nella  liquidazione
delle passivita' dell'ente dissestato, tanto per sorte  capitale  che
per i relativi accessori; 
    I.8)  nondimeno,  questo  Consiglio  di  Stato  ritiene  che   il
principio affermato  nel  precedente  costituzionale  ora  richiamato
possa essere rivalutato, quanto  meno  sotto  il  profilo  della  sua
perdurante conformita'  alla  Carta  fondamentale,  alla  luce  della
successiva  riforma  del  titolo  V   della   parte   seconda   della
Costituzione, approvata con legge costituzionale 18 ottobre 2001,  n.
3, e di ulteriori interventi normativi di seguito richiamati; 
    I.9) prima di esporre i profili  di  non  manifesta  infondatezza
dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l., va tuttavia precisato  che  la  sua
rilevanza nel presente giudizio si  desume  da  quanto  osservato  in
precedenza; 
    I.10) la disposizione di ordinamento degli enti locali e' innanzi
tutto  a  fondamento  delle  censure  contenute  nel  secondo  motivo
d'appello del Comune di Santa Venerina contro la  sentenza  di  primo
grado, di accoglimento del ricorso in ottemperanza, per  cui  la  sua
applicazione nella presente vicenda  controversa,  gia'  oggetto  del
contraddittorio  tra  le  parti  nel  giudizio  di  primo  grado,  e'
ritualmente  devoluta  dall'amministrazione  soccombente   anche   in
appello; 
    I.11) la disposizione e' inoltre rilevante  perche',  come  sopra
precisato, non appare fondata  l'eccezione  di  inammissibilita'  del
medesimo ricorso riproposta dall'amministrazione resistente; 
    I.12) infine e' rilevante perche', come  del  pari  accennato  in
precedenza, secondo  l'interpretazione  datane  dalla  giurisprudenza
costituzionale,  con  la  sopra  richiamata  sentenza   della   Corte
costituzionale del 17 luglio 1998, n.  269,  la  stessa  disposizione
comporta che ogni pretesa ereditaria rimasta insoluta nella procedura
di dissesto torna ad essere esigibile nei confronti dell'ente  locale
dissestato una volta cessato  il  regime  di  sospensione  temporanea
strumentale  all'attivita'  di  rilevazione   ed   estinzione   delle
passivita'  di  questo,  a  prescindere  se  vi  sia  stato  o   meno
l'integrale pagamento della sorte capitale; 
    I.13) ed infatti  sull'interpretazione  ora  descritta  si  fonda
dichiaratamente la richiesta di pagamento della Ingegneria &  Appalti
da cui tra origine il presente giudizio di ottemperanza; 
    I.14) l'interpretazione dell'art. 248,  comma  4,  T.u.e.l.  data
dalla Corte costituzionale nel precedente piu' volte  richiamato  non
consente inoltre di ritenere, sul distinto piano  dell'ammissibilita'
delle questioni di costituzionalita',  che  i  possibili  profili  di
contrasto  della  disposizione  di  legge  applicabile  nel  presente
giudizio siano superabili in via interpretativa; 
    I.15)  la  Corte  costituzionale   ha   tratto   dall'antecedente
normativa dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.  oggi  vigente  un  regime
generalizzato di inesigibilita'  degli  accessori  del  credito  solo
temporaneo,  strumentale  alla  liquidazione  della   massa   passiva
dell'ente locale nell'ambito della procedura di dissesto, e destinato
pertanto a  cessare  con  la  chiusura  delle  attivita'  dell'organo
straordinario di liquidazione; 
    I.16) l'accoglimento delle censure contenute nel  secondo  motivo
d'appello e' dunque impedito de iure condito  dalla  disposizione  di
ordinamento degli enti locali in questione; 
II)   sulla   non   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.; 
    II.1) superato quindi il vaglio  di  ammissibilita'  e  rilevanza
imposto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento  della  Corte  costituzionale),  con
riguardo alla non manifesta  infondatezza  dell'art.  248,  comma  4,
