IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                       Sezione seconda penale 
 
    In composizione monocratica in persona del Giudice, dott. Stefano
Sernia, Sciogliendo la riserva formulata  all'udienza  dibattimentale
del giorno 19 ottobre 2021 nel processo nei confronti di:  P.G......,
nato a...... il..... C. M , nata a...... il......; letti gli  atti  e
sentite le parti, ha pronunziato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Si procede a giudizio abbreviato a  seguito  di  rituale  istanza
avanzata dai difensori di fiducia degli imputati, muniti  di  procura
speciale; gli imputati sono liberi ed assenti. 
    Si premette, al fine  di  agevolare  la  lettura  della  presente
compendiosa ordinanza, il sommario degli argomenti trattati. 
    1. Gli esiti della perquisizione: prova fondamentale nel presente
processo; 
    2. Il diritto vivente; 
    3. Le questioni di costituzionalita' gia' sollevate - sintesi; 
    4. Le nuove questioni - sintesi; 
    4.1 Il contrasto con gli artt. 13, 14 e 111 cost. 13; 
    4.1.a «....e restano privi di ogni effetto»:  l'inutilizzabilita'
derivata dalla perdita di efficacia delle perquisizioni illegittime; 
    4.1.b - Inutilizzabilita' derivata - art. 103 c.p.p.; 
    4.2 Violazione dell'art. 3 cost.; 
    4.2.a L'art. 103 cpp quale «Tertium comparationis»; 
    4.2.b Gli artt. 271 cpp e 132 comma 3 codice privacy; 
    4.2.c Ulteriori violazioni dell'art. 3 cosi. 26 
    4.3 Violazione dell'art. 2 cost.: principio di effettivita'; 
    4.4 Violazione dell'art. 24 cost.; 
    4.5  Principio  di  effettivita'  e  violazione  art.  8  cedu  -
contrasto con gli artt. 2 e 117 della costituzione; 
    4.6  Principio  di  effettivita'  e  violazione  art.  6  cedu  -
contrasto degli artt. 352 e 125 comma 3 cpp  con  gli  artt.  2,  111
comma 6 e 117 della costituzione; 
    4.6.a Illegittimita' del sequestro e della  convalida  basati  su
fonti non specificate; 
1. Gli esiti della perquisizione:  prova  fondamentale  nel  presente
processo 
    La prova riposa tutta sugli esiti di una perquisizione,  peraltro
illegittima perche' compiuta dalla p.g. fuori dei casi di flagranza e
in assenza di elementi che ne giustificassero l'esecuzione  in  forza
delle disposizioni delle leggi speciali in materia di  perquisizione,
su autorizzazione orale del P.M. rilasciata fuori dei casi in cui  il
ricorso alla forma orale e' consentito, in  forza  della  circostanza
che la P.O. aveva riferito di aver casualmente incontrato per  strada
il P ed essersi reso conto che indossava  un  capo  di  abbigliamento
rientrante tra quanto sottratto dalla sua abitazione in occasione del
furto da lui denunziato. 
    Tale perquisizione porto'  al  rinvenimento  di  alcuni  oggetti,
sottoposti a sequestro, e  riconosciuti  dalla  persona  offesa  come
parte di quelli sottrattigli. 
    In occasione di tale perquisizione  eseguita  dalla  p.g.  presso
l'abitazione degli imputati  venivano  cosi'  rinvenuti  gli  oggetti
indicati in imputazione, provenienti dal furto subito dal P] il quale
peraltro e' soggetto ipovedente, come  indicato  nell'informativa;  a
sostegno della sua altrimenti dubitatile parola, egli ha pero' potuto
ostendere alla p.g. i libretti di istruzione sia del sistema dvd home
Theater system, sia del libretto di istruzioni audio  book,  sia  del
notebook modello HP, e precisare che  l'audiobook  in  questione  era
riconoscibile perche' si trattava di  modello  appositamente  pensato
per i soggetti  ipovedenti;  tale  peculiarita',  indiziante  che  si
tratti di un bene che solo  un  soggetto  ipovedente  avrebbe  potuto
acquistare, potrebbe altresi' indurre a dubitare  della  possibilita'
di un acquisto in buona fede ad opera degli imputati o di chi, tra di
essi, lo abbia ricevuto. 
    Eliminata dal materiale probatorio la  perquisizione  ed  i  suoi
risultati, la prova non sarebbe pero' ricostruibile. 
    Concludendo, l'unico elemento di prova a carico dell'imputato  e'
costituito da quanto rinvenuto, nell'abitazione da lui  occupata,  in
occasione  della  perquisizione  ivi  eseguita  fuori  dei  casi   di
flagranza: situazione che  la  stessa  sent.  C.  Cost.  n.  252/2020
ricorda dover ricorrere ex ante,  dato  che  deve  fungere  da  causa
giustificatrice preventiva dell'esercizio di poteri riconosciuti alla
p.g. solo in via eccezionale, come peraltro gia'  aveva  statuito  la
Corte di cassazione a SS.UU. con la nota sentenza  n.  39131  del  24
novembre 2015, che ha precisato  che  «E'  illegittimo  l'arresto  in
flagranza  operato  dalla  polizia  giudiziaria  sulla   base   delle
informazioni fornite dalla vittima o da terzi  nell'immediatezza  del
fatto, poiche', in tale ipotesi, non sussiste la condizione di «quasi
flaqranza», la quale presuppone la immediata ed autonoma  percezione,
da parte di chi proceda all'arresto, delle tracce  del  reato  e  del
loro collegamento inequivocabile con l'indiziato»; di talche'  appare
assolutamente ovvio  che  non  puo'  essere  l'esito  positivo  della
perquisizione a fungere da giustificazione della  sua  esecuzione  ad
opera della p.g.. 
    Poiche'  gli  artt.  13  e  14   della   Costituzione   assegnano
all'Autorita'  giudiziaria  il  potere  di  procedere  ad   atti   di
limitazione  della  liberta'  personale  (nei  quali  ricomprende  le
ispezioni e perquisizioni personali)  e  domiciliare,  ai  soli  casi
previsti dalla legge e con  provvedimento  motivato,  essendo  queste
forme di garanzia dell'effettivita' di tali liberta'  costituzionali;
e riconosce alla polizia il potere di procedere ad atti dello  stesso
genere solo nelle situazioni di necessita' ed urgenza  tassativamente
indicate dalla legge, prevedendo altresi' che tali atti si  intendano
revocati e perdano ogni efficacia ove non convalidati  dall'autorita'
giudiziaria, il tribunale si e' posto e pone il problema, perche'  di
assoluta rilevanza, ai fini della decisione, della questione relativa
all'utilizzabilita' degli esiti di una perquisizione  eseguita  fuori
dei casi in cui la legge ne attribuisca il potere alla  p.g.,  atteso
che la perdita di efficacia prevista  dagli  artt.  13  e  124  Cost.
appare dover  essere  quella  di  natura  probatoria,  essendosi  gli
effetti limitativi della liberta' personale (o  domiciliare),  propri
della perquisizione, esauritisi col compimento dell'atto, e gli unici
altri effetti ipotizzabili, di cui la carata  Costituzionale  prevede
l'inefficacia, non possono che essere quelli probatori. 
    Il veicolo processuale per far valere tale  inefficacia  dovrebbe
essere la categoria dell'inutilizzabilita' di cui all'art.  191  cpp,
ma  la  giurisprudenza  di  legittimita'  pressoche'  monoliticamente
dominante e' invece di segno  contrario,  creando  cosi'  un  diritto
vivente contro il quale l'unico rimedio a disposizione  del  giudice,
per  ristabilire  il   rispetto   costituzionale,   anche   in   sede
processuale, dei diritti di liberta'  personale  e  domiciliare,  non
puo' che essere la questione di incostituzionalita' del predetto art.
191 cpp, cosi' come interpretato ed applicato nel diritto vivente. 
2. Il diritto vivente 
    Come si e' accennato, la lettura dell'art.  191  cpp  che  questo
Tribunale ritiene costituzionalmente corretta  e'  pero'  contrastata
dal  diritto  vivente  offerto  dalla  costante   giurisprudenza   di
legittimita', che nega l'inutilizzabilita' probatoria degli esiti  di
una perquisizione illegittima. 
    A tal proposito, il remittente ha richiamato, e richiama ancora a
fondamento del diritto vivente che si intende  sottoporre  al  vaglio
della Corte costituzionale con l'eccezione che  si  va  a  sollevare,
l'insegnamento espresso dalle della Corte  di  cassazione  sin  dalla
sent. 5021 del 27 marzo 1996, ha ritenuto  la  piena  utilizzabilita'
probatoria degli esiti delle perquisizioni e sequestri eseguiti dalla
p.g. al di fuori dei casi previsti  dalla  legge,  pur  prendendo  le
mosse da statuizioni di principio  di  segno  apparentemente  opposto
alle conclusioni finali. 
    In realta', con la suddetta  sentenza,  le  Sezioni  Unite  della
Suprema Corte di cassazione (svolgendo un'argomentazione  di  cui  la
sentenza C. Cost. 219/2019 non si e' occupata) hanno in  primo  luogo
affermato a chiare lettere che  la  conseguenza  di  un'attivita'  di
illecita acquisizione della prova, nello specifico una  perquisizione
illegittima, non  puo'  limitarsi  a  nere  sanzioni  amministrative,
disciplinari o penali nei  confronti  dell'autore  dell'illecito,  ma
deve comportare l'inutilizzabilita' della prova stessa, statuendo che
: «non  e'  certamente  difficile  riconoscere  che  allorquando  una
perquisizione  sia  stata  effettuata  senza   l'autorizzazione   del
magistrato e non nei «casi» e nei «modi» stabiliti dalla legge, cosi'
come disposto dall'art. 13 della Costituzione, si e' in  presenza  di
un mezzo di ricerca della prova che non e' piu'  compatibile  con  la
tutela  del  diritto  di  liberta'  del   cittadino,   estrinsecabile
attraverso  il  riconoscimento  dell'inviolabilita'  del   domicilio.
L'illegittimita' della ricerca di una prova, pur quando non assuma le
dimensioni dell'illiceita'  penale  (Cfr.art.  609  c.p.),  non  puo'
esaurirsi nella mera ricognizione positiva dell'avvenuta lesione  del
diritto soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione  di
sanzioni amministrative o penali per colui o per coloro che  ne  sono
stati gli autori. La  perquisizione,  oltre  ad  essere  un  atto  di
investigazione diretta, e' il mezzo piu' idoneo per la ricerca di una
prova  preesistente  e,  quindi,  diviene  partecipe  del   complesso
procedimento  acquisitivo  della  prova,   a   causa   del   rapporto
strumentale che si pone tra la ricerca e la scoperta di cio' che puo'
essere necessario o utile ai  fini  della  indagine:  nessuna  prova,
diversa da  quelle  che  possono  formarsi  soltanto  nel  corso  del
procedimento, potrebbe  essere  acquisita  al  processo  se  una  sua
ricerca non sia  stata  compiuta  e  questa  non  abbia  avuto  esito
positivo. 
    Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca  di  una
prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di per
se'  stessa  sottratta  alla   materiale   possibilita'   di   essere
suscettibile di una diretta utilizzazione  nel  processo  penale,  e'
altrettanto vero che il rapporto funzionale che  avvince  la  ricerca
alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. 
    Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non  e'
esauribile  nell'area  riduttiva  di   una   mera   consequenzialita'
cronologica, come si era affermato in  numerose  pronunce  di  questa
Corte prima dell'entrata in vigore  del  nuovo  codice  di  procedura
penale, e com'e' stato, anche in  epoca  successiva,  qualche  volta,
ribadito (cfr. Sez.1-17 febbraio 1976 ric. C.; Sez. VI -  23  gennaio
1973 ric. F; Sez. V - 24 novembre 1977 ric. M ; Sez. I - 15 marzo 984
ric. Z ; Sez. VI - 24 aprile 1991 ric. L; Sez. V -  12  gennaio  1994
ric.  V;  etc):  la  perquisizione  non  e'  soltanto   l'antecedente
cronologico del sequestro, ma rappresenta lo strumento giuridico  che
rende possibile il ricorso al sequestro». 
    Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero  che  esista
una distinzione concettuale tra  la  perquisizione,  quale  mezzo  di
ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di  acquisizione
della  prova,  cio'  non  ha   alcuna   rilevanza   ai   fini   della
inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione
illegittima, atteso che: 
      «la  stessa  utilizzabilita'  della   prova   e'   pur   sempre
subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento  acquisitivo
che si sottragga, in ogni  sua  fase,  a  quei  vizi  che,  incidendo
negativamente sull'esercizio di  diritti  soggettivi  irrinunciabili,
non  possono  non  diffondere  i  loro  effetti  sul  risultato  che,
attraverso quel procedimento, sia stato conseguito.  Del  resto,  non
puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso  ordinamento  processuale  ad
aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra  perquisizione
e sequestro: l'art.  252  C.P.P.  impone  il  sequestro  delle  «cose
rinvenute a seguito della perquisizione» e l'art. 103 comma VII dello
stesso  codice   espressamente   sancisce   l'inutilizzabilita'   dei
risultati delle perquisizioni allorquando queste sono state  eseguite
in violazione delle particolari garanzie  di  cui  debbono  fruire  i
difensori per poter esercitare congruamente diritto di difesa. E  non
si vede perche' a diverse ed opposte conclusioni dovrebbe  pervenirsi
quando una perquisizione sia stata comunque eseguita in violazione di
particolari  disposizioni  normative  che  assicurano,  in  concreto,
l'attuazione  di  quella  ineludibile  garanzia  costituzionale,  nei
limiti in cui essa e' stata riconosciuta dall'art. 13 comma 2°  della
Costituzione: si tratta pur sempre  di  un  procedimento  acquisitivo
della prova che reca l'impronta ineludibile della subita  lesione  ad
un  diritto  soggettivo,  diritto   che,   per   la   sua   rilevanza
costituzionale, reclama e giustifica la piu' radicale sanzione di cui
l'ordinamento processuale dispone, e cioe' l'inutilizzabilita'  della
prova cosi' acquisita in ogni fase del procedimento.» 
    Il prosieguo della statuizione della Suprema Corte  si  risolveva
peraltro, ed alquanto sorprendentemente  (considerate  le  premesse),
nella pratica vanificazione della portata  di  tali  principi  appena
enunciati; continuava  infatti  detta  sentenza  affermando  comunque
valido il sequestro, perche' atto dovuto, allorche' avesse ad oggetto
il corpo del reato o cose pertinenti al reato;  pertanto,  di  fatto,
l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini  probatori,
sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi
comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo  ne'  al  corpo
del reato, ne' a cose  pertinenti  al  reato;  affermava  infatti  la
Suprema Corte a SSUU: 
      «Orbene, se e' vero che l'illegittimita'  della  ricerca  della
prova  del  commesso  reato,   allorquando   assume   le   dimensioni
conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a  tutela  dei
diritti  soggettivi  oggetto  di  specifica  tutela  da  parte  della
Costituzione, non puo', in linea  generale,  non  diffondere  i  suoi
effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di
acquisire,  e'  altrettanto  vero  che  allorquando  quella  ricerca,
comunque effettuata, si  sia  conclusa  con  il  rinvenimento  ed  il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo
stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il
modo con il quale a  quel  sequestro  si  sia  pervenuti:  in  questa
specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto  di  una  situazione  non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un «atto dovuto»,  la
cui omissione esporrebbe  gli  autori  a  specifiche  responsabilita'
penali,  quali  che  siano   state,   in   concreto,   le   modalita'
propedeutiche e funzionali  che  hanno  consentito  l'esito  positivo
della ricerca compiuta. 
