IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE Sezione prima penale In composizione monocratica, in persona del Giudice, dott. Stefano Sernia, sciogliendo la riserva formulata all'udienza dibattimentale del giorno 19 ottobre 2021 nel processo nei confronti di: M. A., nato a ... il ... , letti gli atti e sentite le parti, ha pronunziato la seguente ordinanza. Si procede a giudizio ordinario a seguito dell'emissione di decreto che ha disposto il giudizio immediato; le parti hanno concordato l'acquisizione degli atti dell'intero fascicolo del pubblico ministero; come l'art. 555, comma 4 codice di procedura penale consente, nella corrente lettura giurisprudenziale della norma. Si premette, al fine di agevolare la lettura della presente compendiosa ordinanza, il sommario degli argomenti trattati. 1. - Gli esiti della perquisizione: prova fondamentale nel presente processo 2. - Il diritto vivente 3. - Le questioni di costituzionalita' gia' sollevate - sintesi 4. - Le nuove questioni - sintesi 4.1 - Il contrasto con gli articoli 13, 14 e 111 della Costituzione 4.1.a - « ....e restano privi di ogni effetto»: l'inutilizzabilita' derivata dalla perdita di efficacia delle perquisizioni illegittime 4.1.b - Inutilizzabilita' derivata - art. 103 del codice di procedura penale 4.2 - Violazione dell'art. 3 della Costituzione 4.2.a - l'art. 103 del codice di procedura penale quale «tertium comparationis» 4.2.b - gli articoli 271 del codice di procedura penale e 132 comma 3 del codice privacy 4.2.c - ulteriori violazioni dell'art. 3 della Costituzione 4.3 - Violazione dell'art. 2 della Costituzione: principio di effettivita' 4.4 - Violazione dell'art. 24 della Costituzione 4.5 - Principio di effettivita' e violazione art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - contrasto con gli articoli 2 e 117 della Costituzione 4.6 - Principio di effettivita' e violazione art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - contrasto degli articoli 352 e 125 comma 3 del codice di procedura penale con gli articoli 2, 111 comma 6 e 117 della Costituzione 4.6.a - Illegittimita' del sequestro e della convalida basati su fonti non specificate. 1. - Gli esiti della perquisizione: prova fondamentale nel presente processo Le parti non hanno chiesto l'esame dei testi indicati nelle liste a suo tempo depositate, e tutti i verbali divengono cosi' utilizzabili ai sensi degli articoli 511 segg. del codice di procedura penale. Cio' consente di rilevare che la prova riposa tutta sugli esiti di una perquisizione, domiciliare eseguita dalla polizia giudiziaria in forza di propalazioni provenienti da una fonte confidenziale. Il presente processo vede l'imputato accusato del reato di cui all'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, per aver detenuto presso la propria abitazione sostanza stupefacente (1 involucro contenente marijuana del peso di circa un grammo; altro involucro contenente circa 219 gr. della stessa sostanza) destinata all'uso non terapeutico di terzi. Non risulta monitorata alcuna attivita' di acquisto o detenzione di sostanze stupefacenti da parte dell'imputato; non vi sono intercettazioni o servizi di osservazione che documentino ne' che l'imputato frequentasse soggetti noti per rifornire i dettaglianti di sostanze psicotrope, ne' che egli frequentasse tossicodipendenti con modalita' sospette, ne' che detenesse sostanza stupefacente, ne' tanto meno che la cedesse a terzi; anzi, la polizia giudiziaria aveva proceduto a perquisire due persone uscite dall'abitazione dell'imputato, rivelatesi esserne il fratello e la madre, senza che essi fossero risultati in possesso di sostanze stupefacenti o di altro che potesse indicarne la presenza nell'abitazione; ciononostante, la polizia giudiziaria procedette a perquisizione domiciliare ponendo a base di tale atto l'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, senza peraltro esplicare quali fossero gli elementi atti a giustificare - come imposto da tale norma - il «fondato motivo di ritenere che» potessero «essere rinvenute sostanze stupefacenti o psicotrope» ma, semplicemente, apoditticamente affermandone la ricorrenza; il pubblico ministero, non informato preventivamente sebbene non vi dovessero essere ragioni di urgenza, provvedeva, ciononostante, pur in assenza di elementi che gli consentissero l'esercizio del potere costituzionale di verifica della ricorrenza dei presupposti della legittimita' della perquisizione, a convalidare la stessa, peraltro in forza di una motivazione che, fondata sulla sequestrabilita' di quanto rinvenuto (la sostanza indicata in imputazione) e sulla apodittica affermazione circa la ricorrenza dei presupposti di legge per procedere a perquisizione e sequestro, sembrava risolvere la verifica in ordine alla legittimita' della perquisizione in un controllo ex post in ordine alla «fruttuosita'» della stessa in termini di raccolta di elementi di prova. Inoltre, l'imputato non risulta aver mai processualmente ammesso la detenzione della sostanza stupefacente, o che essa sia stata rinvenuta nell'abitazione da lui occupata. Concludendo, l'unico elemento di prova a carico dell'imputato e' costituito da quanto rinvenuto (la sostanza stupefacente; strumenti necessari al suo confezionamento e pesatura; un cellulare contenente messaggistica relativa a contatti con presunti clienti), nell'abitazione da lui occupata, in occasione della perquisizione ivi eseguita fuori dei casi di flagranza: situazione che la stessa sentenza Corte costituzionale n. 252/2020 ricorda dover ricorrere ex ante, dato che deve fungere da causa giustificatrice preventiva dell'esercizio di poteri riconosciuti alla polizia giudiziaria solo in via eccezionale, come peraltro gia' aveva statuito la Corte di cassazione a SS.UU. con la nota sentenza n. 39131 del 24 novembre 2015, che ha precisato che «E' illegittimo l'arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell'immediatezza del fatto, poiche, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di "quasi flagranza", la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all'arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l'indiziato»; di talche' appare assolutamente ovvio che non puo' essere l'esito positivo della perquisizione a fungere da giustificazione della sua esecuzione ad opera della polizia giudiziaria. Poiche' gli articoli 13 e 14 della Costituzione assegnano all'Autorita' giudiziaria il potere di procedere atti di limitazione della liberta' personale (nei quali ricomprende le ispezioni e perquisizioni personali) e domiciliare nei casi previsti dalla legge e con provvedimento motivato, quali forme di garanzia dell'effettivita' di tali liberta' costituzionali; e riconosce alla polizia il potere di procedere ad atti dello stesso genere solo nelle situazioni di necessita' ed urgenza tassativamente indicate dalla legge, prevedendo altresi' che tali atti si intendano revocati e perdono ogni efficacia ove non convalidati dall'autorita' giudiziaria, il tribunale si e' posto e pone il problema, perche' di assoluta rilevanza, ai fini della decisione, della questione relativa all'utilizzabilita' degli esiti di una perquisizione eseguita fuori dei casi in cui la legge ne attribuisca il potere alla polizia giudiziaria, atteso che la perdita di efficacia prevista dagli articoli 13 e 124 della Costituzione appare dover essere quella di natura probatoria, essendosi gli effetti limitativi della liberta' personale (o domiciliare), propri della perquisizione, esauritisi col compimento dell'atto, e gli unici altri effetti ipotizzabili, di cui la carata Costituzionale prevede l'inefficacia, non possono che essere quelli probatori. Il veicolo processuale per far valere tale inefficacia dovrebbe essere la categoria dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 codice di procedura penale, ma la giurisprudenza di legittimita' pressocche' monoliticamente dominante e' invece di segno contrario, creando cosi un diritto vivente contro il quale l'unico rimedio a disposizione del giudice, per ristabilire il rispetto costituzionale, anche in sede processuale, dei diritti di liberta' personale e domiciliare, non puo' che essere la questione di incostituzionalita' del predetto art. 191 codice di procedura penale, cosi' come interpretato ed applicato nel diritto vivente. 2. - Il diritto vivente Come si e' accennato, la lettura dell'art. 191 del codice di procedura penale che questo tribunale ritiene costituzionalmente corretta e' pero' contrastata dal diritto vivente offerto dalla costante giurisprudenza di legittimita', che nega l'inutilizzabilita' probatoria degli esiti di una perquisizione illegittima. A tal proposito, il remittente ha richiamato, e richiama ancora a fondamento del diritto vivente che si intende sottoporre al vaglio della Corte costituzionale con l'eccezione che si va a sollevare, l'insegnamento espresso dalle della Corte di cassazione sin dalla sentenza 5021 del 27 marzo 1996, ha ritenuto la piena utilizzabilita' probatoria degli esiti delle perquisizioni e sequestri eseguiti dalla polizia giudiziaria al di fuori dei casi previsti dalla legge, pur prendendo le mosse da statuizioni di principio di segno apparentemente opposto alle conclusioni finali. In realta', con la suddetta sentenza, le sezioni unite della suprema Corte di cassazione (svolgendo un/argomentazione di cui la sentenza Corte costituzionale n. 219/2019 non si e' occupata) hanno in primo luogo affermato a chiare lettere che la conseguenza di un'attivita' di illecita acquisizione della prova, nello specifico una perquisizione illegittima, non puo' limitarsi a mere sanzioni amministrative, disciplinari o penali nei confronti dell'autore dell'illecito, ma deve comportare l'inutilizzabilita' della prova stessa, statuendo che: «non e' certamente difficile riconoscere che allorquando una perquisizione sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non nei «casi» e nei «modi» stabiliti dalla legge, cosi come disposto dall'art. 13 della Costituzione, si e' in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non e' piu' compatibile con la tutela del diritto di liberta' del cittadino, estrinsecabile attraverso il riconoscimento dell'inviolabilita' del domicilio. L'illegittimita' della ricerca di una prova, pur quando non assuma le dimensioni dell'illiceita' penale (cfr.art. 609 del codice penale), non puo' esaurirsi nella mera ricognizione positiva dell'avvenuta lesione del diritto soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati gli autori. La perquisizione, oltre ad essere un atto di investigazione diretta, e' il mezzo piu' idoneo per la ricerca di una prova preesistente e, quindi, diviene partecipe del complesso procedimento acquisitivo della prova, a causa del rapporto strumentale che si pone tra la ricerca e la scoperta di cia' che puo' essere necessario o utile ai fini della indagine nessuna prova, diversa da quelle che possono formarsi soltanto nel corso del procedimento, potrebbe essere acquisita al processo se una sua ricerca non sia stata compiuta e questa no abbia avuto esito positivo. Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca di una prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di per se' stessa sottratta alla materiale possibilita' di essere suscettibile di una diretta utilizzazione nel processo penale, e' altrettanto vero che il rapporto funzionale che avvince la ricerca alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non e' esauribile nell'area riduttiva di una mera consequenzialita' cronologica, come si era affermato in numerose pronunce di questa Corte prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, e com'e' stato, anche in epoca successiva, qualche volta, ribadito (cfr. sez. 1 - 17 febbraio 1976 ric. C... ; sez. VI - 23 gennaio 1973 ric. F...; sez. V - 24 novembre 1977 ric. M...; sez. l- 15 marzo 1984 ric. Z...; sez.VI - 24 aprile 1991 ric. L...; sez.V - 12 gennaio 1994 ric.V..., etc): la perquisizione non e' soltanto l'antecedente cronologico del sequestro, ma rappresenta lo strumento giuridico che rende possibile il ricorso al sequestro.» Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero che esista una distinzione concettuale tra la perquisizione, quale mezzo di ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di acquisizione della prova, cio' non ha alcuna rilevanza ai fini della inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione illegittima, atteso che: «la stessa utilizzabilita' della prova e' pur sempre subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento acquisitivo che si sottragga, in ogni sua fase, a quei vizi che, incidendo negativamente sull'esercizio di diritti soggettivi irrinunciabili, non possono non diffondere i loro effetti sul risultato che, attraverso quel procedimento, sia stato conseguito. Del resto, non puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso ordinamento processuale ad aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra perquisizione e sequestro: l'art. 252 del codice di procedura penale impone il sequestro delle «cose rinvenute a seguito della perquisizione» e l'art. 103, comma settimo dello stesso codice espressamente sancisce l'inutilizzabilita' dei risultati delle perquisizioni allorquando queste sono state eseguite in violazione delle particolari garanzie di cui debbono fruire i difensori per poter esercitare congruamente il diritto di difesa. E non si vede perche' a diverse ed opposte conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una perquisizione sia stata comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative che assicurano, in concreto, l'attuazione di quella ineludibile garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta dall'art. 13 comma secondo della Costituzione: si tratta pur sempre di un procedimento acquisitivo della prova che reca l'impronta ineludibile della subita lesione ad un diritto soggettivo, diritto che, per la sua rilevanza costituzionale, reclama e giustifica la piu' radicale sanzione di cui l'ordinamento processuale dispone, e cioe' l'inutilizzabilita' della prova cosi' acquisita in ogni fase del procedimento.» Il prosieguo della statuizione della suprema Corte si risolveva peraltro, ed alquanto sorprendentemente (considerate le premesse), nella pratica vanificazione della portata di tali principi appena enunciati; continuava infatti detta sentenza affermando comunque valido il sequestro, perche' atto dovuto, allorche' avesse ad oggetto il corpo del reato o cose pertinenti al reato; pertanto, di fatto, l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini probatori, sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo ne' al corpo del reato, ne' a cose pertinenti al reato; affermava infatti la suprema Corte a SSUU: «Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca della prova del commesso reato, allorquando assume le dimensioni conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a tutela dei diritti soggettivi oggetto di specifica tutela da parte della Costituzione, non puo', in linea generale, non diffondere i suoi effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di acquisire, e' altrettanto vero che allorquando quella ricerca, comunque effettuata, si sia conclusa con il rinvenimento ed il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti: in questa specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto di una situazione non legittimamente creata, il sequestro rappresenta un «atto dovuto», la cui omissione esporrebbe gli autori a specifiche responsabilita' penali, quali che siano state, in concreto, le modalita' propedeutiche e funzionali che hanno consentito l'esito positivo della ricerca compiuta. Va osservato che, comunque, le predette Sezioni unite della Corte, affermata la legittimita' del sequestro, quale atto di sottrazione a terzi della disponibilita' di una res, e sua acquisizione al processo, sembravano voler lasciare aperta la possibilita' di conseguenze sul piano probatorio, nel caso di perquisizione eseguita fuori dei casi in cui la legge la consentisse, osservando: «Con cio' non si intende affatto affermare che l'oggetto del sequestro, a causa della sua intrinseca illiceita', ovvero per il rapporto strumentale che esso puo' esprimere in relazione al reato commesso, possa, per cio' solo, dissolvere quella connessione funzionale che lega la perquisizione alla scoperta ed all'acquisizione di cio' che si cercava, ma si vuole soltanto precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste dall'art. 253, comma primo del codice di procedura penale, gli aspetti strumentali della ricerca, pur rimanendo partecipi del procedimento acquisitivo della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un obbligo giuridico che trova la sua fonte di legittimazione nello stesso ordinamento processuale ed ha una sua razionale ed appagante giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia giudiziaria non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente legati al suo "status", qualunque sia la situazione - legittima o no - in cui egli si trovi ad operare». Tali statuizioni avrebbero potuto, quindi, risolversi nell'asserzione della legittimita' del sequestro, ferma restando pero' la inutilizzabilita' probatoria della perquisizione, quale atto di indagine caratterizzato da un preciso contesto spazio temporale di acquisizione della «res» ed atto ad individuare una relazione - carica di valenze probatorie - tra di essa ed il soggetto perquisito; ma le SS.UU., invece, concludevano osservando che gli agenti di polizia giudiziaria avrebbero poi potuto testimoniare sugli esiti della perquisizione, ferma restando l'inutilizzabilita' di essa in quanto tale (e cioe', par di capire, con inutilizzabilita' solo del verbale che ne documenta modalita', tempo, luoghi e risultato). Da tale arresto delle Sezioni unite ha tratto origine e sviluppo una giurisprudenza che si e' ancorata, apparentemente, unicamente alla massima tratta dalla predetta sentenza circa la legittimita' ed utilizzabilita' a fini probatori del sequestro, rimanendo apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei principi affermati dalle stesse SS.UU. nella prima - e piu' consistente - parte della propria statuizione, e che probabilmente avrebbero meritato una riflessione e sviluppo su possibili ulteriori esiti interpretativi: come, ad es., quello che volesse limitare l'utilizzabilita' probatoria del sequestro alla res in quanto tale, cioe' nella sua materiale idoneita' a provare la sussistenza del fatto (si pensi al rinvenimento di un'arma o di sostanza stupefacenti, idonei a provare i reati di detenzione illecita di tali oggetti) ed a fungere da eventuale supporto di tracce di reato (impronte digitali, materiale biologico suscettibile di comparazione del DNA) aventi carattere individualizzante: interpretazione, questa, sostenuta da questo giudice in precedenti procedimenti, ma non condivisa dai giudici competenti per i successivi gradi, che si sono sempre rimessi alla giurisprudenza che si e' richiamata e che delle citate SS.UU. coglieva, sostanzialmente, solo quanto risultante dal dispositivo e dalla massima. Come si e' detto, la successiva giurisprudenza di legittimita' si e' monoliticamente assestata su tali esiti interpretativi, confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro conseguente ad una perquisizione illegittima, e la sua piena utilizzabilita' probatoria; si citano, a titolo di esempio e senza pretesa di esaustivita', ed in assenza di pronunzie di segno contrario, che lo scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: sez. 3, ordinanza n. 3879 del 14 novembre 1997; sez. 1, sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, sez. 5, sentenza n. 6712 del 7 dicembre 1998, sez. 3, sentenza n. 1228 del 17 marzo 2000, sez. 4, sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, sez. 6, sentenza n. 3048 del 3 luglio 2000, sez. 2, sentenza n. 12393 del 10 agosto 2000, sez. 1, sentenza n. 45487 del 28 settembre 2001, sez. 1, sentenza n. 41449 del 2 ottobre 2001, sez. 1, sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, sez. 5, sentenza n. 1276 del 17 dicembre 2002, sez. 2, sentenza n. 26685 del 14 maggio 2003, sez. 2, sentenza n. 26683 del 14 maggio 2003, sez. 1, sentenza n. 18438 del 28 aprile 2006, sez. 2, sentenza n. 40833 del 10 ottobre 2007, sez. 6, sentenza n. 37800 del 23 giugno 2010, sez. 1, sentenza n. 42010 del 28 ottobre 2010, sez. 2, sentenza n. 31225 del 25 giugno 2014, sez. 3, sentenza n. 19365 del 17 febbraio 2016 (quest'ultima addirittura nel senso della legittimita' di perquisizioni ordinate od eseguite in forza di sole fonti confidenziali), sez. 2, sentenza n. 15784 del 23 dicembre 2016, sez. 5, sentenza n. 32009 dell'8 marzo 2018. 3. - Le questioni di costituzionalita' gia' sollevate - Sintesi In merito questo giudicante ha pertanto gia' piu' volte sollevato questione di illegittimita' costituzionale (per contrasto con gli articoli 3, 13, 14, 24, 117 della Costituzione) del diritto vivente formatosi attorno all'art. 191 codice di procedura penale, che non ritiene inutilizzabili probatoriamente gli esiti delle perquisizioni operate dalla polizia giudiziaria fuori dei casi in cui la legge glielo consente, nonostante che: gli articoli 13 e 14 della Costituzione espressamente prevedano la perdita di ogni efficacia (compresa quindi quella probatoria) dei provvedimenti - tra gli altri - di perquisizione operati illegittimamente dalla p.g; venga violato il principio di eguaglianza che impone che situazioni tra di loro analoghe siano oggetto di discipline non irrazionalmente difformi, atteso che per le perquisizioni e' cosi' adottata una disciplina meno favorevole per l'imputato e di minor tutela dei suoi diritti costituzionali rispetto a quella prevista dall'art. 271 codice di procedura penale che prevede l'inutilizzabilita' probatoria delle intercettazioni illegittime, nonostante queste ledano un diritto costituzionale, quale quello del diritto alla segretezza e riservatezza della corrispondenza, di minor grado ed importanza rispetto a quello della liberta' personale e domiciliare; L'interpretazione consolidatasi si pone inoltre in contrasto con l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi in contrasto con l'art. 117 della Costituzione che impone allo Stato italiano il rispetto delle Convenzioni internazionali, in quanto si risolve nel non adottare efficaci disincentivi agli abusi delle forze di polizia, e di qualsiasi organo dello Stato in genere, che, limitando la liberta' della persona, si risolvano in indebite interferenze nella sua vita privata o nel suo domicilio, non giustificate da oggettive esigenze di prevenzione o repressione dei reati (vennero richiamate le sentenze Corte europea dei diritti dell'uomo 16 marzo 2017, Modestou contro Grecia, nonche', la piu' recente sentenza emessa in data 27 settembre 2018 dalla prima sezione Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nel caso Brazzi contro Italia; infine, si osservava come l'interpretazione divenuta diritto vivente ponesse anche gravi problemi quanto a tutela del diritto di difesa, atteso che perquisizioni eseguite dalla polizia giudiziaria fuori dei casi previsti dalla legge, perche' in forza di indizi o ragioni mai concretamente esplicitati e senza indicazione delle specifiche fonti, ne impedisse ogni verifica e controllo (sia da parte del giudice, che della difesa) e quindi anche la possibilita' di dimostrare la possibilita' che fossero state le fonti propalatrici a nascondere le «res illicite» tra gli effetti personali o nell'abitazione dell'imputato. La Corte costituzionale ha reiteratamente respinto - dapprima con la sentenza n. 219/2019, di poi con la sentenza n. 252/2020 - le eccezioni sollevate in tema di inutilizzabilita' da questo giudicante, pur accogliendo - con la sentenza n. 252/2020, per l'appunto - la questione accessoria relativa alla illegittimita' costituzionale dell'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa, dopo aver autorizzato oralmente una perquisizione, omettere un atto formale (che la Corte ha ritenuto di poter individuare nella convalida della perquisizione) di esposizione degli elementi giustificativi della perquisizione; quanto al problema dell'inutilizzabilita' delle prove acquisite in esito alla perquisizione illegittima, anche con tale ultima sentenza la Corte ha ribadito che - come gia' aveva affermato con la sentenza n. 219/2019 - l'eccezione non poteva essere accolta, perche' si sarebbe risolta in una pronunzia fortemente manipolativa, atteso che l'ordinamento italiano non accoglie la disciplina della inutilizzabilita' derivata, espressione della c.d. «teoria dei frutti dell'albero avvelenato». Per tale assorbente ragione, la Corte non aveva considerato le altre questioni sollevate, ed in particolare aveva ritenuto assorbente quella relativa al contrasto con l'art. 117 della Costituzione per violazione dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come vivente nell'interpretazione espressa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 4. - Le nuove questioni - Sintesi Ritiene il tribunale di poter e dover offrire nuovi argomenti alla Corte, proprio sul tema della «teoria del frutti dell'albero avvelenato», rinvenendosi nell'ordinamento dati testuali che dimostrano, a parere di questa A.G. remittente, che tale istituto, oltre ad essere implicitamente previsto proprio dagli articoli 13 e 14 Costituzione (nella parte in cui prevedono che gli atti di perquisizione non convalidati perche' illegittimi perdano ogni efficacia che, rispetto ad atti conclusisi - nei loro effetti limitativi della liberta' personale - col loro compimento, non puo' che essere quella probatoria), conosce anche almeno una esplicita applicazione processuale, nell'art. 103 codice di procedura penale (che prevede l'inutilizzabilita' dei risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri ed intercettazioni eseguite senza il rispetto delle norme stabilite da detto articolo, e che questo tribunale ancora non aveva utilizzato come «tertium comparationis»), a tutela del diritto costituzionale di difesa; sarebbe poi del tutto irrazionale, e quindi in violazione dell'art. 3 della Costituzione, un sistema normativo che assicurasse ai diritti strumentali (quali quello di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione e nella disciplina di cui all'art. 103 codice di procedura penale per quel che qui interessa) una tutela di rango maggiore e piu' efficace (per il tramite della sanzione della inutilizzabilita' dei risultati delle perquisizioni illegittime) di quella invece apprestata a tutela delle situazioni sostanziali preminenti quali il diritto alla liberta' personale ed alla liberta' domiciliare sanciti dagli articoli 13 e 14 della Costituzione. Il diritto vivente formatosi sull'art. 1912 del codice di procedura penale risulta poi integrare una violazione dell'art. 2 della Costituzione e del principio di effettivita' delle garanzie costituzionali, immanente alla previsione di una tutela data dalla Costituzione (articoli 2), dalla circostanza che questa sia la legge fondamentale dello Stato cui tutti devono osservanza (art. 54, comma 1 della Costituzione) e che non puo' essere violata da altre leggi ordinarie (desumi da articoli 134, comma 1 e 136, comma 1 della Costituzione); principio di effettivita' che e' poi proprio (secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo) anche delle garanzie previste dalle convenzioni internazionali (in primis la Convenzione europea dei diritti dell'uomo) e che, per quel che riguarda il caso presenta, interessa gli articoli 6 ed 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cui lo Stato ha il dovere Costituzionale (ex art. 117 della Costituzione) di prestare osservanza. Appare poi a questo giudicante evidente che ogni disciplina normativa, ivi compresa quella processuale, la quale riconosca, ad una attivita' illecitamente compiuta in violazione di diritti costituzionali altrui, l'idoneita' a produrre effetti giuridici favorevoli a chi detta violazione abbia compiuto ed in danno di chi l'abbia subita, non presta adeguata garanzia ai diritti costituzionali che pur astrattamente riconosce. A tal proposito va osservato che gia' le sezioni unite della Corte di cassazione, con la richiamata sentenza n. 5021 del 27 marzo 1996, avevano osservato che la garanzia di effettivita' della tutela della liberta' personale e domiciliare da atti di perquisizione indebita non puo' essere garantita solamente da una sterile presa d'atto dell'avvenuta violazione e dalla previsione di eventuali responsabilita' penali o disciplinari degli operatori di polizia giudiziaria, asserendo che: «L'illegittimita' della ricerca di una prova, pur quando non assuma le dimensioni dell'illiceita' penale (cfr art. 609 del codice penale), non puo' esaurirsi nella mera ricognizione positiva dell'avvenuta lesione del diritto soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati gli autori». Va quindi osservato che pero', di fatto, a parte la teorica responsabilita' disciplinare o penale per le perquisizioni abusive eventualmente non convalidate, evenienza peraltro