t.u.e.l., va innanzitutto  ricordato  che  con  la  sopra  menzionata
riforma del titolo V della Costituzione del 2001, da  ultimo  livello
di Governo e del decentramento amministrativo, i Comuni  hanno  visto
riconosciuta in  modo  pieno  la  loro  posizione  di  ente  pubblico
territoriale  di  base,  esponenziale  delle  comunita'  locali,   in
attuazione del principio fondamentale  del  pluralismo  autonomistico
espresso dall'art. 5  Cost.  («La  Repubblica,  una  e  indivisibile,
riconosce e promuove le autonomie locali»), a sua  volta  basato  sul
substrato  storico-sociale  del  Comune  quale  ente   radicato   per
plurisecolare tradizione nell'organizzazione pubblica territoriale; 
    II.2) con la riforma del  200l  e'  stato  quindi  attribuito  ai
Comuni il compito di soddisfare in via  primaria  gli  interessi  dei
cittadini, secondo il principio di sussidiarieta'  verticale,  in  un
rinnovato contesto ordinamentale che pur nel permanere di un  modello
di finanza pubblica locale «derivata» dallo Stato e'  contraddistinto
da una maggiore autonomia finanziaria dell'ente locale  sul  versante
tanto delle entrate quanto delle spese, ancorche' vincolato a tutti i
livelli di spesa dal rispetto dell'equilibrio  dei  bilanci  pubblici
per il raggiungimento degli obiettivi derivanti dalla  partecipazione
della Repubblica all'Unione europea (artt. 114, 118 e 119 Cost.); 
    II.3) con specifico riguardo al dissesto finanziario  degli  enti
locali, sin dalla sua introduzione nell'ordinamento  giuridico  (art.
25 del decreto-legge 2 marzo 1989, n.  66,  Disposizioni  urgenti  in
materia di autonomia  impositiva  degli  enti  locali  e  di  finanza
locale; convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n.
144), l'evoluzione normativa dell'istituto si  e'  connotata  per  la
primaria esigenza di risanamento gli enti  locali  non  in  grado  di
onorare il servizio del debito attraverso  la  propria  capacita'  di
autofinanziamento e quindi di  svolgere  le  funzioni  ed  i  servizi
pubblici di loro competenza; 
    II.4) nell'ambito del carattere derivato della finanza degli enti
locali  l'obiettivo  del  risanamento  si  e'  manifestato   con   la
previsione di un intervento finanziario dello Stato (mutuo presso  la
Cassa depositi e prestiti con  onere  a  totale  carico  dello  Stato
stesso, erogabile  attraverso  anticipazioni  di  liquidita'  secondo
interventi normativi successivi), in concorrenza con misure sul piano
delle entrate e delle spese di competenza dello stesso  ente  locale,
intese all'aumento delle prime e alla riduzione delle seconde,  oltre
che sulla consistenza organica dell'ente; 
    II.5)  in  questa  prospettiva,  con   un   primo   significativo
intervento normativo riformatore dell'istituto,  con  l'art.  21  del
decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8 (recante: Disposizioni urgenti in
materia di finanza derivata e di contabilita'  pubblica,  convertito,
con  modificazioni,  dalla  legge  19  marzo  1993,  n.  68),  si  e'
introdotta una separazione  tra  la  nuova  gestione,  di  competenza
dell'ente destinato ad essere risanato  una  volta  rimossi  in  modo
permanente gli squilibri di bilancio che hanno condotto al  dissesto,
e quella passata, affidata ad un organo straordinario di liquidazione
di nomina  governativa  con  il  compito  di  accertare  e  liquidare
l'indebitamento; 
    II.6) a base della descritta separazione si era posta  l'esigenza
di assicurare  massima  certezza  ed  una  maggiore  rapidita'  nella
soddisfazione del ceto creditorio dell'ente locale, nei confronti dei
quali era posta la regola dalla sospensione delle azioni esecutive  a
tutela dei loro diritti, in conformita' ad un principio ordinatore di
carattere concorsuale; 