    Va osservato che,  comunque,  le  predette  Sezioni  Unite  della
Corte,  affermata  la  legittimita'  del  sequestro,  quale  atto  di
sottrazione  a  terzi  della  disponibilita'  di  una  res,   e   sua
acquisizione  al  processo,  sembravano  voler  lasciare  aperta   la
possibilita'  di  conseguenze  sul  piano  probatorio,  nel  caso  di
perquisizione eseguita fuori dei casi in cui la legge la consentisse,
osservando: 
    «Con cio' non si intende  affatto  affermare  che  l'oggetto  del
sequestro, a causa della sua intrinseca  illiceita',  ovvero  per  il
rapporto strumentale che esso puo' esprimere in  relazione  al  reato
commesso,  possa,  per  cio'  solo,  dissolvere  quella   connessione
funzionale   che   lega   la   perquisizione   alla    scoperta    ed
all'acquisizione di  cio'  che  si  cercava,  ma  si  vuole  soltanto
precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste  dall'art.
253 comma 1° C.P.P.,  gli  aspetti  strumentali  della  ricerca,  pur
rimanendo partecipi del procedimento  acquisitivo  della  prova,  non
possono mai paralizzare l'adempimento di  un  obbligo  giuridico  che
trova  la  sua  fonte  di  legittimazione  nello  stesso  ordinamento
processuale ed ha una  sua  razionale  ed  appagante  giustificazione
nell'esigenza che l'ufficiale di polizia giudiziaria non si sottragga
all'adempimento dei doveri indefettibilmente legati al suo  «status»,
qualunque sia la situazione -legittima o no - in cui egli si trovi ad
operare. 
    Tali   statuizioni   avrebbero   potuto,    quindi,    risolversi
nell'asserzione della  legittimita'  del  sequestro,  ferma  restando
pero' la inutilizzabilita' probatoria della perquisizione, quale atto
di indagine caratterizzato da un preciso contesto spazio temporale di
acquisizione della «res» ed  atto  ad  individuare  una  relazione  -
carica di valenze probatorie - tra di essa ed il soggetto perquisito;
ma le SS.UU., invece, concludevano osservando che gli agenti di  p.g.
avrebbero poi potuto testimoniare sugli  esiti  della  perquisizione,
ferma restando l'inutilizzabilita' di essa in quanto tale  (e  cioe',
par  di  capire,  con  inutilizzabilita'  solo  del  verbale  che  ne
documenta modalita', tempo, luoghi e risultato). 
    Da tale arresto delle Sezioni Unite ha tratto origine e  sviluppo
una giurisprudenza che si  e'  ancorata,  apparentemente,  unicamente
alla massima tratta dalla predetta sentenza circa la legittimita'  ed
utilizzabilita'   a   fini   probatori   del   sequestro,   rimanendo
apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei  principi  affermati
dalle stesse SS.UU. nella prima - e piu' consistente  -  parte  della
propria statuizione,  e  che  probabilmente  avrebbero  meritato  una
riflessione e sviluppo su possibili ulteriori  esiti  interpretativi:
come,  ad  es.,  quello  che   volesse   limitare   l'utilizzabilita'
probatoria del sequestro alla res in quanto  tale,  cioe'  nella  sua
materiale idoneita' a provare la sussistenza del fatto (si  pensi  al
rinvenimento di un'arma o di sostanza stupefacenti, idonei a  provare
i reati di detenzione illecita di  tali  oggetti)  ed  a  fungere  da
eventuale supporto di tracce di reato (impronte  digitali,  materiale
biologico suscettibile di  comparazione  del  DNA)  aventi  carattere
individualizzante:  interpretazione,  questa,  sostenuta  da   questo
Giudice in precedenti procedimenti,  ma  non  condivisa  dai  Giudici
competenti per i successivi gradi, che si sono  sempre  rimessi  alla
giurisprudenza che  si  e'  richiamata  e  che  delle  citate  SS.UU.
coglieva, sostanzialmente, solo quanto risultante dal  dispositivo  e
dalla massima. 
    Come si e' detto, la successiva giurisprudenza di legittimita' si
e'  monoliticamente   assestata   su   tali   esiti   interpretativi,
confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro  conseguente
ad una perquisizione illegittima,  e  la  sua  piena  utilizzabilita'
probatoria; si citano,  a  titolo  di  esempio  e  senza  pretesa  di
esaustivita', ed in assenza di pronunzie di segno contrario,  che  lo
scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: 
      Sez. 3, Ordinanza  n.  3879  del  14  novembre  1997;  Sez.  1,
Sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, Sez. 5, Sentenza n. 6712 del  7
dicembre 1998, Sez. 3, Sentenza n. 1228 del 17 marzo  2000,  Sez.  4,
Sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, Sez. 6, Sentenza n.  3048  del  3
luglio 2000, Sez. 2, Sentenza n. 12393 del 10 agosto  2000,  Sez.  1,
Sentenza n. 45487 del 28 settembre 2001, Sez. 1,  Sentenza  n.  41449
del 2 ottobre 2001, Sez. 1, Sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, Sez.
5, Sentenza n. 1276 del 17 dicembre 2002, Sez. 2, Sentenza  n.  26685
del 14 maggio 2003, Sez. 2, Sentenza n. 26683  del  14  maggio  2003,
Sez. 1, Sentenza n. 18438 del 28 aprile 2006,  Sez.  2,  Sentenza  n.
40833 del 10 ottobre 2007, Sez. 6, Sentenza n. 37800  del  23  giugno
2010, Sez. 1, Sentenza n. 42010 del 28 ottobre 2010, Sez. 2, Sentenza
n. 31225 del 25 giugno  2014,  Sez.  3,  Sentenza  n.  19365  del  17
febbraio 2016 (quest'ultima addirittura nel senso della  legittimita'
di  perquisizioni  ordinate  od  eseguite  in  forza  di  sole  fonti
confidenziali), Sez. 2, Sentenza n. 15784 del 23 dicembre 2016,  Sez.
5, Sentenza n. 32009 del 8 marzo 2018. 
3. Le questioni di costituzionalita' gia' sollevate - Sintesi 
    In merito questo giudicante ha pertanto gia' piu' volte sollevato
questione di illegittimita' costituzionale  (per  contrasto  con  gli
artt. 3, 13, 14, 24, 117  della  Costituzione)  del  diritto  vivente
formatosi attorno all'art. 191 cpp, che  non  ritiene  inutilizzabili
probatoriamente gli esiti  delle  perquisizioni  operate  dalla  p.g.
fuori dei casi in cui la legge glielo consente, nonostante che: 
      agli artt. 13 e 14 della Costituzione  espressamente  prevedano
la perdita di ogni efficacia (compresa quindi quella probatoria)  dei
provvedimenti  -  tra  gli   altri   -   di   perquisizione   operati
illegittimamente dalla p.g; 
      venga violato  il  principio  di  eguaglianza  che  impone  che
situazioni tra di loro  analoghe  siano  oggetto  di  discipline  non
irrazionalmente difformi, atteso che per le  perquisizioni  e'  cosi'
adottata una disciplina meno favorevole per  l'imputato  e  di  minor
tutela dei suoi diritti costituzionali  rispetto  a  quella  prevista
dall'art. 271 cpp che prevede  l'inutilizzabilita'  probatoria  delle
intercettazioni illegittime,  nonostante  queste  ledano  un  diritto
costituzionale,  quale  quello  del   diritto   alla   segretezza   e
riservatezza della  corrispondenza,  di  minor  grado  ed  importanza
rispetto a quello della liberta' personale e domiciliare; 
      l'interpretazione consolidatasi si pone  inoltre  in  contrasto
con l'art. 8 della  Convenzione  Europea  dei  Diritti  dell'Uomo,  e
quindi in contrasto con  l'art.  117  Cost.  che  impone  allo  Stato
italiano il rispetto delle Convenzioni internazionali, in  quanto  si
risolve nel non adottare efficaci disincentivi agli abusi delle forze
di polizia, e  di  qualsiasi  organo  dello  Stato  in  genere,  che,
limitando  la  liberta'  della  persona,  si  risolvano  in  indebite
interferenze  nella  sua  vita  privata  o  nel  suo  domicilio,  non
giustificate da oggettive esigenze di prevenzione o  repressione  dei
reati (vennero richiamate  le  sentenze  Corte  EDU  16  marzo  2017,
Erodestou c. Grecia, nonche', la piu' recente sentenza emessa in data
27/09/2018 dalla Prima Sezione CEDU nel caso Braezi contro Italia; 
      infine, si osservava come  l'interpretazione  divenuta  diritto
vivente ponesse anche gravi problemi quanto a tutela del  diritto  di
difesa, atteso che perquisizioni eseguite dalla p.g. fuori  dei  casi
previsti dalla legge, perche'  in  forza  di  indizi  o  ragioni  mai
concretamente esplicitati e senza indicazione delle specifiche fonti,
ne impedisse ogni verifica e controllo (sia da parte del giudice, che
della difesa)  e  quindi  anche  la  possibilita'  di  dimostrare  la
possibilita' che fossero state le fonti propalatrici a nascondere  le
«res  illecite» tra   gli   effetti   personali   o   nell'abitazione
dell'imputato. 
    La Corte costituzionale ha reiteratamente respinto- dapprima  con
la sentenza n. 219/2019, di poi con la  sentenza  n.  252/2020  -  le
eccezioni  sollevate  in  tema   di   inutilizzabilita'   da   questo
giudicante, pur accogliendo - con la sentenza 252/2020, per l'appunto
- la questione accessoria relativa alla illegittimita' costituzionale
dell'art. 103 decreto del Presidente  della  Repubblica  italiana  n.
309/90, nella parte in cui prevede  che  il  P.M.  possa,  dopo  aver
autorizzato oralmente una perquisizione,  omettere  un  atto  formale
(che la Corte ha ritenuto di poter individuare nella convalida  della
perquisizione) di esposizione  degli  elementi  giustificativi  della
perquisizione; quanto al problema dell'inutilizzabilita' delle  prove
acquisite in esito alla perquisizione  illegittima,  anche  con  tale
ultima sentenza la Corte ha ribadito che - come gia' aveva  affermato
con la sentenza n. 219/2019 - l'eccezione non poteva essere  accolta,
perche' si sarebbe risolta in una pronunzia fortemente  manipolativa,
atteso che l'ordinamento italiano non accoglie  la  disciplina  della
inutilizzabilita' derivata, espressione della c.d. «teoria dei frutti
dell'albero avvelenato». Per tale assorbente ragione,  la  Corte  non
aveva considerato le altre questioni  sollevate,  ed  in  particolare
aveva ritenuto assorbente quella relativa al contrasto con l'art. 117
della Costituzione per violazione  dell'art.  8  CEDU,  come  vivente
nell'interpretazione espressa dalla Corte EDU. 
4. Le nuove questioni - Sintesi 
    Ritiene il tribunale di poter e  dover  offrire  nuovi  argomenti
alla Corte, proprio sul tema della  «teoria  dei  frutti  dell'albero
avvelenato»,  rinvenendosi   nell'ordinamento   dati   testuali   che
dimostrano, a parere di questa A.C. remittente,  che  tale  istituto,
oltre ad essere implicitamente previsto proprio dagli artt. 13  e  14
Costituzione  (nella  parte  in  cui  prevedono  che  gli   atti   di
perquisizione  non  convalidati  perche'  illegittimi  perdano   ogni
efficacia che,  rispetto  ad  atti  conclusisi  -  nei  loro  effetti
limitativi della liberta' personale - col loro compimento,  non  puo'
che essere quella probatoria), conosce  anche  almeno  una  esplicita
applicazione   processuale,   nell'art.   103   cpp   (che    prevede
l'inutilizzabilita' dei  risultati  delle  ispezioni,  perquisizioni,
sequestri ed intercettazioni eseguite senza il rispetto  delle  norme
stabilite da detto articolo, e che questo Tribunale ancora non  aveva
utilizzato  come  «tertium  comparationis»),  a  tutela  del  diritto
costituzionale di difesa; sarebbe poi del tutto irrazionale, e quindi
in violazione dell'art. 3 della Costituzione,  un  sistema  normativo
che assicurasse ai diritti strumentali (quali quello di difesa di cui
all'art. 24 Cost. e nella disciplina di cui all'art. 103 cpp per quel
che qui interessa) una tutela di rango maggiore e piu' efficace  (per
il tramite della sanzione della inutilizzabilita' dei risultati delle
perquisizioni illegittime) di quella invece apprestata a tutela delle
situazioni sostanziali preminenti  quali  il  diritto  alla  liberta'
personale ed alla liberta' domiciliare sanciti dagli articoli 13 e 14
della Costituzione. 
    Il diritto vivente  formatosi  sull'art.  1912  cpp  risulta  poi
integrare  una  violazione  dell'art.  2  della  Costituzione  e  del
principio di effettivita' delle  garanzie  costituzionali,  immanente
alla previsione di una tutela  data  dalla  Costituzione  (artt.  2),
dalla circostanza che questa sia la legge  fondamentale  dello  Stato
cui tutti devono osservanza (ar. 54, comma 1 Cost.) e  che  non  puo'
essere violata da altre leggi ordinarie (desumi da artt. 134, comma 1
e 136 comma 1 Cost.); principio di effettivita' che  e'  poi  proprio
(secondo la giurisprudenza della  Corte  EDU)  anche  delle  garanzie
previste dalle convenzioni internazionali (in primis  la  Convenzione
Europea dei Diritti dell'Uomo) e che, per quel che riguarda  il  caso
presenta, interessa gli artt. 6 ed 8 della CEDU, cui lo Stato  ha  il
dovere Costituzionale (ex art. 117 Cost.) di prestare osservanza. 
    Appare poi a  questo  giudicante  evidente  che  ogni  disciplina
normativa, ivi compresa quella processuale, la  quale  riconosca,  ad
una  attivita'  illecitamente  compiuta  in  violazione  di   diritti
costituzionali  altrui,  l'idoneita'  a  produrre  effetti  giuridici
favorevoli a chi detta violazione abbia compiuto ed in danno  di  chi
l'abbia   subita,   non   presta   adeguata   garanzia   ai   diritti
costituzionali che pur astrattamente riconosce. 
    A tal proposito va osservato che  gia'  le  sezioni  unite  della
Corte di cassazione, con la richiamata sent. 5021 del 27 marzo  1996,
avevano osservato che la garanzia di effettivita' della tutela  della
liberta' personale e domiciliare da atti  di  perquisizione  indebita
non puo' essere garantita  solamente  da  una  sterile  presa  d'atto
dell'avvenuta   violazione   e   dalla   previsione   di    eventuali
responsabilita' penali o  disciplinari  degli  operatori  di  polizia
giudiziaria, asserendo che: «L'illegittimita' della  ricerca  di  una
prova, pio. quando non assuma le  dimensioni  dell'illiceita'  penale
(cfr. art. 609 c.p.), non  puo'  esaurirsi  nella  mera  ricognizione
positiva  dell'avvenuta  lesione   del   diritto   soggettivo,   come
presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni amministrative o
penali per colui o per coloro che ne sono stati gli autori». 
    Va quindi osservato che pero',  di  fatto,  a  parte  la  teorica
responsabilita' disciplinare o penale per  le  perquisizioni  abusive
eventualmente non convalidate, evenienza peraltro piuttosto teorica e
concretamente  rara,  le  forze  di  polizia  possono  contare  sulla
potenziale   fruttuosita'   processuale   di   qualsiasi   atto    di
perquisizione vadano a compiere, legale o illegale che sia,  di  modo
che la Repubblica, in forza del  diritto  vivente  formatosi  attorno
all'articolo 191 codice procedura penale, non appresta  una  efficace
garanzia a tutela dei diritti costituzionali di cui agli articoli  13
e 14 della Costituzione. Cio' integra una palese violazione dell'art.
2 della Costituzione, il quale prevede che  la  Repubblica  non  solo
riconosca,  ma  altresi'  garantisca  i  diritti  inviolabili   della
persona, tra i quali  sicuramente  rientrano  quelli  previsti  dagli
articoli 13 e 14 della Costituzione, i  quali  infatti  espressamente
definiscono i  diritti  di  liberta'  personale  e  domiciliare  come
inviolabili. 