piuttosto teorica e concretamente rara, le forze di polizia possono contare sulla potenziale fruttuosita' processuale di qualsiasi atto di perquisizione vadano a compiere, legale o illegale che sia, di modo che la Repubblica, in forza del diritto vivente formatosi attorno all'art. 191 codice procedura penale, non appresta una efficace garanzia a tutela dei diritti costituzionali di cui agli articoli 13 e 14 della Costituzione. Cio' integra una palese violazione dell'art. 2 della Costituzione, il quale prevede che la Repubblica non solo riconosca, ma altresi' garantisca i diritti inviolabili della persona, tra i quali sicuramente rientrano quelli previsti dagli articoli 13 e 14 della Costituzione, i quali infatti espressamente definiscono i diritti di liberta' personale e domiciliare come inviolabili. Ne consegue che le questioni gia' ritenute dalla Corte insuperabilmente assorbite nella ritenuta natura manipolativa della pronuncia richiesta dal remittente, risultano riacquistare rilevanza e necessitare di una valutazione di merito. Cio' vale, in particolare, secondo questo tribunale, con specifico riferimento alla questione relativa alla violazione dell'art. 117 della Costituzione con riferimento alla violazione dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali quale interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale ripetutamente ha affermato che le tutele nazionali ai diritti tutelati dalla Convenzione debbano essere effettive e tali da rendere reali e praticamente tutelati, e non meramente illusori, tali diritti. Tale questione va affrontata anche perche' la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 252/2020, ha - ovviamente - confermato la particolare rilevanza costituzionale del controllo giudiziale sulla legittimita' degli atti di perquisizione, lasciando pero' irrisolta la questione relativa alle conseguenze dell'omissione della convalida della perquisizione, o del suo rigetto, sull'utilizzabilita' del materiale probatorio acquisito grazie alla perquisizione non convalidata: conseguenze che, necessariamente, deve ritenersi che la stessa Corte costituzionale abbia implicitamente condiviso debbano esservi, atteso che quella della inutilizzabilita' probatoria degli esiti delle perquisizioni non convalidate era l'unica ragione di rilevanza della questione di incostituzionalita' individuata dal giudice rimettente e quindi idonea a radicare la cognizione della Corte stessa. Ed invero, sintetizzando cio' che meglio oltre si osservera', il tribunale ritiene che l'art. 191 codice di procedura penale, nella lettura offertane dal diritto vivente, sia in contrasto con gli articoli 13 e 14 Costituzione, proprio perche' non accoglie la «teoria del frutti dell'albero avvelenato» che, invece, appare essere espressamente considerata dalle suddette norme costituzionali; tant'e' che, non a caso, il diritto processuale penale ne prevede almeno un'ipotesi espressamente disciplinata dall'art. 103 codice di procedura penale, che sanziona proprio in termini di inutilizzabilita' ogni acquisizione probatoria (ivi compresi «i risultati delle ispezioni e perquisizioni») della corrispondenza (tramite sequestro o anche solo presa di cognizione per quella consistente in messaggi scritti o telematici; tramite intercettazione per le conversazione telefoniche o ambientali) tra difensore e imputato compiuta presso gli studi dei difensori, «salvo che l'autorita' giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti del corpo del reato» (valutazione da compiersi, deve ritenersi, essendo una condizione di legittimita' dell'atto di ispezione o perquisizione, ex ante, e non ex post). Questo tribunale ritiene cioe' di dover risollevare la questione davanti alla Corte costituzionale prendendo le mosse da quanto statuito dalla Corte con la sentenza n. 252/2020, e rinvenendo in essa nuovi spunti argomentativi, confermati peraltro dall'esistenza, nella disciplina dettata dall'art. 103 codice di procedura penale - norma finora mai evocata da questo tribunale come «tertium comparationis» (pur essendo contemplata nella motivazione della sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 5021 del 27 marzo 1996) - una concreta applicazione del c.d. principio dei «frutti dell'albero avvelenato», tale da indurre a ritenere che esso sia implicito al sistema processuale, e che sia necessario risottoporre alla Corte il tema della compatibilita' della vigente disciplina dell'art. 191 codice di procedura penale (nel diritto vivente) con quanto statuito dall'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, questione, gia' ripetutamente evocata da questo tribunale per il contrasto con l'art. 117 della Costituzione, che la Corte con le citate sentenze non ha affrontato ritenendola assorbita dal prevalente rilievo che la teoria dei «frutti dell'albero avvelenato» sarebbe estranea all'ordinamento italiano. Il diritto vivente formatosi sull'art. 191 codice di procedura penale risulta cosi' non solo in contrasto diretto con gli articoli 13 e 14 Costituzione, ma anche con l'art. 3 della Costituzione, perche' sottopone ad un trattamento palesemente difforme da quello previsto dall'art. 103 codice di procedura penale, i risultati delle perquisizioni operate presso l'abitazione o sulla persona del diretto interessato in violazione dei suoi primari diritti costituzionali di liberta' personale e domiciliare, mentre invece sanziona con l'inutilizzabilita' probatoria dei suoi risultati, quelle eseguite presso il titolare del diritto di difesa tecnico, che e' tuttavia diritto strumentale - e quindi accessorio se non addirittura servente - rispetto a quello sostanziale (della tutela della liberta' dell'imputato, in primis) di cui e' strumento: cosi' irrazionalmente offrendo alla tutela del diritto principale una tutela inferiore rispetto a quella garantita al diritto strumentale ed accessorio. Con la presente ordinanza, questo tribunale intende pertanto sottomettere nuovamente alla Corte costituzionale le questioni gia' sollevate, ovviamente utilizzando argomentazioni ulteriori a sostegno di quelle parziali gia' esaminate dalla Corte costituzionale con le precedenti pronunzie (una delle quali, peraltro, di parziale accoglimento), e prendendo peraltro le mosse anche proprio dall'ultima di tali pronunzie; e' tuttavia ovviamente necessario ripercorrere l'intero spettro delle argomentazioni gia' sollevate, atteso che e' la loro sinergia a rendere manifesta, a parere dello scrivente, l'illegittimita' costituzionale del diritto vivente formatosi attorno all'art. 191 codice di procedura penale, quale consolidatosi in numerosissime pronunzie della suprema Corte di cassazione costantemente orientate a ritenere la piena utilizzabilita' degli esiti probatori di tali perquisizioni, cristallizzando nel tempo l'insegnamento ricavato da C. Cassazione SS.UU. sentenza 5021 del 27 marzo 1996 che, in realta', avrebbe consentito piu' articolate interpretazioni. 4.1 - Il contrasto con gli articoli 13, 14 e 111 della Costituzione Il diritto vivente formatosi sull'art. 191 codice di procedura penale non appare, a giudizio di questo giudicante, conforme in primo luogo agli articoli 13 e 14 della Costituzione. Invero, l'art. 13 della Costituzione (richiamato, quanto a garanzie e forme ivi previste, dall'art. 14 della Costituzione in tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri eseguite nel domicilio) prescrive che ogni atto di limitazione della liberta' personale - tra i quali annovera non solo l'arresto o il fermo, ma anche le perquisizioni e le ispezioni personali - sia riservato ad «atto motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»; la norma costituzionale introduce quindi una riserva di legge e di provvedimento (motivato) dell'Autorita' giudiziaria, cui puo' derogarsi solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso che la norma prosegue prevedendo che solo «In casi eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorita' giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni efficacia'.». L'art. 14 della Costituzione estende agli atti di perquisizione domiciliare le garanzie dettate per le perquisizioni personali, in considerazione della primaria importanza che la tutela dell'inviolabilita' del domicilio assume quale strumento di protezione della sfera spaziale in cui si svolge l'abituale esercizio di fondamentali diritti della persona; tutela costituzionalizzata, per il tramite dell'art. 117 della Costituzione (cfr. sentenze Corte costituzionale numeri 348 e 349/2007), anche dall'art. 8 della Carta europea dei diritti dell'uomo, che sancisce il diritto della persona al rispetto del proprio domicilio - oltre che della propria vita privata e famigliare - anche dalle ingerenze pubbliche, legittime solo se previste dalla legge e necessitate da esigenze di (per quel che qui interessa) difesa dell'ordine e prevenzione dei reati. I suddetti diritti sono quindi assistiti - a sottolinearne l'importanza nell'assetto democratico dell'ordinamento repubblicano voluto dal legislatore costituzionale come fondato sulla tutela di quelle liberta' individuali tendenzialmente negate o fortemente compresse dal precedente regime - da un corredo di significative cautele date dalla riserva di legge, dalla riserva del potere giudiziario, dall'obbligo che quest'ultima provveda con atto motivato. Solo in casi eccezionali di necessita' ed urgenza, che spetta alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza (e cioe' alle forze di polizia, che di tali compiti sono titolari unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito un potere di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in caso di mancata convalida da parte dell'A.G. con provvedimento che, sebbene cio' non sia espressamente previsto dalla norma costituzionale, deve ritenersi - come peraltro ha concordato anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 252/2020, ritenendo tale obbligo implicito nell'art. 13 della Costituzione - debba anch'esso essere motivato, dato che non vi e' ragione di ritenere che il legislatore costituzionale, per l'ipotesi di particolare delicatezza costituzionale data della convalida (la cui funzione e' verificare che la polizia giudiziaria non abbia agito in tali delicatissime materie abusando dei propri poteri, fuori dei casi in cui essi le sono riconosciuti), abbia voluto esonerare l'Autorita' giudiziaria dalla necessita' di motivare i propri provvedimenti, che in tema di atti limitativi della liberta' personale gli e' specificamente imposta dall'art. 13 comma 2 della Costituzione (e come peraltro previsto gia' in via generale dall'art. 111, comma 6 della Costituzione per tutti i provvedimenti giurisdizionali). Come si e' accennato, tali garanzie sono estese dall'art. 14 della Costituzione anche al caso delle perquisizioni, ispezioni e sequestri domiciliari, giusta il richiamo che tale norma opera alle garanzie prescritte (dall'art. 13 della Costituzione) per la tutela della liberta' personale. Fondamento comune alle eccezioni sollevate (e che qui si reiterano) da questo tribunale era ed e' quindi la ritenuta necessita' che la disciplina processuale non si ponga d'ostacolo alla piena operativita' delle garanzie stabilite dagli articoli 13 e 14 della Costituzione a tutela della liberta' personale e domiciliare: garanzie tra le quali va in primo luogo annoverata quella della perdita di efficacia (ivi compresa quella probatoria, che per gli atti di perquisizione, esauritisi questi col loro compimento, e' l'unica efficacia di cui la norma costituzionale possa aver disposto la cessazione) degli atti di limitazione della liberta' personale e domiciliare non convalidati nei termini di legge. Tali garanzie, a giudizio del remittente, risultano invece frustrate dalla vigente disciplina delle inutilizzabilita' di cui all'art. 191 codice di procedura penale, che consente - secondo il diritto vivente - l'utilizzabilita' probatoria di quanto acquisito dalla polizia in occasione di una perquisizione eseguita fuori dei casi in cui la Costituzione lo consenta, o in assenza di convalida che la effettiva ricorrenza di tali condizioni abbia realmente verificato (con le caratteristiche di effettivita' implicite negli articoli 13 e 14 della Costituzione e nell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come sottolineato dalla menzionata sentenza Brazzi contro Italia). Peraltro, la perdita di efficacia probatoria delle perquisizioni illegittime (e per tale ragione da non convalidarsi) e' desumibile in via diretta dagli articoli 13 e 14 della Costituzione, ai quali potrebbe darsi immediata applicazione se non fosse che la norma che regola l'istituto dell'inutilizzabilita' probatoria in sede processuale, e cioe' l'art. 191 codice di procedura penale, e' stato fatto oggetto di una diversa e piu' limitante lettura, in primo luogo per la ritenuta inesistenza, nell'ordinamento, dell'istituto della inutilizzabilita' derivata. 4. 