    II.7) con la medesima separazione tra le attivita' finalizzate al
risanamento e quelle di liquidazione della massa passiva il  dissesto
ha assunto una fisionomia analoga al fallimento privatistico; 
    II.8) essa si e' ulteriormente accentuata con  l'introduzione  di
limiti al contributo dello Stato per il pagamento  dell'indebitamento
pregresso in rapporto alla popolazione dell'ente dissestato (artt.  4
e 21 decreto-legge n. 8 del 1993) da cui e' derivata la  possibilita'
che in caso di incapienza della massa attiva -  destinata  ad  essere
formata  anche  attraverso  l'alienazione   dei   beni   patrimoniali
disponibili dell'ente - i crediti facenti parte della  massa  passiva
subissero una falcidia percentuale; 
    II.9) di qui corollario per cui la parte del credito insoluta era
destinata a gravare nuovamente sull'ente locale tornato in  bonis,  e
dunque dell'effetto solo temporaneo,  di  carattere  sospensivo,  del
blocco  del  decorsi  degli  accessori  del  credito,  ancorato  alla
chiusura della gestione d eli' organo di liquidazione; 
    II.10) il processo di omologazione tra dissesto degli enti locali
e fallimento privatistico si  e'  poi  accentuato  con  i  successivi
interventi  normativi,  realizzati  con  il   gia'   citato   decreto
legislativo 25  febbraio  1995,  n.  77  (Ordinamento  finanziario  e
contabile  degli  enti  locali)  e  il  relativo  decreto  correttivo
(decreto legislativo 11 giugno 1996, n. 336), con i quali si sono tra
l'altro introdotte delle cause di prelazione  dei  crediti  e  si  e'
previsto che l'organo straordinario dli liquidazione  predisponga  un
primo piano di rilevazione dei  debiti  recante  l'elenco  di  quelli
esclusi   dalla   massa   passiva   della   procedura,    strumentale
all'erogazione del mutuo con  la  Cassa  depositi  e  prestiti  e  il
pagamento in acconto dei debiti inseriti nel piano di rilevazione; 
    II.11) con le caratteristiche finora sommariamente  tratteggiate,
espressive del bilanciamento a livello normativa tra  la  necessita',
da un lato, di ripristinare la  continuita'  di  esercizio  dell'ente
locale incapace di assolvere alle funzioni e i servizi indispensabili
per la comunita' locale, e dall'altro lato di tutelare  i  creditori,
il dissesto finanziario e' stato  infine  trasfuso  nel  testo  unico
sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267; 
    II.12) sotto il profilo della tutela dei creditori deve  peraltro
segnalarsi    che    l'attivita'    contrattuale    della    pubblica
amministrazione e' stata assoggettata alla normativa sul contrasto ai
ritardi dei  pagamenti  nelle  transazioni  commerciali,  di  cui  al
decreto  legislativo  9  ottobre  2002,  n.  231  (Attuazione   della
direttiva 2000/35/CE relativa  alla  lotta  particolare  per  effetto
delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 9  novembre  2012,
n. 192 - Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per
l'integrale recepimento della direttiva 201117/UE relativa alla lotta
contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a  norma
dell'art. 10, comma l, della legge 11 novembre 2011, n. 180); 
    II.13) tale normativa e' nel caso di specie applicabile, anche in
via  convenzionale,  ad  alcune  poste  risarcitorie  accertate   nel
giudizio arbitrale, come  statuito  nel  lodo  oggetto  del  presente
ricorso in ottemperanza; 
    II.14) il dissesto  finanziario  degli  enti  locali  si  colloca
quindi all'interno dell'antitesi Stato-mercato; 
    II.15) come infatti sopra esposto, per la copertura del disavanzo
dell'ente locale e per il suo risanamento e' previsto  un  intervento
sia pure non illimitato dello Stato, con funzione tipica di «pagatore
di ultima istanza» all'interno del sistema di finanza pubblica che da