    Ne  consegue  che  le  questioni  gia'   ritenute   dalla   Corte
insuperabilmente assorbite nella ritenuta natura  manipolativa  della
pronuncia richiesta dal remittente, risultano riacquistare  rilevanza
e necessitare di una valutazione di merito. 
    Cio'  vale,  in  particolare,  secondo  questo   Tribunale,   con
specifico  riferimento  alla  questione  relativa   alla   violazione
dell'art. 117 Cost. con riferimento alla violazione dell'art. 8  CEDU
quale interpretato dalla giurisprudenza della  Corte  EDU,  la  quale
ripetutamente  ha  affermato  che  le  tutele  nazionali  ai  diritti
tutelati dalla Convenzione debbano essere effettive e tali da rendere
reali  e  praticamente  tutelati,  e  non  meramente  illusori,  tali
diritti.  Tale  questione  va  affrontata  anche  perche'  la   Corte
costituzionale, con la citata sentenza n. 252/2020, ha - ovviamente -
confermato la  particolare  rilevanza  costituzionale  del  controllo
giudiziale sulla legittimita' degli atti di perquisizione,  lasciando
pero' irrisolta la questione relativa alle conseguenze dell'omissione
della   convalida   della   perquisizione,   o   del   suo   rigetto,
sull'utilizzabilita' del materiale probatorio acquisito  grazie  alla
perquisizione non convalidata: conseguenze che, necessariamente, deve
ritenersi che la stessa  Corte  costituzionale  abbia  implicitamente
condiviso debbano esservi, atteso che quella della  inutilizzabilita'
probatoria  degli  esiti  delle  perquisizioni  non  convalidate  era
l'unica ragione di rilevanza della questione  di  incostituzionalita'
individuata dal giudice rimettente e  quindi  idonea  a  radicare  la
cognizione della Corte stessa. 
    Ed invero, sintetizzando cio' che meglio oltre si osservera',  il
Tribunale ritiene che l'art. 191 cpp,  nella  lettura  offertane  dal
diritto vivente, sia in contrasto con gli artt. 13 e 14 Costituzione,
proprio perche'  non  accoglie  la  «teoria  dei  frutti  dell'albero
avvelenato» che,  invece,  appare  essere  espressamente  considerata
dalle suddette norme costituzionali; tant'e'  che,  non  a  caso,  il
diritto processuale penale ne prevede almeno un'ipotesi espressamente
disciplinata dall'art. 103 cpp, che sanziona proprio  in  termini  di
inutilizzabilita'  ogni  acquisizione  probatoria  (ivi  compresi  «i
risultati delle  ispezioni  e  perquisizioni»)  della  corrispondenza
(tramite sequestro o  anche  solo  presa  di  cognizione  per  quella
consistente in messaggi scritti o telematici; tramite intercettazione
per le  conversazione  telefoniche  o  ambientali)  tra  difensore  e
imputato  compiuta  presso  gli  studi  dei  difensori,  «salvo   che
l'autorita' giudiziaria abbia  fondato  motivo  di  ritenere  che  si
tratti del corpo del reato (valutazione da compiersi, deve ritenersi,
essendo una condizione  di  legittimita'  dell'atto  di  ispezione  o
perquisizione, ex ante, e non ex post). 
    Questo Tribunale ritiene cioe' di dover risollevare la  questione
davanti alla  Corte  costituzionale  prendendo  le  mosse  da  quanto
statuito dalla Corte con la sentenza n.  252/2020,  e  rinvenendo  in
essa nuovi spunti argomentativi, confermati peraltro  dall'esistenza,
nella disciplina dettata dall'art. 103 cpp - norma finora mai evocata
da  questo  Tribunale  come  «tertium  comparationis»  (pur   essendo
contemplata  nella  motivazione  della  sentenza   della   Corte   di
cassazione, Sezioni Unite, sent.  5021  del  27  marzo  1996)  -  una
concreta applicazione del  c.d.  principio  dei  «frutti  dell'albero
avvelenato», tale da indurre a ritenere che  esso  sia  implicito  al
sistema processuale, e che sia necessario risottoporre alla Corte  il
tema della compatibilita' della vigente disciplina dell'art. 191  cpp
(nel  diritto  vivente)  con  quanto  statuito  dall'art.   8   CEDU,
questione, gia' ripetutamente evocata  da  questo  Tribunale  per  il
contrasto con l'art. 117 Cost., che la Corte con le  citate  sentenze
non ha affrontato ritenendola assorbita dal prevalente rilievo che la
teoria  dei  «frutti   dell'albero   avvelenato»   sarebbe   estranea
all'ordinamento italiano. 
    Il diritto vivente formatosi sull'art. 191 cpp risulta cosi'  non
solo in contrasto diretto con gli artt.  13  e  14  Costituzione,  ma
anche con  l'art.  3  Cost.,  perche'  sottopone  ad  un  trattamento
palesemente  difforme  da  quello  previsto  dall'art.  103  cpp,   i
risultati delle perquisizioni operate  presso  l'abitazione  o  sulla
persona del  diretto  interessato  in  violazione  dei  suoi  primari
diritti costituzionali di liberta' personale  e  domiciliare,  mentre
invece  sanziona  con   l'inutilizzabilita'   probatoria   dei   suoi
risultati, quelle eseguite presso il titolare del diritto  di  difesa
tecnico, che e' tuttavia diritto strumentale - e quindi accessorio se
non addirittura servente  -  rispetto  a  quello  sostanziale  (della
tutela della liberta' dell'imputato, in primis) di cui e'  strumento:
cosi' irrazionalmente offrendo alla tutela del diritto principale una
tutela inferiore rispetto a quella garantita al  diritto  strumentale
ed accessorio. 
    Con la presente  ordinanza,  questo  tribunale  intende  pertanto
sottomettere nuovamente alla Corte costituzionale le  questioni  gia'
sollevate, ovviamente utilizzando argomentazioni ulteriori a sostegno
di quelle parziali gia' esaminate dalla Corte costituzionale  con  le
precedenti  pronunzie  (una  delle  quali,  peraltro,   di   parziale
accoglimento),  e  prendendo  peraltro   le   mosse   anche   proprio
dall'ultima di tali  pronunzie;  e'  tuttavia  ovviamente  necessario
ripercorrere l'intero spettro delle  argomentazioni  gia'  sollevate,
atteso che e' la loro sinergia a rendere manifesta,  a  parere  dello
scrivente,  l'illegittimita'  costituzionale  del   diritto   vivente
formatosi  attorno  all'art.  191   cpp,   quale   consolidatosi   in
numerosissime   pronunzie   della   Suprema   Corte   di   cassazione
costantemente orientate a ritenere  la  piena  utilizzabilita'  degli
esiti probatori di  tali  perquisizioni,  cristallizzando  nel  tempo
l'insegnamento ricavato da C. Cass. SS.UU. sent. 5021  del  27  marzo
1996  che,   in   realta',   avrebbe   consentito   piu'   articolate
interpretazioni. 
4.1 Il contrasto con gli artt. 13, 14 e 111 Cost. 
    Il diritto vivente formatosi sull'art.  191  cpp  non  appare,  a
giudizio di questo giudicante, conforme in primo luogo agli artt.  13
e 14 della Costituzione. 
    Invero, l'art. 13 Cost. (richiamato, quanto a  garanzie  e  forme
ivi previste, dall'art. 14 Cost. in tema di ispezioni,  perquisizioni
e sequestri eseguite  nel  domicilio)  prescrive  che  ogni  atto  di
limitazione della liberta' personale - tra i quali annovera non  solo
l'arresto o il fermo,  ma  anche  le  perquisizioni  e  le  ispezioni
personali  -  sia  riservato   ad   «atto   motivato   dell'autorita'
giudiziaria e nei soli casi e nodi previsti dalla  legge»;  la  norma
costituzionale  introduce  quindi  una  riserva   di   legge   e   di
provvedimento  (motivato)  dell'Autorita'   giudiziaria,   cui   puo'
derogarsi solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso  che
la norma  prosegue  prevedendo  che  solo  «in  casi  eccezionali  di
necessita'  ed  urgenza,   indicati   tassativamente   dalla   legge,
l'autorita'  di  pubblica  sicurezza  puo'   adottare   provvedimenti
provvisori,  che  devono  essere  comunicati  entro  quarantotto  ore
all'autorita' giudiziaria  e,  se  questa  non  li  convalida'  nelle
successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi  di
ogni efficacia». 
    L'art. 14 Cost. estende agli atti di perquisizione domiciliare le
garanzie dettate per le perquisizioni  personali,  in  considerazione
della primaria  importanza  che  la  tutela  dell'inviolabilita'  del
domicilio assume quale strumento di protezione della  sfera  spaziale
in cui si svolge l'abituale esercizio di fondamentali  diritti  della
persona; tutela costituzionalizzata, per  il  tramite  dell'art.  117
Cost. (cfr. sentenze C. Cost. nn. 348 e 349/2007), anche dall'art.  8
della Carta Europea dei Diritti dell'Uomo, che  sancisce  il  diritto
della persona al rispetto del proprio domicilio  -  oltre  che  della
propria vita privata e famigliare - anche dalle ingerenze  pubbliche,
legittime solo se previste dalla legge e necessitate da  esigenze  di
(per quel che qui interessa) difesa  dell'ordine  e  prevenzione  dei
reati. 
    I suddetti  diritti  sono  quindi  assistiti  -  a  sottolinearne
l'importanza nell'assetto democratico  dell'ordinamento  repubblicano
voluto dal Legislatore Costituzionale come fondato  sulla  tutela  di
quelle  liberta'  individuali  tendenzialmente  negate  o  fortemente
compresse dal precedente regime -  da  un  corredo  di  significative
cautele date  dalla  riserva  di  legge,  dalla  riserva  del  potere
giudiziario,  dall'obbligo  che  quest'ultima   provveda   con   atto
motivato. 
    Solo in casi eccezionali di necessita'  ed  urgenza,  che  spetta
alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza
(e cioe' alle forze di polizia, che di  tali  compiti  sono  titolari
unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito  un  potere
di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in  caso
di mancata  convalida  da  parte  dell'A.G.  con  provvedimento  che,
sebbene   cio'   non   sia   espressamente   previsto   dalla   norma
costituzionale, deve ritenersi - come peraltro ha concordato anche la
Corte costituzionale con la  sentenza  n.  252/2020,  ritenendo  tale
obbligo  implicito  nell'art.  13  Cost.  -  debba  anch'esso  essere
motivato, dato che non vi e' ragione di ritenere che  il  Legislatore
Costituzionale,   per   l'ipotesi    di    particolare    delicatezza
costituzionale data della convalida (la cui  funzione  e'  verificare
che la p.g. non abbia agito in tali  delicatissime  materie  abusando
dei propri poteri, fuori dei casi in cui essi le sono  riconosciuti),
abbia voluto esonerare l'Autorita' Giudiziaria  dalla  necessita'  di
motivare i propri provvedimenti, che in tema di atti limitativi della
liberta' personale gli e' specificamente imposta dall'art. 13 comma 2
Cost. (e come peraltro previsto gia' in via  generale  dall'art.  111
comma 6 Cost. per tutti i provvedimenti giurisdizionali). 
    Come si e' accennato, tali  garanzie  sono  estese  dall'art.  14
Cost. anche  al  caso  delle  perquisizioni,  ispezioni  e  sequestri
domiciliari, giusta il richiamo che tale norma  opera  alle  garanzie
prescritte  (dall'art.  13  Cost.)  per  la  tutela  della   liberta'
personale. 
    Fondamento  comune  alle  eccezioni  sollevate  (e  che  qui   si
reiterano)  da  questo  Tribunale  era  ed  e'  quindi  la   ritenuta
necessita' che la disciplina processuale non si ponga d'ostacolo alla
piena operativita' delle garanzie stabilite dagli artt. 13 e 14 Cost.
a tutela della liberta' personale  e  domiciliare:  garanzie  tra  le
quali va in primo luogo annoverata quella della perdita di  efficacia
(ivi compresa quella probatoria, che per gli atti  di  perquisizione,
esauritisi questi col loro compimento, e' l'unica efficacia di cui la
norma costituzionale possa aver disposto la cessazione) degli atti di
limitazione della liberta' personale e  domiciliare  non  convalidati
nei termini di legge. 
    Tali  garanzie,  a  giudizio  del  remittente,  risultano  invece
frustrate dalla vigente disciplina  delle  inutilizzabilita'  di  cui
all'art.  191  cpp,  che  consente  -  secondo  il  diritto   vivente
-l'utilizzabilita' probatoria di quanto acquisito  dalla  polizia  in
occasione di una perquisizione eseguita fuori  dei  casi  in  cui  la
Costituzione lo consenta, o in assenza di convalida che la  effettiva
ricorrenza di tali condizioni  abbia  realmente  verificato  (con  le
caratteristiche di effettivita' implicite negli artt. 13 e 14 Cost. e
nell'art. 8 CEDU, come sottolineato dalla menzionata sentenza  BRAZZI
contro Italia). 
    Peraltro, la perdita di efficacia probatoria delle  perquisizioni
illegittime (e per tale ragione da non convalidarsi) e' desumibile in
via diretta dagli artt. 13 e 14 della Costituzione, ai quali potrebbe
darsi immediata applicazione se non fosse che  la  norma  che  regola
l'istituto dell'inutilizzabilita' probatoria in sede  processuale,  e
cioe' l'art. 191 cpp, e' stato fatto oggetto di una  diversa  e  piu'
limitante lettura,  in  primo  luogo  per  la  ritenuta  inesistenza,
nell'ordinamento, dell'istituto della inutilizzabilita' derivata. 
4.1.a - «.... e restano privi di  ogni  effetti:  l'inutilizzabilita'
derivata dalla perdita di efficacia delle perquisizioni illegittime 
    Atteso che gli articoli 13 e 14 della Costituzione prevedono  che
le autorita'  di  polizia  possano  adottare  atti  limitativi  della
liberta' personale, tra  i  quali  e'  ricompresa  la  perquisizione,
nonche'  procedere  a  perquisizione  domiciliare,   solo   in   casi
eccezionali di necessita' ed urgenza  indicati  tassativamente  dalla
legge, deve conseguentemente ritenersi che, al di fuori di tali casi,
la perquisizione eseguita dagli  apparati  di  polizia  sia  illegale
perche' ad essi ne e' vietata l'esecuzione. 
    La legge ordinaria ha individuato tali situazioni eccezionali  di
necessita' ed urgenza, in via generale, nello stato di flagranza  del
reato. Va a tal proposito ricordato (e la Corte  costituzionale  gia'
con le sentenze 219/19  e  252/20  ha  condiviso  tale  assunto)  che
dall'art. 382 cpp si evince che la  situazione  di  flagranza  -  che
legittima in via ordinaria l'esercizio del potere di perquisizione in
capo alla P.g. - e' quella che si presenta allorche' la  consumazione
del reato cade sotto la  percezione  degli  organi  di  P.g.,  ovvero
questi scorgono sulla persona del reo tracce altamente  significative
che egli abbia appena commesso un delitto cfr. ad es. quanto statuito
dalla nota sentenza C. Cass. SS. UU. n. 39131 del 24 novembre 2015  ,
che ha precisato che «E' illegittimo l'arresto in  flagranza  operaio
dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla
vittima o da terzi nell'inunediatezza del  fatto,  poiche',  in  tale
ipotesi, non sussiste la condizione di «quasi  flagranza»,  la  quale
presuppone la immediata ed  autonoma  percezione,  da  parte  di  chi
proceda all'arresto, delle tracce del reato e del  loro  collegamento
inequivocabile con l'indiziato») . 
    Sicche' cio'  che  viene  trovato  in  possesso  dell'imputato  a
seguito della perquisizione non puo' valere a legittimarla ex ante. 