1.a - «....E restano privi di ogni effetto»: l'inutilizzabilita' derivata dalla perdita di efficacia delle perquisizioni illegittime Atteso che gli articoli 13 e 14 della Costituzione prevedono che le autorita' di polizia possano adottare atti limitativi della liberta' personale, tra i quali e' ricompresa la perquisizione, nonche' procedere a perquisizione domiciliare, solo in casi eccezionali di necessita' ed urgenza indicati tassativamente dalla legge, deve conseguentemente ritenersi che, al di fuori di tali casi, la perquisizione eseguita dagli apparati di polizia sia illegale perche' ad essi ne e' vietata l'esecuzione. La legge ordinaria ha individuato tali situazioni eccezionali di necessita' ed urgenza, in via generale, nello stato di flagranza del reato. Va a tal proposito ricordato (e la Corte costituzionale gia' con le sentenze numeri 219/19 e 252/20 ha condiviso tale assunto) che dall'art. 382 codice di procedura penale si evince che la situazione di flagranza - che legittima in via ordinaria l'esercizio del potere di perquisizione in capo alla polizia giudiziaria - e' quella che si presenta allorche' la consumazione del reato cade sotto la percezione degli organi di polizia giudiziaria, ovvero questi scorgono sulla persona del reo tracce altamente significative che egli abbia appena commesso un delitto (cfr. ad es. quanto statuito dalla nota sentenza C. cassazione SS. UU. n. 39131 del 24 novembre 2015, che ha precisato che «E' illegittimo l'arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell'immediatezza del fatto, poiche', in tale ipotesi, non sussiste la condizione di "quasi flagranza", la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all'arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l'indiziato») Sicche' cio' che viene trovato in possesso dell'imputato a seguito della perquisizione non puo' valere a legittimarla ex ante. Proprio perche' la flagranza e' una situazione che deve essere percepibile e il risultare ex ante, e cio' puo' concretamente frustrare le esigenze di prevenzione e repressione dei delitti, il legislatore ha introdotto tramite leggi speciali ulteriori altri casi in cui all'autorita' di polizia e consentito procedere ad atti di perquisizione anche fuori dei casi della flagranza di reato; i requisiti di necessita' ed urgenza sono ancorati dalla legge alla finalita' di prevenzione e repressione di particolari categorie di reati ritenute particolarmente gravi, ed alla ricorrenza di indizi (ad es.: «notizia anche se per indizio» per l'art. 41 Tulps; «fondato motivo» per l'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990; «atteggiamento o presenza di persone che, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di tempo non appaiono giustificabili», quanto all'art. 4 della legge n. 152 del 1975) che, pur non consistendo in una patente situazione di flagranza, sono indicative della probabilita' che sulla persona o nel domicilio di taluno possano rinvenirsi cose di cui la legge vieta il porto o la detenzione. Come si e' accennato, nel presente processo non sono indicati i concreti elementi sulla cui base la polizia ha ritenuto di dover procedere a perquisizione; e' verosimile che si sia trattato di fonti confidenziali o fonti anonime, ma comunque se vanificata la possibilita' di operare una verifica circa l' effettiva sussistenza dei presupposti di legittimita' del sequestro di polizia, e la loro ricorrenza non puo' essere ritenuta solo perche' genericamente e fumosamente affermata dalle stesse forze di polizia. La sentenza n. 252 del 2020 della Corte costituzionale ha chiarito che le esigenze di tutela della liberta' personale e della liberta' domiciliare poste dagli articoli 13 e 14 della Costituzione valgono sia per le perquisizioni repressive di polizia giudiziaria sia per quelle preventive di polizia di sicurezza, e che pertanto non e' giustificata alcuna differenza di disciplina quanto a tutela delle suddette garanzie a seconda che si tratti di perquisizioni dell'uno o dell'altro tipo. Se cosi' e', deve ritenersi che i divieti di utilizzabilita' di determinate fonti di prova parte dal codice di procedura penale, debbano trovare applicazione anche nel caso di perquisizioni disciplinate da leggi speciali; ne consegue che ovviamente le voci correnti nel pubblico, le fonti confidenziali, gli scritti anonimi, nonche' ogni altra fonte di prova espressamente vietata dalla legge, non possono essere poste a fondamento della decisione di procedere a perquisizione; e perquisizioni che in forza di tali elementi siano state decise o disposte, e comunque eseguite, non possono quindi essere convalidate. In relazione a tali perquisizioni, la stessa sentenza ha ribadito l'importanza del controllo giurisdizionale circa il corretto esercizio dei poteri che, in via solo e del tutto eccezionale, la legge riconosce in materia alle forze di polizia; ed ha per tale ragione ritenuto l'illegittimita' costituzionale dell'art. 103, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui la perquisizione sia stata eseguita su autorizzazione orale del pubblico ministero, questi non provveda a formalizzare le ragioni dell'atto con un provvedimento scritto, che la Corte ha individuato nell'atto di convalida, statuendo espressamente che esso debba essere motivato, atteso che la garanzia che la motivazione offre in ordine all'effettivo esercizio da parte dell'autorita' giudiziaria dei poteri di verifica e controllo sull'operato della polizia giudiziaria, e' un momento essenziale dell'atto di convalida. E tuttavia va ribadito che la convalida e' solo uno dei passaggi che realizza il sistema delle garanzie volute dalla Costituzione, la principale delle quali e' la perdita di efficacia delle perquisizioni, ispezioni ed altri atti limitativi della liberta' personale compiuti fuori dei casi in cui la legge lo consente. Per la precisione, la Costituzione connette la perdita di efficacia alla mancanza della convalida, ma cio' ovviamente e' perche' il costituente ha immaginato che una autorita' giudiziaria indipendente non avrebbe mai convalidato un atto limitativo della liberta' personale o della inviolabilita' del domicilio compiuto dalle forze di polizia fuori dei casi in cui la legge glielo consentisse. Come si diceva, a tutela del sistema di garanzie cui si e' fatto cenno, l'art. 13 della Costituzione, che e' sul punto richiamato anche dall'art. 14 in tema di disciplina delle perquisizioni domiciliari, prevede che laddove i provvedimenti limitativi della liberta' personale o domiciliare compiuti dalla polizia non siano comunicati all'autorita' giudiziaria entro quarantott'ore dalla loro esecuzione e da detta autorita' convalidati nelle 48 ore successive, essi «restano privi di ogni effetto». Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia» e' dalla norma costituzionale assegnata non solo alla illegittima esecuzione di atti di arresto o di fermo, ma genericamente e complessivamente al caso dell'adozione dei «provvedimenti» di polizia, in materia di liberta' personale, fuori dei casi previsti dalla legge; e - a meno di voler affermare che il legislatore costituzionale abbia impiegato con imprecisione e scarsa padronanza la lingua italiana - i provvedimenti in questione non possono non essere che tutti quelli contemplati dalla norma stessa, e quindi anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13 della Costituzione tutti ricomprende nell'ambito degli atti che limitano la liberta' personale. Non appare quindi corretta l'interpretazione che voglia limitare la previsione costituzionale della «perdita di efficacia» ai soli provvedimenti soppressivi della liberta' personale, quali l'arresto ed il fermo, atteso che l'art. 13 della Costituzione utilizza una formula omnicomprensiva (i «provvedimenti provvisori» adottabili dalla polizia giudiziaria) che a tutti i provvedimenti da detta norma contemplati risulta riferirsi, come evincibile anche dalla disciplina adottata dall'art. 14 della Costituzione, che espressamente li richiama «nominatim» «ispezioni, perquisizioni o sequestri») prevedendone l'adattabilita' da parte della polizia giudiziaria «secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale». Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel tempo (e di cui la norma costituzionale si e' preoccupata di prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto ad atti di perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti e terminati nella loro esecuzione (come e' necessariamente, dato che ne e' prevista la convalida entro 96 ore al massimo dalla loro esecuzione), e' solo quella che attiene alla loro capacita' probatoria; la sanzione di perdita dell'efficacia equivale quindi a quella - nel linguaggio che il codice di procedura repubblicano ha adottato quarant'anni dopo l'approvazione della Costituzione - della inutilizzabilita' introdotta dall'art. 191 codice di procedura penale per le prove assunte in violazione di un divieto di legge. Il legislatore costituzionale - la cui saggezza e competenza, forgiate dalla dura esperienza della grave compressione dei diritti di liberta' della persona e del domicilio operati dalla dittatura fascista, non possono essere discussi - ha evidentemente considerato che qualsiasi atto di limitazione della liberta' personale possa avere degli effetti pregiudizievoli perduranti nel tempo, ed ha inteso che essi venissero rimossi; non ha operato alcuna distinzione tra i vari atti di limitazione della liberta' personale, e deve pertanto ritenersi che tra di essi abbia chiaramente inteso comprendere anche gli atti di ispezione e di perquisizione; ed anche rispetto a tali atti ha considerato che ne potessero risultare effetti pregiudizievoli ed ha voluto che questi cessassero quando detti atti fossero stati compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei limiti previsti dalla legge costituzionale e dalle leggi ordinarie che ad essa abbiano dato attuazione. Poiche', rispetto ad atti di perquisizione o d'ispezione, l'unico effetto che essi possano produrre dopo che ne e' cessato il compimento, e' quello relativo alla valenza probatoria degli esiti di tali atti, il tribunale ritiene che dagli articoli 13 e 14 della Costituzione si tragga la previsione, per via diretta e senza necessita' di mediazione nella norma processuale, della inutilizzabilita' degli esiti probatori degli atti di polizia compiuti fuori dai casi in cui la legge attribuisce loro il potere di farlo ed in cui, per tale ragione, detti atti non devono essere convalidati. Deve quindi considerarsi che la valenza probatoria di una perquisizione consiste nel rinvenimento, indosso all'imputato o nella sua abitazione, di cose che costituiscono il corpo del reato o sono ad esse pertinenti. La distinzione concettuale tra perquisizione che e' mezzo di ricerca della prova, e sequestro del corpo del reato o cosa pertinente del reato, che acquisiscono al processo una cosa dotata di capacita' probatoria, gia' evidenziata dalle sezioni unite della Cassazione nella piu' volte citata sentenza del 2006, non puo' razionalmente fungere da base all'utilizzabilita' probatoria dei risultati della perquisizione, che sono appunto dati dal sequestro. Come gia' le sezioni unite osservavano, sebbene concettualmente distinti, perquisizione e sequestro formano un binomio il cui scioglimento dissolve la prova, atteso che la cosa in se', oggetto del sequestro, prova al piu' l'esistenza di un reato, ma e' la relazione personale con l'imputato, di svelata dagli esiti della perquisizione, che permette di attribuire quantomeno in via indiziaria il reato all'imputato stesso. Va a tal proposito osservato che la perdita di efficacia probatoria, quale inutilizzabilita' derivata espressamente prevista dal legislatore costituzionale, e' logicamente confermata proprio dalla sua coerenza con la descritta impostazione circa la natura composta della prova formata dal binomio perquisizione e sequestro. Appare quindi da ritenersi che il legislatore costituzionale non abbia a caso parlato di perdita degli effetti anche a proposito della perquisizione, ma anzi che avesse in mente appunto un meccanismo che colpisse di inutilizzabilita' le acquisizioni probatorie illegali perche' compiute in violazione della liberta' personale o della liberta' domiciliare. La giurisprudenza formatasi sull'art. 191 del codice di procedura penale scioglie tale binomio senza coglierne gli effetti di dissoluzione della prova: poiche' il verbale di sequestro documenta anche le circostanze proprie della perquisizione, e su di esse comunque si ammette la deposizione degli operatori di polizia, si ritiene che l'eventuale inutilizzabilita' della perquisizione, e comunque la sua illegalita', non riverberino i propri effetti sulla prova offerta dal sequestro. Dal punto di vista delle garanzie costituzionali, tale sistema appare irrazionale e pertanto contrario alla volonta' del costituente. La perdita di ogni effetto dell'atto di polizia illegalmente compiuto si presenta pertanto necessariamente come previsione di una sanzione di inutilizzabilita' complessiva dell'atto di acquisizione della prova, che riguarda sia l'atto tramite la quale la si e' ricercata, sia l'atto col quale la si e' appresa al processo; e non e' un caso che l'art. 14 della Costituzione preveda la perdita di affetti anche quanto al sequestro, quale conseguenza di una perquisizione domiciliare illegittima. La circostanza che analoga previsione non sia stata dettata per la perquisizione personale non appare particolarmente significativa ai fini interpretativi, spiegandosi col fatto che generalmente, per lo meno all'epoca in cui la Costituzione venne emanata (ed in cui ben presente doveva essere il ricordo delle perquisizioni eseguite dalla polizia e dagli apparati nei confronti degli oppositori del precedente regime alla ricerca di documenti ed altri materiali compromettenti), gli atti di sequestro a delicata valenza probatoria dovevano essere frequenti piu' presso le abitazioni che a seguito di perquisizioni sulla persona. Ritiene quindi il tribunale che l'inefficacia degli atti di perquisizione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi in cui la legge glielo consente dia luogo, per diretta ed espressa previsione costituzionale, alla inutilizzabilita' probatoria degli esiti delle suddette perquisizioni. La questione non e' pertanto piu' solamente quella della incostituzionalita' dell'art. 191 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l'inutilizzabilita' degli esiti della perquisizione illegittimamente eseguita dalle forze di polizia, quanto piuttosto la circostanza che l'art. 191 del codice procedura penale, nella lettura offertane sinora dalla giurisprudenza, non preveda ipotesi di inutilizzabilita' derivata, essendo stata questa la forma di tutela che il legislatore costituzionale ha inteso adottare al fine di dare effettivita' alle garanzie di inviolabilita' della liberta' personale e della liberta' domiciliare. L'art. 191 del codice procedura penale e' pertanto illegittimo costituzionalmente proprio perche' letto nel senso che esso non colpisca anche cio' che deriva dall'atto probatorio inutilizzabile. La cosiddetta «teoria del frutto dell'albero avvelenato», se estranea alla previsione dell'art. 191 codice procedura penale non lo e' per contro al tessuto costituzionale nell'ordito delimitato dagli articoli 13 e 14 della Costituzione. Il principio di effettivita' delle tutele costituzionali relative ai diritti fondamentali della persona, di cui la Repubblica si impegna a garantire il godimento (art. 2 della Costituzione), la circostanza che la Costituzione abbia voluto riconoscere dei diritti definirli inviolabili e garantire il loro libero esercizio e la loro inviolabilita', impone di ritenere che la loro violazione non possa essere per cosi' dire premiata conservando l'utilizzabilita' di quanto illegalmente acquisito. Ne consegue che l'art. 191 del codice di procedura penale e' illegittimo proprio perche' non prevede tra le cause di inutilizzabilita' della prova anche quella di tipo derivativo, allorche' un elemento di prova sia stato acquisito a seguito di un atto di ricerca e/o acquisizione di altra prova, compiuto illegalmente perche' in violazione di un precetto costituzionale. 