esso promana; a cio' si contrappone un regime dei debiti  commerciali
dell'ente locale proprio delle transazioni tra imprese,  in  cui  non
sono ordinariamente previsti interventi di sostegno  pubblico  contro
l'insolvenza e nel quale,  pertanto,  la  remunerazione  dei  crediti
attraverso  gli  interessi  di  mora  ai  sensi  del  citato  decreto
legislativo n. 231 del 2002 ne rifletto il relativo rischio; 
    II.16)  al  medesimo  riguardo,  nel  contrapposto  ambito  della
finanza  pubblica  e  del  dissesto  degli  enti  locali  e'  ammessa
l'ipotesi che l'intervento dello Stato possa non essere  sufficiente,
ed infatti l'art. 256, comma 12, T.u.e.l.  prevede  che  in  caso  di
massa  attiva  incapiente,  tale  «da  compromettere  il  risanamento
dell'ente»  il   Ministro   dell'interno   «puo'   stabilire   misure
straordinarie per il pagamento integrale della  massa  passiva  della
liquidazione, anche in deroga alle norme  vigenti»,  in  questo  caso
senza tuttavia oneri a carico dello Stato; 
    II.17) tuttavia, la disposizione ora richiamata,  introdotta  nel
2016,  include  tra  le  misure   straordinarie   in   questione   la
possibilita' che l'ente locale acceda alla «procedura di riequilibrio
finanziario pluriennale prevista dall'art. 243-bis»,  contraddistinta
dall'incapacita' solo temporanea  di  fare  fronte  al  servizio  del
debito e,  al  pari  del  dissesto  finanziario,  dall'intervento  di
risorse a carico  del  bilancio  dello  Stato,  ovvero  il  Fondo  di
rotazione per assicurare la stabilita' finanziaria degli enti  locali
di cui all'art. 243-ter T.u.e.l.; 
    II.18) sulla base della ricognizione normativa finora  svolta  si
ricava quindi  che  in  coerenza  con  l'obiettivo  primario  d  eli'
istituto del dissesto finanziario dell'ente locale,  consistente  nel
suo  stabile  risanamento,  un   nuovo   dissesto   costituisce   per
l'ordinamento  giuridico  un'evenienza  in  grado  di  frustrare   le
finalita' dell'istituto,  contro  la  quale  sono  pertanto  previste
soluzioni per quanto possibile in  grado  di  assicurare  lo  stabile
riequilibrio di bilancio; 
III)  sulla   non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.  in  relazione  al
principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.; 
    III.1) nella  misura  equipara  sul  piano  normativa  situazioni
antologicamente diverse, quali il  dissesto  finanziario  degli  enti
locali e  il  fallimento  dell'imprenditore  privato,  il  regime  di
inesigibilita' solo temporaneo degli accessori del  credito  previsto
dalla disposizione di legge censurata appare porsi in  contrasto  con
il principio di uguaglianza; 
    III.2) a differenza del dissesto nel fallimento  non  e'  infatti
previsto  alcun  intervento  finanziario  «esterno»  al  soggetto  in
situazione di incapacita' di assolvere ai propri debiti con  il  fine
di rimuovere la situazione di squilibrio economico-finanziario che ha
portato al dissesto (oggi previsto dall'art. 255 T.u.e.l.); 
    III.3) scopo del fallimento e' infatti la liquidazione  dei  beni
dell'imprenditore  insolvente,  per  il  soddisfacimento   dei   suoi
creditori, come oggi reso esplicito dal Codice della crisi  d'impresa
e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio  2019,  n.
14, attraverso l'impiego del termine «liquidazione giudiziale»; 
    III.4) nell'antitetico  scopo  delle  procedure  di  composizione
della crisi determinata rispettivamente dall'indebitamente pubblico e
privato si ricava quindi l'assenza di presupposti  che  giustifichino
un trattamento identico per quanto riguarda la sorte degli  accessori
del credito nei due casi, e cioe' per assoggettare  gli  credito  nei
confronti dell'ente locale dissestato, ai sensi dell'art. 248,  comma
4. 