    Proprio perche' la flagranza e' una situazione  che  deve  essere
percepibile e  il  risultare  ex  ante,  e  cio'  puo'  concretamente
frustrare le esigenze di prevenzione e repressione  dei  delitti,  il
legislatore ha introdotto tramite leggi speciali ulteriori altri casi
in cui all'autorita' di polizia e consentito  procedere  ad  atti  di
perquisizione anche fuori  dei  casi  della  flagranza  di  reato;  i
requisiti di necessita' ed urgenza sono  ancorati  dalla  legge  alla
finalita' di prevenzione e repressione di  particolari  categorie  di
reati ritenute particolarmente gravi, ed alla  ricorrenza  di  indizi
(ad es.: «notizia anche se per indizio» per l'art. 41 TULPS; «fondato
motivo»  per  l'articolo  103  del  decreto  del   Presidente   della
Repubblica n. 309 del 1990; «atteggiamento o presenza di persone che,
in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di  tempo
non appaiono  giustificabili»,  quanto  all'articolo  4  della  legge
numero 152  del  1975)  che,  pur  non  consistendo  in  una  patente
situazione di flagranza, sono indicative della probabilita' che sulla
persona o nel domicilio di taluno possano rinvenirsi cose di  cui  la
legge vieta il porto o la detenzione. 
    Come si e' accennato, nel presente processo non sono  indicati  i
concreti elementi sulla cui base la  polizia  ha  ritenuto  di  dover
procedere a perquisizione; e' verosimile che si sia trattato di fonti
confidenziali  o  fonti  anonime,  ma  comunque  se   vanificata   la
possibilita' di operare una verifica circa l'  effettiva  sussistenza
dei presupposti di legittimita' del sequestro di polizia, e  la  loro
ricorrenza non puo' essere  ritenuta  solo  perche'  genericamente  e
fumosamente affermata dalle stesse forze d polizia. 
    La sentenza numero 252 del 2020  della  Corte  costituzionale  ha
chiarito che le esigenze di tutela della liberta' personale  e  della
liberta' domiciliare poste dagli articoli 13 e 14 della  Costituzione
valgono sia per le perquisizioni repressive  di  polizia  giudiziaria
sia per quelle preventive di polizia di sicurezza, e che pertanto non
e' giustificata alcuna differenza di disciplina quanto a tutela delle
suddette garanzie a seconda che si tratti di perquisizioni dell'uno o
dell'altro tipo. 
    Se cosi' e', deve ritenersi che i divieti di  utilizzabilita'  di
determinate fonti di prova parte  dal  codice  di  procedura  penale,
debbano  trovare  applicazione  anche  nel  caso   di   perquisizioni
disciplinate da leggi speciali; ne consegue che  ovviamente  le  voci
correnti nel pubblico, le fonti confidenziali, gli  scritti  anonimi,
nonche' ogni altra fonte di prova espressamente vietata dalla legge ,
non possono essere poste a fondamento della decisione di procedere  a
perquisizione; e perquisizioni che in forza di  tali  elementi  siano
state decise o disposte, e  comunque  eseguite,  non  possono  quindi
essere convalidate. 
    In relazione a tali perquisizioni, la stessa sentenza ha ribadito
l'importanza  del  controllo  giurisdizionale   circa   il   corretto
esercizio dei poteri che, in via solo e  del  tutto  eccezionale,  la
legge riconosce in materia alle forze di  polizia;  ed  ha  per  tale
ragione ritenuto l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  103
comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del  1990
nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui la  perquisizione
sia stata eseguita su autorizzazione orale  del  pubblico  ministero,
questi non provveda  a  formalizzare  le  ragioni  dell'atto  con  un
provvedimento scritto m che la  Corte  ha  individuato  nell'atto  di
convalida statuendo espressamente che  esso  debba  essere  motivato,
atteso  che  la  garanzia  che  la  motivazione   offre   in   ordine
all'effettivo  esercizio  da  parte  dell'autorita'  giudiziaria  dei
poteri  di  verifica   e   controllo   sull'operato   della   polizia
giudiziaria, e' un momento essenziale dell'atto di convalida. 
    E tuttavia va ribadito che la convalida e' solo uno dei  passaggi
che realizza il sistema delle garanzie volute dalla Costituzione,  la
principale  delle  quali   e'   la   perdita   di   efficacia   delle
perquisizioni, ispezioni ed  altri  atti  limitativi  della  liberta'
personale compiuti fuori dei casi in cui la legge lo consente. 
    Per  la  precisione,  la  Costituzione  connette  la  perdita  di
efficacia alla  mancanza  della  convalida,  ma  cio'  ovviamente  e'
perche' il costituente ha immaginato che  una  autorita'  giudiziaria
indipendente non avrebbe mai convalidato  un  atto  limitativo  della
liberta' personale o  della  inviolabilita'  del  domicilio  compiuto
dalle forze di  polizia  fuori  dei  casi  in  cui  la  legge  glielo
consentisse. 
    Come si diceva, a tutela del sistema di garanzie cui si e'  fatto
cenno, l'art. 13 della Costituzione,  che  e'  sul  punto  richiamato
anche  dall'art.  14  in  tema  di  disciplina  delle   perquisizioni
domiciliari, prevede che laddove  i  provvedimenti  limitativi  della
liberta' personale o domiciliare compiuti  dalla  polizia  non  siano
comunicati all'autorita' giudiziaria entro quarantott'ore dalla  loro
esecuzione e da detta autorita' convalidati nelle 48 ore  successive,
essi «restano privi di ogni effetto». 
    Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia»
e' dalla norma costituzionale assegnata  non  solo  alla  illegittima
esecuzione di  atti  di  arresto  o  di  fermo,  ma  genericamente  e
complessivamente  al  caso  dell'adozione  dei   «provvedimenti»   di
polizia, in materia di liberta' personale, fuori  dei  casi  previsti
dalla legge; e -  a  meno  di  voler  affermare  che  il  Legislatore
costituzionale abbia impiegato con imprecisione e  scarsa  padronanza
la lingua italiana - i provvedimenti in  questione  non  possono  non
essere che tutti quelli contemplati  dalla  norma  stessa,  e  quindi
anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13  Cost.
tutti ricomprende nell'ambito degli atti  che  limitano  la  liberta'
personale. Non appare quindi corretta  l'interpretazione  che  voglia
limitare la previsione costituzionale della «perdita di efficacia» ai
soli  provvedimenti  soppressivi  della  liberta'  personale,   quali
l'arresto ed il fermo,  atteso  che  l'art.  13  Cost.  utilizza  una
formula  omnicomprensiva  (i  «provvedimenti  provvisori»  adottabili
dalla p.g.) che a tutti i provvedimenti da  detta  norma  contemplati
risulta riferirsi, come evincibile anche  dalla  disciplina  adottata
dall'art.  14  Cost.,  che  espressamente  li  richiama   «nominatim»
rispezioni, perquisizioni o sequestri») prevedendone  l'adottabilita'
da parte della pg. «secondo le  garanzie  prescritte  per  la  tutela
della liberta' personale». 
    Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel
tempo (e  di  cui  la  norma  costituzionale  si  e'  preoccupata  di
prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto  ad  atti  di
perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti  e  terminati
nella loro esecuzione  (come  e'  necessariamente,  dato  che  ne  e'
prevista la convalida entro 96 ore al massimo dalla loro esecuzione),
e' solo  quella  che  attiene  alla  loro  capacita'  probatoria;  la
sanzione di perdita dell'efficacia equivale quindi  a  quella  -  nel
linguaggio che  il  codice  di  procedura  repubblicano  ha  adottato
quarant'anni  dopo  l'approvazione   della   Costituzione   -   della
inutilizzabilita' introdotta dall'art. 191 cpp per le  prove  assunte
in violazione di un divieto di legge. 
    Il legislatore costituzionale - la  cui  saggezza  e  competenza,
forgiate dalla dura esperienza della grave compressione  dei  diritti
di liberta' della persona e del  domicilio  operati  dalla  dittatura
fascista, non possono essere discussi - ha evidentemente  considerato
che qualsiasi atto di  limitazione  della  liberta'  personale  possa
avere degli effetti  pregiudizievoli  perduranti  nel  tempo,  ed  ha
inteso che essi venissero rimossi; non ha operato alcuna  distinzione
tra i vari atti di  limitazione  della  liberta'  personale,  e  deve
pertanto  ritenersi  che  tra  di  essi  abbia   chiaramente   inteso
comprendere anche gli atti di ispezione e di perquisizione; ed  anche
rispetto a tali  atti  ha  considerato  che  ne  potessero  risultare
effetti pregiudizievoli ed ha voluto  che  questi  cessassero  quando
detti atti fossero stati compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei
limiti previsti dalla legge costituzionale e  dalle  leggi  ordinarie
che ad essa abbiano dato attuazione. 
    Poiche', rispetto ad atti di perquisizione  d'ispezione,  l'unico
effetto  che  essi  possano  produrre  dopo  che  ne  e'  cessato  il
compimento, e' quello relativo alla valenza probatoria degli esiti di
tali atti, il tribunale ritiene che dagli  articoli  13  e  14  della
Costituzione si  tragga  la  previsione,  per  via  diretta  e  senza
necessita'   di   mediazione   nella   norma    processuale,    della
inutilizzabilita'  degli  esiti  probatori  degli  atti  di   polizia
compiuti fuori dai casi in cui la legge attribuisce loro il potere di
farlo ed in cui, per tale  ragione,  detti  atti  non  devono  essere
convalidati. 
    Deve  quindi  considerarsi  che  la  valenza  probatoria  di  una
perquisizione consiste nel rinvenimento, indosso all'imputato o nella
sua abitazione, di cose che costituiscono il corpo del reato  o  sono
ad esse pertinenti. La distinzione concettuale tra perquisizione  che
e' mezzo di ricerca della prova, e sequestro del corpo  del  reato  o
cosa pertinente del reato, che  acquisiscono  al  processo  una  cosa
dotata di capacita' probatoria, gia' evidenziata dalle sezioni  unite
della Cassazione nella piu' volte citata sentenza del 2006, non  puo'
razionalmente fungere  da  base  all'utilizzabilita'  probatoria  dei
risultati della perquisizione , che sono appunto dati dal  sequestro.
Come gia'  le  sezioni  unite  osservavano,  sebbene  concettualmente
distinti,  perquisizione  e  sequestro  formano  un  binomio  il  cui
scioglimento dissolve la prova, atteso che la cosa  in  se',  oggetto
del sequestro, prova al piu'  l'esistenza  di  un  reato,  ma  e'  la
relazione personale con l'imputato,  di  svelata  dagli  esiti  della
perquisizione,  che  permette  di  attribuire   quantomeno   in   via
indiziaria il reato all'imputato stesso. 
    Va  a  tal  proposito  osservato  che  la  perdita  di  efficacia
probatoria, quale inutilizzabilita' derivata  espressamente  prevista
dal legislatore costituzionale,  e'  logicamente  confermata  proprio
dalla sua coerenza con la  descritta  impostazione  circa  la  natura
composta della prova formata dal binomio perquisizione e sequestro. 
    Appare quindi da ritenersi che il legislatore costituzionale  non
abbia a caso parlato di perdita degli effetti anche a proposito della
perquisizione, ma anzi che avesse in mente appunto un meccanismo  che
colpisse di inutilizzabilita'  le  acquisizioni  probatorie  illegali
perche' compiute in  violazione  della  liberta'  personale  o  della
liberta' domiciliare. 
    La giurisprudenza formatasi sull'articolo 191 cpp  scioglie  tale
binomio senza coglierne gli  effetti  di  dissoluzione  della  prova:
poiche' il  verbale  di  sequestro  documenta  anche  le  circostanze
proprie della perquisizione, e su di  esse  comunque  si  ammette  la
deposizione degli operatori di polizia, si  ritiene  che  l'eventuale
inutilizzabilita' della perquisizione, e comunque la sua illegalita',
non riverberino i propri effetti sulla prova offerta dal sequestro. 
    Dal punto di vista delle garanzie  costituzionali,  tale  sistema
appare  irrazionale  e   pertanto   contrario   alla   volonta'   del
costituente.  La  perdita  di  ogni  effetto  dell'atto  di   polizia
illegalmente  compiuto  si  presenta  pertanto  necessariamente  come
previsione di una sanzione di inutilizzabilita' complessiva dell'atto
di acquisizione della prova, che riguarda sia l'atto tramite la quale
la si e' ricercata,  sia  l'atto  col  quale  la  si  e'  appresa  al
processo; e non e' un  caso  che  l'articolo  14  della  Costituzione
preveda la perdita  di  affetti  anche  quanto  al  sequestro,  quale
conseguenza  di  una  perquisizione   domiciliare   illegittima.   La
circostanza che analoga previsione  non  sia  stata  dettata  per  la
perquisizione personale non appare particolarmente  significativa  ai
fini interpretativi, spiegandosi col fatto che generalmente,  per  lo
meno all'epoca in cui la Costituzione venne emanata (ed  in  cui  ben
presente doveva essere il ricordo delle perquisizioni eseguite  dalla
polizia  e  dagli  apparati  nei  confronti  degli   oppositori   del
precedente regime  alla  ricerca  di  documenti  ed  altri  materiali
compromettenti), gli atti di sequestro a delicata valenza  probatoria
dovevano essere frequenti piu' presso le abitazioni che a seguito  di
perquisizioni sulla persona. 
    Ritiene quindi il  tribunale  che  l'inefficacia  degli  atti  di
perquisizione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori  dei  casi  in
cui la legge glielo consente  dia  luogo,  per  diretta  ed  espressa
previsione costituzionale, alla  inutilizzabilita'  probatoria  degli
esiti delle suddette perquisizioni. 
    La  questione  non  e'  pertanto  piu'  solamente  quella   della
incostituzionalita' dell'articolo 191 del codice di procedura  penale
nella parte in cui non prevede l'inutilizzabilita' degli esiti  della
perquisizione  illegittimamente  eseguita  dalle  forze  di  polizia,
quanto  piuttosto  la  circostanza  che  l'articolo  191  del  codice
procedura   penale,   nella   lettura    offertane    sinora    dalla
giurisprudenza, non preveda ipotesi  di  inutilizzabilita'  derivata,
essendo  stata  questa  la  forma  di  tutela  che   il   legislatore
costituzionale ha inteso adottare al fine di dare  effettivita'  alle
garanzie di inviolabilita' della liberta' personale e della  liberta'
domiciliare. 
    L'articolo  191  del  codice   procedura   penale   e'   pertanto
illegittimo costituzionalmente proprio perche' letto  nel  senso  che
esso  non  colpisca  anche  cio'  che  deriva  dall'atto   probatorio
inutilizzabile.  La  cosiddetta  «teoria   del   frutto   dell'albero
avvelenato», se estranea alla  previsione  dell'articolo  191  codice
procedura penale non lo e' per contro al tessuto costituzionale nell'
ordito delimitato dagli articoli 13 e 14 della Costituzione. 
    Il principio di effettivita' delle tutele costituzionali relative
ai diritti fondamentali  della  persona,  di  cui  la  Repubblica  si
impegna a garantire il godimento (art. 2 Cost.), la  circostanza  che
la  Costituzione  abbia  voluto  riconoscere  dei  diritti  definirli
inviolabili  e  garantire  il  loro  libero  esercizio  e   la   loro
inviolabilita', impone di ritenere che la loro violazione  non  possa
essere per  cosi'  dire  premiata  conservando  l'utilizzabilita'  di
quanto illegalmente acquisito. 
    Ne consegue che l'articolo 191 del codice di procedura penale  e'
illegittimo  proprio  perche'   non   prevede   tra   le   cause   di
inutilizzabilita'  della  prova  anche  quella  di  tipo  derivativo,
allorche' un elemento di prova sia stato acquisito a  seguito  di  un
atto  di  ricerca  e/o  acquisizione   di   altra   prova,   compiuto
illegalmente perche' in violazione di un precetto costituzionale. 