4.1.b - Inutilizzabilita' derivata - art. 103 del codice di procedura penale. D'altra parte un meccanismo di tal genere, costruito sulla figura dell'inutilizzabilita' derivata, non e' neanche estraneo al sistema ordinario, atteso che il legislatore l'ha introdotto con l'art. 103 del codice di procedura penale, dettato in tema di garanzie di liberta' del difensore, con specifico riferimento agli atti di ispezioni perquisizioni e sequestri alle intercettazioni. La norma in oggetto pone una serie di prescrizioni e divieti che vanno osservati nell'eseguire le perquisizioni presso gli studi dei difensori: prima di tutto un obbligo di informazione al Consiglio dell'Ordine forense, la cui omissione causa la nullita' dell'atto di indagine. Dopodiche' una prescrizione di cautela con la previsione che alla ispezione, alla perquisizione o al sequestro proceda personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice: il che equivale a dire che durante la fase delle indagini il pubblico ministero non puo' procedere ad atti di perquisizione se non dietro autorizzazione del giudice. Di seguito e' posto il divieto del sequestro e di ogni forma di controllo della corrispondenza tra imputato ed il proprio difensore, in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni di cui all'art. 35 delle disposizioni di attuazione; l'unica eccezione e' quella in cui l'autorita' giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato. Il comma settimo dell'art. 103 del codice penale, infine, con norma di garanzia a chiusura del sistema delle cautele che attorniano le perquisizioni presso gli studi dei difensori, stabilisce che i risultati delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri, delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione del disposizioni dettate dai commi precedenti dello stesso articolo, non possono essere utilizzati, e, se si tratta di intercettazioni, vi e' anche il divieto della loro trascrizione, sia pure sommaria. Orbene, la norma in oggetto e' di particolare rilievo, ai fini che qui interessano, atteso che espressamente stabilisce non gia' la mera inutilizzabilita' dei singoli atti di indagine, ma piuttosto, in un'ottica di effettivita' massima delle garanzie accessorie al libero esercizio del diritto di difesa, espressamente dispone la inutilizzabilita' dei «risultati» degli atti (di ispezione, perquisizione, sequestro, intercettazione) compiuti in violazione delle forme e dei limiti previsti dai precedenti commi dell'art. 103 codice di procedura penale. Il legislatore ha quindi disposto che l'inutilizzabilita' probatoria abbia una portata espansiva ad ogni risultato di tali atti, perche' compiuti in violazione delle cautele necessarie a garantire quella liberta' e riservatezza del rapporto tra difensore ed imputato, necessario a dare effettivita' al diritto di difesa. E', questa, la stessa logica che sostiene la disposizione degli articoli 13 e 14 della Costituzione nella parte in cui prevedono che gli atti di perquisizione (per quel che qui interessa), ed in genere quelli di limitazione della liberta' personale e domiciliare, illegali perche' compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi in cui la legge gliela consente, «restano privi di ogni effetto». Se ne deduce che l'inutilizzabilita' derivata, se non gia' contemplata dall'art. 191 c.p.p., non e' comunque un istituto estraneo all'ordinamento giuridico, e puo' quindi fungere da modello su cui la Corte puo' costruire la pronunzia, che questa A.G. chiede, di incostituzionalita' dell'art. 191 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede la figura dell'inutilizzabilita' derivata, e cioe' che l'inutilizzabilita' di un atto di ricerca o acquisizione della prova si trasmetta alle ulteriori acquisizioni probatorie che direttamente ne discendano. Occorre poi prestare particolare attenzione a non farsi trarre in inganno dalla circostanza che negli studi dei difensori sia consentito il sequestro della corrispondenza quando si abbia ragione di ritenere che costituisca corpo del reato. In realta' non si tratta affatto di un'ipotesi utile a sanare una perquisizione illegittima; non e' cioe' un meccanismo analogo a quello delineato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione che sostiene che, anche se la perquisizione e' illegittima, il sequestro del corpo di reato e delle cose pertinenti al reato sia comunque valido ed utilizzabile. La disposizione appena considerata si limita a stabilire che, in deroga al divieto del sequestro della corrispondenza all'interno degli uffici legali, il sequestro e' comunque possibile se ad esserne oggetto sia il corpo del reato; la deroga riguarda quindi unicamente l'individuazione di cio' che e' suscettibile di sequestro, ma non riguarda le forme e cautele poste dall'art. 103 codice di procedura penale al compimento dell'atto. Ne consegue che, se vengono violate le altre disposizioni di garanzia previste dal suddetto art. 103 codice di procedura penale, come ad esempio la necessita' che alla perquisizione proceda direttamente il magistrato e che, durante la fase delle indagini preliminari, vi sia un decreto autorizzativo del giudice, la sanzione della inutilizzabilita' degli esiti era perquisizione ricorrera' lo stesso, anche se ad essere sequestrato sara' il corpo del reato. Come puo' vedersi, pertanto, puo' affermarsi quantomeno che l'inutilizzabilita' derivata non e' un istituto sconosciuto al diritto processuale interno, ed esso puo' utilmente fungere da modello, come gia' detto, su cui la Corte puo' costruire la pronunzia di incostituzionalita' dell'art. 191 codice di procedura penale in accoglimento della presente eccezione. 4.2 - Violazione dell'art. 3 della Costituzione La disciplina delle inutilizzabilita' offerta dall'art. 271 codice di procedura penale con riferimento agli esiti (o «risultati», volendo utilizzare la dizione dell'art. 103 codice di procedura penale) degli atti di perquisizione illegalmente compiuti dalla polizia giudiziaria, appare poi essere deteriore rispetto a quella in via generale prevista da altre disposizioni del codice di procedura penale, si' da integrare una irragionevole disparita' di trattamento di situazioni assimilabili, sotto il profilo della tutela processuale dagli effetti probatori delle loro violazioni. La Corte costituzionale ha ritenuto superata tale eccezione, in base al rilievo assorbente della natura manipolatoria della questione tesa ad introdurre nell'ordinamento la figura della inutilizzabilita' derivata. Riservando al prosieguo della motivazione la riproposizione ragionata delle questioni di incostituzionalita' gia' in precedenza articolate con riferimento all'art. 3 della Costituzione, questo tribunale deve cominciare con l'osservare che l'istituto dell'inutilizzabilita' derivata introdotto dall'art. 103 codice di procedura penale evidenzia anche come il diritto vivente formatosi sull'art. 191 codice di procedura penale sia offensivo del principio di eguaglianza, che impone di non sottoporre a trattamenti irrazionalmente o immotivatamente difformi situazioni tra di loro comparabili. 4.2a - l'art. 103 del codice di procedura penale quale «tertium comparationis» Si e' gia' osservato come il citato art. 103 codice di procedura penale miri, attraverso la sanzione dell'inutilizzabilita', a consentire la liberta' ed effettivita' dell'esercizio del diritto di difesa, garantendo all'imputato la riservatezza delle sue comunicazioni col difensore, che abbiano ad oggetto la sua posizione processuale. Con un meccanismo che appare peraltro essere comune a quello previsto in via generale dall'art. 191 codice di procedura penale, a tal fine si nega qualsiasi riconoscimento all'atto di acquisizione probatoria illegale: per ragioni di coerenza, perche' l'ordinamento non puo' vietare l'atto di acquisizione probatoria, tanto piu' se lesivo di un diritto costituzionale, e poi pero' riconoscergli efficacia di prova, contraddicendo se' stesso; per ragioni «compensative» o limitative del danno, per impedire che l'utilizzazione probatoria dell'atto illegale danneggi ulteriormente chi lo ha subito; e, non da ultimo, per finalita' che potremmo definire di «politica dell'effettivita' delle garanzie costituzionali», atteso che impedire l'utilizzazione probatoria dell'atto di indagine vietato comporta un forte disincentivo al suo compimento da parte degli organi dell'indagine, cosi' garantendo per via indiretta, ma tutt'altro che secondaria, una piu' efficace tutela di tali diritti. Orbene, si e' gia' accennato, nel paragrafo 4 dedicato all'esposizione sintetica delle nuove questioni che si vanno a sollevare, come sia irrazionale una disciplina che, da un lato, introduca con l'art. 103 codice di procedura penale, una tutela di diritti costituzionalmente rilevanti, costruita nel negare ogni legittimita' e validita' probatoria - anche al fine di disincentivarne il compimento da parte degli organi di indagine - agli atti (ed ai loro risultati) di ricerca ed acquisizione della prova compiuti in danno di un diritto che, come quello di difesa che (per quanto di assoluta importanza), ha comunque natura strumentale e servente rispetto alla tutela della liberta' personale, e, dall'altro lato, comporti invece (tramite il diritto vivente formatosi attorno all'art. 191 codice di procedura penale) che la acquisizione di prove mediante la commissione di atti illegali e direttamente offensivi della liberta' personale o dell'inviolabilita' del domicilio sia idonea a produrre comunque effetti probatori pregiudizievoli in danno del soggetto che li abbia subiti ed in favore della parte della pubblica accusa che, rispetto alla polizia giudiziaria, si trovi in posizione sovraordinata (art. 109 Cost; articoli da 55 a 59 codice di procedura penale) e di coincidenza di interesse alla persecuzione dei rei li abbia commessi. E' quindi manifestamente irrazionale una disciplina che assicuri una tutela inferiore, sotto il piano delle garanzie complessive (ivi compreso quello dell'effetto «disincentivante» cui si e' fatto cenno) ai diritti costituzionali, di tutela della persona e della inviolabilita' del domicilio, rispetto a quella apprestata a tutela del diritto di difesa (per la precisazione, quell'aspetto del diritto di difesa che e' dato dalla liberta' e riservatezza delle comunicazioni tra l'imputato ed il suo difensore) che, rispetto ai richiamati diritti, ha natura strumentale se non addirittura servente. L'art. 191 del codice di procedura penale, pertanto, risulta costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'inutilizzabilita' dei risultati delle perquisizioni personali o domiciliari illegalmente eseguite dalla polizia giudiziaria, fuori dei casi in cui la legge glielo consente, per disparita' di trattamento rispetto al caso delle perquisizioni presso gli studi dei difensori. 4.2.b - gli articoli 271 codice di procedura penale e 132 comma 3 codice privacy Cio' detto, e tornando all'esame dei profili di incostituzionalita' dell'interpretazione dominante, questo giudicante deve rilevare che la giurisprudenza formatasi sulla scorta della citata Corte di cassazione SS.UU. 5021/1996 realizza, pertanto, una violazione dell'art. 3 della Costituzione anche nel raffronto con altre ipotesi di inutilizzabilita' specificamente previste dalla legge, in quanto del tutto irragionevolmente ed a fronte di una palese identita' di ratio (come osservato nel par. 4.2.a), nega la conseguenza dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 codice di procedura penale a casi del tutto sovrapponibili ad altri (e per certi versi addirittura meno gravi) per i quali la legge espressamente la prevede: basti pensare, ad es., non solo alle ipotesi di intercettazioni eseguite d'iniziativa dalla polizia giudiziaria e quindi in assenza di decreto motivato dell'A.G. (caso sanzionato di inutilizzabilita' dall'art. 271 codice di procedura penale, avente la medesima ratio dell'art. 191 codice di procedura penale e senz'altro la medesima ratio dell'art. 103 codice di procedura penale e degli articoli 13 e 14 della Costituzione), ma anche al caso dell'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico eseguito senza provvedimento motivato dell'A.G. (prima il pubblico ministero, ora il GIP), ipotesi che le stesse SS.UU. della suprema Corte di cassazione hanno ritenuto dar luogo ad un'ipotesi di inutilizzabilita' della prova perche' acquista in violazione di un divieto di legge (cfr. sez. U, sentenza n. 21 del 13 luglio 1998). 