    T.u.e.l.,  allo  stesso  regime  di   temporanea   inesigibilita'
relativo  ai  crediti  pecuniari  nei   confronti   dell'imprenditore
previsto dall'art. 154 del citato Codice della crisi  dell'impresa  e
dell'insolvenza  (in  cui   e'   precisato   che   l'apertura   della
liquidazione  giudiziale   «sospende   il   corso   degli   interessi
convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura
della procedura»); 
    III.5) appaiono in altri termini equiparate sotto il  profilo  in
esame  situazioni  antitetiche,  caratterizzate  dal  fatto  che   il
risanamento del soggetto insolvente e' obiettivo  del  solo  dissesto
finanziario dell'ente locale, nondimeno soggetto a regole di  matrice
civilistica in cui e'  invece  indifferente  la  sorte  del  soggetto
debitore, quali quelle concernenti in  particolare  l'attuazione  del
rapporto obbligatorio (e nello specifico quelle oggetto di  giudizio,
relative agli interessi sui crediti commerciali e  agli  effetti  del
pagamento nell'ambito della procedura  di  liquidazione  della  massa
passiva); 
    III.6)  per  effetto   di   tale   ingiustificata   equiparazione
l'obiettivo della stabile rimozione degli squilibri di  bilancio  che
hanno   determinato   il   dissesto   dell'ente   locale,   a    base
dell'intervento statale, e' compromesso  per  via  della  persistente
soggezione dell'ente tornato in bonis al  credito  per  interessi  ex
art. 248, comma 4 T.u.e.l.  residuati  dopo  il  pagamento  da  parte
dell'organo straordinario di liquidazione, fino  al  rischio  che  si
renda necessario un nuovo intervento  straordinario  a  carico  della
finanza pubblica; 
    III.7) portato alle estreme conseguenze, il rischio derivante dal
descritto  assetto  normativa  e'  che  ad  un  dissesto  ne  seguano
ulteriori, come dedotto dal Comune appellante nel  caso  oggetto  del
presente  giudizio,  e  che  pertanto  l  'obiettivo   del   bilancio
stabilmente riequilibrato dell'ente locale sia vanificato; 
IV)   sulla   non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.  in  relazione  al
principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.; 
    IV.1) l'estensione al dissesto degli enti locali  del  regime  di
temporanea inesigibilita' degli accessori del credito previsto  dalla
disposizione censurata attribuisce al creditore una tutela che sembra
inoltre eccedere i  limiti  di  un  equilibrato  bilanciamento  delle
contrapposte esigenze a base dell'istituto, in precedenza evidenziate
(§ II.11); 
    IV.2) pur a fronte di un adempimento  satisfattivo  del  credito,
per la sua intera  consistenza  al  momento  della  dichiarazione  di
dissesto, permane infatti il rischio di dissesti in successione e che
quindi l'ente locale non sia  stabilmente  risanato,  a  causa  della
perdurante  maturazione  degli   interessi   nella   pendenza   della
procedura; 
    IV.3) tale rischio e' aggravato (come nel caso  di  specie)  alla
generalizzata soggezione dei crediti  nei  confronti  della  pubblica
amministrazione al regime  transazioni  commerciali,  fondato  su  un
«premio» che riflette una  valutazione  di  rischiosita'  di  mercato
propria di quella svolta nei confronti dell'imprenditore privato,  la
regolazione dell'insolvenza del quale ha il solo scopo di  assicurare
il  soddisfacimento  concorsuale   dei   creditori,   attraverso   la
liquidazione  integrale  della  massa  attiva,  e  in  cui  la  sorte
dell'impresa ha pertanto carattere recessivo; 
    IV.4) sotto il profilo in questione difettano  pertanto  le  basi
logiche per  estendere  al  debitore  pubblico  quale  l'ente  locale
soggetto al dissesto finanziario ai sensi del Testo unico di  cui  al
