TRIBUNALE ORDINARIO DI LAGONEGRO 
 
 
                           Sezione Penale 
 
    Il giudice monocratico, dott.  Filippo  Lombardi,  alla  pubblica
udienza del 14 gennaio 2022, nel procedimento in  epigrafe  indicato,
nei confronti di C. F., nato a ... (...) il ..., ivi  residente  alla
... n. ..., elettivamente domiciliato presso  lo  studio  legale  del
difensore; libero, presente,  difeso  di  fiducia  dall'avv.  Antonio
Palazzo del Foro di Matera, sostituito  per  delega  orale  dall'avv.
Giuseppe Di Matteo del Foro di Matera; 
    sentite le conclusioni formulate all'odierna udienza dalle parti,
che concordemente hanno chiesto l'assoluzione dell'imputato; 
    a scioglimento  della  riserva  assunta,  pronuncia  la  seguente
ordinanza di rimessione, d'ufficio, alla Corte  costituzionale  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 2,  prima
parte, legge n. 110/1975 (art. 23 legge n. 87/1953). 
    l. Le parti hanno  concluso  all'udienza  del  14  gennaio  2022,
chiedendo concordemente l'assoluzione dell'imputato perche' il  fatto
non sussiste. 
    Il presente procedimento verte in materia di porto ingiustificato
di una roncola.  (1) 
    Nello specifico, alle ore ... circa  del  ...,  l'imputato,  alla
guida  di  un'auto  intestata  ad  un  terzo,  veniva   fermato   dai
verbalizzanti  in  zona  periferica  di  (...)  (2)  e  sottoposto  a
controllo del veicolo; nel bagagliaio, veniva rinvenuta  una  roncola
lunga 40 cm, con 10 cm di manico,  conservata  in  una  sacca  grigia
chiusa con un laccio, immediatamente riscontrabile appena  aperto  il
cofano della vettura. 
    Viene contestato all'imputato il reato ex art. 4, comma 2,  prima
parte,  legge  n.  110  del  1975,  atteso   che,   nell'arco   della
perquisizione, costui non giustificava adeguatamente  il  motivo  del
porto, affermando soltanto che la roncola gli serviva per  lavori  in
campagna; (3) tuttavia, egli non veniva trovato in possesso di  altri
strumenti od oggetti  pure  idonei  all'attivita'  agricola,  ne'  in
abbigliamento da lavoro, ne'  mostrava  documenti  o  altri  elementi
giustificativi o di  riscontro (4) 
    2.  Questo  giudice  dubita  della  legittimita'   costituzionale
dell'art. 4, comma 2, prima parte,  (5)   della  legge  n.  110/1975,
poiche' non richiede ai fini  della  punibilita'  -  diversamente  da
quanto statuito nella seconda parte del comma (6) -  la  presenza  di
«circostanze di tempo e di luogo» che lascino presagire l'offesa alla
persona; in  questi  termini  la  norma  incriminatrice  si  pone  in
conflitto con gli articoli  3,  25  comma  2  e  27  comma  3,  della
Costituzione. 
    2.1. Sul piano della rilevanza della questione per il giudizio in
corso, si osservi che, laddove dovesse  richiedersi,  ai  fini  della
responsabilita' penale, la presenza  delle  suddette  circostanze  di
tempo e di  luogo  a  corredo  del  porto  ingiustificato,  l'odierno
imputato C. F. andrebbe assolto,  tenuto  conto  che  la  roncola  in
contestazione veniva portata dall'imputato a bordo dell'auto  su  cui
viaggiava, racchiusa  in  una  sacca  a  propria  volta  situata  nel
portabagagli, pertanto in una posizione tale da  non  consentirne  il
pronto uso, e l'accertamento veniva eseguito, nel pomeriggio, su  una
strada che conduceva alla periferia del  paese,  cosi'  da  inferirne
l'assenza di circostanze di fatto fortemente evocative del rischio di
aggressione a persone. 
    In  caso  contrario,  emergerebbe   la   responsabilita'   penale
dell'imputato. 
    Giova infatti richiamare i principi giurisprudenziali secondo cui
il motivo puo' intanto reputarsi giustificato in quanto sia  espresso
al  momento  del  controllo  e  in  maniera  specifica,  in  modo  da
consentire alla polizia giudiziaria adeguate verifiche in merito alla
sua fondatezza. Non puo', dunque, ne' reputarsi validamente  espresso
un motivo genericamente articolato (arg.  ex  Cassazione,  sez.  VII,
ordinanza 13 ottobre 2021, dep. 26  novembre  2021,  n.  43844),  ne'
ritenersi integrabile o deducibile  il  motivo  generico  od  omesso,
mediante  postume  allegazioni  difensive   o   prove   a   discarico
(Cassazione, sez. VII, 13 ottobre 2021, dep.  26  novembre  2021,  n.