4.2.c - ulteriori violazioni dell'art. 3 della Costituzione Sempre in tema di violazione dell'art. 3 della Costituzione, appare necessario rilevare come tale norma si atteggi a scrigno in cui e' racchiuso e riassunto il principio di necessaria razionalita' dell'ordinamento dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione; razionalita' che risulta gravemente violata dalla corrente interpretazione circa la utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni illegittime; e cio' in quanto che: a) l'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza della illegittimita' della perquisizione sulla utilizzabilita' dei suoi esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ad origine le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30, commi 3 e 4, legge n. 87/1953), e la loro efficacia sospendibile (mediante la sospensione del processo che consegue, ex art. 23, comma 2, legge n. 87/1953, alla proposizione della questione di incostituzionalita') dal giudice ordinario che ne ravvisi un possibile contrasto con le norme costituzionali, ma efficacissimi - e non disapplicabili ne' discutibili dal Giudice - e quindi inattaccabili, anche sotto il profilo probatorio, gli atti di polizia giudiziaria compiuti in violazione dei diritti costituzionali del cittadino; b) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita', inoltre, viola l'art. 3 della Costituzione anche perche', del tutto irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita' di prove che la legge vieta gia' solo in virtu' della loro non verificabilita' (scritti anonimi, fonti confidenziali), mentre la nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi appunto a come l'insondabilita' degli elementi che hanno spinto la polizia giudiziaria alla perquisizione (come detto, una ignota ed insondabile fonte anonima) non consenta di verificare la genuinita' ed affidabilita' della «catena indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i terzi autori della propalazione confidenziale o anonima, o addirittura - come talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze di polizia, ad introdurre nell'abitazione la «res illicita» costituente supposta prova del reato; c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega lo Stato di diritto quale configurato dall'art. 97, comma 3 della Costituzione, che vuole - con norma generale che appare applicabile anche alle definizione dei poteri dell'A.G. e degli organi di polizia - l'azione dei pubblici poteri sottomessa al principio di legalita'; se, come gia' si e' osservato, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi organi sono per primi vincolati al rispetto delle leggi di cui pur pretendono l'osservanza da parte dei consociati, e se cio' comporta non solo l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire l'effettivo rispetto dei diritti che tali leggi prevedono ed attribuiscono, appare innegabile che ammettere l'efficacia - e per di piu' nel processo penale ed in aggressione ai diritti di liberta' - degli atti compiuti dai pubblici poteri in violazione di un divieto, appare negare anche il principio di legalita' di cui all'art. 97 della Costituzione, oltre ad attribuire all'azione illegale degli organi statuali una prevalenza sui diritti costituzionali dei consociati, che appare realizzare, sotto questo profilo, una ulteriore palese violazione dell'art. 3 della Costituzione, in un ordinamento che vuole centrali i diritti inviolabili della persona - e quindi quanto meno gli stessi sullo stesso piano di quelli della collettivita' e dello Stato - ma finisce invece per violare tale condizione di pari importanza per assegnare prevalenza all'interesse alla repressione dei reati; d) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita', inoltre, viola l'art. 3 della Costituzione anche perche', del tutto irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita' di prove che la legge vieta gia' solo in virtu' della loro non verificabilita' (scritti anonimi, fonti confidenziali), mentre la nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi appunto a come l'insondabilita' degli elementi che hanno spinto la polizia giudiziaria alla perquisizione (come detto, una ignota ed insondabile fonte anonima) non consenta di verificare la genuinita' ed affidabilita' della «catena indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i terzi autori della propalazione confidenziale o anonima, o addirittura - come talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze di polizia, ad introdurre nell'abitazione la «res illicita» costituente supposta prova del reato; cosi' evidenziandosi, sotto tale profilo, anche un contrasto con l'art. 24 della Costituzione, per l'evidente limite che la tesi dell'utilizzabilita' pone all'esplicazione del diritto di difesa, introducendo nell'ambito delle prove utilizzabili elementi di cui sia di fatto impossibile verificare approfonditamente la genuinita'. 4.3 - Violazione dell'art. 2 della Costituzione: Principio di effettivita' I limiti fissati dalla legge devono essere necessariamente ritenuti, in ragione della previsione costituzionale che li assiste, come invalicabili e di stretta interpretazione; sicche' deve assolutamente rigettarsi qualsiasi interpretazione che, comunque, si risolva in una vanificazione anche solo di fatto dell'efficacia dei limiti posti al potere di perquisizione ad opera della polizia giudiziaria o della stessa A.G. (ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di tali limiti, ivi compreso quello della motivazione del provvedimento giurisdizionale; o stabilendo l'irrilevanza processuale di tali violazioni), o nella lesione - sia pure mediata - della liberta' personale. Questo tribunale ritiene che consentire l'utilizzazione probatoria degli esiti delle perquisizioni personali o domiciliari eseguite dalla polizia fuori dai casi in cui la legge in via eccezionale attribuisce loro tale potere (e spesso senza che vi sia una convalida motivata in maniera pertinente agli atti e con indicazione delle ragioni per cui le forze di polizia versavano nella condizione eccezionale che riconosceva loro il potere di procedere all'atto di perquisizione), vale a vanificare non solo la tutela, prevista in via generale dagli articoli 13 e 14 della Costituzione, della liberta' personale e domiciliare, ma anche quella specifica che il legislatore costituzionale ha voluto introdurre prevedendo l'inefficacia degli atti limitativi delle suddette liberta' personale e domiciliare. Rinunziandosi alla remora offerta dall'inutilizzabilita' probatoria dei risultati della perquisizione illegale, tali diritti rimangono quindi oggetto di una tutela parziale ed insufficiente, che riposa unicamente sull'eventuale remora offerta dalla responsabilita' penale o disciplinare dell'autore della perquisizione illegale, che - probabilmente anche per la considerevole rarita' dei casi in cui responsabilita' di tal fatta risultano essere state fatte oggetto di una domanda di accertamento giudiziale (ad es., la ricerca sul canale «sentenze penali Corte di cassazione» sul sito Italgiureweb, al sintagma «perquisizione illegale» restituisce solo 15 risultati) - non esplicano adeguata efficacia dissuasiva, attesa la non irrisoria frequenza - gia' solo nell'esperienza di questo tribunale, testimoniata dal numero di casi in cui ha dovuto sollevare l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 191 codice di procedura penale - dei casi in cui le forze di polizia procedono ad atti di perquisizione fuori dei casi consentiti dalla legge. Il diritto vivente formatosi sull'art. 191 del codice di procedura penale appare quindi realizzare una negazione radicale dei principi dello Stato di diritto quale tratteggiato dalla Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3 della Costituzione (come gia' si e' osservato), e piu' in particolare sviluppato dall'art. 2 della Costituzione, in quanto finisce per risolversi nell'assenza di effettive garanzie contro violazioni dei diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali appare senz'altro rientrare quello alla liberta' personale, laddove invece il suddetto art. 2 della Costituzione impone alla Repubblica - anche in adempimento di obblighi internazionali, atteso che i diritti di cui all'art. 2 della Costituzione sono altresi' oggetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che, come in piu' occasioni ricordato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, impone agli Stati aderenti di garantirne l'effettivita' - non solo di riconoscere tali diritti, ma di garantirli. Ed invero, «riconoscere» un diritto significa che l'ordinamento assegna rilevanza giuridica all'esercizio di una o piu' facolta' che costituiscono il contenuto di detto diritto, ed attribuisce il potere di esercitarlo, liceizzando l'uso di tali facolta' ed assegnando, di conseguenza, un diritto di azione a sua tutela; «garantire» un diritto significa che lo Stato tale situazione giuridica non solo riconosce, ma si impegna a tutelare particolarmente, oltre il contenuto minimo della liceizzazione e del riconoscimento del diritto di azione, adottando invece anche le misure che ne assicurino l'effettivita' e lo proteggano preventivamente dalla lesione. Tale particolare protezione non puo' risiedere solo nella previsione di fattispecie di reato (art. 609 del codice penale per le perquisizioni ed ispezioni personali illegali; art. 323 per le perquisizioni domiciliari), atteso che la «protezione penale» e' prevista dallo Stato/legislatore anche a tutela di altri beni interessi giuridici dei quali la Costituzione prevede al piu' - direttamente o indirettamente - il riconoscimento, ma non lo obbliga a garantire il rispetto (si pensi al complesso, ad es., dei reati contro la pubblica amministrazione; a quelli di falso ed in genere contro la fede pubblica; quelli contro la moralita'; quelli contro la famiglia; alla gran parte delle contravvenzioni). Ne consegue che l'obbligo costituzionale di «garantire» un diritto comporta per lo Stato la necessita' di predisporre strumenti ulteriori, a difesa dell'effettivita' del diritto, rispetto a quelli offerti dalla previsione di sanzioni per chi detto diritto violi: il che implica la necessaria adozione di tutte le cautele necessarie non solo a punire, ma prima di tutto a prevenire, e cioe' a proteggere tali diritti scoraggiandone la violazione. In verita', la sanzione dell'inutilizzabilita' probatoria che discenderebbe dall'art. 191 codice di procedura penale (nella lettura che risulterebbe dall'operazione di ortopedia costituzionale che questo Giudicante ritiene necessaria e conforme a quanto statuito dai citati articoli 13 e 14 della Costituzione), nel deprivare di effetti processuali il risultato «probatorio» di tali violazioni, costituisce la prima e piu' efficace forma di garanzia che uno Stato di diritto possa assicurare ai diritti della persona. Ammettere invece che la polizia giudiziaria possa - senza conseguenze sul piano dell'utilizzabilita' probatoria dei risultati di tali atti - procedere a perquisizione fuori dei casi di flagranza e degli altri specifici casi eventualmente previsti dalla legge, o in forza di elementi vaghi, indeterminati, e percio' non verificabili dall'A.G., o da questa convalidata con motivazione apparente, apodittica, incongrua, equivale ad aggirare le cautele che la Costituzione ha preposto a garanzia del corretto esercizio dei poteri dell'A.G., e dell'effettivita' del suo potere di controllo e verifica sugli atti di polizia giudiziaria interferenti con liberta' costituzionalmente garantite. Cio' comporta non solo una violazione del principio di effettivita' di cui all'art. 2 della Costituzione, ma anche una violazione del diritto ad un giusto processo di cui agli articoli 111 e 117 della Costituzione (con riferimento all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali), che postula la possibilita' per l'imputato di verificare la correttezza del processo e la genuinita' degli elementi di prova addotti contro di lui. 4.4 - Violazione dell'art. 24 della Costituzione Cio' si riverbera anche in una violazione dell'art. 24 della Costituzione, per l'evidente compromissione della possibilita' di difendersi dagli esiti probatori di una perquisizione, quando questa sia stata eseguita fuori dei casi consentiti dalla legge per non aver le forze di polizia specificato sulla base di quali elementi (in primo luogo, indicati da chi) essa abbia agito, in un ordinamento che, nell'interpretazione dell'art. 191 codice di procedura penale costituente diritto vivente, non riconnette alcuna rilevanza probatoria all'assenza di tali requisiti iniziali alla omissione, da parte delle forze di polizia, dell'indicazione delle fonti di conoscenza circa la ricorrenza dei requisiti fissati dalla legge per procedere a perquisizioni (cosi' essendo, ad es., l'imputato impossibilitato ad utilizzare quegli elementi difensivi che potrebbero derivargli dalla conoscenza dell'autore della fonte confidenziale, che potrebbe essergli noto come soggetto animato da malanimo, e/o in possesso delle chiavi della sua abitazione, o comunque in grado di accedervi direttamente o tramite terzi, ecc., per lasciarvi la «res» compromettente. 4.5 - Principio di effettivita' e violazione art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - contrasto con gli articoli 2 e 117 della Costituzione Invero, non solo le norme nazionali, costituzionali e di legge ordinaria, impongono che la polizia giudiziaria proceda a perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla legge, e che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte dell'Autorita' giudiziaria. Infatti, l'interpretazione consolidatasi si pone anche in contrasto con l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi in contrasto con l'art. 117 della Costituzione che impone allo Stato italiano il rispetto delle Convenzioni internazionali, in quanto si risolve nel non adottare efficaci disencentivi agli abusi delle forze di polizia, e di qualsiasi organo dello Stato in genere, che, limitando la liberta' della persona, si risolvano in indebite interferenze nella sua vita privata o nel suo domicilio, non giustificate da oggettive necessita' di prevenzione o repressione dei reati. Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta e condivisibile da parte dell'A.G., circa la ricorrenza di ragioni adeguatamente giustificatrici dell'esercizio del potere di perquisizione, va in primo luogo richiamata, per l'assoluta importanza della fonte, che assegna alla decisione rilievo costituzionale ex art. 117 della Costituzione, la sentenza 16 marzo 2017, Modestou contro Grecia, con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo (d'ora in poi per brevita' Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali) ha ritenuto essersi verificata violazione dell'art. 8 Cedu, in un caso in cui era stata eseguita perquisizione presso il domicilio personale e professionale del ricorrente senza alcun controllo giurisdizionale ex ante e sulla scorta di un mandato di perquisizione generico; ne' era stato previsto un immediato controllo giurisdizionale ex post, considerato che la Corte d'appello, adita dal ricorrente, aveva respinto la doglianza non solo piu' di due anni dopo la perquisizione in questione, ma nemmeno indicando neppure i motivi «rilevanti e sufficienti» giustificativi della perquisizione: sentenza dalla quale si trae quindi conferma che, secondo le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella vincolante interpretazione offertane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, l'A.G. debba operare una illustrazione motivata (e condivisibile) delle ragioni della perquisizione, al fine di rendere verificabile la legittimita' dell'esercizio del relativo potere; statuizione che, se vale per le perquisizioni autorizzate dall'A.G., deve a maggior ragione valere per quelle operate direttamente dalla polizia giudiziaria e successivamente convalidate dalla A.G. In ordine all'importanza - per il diritto internazionale pattizio, ai sensi dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - va poi richiamata, per la sua particolare pertinenza rispetto alle questioni proprie del presente processo, anche la sentenza emessa in data 27 settembre 2018 dalla prima sezione Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nel caso Brazzi contro Italia. Con tale ultima sentenza, in particolare, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha osservato che la Convenzione EDU impone che, nell'ambito delle perquisizioni «il diritto interno offra garanzie adeguate e sufficienti contro l'abuso e l'arbitrarieta' (Heino, sopra citata, § 40, e Gutsanovi contro Bulgaria, n. 34529/10, § 220, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2013», garantendo «"controllo effettivo" delle misure contrarie all'art. 8 della Convenzione (Lambert contro Francia, 24 agosto 1998, § 34, Recueil des arrêts et decisions 1998-V», pur osservando che «fatto che una richiesta di mandato sia stata oggetto di un controllo giurisdizionale, non costituisce necessariamente, di per se', una garanzia sufficiente contro gli abusi», di talche' la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto essenziale «esaminare le circostanze particolari del caso di specie e valutare se il quadro giuridico e i limiti applicati ai poteri esercitati costituissero una protezione adeguata contro il rischio di ingerenze arbitrarie delle autorita' (K.S. e M.S. contro Germania, n. 33696/11, § 45, 6 ottobre 2016)». La Corte europea dei diritti dell'uomo pone quindi, in primo luogo, una questione di effettivita' dei diritti assicurati dalla legislazione nazionale: ogni Stato aderente alla Convenzione ha il dovere di assicurare garanzie efficaci contro la violazione dei diritti oggetto della Convenzione. Sulla base di tali premesse concettuali, la Corte europea dei diritti dell'uomo giungeva a ritenere che, allorche' (come, mutatis mutandis, e sostituendo la convalida al provvedimento di sequestro, e' nel caso oggetto del presente processo) la perquisizione venga ordinata dalla Procura in una fase precoce del procedimento penale (si noti che la fonte confidenziale risulta essere l'unico elemento che la polizia giudiziaria abbia avuto a propria disposizione), il rispetto dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali comporta «che una perquisizione effettuata in questa fase deve offrire garanzie adeguate e sufficienti per evitare che venga usata per fornire alle autorita' incaricate dell'inchiesta elementi compromettenti su persone non ancora identificate come sospettate di aver commesso un reato (Modestou contro Grecia, n. 51693/13, § 44, 16 marzo 2017). In tale ordine di idee, la Corte europea dei diritti dell'uomo e' pervenuta ad affermare che lo stesso pubblico ministero dovrebbe richiedere un'autorizzazione ad un Giudice prima di ordinare una perquisizione, o quanto meno l'ordinamento dovrebbe garantire la possibilita' di un controllo post factum, in ordine alla legittimita' della perquisizione; rilevato che l'ordinamento italiano non prevedeva l'autonoma impugnabilita' del decreto di perquisizione in quanto tale (e che, nel concreto, non essendo stato rinvenuto alcun elemento di prova ed adottato alcun provvedimento di sequestro, tale controllo non era stato neanche possibile per via mediata attraverso il riesame di tale genere di provvedimento), la Corte ha quindi ritenuto esservi stata una violazione dei diritti della parte istante. Proseguiva poi la Corte osservando che «l'assenza di un controllo giurisdizionale ex ante puo' essere compensata dalla realizzazione di un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimita' e della necessita' della misura», rammentando, a tal proposito, «di avere ammesso che, in alcune circostanze, il controllo della misura contraria all'art. 8 effettuato dai giudici penali fornisce una riparazione adeguata per l'interessato, dal momento che il giudice procede a un controllo effettivo della legittimita' e della necessita' della misura contestata e, se del caso, esclude dal processo penale gli elementi di prova raccolti (Panarisi contro Italia, n. 46794/99, §§ 76 e 77, 10 aprile 2007, Uzun contro Germania, n. 35623/05, §§ 71 e 72, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2010 (estratti), e Trabajo Rueda contro Spagna, n. 32600/12, § 37, 30 maggio 2017).. ...omissis paragrafi 46-51 ... 52. Vi e' stata dunque violazione dell'art. 8 della Convenzione.» La lettura della sentenza permette quindi di rilevare che, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo con essa manifestatasi: a) la perquisizione costituisce un'ingerenza nella vita privata e nella liberta' domiciliare della persona; b) tale ingerenza e' legittima solo se giustificata dalla ricorrenza di preesistenti elementi indiziari o di sospetto che indichino, nel destinatario della perquisizione, l'autore di un reato le cui tracce possano essere reperite mediante perquisizione domiciliare; c) l'ordinamento interno deve assicurare validi ed efficaci strumenti che garantiscano l'effettivita' del rispetto dei diritti (tra cui l'inviolabilita' del domicilio) tutelati dalla Convenzione; d) l'ordinamento interno deve assicurare validi ed efficaci strumenti di controllo che assicurino almeno una verifica ex post in ordine alla effettiva ricorrenza delle condizioni legittimanti l'ingerenza suddetta; e) tra tali strumenti di controllo e tutela ex post, ove altri non siano stati attivabili o non abbiano concretamente operato, deve essere ricompresa l'esclusione degli esiti della perquisizione dal materiale probatorio utilizzabile. Ne consegue che: 1) se il pubblico ministero emette un decreto di convalida privo di effettiva motivazione circa la ricorrenza delle condizioni di legalita' per l'esecuzione della perquisizione, tale decreto, non costituendo cio' garanzia dell'effettivo esercizio di un potere di controllo circa la ricorrenza dei presupposti legittimanti la perquisizione ad opera delle forze di polizia, non vale a renderla legittima; 2) le fonti confidenziali, ed a maggior ragione gli anonimi, in quanto non verificabili e quindi insuscettibili di controllo ex ante, non possono essere utilizzate per disporre perquisizioni; 3) laddove una perquisizione sia stata eseguita fuori dei casi consentiti dalla legge (e quindi anche quando eseguita in virtu' di elementi non verificabili o insufficienti a giustificarla), il giudice penale debba escludere dal novero degli elementi probatori utilizzabili quelli acquisiti mediante la suddetta perquisizione. Pertanto, anche alla luce dei principi di cui all'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, «costituzionalizzati» per il tramite della disposizione dell'art. 117 della Costituzione, la perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria illegalmente perche' fuori dei casi di flagranza o degli altri casi previsti da leggi speciali, o in virtu' di quanto riferito da fonte confidenziale o anonima ed in assenza, peraltro, di provvedimento di convalida dotato di effettiva e concreta motivazione, non e' consentita, ed i suoi esiti («risultati», secondo la terminologia dell'art. 103 codice di procedura penale, gia' utilizzato come «tertium comparationis») devono essere ritenuti inutilizzabili; la lettura dell'art. 191 codice di procedura penale offerta dal diritto vivente, come cristallizzato nelle sentenze gia' richiamate, lo esclude, e cio' la rende incostituzionale. I principi espressi dalla gia' menzionata sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel processo Brazzi contro Italia non appaiono isolati; ed invero, essi non solo appaiono sviluppo dell'altra precedente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, gia' citata, ma risultano, a loro volta, aver avuto coerente sviluppo in ulteriori pronunzie, tra le quali puo', ad es., citarsi, perche' la piu' recente, la sentenza del 16 febbraio 2021 seconda sezione nel caso: Budak contro Turchia, numero del ricorso: 69762/12, rilevante perche', nel caso di una perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria su mandato del giudice, ma senza la presenza di due testimoni richiesta dal codice di procedura turco per l'ipotesi in cui alla perquisizione non partecipi un pubblico ministero ("prosecutor"), ha ritenuto la procedura concretamente eseguita «unlawful» (illegale), e violato l'art. 8 della Convenzione non solo perche' la perquisizione non era stata eseguita nelle forme e nei casi previsti dalla legge (nazionale), ma anche perche' i giudici nazionali avevano ignorato le doglianze sul punto dell'imputato, che ricordava che sia l'art. 38 §6 della Costituzione turca che l'art. 206 §2 del codice di procedura penale turco stabilissero il divieto di utilizzare le prove raccolte nel corso di perquisizioni illegali, e su questa doglianza non era stata data risposta. Si noti che la Corte europea dei diritti dell'uomo, sullo specifico punto, non affronta tanto il tema del rispetto dei principi del giusto processo di cui all'art. 6 della Convenzione EDU (a tal proposito, la Corte osservava che la sua giurisprudenza ai sensi dell'art. 6 della Convenzione non esclude automaticamente l'uso, da parte dei giudici nazionali, di prove che possono essere considerate «illecite» ai sensi delle disposizioni di diritto interno), ne' quello della legittimita' della perquisizione secondo il diritto interno, ma proprio il tema della violazione dell'art. 8 e dei rimedi che ad essa le Corti nazionali devono offrire perche' vi sia effettivita' della tutela dei diritti stabiliti dalla Convenzione; e ritiene violata la norma convenzionale perche' i giudici non si erano pronunziati sull'esclusione della prova acquista in violazione della convenzione, oltre che della legge interna. 4.6 - Principio di effettivita' e violazione art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - contrasto degli articoli 352 e 125 comma 3 del codice di procedura penale con gli articoli 2, 111 comma 6 e 117 della Costituzione Ed invero, la sentenza del 16 febbraio 2021 seconda sezione nel caso: Budak contro Turchia offre ulteriori spunti di riflessione in ordine ai riflessi processuali che il principio di effettivita' (che tutta la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo indica come immanente al sistema della Convenzione) deve avere nei suoi risvolti processuali: in forza di tale ultima sentenza, deve affermarsi che la mancata predisposizione di un'architettura processuale che doti il sistema giudiziario degli strumenti necessari a tutelare, in sede processuale, l'imputato che lamenti lesioni dei suoi diritti fondamentali relativi all'inviolabilita' della sua liberta' personale e domiciliare, integri non solo una violazione dell'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (per quel anche una violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, perche' l'imputato ha diritto ad ottenere una risposta imparziale alle sue doglianze circa le violazioni subite ed ai riverberi che esse devono avere sulla utilizzabilita' delle prove acquisite in violazione dei diritti tutelati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Infatti, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la menzionata sentenza del 16 febbraio 2021 seconda sezione caso: Budak contro Turchia, numero del ricorso: 69762/12, richiamando numerosi casi della propria giurisprudenza, ha anche statuito la necessita' che le tutele accordate dagli ordinamenti nazionali, ivi compresi i controlli giurisdizionali, siano effettive, e tali da garantire che i diritti stabiliti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali non siano meramente apparenti o illusori, ma pratici ed effettivi; in particolare, con la menzionata sentenza (cfr. par. 72 e 73) ha statuito che nelle cause relative all'ingerenza nei diritti garantiti dalla Convenzione, la Corte intende stabilire se le motivazioni addotte per le decisioni fornite dai giudici nazionali siano meramente apparenti, perche' «automatiche» o stereotipate (richiamando in proposito, mutatis mutandis, Paradiso e Campanelli contro Italia [GC], n. 25358/12, § 210, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2017). 73. Tenuto conto del principio secondo cui la Convenzione mira a garantire non diritti teorici o illusori, ma diritti pratici ed effettivi, il diritto a un equo processo non puo' essere considerato effettivo a meno che le richieste e le osservazioni delle parti non siano veramente «ascoltate», vale a dire adeguatamente esaminate dal tribunale (v. Ilgar Mammadov contro Azerbaigian (n. 2), n. 919/15, § 206, 16 novembre 2017; Carmel Saliba contro Malta, n. 24221/13, § 65, 29 novembre 2016 con ulteriori riferimenti in esso; e Fodor contro Romania, n. 45266/07, § 28, 16 settembre 2014). Nell'esaminare l'equita' dei procedimenti penali, la Corte ha anche dichiarato in particolare che, ignorando un punto specifico, pertinente e importante sollevato dall'imputato, i tribunali nazionali si manifestano non all'altezza dei loro obblighi ai sensi dell'art. 6 § I della Convenzione (vedi Zhang contro Ucraina, n. 6970/15, § 61, 13 novembre 2018, e Nechiporuk e Yonkalo contro Ucraina, n. 42310/04, § 280, 21 aprile 2011). Il tema che quindi rileva non e' solo quello relativo all'illegittimita' costituzionale dell'art. 191 codice di procedura penale nella parte in cui non prevede, tra le ipotesi di inutilizzabilita', anche quelle consistenti in «inutilizzabilita' derivate», ma anche quello relativo alle conseguenze che, sul materiale probatorio, debba avere, in termini di inutilizzabilita', non solo l'ipotesi - rara - di mancanza o rigetto della convalida, ma principalmente quello della convalida inadeguata, perche' priva di una motivazione concreta - per l'impossibilita' di rinvenire elementi, tra quelli in atti, idonei a fondarla - in ordine alla ricorrenza dei presupposti legittimanti l'iniziativa della polizia giudiziaria nel compimento di un atto limitativo della liberta' personale o domiciliare. Va ritenuto che non solo nel disegno costituzionale, ma anche in quello della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sia quindi delineato uno Stato di pieno diritto, retto dal principio di legalita', con limiti ai poteri non solo della polizia giudiziaria, ma anche della stessa A.G. (tra i quali la riserva di legge e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti), e previsione di garanzie giurisdizionali a verifica e controllo del modo e dei casi in cui le forze di polizia usino dei loro poteri, al fine di evitarne l'abuso; in tale sistema non possano essere tollerate deroghe ai presupposti di fatto e requisiti di forma, richiesti dalla Costituzione e dalla Convenzione EDU, ne' degli atti delle forze di polizia ne' dei provvedimenti dell'A.G., ne' sussistere limiti alla verifica giurisdizionale della correttezza dell'operato della polizia giudiziaria Ammettere quindi che la polizia giudiziaria possa procedere a perquisizione fuori dei casi di flagranza e degli altri specifici casi eventualmente previsti dalla legge, in forza di elementi vaghi, indeterminati, e percio' non verificabili dall'A.G., o da questa convalidata con motivazione apparente, apodittica, incongrua, equivale ad aggirare le cautele che la Costituzione ha preposto a garanzia del corretto esercizio dei poteri dell'A.G., e dell'effettivita' del suo potere di controllo e verifica sugli atti di polizia giudiziaria interferenti con liberta' costituzionalmente garantite. Inoltre, il tribunale aveva altresi' sollevato questione di incostituzionalita' dell'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, nella parte in cui consentiva che il pubblico ministero possa autorizzare verbalmente tale genere di perquisizioni senza provvedere successivamente a documentare le ragioni su cui avesse fondato tale provvedimento, che gli articoli 13 e 14 Cost. vogliono invece motivato; e tale questione e' stata accolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 252/2020. Residua tuttavia irrisolto il problema di quale debba essere la disciplina nel caso in cui la convalida manchi, o sia stata negata o, ancora, sia stata emessa, ma sia priva di una motivazione che dia contezza dell'effettivita' del controllo operato dal pubblico ministero in ordine all'effettiva ricorrenza dei presupposti che la legge stabilisce perche' la polizia giudiziaria possa procedere a perquisizioni. E' bene poi ulteriormente precisare che l'art. 13 della Costituzione riconnette la conseguenza delle perdita di efficacia degli atti di polizia, alla circostanza che essi non vengano convalidati dall'A.G. in un termine dato; e tuttavia, si ricorda, causa dell'inefficacia dell'atto limitativo della liberta' personale o domiciliare, ai sensi degli articoli 13 e 14 della Costituzione, non e' tanto la mancata convalida, quanto la circostanza che detti atti siano stati compiuti dalle forze di polizia fuori dei casi di necessita' ed urgenza in cui la legge li consente, dato che e' per tale ragione che la convalida difettera'. La convalida non svolge quindi una funzione «sanante» a discrezione dell'A.G., ma opera una concreta verifica circa l'effettiva ricorrenza dei presupposti per l'attivita' compiuta dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e risoltasi in atti invasivi della liberta' personale o domiciliare; ed il legislatore costituzionale ha inteso, e dato per scontato, che in mancanza di tali presupposti, la convalida non verra' emessa. La ratio della norma costituzionale sarebbe quindi senz'altro frustrata se fosse sufficiente che il provvedimento di convalida si risolvesse in una pura forma non esprimente un effettivo controllo circa la legalita' dell'atto di polizia giudiziaria; di qui la prescrizione (a parere di questo Giudice, condiviso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 252/2020, evincibile dal comma 2 dell'art. 13 della Costituzione, come si e' gia' osservato) che anche l'atto di convalida debba essere motivato, poiche' e' solo con un atto avente tali caratteristiche che l'art. 13 della Costituzione consente che l'A.G. incida sulla liberta' personale. E' quindi ovvio che, nel sistema delineato dall'art. 13 della Costituzione, la convalida operi in quanto espressione di un effettivo potere di verifica in ordine alla concreta ricorrenza dei presupposti legali di esecuzione della perquisizione personale (non e' un caso, ad es., che lo stesso art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 prevede, come peraltro e' ovvio, che l'A.G. convalidera' la perquisizione «ove ne ricorrano i presupposti»), e non sia sufficiente un mero provvedimento di convalida assolutamente immotivato sulla ravvisabilita' della situazione legittimante la perquisizione, personale o domiciliare. Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato che l'art. 13 della Costituzione ricollega la salvezza degli effetti dell'operato della polizia giudiziaria, ne consegue che, sebbene le nullita' degli atti per difetto di motivazione siano generalmente rilevabili solo su eccezione di parte, in questo caso debba invece ritenersi che la ricorrenza di un atto di convalida adeguatamente motivato, nella sua funzione costituzionale di salvezza degli effetti dell'atto di polizia giudiziaria che abbia inciso su diritti inviolabili (cosi definiti dagli articoli 13 e 14 della Costituzione), sia un elemento della fattispecie costituzionale «sanante» la cui ricorrenza debba essere verificata d'ufficio. Sebbene non possa contestarsi che «inviolabile» non voglia automaticamente significare «indisponibile», nemmeno puo' tuttavia negarsi che prevedere, per i casi in oggetto, una nullita' solo relativa, e quindi dichiarabile solo su eccezione di parte (e da questa quindi esplicitamente o implicitamente rinunziabile), non garantirebbe adeguatamente i diritti che la Costituzione (e la Convenzione EDU) ha voluto riconoscere in termini di assoluta e fondamentale rilevanza, quali cardini del sistema democratico, ed assegnando allo Stato il compito di garantirne l'effettivita'; la eccepibilita' delle nullita' relative e' invero sottoposta a tempi e cadenze che richiedono alla parte notevole diligenza, e che si giustificano solo con la natura «minore» di tali nullita', perche' riguardanti violazioni di scarsa importanza o gravita' ai fini del corretto processo. Anche in questo caso, laddove si volesse ritenere che non possa essere rilevata di ufficio la nullita' della motivazione del provvedimento con cui l'A.G. «sani» un atto compiuto dalla pubblica autorita' (la polizia giudiziaria) in violazione di un diritto del cittadino che la Costituzione definisce inviolabile (laddove tale inviolabilita' e' posta in primis proprio a tutela del cittadino da abusi dei pubblici poteri, come quelli propri del periodo fascista di cui la Costituzione e' reazione e difesa contro il suo ripetersi) introdurrebbe un trattamento illogicamente deteriore rispetto a quello che e' dettato, in tema di nullita', per l'omessa citazione dell'imputato, che costituisce una nullita' assoluta, pur se incidendo sull'esercizio di un diritto, quale quello di difesa, che gia' si e' osservato avere natura strumentale, se non servente, rispetto a quelli che la Costituzione pure definisce inviolabili (come quello di difesa). E' poi necessario che il Giudice possa verificare che, a prescindere da quanto eventualmente affermato col provvedimento di convalida (si pensi ad es. all'ipotesi di una motivazione non pertinente alle ragioni giustificatrici della perquisizione, perche' tutta costruita sulla legittimita' del sequestro della res perche' corpo del reato, come e' nel caso in oggetto; o ad una motivazione non aderente ai dati fattuali emergenti dagli atti; o che da questi tragga conclusioni assolutamente illogiche o assolutamente non giustificate), ricorressero effettivamente i presupposti perche' la polizia giudiziaria esercitasse i suoi poteri previsti in via del tutto eccezionale. Cio' comporta una violazione del principio di effettivita', ma anche del diritto ad un giusto processo, che postula la possibilita' per l'imputato di verificare la correttezza del processo e la genuinita' degli elementi di prova addotti contro di lui. In relazione a tali principi, non appare manifestamente infondata la questione di incostituzionalita', per contrasto con gli articoli 2, 13, 14 e 111 comma 6 della Costituzione, dell'art. 352 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il decreto di convalida della perquisizione debba essere motivato (tale necessita', pur affermata in parte motiva dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 252/2020, non e' stata riprodotta in dispositivo, e tale assenza potrebbe condurre ad incertezze applicative); e del contrasto dell'art. 125, comma 3 codice di procedura penale con le stesse norme costituzionali, nella parte in cui non prevede che la nullita' del decreto di convalida della perquisizione sia assoluta e rientri tra quelle considerate dall'art. 179, comma 2 del codice di procedura penale. Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto conseguente, che, a fondamento della legittimita' di una perquisizione, e dell'utilizzabilita' dei suoi esiti, debba essere necessario che l'A.G. abbia effettivamente preventivamente e con atto motivato autorizzato la perquisizione, o, successivamente, e sempre con atto motivato, verificato la ricorrenza della condizione di flagranza (o altra situazione prevista da norma speciale), che legittimi l'esercizio dei poteri di accesso domiciliare o perquisizione personale in capo alla polizia giudiziaria; in caso contrario si avrebbe - oltre che degli articoli 13 e 14 della Costituzione - una violazione degli articoli 111 e 117 della Costituzione (con riferimento all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo) essendo solo apparente la possibilita' di godere dell'esame di un giudice imparziale ed indipendente, laddove questo Giudice non abbia un adeguato potere di verifica delle circostanze costituenti elementi a carico dell'imputato. 4.6.a - Illegittimita' del sequestro e della convalida basati su fonti non specificate E' bene quindi sottolineare che interpretazioni che ammettano, a presupposto degli atti di perquisizione, elementi probatori particolarmente deboli o inutilizzabili, vadano ad incidere, fino a vanificarle, sulle tutele che la Costituzione appresta alla liberta' personale ed all'inviolabilita' del domicilio, materie che appaiono essere invece siano uno dei punti qualificanti dell'effettivita' di uno Stato di diritto, come disegnato dalla Costituzione e dalla Convenzione EDU, nelle quali fonte normative superiori il riconoscimento di diritti fondamentali della persona e' necessariamente accompagnato dalla previsione di un Giudice non solo imparziale ed indipendente, ma anche dotato degli strumenti di verifica e controllo atti ad assicurarne l'effettiva tutela. Peraltro, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi organi sono per primi vincolati al rispetto delle leggi di cui pur pretendono l'osservanza da parte dei consociati, e cio' comporta non solo l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire l'effettivo rispetto dei diritti che tali leggi prevedono ed attribuiscono; effettivita' che la Costituzione appare voler perseguire con l'inutilizzabilita' («inefficacia» nel linguaggio costituzionale) degli atti illegittimamente compiuti in violazione di tali liberta'. Ammettere il compimento di atti lesivi della liberta' personale o domiciliare tramite il ricorso a prove od indizi non verificabili perche' non indicati (anonimi, voci confidenziali) impedisce l'esercizio del diritto di difesa e limita il diritto ad un giusto processo. Peraltro, gia' nella giurisprudenza della Corte di cassazione si rinvengono pronunzie che statuiscono la nullita' del decreto di perquisizione emesso dal pubblico ministero in base a notizie confidenziali o denunzie anonime: sez. 6, sentenza n. 34450 del 22 aprile 2016, che ha statuito che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reita'. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l'attivita' di iniziativa del P.M e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili per l'individuazione di una "notitia criminis"». (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto legittimi l'attivita' di perquisizione ed il sequestro di un telefono cellulare e di materiale informatica eseguiti a seguito di un'attivita' investigativa, avviata sulla base di una denuncia anonima, nel corso della quale era emersa la pubblicazione in rete di numerosi post a contenuto diffamatorio pubblicati mediante l'account creato sul social network facebook a nome dell'imputato, indagato in relazione ai reati di cui agli articoli 278, 291 e 214 cod. pen). sez. 6, sentenza n. 36003 del 21 settembre 2006, che ha statuito che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reita'. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l'attivita' di iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili per l'individuazione di una "notitia criminis".» (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che la polizia giudiziaria aveva legittimamente proceduto alla perquisizione di un'autovettura e al conseguente sequestro di sostanza stupefacente, dopo aver avviato, a seguito di una denuncia anonima, un'indagine sul posto attraverso la quale aveva acquisito la notizia di reato). sez. 5, ordinanza n. 37941 del 13 maggio 2004, che ha statuito che: «Il decreto di perquisizione e sequestro emesso a seguito di denuncia anonima, ed utilizzato come mezzo di acquisizione di una "notitia criminis" e non come mezzo di ricerca della prova, e' nullo. Infatti la denuncia confidenziale o anonima, che non e' inseribile agli atti e non e' utilizzabile, non puo' essere qualificata come una notizia di reato idonea a dare inizio alle indagini preliminari, cosicche' l'accusa non puo' procedere a perquisizioni, sequestri ed intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di reita'.» La suprema Corte ha altresi' avuto modo di osservare che, ovviamente, anche la polizia giudiziaria - laddove norme di legge le attribuiscano il potere di eseguire perquisizioni fuori dei casi di flagranza - e' tenuta al preciso rispetto dei presupposti posti da tali norme, e non puo' operare sulla base di meri sospetti: sez. 6, sentenza n. 40952 del 15 giugno 2017, che ha statuito che «E' configurabile l'esimente della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza ad un pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il suo domicilio una perquisizione finalizzata, ai sensi dell'art. 4 legge 22 marzo 1975, n. 152, alla ricerca di armi e munizioni fondata su meri sospetti e non su dati oggettivi certi, anche solo a livello indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel luogo in cui viene eseguito l'atto.» (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la mancata convalida dell'arresto per il reato previsto dall'art 337 cod. pen, all'imputato per essersi opposto alla perquisizione disposta dopo la contestazione di una contravvenzione al codice stradale, senza che fossero emersi indizi significativi circa il possesso di armi o di oggetti atti ad offendere); Si rinvengono quindi una serie di pronunzie della suprema Corte che, a parere di questo giudicante, rispondono pienamente ai principi costituzionali e convenzionali nella individuazione del minimum probatorio necessario a rendere legittima una perquisizione; tuttavia, non se ne traggono le dovute conseguenze in tema di utilizzabilita degli esiti delle perquisizioni operate al di fuori dei presupposti di legge. Cio' appare in contrasto con gli articoli 2 della Costituzione (principio di effettivita', negato dal ricorso a fonti non verificabili) e 111 della Costituzione - 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (diritto ad un giusto processo, anch'essi negati dal ricorso a fonti non verificabili).