decreto legislativo n. 267  del  2000  il  descritto  regime  proprio
dell'imprenditore privato,  posto  che  come  finora  evidenziato  il
dissesto finanziario  dell'ente  locale  persegue  l'obiettivo  della
definitiva rimozione degli squilibri di bilancio dell'ente medesimo e
in ragione di cio' e' previsto il piu'  volte  richiamato  intervento
dello Stato; 
    IV.5) la regolazione del credito nei confronti  dell'ente  locale
dissestato nell'ambito del complessivo sistema di  finanza  pubblica,
con l'inerente obiettivo dello stabile risanamento, rende infatti  il
suo titolare pienamente garantito dalla certezza del ritorno in bonis
del debitore, malgrado la relativa remunerazione a tassi di mercato; 
    IV.6) specularmente il debitore  pubblico,  le  cui  obbligazioni
sono assimilabili a quelle sovrane grazie all'intervento dello Stato,
viene nondimeno assoggettato alla disciplina prevista per il debitore
privato, che di tale intervento non beneficia; 
    IV.7) oltre all'irragionevole  equiparazione  di  trattamento  di
situazioni    differenziate    cosi'    descritto,     si     frustra
contemporaneamente l'obiettivo di politica  legislativa  a  base  del
dissesto, con un'iper-protezione a favore  del  creditore  a  scapito
della collettivita' di cui  l'ente  locale  e'  istituzione  pubblica
esponenziale; 
    IV.8)  il  primo  beneficia  infatti  della  garanzia  di  vedere
comunque soddisfatto integralmente il proprio diritto dal ritorno  in
bonis dell'ente, per cui diviene per esso indifferente il  tempestivo
adempimento e, quindi, la durata della procedura di dissesto; 
    IV.9) a fronte dell'assenza di rischi di  insolvenza  vi  e'  per
contro una remunerazione del credito che  presuppone  ed  esprime  la
definitiva incapacita' di adempiere del debitore; 
    IV.10) la soluzione costituzionalmente imposta per rimuovere tale
irragionevole equiparazione di situazioni tra loro antitetiche appare
quindi quella di considerare inesigibili in via definitiva e non solo
temporanea gli accessori del credito nei confronti  dell'ente  locale
integralmente soddisfatto nel dissesto  di  quest'ultimo  al  momento
dell'apertura  della  procedura,  e  dunque  assegnare  al  pagamento
dell'organo di liquidazione carattere estintivo; 
V)   sulla   non   manifesta   infondatezza   della   questione    di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.  in  relazione  al
principio dell'equilibrio di bilancio ex articoli 81 e 97,  comma  l,
Cast.. 
    V.1) oltre a non  superare  il  test  di  ragionevolezza  per  le
ragioni finora descritte, il regime normativa degli accessori  .  del
credito nei confronti dell'ente locale  dissestato  appare  porsi  in
contrato  con  il  principio  dell'equilibrio  dei  bilanci  pubblici
sancito dalle disposizioni costituzionali da ultimo richiamate; 
    V.2) il contrasto si profila per il rischio  in  se'  insito  - e
sopra accennato - di dissesti in successione, tale  da  compromettere
il  percorso  dell'ente  locale  verso   l'obiettivo   primario   del
definitivo ripristino dell'ordinaria attivita' una volta rimossi  gli
squilibri economico-finanziari che ne avevano comportato il dissesto; 
    V.3) piu' in radice appare inficiata ab imis la possibilita'  per
l'ente di  presentare l'ipotesi  credibile  di  bilancio  stabilmente
riequilibrato a fronte di un credito per interessi che per  tutto  il
corso della procedura continua a decorrere a tassi di mercato,  posto
che secondo il diritto vivente l'ente dissestato non puo'  deliberare
un nuovo dissesto  in  pendenza  della  procedura  gia'  avviata,  ma
casomai richiedere gli interventi previsti dal sopra richiamato  art.