43844; Cassazione sez. I,  30  gennaio  2019,  n.  19307,  in  C.E.D.
Cassazione, n. 276187; conf. Cassazione sez. I,  15  marzo  2019,  n.
16376; Cassazione sez. I, 12 settembre 2017, n. 3822; Cassazione sez.
I, 26 febbraio 2013, n. 18925, in C.E.D. Cassazione, n. 256007). 
    Tali  principi  appaiono  rispondenti   alla   presente   vicenda
giudiziaria. Nel caso di specie, infatti, l'imputato, al momento  dei
controlli di polizia, si e' limitato a riferire che  la  roncola  gli
serviva per  lavori  in  campagna,  senza  indicare  alcun  ulteriore
elemento utile al vaglio di affidabilita' della giustificazione resa;
successivamente, in sede di istruttoria dibattimentale, ha  veicolato
prove testimoniali a suffragio. 
    Queste ultime appaiono pertanto intempestive  e,  a  tutto  voler
concedere,  comunque  insufficienti  a  spiegare  il  possesso  dello
strumento da parte dell'imputato al momento del controllo di polizia,
atteso che in nessuna delle deposizioni testimoniali  e  delle  fonti
documentali  emerge  con  dirimente   precisione   che   nel   giorno
dell'accertamento  l'imputato  avesse  appena  utilizzato  o  dovesse
utilizzare l'oggetto alloggiato nel veicolo, ma soltanto che  costui,
nell'anno 2018, svolgesse alle dipendenze  di  un  datore  di  lavoro
(sentito quale  teste  della  difesa)  delle  mansioni  astrattamente
compatibili con lo strumento rinvenuto. 
    Ne' le prove assunte a discarico sono idonee a spiegare  perche',
in sede di controllo, fosse impossibile per l'imputato  -  per  cause
non  riferibili  alla   sua   sfera   di   dominio -   circostanziare
ulteriormente  il  motivo  addotto  o  renderlo  affidabile  mediante
allegazione di elementi obbiettivi a supporto (cfr. Cassazione,  sez.
I, 2 aprile 2021, dep. 6 luglio 2021, n. 25654). 
    Inoltre, sarebbe corretta la qualificazione giuridica del  fatto,
atteso che,  anche  nell'ipotesi  di  porto  di  arma  impropria  nel
bagagliaio di una  autovettura,  la  giurisprudenza  di  legittimita'
ritiene configurato il reato di cui all'art. 4, comma  2  legge  cit.
(Cassazione, sez. I, 12 febbraio 2019, dep. 28 marzo 2019, n.  13630,
in C.E.D. Cassazione, n. 275242). 
    Nella presente vicenda giudiziaria l'innesto letterale costituito
dalle «circostanze di tempo e di luogo» segnerebbe, a giudizio  dello
scrivente, la linea di demarcazione  tra  la  punibilita'  e  la  non
punibilita'  dell'imputato;  pertanto,  si   ritiene   rilevante   la
questione ai fini della decisione del presente giudizio. 
    2.2. La questione, a giudizio  del  rimettente,  e'  inoltre  non
manifestamente infondata. 
    Si consentano in primo luogo un  suo  inquadramento  normativo  e
alcune riflessioni preliminari sul piano dogmatico. 
    La legge n. 110 del 1975, all'art. 4, disciplina sia il porto  di
armi proprie nella logica di raccordo con le altre normative  vigenti
in materia (es. art. 699, codice penale e articoli 4 e  7,  legge  n.
895 del 1967), sia il porto degli altri oggetti  atti  ad  offendere,
c.d.  armi  improprie,  stigmatizzando  i  due  fenomeni  ad   alcune
condizioni e secondo una precisa gradazione (sul  punto,  Cassazione,
sez. I, 11 marzo 2010, dep. 31 marzo 2010, n. 12510). 
    In particolare, il primo comma annovera armi e strumenti ad  esse
assimilati, destinati per vocazione naturale all'offesa alla persona,
vietandone il porto in maniera  assoluta  qualora  l'agente  non  sia
autorizzato ai sensi dell'art. 42 T.u.l.p.s.: armi, mazze  ferrate  o
bastoni ferrati,  sfollagente,  noccoliere,  storditori  elettrici  e
altri strumenti che erogano una elettrocuzione (Cassazione,  sez.  I,
20 luglio 2016, dep. 5 maggio 2017, n. 21780). 
    Il secondo comma del medesimo articolo, sebbene redatto senza una
netta soluzione di continuita', a ben vedere regola  due  fattispecie
dotate ciascuna di proprie peculiarita'. 