4.1.b - Inutilizzabilita' derivata - Art. 103 C.p.p.- 
    D'altra parte un meccanismo di tal genere, costruito sulla figura
dell'inutilizzabilita' derivata, non e' neanche estraneo  al  sistema
ordinario, atteso che il legislatore l'ha introdotto  con  l'articolo
103 del codice di procedura penale, dettato in tema  di  garanzie  di
liberta' del  difensore,  con  specifico  riferimento  agli  atti  di
ispezioni perquisizioni e sequestri alle intercettazioni. 
    La norma in oggetto pone una serie di prescrizioni e divieti  che
vanno osservati nell'eseguire le perquisizioni presso gli  studi  dei
difensori: prima di tutto un obbligo  di  informazione  al  Consiglio
dell'Ordine forense, la cui omissione causa la nullita' dell'atto  di
indagine. Dopodiche' una prescrizione di cautela  con  la  previsione
che  alla  ispezione,  alla  perquisizione  o  al  sequestro  proceda
personalmente  il  giudice   ovvero,   nel   corso   delle   indagini
preliminari, il pubblico ministero in forza di  motivato  decreto  di
autorizzazione del giudice: il che equivale a  dire  che  durante  la
fase delle indagini il PM non puo' procedere ad atti di perquisizione
se non dietro autorizzazione del giudice.  Di  seguito  e'  posto  il
divieto  del  sequestro  e  di  ogni   forma   di   controllo   della
corrispondenza tra  imputato  ed  il  proprio  difensore,  in  quanto
riconoscibile dalle prescritte indicazioni  di  cui  all'articolo  35
delle disposizioni di attuazione; l'unica eccezione e' quella in  cui
l'autorita' giudiziaria abbia  fondato  motivo  di  ritenere  che  si
tratti di corpo del reato. 
    Il comma settimo dell'articolo 103 c.p.p., infine, con  norma  di
garanzia a chiusura del  sistema  delle  cautele  che  attorniano  le
perquisizioni presso  gli  studi  dei  difensori,  stabilisce  che  i
risultati delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri,  delle
intercettazioni  di  conversazioni  o  comunicazioni,   eseguiti   in
violazione del disposizioni dettate dai commi precedenti dello stesso
articolo,  non  possono  essere  utilizzati,  e,  se  si  tratta   di
intercettazioni, vi e' anche il divieto della loro trascrizione,  sia
pure sommaria. 
    Orbene, la norma in oggetto e' di particolare  rilievo,  ai  fini
che qui interessano, atteso che espressamente stabilisce non gia'  la
mera inutilizzabilita' dei singoli atti di indagine, ma piuttosto, in
un'ottica di effettivita' massima delle garanzie accessorie al libero
esercizio  del  diritto   di   difesa,   espressamente   dispone   la
inutilizzabilita'  dei  «risultati»   degli   atti   (di   ispezione,
perquisizione, sequestro,  intercettazione)  compiuti  in  violazione
delle forme e dei limiti previsti dai precedenti commi dell'art.  103
cpp. 
    Il  legislatore  ha  quindi  disposto   che   l'inutilizzabilita'
probatoria abbia una portata espansiva  ad  ogni  risultato  di  tali
atti, perche' compiuti  in  violazione  delle  cautele  necessarie  a
garantire quella liberta' e riservatezza del rapporto  tra  difensore
ed imputato, necessario a dare effettivita' al diritto di difesa. E',
questa, la stessa logica che sostiene la disposizione degli artt.  13
e 14 della Costituzione nella parte in cui prevedono che gli atti  di
perquisizione (per quel che qui interessa), ed in  genere  quelli  di
limitazione della liberta' personale e domiciliare, illegali  perche'
compiuti dalla p.g. fuori dei casi in cui la legge  glielo  consente,
«restano privi di ogni effetto». 
    Se ne  deduce  che  l'inutilizzabilita'  derivata,  se  non  gia'
contemplata dall'art. 191 cpp, non e' comunque un  istituto  estraneo
all'ordinamento giuridico, e puo' quindi fungere da modello su cui la
Corte  puo'  costruire  la  pronunzia,  che  questa  AG  chiede,   di
incostituzionalita' dell'art. 191 cpp nella parte in cui non  prevede
la   figura   dell'inutilizzabilita'   derivata,    e    cioe'    che
l'inutilizzabilita' di un atto di ricerca o acquisizione della  prova
si trasmetta alle ulteriori acquisizioni probatorie che  direttamente
ne discendano. 
    Occorre poi prestare particolare attenzione a non farsi trarre in
inganno  dalla  circostanza  che  negli  studi  dei   difensori   sia
consentito il sequestro della corrispondenza quando si abbia  ragione
di ritenere che costituisca corpo del reato. 
    In realta' non si tratta affatto di un'ipotesi utile a sanare una
perquisizione illegittima; non  e'  cioe'  un  meccanismo  analogo  a
quello delineato dalla giurisprudenza della Corte di  cassazione  che
sostiene che, anche se la perquisizione e' illegittima, il  sequestro
del corpo di reato e delle cose  pertinenti  al  reato  sia  comunque
valido ed utilizzabile. 
    La disposizione appena considerata si limita a stabilire che,  in
deroga al divieto  del  sequestro  della  corrispondenza  all'interno
degli uffici legali, il sequestro e' comunque possibile se ad esserne
oggetto sia il corpo del reato; la deroga riguarda quindi  unicamente
l'individuazione di cio' che e' suscettibile  di  sequestro,  ma  non
riguarda le forme e cautele poste dall'art.  103  cpp  al  compimento
dell'atto. 
    Ne consegue che, se vengono  violate  le  altre  disposizioni  di
garanzia previste dal suddetto art.  103  cpp,  come  ad  esempio  la
necessita' che alla perquisizione proceda direttamente il  magistrato
e che, durante la fase delle indagini preliminari, vi sia un  decreto
autorizzativo del giudice, la sanzione della inutilizzabilita'  degli
esiti era perquisizione ricorrera' lo  stesso,  anche  se  ad  essere
sequestrato sara' il corpo del reato. 
    Come puo'  vedersi,  pertanto,  puo'  affermarsi  quantomeno  che
l'inutilizzabilita'  derivata  non  e'  un  istituto  sconosciuto  al
diritto processuale  interno,  ed  esso  puo'  utilmente  fungere  da
modello, come gia' detto, su cui la Corte puo' costruire la pronunzia
di  incostituzionalita'  dell'art.  191  cpp  in  accoglimento  della
presente eccezione. 
4.2 Violazione dell'art. 3 Cost. 
    La disciplina delle inutilizzabilita' offerta dall'art.  271  cpp
con riferimento agli esiti  (o  «risultati»,  volendo  utilizzare  la
dizione dell'art. 103 cpp) degli atti di  perquisizione  illegalmente
compiuti dalla p.g., appare poi essere deteriore rispetto a quella in
via generale prevista da altre disposizioni del codice  di  procedura
penale, si da integrare una irragionevole disparita'  di  trattamento
di situazioni assimilabili, sotto il profilo della tutela processuale
dagli effetti probatori delle loro violazioni. 
    La Corte costituzionale ha ritenuto superata tale  eccezione,  in
base al rilievo assorbente della natura manipolatoria della questione
tesa ad introdurre nell'ordinamento la figura della inutilizzabilita'
derivata. 
    Riservando  al  prosieguo  della  motivazione  la  riproposizione
ragionata delle questioni di incostituzionalita' gia'  in  precedenza
articolate con riferimento all'art. 3 Cost.,  questo  Tribunale  deve
cominciare  con  l'osservare  che  l'istituto  dell'inutilizzabilita'
derivata introdotto dall'art. 103 cpp evidenzia anche come il diritto
vivente formatosi sull'art. 191 cpp sia offensivo  del  principio  di
eguaglianza,   che   impone   di   non   sottoporre   a   trattamenti
irrazionalmente o immotivatamente difformi  situazioni  tra  di  loro
comparabili. 
4.2.a - L'art. 103 cpp quale «Tertium Comparationis» 
    Si e' gia' osservato come il citato art. 103 cpp miri, attraverso
la sanzione  dell'inutilizzabilita',  a  consentire  la  liberta'  ed
effettivita'  dell'esercizio  del  diritto  di   difesa,   garantendo
all'imputato la riservatezza delle sue comunicazioni  col  difensore,
che abbiano ad oggetto la sua posizione processuale. 
    Con un meccanismo che appare  peraltro  essere  comune  a  quello
previsto in via generale dall'art.  191  cpp,  a  tal  fine  si  nega
qualsiasi  riconoscimento   all'atto   di   acquisizione   probatoria
illegale: per ragioni di coerenza,  perche'  l'ordinamento  non  puo'
vietare l'atto di acquisizione probatoria, tanto piu' se lesivo di un
diritto costituzionale, e poi pero' riconoscergli efficacia di prova,
contraddicendo se' stesso; per ragioni  «compensative»  o  limitative
del danno, per  impedire  che  l'utilizzazione  probatoria  dell'atto
illegale danneggi ulteriormente chi lo ha subito; e, non  da  ultimo,
per finalita' che potremmo definire  di  «politica  dell'effettivita'
delle garanzie costituzionali», atteso che  impedire  l'utilizzazione
probatoria  dell'atto  di  indagine   vietato   comporta   un   forte
disincentivo al suo compimento da parte degli  organi  dell'indagine,
cosi garantendo per via indiretta, ma tutt'altro che secondaria,  una
piu' efficace tutela di tali diritti. 
    Orbene,  si  e'  gia'  accennato,  nel   paragrafo   4   dedicato
all'esposizione sintetica  delle  nuove  questioni  che  si  vanno  a
sollevare, come sia irrazionale  una  disciplina  che,  da  un  lato,
introduca   con   l'art.   103   cpp,   una   tutela    di    diritti
costituzionalmente rilevanti, costruita nel negare ogni  legittimita'
e  validita'  probatoria  -  anche  al  fine  di  disincentivarne  il
compimento da parte degli organi di indagine - agli atti (ed ai  loro
risultati) di ricerca ed acquisizione della prova compiuti  in  danno
di un diritto che, come quello di difesa che (per quanto di  assoluta
importanza), ha comunque natura strumentale e servente rispetto  alla
tutela della liberta' personale, e, dall'altro lato, comporti  invece
(tramite il diritto vivente formatosi attorno all'art. 191  cpp)  che
la acquisizione di prove mediante la commissione di atti  illegali  e
direttamente offensivi della liberta' personale o dell'inviolabilita'
del domicilio  sia  idonea  a  produrre  comunque  effetti  probatori
pregiudizievoli in danno del soggetto  che  li  abbia  subiti  ed  in
favore della parte della pubblica accusa che, rispetto alla p.g.,  si
trovi in posizione sovraordinata (art. 109 Cost; artt.  da  55  a  59
cpp) e di coincidenza di interesse alla persecuzione dei rei li abbia
commessi. 
    E' quindi manifestamente irrazionale una disciplina che  assicuri
una tutela inferiore, sotto il piano delle garanzie complessive  (ivi
compreso quello dell'effetto «disincentivante» cui si e' fatto cenno)
ai  diritti  costituzionali,  di  tutela  della   persona   e   della
inviolabilita' del domicilio, rispetto a quella apprestata  a  tutela
del diritto di difesa (per la precisazione, quell'aspetto del diritto
di  difesa  che  e'  dato  dalla  liberta'   e   riservatezza   delle
comunicazioni tra l'imputato ed il suo difensore)  che,  rispetto  ai
richiamati  diritti,  ha  natura  strumentale  se   non   addirittura
servente. 
    L'art. 191 cpp, pertanto, risulta costituzionalmente illegittimo,
per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non
prevede  l'inutilizzabilita'  dei   risultati   delle   perquisizioni
personali o domiciliari illegalmente eseguite dalla fuori dei casi in
cui la legge glielo consente, per disparita' di trattamento  rispetto
al caso delle perquisizioni presso gli studi dei difensori. 
4.2.b - gli artt. 271 cpp e 132 comma 3 codice privacy 
    Cio'   detto,   e   tornando    all'esame    dei    profili    di
incostituzionalita' dell'interpretazione dominante, questo giudicante
deve rilevare che la  giurisprudenza  formatasi  sulla  scorta  della
citata C. Cass. SS.UU. 5021/1996 realizza, pertanto,  una  violazione
dell'art.  3  Cost.  anche  nel  raffronto  con  altre   ipotesi   di
inutilizzabilita' specificamente previste dalla legge, in quanto  del
tutto irragionevolmente ed a fronte di una palese identita' di  ratio
(come   osservato   nel   par.   4.2.a),    nega    la    conseguenza
dell'inutilizzabilita' di cui all'art.  191  cpp  a  casi  del  tutto
sovrapponibili ad altri (e per certi versi  addirittura  meno  gravi)
per i quali la legge espressamente la prevede: basti pensare, ad es.,
non solo alle ipotesi di intercettazioni eseguite d'iniziativa  dalla
p.g.  e  quindi  in  assenza  di  decreto  motivato  dell'A.G.  (caso
sanzionato di inutilizzabilita' dall'art. 271 cpp, avente la medesima
ratio dell'art. 191 cpp e senz'altro la medesima ratio dell'art.  103
cpp e degli artt. 13 e 14  della  Costituzione),  ma  anche  al  caso
dell'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico eseguito senza
provvedimento motivato dell'A.G. (prima il P.M., ora il GIP), ipotesi
che le stesse SS.UU. della Suprema Corte di cassazione hanno ritenuto
dar luogo ad un'ipotesi  di  inutilizzabilita'  della  prova  perche'
acquista in violazione di un divieto di legge (cfr. Sez. Sentenza  n.
21 del 13 luglio 1998). 
4.2.c - Ulteriori violazioni dell'art. 3 Cost. 
    Sempre in tema di violazione dell'art. 3 Cost., appare necessario
rilevare come tale norma si atteggi a scrigno in cui e'  racchiuso  e
riassunto il principio di  necessaria  razionalita'  dell'ordinamento
dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione; razionalita' che
risulta gravemente violata dalla corrente  interpretazione  circa  la
utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni illegittime;  e  cio'
in quanto che: 
      a) l'interpretazione maggioritaria  circa  l'irrilevanza  della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30 comma 3 e 4 legge  n.
87/1953), e la loro efficacia sospendibile (mediante  la  sospensione
del processo che consegue, ex art. 23 comma 2 legge n. 87/1953,  alla
proposizione della  questione  di  incostituzionalita')  dal  giudice
ordinario  che  ne  ravvisi  un  possibile  contrasto  con  le  norme
costituzionali,  ma  efficacissimi  -  e   non   disapplicatili   ne'
discutibili dal Giudice - e  quindi  inattaccabili,  anche  sotto  il
profilo probatorio, gli atti  di  p.g.  compiuti  in  violazione  dei
diritti costituzionali del cittadino; 
      b) l'interpretazione di cui si contesta  la  costituzionalita',
inoltre,  viola   l'art.   3   Cost.   anche   perche',   del   tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di prove che la legge vieta  gia'  solo  in  virtu'  della  loro  non
verificabilita' (scritti anonimi,  fonti  confidenziali),  mentre  la
nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente
dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano
anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi  appunto  a  come
l'insondabilita'  degli  elementi  che  hanno  spinto  la   pg   alla
perquisizione (come detto, una ignota ed insondabile  fonte  anonima)
non consenta di  verificare  la  genuinita'  ed  affidabilita'  della
«catena indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i
terzi  autori  della  propalazione   confidenziale   o   anonima,   o
addirittura - come talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze  di
polizia, ad introdurre nell'abitazione la «res illicita»  costituente
supposta prova del reato; 
    c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega  lo  Stato  di
diritto quale configurato dall'art. 97 comma 3 Cost., che vuole - con
norma generale che appare  applicabile  anche  alle  definizione  dei
poteri dell'A.G. e degli organi di polizia -  l'azione  dei  pubblici
poteri sottomessa al principio di legalita';  se,  come  gia'  si  e'
osservato, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i  suoi  organi  sono
per primi vincolati al rispetto delle leggi  di  cui  pur  pretendono
l'osservanza da parte dei consociati, e se  cio'  comporta  non  solo
l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire  l'effettivo
rispetto dei diritti  che  tali  leggi  prevedono  ed  attribuiscono,
appare innegabile che ammettere l'efficacia  -  e  per  di  piu'  nel
processo penale ed in aggressione ai diritti di liberta' - degli atti
compiuti dai pubblici poteri in  violazione  di  un  divieto,  appare
negare anche il principio di legalita'  di  cui  all'art.  97  Cost.,
oltre ad attribuire all'azione illegale  degli  organi  statuali  una
prevalenza sui diritti  costituzionali  dei  consociati,  che  appare
realizzare, sotto questo profilo,  una  ulteriore  palese  violazione
dell'art. 3 Cost., in un ordinamento che  vuole  centrali  i  diritti
inviolabili della persona - e quindi quanto  meno  gli  stessi  sullo
stesso piano di quelli della collettivita' e dello Stato - ma finisce
invece per violare tale condizione di pari importanza  per  assegnare
prevalenza all'interesse alla repressione dei reati; 
      d) l'interpretazione di cui si contesta  la  costituzionalita',
inoltre,  viola   l'art.   3   Cost.   anche   perche',   del   tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di prove che la legge vieta  gia'  solo  in  virtu'  della  loro  non
verificabilita' (scritti anonimi,  fonti  confidenziali),  mentre  la
nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente
dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano
anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi  appunto  a  come
l'insondabilita'  degli  elementi  che  hanno  spinto  la   pg   alla
perquisizione (come detto, una ignota ed insondabile  fonte  anonima)
non consenta di  verificare  la  genuinita'  ed  affidabilita'  della
«catena indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i
terzi  autori  della  propalazione   confidenziale   o   anonima,   o
addirittura - come talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze  di
polizia, ad introdurre nell'abitazione la «res illicita»  costituente
supposta prova del reato; cosi' evidenziandosi, sotto  tale  profilo,
anche un contrasto con l'art. 24 della Costituzione,  per  l'evidente
limite che la tesi  dell'utilizzabilita'  pone  all'esplicazione  del
diritto di difesa, introducendo nell'ambito delle prove  utilizzabili
elementi di cui sia di fatto impossibile verificare approfonditamente
la genuinita'. 
4.3 - Violazione dell'art. 2 Cost.: Principio di effettivita' 
    I  limiti  fissati  dalla  legge  devono  essere  necessariamente
ritenuti, in ragione della previsione costituzionale che li  assiste,
come  invalicabili  e  di  stretta  interpretazione;   sicche'   deve
assolutamente rigettarsi qualsiasi interpretazione che, comunque,  si
risolva in una vanificazione anche solo di fatto  dell'efficacia  dei
limiti posti al potere di perquisizione ad opera della p.g.  o  della
stessa A.G. (ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di  tali
limiti, ivi  compreso  quello  della  motivazione  del  provvedimento
giurisdizionale;  o  stabilendo  l'irrilevanza  processuale  di  tali
violazioni), o nella lesione - sia  pure  mediata  -  della  liberta'
personale. 
    Questo   tribunale   ritiene   che   consentire   l'utilizzazione
probatoria degli esiti delle perquisizioni  personali  o  domiciliari
eseguite dalla polizia  fuori  dai  casi  in  cui  la  legge  in  via
eccezionale attribuisce loro tale potere (e spesso senza che  vi  sia
una  convalida  motivata  in  maniera  pertinente  agli  atti  e  con
indicazione delle ragioni per cui le forze di polizia versavano nella
condizione eccezionale che riconosceva loro il  potere  di  procedere
all'atto di perquisizione), vale a vanificare  non  solo  la  tutela,
prevista in via generale dagli articoli 13 e 14  della  Costituzione,
della liberta' personale e domiciliare, ma anche quella specifica che
il  legislatore  costituzionale  ha  voluto   introdurre   prevedendo
l'inefficacia degli atti limitativi delle suddette liberta' personale
e domiciliare. 
    Rinunziandosi   alla   remora   offerta    dall'inutilizzabilita'
probatoria dei risultati della perquisizione illegale,  tali  diritti
rimangono quindi oggetto di una tutela parziale ed insufficiente, che
riposa unicamente sull'eventuale remora offerta dalla responsabilita'
penale o disciplinare dell'autore della perquisizione illegale, che -
probabilmente anche per la considerevole  rarita'  dei  casi  in  cui
responsabilita' di tal fatta risultano essere state fatte oggetto  di
una domanda di accertamento giudiziale (ad es., la ricerca sul canale
«sentenze penali Corte  di  cassazione»  sul  sito  Italgiureweb,  al
sintagma   «perquisizione   illegale»   restituisce   solo   quindici
risultati) - non esplicano adeguata efficacia dissuasiva,  attesa  la
non  irrisoria  frequenza  -  gia'  solo  nell'esperienza  di  questo
Tribunale, testimoniata dal numero di casi in cui ha dovuto sollevare
l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 191 cpp -  dei  casi  in
cui le forze di polizia procedono ad atti di perquisizione fuori  dei
casi consentiti dalla legge. 
    Il diritto vivente formatosi  sull'art.  191  cpp  appare  quindi
realizzare una negazione radicale dei principi dello Stato di diritto
quale tratteggiato dalla Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3
Cost. (come gia' si e' osservato), e piu' in  particolare  sviluppato
dall'art. 2 Cost., in quanto finisce per risolversi  nell'assenza  di
effettive  garanzie  contro  violazioni   dei   diritti   inviolabili
dell'uomo, tra  i  quali  appare  senz'altro  rientrare  quello  alla
liberta' personale, laddove invece il suddetto art.  2  Cost.  impone
alla Repubblica - anche in adempimento  di  obblighi  internazionali,
atteso che i diritti di cui all'art. 2 Cost.  sono  altresi'  oggetto
della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, che,  come  in  piu'
occasioni ricordato dalla Corte EDU, impone agli  Stati  aderenti  di
garantirne l'effettivita' - non solo di riconoscere tali diritti,  ma
di garantirli. 
    Ed invero, «riconoscere» un diritto significa  che  l'ordinamento
assegna rilevanza giuridica all'esercizio di una o piu' facolta'  che
costituiscono il contenuto di detto diritto, ed attribuisce il potere
di esercitarlo, liceizzando l'uso di tali facolta' ed assegnando,  di
conseguenza, un diritto  di  azione  a  sua  tutela;  «garantire»  un
diritto significa che lo Stato tale  situazione  giuridica  non  solo
riconosce,  ma  si  impegna  a  tutelare  particolarmente,  oltre  il
contenuto minimo della liceizzazione e del riconoscimento del diritto
di azione,  adottando  invece  anche  le  misure  che  ne  assicurino
l'effettivita' e lo proteggano preventivamente dalla lesione. 
    Tale  particolare  protezione  non  puo'  risiedere  solo   nella
previsione di fattispecie di reato (art. 609 cp per le  perquisizioni
ed ispezioni  personali  illegali;  art.  323  per  le  perquisizioni
domiciliari), atteso che la «protezione  penale»  e'  prevista  dallo
Stato/Legislatore anche a tutela di altri  beni  interessi  giuridici
dei  quali  la  Costituzione  prevede  al  piu'  -   direttamente   o
indirettamente - il riconoscimento, ma non lo obbliga a garantire  il
rispetto (si pensi al complesso, ad es., dei reati contro la pubblica
amministrazione; a quelli di  falso  ed  in  genere  contro  la  fede
pubblica; quelli contro la moralita'; quelli contro la famiglia; alla
gran parte delle contravvenzioni). 
    Ne  consegue  che  l'obbligo  costituzionale  di  «garantire»  un
diritto comporta per lo Stato la necessita' di predisporre  strumenti
ulteriori, a difesa dell'effettivita' del diritto, rispetto a  quelli
offerti dalla previsione di sanzioni per chi detto diritto violi:  il
che implica la necessaria adozione di tutte le cautele necessarie non
solo a punire, ma prima di tutto a prevenire, e  cioe'  a  proteggere
tali diritti scoraggiandone la violazione. 
    In verita', la  sanzione  dell'inutilizzabilita'  probatoria  che
discenderebbe dall'art.  191  cpp  (nella  lettura  che  risulterebbe
dall'operazione di ortopedia  costituzionale  che  questo  Giudicante
ritiene necessaria e conforme a quanto statuito dai citati artt. 13 e
14  Cost.),  nel  deprivare  di  effetti  processuali  il   risultato
«probatorio» di tali violazioni, costituisce la prima e piu' efficace
forma di garanzia che  uno  Stato  di  diritto  possa  assicurare  ai
diritti della persona. 
    Ammettere invece che la p.g. possa - senza conseguenze sul  piano
dell'utilizzabilita'  probatoria  dei  risultati  di  tali   atti   -
procedere a perquisizione fuori dei casi di flagranza e  degli  altri
specifici casi eventualmente previsti dalla  legge,  o  in  forza  di
elementi vaghi, indeterminati, e percio' non verificabili dall'AG,  o
da  questa  convalidata  con   motivazione   apparente,   apodittica,
incongrua, equivale ad aggirare le cautele  che  la  Costituzione  ha
preposto a garanzia del corretto esercizio dei  poteri  dell'A.G.,  e
dell'effettivita' del suo potere di controllo e verifica  sugli  atti
di p.g. interferenti con liberta' costituzionalmente garantite. 
    Cio'  comporta  non  solo  una  violazione   del   principio   di
effettivita' di cui all'art.  2  della  Costituzione,  ma  anche  una
violazione del diritto ad un giusto processo di cui agli artt. 111  e
117  Cost.  (con  riferimento  all'art.  6  CEDU),  che  postula   la
possibilita' per l'imputato di verificare la correttezza del processo
e la genuinita' degli elementi di prova addotti contro di lui. 
4.4 - Violazione dell'art. 24 Cost. 
    Cio' si riverbera anche in  una  violazione  dell'art.  24  della
Costituzione, per l'evidente  compromissione  della  possibilita'  di
difendersi dagli esiti probatori di una perquisizione, quando  questa
sia stata eseguita fuori dei casi consentiti dalla legge per non aver
le forze di polizia specificato sulla  base  di  quali  elementi  (in
primo luogo, indicati da chi) essa abbia  agito,  in  un  ordinamento
che,  nell'interpretazione  dell'art.  191  cpp  costituente  diritto
vivente, non riconnette alcuna rilevanza  probatoria  all'assenza  di
tali requisiti iniziali alla  omissione,  da  parte  delle  forze  di
polizia,  dell'indicazione  delle  fonti  di  conoscenza   circa   la
ricorrenza  dei  requisiti  fissati  dalla  legge  per  procedere   a
perquisizioni (cosi' essendo, ad es., l'imputato  impossibilitato  ad
utilizzare quegli elementi difensivi che potrebbero derivargli  dalla
conoscenza  dell'autore  della  fonte  confidenziale,  che   potrebbe
essergli noto come soggetto animato  da  malanimo,  e/o  in  possesso
delle chiavi della sua abitazione, o comunque in grado  di  accedervi
direttamente  o  tramite  terzi,  ecc.,  per   lasciarvi   la   «res»
compromettente. 
4.5 - Principio ed effettivita' e violazione art. 8 CEDU -  contrasto
con gli articoli 2 e 117 della Costituzione 
    Invero, non solo le norme nazionali, costituzionali  e  di  legge
ordinaria,  impongono  che   la   polizia   giudiziaria   proceda   a
perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla  legge,  e
che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte
dell'Autorita' Giudiziaria. 
    Infatti,  l'interpretazione  consolidatasi  si  pone   anche   in
contrasto  con  l'art.  8  della  Convenzione  Europea  dei   Diritti
dell'Uomo, e quindi in contrasto con l'art. 117 Cost. che impone allo
Stato italiano  il  rispetto  delle  Convenzioni  internazionali,  in
quanto si risolve nel non adottare efficaci disencentivi  agli  abusi
delle forze di polizia, e di qualsiasi organo dello Stato in  genere,
che, limitando la liberta' della persona, si  risolvano  in  indebite
interferenze  nella  sua  vita  privata  o  nel  suo  domicilio,  non
giustificate da oggettive necessita' di prevenzione o repressione dei
reati. 
    Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta
e condivisibile da parte dell'A.G., circa la  ricorrenza  di  ragioni
adeguatamente   giustificatrici   dell'esercizio   del   potere    di
perquisizione,  va  in  primo  luogo   richiamata,   per   l'assoluta
importanza  della  fonte,  che   assegna   alla   decisione   rilievo
costituzionale ex art. 117 Cost., la sentenza l6 marzo 2017, Modestou
c. Grecia, con la quale la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (d'ora
in poi per brevita' CEDU) ha ritenuto essersi  verificata  violazione
dell'art. 8 Cedu, in un caso in cui era stata eseguita  perquisizione
presso il domicilio personale e professionale  del  ricorrente  senza
alcun controllo giurisdizionale ex ante e sulla scorta di un  mandato
di perquisizione  generico;  ne'  era  stato  previsto  un  immediato
controllo  giurisdizionale  ex  post,  considerato   che   la   Corte
d'appello, adita dal ricorrente, aveva respinto la doglianza non solo
piu' di due anni dopo  la  perquisizione  in  questione,  ma  nemmeno
indicando neppure i motivi «rilevanti e  sufficienti»  giustificativi
della perquisizione: sentenza dalla quale  si  trae  quindi  conferma
che, secondo le norme della CEDU,  nella  vincolante  interpretazione
offertane dalla Corte EDU, l'A.G.  debba  operare  una  illustrazione
motivata (e condivisibile) delle ragioni della perquisizione, al fine
di rendere verificabile la legittimita' dell'esercizio  del  relativo
potere; statuizione che, se vale  per  le  perquisizioni  autorizzate
dall'AG.,  deve  a  maggior  ragione  valere   per   quelle   operate
direttamente dalla P.G. e successivamente convalidate dalla A.G.. 
    In  ordine  all'importanza  -  per  il   diritto   internazionale
pattizio, ai sensi dell'art. 8 della CEDU - va poi richiamata, per la
sua  particolare  pertinenza  rispetto  alle  questioni  proprie  del
presente processo, anche la sentenza emessa in data 27 settembre 2018
dalla Prima Sezione CEDU nel caso Brazzi contro Italia. 
    Con tale  ultima  sentenza,  in  particolare,  la  Corte  EDU  ha
osservato che  la  Convenzione  EDU  impone  che,  nell'ambito  delle
perquisizioni  «il  diritto  interno  offra   garanzie   adeguate   e
sufficienti contro l'abuso e l'arbitrarieta' (Heino, sopra citata,  §
40, e  Gutsanovi  c.  Bulgaria,  n,  34529/10,  §  220,  CEDU  2013»,
garantendo "«controllo effettivo» delle misure contrarie all'articolo
8 della Convenzione (Lambert  c.  Francia,  24  agosto  1998,  §  34,
Recueil des arrêts et decisions 1998-V)"»,  pur  osservando  che  «il
fatto che una richiesta di mandato sia stata oggetto di un  controllo
giurisdizionale, non costituisce necessariamente,  di  per  se',  una
garanzia sufficiente contro gli abusi», di talche' la  Corte  EDU  ha
ritenuto essenziale l'esaminare le circostanze particolari  del  caso
di specie e valutare se il quadro giuridico e i limiti  applicati  ai
poteri esercitati costituissero una  protezione  adeguata  contro  il
rischio  di  ingerenze  arbitrarie  delle  autorita'  (KS.  e  MS  c.
Germania, n. 33696/11, § 45, 6 ottobre 2016)». 
    La Corte EDU pone  quindi,  in  primo  luogo,  una  questione  di
effettivita' dei diritti  assicurati  dalla  legislazione  nazionale:
ogni Stato aderente alla  Convenzione  ha  il  dovere  di  assicurare
garanzie efficaci contro la  violazione  dei  diritti  oggetto  della
Convenzione. 
    Sulla base di tali premesse concettuali, la Corte EDU giungeva  a
ritenere che, allorche' (come, mutatis  mutandis,  e  sostituendo  la
convalida al provvedimento di sequestro,  e'  nel  caso  oggetto  del
presente processo) la perquisizione venga ordinata dalla  Procura  in
una fase precoce del  procedimento  penale  (si  noti  che  la  fonte
confidenziale risulta essere l'unico elemento che la p.g. abbia avuto
a propria disposizione), il rispetto dell'art. 8 della CEDU  comporta
«che  una  perquisizione  effettuata  in  questa  fase  deve  offrire
garanzie adeguate e sufficienti  per  evitare  che  venga  usata  per
fornire   alle   autorita'   incaricate    dell'inchiesta    elementi
compromettenti su persone non ancora identificate come sospettate  di
aver commesso un reato (Modestou c. Grecia, IL 51693/13,   §  44,  16
marzo 2017). 
    In tale ordine di idee, la Corte EDU e'  pervenuta  ad  affermare
che lo  stesso  P.M.  dovrebbe  richiedere  un'autorizzazione  ad  un
Giudice  prima  di  ordinare  una  perquisizione,   o   quanto   meno
l'ordinamento dovrebbe garantire la possibilita' di un controllo post
factum, in ordine alla legittimita' della perquisizione; rilevato che
l'ordinamento italiano non prevedeva  l'autonoma  impugnabilita'  del
decreto di perquisizione in quanto tale (e  che,  nel  concreto,  non
essendo stato rinvenuto alcun elemento di  prova  ed  adottato  alcun
provvedimento di sequestro, tale  controllo  non  era  stato  neanche
possibile per via mediata attraverso il riesane  di  tale  genere  di
provvedimento),  la  Corte  ha  quindi  ritenuto  esservi  stata  una
violazione dei diritti della parte istante. 
    Proseguiva poi la Corte osservando che «l'assenza di un controllo
giurisdizionale ex ante puo' essere compensata dalla realizzazione di
un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimita' e della
necessita' della misura» rammentando,  a  tal  proposito,  «di  avere
ammesso  che,  in  alcune  circostanze,  il  controllo  della  misura
contraria all'articolo 8 effettuato dai giudici penali  fornisce  una
riparazione adeguata per l'interessato dal  momento  che  il  giudice
procede  a  un  controllo  effettivo  della  legittimita'   e   della
necessita' della misura  contestata  e,  se  del  caso,  esclude  dal
processo penale elementi di prova raccolti (Panarisi  c.  Italia,  n.
46794/99, §§ 76 e 77, 10 aprile 2007, Uzun c. Germania, n.  35623/05,
§§ 71 e 72, CEDU 2010 (estratti), e Trabajo Rueda c. Spagna, n. 32600
/12, § 37, 30 maggio 2017).. 
    ...omissis paragrafi 46-51 ... 
52. Vi e' stata dunque violazione dell'art. 8 della Convenzione. 
    La lettura della sentenza permette quindi di rilevare che,  nella
giurisprudenza della Corte EDU con essa manifestatasi: 
      a) la perquisizione costituisce un'ingerenza nella vita privata
e nella liberta' domiciliare della persona; 
      b) tale ingerenza  e'  legittima  solo  se  giustificata  dalla
ricorrenza di preesistenti  elementi  indiziari  o  di  sospetto  che
indichino, nel destinatario della perquisizione, l'autore di un reato
le  cui  tracce  possano  essere  reperite   mediante   perquisizione
domiciliare; 
      c) l'ordinamento interno deve  assicurare  validi  ed  efficaci
strumenti che garantiscano l'effettivita' del  rispetto  dei  diritti
(tra cui l'inviolabilita' del domicilio) tutelati dalla Convenzione; 
      d) l'ordinamento interno deve  assicurare  validi  ed  efficaci
strumenti di controllo che assicurino almeno una verifica ex post  in
ordine  alla  effettiva  ricorrenza  delle  condizioni   legittimanti
l'ingerenza suddetta; 
      e) tra tali strumenti di controllo e tutela ex post, ove  altri
non siano stati attivabili o non abbiano concretamente operato,  deve
essere ricompresa l'esclusione degli esiti  della  perquisizione  dai
materiale probatorio utilizzabile. 
    Ne consegue che: 
      1) se il P.M. emette un decreto di convalida privo di effettiva
motivazione circa la ricorrenza delle  condizioni  di  legalita'  per
l'esecuzione della perquisizione, tale decreto, non costituendo  cio'
garanzia dell'effettivo esercizio di un potere di controllo circa  la
ricorrenza dei presupposti legittimanti  la  perquisizione  ad  opera
delle forze di polizia, non vale a renderla legittima; 
      2) le fonti confidenziali, ed a maggior ragione gli anonimi, in
quanto non verificabili e quindi insuscettibili di controllo ex ante,
non possono essere utilizzate per disporre perquisizioni; 
      3) laddove una perquisizione sia stata eseguita fuori dei  casi
consentiti dalla legge (e quindi anche quando eseguita in  virtu'  di
elementi  non  verificabili  o  insufficienti  a  giustificarla),  il
giudice penale debba escludere dal novero  degli  elementi  probatori
utilizzabili quelli acquisiti mediante la suddetta perquisizione. 
    Pertanto, anche alla luce dei principi di cui  all'art.  8  CEDU,
«costituzionalizzati» per il tramite della disposizione dell'art. 117
Cost., la perquisizione  eseguita  dalla  p.g.  illegalmente  perche'
fuori dei casi di flagranza o degli  altri  casi  previsti  da  leggi
speciali, o in virtu' di quanto riferito  da  fonte  confidenziale  o
anonima ed in assenza, peraltro, di provvedimento di convalida dotato
di effettiva e concreta motivazione, non e'  consentita,  ed  i  suoi
esiti («risultati», secondo la terminologia dell'art. 103  cpp,  gia'
utilizzato  come  «tertium  comparationis»)  devono  essere  ritenuti
inutilizzabili; la lettura dell'art.  191  cpp  offerta  dal  diritto
vivente, come  cristallizzato  nelle  sentenze  gia'  richiamate,  lo
esclude, e cio' la rende incostituzionale. 
    I principi espressi dalla gia' menzionata  sentenza  della  Corte
EDU nel processo  Brazzi  contro  Italia  non  appaiono  isolati;  ed
invero,  essi  non  solo  appaiono  sviluppo  dell'altra   precedente
giurisprudenza della Corte EDU, gia' citata,  ma  risultano,  a  loro
volta, aver avuto coerente sviluppo in ulteriori  pronunzie,  tra  le
quali puo', ad es., citarsi, perche' la piu' recente, la sentenza del
16 febbraio 2021 Seconda Sezione  nel  caso:  Budak  contro  Turchia,
Numero del Ricorso: 69762/12, rilevante  perche',  nel  caso  di  una
perquisizione eseguita dalla p.g. su mandato del giudice, ma senza la
presenza di due testimoni richiesta dal codice di procedura turco per
l'ipotesi  in  cui  alla  perquisizione  non  partecipi  un  pubblico
ministero («prosecutor»),  ha  ritenuto  la  procedura  concretamente
eseguita «unlawful» (illegale), e violato l'art. 8 della  Convenzione
non solo perche' la perquisizione non era stata eseguita nelle  forme
e nei casi previsti dalla  legge  (nazionale),  ma  anche  perche'  i
giudici  nazionali  avevano   ignorato   le   doglianze   sul   punto
dell'imputato, che ricordava che sia l'art. 38 §6 della  Costituzione
turca che  l'art.  206  §2  del  codice  di  procedura  penale  turco
stabilissero il divieto di utilizzare le prove raccolte nel corso  di
perquisizioni illegali, e su questa  doglianza  non  era  stata  data
risposta. 
    Si noti che la Corte EDU, sullo  specifico  punto,  non  affronta
tanto il tema del rispetto dei principi del giusto  processo  di  cui
all'art. 6 della Convenzione EDU (a tal proposito, la Corte osservava
che la sua giurisprudenza ai sensi dell'art. 6 della Convenzione  non
esclude automaticamente l'uso, da parte  dei  giudici  nazionali,  di
prove che  possono  essere  considerate  «illecite»  ai  sensi  delle
disposizioni di diritto interno), ne' quello della legittimita' della
perquisizione secondo il diritto interno, ma proprio  il  tema  della
violazione dell'art. 8 e dei rimedi che ad essa  le  Corti  nazionali
devono offrire perche' vi sia effettivita' della tutela  dei  diritti
stabiliti dalla Convenzione; e ritiene violata la norma convenzionale
perche' i giudici non  si  erano  pronunziati  sull'esclusione  della
prova acquista in violazione della convenzione, oltre che della legge
interna. 
4.6 - Principio di effettivita' e violazione art. 6 CEDU -  Contrasto
degli artt. 352 e 125 comma 3 cpp con gli artt. 2, 111 comma 6 e  117
della costituzione 
    Ed invero, la sentenza del 16 febbraio 2021 Seconda  Sezione  nel
caso: Budak contro Turchia offre ulteriori spunti di  riflessione  in
ordine ai riflessi processuali che il principio di effettivita'  (che
tutta la giurisprudenza della Corte  EDU  indica  come  immanente  al
sistema della Convenzione) deve avere nei suoi risvolti  processuali:
in forza di tale ultima sentenza,  deve  affermarsi  che  la  mancata
predisposizione di un'architettura processuale che  doti  il  sistema
giudiziario  degli  strumenti   necessari   a   tutelare,   in   sede
processuale,  l'imputato  che  lamenti  lesioni  dei   suoi   diritti
fondamentali relativi all'inviolabilita' della sua liberta' personale
e domiciliare, integri non solo una violazione dell'art. 8 della CEDU
(per quel anche  una  violazione  dell'art.  6  della  CEDU,  perche'
l'imputato ha diritto ad ottenere una risposta  imparziale  alle  sue
doglianze circa le violazioni subite ed ai riverberi che esse  devono
avere sulla utilizzabilita' delle prove acquisite in  violazione  dei
diritti tutelati dalla CEDU. 
    Infatti, la Corte EDU, con la menzionata sentenza del 16 febbraio
2021 Seconda Sezione Caso: Budak contro Turchia, Numero del  ricorso:
69762/12, richiamando numerosi casi della propria giurisprudenza,  ha
anche  statuito  la  necessita'  che  le   tutele   accordate   dagli
ordinamenti nazionali,  ivi  compresi  i  controlli  giurisdizionali,
siano effettive, e tali da garantire che i  diritti  stabiliti  dalla
CEDU non siano meramente apparenti o  illusori,  ma  accordate  dagli
ordinamenti nazionali,  ivi  compresi  i  controlli  giurisdizionali,
siano effettive, e tali da garantire che i  diritti  stabiliti  dalla
CEDU  non  siano  meramente  apparenti  o  illusori,  ma  pratici  ed
effettivi; in particolare, con la menzionata sentenza (cfr. par. 72 e
73) ha statuito che nelle cause relative  all'ingerenza  nei  diritti
garantiti  dalla  Convenzione,  la  Corte  intende  stabilire  se  le
motivazioni addotte per le decisioni fornite  dai  giudici  nazionali
siano  meramente  apparenti,  perche'  «automatiche»  o  stereotipate
(richiamando in proposito, mutatis mutandis, Paradiso e Campanelli c.
Italia [GC], n. 25358/12, § 210, CEDU 2017).  73.  Tenuto  conto  del
principio secondo cui la Convenzione mira  a  garantire  non  diritti
teorici o illusori, ma diritti pratici ed effettivi, il diritto a  un
equo processo non puo' essere considerato effettivo  a  meno  che  le
richieste  e  le  osservazioni  delle  parti  non   siano   veramente
«ascoltate», vale a dire adeguatamente esaminate  dal  tribunale  (v.
Ilgar Mammadov c. Azerbaigian (n. 2), n. 919/15,  § 206, 16  novembre
2017; Carmel Saliba c. Malta, n. 24221/13,  § 65,  29  novembre  2016
con ulteriori riferimenti in esso; e Fodor c. Romania, n. 45266/07, §
28, 16 settembre 2014).  Nell'esaminare  l'equita'  dei  procedimenti
penali, la Corte ha anche dichiarato in particolare che, ignorando un
punto specifico, pertinente e importante sollevato  dall'imputato,  i
tribunali nazionali si manifestano non all'altezza dei loro  obblighi
ai sensi dell'art. 6 § 1 della Convenzione (vedi Zhang c. Ucraina, n.
6970/15, § 61, 13 novembre 2018, e Nechiporuk e Yonkalo  c.  Ucraina,
n. 42310/04, § 280, 21 aprile 2011). 
    Dato che nel  presente  processo  vi  e'  stata  convalida  della
perquisizione, sia  pure  per  motivi  incongrui  e  utili  semmai  a
convalidare il sequestro, il tema  che  quindi  rileva  non  e'  solo
quello relativo all'illegittimita' costituzionale dell'art.  191  cpp
nella parte in cui non prevede, tra le ipotesi di  inutilizzabilita',
anche quelle consistenti in «inutilizzabilita'  derivate»,  ma  anche
quello relativo alle conseguenze che, sul materiale probatorio, debba
avere, in termini di inutilizzabilita', non solo l'ipotesi - rara- di
mancanza o rigetto della convalida, ma  principalmente  quello  della
convalida inadeguata, perche' priva di una motivazione concreta - per
l'impossibilita' di rinvenire elementi, tra quelli in atti, idonei  a
fondarla - in ordine alla  ricorrenza  dei  presupposti  legittimanti
l'iniziativa della p.g. nel compimento di un  atto  limitativo  della
liberta' personale o domiciliare. 
    Va ritenuto che non solo nel disegno costituzionale, ma anche  in
quello della CEDU, sia quindi delineato uno Stato di  pieno  diritto,
retto dal principio di legalita', con limiti ai poteri non solo della
p.g., ma anche della stessa A.G. (tra i quali la riserva di  legge  e
l'obbligo di motivazione dei provvedimenti), e previsione di garanzie
giurisdizionali a verifica e controllo del modo e dei casi in cui  le
forze di polizia usino dei loro poteri, al fine di evitarne  l'abuso;
in tale sistema non possano essere tollerate deroghe  ai  presupposti
di fatto e requisiti di forma, richiesti dalla Costituzione  e  dalla
Convenzione EDU, ne' degli  atti  delle  forze  di  polizia  ne'  dei
provvedimenti  dell'A.G.,  ne'  sussistere   limiti   alla   verifica
giurisdizionale della correttezza dell'operato della p.g. 
    Ammettere quindi che la  p.g.  possa  procedere  a  perquisizione
fuori  dei  casi  di  flagranza  e   degli   altri   specifici   casi
eventualmente previsti dalla  legge,  in  forza  di  elementi  vaghi,
indeterminati, e  percio'  non  verificabili  dall'AG,  o  da  questa
convalidata  con  motivazione   apparente,   apodittica,   incongrua,
equivale ad aggirare le cautele che la  Costituzione  ha  preposto  a
garanzia   del   corretto   esercizio   dei   poteri   dell'A.G.,   e
dell'effettivita' del suo potere di controllo e verifica  sugli  atti
di p.g. interferenti con liberta' costituzionalmente garantite. 
    Inoltre, il  tribunale  aveva  altresi'  sollevato  questione  di
incostituzionalita'  dell'art.  103  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 309/90, nella parte in cui consentiva che il P.M. possa
autorizzare verbalmente tale genere di perquisizioni senza provvedere
successivamente a documentare le ragioni su cui avesse  fondato  tale
provvedimento, che gli artt. 13 e 14 Cost. vogliono invece  motivato;
e tale questione e' stata accolta dalla Corte costituzionale  con  la
sentenza n. 252/2020. 
    Residua tuttavia irrisolto il problema di quale debba  essere  la
disciplina nel caso in cui la convalida manchi, o sia stata negata o,
ancora, sia stata emessa, ma sia priva di  una  motivazione  che  dia
contezza dell'effettivita' del controllo operato dal P.M.  in  ordine
all'effettiva ricorrenza dei  presupposti  che  la  legge  stabilisce
perche' la polizia giudiziaria possa procedere a perquisizioni. 
    E'  bene  poi  ulteriormente  precisare  che  l'art.   13   Cost.
riconnette la conseguenza delle perdita di efficacia  degli  atti  di
polizia, alla circostanza che essi non vengano convalidati  dall'A.G.
in un termine dato; e tuttavia, si  ricorda,  causa  dell'inefficacia
dell'atto limitativo della liberta' personale o domiciliare, ai sensi
degli artt. 13 e 14 della  Costituzione,  non  e'  tanto  la  mancata
convalida, quanto la circostanza che detti atti siano stati  compiuti
dalle forze di polizia fuori dei casi di necessita' ed urgenza in cui
la legge li consente, dato che e' per tale ragione che  la  convalida
difettera'. 
    La  convalida  non  svolge  quindi  una  funzione   «sanante»   a
discrezione  dell'A.G.,  ma  opera  una   concreta   verifica   circa
l'effettiva ricorrenza dei presupposti per l'attivita' compiuta dalla
p.g. di  propria  iniziativa  e  risoltasi  in  atti  invasivi  della
liberta' personale o domiciliare; ed il legislatore Costituzionale ha
inteso, e dato per scontato, che in mancanza di tali presupposti,  la
convalida non verra' emessa. 
    La ratio della norma  costituzionale  sarebbe  quindi  senz'altro
frustrata se fosse sufficiente che il provvedimento di  convalida  si
risolvesse in una pura forma non esprimente  un  effettivo  controllo
circa la legalita' dell'atto di  p.g.;  di  qui  la  prescrizione  (a
parere di questo Giudice, condiviso dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 252/2020, evincibile dal comma 2 dell'art. 13 Cost., come
si e' gia' osservato) che anche  l'atto  di  convalida  debba  essere
motivato, poiche' e' solo con un atto avente tali caratteristiche che
l'art. 13 Cost. consente che l'A.G. incida sulla liberta' personale. 
    E' quindi ovvio che, nel sistema delineato dall'art. 13 Cost., la
convalida operi in quanto  espressione  di  un  effettivo  potere  di
verifica in ordine alla concreta ricorrenza dei presupposti legali di
esecuzione della perquisizione personale (non e' un caso, ad es., che
lo stesso art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n.  309/90
prevede,  come  peraltro  e'  ovvio,   che   l'AG   convalidera'   la
perquisizione  «ove  ne  ricorrano  i  presupposti»),   e   non   sia
sufficiente  un  mero  provvedimento   di   convalida   assolutamente
immotivato sulla  ravvisabilita'  della  situazione  legittimante  la
perquisizione, personale o domiciliare. 
    Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato  che
l'art. 13 Cost. ricollega  la  salvezza  degli  effetti  dell'operato
della p.g., ne consegue che,  sebbene  le  nullita'  degli  atti  per
difetto  di  motivazione  siano  generalmente  rilevabili   solo   su
eccezione di parte, in questo caso  debba  invece  ritenersi  che  la
ricorrenza di un atto di convalida adeguatamente motivato, nella  sua
funzione costituzionale di salvezza degli effetti dell'atto  di  p.g.
che abbia inciso su diritti inviolabili (cosi' definiti  dagli  artt.
13 e 14  della  Costituzione),  sia  un  elemento  della  fattispecie
costituzionale «sanante» la cui ricorrenza  debba  essere  verificata
d'ufficio. 
    Sebbene  non  possa  contestarsi  che  «inviolabile»  non  voglia
automaticamente significare «indisponibile»,  nemmeno  puo'  tuttavia
negarsi che prevedere, per i  casi  in  oggetto,  una  nullita'  solo
relativa, e quindi dichiarabile solo su  eccezione  di  parte  (e  da
questa quindi  esplicitamente  o  implicitamente  rinunziabile),  non
garantirebbe adeguatamente  i  diritti  che  la  Costituzione  (e  la
Convenzione EDU) ha voluto  riconoscere  in  termini  di  assoluta  e
fondamentale rilevanza, quali cardini  del  sistema  democratico,  ed
assegnando allo Stato il compito  di  garantirne  l'effettivita';  la
eccepibilita' delle nullita' relative e' invero sottoposta a tempi  e
cadenze che richiedono  alla  parte  notevole  diligenza,  e  che  si
giustificano solo con la natura «minore» di  tali  nullita',  perche'
riguardanti violazioni di scarsa importanza o gravita'  ai  fini  del
corretto processo. 
    Anche in questo caso, laddove si volesse ritenere che  non  possa
essere  rilevata  di  ufficio  la  nullita'  della  motivazione   del
provvedimento con cui l'A.G. «sani» un atto compiuto  dalla  pubblica
autorita' (la p.g.) in violazione di un diritto del cittadino che  la
Costituzione definisce inviolabile (laddove  tale  inviolabilita'  e'
posta in primis proprio a tutela del cittadino da abusi dei  pubblici
poteri,  come  quelli  propri  del  periodo  fascista   di   cui   la
Costituzione  e'  reazione  e  difesa  contro   il   suo   ripetersi)
introdurrebbe  un  trattamento  illogicamente  deteriore  rispetto  a
quello che e' dettato, in tema di nullita',  per  l'omessa  citazione
dell'imputato,  che  costituisce  una  nullita'  assoluta,   pur   se
incidendo sull'esercizio di un diritto, quale quello di  difesa,  che
gia' si e' osservato  avere  natura  strumentale,  se  non  servente,
rispetto a quelli che  la  Costituzione  pure  definisce  inviolabili
(come quello di difesa). 
    E'  poi  necessario  che  il  Giudice  possa  verificare  che,  a
prescindere da quanto eventualmente affermato  col  provvedimento  di
convalida (si  pensi  ad  es.  all'ipotesi  di  una  motivazione  non
pertinente alle ragioni giustificatrici della perquisizione,  perche'
tutta costruita sulla legittimita' del sequestro  della  res  perche'
corpo del reato, come e' nel caso in oggetto; o  ad  una  motivazione
non aderente ai dati fattuali emergenti dagli atti; o che  da  questi
tragga  conclusioni  assolutamente  illogiche  o  assolutamente   non
giustificate), ricorressero effettivamente i presupposti  perche'  la
p.g. esercitasse i suoi poteri previsti in via del tutto eccezionale. 
    Cio' comporta una violazione del principio  di  effettivita',  ma
anche del diritto ad un giusto processo, che postula la  possibilita'
per l'imputato  di  verificare  la  correttezza  del  processo  e  la
genuinita' degli elementi di prova addotti contro di lui. 
    In relazione a tali principi, non appare manifestamente infondata
la questione di incostituzionalita', per contrasto con gli  artt.  2,
13, 14 e 111 comma 6 della  Costituzione,  dell'art.  352  cpp  nella
parte  in  cui  non  prevede  che  il  decreto  di  convalida   della
perquisizione debba essere motivato (tale  necessita',  pur  ritenuta
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 252/2002, e' esposta in
parte motiva ma non nel dispositivo,  e  cio'  potra'  dar  luogo  in
futuro ad incertezze applicative);  e  del  contrasto  dell'art.  125
comma 3 cpp con le stesse norme costituzionali, nella  parte  in  cui
non  prevede  che  la  nullita'  del  decreto  di   convalida   della
perquisizione sia assoluta e rientri tra quelle considerate dall'art.
179 comma 2 cpp. 
    Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto  conseguente,  che,  a
fondamento   della   legittimita'    di    una    perquisizione,    e
dell'utilizzabilita' dei suoi  esiti,  debba  essere  necessario  che
l'A.G. abbia  effettivamente  preventivamente  e  con  atto  motivato
autorizzato la perquisizione, o, successivamente, e sempre  con  atto
motivato, verificato la ricorrenza della condizione di  flagranza  (o
altra  situazione  prevista  da  norma   speciale),   che   legittimi
l'esercizio  dei  poteri  di  accesso  domiciliare  o   perquisizione
personale in capo alla P.G.; in caso contrario si avrebbe - oltre che
degli artt. 13 e 14 Cost. - una violazione  degli  artt.  111  e  117
Cost. (con riferimento all'art. 6 della Convenzione  Europea  per  la
salvaguardia  del  Diritti  dell'Uomo)  essendo  solo  apparente   la
possibilita'  di  godere  dell'esame  di  un  giudice  imparziale  ed
indipendente, laddove questo Giudice non abbia un adeguato potere  di
verifica   delle   circostanze   costituenti   elementi   a    carico
dell'imputato. 
4.6.a - Illegittimita' del sequestro  e  della  convalida  basati  su
fonti non specificate 
    E' bene quindi sottolineare che interpretazioni che ammettano,  a
presupposto  degli  atti   di   perquisizione,   elementi   probatori
particolarmente deboli o inutilizzabili, vadano ad incidere,  fino  a
vanificarle, sulle tutele che la Costituzione appresta alla  liberta'
personale ed all'inviolabilita' del domicilio, materie  che  appaiono
essere invece siano uno dei punti qualificanti  dell'effettivita'  di
uno Stato di diritto,  come  disegnato  dalla  Costituzione  e  dalla
Convenzione  EDU,  nelle   quali   fonte   normative   superiori   il
riconoscimento   di   diritti   fondamentali   della    persona    e'
necessariamente accompagnato dalla previsione di un Giudice non  solo
imparziale ed  indipendente,  ma  anche  dotato  degli  strumenti  di
verifica  e  controllo  atti  ad  assicurarne   l'effettiva   tutela.
Peraltro, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi organi sono per
primi vincolati  al  rispetto  delle  leggi  di  cui  pur  pretendono
l'osservanza da parte  dei  consociati,  e  cio'  comporta  non  solo
l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire  l'effettivo
rispetto dei diritti  che  tali  leggi  prevedono  ed  attribuiscono;
effettivita'  che  la  Costituzione  appare  voler   perseguire   con
l'inutilizzabilita'  («inefficacia»  nel  linguaggio  costituzionale)
degli atti illegittimamente compiuti in violazione di tali liberta'. 
    Ammettere il compimento di atti lesivi della liberta' personale o
domiciliare tramite il ricorso a prove  od  indizi  non  verificabili
perche'  non  indicati  (anonimi,   voci   confidenziali)   impedisce
l'esercizio del diritto di difesa e limita il diritto  ad  un  giusto
processo. 
    Peraltro, gia' nella giurisprudenza della Corte di cassazione  si
rinvengono pronunzie che  statuiscono  la  nullita'  del  decreto  di
perquisizione emesso dal P.m.  in  base  a  notizie  confidenziali  o
denunzie anonime: 
      Sez. 6, Sentenza n. 34450 del 22 aprile 2016, che  ha  statuito
che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile procedere  a
perquisizioni, sequestri e intercettazioni  telefoniche,  trattandosi
di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di  indizi  di
reita'.  Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce  anonime
possono stimolare l'attivita' di iniziativa del P.M e  della  polizia
giudiziaria  al  fine  di  assumere  dati  conoscitivi,   diretti   a
verificare  se  dall'anonimo  possano  ricavarsi  estremi  utili  per
l'individuazione di una «notitia criminis». (In applicazione di  tale
principio,  la   Corte   ha   ritenuto   legittimi   l'attivita'   di
perquisizione ed il sequestro di un telefono cellulare e di materiale
informatica eseguiti a seguito di un'attivita' investigativa, avviata
sulla base di una denuncia anonima, nel corso della quale era  emersa
la pubblicazione in rete di numerosi post  a  contenuto  diffamatorio
pubblicati mediante l'account creato sul social  network  facebook  a
nome dell'imputato, indagato in relazione ai reati di cui agli  artt.
278, 291 e 214 cod. pen.); 
      Sez. 6, Sentenza  n.  36003  del  21  settembre  2006,  che  ha
statuito che «Sulla base di una denuncia  anonima  non  e'  possibile
procedere a perquisizioni, sequestri e  intercettazioni  telefoniche,
trattandosi di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di
indizi di reita'. Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce
anonime possono stimolare l'attivita' di iniziativa del P.M. e  della
polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi,  diretti  a
verificare  se  dall'ononimo  possano  ricavarsi  estremi  utili  per
l'individuazione di una «notitia criminis». (In applicazione di  tale
principio, la Corte ha ritenuto  che  la  polizia  giudiziaria  aveva
legittimamente proceduto alla perquisizione di  un'autovettura  e  al
conseguente sequestro di sostanza stupefacente, dopo aver avviato,  a
seguito di una denuncia anonima, un'indagine sul posto attraverso  la
quale aveva acquisito la notizia di reato); 
      Sez. 5, ordinanza n. 37941 del 13 maggio 2004, che ha  statuito
che: «il decreto di perquisizione e sequestro  emesso  a  seguito  di
denuncia anonima, ed utilizzato come mezzo  di  acquisizione  di  una
«notitia criminis» e non come mezzo di ricerca della prova, e' nullo.
Infatti la denuncia confidenziale o anonima, che  non  e'  inseribile
agli atti e non e' utilizzabile, non puo' essere qualificata come una
notizia di reato idonea a  dare  inizio  alle  indagini  preliminari,
cosicche' l'accusa non puo' procedere a perquisizioni,  sequestri  ed
intercettazioni telefoniche, trattandosi  di  atti  che  implicano  e
presuppongono l'esistenza di indizi di reita'. 
    La Suprema  Corte  ha  altresi'  avuto  modo  di  osservare  che,
ovviamente, anche la p.g. - laddove norme di legge  le  attribuiscano
il potere di eseguire perquisizioni fuori dei casi di flagranza -  e'
tenuta al preciso rispetto dei presupposti posti da tali norme, e non
puo' operare sulla base di meri sospetti: 
      Sez. 6, Sentenza n. 40952 del 15 giugno 2017, che  ha  statuito
che «E' configurabile l'esimente della reazione ad agli arbitrari del
pubblico ufficiale  qualora  il  privato  opponga  resistenza  ad  un
pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il  suo  domicilio
una perquisizione finalizzata, ai sensi dell'art. 4  legge  22  marzo
1975, n. 152, alla ricerca  di  armi  e  munizioni  fondata  su  meri
sospetti e  non  su  dati  oggettivi  certi,  anche  solo  a  livello
indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel  luogo  in  cui
viene eseguito l'atta (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune
da vizi la mancata  convalida  dell'arresto  per  il  reato  previsto
dall'art.  337  cod.  pen.  all'imputato  per  essersi  opposto  alla
perquisizione disposta dopo la contestazione di  una  contravvenzione
al codice stradale, senza che  fossero  emersi  indizi  significativi
circa il possesso di armi o di oggetti atti ad offendere; 
    Si rinvengono quindi una serie di pronunzie della  Suprema  Corte
che, a parere di questo giudicante, rispondono pienamente ai principi
costituzionali  e  convenzionali  nella  individuazione  del  minimum
probatorio  necessario  a  rendere   legittima   una   perquisizione;
tuttavia, non se  ne  traggono  le  dovute  conseguenze  in  tema  di
utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni operate al  di  fuori
dei presupposti di legge. 
    Cio' appare in contrasto con gli  artt.  2  Cost.  (principio  di
effettivita', negato dal ricorso a  fonti  non  verificabili)  e  111
Cost. - 6 CEDU (diritto ad un giusto processo, anch'essi  negati  dal
ricorso a fonti non verificabili).