256, comma 12, T.u.e.l., in presenza dei relativi presupposti  (Corte
dei conti, controllo Lombardia, parere 22 dicembre 2020, n. 184); 
    V.4) si  profila  pertanto  il  rischio  che  l'indebitamento  si
consolidi in perpetuo e diventi nella sostanza irredimibile, cosi' da
rendere   irrealizzabile   «qualsiasi   ragionevole    progetto    di
risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il  principio
di  equita'   intragenerazionale   che   intergenerazionale»   (Corte
costituzionale, sentenza 14 febbraio 2019, n. 18, resa nei  confronti
di disposizioni di legge intese a  consentire  la  rimodulazione  del
riequilibrio  di  bilancio  degli  enti  locali   nell'ambito   della
procedura ex art. 243-bis  T.u.e.l.  mediante  scorporo  dei  residui
accertati   all'esito   della   relativa   procedura   di   revisione
straordinaria); 
    V.5) sul punto deve ritenersi che l'ipotesi oggetto del  presente
giudizio possa essere assimilato a quella esaminata dalla  Corte  nel
precedente da ultimo richiamato, per  il  fatto  che  dal  regime  di
temporanea inesigibilita' degli interessi  derivante  dall'art.  248,
comma 4, T.u.e.l. deriva un  incremento  automatico  del  deficit  di
bilancio e dell'indebitamento per la  spesa  corrente  nei  confronti
dell'ente locale, alimentato dal decorso costante degli interessi  di
mora sui crediti commerciali per tutta la durata delle  procedura  di
dissesto  e  degli  ulteriori  strumenti  previsti   dall'ordinamento
giuridico-contabile degli enti locali per rimediare agli squilibri di
bilancio di questi, cui non e' pertanto posto alcun rimedio; 
    V.6) anche sotto il profilo  da  ultimo  accennato  il  carattere
estintivo  del  pagamento  da  parte  dall'organo  straordinario   di
liquidazione del credito maturato al momento della  dichiarazione  di
dissesto dell'ente locale  appare  l  'unica  soluzione  imposta  dal
rispetto in subiecta materia delle disposizioni costituzionali finora
esaminate; 
    VI)  sulla  non  manifesta  infondatezza   della   questione   di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.  in  relazione  al
principio del buon andamento ex art. 97, comma 2, Cast.; 
    VI.1) oltre che rispetto al principio dell'equilibrio dei bilanci
pubblici il regime di temporanea inesigibilita' degli  accessori  del
credito  previsto  dalla  disposizione  censurata  appare  porsi   in
contrato con il principio del  buon  andamento  dell'amministrazione,
per il fatto di ostacolare il ripristino  della  piena  funzionalita'
dell'ente locale una volta liquidato  l'indebitamento  in  precedenza
accumulato; 
    VI.2) a questo riguardo va segnalato che la Corte  costituzionale
ha considerato come obiettivo di politica  legislativa  afferente  al
buon andamento  dell'amministrazione  ex  art.  97,  comma  2,  Cost.
l'obbligo per gli enti del Servizio sanitario nazionale che  adottano
la   contabilita'   finanziaria   di   stanziare   in   bilancio   un
accantonamento denominato «fondo  di  garanzia  debiti  commerciali»,
qualora  l'indicatore  di  ritardo  annuale  dei  pagamenti  non  sia
rispettoso dei termini di legge  (Corte  cost.,  sentenza  24  aprile
2020, n. 78); 
    VI.3) per quanto esposto in  precedenza,  con  la  previsione  di
tassi di interesse di mercato e la  certezza  della  rimozione  degli
squilibri di bilancio n eli' ambito della procedura di  dissesto,  il
tempestivo  adempimento  del  credito  da  parte  dell'ente  pubblico
debitore diviene invece indifferente per il  creditore  privato,  dal
momento che il primo rimane comunque esposto in perpetuo alle  azioni
del secondo a tutela del suo diritto; 
    VI.4) ne deriva una  distorsione  dell'impianto  complessivo  non
solo del dissesto finanziario  degli  enti  locali,  ma  anche  della
normativa  contro  i  ritardi   nel   pagamento   delle   transazioni
commerciali,  che  come  sopra  esposto  si  fonda  sul  rischio   di
insolvenza del debitore  privato  e  sulla  conseguente  esigenza  di
mercato di una  sua  maggiore  remunerazione,  per  cui  essa  appare
ingiustificatamente  applicabile  in  toto  anche  rispetto  all'ente
locale in situazione di dissesto e che necessita di  essere  risanato
per il sollecito ritorno alla ordinaria attivita' amministrativa; 
    VII)  sulla  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.  in  relazione  al
riconoscimento del principio del «pluralismo  autonomistico»  di  cui
all'art. 5 Cast.; 