    Nella prima parte viene vietato  il  porto,  al  di  fuori  della
propria abitazione o delle relative  pertinenze,  di  «[...]  bastoni
muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio  atti  ad
offendere, mazze, tubi, catene,  fionde,  bulloni,  sfere  metalliche
[...]», laddove non sostenuto da un giustificato motivo. Per tale, si
intende  ogni  esigenza   dell'agente   che   risulti   perfettamente
corrispondente  a  regole  comportamentali  lecite  relazionate  alla
natura dell'oggetto, alle modalita' di verificazione del fatto,  alle
condizioni soggettive del portatore,  ai  luoghi  dell'accadimento  e
alla normale funzione dell'oggetto (Cassazione sez. IV,  14  novembre
2019, dep. 9 dicembre  2019,  n.  49769,  in  C.E.D.  Cassazione,  n.
277878). 
    Nella seconda parte, e' vietato  il  porto,  al  di  fuori  della
propria abitazione o delle relative pertinenze, di  «[...]  qualsiasi
altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da
taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di  tempo  e  di
luogo, per l'offesa alla persona». 
    Il porto di tali strumenti, identificabili in via  residuale,  e'
vietato a due condizioni cumulative: a) parimenti a quanto  richiesto
per gli oggetti indicati nell'art. 4, comma  2,  prima  parte,  legge
cit.,  in  assenza  di  un  giustificato   motivo;   b)   sussistendo
circostanze di tempo e di  luogo  che  rendano  probabile  l'utilizzo
dell'oggetto per l'offesa alla persona. 
    L'art. 4,  comma  2  cit.  e'  dunque  retto,  in  tutte  le  sue
articolazioni, da un comune denominatore, costituito  dall'essere  in
esso annoverati oggetti  intrinsecamente  idonei  ad  un  uso  lesivo
dell'altrui integrita' fisica ma non antologicamente deputati a  tale
fine (Cassazione, sez. I, 13 gennaio 2021, dep. 17  giugno  2021,  n.
23840). Si tratta infatti di oggetti che - volendo trarre ispirazione
dalla definizione che l'art. 45, comma 2 reg. T.u.l.p.s. (R.D. n. 635
del 6 maggio 1940) riserva a determinati  strumenti  da  punta  o  da
taglio - hanno una destinazione compatibile con usi non violenti  che
possono farsi nella vita quotidiana e/o in ambiti  sociali  tutelati,
ma possono essere all'occorrenza deviati dal proprio alveo naturale e
orientati verso l'offesa alla persona. 
    2.3. La distinzione legislativa tra gli oggetti atti ad offendere
di cui alla prima parte del comma due, art. 4 cit., e quelli  di  cui
alla seconda parte del medesimo comma e', a parere di questo  giudice
rimettente, irragionevole, e,  al  contempo,  in  forte  attrito  col
principio di offensivita', cosi' violando gli articoli 3, 25 comma  2
e 27 comma 3, della Costituzione. 
    Il bene giuridico tutelato dalla legislazione penale  in  materia
di armi e' costituito dall'ordine pubblico, inteso come buon  assetto
e regolare andamento del  vivere  civile,  cui  corrispondono,  nella
collettivita', l'opinione e il  senso  della  tranquillita'  e  della
sicurezza (Cassazione, sez. I, 31 marzo 2017, dep. 15 maggio 2017, n.
24084; Cassazione, sez. I, 23 maggio 2018, n. 43264; Cassazione, sez.
I,  25  novembre  2009,  dep.  12  gennaio  2010,   n.   776;   nella
giurisprudenza di merito, cfr. Tribunale Milano, sez.  I,  18  luglio
2012). 
    Sotto questo profilo, i reati che consistono nel porto di arma  o
di strumenti atti ad offendere si pongono in conflitto  con  l'ordine
pubblico, atteso l'astratto pericolo che il portatore dello strumento
lesivo possa utilizzarlo in maniera aggressiva in contesti sociali. 
    In coerenza con questa logica, e' ragionevole che il  legislatore
predisponga una normativa  nella  quale  si  faccia  distinzione  tra
categorie di strumenti in relazione al grado di conflitto con il bene
giuridico tutelato. Come si avra' modo di notare  nel  prosieguo,  il
tratto dirimente  di  cui  il  legislatore  si  serve  per  declinare
l'intensita' dell'offesa e' costituito dalla pericolosita' intrinseca
di ciascun oggetto, ricavata dalla sua specifica morfologia. 
    Non sfugge che le armi e gli altri strumenti  indicati  nell'art.
4, comma 1, legge cit. appaiono,  per  natura,  di  speciale  portata
lesiva, sicche' si pone in  linea  col  canone  dell'offensivita'  la
scelta di stigmatizzarne il porto in  maniera  assoluta,  laddove  il
portatore non goda di speciale  autorizzazione  (art.  42  cit.).  In
queste ipotesi, infatti, il pericolo per l'ordine pubblico puo' dirsi
riconducibile  alla  peculiare  natura  dell'arma   o   dell'oggetto,
unitamente al fatto che quest'ultimo e' portato indosso  da  soggetto
non  abilitato;  la  destinazione  dell'oggetto   ad   usi   proibiti
dall'ordinamento appare infatti in questi casi  probabile,  tanto  da
consentire l'arretramento della soglia di rilevanza penale. 
    Diversamente, gli oggetti di  cui  all'art.  4,  comma  2,  prima
parte, legge n. 110/1975 godono di una  natura  bifronte  accentuata,
nel  senso  che  essi,  ideati  per  fini  leciti,   possono   essere
occasionalmente utilizzati in pregiudizio dell'altrui incolumita'. In
questo caso, il legislatore onera il soggetto controllato dalle forze
di polizia di  allegare  e  rendere  compiutamente  riscontrabile  il
motivo lecito del porto. 
    Stando  alle  acquisizioni  giurisprudenziali  sulla  natura  del
motivo giustificato, quest'ultimo assume la funzione di sciogliere il
nodo circa la reale destinazione, lecita o illecita, dello  strumento
rinvenuto, astrattamente compatibile con entrambi gli  opposti  fini;
la reale vocazione  del  giustificato  motivo  e'  dunque  quella  di
dirimere il contrasto tra possibili scopi antitetici e  attestare  la
devoluzione dell'oggetto, seppur lesivo, a  scopi  pacifici  tutelati
dall'ordinamento. 
    Si tratta, similmente a quanto accade  per  gli  oggetti  di  cui
all'art. 4, comma  1,  legge  cit.,  di  un  pericolo  che,  come  si
anticipava,   pare   promanare   dalla    attitudine    dell'oggetto,
astrattamente compatibile col fine lesivo, e al fatto  che  esso  sia
portato da taluno che possa plausibilmente utilizzarlo per tale  fine
illecito, sebbene non venga in rilievo in questo caso  la  necessita'
di dotarsi di un'autorizzazione della pubblica autorita'. 
    La  punibilita'  prescinde  dalla  collocazione  dell'azione   in
contesti evocativi di possibili  aggressioni  all'interno  di  gruppi
sociali, dipendendo direttamente ed  esclusivamente  dalla  capacita'
del soggetto fermato di fornire adeguate spiegazioni che escludano il
possibile uso illecito dello strumento. In altri termini, l'offesa al
bene protetto scaturisce dal fatto che l'autorita' non  e'  posta  in
condizione di conoscere, con un  certo  grado  di  affidabilita',  il
futuro uso della cosa, idonea ad  essere  utilizzata  per  realizzare
scopi vietati dall'ordinamento. 
    Pertanto, l'allegazione di un motivo ritenuto plausibile sortisce
l'effetto di un «rassicurare» l'autorita' di polizia sulla  presenza,
quanto all'elemento soggettivo, di uno scopo di uso  lecito  in  capo
all'agente e, sul piano oggettivo, di una effettiva  direzione  della
cosa verso detto utilizzo,  dissipando  o  quanto  meno  sfumando  il
rischio per l'interesse tutelato  (Cassazione,  sez.  I,  5  dicembre
1984, n. 10832). 
    Cionondimeno - occorre sin da subito evidenziare -  l'espressione
di  un  giustificato  motivo  da  parte  del  soggetto  sottoposto  a
controllo non esclude il possibile utilizzo illecito della cosa ma si
limita ad ammantare il porto di una vocazione apparentemente in linea
con la funzione naturale del bene, legittimata dall'ordinamento. 
    L'art. 4, comma 2, seconda parte,  legge  n.  110/1975  annovera,
infine, in via residuale,  strumenti  non  qualificati  espressamente
come da punta o da  taglio  ma  «chiaramente»  utilizzabili,  per  le
circostanze di tempo e luogo, per l'offesa alla persona. 
    Si  tratta  di  una  disposizione  particolarmente  coerente  col
principio di offensivita'. 
    Anche in questa ipotesi, infatti, lo strumento non  espressamente
qualificato  dall'ordinamento  assume  una  conformazione   tale   da
renderlo destinabile, alternativamente, ad un fine lecito  o  ad  uno
scopo lesivo; per questo tipo di  oggetti,  la  compatibilita'  della
norma  incriminatrice  con  il  principio  di   offensivita'   appare
adeguata, poiche' il requisito dirimente,  anche  in  assenza  di  un
giustificato motivo che possa a monte convincere  della  destinazione
lecita,  resta  quello  del  probabile  utilizzo   dell'oggetto   per
l'aggressione personale alla luce dei dati di contesto. 
    In questo modo, il legislatore richiede, per la punibilita',  uno
stadio di offesa particolarmente avanzato  nei  riguardi  dell'ordine
pubblico, bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. 
    Attesa la particolare natura dell'interesse giuridico citato, che
si qualifica in termini di bene  strumentale  alla  protezione  della
incolumita' individuale  dei  singoli  e  del  pacifico  assetto  dei
rapporti sociali, occorre opportunamente compensare la  distanza  tra
l'impalpabile bene giuridico sopraindividuale e i concreti  interessi
dei singoli, richiedendo una adeguata prossimita' tra la condotta del
soggetto agente e l'effettivo impatto sulla sicurezza dei consociati. 
    In tale intercapedine si annida  l'offesa  punibile,  considerato
che, solo nel caso di porto di arma impropria  non  retto  da  motivo
lecito,  e  al  contempo  incanalato  in  situazioni  di  fatto   che
introducono un uso pregiudizievole dello strumento, puo'  dirsi  leso
l'ordine pubblico e possono dirsi messi a concreto repentaglio i beni
giuridici sottesi facenti capo ai singoli. 
    Per gli strumenti «innominati» atti ad offendere, il  legislatore
opera apprezzabilmente in tale  logica,  avanzando  lo  stadio  della
offesa punibile e portandolo alla soglia  del  pericolo  concreto  di
aggressione alla persona. 
    3. Alla luce di quanto  sopra  esposto,  questo  giudice  ritiene
irragionevole la disparita' di  trattamento  dei  portatori  di  armi
improprie di cui ai due periodi dell'art. 4, comma 2, legge  cit.,  e
in conflitto col principio di offensivita' la condotta  stigmatizzata
nel primo periodo del medesimo comma. 
    3.1. Sotto  il  primo  profilo,  appaiono  disciplinate  in  modo
diverso due  situazioni  potenzialmente  equivalenti;  o  addirittura
rischia di essere disciplinata in maniera piu' severa  la  situazione
meno grave. 
    L'adozione   di   un   criterio    residuale    per    consentire
l'individuazione di strumenti lesivi verso  i  quali  approntare  una
disciplina  piu'  favorevole   appare   ragionevole   solo   laddove,
prevedibilmente,  ogni  oggetto  atto  ad  offendere   di   carattere
innominato sia  con  certezza  fornito  di  un  grado  di  intrinseca
pericolosita'  inferiore  a  quelli  disciplinati  dalla  norma  piu'
severa. 
    Non pare  questo  il  caso.  La  disciplina  residuale,  infatti,
include strumenti potenzialmente lesivi ma non  caratterizzati  prima
facie  da  destinazione  illecita,  da  questo  punto  di  vista  non
discostandosi  da  quella  approntata  per  gli  oggetti  «nominati»;
tuttavia,  non  e'  adeguatamente  fondata  su  validi   coefficienti
statistici che le consentano di computare in via esclusiva  strumenti
forniti  di  una  minore  carica  offensiva  rispetto  a  quelli  del
precedente elenco nominativo. Anzi, e' vero esattamente il contrario:
paradossalmente,   potranno   avverarsi   casi   in   cui   l'oggetto
individuabile col criterio residuale di  cui  all'art.  4,  comma  2,
secondo periodo,  cit.  -  subira'  un  trattamento  piu'  favorevole
(mediante  il  doveroso,  aggiuntivo,  vaglio  delle   «circostanze»)
sebbene sia di fatto fornito di maggiore lesivita' rispetto a  taluno
degli strumenti indicati nel comma 2, prima parte, disposizione  che,
invece, non impone all'interprete la verifica  del  pericolo  di  uso
dell'oggetto contro la persona. 
    A titolo meramente esemplificativo,  al  solo  scopo  di'  meglio
evidenziare le incongruenze interne della norma,  si  confrontino  il
porto di un tubo o di un  bullone,  oggetti  ascrivibili  alla  prima
parte del secondo comma, per il quale  resta  ininfluente  il  vaglio
delle circostanze di tempo e di luogo che preludano  all'offesa  alla
persona, e il porto di un bastone o di un martello (anche  di  grosse
dimensioni), annoverabili nell'ambito dell'art. 4, comma  2,  seconda
parte, legge n. 110/1975 (sul bastone, conf. di  recente  Cassazione,
sez. I, 11 febbraio 2021, dep. 9 settembre 2021, n.  33324  e,  nella
giurisprudenza di merito, Tribunale Trento, sentenza 26 gennaio 2015;
sul martello, conf. Cassazione, sez. I,  5  dicembre  1983,  dep.  23
gennaio  1984,  n.   661,   in   C.E.D.   Cassazione,   n.   162312),
intrinsecamente  piu'  lesivi  di  un  bullone  e  plausibilmente  di
offensivita' almeno pari a quella di un tubo. 
    Per le quattro fattispecie, risultano, in  concreto,  predisposti
due trattamenti diversi, del tutto incongruenti: per  le  fattispecie
piu' gravi o almeno di pari gravita' (porto di un  bastone  o  di  un
martello), risulta applicabile una disciplina meno rigorosa,  essendo
previsto  nella  norma   incriminatrice   un   elemento   strutturale
aggiuntivo - la presenza delle circostanze spazio-temporali - che per
naturale effetto restringe l'alveo della tipicita'. 
    Da qui, la denunciata irragionevole disparita' di trattamento che
rende la norma intrinsecamente incoerente e in conflitto con l'art. 3
della Costituzione. 
    3.2. Il secondo profilo attiene  al  rispetto  del  principio  di
offensivita' e appare  inestricabilmente  connesso  al  primo,  nella
misura in cui la irrazionale disparita' di  trattamento  tra  oggetti
nominati e innominati lascia sguarnito il  porto  dei  primi  di  una
reale compatibilita' con  la  materia,  costituzionalmente  tutelata,
dell'offensivita', ponendosi in contrasto con gli articoli  25  e  27
della Costituzione. 
    In primo luogo, soltanto per chiarezza espositiva,  il  reato  di
cui all'art. 4, comma 2,  prima  parte,  risulta  annoverabile  nella
categoria dei reati di pericolo presunto, in cui  cioe'  il  pericolo
non e' elemento strutturale del reato, presente a livello  letterale,
ma si annida - inespresso - nella impalcatura della  norma,  e  viene
agganciato direttamente alla capacita'  del  portatore  dell'arma  di
spiegarne il futuro impiego. 
    E' dato pacifico che, per la rispondenza delle fattispecie penali
al canone della necessaria offensivita', il primo  stadio  valutativo
attiene al momento genetico della norma incriminatrice, vale  a  dire
al momento della redazione della  norma,  alla  quale  si  impone  di
cristallizzare comportamenti umani astrattamente idonei  a  cagionare
un'offesa nei confronti del bene tutelato. 
    Sotto questo profilo, la giurisprudenza costituzionale  e  quella
di legittimita' hanno chiarito che, quanto  alla  ammissibilita'  dei
reati di pericolo, non confliggono con il principio di offensivita' i
c.d. reati di pericolo presunto, a patto  che  la  norma  non  appaia
irrazionale o arbitraria, nel senso che  la  valutazione  prognostica
circa  l'aggressione  al  bene  giuridico  deve  costituire  un  dato
plausibile secondo la massima empirica dell'id quod plerumque accidit
(da ultimo, Cassazione, sez. un., 19 dicembre 2019,  dep.  16  aprile
2020, n. 12348; cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 dicembre 2019,
n. 278). 
    Il  requisito   attiene   alla   predisposizione   dell'archetipo
normativo, mentre e'  rimessa  alla  successiva  fase  giudiziale  la
verifica della offensivita' in concreto  della  condotta  tenuta  dal
soggetto agente ai  fini  della  sua  sussunzione  nella  fattispecie
astratta. Il paradigma del pericolo presunto, infatti, non  esime  il
giudice  dall'obbligo  di  verificare  la  concreta  idoneita'  della
condotta  a  porre  il  bene  giuridico  tutelato  in  una  effettiva
situazione di rischio (Corte costituzionale, sentenza 18 luglio 1997,
n. 247; Cassazione, sez. I, 18 febbraio 2020,  n.  11197,  in  C.E.D.
Cassazione, n. 279047). 
    Orbene, gia'  in  relazione  alla  genesi  della  nonna,  non  si
riscontrano regole di esperienza in ossequio alle quali il  porto  di
oggetti dalla  principale  natura  lecita  sia -  secondo  l'id  quod
plerumque accidit - volto all'offesa alla persona nel caso in cui  il
portatore  non  riesca  a  rendere  plausibile  nell'immediatezza  la
giustificazione fornita. 
    La carenza di un riscontrato motivo legittimante, oltre a segnare
una tutela eccessivamente anticipata del bene,  appare  elemento  del
tutto neutro nella logica dell'offensivita', in quanto uno  strumento
per il cui porto si fornisce  rassicurante  giustificazione  potrebbe
comunque essere adoperato illecitamente  nei  momenti  successivi  al
controllo  di  polizia,  cosi'  come,   all'opposto,   alla   carenza
motivazionale  o  all'incapacita'  dimostrativa  puo'   fare   fronte
l'assenza di volonta' delittuosa del reo e di direzione lesiva  della
cosa. 
    Difatti, sono particolarmente frequenti nella prassi  i  casi  in
cui, per le concrete  contingenze,  l'agente  non  sia  in  grado  di
fornire un motivo che superi il livello della  mera  asserzione,  pur
essendo animato da scopi non vietati. 
    L'omessa o inadeguata giustificazione del porto  rappresenta,  da
sola, un indizio eccessivamente anticipato e incerto di un futuro uso
vietato dello strumento, e attribuisce alla fattispecie i tratti  del
reato di mero  sospetto,  categoria  dogmatica  che  crea  fortissime
tensioni con il principio di offensivita'. 
    Per  restituire  alla  norma  un'armonia  con  questo   principio
fondamentale dell'ordinamento, appare doverosa  -  a  giudizio  dello
scrivente -  una  unificazione  delle  due  fattispecie  sotto  detto
aspetto,  richiedendo,  in  tutti  i  casi,  che  l'interprete  debba
scrutare il contesto in cui si colloca la condotta onde  inferire  un
reale pericolo di aggressione a persone. 
    L'adeguamento della fattispecie di porto ingiustificato  ex  art.
4,  comma  2,  prima  parte,  legge  n.  110/1975  al  principio   di
offensivita' transita per la coniugazione,  nell'ambito  della  norma
incriminatrice, dei  due  requisiti:  l'assenza  di  un  giustificato
motivo che caratterizzi il porto dello strumento atto  ad  offendere,
in quanto la stessa conferisce  alla  fattispecie  tratti  (soltanto)
indiziano di un possibile uso illecito, e le  piu'  volte  menzionate
circostanze di tempo e di  luogo,  le  quali  hanno  la  funzione  di
attualizzare il pericolo di utilizzo della res per fini incompatibili
col regolare assetto sociale  e  con  l'incolumita'  dei  consociati,
fornendo   al   contempo   un   riscontro   all'elemento   indiziario
riconducibile alla carenza motivazionale. 
    Anche a voler ritenere che la norma sia, gia' nella fase genetica
(i.e. a livello empirico), compatibile col principio di offensivita',
in quanto conforme a massime di  esperienza  secondo  cui  chi  porta
un'arma impropria senza un motivo riscontrabile nell'immediatezza  ha
intenzione di tenere condotte lesive dell'altrui incolumita', sarebbe
impedita all'interprete la verifica della offensivita'  concreta  del
fatto. 
    Quest'ultima, infatti, troverebbe quale  piu'  raffinato  veicolo
proprio l'analisi del contesto spazio-temporale dal quale dedurre  il
probabile utilizzo dell'arma in danno  a  persone,  vale  a  dire  la
vicinanza tra la  condotta  di  porto  di  un  oggetto  pericoloso  e
l'ambito sociale nel quale essa potrebbe esplicitarsi in  pregiudizio
di terzi. 
    Il dubbio da cui muove questa rimessione al giudice  delle  leggi
sta proprio in cio', che il su citato scrutinio di offensivita',  nei
termini gia' esposti, sia di fatto  precluso  per  voluntatem  legis,
considerato che il legislatore  espressamente  lo  richiede  per  gli
strumenti residuali di cui all'art. 4, comma 2, seconda parte,  legge
n. 110/1975 e, con silenzio significativo, la esclude per gli oggetti
atti ad offendere  di  cui  alla  prima  parte  del  medesimo  comma,
arrestando la soglia di  offensivita'  punibile  al  mero  porto  non
assistito da un motivo immediatamente credibile (nello stesso  senso,
e' la giurisprudenza dominante; v. ex multis, Cassazione,  sez.  VII,
ordinanza 15 gennaio 2015, dep. 10 agosto 2015, n. 34774,  in  C.E.D.
Cassazione, n. 264771; nella giurisprudenza  di  merito,  di  recente
Tribunale Napoli, sez. VI, 15 novembre 2019). 
    Dunque, delle due l'una: o  a)  la  norma  e'  incompatibile  col
principio di offensivita' sin dal momento della sua genesi letterale,
in  quanto  non  trova  significativo  conforto  in  valide   massime
empiriche  che  certificano  il   rischio   per   l'incolumita'   dei
consociati;  o  b)  la  norma  e'  coerente  con  la   logica   della
offensivita' nel momento genetico  ma,  per  la  maniera  in  cui  e'
redatta e per i suoi controversi rapporti con la disciplina riservata
agli strumenti innominati, non  consente  al  giudice  il  vaglio  di
offensivita' concreta. 
    Entrambe le soluzioni comportano il ripensamento,  in  chiave  di
conformazione ai canoni costituzionali, dell'art. 4, comma  2,  prima
parte, legge  cit.,  mediante  aggiunta,  nella  norma,  dell'innesto
letterale relativo alla doverosa valutazione dei dati di contesto. 
    Va da se' che, per i motivi gia' esposti,  lo  stesso  tentativo,
richiesto al  giudice  rimettente,  di  fornire  una  interpretazione
costituzionalmente orientata della norma prima di sollevare questione
di   costituzionalita',   si   arena    nell'immediatezza,    poiche'
l'interpretazione   conformante,   a   giudizio   di   chi    scrive,
consisterebbe proprio nell'analisi delle  richiamate  circostanze  di
tempo e luogo  in  cui  si  incanala  la  condotta  di  porto  d'arma
impropria, analisi implicitamente vietata dalla norma incriminatrice. 
    4. In  conclusione,  si  ritiene  costituzionalmente  illegittimo
l'art. 4, comma 2, prima parte, legge n. 110/1975,  nella  misura  in
cui  non  richiede,  ai  fini  della   responsabilita'   penale,   la
sussistenza di circostanze  di  tempo  e  di  luogo  che  rendano  lo
strumento  portato  dal  soggetto  agente   concretamente   orientato
all'offesa alla persona. 
    La  disposizione  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  3   della
Costituzione, paradigma del giudizio di  ragionevolezza  della  norma
giuridica, sotto il profilo del divieto  di  trattamento  diverso  di
casi uguali. Si e', sul punto, argomentato in merito  alle  possibili
esplicazioni fattuali distolte della norma, una volta confrontata con
la disciplina riservata agli strumenti innominati atti ad offendere. 
    E'  inoltre  incompatibile  con  l'art.  25,   comma   2,   della
Costituzione, nella misura in cui, nel  suo  tessuto  letterale,  per
«fatto commesso» suscettibile di  sanzione  penale  deve  intendersi,
alla luce delle piu' moderne acquisizioni in tema di offensivita', un
fatto «concretamente offensivo» di  interessi  giuridici  di  rilievo
costituzionale. In questo senso, non  costituirebbe  fatto  realmente
offensivo il porto di un oggetto atto  ad  offendere  in  circostanze
tali che non  si  palesi  una  proiezione  lesiva  verso  l'interesse
tutelato, alla luce dei dati del contesto spazio-temporale. 
    E' infine in frizione con l'art. 27, comma 3, della Costituzione,
nella misura in cui l'irrogazione di una sanzione penale  in  difetto
di  una  reale  aggressione  ai  beni  costituzionalmente   rilevanti
tutelati  dalla  norma  incriminatrice  -  specie  nei  casi  in  cui
l'agente, mosso da un motivo lecito,  non  sia  riuscito  a  provarlo
adeguatamente     nell'immediatezza     -     esaspera      l'aspetto
generalpreventivo e punitivo della pena  ed  accresce  nell'individuo
quel senso di sfiducia  nell'ordinamento  che  trova  quale  naturale
effetto la refrattarieta' alle tecniche rieducative. 

(1) L'oggetto, anche alla luce della fotografia  in  atti,  e'  cosi'
    qualificabile, sebbene nel capo di imputazione esso sia  definito
    «machete». 

(2) «Guardi, sinceramente si,  era  in  zona  periferica  del  centro
    abitato di ... e, quindi con ..., se non ricordo male, usciva dal
    centro abitato, in zona periferica,  comunque  ...»;  «All'uscita
    del paese, sullo svincolo per  ...,  per  la  Statale  ...»;  «mi
    sembra dagli atti, si evince che  e'  stata  fermata  all'imbocco
    della statale» (deposizione ..., verbale stenotipico dell'udienza
    del 6 aprile 2021, p. 6 e 8). 

(3) Deposizione ..., verbale stenotipico udienza 25 maggio  2021,  p.
    6. 

(4) I testi della pubblica accusa, richiesti in merito, non ricordano
    tali particolari, ne' prova contraria e' stata fornita dai  testi
    della difesa o dall'imputato. 

(5) «Senza giustificato motivo, non  possono  portarsi,  fuori  della
    propria abitazione o delle appartenenze di essa,  bastoni  muniti
    di puntale acuminato, strumenti da punta  o  da  taglio  atti  ad
    offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche
    [...]». 

(6) «...  nonche'   qualsiasi   altro   strumento   non   considerato
    espressamente come arma da punta o da taglio ...».