    VII.1) per le ragioni da ultimo evidenziate la  disciplina  sugli
accessori dei crediti nei  confronti  dell'ente  locale  in  dissesto
sembra svuotare di contenuti il riconoscimento  costituzionale  degli
enti locali da parte della Repubblica ai sensi dell'art. 5 Cost.; 
    VII.2) nella misura in cui quest'ultimo e'  da  intendersi  quale
presa d'atto dell'origine pre-repubblicana  degli  enti  esponenziali
delle  comunita'  territoriali,  e  dunque   della   loro   esistenza
necessaria, in funzione dell'inesauribilita'  delle  funzioni  e  dei
servizi pubblici a loro  attribuiti  quale  livello  di  Governo  «di
prossimita'» rispetto  a  tali  collettivita',  espressivo  dei  loro
bisogni  primari,   si   desume   che   e'   del   pari   conseguenza
costituzionalmente vincolata il loro ritorno in bonis; 
    VII.3) come desumibile anche dal sopra richiamato art. 256, comma
12, T.u.e.l., l'obiettivo del dissesto finanziario degli enti  locali
e' in particolare quello di raggiungere il loro stabile riequilibrio,
e dunque che questi siano posto in via definitiva  in  condizione  di
esercitare le funzioni e i servizi pubblici ad esso attribuiti; 
    VII.4) tale obiettivo rischia tuttavia di  essere  vanificato  se
all'integrale pagamento del credito per  sorte  capitale  e  per  gli
interessi maturati al momento della  dichiarazione  di  dissesto  non
venisse attribuito carattere  estintivo  e  quindi  il  regime  degli
accessori previsto dall'art. 248, comma 4, T.u.e.l.  venisse  inteso,
come avvenuto finora, di mera inesigibilita'  di  questi  ultimi,  in
analogia  al  fallimento  dell'imprenditore  privato,  anziche'  come
arresto definitivo in funzione del carattere estintivo del  pagamento
di competenza dell'organo straordinario di liquidazione; 
    VIII)  sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
costituzionalita' dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l. in relazione  alle
funzioni amministrative attribuite ai Comuni ai sensi degli  articoli
114 e 118 Cost.; 
    VIII.1) infine, il possibile succedersi  di  dissesti  finanziari
dell'ente comunale insito nella soggezione di questo alla  disciplina
dei crediti commerciali fa emergere un possibile contrasto del regime
di inesigibilita' solo temporanea desunto  dall'art.  248,  comma  4,
T.u.e.l. con il ruolo costituzionale del medesimo ente, ai sensi  dei
sopra citati  articoli  114  e  118  Cost.,  di  livello  di  Governo
esponenziale  delle  comunita'   locali,   radicato   nell'esperienza
storico-istituzionale  di  queste   ultime,   e   pertanto   preposto
all'esercizio delle funzioni amministrative e dei servizi rispondenti
ai bisogni primari della persona; 
    VIII.2) come finora esposto, l'obiettivo primario del risanamento
dell'ente locale dissestato  e'  infatti  strumentale  al  ripristino
delle funzioni e dei servizi  di  competenza  dell'ente  incapace  di
assolvervi  ex  art.  244   T.u.e.l.   a   causa   dell'indebitamente
precedentemente accumulato; 
    VIII.3) con il riespandersi degli accessori del credito, divenuti
temporaneamente inesigibili ai sensi dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l.
per tutta la durata della procedura di  dissesto,  di  esso  tuttavia
finisce per  avvantaggiarsi  in  primo  luogo  il  singolo  creditore
commerciale, benche' gia' remunerato a tassi di mercato; 
    VIII.4) a cio' si contrappone l'ingiustificato  sacrificio  della
collettivita' di cui il  Comune  e'  ente  esponenziale,  esposto  al
rischio di un nuovo dissesto e alle negative  ripercussioni  da  esso
derivante  tanto  sul  piano   della   continuita'   delle   funzioni
amministrative e dei servizi pubblici quanto sul piano economico, per
le azioni di riequilibrio del bilancio rese necessarie  dall'apertura
della nuova procedura; 
    VIII.5) la soluzione imposta per superare l'aporia cosi' venutasi
a creare e' quindi  quella  di  considerare  estintivo  il  pagamento
integrale del credito nell'ambito della procedura  di  dissesto,  per
sorte capitale ed interessi maturati al momento della sua apertura; 
 
                             Conclusioni 
 
    - per le ragioni sinora esposte il presente giudizio va sospeso e
va disposta la trasmissione degli  alla  Corte  costituzionale  delle
questioni  di   costituzionalita'   sollevate   con   riguardo   alla
disposizione di legge da ultimo  richiamata  ai  sensi  dell'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale);