IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
                      PER LA REGIONE SICILIANA 
 
 
                       Sezione giurisdizionale 
 
    ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 1065 del  2021,  proposto  dalla  Regione
Siciliana  -  Dipartimento  regionale  beni  culturali  e   identita'
siciliana, Regione Siciliana - Soprintendenza per i beni culturali  e
ambientali di Agrigento, in persona  dei  legali  rappresentanti  pro
tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato presso la
cui sede distrettuale  sono  domiciliati  ex  lege  in  Palermo,  via
Valerio Villareale, n. 6; 
    contro Alessandro Tedesco, rappresentato e difeso dagli  avvocati
Gaetano Caponnetto, Vincenzo Caponnetto, con domicilio digitale  come
da PEC da Registri di Giustizia; 
    per la riforma della sentenza breve del Tribunale  Amministrativo
Regionale per la Sicilia (Sezione Prima) n. 977/2021; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  del  signor  Alessandro
Tedesco; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  2  febbraio  2022  il
Cons. Maria Immordino; 
    Nessuno e' presente per le parti; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    1. Con  la  sentenza  in  epigrafe  appellata,  n.  977/2021  del
30/03/2021, il Tribunale amministrativo  regionale  della  Sicilia  -
sede di Palermo  ha  accolto  il  ricorso  di  primo  grado  proposto
dall'odierna parte appellata, signor  Tedesco  Alessandro,  volto  ad
ottenere l'annullamento del D.D.S. n. 3391 del 27/10/2020, emesso  ai
sensi dell'art. 167 del d.lgs. n.  42/2004,  con  cui  gli  e'  stato
ingiunto il pagamento della somma di  €  2.271,06,  quale  indennita'
risarcitoria per il danno causato al paesaggio con  la  realizzazione
di magazzini e  l'ampliamento  di  un  appartamento  posto  al  piano
facente parte di un edificio composto da due piani  fuori  terra  con
tetto spiovente a due falde, sito nel Comune di Agrigento  nella  via
Ischia n. 7 e censito al N.C.E.U. al Fg. n. 162 part.  371,  sub.  2,
senza preventivi atti di assenso. 
    2. Il signor Tedesco Alessandro ha dedotto le seguenti censure: 
        a) intrasmissibilita' della sanzione; 
        b) sopravvenienza del vincolo paesaggistico e violazione  del
regime di irretroattivita' (art. 11 n. 689/1981); 
        c) eccesso di potere sotto svariati profili sistematici. 
    3. Con la sentenza impugnata il T.a.r.  ha  accolto,  ritenendola
fondata ed assorbente, la censura (di  cui  al  punto  b)  incentrata
sulla  sopravvenienza  del  vincolo   paesaggistico   rispetto   alla
commissione  dell'abuso  argomentando  sulla  base  del   canone   di
irretroattivita' desumibile dall'art. 1 L. n. 689/1981 e dal comma  3
dell'art. 5 della L.r. n. 17/1994, ed ha accolto il ricorso. 
    4. Con ricorso n. 1065 del 2021 l'Amministrazione regionale, gia'
resistente e rimasta soccombente  nel  giudizio  di  prime  cure,  ha
depositato l'atto di appello (tempestivamente passato  per  notifica)
proponendo  una  articolata  critica  alla  sentenza  in  epigrafe  e
chiedendone la riforma, in quanto: 
        a) incentrata su un errore fattuale, posto che alla  data  di
commissione dell'abuso edilizio per cui e' causa l'area sarebbe stata
(gia') interessata  da  un  vincolo  paesaggistico  (e  non  soltanto
archeologico) che avrebbe, quindi, sin dal 1971 preceduto il  vincolo
introdotto dalla l. 8.8.1985, n. 431; 
        b) incentrata sull'asserita obliterazione  della  circostanza
che il sistema vigente all'epoca dell'abuso  sanzionava  l'esecuzione
di opere abusive su un bene di interesse artistico o storico (art. 59
l. n. 1089/1939). 
    5. L'appellato si e' costituito nel presente grado  di  giudizio,
con atto di stile, e non ha riproposto alcun motivo assorbito. 
    6. Alla odierna pubblica udienza del 2 febbraio 2022 la causa  e'
stata posta in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    7. Il Collegio ritiene in via preliminare di illustrare  l'ordine
espositivo con il quale verranno affrontate le  questioni  sottoposte
al suo scrutinio nel  presente  giudizio,  anche  in  relazione  alla
decisione di rimettere alla  Corte  costituzionale  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5 comma 3 della L.r.  siciliana
n. 17/1994. 
    8. Si premette che: 
        - il presente giudizio e' uno dei tanti numerosi  attualmente
pendenti innanzi a questo Consiglio di  Giustizia  Amministrativa  ed
aventi ad oggetto immobili  edificati  abusivamente  nell'area  della
Valle dei Templi in Agrigento nella medesima area (con riferimento  a
due di tali fascicoli, come meglio si chiarira' nel  prosieguo  della
esposizione, questo  CGARS  ha  disposto  con  sentenza  parziale  ed
ordinanza  collegiale  la   rimessione   delle   cause   alla   Corte
Costituzionale: per numerosi altri, finora, e' stata disposta la c.d.
"sospensione impropria"); 
        -  non  puo'   essere   messa   in   discussione   l'assoluta
peculiarita' della Valle dei Templi di Agrigento, espressione di  una
compenetrazione  fra  profili  archeologici,  artistici,  storici   e
dell'ambiente  circostante  che  attribuisce  al  sito  il  carattere
dell'unicita': nel dicembre del 1997, nel corso  della  21a  riunione
annuale del Comitato del Patrimonio mondiale dell'Unesco, tenutasi  a
Napoli (1-6  dicembre  1997),  e'  stata  iscritta  nella  Lista  del
Patrimonio  mondiale  dell'Umanita'  con   la   denominazione   "Area
Archeologica di Agrigento" (il documento ICOMOS n.  831  descrive  il
sito e i principali monumenti in esso contenuti). 
    9. Si premette altresi' che nell'ambito del procedimento iscritto
al r.g.n. n. 99/2020 chiamato in decisione nella pubblica udienza del
5 maggio 2021: 
        a) questo CGARS, con ordinanza collegiale 23.10.2020 n.  976,
ha  disposto  una  verificazione  al  fine   di   chiarire   l'esatta
collocazione  dell'immobile  per   cui   era   lite   rispetto   alla
perimetrazione  della  "zona  B"  di  cui  ai  decreti   ministeriali
12.6.1957,  16.5.1968  e  7.10.1971  ed  al  successivo  decreto  del
Presidente della  Regione  siciliana  n.  91  del  1991,  nonche'  al
precedente decreto Presidenziale 6.8.1966 n. 807 e in data 15.11.2020
il verificatore ha depositato la relazione di verificazione; 
        b)  l'immobile  per  cui  e'  causa  e'   ubicato   in   area
corrispondente a quella oggetto della relazione di verificazione resa
nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020; 
        c) nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020
il Collegio ha reso la sentenza non definitiva parziale  e  ordinanza
di rimessione in Corte costituzionale n. 532  del  14.6.2021  (ed  in
pari data, nell'ambito di procedimento iscritto al r.g.n. n. 250/2019
il Collegio ha reso la sentenza non definitiva parziale  e  ordinanza
di rimessione in Corte costituzionale n. 533 del 14.6.2021); 
        d) alle argomentazioni sviluppate nel provvedimento r.g.n. n.
99/2020 sopra citato si fara' ampio riferimento in seno  al  presente
provvedimento. 
    10. Cio' posto, si procede alla disamina delle questioni  oggetto
di scrutinio nel seguente ordine: 
        a)  in  primis  -  al  fine  di  perimetrare  gli   argomenti
effettivamente rilevanti - si esamina  il  primo  (ed  infondato,  ad
avviso del Collegio) motivo dell'appello della difesa erariale; 
        b) successivamente si espone il convincimento  del  Collegio,
in punto di fatto, sul regime vincolistico dell'area in  cui  insiste
l'immobile per cui e' causa (con reiezione della  tesi  della  difesa
erariale secondo cui al tempo dell'abuso sarebbe stato gia'  presente
un vincolo paesaggistico o che,  comunque,  il  vincolo  archeologico
fosse "equipollente" a quello paesaggistico); 
        c)  immediatamente  di   seguito,   sono   rappresentate   le
conseguenze che cio'  comporta  con  riguardo  all'odierno  processo,
qualificando la natura giuridica della fattispecie  ex  art.  167  d.
lgs. n. 42/2004; 
        d)  sono  quindi  esposte  le  ragioni  per  cui  si  ritiene
inapplicabile alla fattispecie il disposto di cui all'art.  1  L.  n.
689/1981; 
        e)  infine,  riassunte  le  ragioni  della  rilevanza   della
questione, viene esaminato il tema della non  manifesta  infondatezza
della  questione   concernente   la   compatibilita'   costituzionale
dell'art. 5 comma 3 della  L.r.  siciliana  n.  17/1994,  considerato
anche l'inquadramento giuridico di cui al punto c). 
    11. In ossequio alla condivisibile ricostruzione di cui  a  Cass.
civ., ss. uu. 11.12.2007  n.  25837  (secondo  cui  avrebbero  sempre
carattere decisorio, e devono essere immediatamente impugnati  ovvero
essere oggetto di riserva di impugnazione, i capi della ordinanza  di
rimessione che decidono nei sensi di cui all'art. 279 comma  1  n.  4
c.p.c.) ed in linea con le prescrizioni di cui all'art.  36  comma  2
c.p.a., a miglior garanzia delle parti del processo, si provvedera' a
decidere le questioni di cui alle lettere da a) a  c)  del  superiore
elenco  con  sentenza  non  definitiva,  che  tuttavia,  al  fine  di
consentire la unicita' di esame alla Corte costituzionale, non verra'
resa  separatamente,  ma  unitamente  alla  ordinanza  collegale   di
rimessione. 
    12. Cio' premesso, proprio al  fine  di  sgombrare  il  campo  da
censure che appaiono manifestamente inaccoglibili  (e,  insieme,  per
rendere manifesta  la  rilevanza  della  questione  devoluta  con  la
ordinanza collegale di rimessione)  si  esamina  prioritariamente  la
seconda e  subordinata  censura  contenuta  nell'appello  principale,
imperniata  sull'asserita  obliterazione  della  circostanza  che  il
sistema vigente all'epoca dell'abuso sanzionava l'esecuzione di opere
abusive su un bene di interesse artistico o storico (art.  59  l.  n.
1089/1939). 
    12.1. Il motivo (come peraltro gia' chiarito ai  capi  15.  1.  e
15.2 della sentenza non definitiva parziale e ordinanza di rimessione
in Corte costituzionale n. 532 del 14.6. 2021 ed ai capi  13  e  13.1
della sentenza non definitiva parziale e ordinanza di  rimessione  in
Corte costituzionale n. 533 del 14.6.2021, con le considerazioni  che
di seguito si ritrascrivono) non e' fondato. 
    L'art.  59  L.  n.  1089/1939  dispone,  fra  l'altro,  che   chi
trasgredisce le disposizioni contenute negli artt. 11,  12,  13,  18,
19, 20 e 21 e' tenuto a corrispondere allo Stato una  somma  pari  al
valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore  subita  dalla
cosa per effetto della trasgressione, se la riduzione in pristino non
e'  possibile.  L'obbligo  di   corrispondere   la   somma   discende
dall'effettuazione  di  attivita'  non  consentite  (o   almeno   non
consentite in  mancanza  di  autorizzazione)  su  cose  di  interesse
artistico, storico, archeologico o etnografico,  che  appartengono  a
province, comuni ed enti e istituti legalmente  riconosciuti  o  che,
pur appartenendo a privati, siano state oggetto di specifica notifica
ai sensi della stessa legge (artt. 11, 12, 13, 18, 19, 20 e 21). 
    La L. n. 1089/1939 tutela quindi beni determinati,  da  essa  non
derivano vincoli di zona o porzioni di territorio. 
    Nel caso di specie ne' le parti, ne' l'Amministrazione, hanno mai
reso edotto il  Giudice  di  primo  grado  o  questo  Collegio  della
sussistenza  di  detto  vincolo  specifico  sul  bene  di  proprieta'
dell'appellata, ne' risulta altrimenti che esso sia mai stato apposto
ne' gli atti amministrativi impugnati vi hanno mai fatto riferimento. 
    Neppure sarebbe possibile traslare l'impianto normativo della  L.
n. 1089/1939 ai beni (in passato) oggetto di tutela ai sensi della l.
n. 1497/1939, senza  al  contempo  porre  in  essere  una  operazione
ermeneutica contra legem, in sfavor rei,  e  contraria  alla  lettera
delle norme invocate ed applicabili. 
    Il   motivo   e',   all'evidenza,    manifestamente    infondato,
armonicamente   alle   conclusioni   da   tempo    raggiunte    dalla
giurisprudenza amministrativa (ex aliis Cons. St., VI, 12.11.1990  n.
95 1) in punto  di  distinzione  dell'impianto  di  cui  alla  L.  n.
1089/1939 rispetto a quello di cui alla L. n. 1497/1939. 
    13. Cio' rilevato, il Collegio ritiene a questo punto di  doversi
addentrare, ai fini della trattazione del primo  motivo  dell'appello
principale   e   della   rimessione   alla   Corte    costituzionale,
nell'inquadramento giuridico dei vari aspetti che  contraddistinguono
l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 167 comma 5 del d.  lgs.
n. 42/2004 e dell'art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994 al caso di specie. 
    13.1. Come brevemente  chiarito  nella  parte  "in  fatto"  della
presente decisione, il primo giudice ha accolto il ricorso  di  primo
grado   (anche   richiamando   per   relationem   alcuni   precedenti
giurisprudenziali), sulla scorta di un triplice argomentare  fattuale
e giuridico: 
        a) l'insussistenza di alcun vincolo  paesaggistico  sull'area
ove venne edificato l'immobile,  al  momento  in  cui  l'abuso  venne
commesso (fino al sopravvenire  della  L.  n.  431/1985,  c.d.  legge
Galasso); 
        b)  la  sussistenza,  sull'area  predetta,  di   un   vincolo
archeologico al momento in cui l'abuso venne commesso; 
        c)  la   non   assimilabilita'   del   vincolo   archeologico
sussistente sull'area ove venne edificato l'immobile  ad  un  vincolo
paesaggistico, ai fini dell'applicabilita' dell'art. 167 del d.  lgs.
n. 42/2004. 
    Di conseguenza, il Tar ha accolto  la  censura  incentrata  sulla
sopravvenienza del vincolo paesaggistico  rispetto  alla  commissione
dell'abuso, qualificando l'indennita' qui controversa  come  sanzione
amministrativa, ed argomentando  quindi  sulla  base  del  canone  di
irretroattivita' desumibile dall'art. 1 della L. n.  689/1981  e  dal
comma 3 dell'art. 5 della L.r. n. 17/1994. 
    13.2. Quanto ai primi tre profili dell'iter motivazionale seguito
dal Tar (precedenti  punti  a,  b  e  c)  il  Collegio  ne  condivide
l'approdo e ritiene, di converso, che  le  censure  articolate  dalla
difesa erariale non meritino condivisione. 
    13.3. Come emerge dalla verificazione effettuata nell'ambito  del
procedimento r.g. n. 99/2020, cui si e' prima  fatto  riferimento,  e
come peraltro si dara' conto brevemente alla  luce  dell'analisi  dei
testi normativi susseguitesi, ritiene il Collegio che  -  per  quanto
paradossale  cio'  possa  sembrare  tenuto  conto   delle   peculiari
caratteristiche e dell'evidente pregio dell'area geografica in  esame
- sino al 1985 sull'area dove venne perpetrato l'abuso non  insisteva
alcun vincolo paesaggistico, e che  non  possa  neppure  seguirsi  la
difesa erariale (primo motivo dell'appello principale) laddove questa
sostiene   che   il   vincolo   archeologico   sussistente    potesse
"parificarsi" ad un vincolo paesaggistico (o,  per  dirla  altrimenti
ricomprendesse profili paesaggistici). 
    13.4. Detta conclusione  si  spiega  in  ragione  dell'evoluzione
normativa intervenuta in materia e delle  circostanze  di  fatto  che
sono di seguito illustrate. 
    13.4.1.  Quanto  alle  circostanze  di  fatto,  va  premesso  che
l'appellato ha dichiarato che il fabbricato - dallo stesso acquistato
nel 1982 - e' stato realizzato ed  ultimato  entro  l'anno  1975  dal
proprio dante causa (e tale affermazione e' rimasta  incontestata)  e
che esso ricade all'interno della zona  perimetrata  quale  "Zona  B"
(anche  tale  affermazione  e'  rimasta  incontestata  dalla   difesa
erariale);  ne  discende  pertanto  che  le  emergenze   fattuali   e
giuridiche di  cui  alla  verificazione  effettuata  nell'ambito  del
processo r.g.n. 99/2020 sono perfettamente traslabili  alla  presente
fattispecie. 
    13.4.2. Cio' posto,  l'evoluzione  normativa  puo'  essere  cosi'
riassunta: 
        - a seguito delle attivita' della Commissione provinciale per
la tutela delle bellezze naturali della Provincia  di  Agrigento,  il
Ministro   della   pubblica   istruzione,   con   decreto   12.6.1957
"Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della  Valle
dei Templi e dei punti di vista della citta' sulla Valle stessa, siti
nell'ambito del comune di Agrigento", sottopose a  tutela  paesistica
un'ampia zona del territorio comunale; 
        - a seguito della "frana di  Agrigento"  venne  approvato  il
d.l.  30.7.1966  n.  590,  "Dichiarazione  di  zona  archeologica  di
interesse nazionale della Valle dei Templi di Agrigento",  convertito
in L. 28.9.1966 n. 749; 
        - a distanza  di  sola  una  settimana  il  Presidente  della
Regione Siciliana intervenne  nella  questione  emanando  il  decreto
presidenziale 6.8.1966 n. 807 "Dichiarazione  di  notevole  interesse
pubblico della zona della Valle dei Templi e dei punti di  vista  del
belvedere del comune di Agrigento", che sottopose una piu' ampia zona
del territorio comunale a vincolo paesistico; 
        - in esecuzione L. 28.9.1966 n. 749, di conversione del  d.l.
30.7.1966  n.  590,  venne  emanato  dal  Ministero  della   pubblica
istruzione di concerto con il Ministero per  i  lavori  pubblici,  il
decreto 16.5.1968, "Determinazione  del  perimetro  della  Valle  dei
Templi di Agrigento, delle prescrizioni d'uso e  dei  vincoli  di  in
edificabilita'" (c. d. Gui-Mancini)  -  poi  modificato  dal  decreto
7.10.1971  "Modifiche  del  decreto  ministeriale  16  maggio   1968,
concernente la determinazione del perimetro della Valle dei Templi di
Agrigento, prescrizioni d'uso e vincoli di in  edificabilita'"  (c.d.
Misasi-Lauricella) -, che vincolo' e delimito' la Valle  dei  Templi,
definendo e suddividendo l'area vincolata in  cinque  zone,  dalla  A
alla E,  aventi  ciascuna  specifica  prescrizione,  oltre  ad  avere
introdotto (la Misasi-Lauricella) il nulla osta della  Soprintendenza
ai BB.CC.AA. per la realizzazione di infrastrutture urbanistiche; 
        - in data 17.8.1985 venne pubblicata  nella  G.U.R.S.  la  l.
10.8.1985 n. 37 "Nuove norme in materia di controllo dell'  attivita'
urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e  sanatoria  delle  opere
abusive",  il  cui  art.  25,  "Parco  archeologico  di   Agrigento",
prevedeva al comma 1, che "Entro il 31 ottobre  1985,  il  Presidente
della Regione, di concerto con gli Assessori  regionali  per  i  beni
culturali e per il territorio e l' ambiente,  sentiti  i  pareri  del
Sovrintendente  ai  beni  culturali  di  Agrigento  e  del  Consiglio
regionale per i beni culturali ed ambientali, provvede ad emanare  il
decreto di delimitazione dei confini  del  Parco  archeologico  della
Valle dei Templi di Agrigento  ed  all'  individuazione  dei  confini
delle zone da assoggettare a  differenziati  vincoli,  previo  parere
della competente Commissione legislativa  dell'  Assemblea  regionale
siciliana": la delimitazione dei confini del Parco archeologico venne
stabilita con il  decreto  del  Presidente  della  Regione  Siciliana
13.6.1991 n. 91 "Delimitazione dei  confini  del  Parco  Archeologico
della Valle dei  Templi  di  Agrigento"  (c.d.  Nicolosi),  che  fece
coincidere il confine del Parco  archeologico  di  Agrigento  con  il
confine  della  zona  A  -  delimitata  con  l'art.  2  del   decreto
ministeriale  16.5.1968  (c.d.  Gui-Mancini)  e  poi  modificato  con
decreto ministeriale  7.10.1971  (c.d.  Misasi-Lauricella)  -  e  che
amplio' anche la zona  "B",  includendo  Cozzo  S.  Biagio,  Contrada
Chimento ed una zona a nord della Contrada Mose'. 
    13.5. Quindi, in disparte il vincolo paesaggistico  di  cui  alla
legge Galasso ed al successivo d.  lgs.  n.  42/2004,  in  base  alla
normativa vigente al tempo della costruzione (1973/76), il  manufatto
oggetto di controversia era sottoposto a vincolo archeologico in base
al decreto 16.5.1968 e  al  decreto  7.10.1971,  cosi'  come  per  il
successivo decreto del Presidente della Regione  Siciliana  13.6.1991
n. 91. 
    Di converso  deve  considerarsi  accertato  che  l'area  non  era
soggetta a vincolo  paesaggistico  all'epoca  della  costruzione,  in
quanto  ne'  il  decreto  del  1968  ne'  il  decreto  7.10.1971   lo
imponevano. 
    13.6. Il vincolo paesaggistico e'  quindi  sopravvenuto  rispetto
alla realizzazione del manufatto per cui e' lite. 
    Cosi' disattesa  la  tesi  proposta  principaliter  dalla  difesa
erariale secondo cui nell'area insisteva un vincolo paesaggistico  al
tempo della commissione dell'abuso, il  Collegio  deve  farsi  carico
dell'ulteriore prospettazione  critica  contenuta  nel  primo  motivo
dell'appello, secondo cui il vincolo archeologico  imposto  sull'area
avesse una portata effettuale identica ad un  vincolo  paesaggistico,
e/o ricomprendesse quest'ultimo. 
    Come avvertito nella premessa, anche tale profilo critico non  e'
persuasivo. 
    Osta, all'accoglimento di tale prospettazione: 
        a) la diversa natura dei due vincoli presi in considerazione; 
        b) il dato letterale: d.m. 16.5.1968; 
        c) in termini assorbenti, il chiaro  dettato  della  sentenza
della Corte costituzionale 11.4.1969 n. 74. 
    Nel  periodo  storico  che  ha  preceduto   e   accompagnato   la
realizzazione dell'immobile abusivo (fra il 1968,  anno  dell'entrata
in vigore  del  d.m.  16.5.1968,  e  l'anno  1973,  di  completamento
dell'immobile  abusivo)  l'efficacia  del  vincolo  paesaggistico  su
bellezze di insieme, nei  confronti  dei  proprietari,  possessori  o
detentori, ha inizio dal momento in cui, ai sensi dell'art. 2, ultimo
comma, della l. n. 1497/1939, l'elenco delle  localita',  predisposto
dalla Commissione ivi prevista e nel quale e' compresa la bellezza di
insieme, viene pubblicato nell'albo  dei  Comuni  interessati  (Corte
cost., 23.7.1997 n. 262). 
    Il vincolo e' apposto attraverso un procedimento tipico,  che  si
conclude con un provvedimento finale costitutivo di obblighi (art.  7
l. n. 1497/1939) a carico dei  soggetti  "proprietari,  possessori  o
detentori, a qualsiasi  titolo,  dell'immobile  il  quale  sia  stato
compreso nei pubblicati elenchi delle localita'" ed  e'  destinato  a
venire meno quando l'autorita' preposta alla approvazione  definitiva
rifiuti l'approvazione  (anche  parzialmente  eliminando  l'efficacia
rispetto a taluni immobili) ovvero intervenga una successiva modifica
dell'elenco suddetto. 
    La Consulta  ha  sottolineato  (per  differenza  con  il  sistema
introdotto dalla L.  n.  431/1985,  ora  contenuto  nel  d.  lgs.  n.
42/2004) che la L. n.  1497/1939  prevede  una  tutela  diretta  alla
preservazione di cose e  localita'  di  particolare  pregio  estetico
isolatamente considerate. 
    L'art.  2-bis  del  d.l.  30.7.1966  n.  590,   convertito,   con
modificazioni, nella L. 28.9.1966 n. 749, che ha dichiarato la  Valle
dei Templi di Agrigento zona archeologica di interesse  nazionale,  e
il successivo d.m. 16.5.1968 non solo fanno esplicito riferimento  al
vincolo  archeologico  ma   non   incanalano   detta   qualificazione
nell'alveo indicato dalla l. n. 1497/1939, cosi' apponendo un vincolo
avente  una  natura  corrispondente  a  quella  dichiarata,   appunto
archeologica (e non paesaggistica). 
    Del resto la Corte costituzionale ha affermato che "l'art. 2  bis
ha  disposto  un  vincolo  su  la   zona   dei   Templi   (rimettendo
all'autorita' amministrativa la determinazione del perimetro di essa)
in conseguenza di un fatto di eccezionale gravita', qual era stato il
movimento franoso del  1966,  ed  in  considerazione  del  preminente
carattere  archeologico  della  zona  e  dell'interesse  generale   a
impedire ulteriori effetti  dannosi  di  quell'evento"  (Corte  cost.
11.4.1979 n. 64). 
    Il d.m. 7.10.1971, successivo a Corte costituzionale n.  74/1969,
recante la nuova perimetrazione del sito, non solo non  scalfisce  la
tesi della  natura  non  paesaggistica  del  vincolo  originariamente
apposto alla Valle dei Templi, ma ne avalla l'impostazione,  laddove,
nelle premesse, ravvisa la finalita' dell'intervento normativo  nella
volonta' di consentire "le  ricerche  archeologiche  e  le  opere  di
restauro, sistemazione e valorizzazione della zona archeologica e dei
suoi monumenti, nonche' le opere necessarie alla custodia dei reperti
antichi". 
    13.7. Deve quindi concludersi che il vincolo archeologico imposto
sull'area non avesse  una  portata  effettuale  identica  al  vincolo
paesaggistico e/o  non  ricomprendesse  quest'ultimo,  non  ricadendo
l'immobile nel perimetro del vincolo paesistico. 
    Pertanto il Collegio e' convinto che  anche  tale  prospettazione
critica dell'appello principale vada disattesa. 
    14. La superiore ricostruzione, quindi, e' conforme a quella  del
Tar, in punto di determinazione dell'assetto  vincolistico  dell'area
ove e' stato perpetrato l'abuso ed al tempo dello stesso  (sul  punto
anche Cass. pen., III, 4.9.2014 n. 36853). 
    14.1.  Il  Tar  ha  da  cio'  fatto  discendere  le   conseguenze
demolitorie  censurate  dalla  difesa  erariale,  ritenendo  che   la
sanzione ex art. 167 d. lgs. n.  42/2004  vada  ascritta  nel  novero
delle sanzioni amministrative e che il canone della  irretroattivita'
desumibile dall'art. 1 L. n. 689/1981 e dal comma 3 dell'art. 5 della
L.r. n. 17/1994 impedisca  di  ritenere  legittimo  il  provvedimento
impugnato. 
    14.2. Tale questione  richiede  una  attenta,  seppur  sintetica,
analisi, per la  quale  e'  necessario  inquadrare  il  provvedimento
impugnato e  l'indennita'  che  ne  costituisce  l'oggetto  (analisi,
questa,  gia'  svolta  nell'ambito  della  sentenza  non   definitiva
parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del
14.6.2021 e della sentenza non definitiva  parziale  e  ordinanza  di
rimessione in Corte costituzionale  n.  533  del  14.6.2021,  con  le
considerazioni che di seguito si ritrascrivono). 
    Come e' noto, per lungo tempo la  giurisprudenza  ha  qualificato
l'indennita' di  cui  all'art.  15  l.  n.  1497/1939  (trasfusa  poi
nell'art. 164 d. lgs. n. 490/1999, ed oggi nell'art. 167 d.  lgs.  n.
42/2004) come sanzione amministrativa (Cons.  St.:  V,  24.4.1980  n.
441; 24.11.1981 nn. 700 e 702; VI, 29.3.1983 n. 162; VI, 4.10.1983 n.
701; VI, 5.8.1985 n. 431; VI, 16.5.1990 n. 242, VI, 31.5.1990 n. 551;
VI, 15.4.1993 n. 290; VI, 2.6.2000 n. 3184; VI,  9.10.2000  n.  5386;
IV, 12.11.2000 n. 6279; IV, 2.3.2011 n. 1359; V, 26.9.2013  n.  4783;
VI, 8.1.2020 n.  130;  II,  25.7.2020  n.  4755;  CGARS:  sez.  cons.
16.11.1993 n. 452; sez. giur. 13.3.2014  n.  123;  17.2.2017  n.  58;
23.3.2018 n. 168; 17.5.2018 n. 293; 22.8.2018 n. 484;  29.11.2018  n.
958; 25.3.2019 n. 251, 20.3.2020 n. 198; 1.7.2020 n. 505; 3.7.2020 n.
527; Cass.: sez. un., 18.5.1995 n. 5473; 10.8.1996 n. 7403;  4.4.2000
n. 94; 10.3.2004 n. 4857; 10.3.2005 n. 5214), specificando in  alcune
occasioni che l'assenza di danno sostanziale al paesaggio non esonera
dalla sanzione, essendovi comunque sempre un danno formale  per  aver
edificato senza nulla osta paesaggistico (Cons. St., V, 1.  10.  1999
n. 1225; VI, 2.6.2000 n. 3184; VI, 9.10.2000 n. 5386;  31.10.2000  n.
5828; IV, 27.10.2003 n. 6632; IV, 12.3.2011 n. 1359; V, 26.9.2013  n.
4783; VI, 8.1.2020 n. 130; II, 27.5.2020 n. 4755). 
    Nondimeno,   nell'ambito   degli   arresti    richiamati,    alla
qualificazione   dell'indennita'   in   discorso    quale    sanzione
amministrativa pecuniaria non  e'  seguita  l'integrale  applicazione
della disciplina sistematica di cui alla l. n. 689/1981  (seppur  nei
"limiti di compatibilita'" scolpiti sub art. 12) rinvenendosi  almeno
tre  punti  di  frizione:   l'irretroattivita',   il   regime   della
prescrizione e l'intrasmissibilita' agli eredi ed aventi causa. 
    La sentenza oggi appellata, come gia' rilevato  nella  parte  "in
fatto", si sofferma soltanto sulla questione della sopravvenienza del
vincolo, a differenza di numerose altre, rese  da  altra  qualificata
giurisprudenza amministrativa di primo grado e dal Consiglio di Stato
(in particolare sentenze rese dal medesimo Tar ed  avverso  le  quali
pendono circa ottanta ricorsi in appello presso questo  CGARS)  ed  a
differenza  di  quella  impugnata  nell'ambito  del  ricorso   r.g.n.
99/2020,  parimenti  chiamato  in  decisione  alla  odierna   udienza
pubblica e definito  con  la  sentenza  non  definitiva  parziale  ed
ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14.6.2021; 
    Il Collegio, deve segnalare quella  che  e'  -  a  suo  avviso  -
un'incoerenza    sistematica    notevole     nella     giurisprudenza
"tradizionale", che ritiene che la fattispecie ex art. 167 d. lgs. n.
42/2004 vada ascritta al novero delle sanzioni amministrative  e  che
alla stessa si applichi l'impianto di cui alla legge 689/1981. 
    Giova   precisare,   in   proposito,   che   assai   sovente   la
giurisprudenza ha: 
        a) sostenuto tout court l'applicabilita' L. n.  689/1981  (in
quanto  si  qualifica  il  provvedimento  impugnato  quale   sanzione
amministrativa) al disposto di cui all' art. 167 d. lgs. n. 42/2004; 
        b)  applicato  le  disposizioni  della  predetta   legge   n.
689/1981, in punto di irretroattivita' (art. 1) e  quanto  al  regime
della prescrizione (art 28); 
        c) ritenuto inapplicabile il regime della citata legge n. 689
in punto di intrasmissibilita' agli eredi (art.  7),  nella  evidente
difficolta' di  contrastare  approdi  pacifici  della  giurisprudenza
amministrativa e penale formatasi sull' ambulatorieta' dell'ordine di
demolizione (Cons. St., IV, 12.4.2011  n.  2266;  IV,  24.12.2008  n.
6554; nonche' Cass., III, 15.7.2020  n.  26334;  III,  22.10.2009  n.
48925)  e,  -   si  puo'   ipotizzare   -   nel   convincimento   che
l'affermazione di un simile principio renderebbe il precetto primario
facilmente eludibile. 
    14.3. In punto di inquadramento generale il Collegio ritiene, non
solo per la segnalata incoerenza intrinseca (che, semmai, e' soltanto
la "spia" di una ricostruzione  complessivamente  non  appagante:  si
veda peraltro  la  uniforme  giurisprudenza  che  esclude,  sempre  e
comunque, l'applicazione dell'art. 14 l. n. 689/1981 alla fattispecie
in esame: ex aliis CGARS, sez. giurisdizionale, 23.5.2018 n.  300)  e
sulla  scorta  di   un   piu'   recente   e   meditato   orientamento
giurisprudenziale  (Cons.  St.,  IV,  31.8.2017  n.  4109;  Id.,  II,
30.10.2020 n. 6678), che l'indennita' di cui all'art. 167 comma 5  d.
lgs. n. 42/2004 abbia una funzione  riparatoria,  essendo  funzionale
alla cura dell'interesse paesaggistico, e quindi  che  alla  medesima
non si applichi la l. n. 689/198 1. 
    14.4. L'art. 167 d. lgs. n. 42/2004 stabilisce, al  comma  1,  la
regola generale per cui la violazione della disciplina  paesaggistica
contenuta nel  Titolo  I  della  Parte  terza  del  codice  dei  beni
culturali e del paesaggio determina per il trasgressore l'obbligo  di
rimessione in pristino a proprie spese. 
    Alla regola generale si sottrae la  fattispecie  di  accertamento
della compatibilita' paesaggistica disciplinata al  successivo  comma
4, ai sensi del quale l'autorita' amministrativa  competente  accerta
la compatibilita' paesaggistica nei seguenti casi: 
        a)  per  i  lavori,  realizzati  in  assenza  o   difformita'
dall'autorizzazione  paesaggistica,  che  non   abbiano   determinato
creazione di superfici  utili  o  volumi  ovvero  aumento  di  quelli
legittimamente realizzati; 
        b)   per    l'impiego    di    materiali    in    difformita'
dall'autorizzazione paesaggistica; 
        c) per i lavori comunque configurabili  quali  interventi  di
manutenzione ordinaria o  straordinaria  ai  sensi  dell'art.  3  del
d.P.R. n. 380 del 2001. 
    A tal fine, in base al successivo comma 5: 
        - il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi  titolo
dell'immobile  o  dell'area  interessati  dai   suddetti   interventi
presenta apposita domanda all'autorita' preposta  alla  gestione  del
vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilita'  paesaggistica
degli interventi medesimi; 
    - l'autorita' competente si  pronuncia  sulla  domanda  entro  il
termine perentorio di centottanta giorni,  previo  parere  vincolante
della soprintendenza da  rendersi  entro  il  termine  perentorio  di
novanta giorni; 
    - qualora venga accertata  la  compatibilita'  paesaggistica,  il
trasgressore e' tenuto al  pagamento  di  una  somma  equivalente  al
maggiore importo tra il  danno  arrecato  e  il  profitto  conseguito
mediante la trasgressione (l'importo  della  sanzione  pecuniaria  e'
determinato previa perizia di stima) mentre in caso di rigetto  della
domanda si applica la sanzione demolitoria. 
    Il detto comma 5 dell'art. 167 dispone altresi' che  "la  domanda
di accertamento  della  compatibilita'  paesaggistica  presentata  ai
sensi dell'art. 181 comma 1-quater si  intende  presentata  anche  ai
sensi e per gli effetti di cui al presente  comma",  che  disciplina,
fra l'altro, il pagamento della somma dovuta dal trasgressore. 
    Ai sensi dell'art. 181 comma  1-quater  d.  lgs.  n.  42/2004  il
proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile
o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma  1-ter  (che
coincidono con i sopra riferiti interventi di cui all'art. 167  comma
4), presenta apposita domanda all'autorita'  preposta  alla  gestione
del  vincolo   ai   fini   dell'accertamento   della   compatibilita'
paesaggistica degli interventi medesimi e l'autorita'  competente  si
pronuncia sulla domanda entro il termine  perentorio  di  centottanta
giorni, previo parere vincolante  della  soprintendenza  da  rendersi
entro il termine  perentorio  di  novanta  giorni  (con  disposizione
analoga a quella contenuta nell'art. 167, comma 5). 
    14.5. Da quanto sopra discende che: 
        -  l'istanza  presentata  dal  proprietario,   possessore   o
detentore a qualsiasi titolo dell'immobile  o  dell'area  interessati
dai suddetti interventi, avvia un procedimento avente  due  finalita'
connesse,  essendo  volto   all'accertamento   della   compatibilita'
paesaggistica degli  interventi  medesimi  e,  nel  contempo,  se  il
risultato dell'attivita' di verifica e' positivo,  alla  comminatoria
del pagamento della somma di cui al comma 5 del predetto art. 167; 
        - la soddisfazione dell'interesse pretensivo del  privato  (a
vedere  riconosciuta  la  conformita'  paesaggistica  del   manufatto
abusivo) porta con  se',  quindi,  necessariamente,  in  funzione  di
contrappeso, la debenza della somma; 
        - l'obbligo di corrispondere la somma  sorge  con  l'adozione
dell'atto favorevole ma  non  e'  esigibile  fino  alla  liquidazione
dell'ammontare      (l'intervallo      procedimentale      successivo
all'accertamento della conformita' ambientale e' funzionale  proprio,
e solo, come si vedra' infra, alla quantificazione del dovuto); 
        - nella prospettiva pubblicistica  l'interesse  paesaggistico
e' perseguito superando, innanzitutto, l'alternativa fra, da un lato,
incompatibilita' paesaggistica  e  riduzione  in  pristino  (comma  1
dell'art. 167 d. lgs. n. 42/2004) e, dall'altro lato,  compatibilita'
paesaggistica dell'intervento ai sensi del comma 4  dell'art.  167  e
debenza della somma di denaro; 
        -  al  rigetto  della  domanda  consegue  quindi  la   misura
ripristinatoria per eccellenza, riposante  nella  demolizione  (Cons.
St., VI, 21.12.2020 n. 8171 e  15.4.1993  n.  290).  -  diversamente,
l'accertamento  della  compatibilita'  paesaggistica  determina,   in
ragione del principio di efficienza  dell'intero  sistema  (l'attuale
conformita'   paesaggistica    rende    recessiva    la    precedente
irregolarita'),  il  superamento  della  pretesa  di  assicurare   il
ripristino dello status quo ante; 
        -  la   cura   del   relativo   interesse   impone   comunque
all'Amministrazione di  tenere  in  considerazione  l'abuso  commesso
facendone sopportare il costo (per la collettivita', nei termini  che
si diranno infra) al privato istante attraverso il pagamento  di  una
somma di  denaro,  quantificata,  nei  termini  di  cui  al  comma  5
dell'art. 167 d. lgs. n. 42/2004, previa perizia di stima,  e  avente
anche una finalita' general-preventiva; 
        -  i  provvedimenti  di  accertamento  della   compatibilita'
paesaggistica e di condanna  al  pagamento  della  somma  di  denaro,
nonche' di quantificazione del dovuto, concorrono tutti alla cura del
paesaggio e si pongono, fra loro, in una relazione di  necessarieta',
nel senso che detto interesse pubblico e' adeguatamente  amministrato
solo in quanto siano adottati tutti; 
        -  il  collegamento  pubblicistico  fra   le   determinazioni
dell'Amministrazione  (compatibilita'  paesaggistica,   condanna   al
pagamento di una somma di denaro e quantificazione  dell'importo)  e'
reso evidente dalla disposizione che prevede che l'istanza presentata
dal  privato  sia  funzionale   non   solo   all'accertamento   della
compatibilita'  paesaggistica  ma  anche  alla  quantificazione   del
pagamento della somma di denaro; 
        - l'obbligo di pagare la somma di denaro deriva dalla legge e
diviene  attuale  con  l'accertamento  positivo   della   conformita'
paesaggistica dell'intervento (che invece, all'accertamento negativo,
segue la riduzione in pristino), 
        - segnatamente l'an della debenza e' reso  certo  al  momento
della verifica (positiva) di conformita' paesaggistica del manufatto;
nondimeno, posto che esso non e' ancora  liquido,  non  e'  esigibile
fino all' avvenuta determinazione del quantum; 
        - la quantificazione della somma dovuta  e'  connotata  dalla
cura dell'interesse paesaggistico essendo effettuata infatti in  base
a una stima, nel  "maggiore  importo  tra  il  danno  arrecato  e  il
profitto conseguito"; 
        - a quest'ultima e' riconducibile una duplice ratio; 
        - innanzitutto essa e' funzionale alla cura dell'ambiente; in
tal senso il parametro di quantificazione  prescelto  non  e'  avulso
dalla necessita' di superare la prospettiva ripristinatoria,  di  per
se' rinvenibile nella sola riduzione in pristino, ed e' riconducibile
alla necessita' di calmierare l'esternalita' negativa derivante dalla
trasgressione  paesaggistica,  connessa  ad  un  interesse  in  parte
adespota, anche in relazione  alla  sua  connessione  con  il  valore
dell'ambiente  e  delle  esigenze  di  preservarlo  alle  generazioni
future; 
        - cio' e' reso evidente dall'utilizzo  delle  somme  ricavate
per "l'esecuzione delle rimessioni in pristino" e per  "finalita'  di
salvaguardia  nonche'  per  interventi   di   recupero   dei   valori
paesaggistici e di  riqualificazione  degli  immobili  e  delle  aree
degradati o  interessati  dalle  rimessioni  in  pristino"  (comma  6
dell'art. 167 d. lgs.  n.  42/2004)  e  dalla  quantificazione  della
stessa in modo non avulso dalla trasgressione commessa,  dal  momento
che uno dei parametri e' costituito dal danno arrecato; 
        - la precedente normativa infatti, contenuta nell'art. 15  l.
n. 1497/1939, nel d.m. 26.9.1997, poi trasfuso nell'art. 164 d.  lgs.
n.  490/1999,  qualificava  l'indennita'  come  risarcitoria,   cosi'
evidenziandone  la  funzione  di  compensazione  della  collettivita'
dell'utilita' perduta nel  tempo  dell'abuso,  valorizzando  in  modo
astratto  l'oggetto  di  tutela,  l'interesse  paesaggistico,   cioe'
considerandolo nel suo valore di scambio; 
        - in tal senso si puo' interpretare la recente giurisprudenza
del Consiglio di Stato che delinea la condanna  pecuniaria  in  esame
come "sanzione riparatoria alternativa" al  ripristino  dello  status
quo ante, cosi' non applicando la disciplina contenuta  nella  l.  n.
689/1981 e, in particolare,  la  norma  sulla  trasmissibilita'  agli
eredi (Cons. St., VI, 21.12.2020 n.  8171;  Id.,  II,  30.10.2020  n.
6678); 
        -  il  ripristino  non  deve,   infatti,   intendersi   quale
riaffermazione della situazione precedente all'abuso (che  l'istituto
in esame e' volto proprio a superare) ma sta a indicare la  finalita'
di risolvere, pro futuro, l'intervenuta turbativa degli interessi, al
fine di presidiare questi ultimi (attraverso la debenza di una  somma
di denaro commisurata alla maggior somma fra il danno prodotto  e  le
connesse conseguenze profittevoli); 
        - nondimeno la corresponsione della somma  di  denaro  svolge
altresi'  una   funzione   di   deterrenza   derivante   dall'effetto
afflittivo, del  quale  e'  indice  la  terminologia  utilizzata  dal
legislatore,  che  fa  riferimento  alla  "sanzione",   il   criterio
normativo di quantificazione, basato sul "maggiore  importo"  tra  il
danno arrecato e il profitto conseguito,  potenzialmente  foriero  di
una  condanna  per  un  importo  superiore  rispetto  al  pregiudizio
economico prodotto, e la stessa dinamica sottesa all'istituto di  cui
all'art. 167 d. lgs. n. 42/2004.  La  tenuta  del  sistema  non  puo'
infatti essere messa in pericolo da una  sopravvenuta  compatibilita'
ambientale,  idonea,  in  tesi,  a  far  venir  meno  la   precedente
trasgressione, pena l'indebolimento del vincolo paesaggistico, la cui
violazione  potrebbe  essere  percepita  come  non  decisiva,   nella
speranza  che  in  futuro  venga  meno,  cosi'  eliminando  anche  le
conseguenze della situazione antigiuridica antecedente; 
        - la portata afflittiva e' comunque  secondaria,  considerata
l'irrilevanza,  ai  fini   dell'integrazione   dei   presupposti   di
applicazione della condanna pecuniaria, dell'elemento soggettivo  del
dolo  o  della  colpa  (elemento  determinante  per  qualificare  una
fattispecie come sanzionatoria secondo l'Ad. Plen. 11.9.2020 n. 18) e
dal fatto che la condanna pecuniaria non costituisce una  conseguenza
diretta dell'illecito commesso; 
        -  essa  e'  infatti  principalmente   il   portato   di   un
provvedimento   favorevole   (l'accertamento   della   compatibilita'
ambientale) di cui costituisce il corollario e il contrappeso; 
        - la funzione della condanna pecuniaria di cui  all'art.  167
comma 5 e', quindi, solo  parzialmente  riconducibile  all'afflizione
che connota sia il danno  punitivo  (SS.  UU.  5.7.2017  n.  16601  e
6.5.2015 9100),  sia  la  sanzione  amministrativa  (fattispecie  che
richiedono entrambe una previsione di legge, ai sensi rispettivamente
dell'art. 25 comma 2 Cost e dell'art. 23 Cost., nel caso di specie da
rinvenirsi nella norma di legge appena citata); 
        - nel complesso l'imposizione del pagamento  della  somma  di
denaro ha quindi una finalita' compensativa del danno prodotto e solo
in parte afflittiva; 
        - il relativo  procedimento  costituisce  una  manifestazione
tipica di potesta' amministrativa, nell'ambito dei quale il cittadino
versa  in  una  posizione  di  interesse  legittimo  e   cio'   anche
considerando la sua componente afflittiva (secondaria e servente),  e
diversamente rispetto all'esercizio del solo potere punitivo da parte
dell'Amministrazione, nel quale non vi e' ponderazione  di  interessi
(Cass., I, 23.6.1987  n.  5489),  essendo  ricollegato  al  vincolato
accertamento, secondo la procedura di cui alla l.  n.  689/1981,  del
verificarsi concreto della fattispecie  legale,  cui  corrisponde  il
diritto  soggettivo  dell'intimato  a  non  subire  l'imposizione  di
prestazioni fuori dei casi espressamente previsti  dalla  legge,  con
conseguente devoluzione delle relative controversie,  in  assenza  di
ipotesi di giurisdizione esclusiva, al giudice ordinario (Cons.  St.,
V, 24.1.2019 n. 587); 
        - dal punto di vista strutturale  il  procedimento  in  esame
vede  una  prima  fase  deputata  a  verificare   la   compatibilita'
paesaggistica (e la connessa, e dovuta, condanna al  pagamento  della
somma  di  denaro)  mentre  il   successivo   intervallo   temporale,
finalizzato a quantificare l'importo, e' meramente servente,  essendo
necessario per  rendere  liquido  ed  esigibile  l'importo  e  quindi
effettivo il rimedio (rispetto al precedente  abuso)  dell'ordine  di
pagamento; 
        - al procedimento  si  applicano  i  principi  dell'attivita'
amministrativa,   pur   considerandone   il   (parziale)    carattere
afflittivo: la l. n. 241 del 1990 offre la regolamentazione  di  base
di qualsiasi procedimento amministrativo che non sia accompagnato  da
una normativa specifica; la l. n. 689/1981 non puo' essere  applicata
al di la' della categoria delle  sanzioni  amministrative  pecuniarie
(Cons. St., II, 4.6.2020 n. 3548), "non puo' che  tornare  a  trovare
applicazione quello generale di cui alla l. n. 241/1990" (Cons.  St.,
II,  4.6.2020  n.  3548)  e,  infatti,   alle   sanzioni   pecuniarie
sostitutive di una misura ripristinatoria di carattere reale  non  si
applica la l. n. 689/1981 (CGARS, 9.2.2021 n. 95  e  Cons.  St.,  VI,
20.10.2016 n. 4400); 
        -    la    ragione    dell'impostazione    e'     rinvenibile
nell'interrelazione reciproca della doppia finalita',  che  non  puo'
andare a nocumento dell'interesse pubblico che il provvedimento  mira
a tutelare dal momento che - come gia' detto - prevalgono le  istanze
di  cura  di  detto  interesse  (mentre  la  potesta'  afflittiva  e'
recessiva) e che in ogni caso entrambe le funzioni  assolte  di  cura
del bene paesaggistico leso e di deterrenza, sono comunque  destinate
da ultimo a tutelare l'interesse della collettivita', alla quale,  in
ultima istanza, e' comunque preordinata anche  la  potesta'  punitiva
dello Stato: "La sanzione in "senso stretto" e' irrogata  tramite  un
procedimento diverso da quello previsto dalla legge 7 agosto 1990, n.
241, che fa capo alla l. n. 689/1981, e' garantita  dai  principi  di
legalita', personalita' e  colpevolezza  (per  quanto  mutuati  dalla
legislazione ordinaria e non dalla Costituzione), e' suscettibile  di
integrale riesame giudiziale (senza, cioe', alcun limite di  "merito"
amministrativo),  laddove  alle  sanzioni  "altre"  si  applicano   i
principi dell'attivita' amministrativa  tradizionale  (dettate  dalla
legge generale  sul  procedimento  amministrativo)"  (Cons.  St.,  V,
24.1.2019 n. 587). 
    15. Cio' posto, (con riferimento ai tre "punti di frizione" prima
delineati) si osserva che: 
        a) la questione della prescrizione non viene in  rilievo  nel
presente processo, in quanto non  sollevata  dalla  parte  originaria
ricorrente, (e comunque, sul punto, a soli  fini  di  comprova  della
coerenza della ricostruzione complessiva patrocinata dal Collegio, si
rinvia alla sentenza di questo CGARS n. 95  del  2021,  che  perviene
comunque alla  conclusione  della  prescrizione  quinquennale,  senza
tuttavia fondarla sull'art. 28 l. n. 689/1981); 
        b) parimenti la problematica della  intrasmissibilita'  della
sanzione ad eredi ed aventi causa non viene in rilievo  nel  presente
processo, in quanto anch'essa mai sollevata  dalla  parte  originaria
ricorrente (sul punto, a soli fini di comprova della  coerenza  della
ricostruzione complessiva patrocinata dal Collegio, si  fa  integrale
riferimento ai capi da 18.1 a 18. 3  della  sentenza  non  definitiva
parziale ed ordinanza di rimessione in Corte  costituzionale  n.  532
del 14.6.2021 resa nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n.
99/2020 e  parimenti  chiamato  in  decisione  alla  odierna  udienza
pubblica); 
        c)  assume   invece   rilevanza   la   tematica   concernente
l'irretroattivita' del vincolo paesaggistico  imposto  sull'area  (in
ordine  alla  quale  si  e'  prima  chiarito,  in  punto  di   fatto,
orientamento del Collegio). 
    16. Affrontati, e ritenuti infondati, i  motivi  sopra  esaminati
(il  secondo  e  subordinato  motivo   dell'appello   principale,   e
l'articolazione del primo motivo dell'appello  principale  incentrata
sulla preesistenza di un vincolo paesaggistico rispetto al momento di
commissione dell'abuso), non rimane al Collegio che  procedere  nello
scrutinio del primo motivo contenuto nell'appello principale. 
    16.1. Con detta censura l'appellante amministrazione  ha  dedotto
che il Tar avrebbe commesso un errore  fattuale,  non  ritenendo  che
alla data di commissione dell'abuso edilizio per cui e' causa  l'area
sarebbe stata (gia') interessata da un vincolo paesaggistico  (e  non
soltanto archeologico), vigente sin dal 1971  (quindi  precedente  al
vincolo introdotto dalla l. n. 431/1985). 
    16.2.  Il  Tar   ha   accolto   la   censura   incentrata   sulla
sopravvenienza del vincolo paesaggistico  rispetto  alla  commissione
dell'abuso argomentando sulla base  del  canone  di  irretroattivita'
desumibile dall'art. 1 l. n. 689/1981 e dal comma 3 dell'art. 5  l.r.
n. 17/1994. 
    16.2. Il Collegio ritiene, come gia' illustrato sopra,  che  fino
alla l. n. 431/1985 l'area ove insiste  immobile  de  quo  non  fosse
gravata da alcun vincolo paesaggistico. 
    16.3. Il  caso  in  esame  e'  quindi  connotato  da  un  vincolo
paesaggistico sopravvenuto rispetto alla realizzazione del  manufatto
abusivo (ultimata nel 1973/1976, come  si  evince  dalla  domanda  di
sanatoria). 
    17. Viene quindi in  rilievo  il  tema,  comune,  come  detto,  a
numerose   altre   controversie    pendenti    presso    il    CGARS,
dell'applicazione dell'art. 1 della l.  n.  689/1981  e  dell'art.  5
comma 3 l.r. n. 17/1994. 
    17.1. Come gia' motivato, il Collegio ritiene che l'indennita' di
cui all'art. 167 comma 5  d.  lgs.  n.  42/2004  abbia  una  funzione
riparatoria,   essendo   funzionale    alla    cura    dell'interesse
paesaggistico, e quindi che alla medesima non si applichi  la  l.  n.
689/1981. 
    Detta qualificazione dell'indennita' in parola  impone  piuttosto
di considerare  la  normativa  vigente  al  momento  della  pronuncia
dell'Amministrazione, in base alla regola generale  (non  applicabile
all'attivita' sanzionatoria in senso stretto)  per  cui  la  pubblica
Amministrazione, sulla quale  a  norma  dell'art.  97  Cost.  incombe
l'obbligo di osservare la legge, deve  necessariamente  tener  conto,
nel  momento  in  cui  provvede,  della   norma   vigente   e   delle
qualificazioni giuridiche che essa impone (Ad. Plen. n. 20/1999). 
    17.2. Declinando la suddetta norma di azione dell'Amministrazione
nel settore di interesse l'Adunanza plenaria  ha  affermato  che,  in
base alla disciplina nazionale (art. 32 della l. n. 47/1985,  che  fa
riferimento  ai  vincoli  paesaggistici,  e   successivi   interventi
normativi, di cui all'art. 4 del d.l. n. 146/1985,  all'art.  12  del
d.l. n. 2/1988, dichiarato costituzionalmente  illegittimo  da  Corte
cost. 10.3.1988 n. 302, all'art. 2, comma 43, della  l.  23  dicembre
1996 n. 662 e all'art.  1  l.  n.  449/1997)  e  al  diritto  vivente
formatosi su di essa, "la disposizione di  portata  generale  di  cui
all'art. 32, primo comma, relativa ai vincoli  che  appongono  limiti
all'edificazione, non reca alcuna deroga a questi principi, cosicche'
essa deve interpretarsi "nel senso  che  l'obbligo  di  pronuncia  da
parte dell'autorita' preposta alla tutela  del  vincolo  sussiste  in
relazione alla esistenza del vincolo al momento in  cui  deve  essere
valutata  la  domanda  di   sanatoria,   a   prescindere   dall'epoca
d'introduzione del vincolo.  E  appare  altresi'  evidente  che  tale
valutazione  corrisponde  alla   esigenza   di   vagliare   l'attuale
compatibilita',   con   il   vincolo,   dei   manufatti    realizzati
abusivamente" (Ad. Plen. n. 20/1999). 
    La  giurisprudenza  amministrativa  successiva  ha   seguito   la
suddetta impostazione (Cons. St., VI, 25.3.2019 n. 1960; 25.1.2019 n.
627 e 22.2.2018 n. 1121; IV, 14.11.2017 n. 5230).  E  cio'  anche  in
relazione  all'indennita'  connessa   all'accertamento   postumo   di
compatibilita' paesaggistica del manufatto abusivo, comunque dovuta a
livello  nazionale,  indipendentemente  dalla  qualificazione   della
medesima come sanzionatoria o risarcitoria. In tale ambito, pertanto,
non si e' ritenuto applicabile l'art. 1 l. n. 689/1981, anche (seppur
con  le  contraddittorieta'  evidenziate  sopra)  nei  casi  in   cui
l'indennita' di cui all'art. 167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004 e'  stata
qualificata come sanzionatoria (con conseguente conferma dell'opzione
ermeneutica illustrata sopra che supera le  contraddittorieta'  della
piu' risalente impostazione). 
    Il consolidarsi di tale orientamento - che il Collegio  condivide
- si spiega anche in ragione del portato dell'art. 2 comma 46  l.  n.
662 del 1996, che esplicita come, in caso di  condono,  resti  dovuta
l'indennita' per danno al paesaggio (di cui infra quanto ai  rapporti
con la normativa regionale) e  la  giurisprudenza  si  e'  conformata
(Cons. St., VI, 22.7.2018 n. 4617; Id., II, 2.10.2019 n. 6605). 
    "Di tale  disposizione,  entrata  in  vigore  successivamente  al
provvedimento impugnato in primo grado, la Sezione, conformemente  ad
un orientamento consolidato di questo Consiglio, ha gia'  avuto  modo
di rilevare "la natura  chiaramente  interpretativa",  in  quanto  la
sanzione paesaggistica va fatta risalire alla disciplina di cui  alla
legge del 1939 e la sua applicazione retroattiva anche  alle  domande
di condono presentate, ai sensi della legge n. 47/1985 in  quanto  la
formula utilizzata ("qualsiasi intervento  realizzato  abusivamente")
lascia chiaramente intendere che il perimetro applicativo della norma
prescinde dall'epoca alla quale risale la presentazione della domanda
di condono, venendo invero  in  considerazione  il  danno  ambientale
perpetrato invece che l'assetto procedimentale per  il  conseguimento
della sanatoria urbanistica ( ... ). 
    La natura interpretativa della norma,  quale  espressione  di  un
principio  di  autonomia  tra  sanatoria  edilizia  e  paesaggistica,
comporta l'applicazione anche alla  sanatoria  presentata,  ai  sensi
dell'art. 13 della  legge  n.  47/1985,  nel  1990,  trattandosi  del
medesimo rapporto  di  autonomia  tra  procedimento  paesaggistico  e
procedimento edilizio" (Cons. St., II, 30.10.2020 n. 6678). 
    17.3.  In  considerazione  della  disciplina  vigente  in  ambito
nazionale, quindi, ad avviso del Collegio: 
        a) non troverebbe applicazione, per le gia' esposte  ragioni,
l'art. 1 della l. n. 689/198 1; 
        b) la controversia andrebbe decisa  sulla  base  della  legge
vigente al  momento  della  pronuncia  dell'Amministrazione,  con  la
conseguenza che, in presenza di un vincolo attuale (nel senso  appena
detto), l'indennita' sarebbe dovuta (e l'appello andrebbe accolto sul
punto, con conseguente riforma dell'impugnata decisione ed  integrale
reiezione del ricorso di primo grado). 
    17.4. Senonche', pur essendosi esclusa l'applicabilita' dell'art.
1 l. n. 689/1981, ai fini  della  compiuta  disamina  della  tematica
della irretroattivita' occorre adesso confrontarsi  con  un'ulteriore
disposizione normativa di matrice regionale. 
    Nella Regione Siciliana viene,  infatti,  in  evidenza  l'art.  5
comma 3 l.r. n. 17/1994, recante "norma di interpretazione autentica"
dell' art. 23 comma 10 della l.r. 10 agosto  1985,  n.  37,  che  nel
testo  "sopravvissuto"  alla  sentenza  della  Corte   costituzionale
8.2.2006 n. 39 (che dichiaro' costituzionalmente  illegittimo  l'art.
17, comma 11, l.r.  16.4.2003  n.  4)  dispone  che  "il  nulla  osta
dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo  e'  richiesto,  ai
fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il  vincolo  sia
stato apposto  successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva.
Tuttavia, nel caso di vincolo  apposto  successivamente,  e'  esclusa
l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,  discendenti
dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore  dell'abuso
edilizio". 
    Viene in  particolare  in  evidenza  l'ultimo  periodo  di  detta
disposizione, che inibisce l'irrogazione di  sanzioni  amministrative
pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto. 
    17.5.  Il  Collegio,  prima   di   affrontare   il   tema   della
costituzionalita' di detta disposizione, ritiene utile premettere  di
ritenere vigente la medesima (sulla scia di CGARS,  sezioni  riunite,
12.5.2021, n. 149; Id., sezioni riunite, 12.5.2021  n.  147;  Id.,  e
sezioni riunite 10.5.2021 n. 354) in una duplice prospettiva. 
    17.6. Quanto al primo  profilo,  si  rileva  che  -  secondo  gli
insegnamenti del Giudice delle leggi - il fenomeno della reviviscenza
di norme abrogate non opera in via generale ed automatica  in  quanto
esso produce come effetto il ritorno in  vigore  di  disposizioni  da
tempo  soppresse,  con  conseguenze  imprevedibili  per   lo   stesso
legislatore e per le autorita' chiamate a  interpretare  e  applicare
tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto,
che esprime un principio essenziale per il sistema delle fonti (Corte
cost. 24.1.2012 n. 13) ed  alla  tenuta  del  sistema  giuridico,  in
quanto espressione delle  esigenze  di  sicura  conoscibilita'  delle
norme che compongono l'ordinamento. 
    Esso puo' pertanto essere ammesso  in  ipotesi  tipiche  e  molto
limitate. 
    La  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  di  poter   parlare   di
reviviscenza nell'ipotesi  di  annullamento  di  norma  espressamente
abrogatrice  da  parte  del   giudice   costituzionale,   che   viene
individuata come caso a se' (Corte cost. 24.1.2012 n. 13).  Nel  caso
di specie l'art.  17  comma  11  l.r.  n.  4  del  2003  ("Il  parere
dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo  e'  richiesto,  ai
fini della concessione o autorizzazione edilizia in  sanatoria,  solo
nel caso in cui il vincolo  sia  stato  posto  antecedentemente  alla
realizzazione dell'opera abusiva") ha sostituito  l'art.  5  comma  3
l.r. n. 17/1994 ("il nulla osta dell'autorita' preposta alla gestione
del vincolo e' richiesto, ai fini  della  concessione  in  sanatoria,
anche  quando  il   vincolo   sia   stato   apposto   successivamente
all'ultimazione dell'opera abusiva"), offrendo, dell'art. 23 l.r.  n.
35 del 1987, un'interpretazione opposta. Sicche' di fatto ha abrogato
l'interpretazione contenuta nell'art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994 nella
sua originaria formulazione. 
    L'inoperativita' della reviviscenza renderebbe priva  di  effetti
la pronuncia  di  incostituzionalita'.  Fra  le  due  interpretazioni
possibili (il vincolo sopravvenuto comporta comunque la necessita' di
chiedere il nulla osta paesaggistico in  caso  di  abuso,  oppure  il
vincolo paesaggistico sopravvenuto inibisce il potere  dell'autorita'
paesaggistica), avrebbe continuato  ad  essere  applicata  la  regola
dettata dalla  disposizione  costituzionalmente  illegittima:  e'  la
stessa Corte costituzionale a rendere conto, nella sentenza n. 39 del
2006, della concezione opposta  e  inconciliabile  recata  dalla  due
disposizioni di legge  che  si  sono  succedute  (in  particolare  la
seconda, quella dichiarata costituzionalmente illegittima, avrebbe un
"significato addirittura opposto a quello che in  precedenza  si  era
gia' determinato come autentico"). 
    Non potendosi ammettere tale evenienza (cioe' che la disposizione
costituzionalmente illegittima continui a produrre effetti) non  puo'
che  ritenersi  che,  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  la
sostituzione, riviva la norma che e' stata sostituita, posto  che  il
meccanismo sostitutivo evidenzia come non sia venuta meno  l'esigenza
di normare la specifica materia. 
    Ne' depone in senso contrario, nel caso di specie, la circostanza
che la norma sostituita e quella che  la  sostituisce  costituiscono,
entrambe,  disposizioni  di  interpretazione  autentica   (cosi'   la
richiamata sentenza della  Corte  costituzionale  n.  39  del  2006),
sicche'  la  regola  ermeneutica  successiva  (e   costituzionalmente
illegittima) ha prescelto il parametro legislativo opposto rispetto a
quello  precedente,  ma  non   ha   fatto   venir   meno   l'esigenza
interpretativa. 
    Il Collegio ritiene pertanto che sia tuttora in vigore  la  norma
contenuta nell'art. 5 comma 3  l.r.  n.  17/1994  nella  formulazione
precedente alla sostituzione operata dall'art. 17 comma 11 l.r. n.  4
del 2003, anche in  considerazione  del  fatto  che  l'eventuale  non
conformita' a Costituzione di detta disposizione non si riverbera sul
meccanismo     della     reviviscenza,     determinando     piuttosto
l'illegittimita' costituzionale di esso (se riportato in  vita  dalla
precedente declaratoria di illegittimita' costituzionale). 
    Si aggiunge che nell'occasione di cui alla sentenza  della  Corte
costituzionale n. 30 del 2006 non e' stato valutato l'ultimo  periodo
dell'art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994 ( "nel caso  di  vincolo  apposto
successivamente, e' esclusa l'irrogazione di sanzioni  amministrative
pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico
dell'autore dell'abuso edilizio") nella formulazione precedente  alla
sostituzione operata dall'art. 17 comma 11 l.r.  n.  4/2003,  neppure
laddove  si  afferma  (comunque  in  riferimento  a  un  orientamento
giurisprudenziale   risalente)   che   l'interpretazione    autentica
dell'art. 23 comma 10 della l.r. n.  37/1985,  fornita  dallo  stesso
legislatore regionale con l'art.  5  comma  3  l.r.  n.  17/1994,  ha
contribuito   al   consolidarsi   a   livello   regionale   di    una
interpretazione analoga a quella in uso a livello nazionale  rispetto
all'art. 32 della legge statale n. 47/1985, specie dopo  l'intervento
dell'Adunanza  plenaria  del  Consiglio  di  Stato  con  la  sentenza
22.7.1999 n. 20. 
    Sicche' si ritiene di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte
costituzionale proprio in relazione a quella proposizione,  anche  in
ragione di quel principio  di  certezza  del  diritto  (funzionale  a
rendere conoscibile la norma a tutti gli operatori del diritto, anche
all'autorita'  amministrativa  e  al  privato)  cui  e'   preordinato
l'orientamento della Corte sulla reviviscenza. 
    17.7. In secondo luogo, il Collegio ritiene che l'art. 2 comma 46
l. n. 662/1996 (cui la giurisprudenza ha peraltro attribuito  portata
interpretativa: cosi' il gia'  richiamato  arresto,  Cons.  St.,  II,
30.10.2020 n. 6678), che esplicita che in caso  di  condono  edilizio
resta dovuta l'indennita' per  danno  al  paesaggio  ("Per  le  opere
eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla l. 29 giugno 1939,
n.  1497,  e  al  d.l.  27  giugno  1985,  n.  312,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  l.  8  agosto  1985,  n.  431,  il  versamento
dell'oblazione   non    esime    dall'applicazione    dell'indennita'
risarcitoria  prevista  dall'articolo  15  della  citata   legge   n.
1497/1939"), non abbia abrogato la disposizione regionale  del  1994.
Cio'  in  quanto,  in  ambito  di  competenza  legislativa  esclusiva
devoluta ad una regione a statuto speciale (come e' nella specie)  ed
in  presenza  di  legge  regionale,  la  successiva   legge   statale
(incompatibile)  non  supporta,  fatta  salva  l'ipotesi  del  rinvio
dinamico, il sistema della successione  delle  leggi  nel  tempo  nel
senso di ritenere implicitamente abrogata la legge precedente il  cui
contenuto sia incompatibile con  il  disposto  della  fonte  primaria
successiva: osta la competenza legislativa  esclusiva  della  Regione
Sicilia  (di  cui  infra)   che   impone   di   valutare   non   solo
l'incompatibilita' ma anche la portata della successiva norma statale
in termini di norma  nazionale  di  grande  riforma,  richiedendo  la
pronuncia sul punto della Corte costituzionale. 
    Mentre l'ordinamento italiano devolve il primo profilo  (relativo
all'incompatibilita') al giudizio diffuso degli operatori del diritto
che si trovino ad applicarla, non avviene cosi' rispetto  al  secondo
profilo di valutazione (appartenenza o meno della norma statale  alla
categoria delle norme di grande riforma), devoluto, anche in  ragione
della complessita' che lo connota, alla Corte  costituzionale,  anche
nella prospettiva della  certezza  del  diritto.  Del  resto  "i  due
istituti   giuridici   dell'abrogazione   e   della    illegittimita'
costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono  su
piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo
dell'abrogazione inoltre e' piu' ristretto, in  confronto  di  quello
della illegittimita' costituzionale, e i requisiti richiesti  perche'
si abbia abrogazione per incompatibilita' secondo i principi generali
sono  assai  piu'  limitati  di  quelli  che  possano  consentire  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una  legge"  (Corte
cost. 14.6.1956 n. 1). 
    Il rapporto fra l'art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994 e l'art. 2 comma
46 l. n. 662 del  1996,  non  trovando  soluzione  nelle  regole  che
governano la successione delle leggi nel tempo, e' quindi  ricompreso
nella questione di legittimita' costituzionale che si pone alla Corte
costituzionale. 
    18. Ritenuto quanto sopra, il Collegio intende porre la questione
di legittimita' costituzionale sull'art. 5  comma  3  della  l.r.  n.
17/1994,  con  specifico  riferimento  all'ultimo  periodo  di  detta
disposizione, che inibisce l'irrogazione di  sanzioni  amministrative
pecuniarie  in  caso  di  vincolo  sopravvenuto   ("il   nulla   osta
dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo  e'  richiesto,  ai
fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il  vincolo  sia
stato apposto  successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva.
Tuttavia, nel caso di vincolo apposto successivamente  ,  e'  esclusa
l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,  discendenti
dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore  dell'abuso
edilizio"). 
    18.1. La questione e' rilevante  in  ragione  di  quanto  a  piu'
riprese considerato ed in quanto, in costanza della  norma  regionale
suddetta  (e  pur  essendo  il  Collegio  persuaso  che   non   trovi
applicazione il disposto di cui all'art. 1 l. n. 689/1981)  nel  caso
di specie dovrebbe confermarsi la pronuncia di  primo  grado  che  ha
annullato l'ingiunzione di pagamento dell'indennita', atteso  che  il
vincolo paesaggistico e' stato apposto dopo  la  realizzazione  della
costruzione abusiva. 
    Laddove, invece, la norma venga meno in seguito  a  pronuncia  di
incostituzionalita'  (ovvero   anche,   semplicemente,   laddove   si
ritenesse, difformemente da quanto ipotizzato dal questo Giudice, che
la  predetta  disposizione  non  sia  piu'  in   vigore   in   quanto
implicitamente abrogata) il Collegio dovrebbe determinarsi  in  senso
opposto, riformando la sentenza di primo grado. 
    Non puo' poi sottacersi la particolare rilevanza  che  assume  la
questione per questo CGARS (oltre che per l'Amministrazione siciliana
e i cittadini che afferiscono al relativo territorio), atteso che  il
presente giudizio e'  uno  dei  circa  ottanta  attualmente  pendenti
innanzi a questo Consiglio di Giustizia Amministrativa ed  aventi  ad
oggetto immobili edificati abusivamente  nell'area  della  Valle  dei
Templi in Agrigento nella medesima area. 
    19. Sembra evidente che l'art. 5 comma 3 l.r. n.  17/1994  (nello
stabilire che l'art. 23  comma  10  l.r.  n.  37/1985,  debba  essere
interpretato nel senso che "il  nulla  osta  dell'autorita'  preposta
alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione  in
sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto  successivamente
all'ultimazione dell'opera abusiva", dispone che "nel caso di vincolo
apposto  successivamente,  e'  esclusa  l'irrogazione   di   sanzioni
amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme  disciplinanti  lo
stesso, a  carico  dell'autore  dell'abuso  edilizio")  sia  volto  a
impedire che dall'abuso derivino effetti  negativi  sul  proprietario
dell'immobile allorquando il vincolo paesaggistico e' successivo alla
realizzazione dell'abuso (e sembra altresi' evidente che,  in  questa
chiave di lettura, tale esenzione  ricomprenderebbe  anche  eredi  ed
aventi causa, che altrimenti ci si  troverebbe  al  cospetto  di  una
illogicita'   incomprensibile:   l'autore   dell'   abuso    verrebbe
"privilegiato" rispetto all'avente causa di questi). 
    La voluntas  legis  regionale  non  pare,  in  tale  prospettiva,
attribuire  un  ruolo  decisivo  all'uso  del   termine   "sanzione",
ritenendosi piuttosto che essa voglia impedire l'esborso  di  denaro,
indipendentemente dalla qualificazione di quest'ultimo. 
    Il  termine  sanzione  delinea  la   conseguenza   di   carattere
patrimoniale derivante dall'aver realizzato un'opera  abusiva  ed  e'
coerente con la qualificazione attribuita all'epoca all'indennita' in
discorso. 
    In  tal  senso  si  ritiene  che  la  possibilita'  di   esperire
un'interpretazione costituzionalmente  orientata,  che,  valorizzando
l'utilizzo  del   termine   "sanzione",   ritenga   non   applicabile
all'indennita' di cui all'art. 167 comma 5 del d. lgs. n. 42/2004  la
norma regionale contenuta nell'art. 5 comma 3 della l.r. n.  17/1994,
non sia percorribile: osta' il principio della certezza del  diritto.
Il profilo emerge con evidenza se si  considera  la  gia'  richiamata
circostanza relativa  all'attuale  pendenza  di  ottanta  giudizi  di
contenuto analogo presso questo CGARS, cosi' risaltando la  rilevanza
che assume il connotato della  certezza  del  diritto  non  solo  per
l'organo giurisdizionale ma altresi' per l'Amministrazione  siciliana
e gli abitanti del relativo territorio. 
    Invero, a tacere del fatto che, se si interpretasse in tal  senso
la disposizione regionale,  si  determinerebbe  un'ipotesi  di  norma
inutiliter data, si aggiunge che l'art. 5 l.r.,  per  come  e'  stato
costantemente  applicato,  intende  riferirsi,  laddove  utilizza  il
termine "sanzione", proprio all'indennita' per danno al paesaggio. 
    Si ritiene pertanto  che  la  disposizione  regionale  della  cui
legittimita' costituzionale si dubita sia riferita all'indennita'  di
cui all'art. 167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004 (indipendentemente  dalla
qualificazione di  detta  indennita'  sulla  quale  ci  si  e'  prima
soffermati, laddove si ritiene di avere chiarito le  ragioni  per  le
quali il Collegio non la ricompresa nella  categoria  delle  sanzioni
amministrative pecuniarie normate dalla l. n. 689/1981). 
    Nondimeno il Collegio, pur ritenendo che detta qualificazione non
abbia un rilievo cosi' determinante in punto di valutazione della non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale,  ancorata  alla  diversita'  di  disciplina  con   la
normativa statale  in  punto  di  abuso  paesaggistico  (nei  termini
illustrati infra), come si dira', non ignora  che  la  qualificazione
dell'indennita' in  parola  in  termini  di  sanzione  amministrativa
pecuniaria non e' indifferente per il Giudice ad quem, come si  avra'
modo di illustrare nel paragrafo 2 1. 
    19.  1.  Premesso  cio',  la  valutazione  della  non   manifesta
infondatezza si articola innanzitutto nel senso che l'art. 5 comma  3
l.r. n.  17/1994,  nella  formulazione  ritenuta  vigente,  viola  la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli artt. 9 e 117 comma 2,
lett. s) della Costituzione, in quanto determina una lesione  diretta
dei beni culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave
diminuzione del livello di tutela  garantito  nell'intero  territorio
nazionale. La predetta norma regionale interseca la disciplina  sulla
protezione  del  paesaggio  (in  quanto  provvede  a   delineare   le
conseguenze dell'abuso anche paesaggistico),  normativa  che,  a  sua
volta, rispecchia la natura unitaria del valore primario  e  assoluto
dell'ambiente, di esclusiva spettanza statale ai sensi  dell'art  117
comma 2 lett. s) della Costituzione. Cio' in quanto: 
        - ai sensi dell'art. 9 comma 2, Cost. la Repubblica tutela il
paesaggio e il patrimonio storico della Nazione; 
        - l'art. 117 comma 2 lett. s), Cost. attribuisce  alla  Stato
la  competenza  legislativa  esclusiva  nella  materia  della  tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; 
        - l'art. 14 comma 1 lett. n), dello  Statuto  speciale  della
Regione Sicilia, approvato  con  r.d.l.  15  maggio  1946  n.  455  e
successive  modificazioni  e  integrazioni,  riconosce  una  potesta'
legislativa esclusiva  in  materia  di  tutela  del  paesaggio  e  di
conservazione delle antichita' e delle opere artistiche. 
    In merito alla materia del paesaggio si rileva che: 
        - l'art. 9 Cost. (la Repubblica "tutela  il  paesaggio  e  il
patrimonio storico e artistico  della  Nazione")  ha  costituito,  in
combinato disposto con gli artt. 2 e 32 Cost., l'asse portante per il
riconoscimento  del  diritto  primario  a  godere  di  un  ambientale
salubre,  e  cio'  attraverso  la  lettura  effettuata  dalla   Corte
costituzionale  nelle  sentenze  n.  210  e  n.  641  del  1987,  poi
consacrato nel 2001, con la riforma del titolo V della  Costituzione,
attraverso i rinvii espressi ad  ambiente  ed  ecosistema  introdotti
dall'art. 117, secondo comma, lett. s); 
        - la nozione di paesaggio di cui all'art. 9  Cost.  ha  cosi'
assunto una connotazione che partecipa sia dell'esigenza di  cura  di
singoli beni, quindi dei valori storici, culturali  ed  estetici  del
territorio, sia quella di non pretermettere l'interesse  alla  tutela
dell'ambiente, sia  quell'attenzione  alla  materia  dell'urbanistica
(Corte cost. 21.4.2021 n. 74 e 17.4.2015 n. 64); 
        - specularmente l'ampia nozione di ambiente,  cosi'  come  e'
stata ricostruita specie dopo il 2001, ha una  morfologia  complessa,
capace  di  ricomprendere   non   solo   la   tutela   di   interessi
fisico-naturalistici, ma anche  i  beni  culturali  e  del  paesaggio
idonei  a  contraddistinguere  in   modo   originale,   peculiare   e
irripetibile un certo ambito geografico e territoriale  (Corte  cost.
30.3.2018 n. 66, punto 2.2. del Considerato in diritto). 
    Detto cio' in punto di norme costituzionali  di  interesse  nella
presente controversia si rileva conseguentemente, in  relazione  alle
soggettivita' coinvolte dalle suddette attribuzioni, che: 
        - la tutela del paesaggio non si identifica con  una  materia
in senso  stretto,  dovendosi  piuttosto  intendere  come  un  valore
costituzionalmente  protetto,  integrante  una  materia   trasversale
(Corte cost. 17.4.2017 n. 77), sulla  quale  lo  Stato  esercita,  in
ragione della  portata  ascensionale  della  sussidiarieta',  istanze
unitarie che trascendono l'ambito regionale (Corte cost.  1.  10.2003
n. 303); 
        - in molteplici occasioni, codesta Corte ha affermato che  la
conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all'art. 117
comma 2 lett. s) Cost., alla cura esclusiva dello Stato (Corte  cost.
23.7.2018 n. 172); 
        - l'attribuzione allo Stato  della  competenza  esclusiva  di
tale  materia-obiettivo  non   implica   una   preclusione   assoluta
all'intervento    regionale,     purche'     questo     sia     volto
all'implementazione del valore ambientale e all'innalzamento dei suoi
livelli  di  tutela  (sentenza  23.7.2019  n.  172,  punto  6.2.  del
Considerato in  diritto  e  sentenza  n.  178/18,  punto  2.  1.  del
Considerato in diritto;  nello  stesso  senso  sentenza  Corte  cost.
17.4.2017 n. 77, 16.7.2014, 24.10.2013  n.  246,  20.6.2013  n.  145,
26.2.2010 n. 67, 18.4.2008 n. 104 e 14.11.2007 n. 378); 
        - alle regioni non e' consentito modificare gli  istituti  di
protezione ambientale che dettano una disciplina  uniforme,  valevole
su tutto il territorio nazionale, "senza che cio' sia giustificato da
piu' stringenti ragioni di tutela" (Corte cost. 21.4.2021 n. 74); 
        - fra gli istituti di protezione ambientale che  dettano  una
disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio  nazionale,  che
alle regioni non e' consentito  modificare,  deve  essere  annoverata
l'autorizzazione paesaggistica (Corte cost.  21.4.2021  n.  74).  Con
specifico riferimento alle competenze  legislative  delle  regioni  a
statuto speciale, la giurisprudenza  costituzionale  ha  sottolineato
che il legislatore  statale,  tramite  l'emanazione  delle  norme  di
grande  riforma  economico-sociale,  "conserva  il  potere  -   anche
relativamente al  titolo  competenziale  legislativo  "nella  materia
'tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali', di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, [ ...  ]
di vincolare la potesta' legislativa primaria delle regioni a statuto
speciale" (sentenza  n.  238/2013,  punto  2.2.  del  Considerato  in
diritto). 
    Specularmente la Regione  Siciliana,  con  specifico  riferimento
alla competenza  legislativa  esclusiva  attribuitale  dallo  Statuto
speciale in materia di paesaggio e di urbanistica,  deve  rispettare,
oltre che, in generale, i precetti costituzionali, anche le "norme di
grande riforma economico-sociale" poste  dallo  Stato  nell'esercizio
delle proprie competenze legislative (Corte cost.  8.11.2017  n.  232
con riferimento alla disciplina dell'accertamento di conformita'). 
    A cio' si aggiunge che la definizione dell'ambiente quale materia
trasversale porta con se'  consente  l'attivazione,  da  parte  dello
Stato, istanze unitarie che trascendono l'ambito regionale in ragione
della  portata  ascensionale  della  sussidiarieta',   (Corte   cost.
1.10.2003 n. 303). 
    In ragione di quanto sopra si rileva che: 
        - la l. n. 431 del 1995 e' stata qualificata  in  termini  di
legge di grande riforma (Corte cost. 27.6.1986 n. 151), cosi' come il
d. lgs. n. 42/2004 (Corte cost. 29.10.2009 n.  272):  il  codice  dei
beni culturali "detta le coordinate fondamentali della pianificazione
paesaggistica affidata congiuntamente  allo  Stato  e  alle  regioni"
(sentenza n. 66/18,  punto  2.4.  del  Considerato  in  diritto),  in
coerenza con i principi delineati supra in  tema  di  protezione  del
paesaggio e di tutela dell'ambiente e della valenza della  disciplina
statale diretta a proteggere l'ambiente e il paesaggio  quale  limite
alla competenza legislativa in materia anche delle regioni a  statuto
speciale; 
        - tale qualificazione discende dal fatto che  il  codice  dei
beni culturali e del paesaggio di cui al d. lgs. n.  42/2004  impatta
in modo diretto sul valore primario e  assoluto  del  paesaggio  ("il
paesaggio va, cioe', rispettato come valore primario,  attraverso  un
indirizzo unitario che superi la pluralita'  degli  interventi  delle
amministrazioni locali" (cosi' la sentenza 5.5.2006  n.  182),  cosi'
come richiamato dall'art. 9 Cost. e dall'art. 117 comma  2  lett.  s)
Cost., e ne delinea un  nuovo  assetto,  improntato  a  integrita'  e
globalita', implicante  una  riconsiderazione  del  territorio  nella
prospettiva estetica e culturale, intesa in senso dinamico; 
    - l'indennita' di cui all'art. 167 comma 5 d.  lgs.  n.  42/2004,
sulla quale e' intervenuto l'art. 2 comma 46 l. n. 662 del  1996  nei
termini  sopra  delineati,  risulta,  -  in  ragione  della  funzione
riparatoria rispetto all'esternalita' negativa prodotta con l'abuso e
in  funzione  general-preventiva,   di   dissuasione-,   direttamente
connessa al valore primario e assoluto che  il  d.  lgs.  n.  42/2004
attribuisce al paesaggio. 
    21. A fronte di cio': 
        -  la  disciplina  sul  condono  edilizio  e'   organicamente
regolamentata  in  ambito  nazionale  prevedendo  che  l'accertamento
postumo (nei termini evidenziati sopra, nei paragrafi 15.3., 15.4.  e
15.5.)  della  compatibilita'  paesaggistica  sia  accompagnato   dal
pagamento dell'indennita' di cui all'art. 167  comma  5  d.  lgs.  n.
42/2004; 
        - e' stato gia' illustrato, come il pagamento della somma  di
denaro connessa all'accertamento della  compatibilita'  paesaggistica
costituisca  un  tratto  fondamentale  dell'istituto  a  livello   di
disciplina nazionale; 
        -  come  si  e'   rilevato   sopra,   l'indennita'   connessa
all'accertamento  postumo   di   compatibilita'   paesaggistica   del
manufatto abusivo e' dovuta in ambito nazionale, anche se il  vincolo
paesaggistico e' sopravvenuto rispetto alla realizzazione  dell'abuso
(e cio' indipendentemente dalla qualificazione  della  medesima  come
sanzionatoria o risarcitoria); 
        - cio' in ragione, da  un  lato,  della  richiamata  Adunanza
plenaria n. 20 del 1999 e, dall'altro lato, dell'art. 2 comma  46  l.
n. 662 del 1996 (cui la  giurisprudenza,  come  gia'  illustrato,  ha
peraltro attribuito una portata interpretativa), che esplicita  come,
in caso di condono, resti dovuta l'indennita' per danno al paesaggio; 
        - l'art. 5 comma 3 l.r. n.  17/1994,  nel  prevedere  che  la
sanzione amministrativa pecuniaria non sia  irrogabile  nel  caso  di
sopravvenienza del vincolo paesaggistico  rispetto  alla  commissione
dell'abuso, si discosta dalla disciplina nazionale  sopra  illustrata
lasciando "scoperto" il periodo precedente nel quale l'abuso e' stato
commesso ma l'accertamento di compatibilita' non e' ancora avvenuto; 
        - in tal senso viene assicurata sul territorio siciliano  una
tutela meno elevata del valore ambiente e paesaggio rispetto a quella
garantita sul rimanente territorio nazionale, 
        - in ambito siciliano, infatti, la conformita'  attuale  alla
disciplina paesaggistica consente di  superare  il  precedente  abuso
senza ulteriori conseguenze negative, sicche' viene meno il disvalore
ambientale e paesaggistico connesso a  quest'ultimo,  parificando  la
posizione di chi non ha commesso abuso alla posizione di  chi  lo  ha
commesso ma ha ottenuto l'accertamento positivo di conformita' di cui
all'art. 167 d. lgs. n. 42/2004 solo dopo averlo realizzato; 
        - cosi' non avviene, come si e'  gia'  visto,  sul  rimanente
territorio nazionale, dove la tutela del paesaggio  e'  presidiata  a
livello  general-preventivo  anche   attraverso   il   pagamento   di
un'indennita'   a   copertura   delle   conseguenze   pregiudizievoli
dell'abuso commesso; 
        -  tale  ultimo  aspetto  assume  una  particolare  rilevanza
nell'ambito dell'istituto di cui all'art.  167  d.  lgs.  n.  42/2004
(come sopra gia' illustrato), delineando un procedimento  avente  due
prospettive,  quella  del  superamento  di  una  situazione  di   non
conformita'  formale  alla  disciplina   paesaggistica   in   seguito
all'accertamento  della  compatibilita'  sostanziale  del   manufatto
(questo a presidio di un principio di efficienza e di scarsita' delle
risorse che accomuna l'intero ordinamento giuridico  e  non  solo  la
prospettiva  pubblicistica)  e  il  contrappeso  del   pagamento   di
un'indennita' in funzione general-preventiva a presidio del  rispetto
ex ante delle regole poste  a  tutela  del  paesaggio  attraverso  il
pagamento dell'indennita' (che'  altrimenti  viene  meno  la  cogenza
delle medesime, con conseguente intaccamento del valore  fondamentale
dell'ambiente e del paesaggio); 
        - si e' illustrato sopra come il procedimento e la  posizione
dell'Amministrazione sul punto si giustifichi e trovi le ragioni  del
proprio canone di azione solo nel bilanciamento  fra  i  due  aspetti
sopra delineati e come non possa esservi l'uno, senza l'altro. 
    L'art.  5  comma  3  ultimo  periodo  l.r.  n.   17/1994,   nella
formulazione  che  si  ritiene  attualmente   vigente   (come   sopra
illustrato), laddove non consente  l'irrogazione  dell'indennita'  di
cui all'art. 167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004 in caso di sopravvenienza
del vincolo  paesaggistico,  contrasta,  eccedendo  dalle  competenze
attribuite alla Regione Siciliana dall'art. 14 lett. n) dello Statuto
in  materia  di  tutela  del  paesaggio  e  di  conservazione   delle
antichita' e delle opere artistiche, con le norme di  grande  riforma
economico-sociale contenute nell'art. 167 del d. lgs. n. 42/2004, con
conseguente violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lett.  s),
Cost. Cio' in  quanto  comporta  una  significativa  alterazione  del
meccanismo delineato dal legislatore statale per la tutela  dei  beni
culturali e paesaggistici, cosi' come interpretato, da un lato, dalla
richiamata Adunanza plenaria n.  20  del  1999  e,  dall'altro  lato,
dall'art. 2 comma 46 l. n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza,  come
gia' illustrato, ha peraltro attribuito una portata  interpretativa),
che esplicita come, in caso di condono, resti dovuta l'indennita' per
danno al paesaggio anche in caso  di  vincolo  sopravvenuto:  non  e'
consentito alla Regione Siciliana adottare una disciplina difforme da
quella  contenuta  dalla  normativa  nazionale  di  riferimento   che
assicura il pagamento dell'indennita' di cui all'art. 167 d. lgs.  n.
42/2004. 
    20.1. Il Collegio  solleva  altresi'  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5 comma 3 ultimo periodo  l.r.  n.  17/1994,
nella  ridetta  formulazione  che  si  ritiene  attualmente  vigente,
laddove non consente l'irrogazione dell'indennita'  di  cui  all'art.
167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004 in caso di sopravvenienza del  vincolo
paesaggistico, in relazione ai parametri di cui agli  artt.  3  e  97
Cost. Cio', in  quanto  la  norma  censurata  consente  di  eliminare
qualsiasi conseguenza pecuniaria negativa  in  caso  di  accertamento
postumo della compatibilita' paesaggistica. Altrettanto  non  avviene
invece sul restante territorio nazionale, pur a fronte della medesima
situazione di fatto e di un livello di tutela del paesaggio  che  non
puo' essere difforme (almeno  verso  il  basso,  essendo,  come  gia'
visto, consentito alle Regioni unicamente di innalzare lo standard di
tutela). 
    Nel  meccanismo  disegnato  dalla  norma  regionale   della   cui
costituzionalita' il Collegio dubita, la regolarizzazione  del  fatto
lesivo per il paesaggio  (certamente  sussistente  al  momento  della
delibazione dell'amministrazione sulla domanda  di  condono)  avviene
senza alcuna conseguenza pregiudizievole per il suo autore. 
    Dal che la considerazione che la disciplina qui  censurata  possa
indebolire l'efficacia deterrente del sistema delineato dall'art. 167
del  d.  lgs.  n.  42/2004,  cosi'  come  interpretato  dall'Adunanza
plenaria n. 20 del 1999 e dall'art. 2 comma 46 della l.  n.  662  del
1996, con  conseguente  incentivazione  a  tenere  il  comportamento,
confidando nella possibilita' di un adempimento successivo, in  grado
di superare  l'illecito  paesaggistico  commesso:  cosi'  vanificando
l'efficacia     deterrente     dell'istituto,     con     conseguente
irragionevolezza intrinseca della disciplina e  connesso  pregiudizio
al buon andamento della pubblica amministrazione. 
    Ne'  giustifica  la  diversita'  di  trattamento  del  danno   al
paesaggio sul territorio siciliano la prospettiva di un rapporto  tra
pubblica  amministrazione  e  consociati  imperniato  su  uno  schema
dialogico-collaborativo  anziche'  oppositivo,  che  si   tradurrebbe
nell'imposizione di un obbligo di "avvertire"  il  privato  circa  la
necessita' di conformarsi  al  precetto,  che  imporrebbe  la  previa
imposizione del vincolo  paesaggistico  sull'area  oggetto  di  abuso
rispetto alla realizzazione di questo. 
    L'argomentazione  infatti  non   spiega   la   diversita'   della
disciplina siciliana, in quanto  un'argomentazione  analoga  potrebbe
articolarsi anche in relazione al rimanente territorio nazionale. 
    A cio' si aggiunge, in senso inverso, che il valore del paesaggio
giustifica piuttosto, per  i  motivi  sopra  esposti,  l'impostazione
opposta. 
    Non sfugge,  tra  l'altro,  che  in  riferimento  all'ambito  del
diritto  penale  la  possibilita'  di  riservare  maggiore  spazio  a
meccanismi di riduzione o addirittura di  esclusione  della  pena,  a
fronte di condotte riparatorie delle conseguenze del reato  da  parte
del suo autore, e' stata esplorata recentemente anche dal legislatore
statale con l'introduzione del nuovo art. 162-ter del  codice  penale
ad opera l. 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al  codice  penale,  al
codice di procedura  penale  e  all'ordinamento  penitenziario),  che
prevede per l'appunto l'estinzione dei delitti procedibili a  querela
soggetta  a  remissione  -  senza  alcuna  residua  sanzione  per  il
trasgressore - quando, anche in assenza di remissione  della  querela
da parte della persona offesa, questi abbia riparato  interamente  il
danno cagionato dal reato ed eliminato, ove possibile, le conseguenze
dannose o pericolose di esso entro  l'apertura  del  dibattimento  di
primo grado. 
    Nondimeno  nel  caso  di  specie  il  meccanismo  introdotto  dal
legislatore regionale con l'art. 5 comma 3 della l.r. n. 17/1994  non
assicura la riparazione del danno in quanto la regolarizzazione della
posizione del soggetto istante ai sensi dell'art. 167 comma 5 del  d.
lgs.  n.  42/2004  avviene   prescindendo   dalla   valutazione   del
pregiudizio arrecato al bene  ambiente,  che,  anzi,  tale  omissione
costituisce l'effetto precipuo della norma  regionale  sospettata  di
illegittimita' costituzionale. E cio' e'  ancora  piu'  rilevante  in
quanto l'interesse pubblico al paesaggio presenta le  caratteristiche
dell'interesse almeno in  parte  adespota,  potenzialmente  incidente
sulle  generazioni  future,   e   le   cui   violazioni   determinano
esternalita' negative difficilmente apprezzabili (di talche' anche la
particolare  modalita'  di  quantificazione  dell'indennita'  di  cui
all'art. 167 comma 5). 
    Non puo' quindi ritenersi, in uno con  la  Corte  costituzionale,
che ha ritenuto che l'introduzione del nuovo art. 162-ter del  codice
penale corrisponda a legittime opzioni di  politica  criminale  o  di
politica sanzionatoria (18.1.2021 n. 5), che la  scelta  operata  dal
legislatore regionale con l'art.  5  comma  3  l.r.  n.  17/1994  non
trasmodi nella manifesta irragionevolezza o  non  si  traduca  in  un
evidente   pregiudizio    al    principio    del    buon    andamento
dell'amministrazione 
    L'art.  5  comma  3  della  l.r.  n.  17/1994,  eccedendo   dalle
competenze statutarie della Regione autonoma  della  Sicilia  di  cui
all'art..  14,  comma  1,  lettera  n)  e  quindi  essendo  privo  di
giustificazione,  viola  quindi  anche  gli  artt.  3  e   97   della
Costituzione. 
    21.2. Da ultimo, per completezza espositiva, sara' consentita una
considerazione. Si e' gia' chiarito che l'indennita' di cui  all'art.
167 comma 5 d. lgs. n.  42/2004  non  riveste,  per  il  Collegio,  i
connotati   della   sanzione   amministrativa   in   ragione    delle
considerazioni sopra illustrate. 
    Nondimeno,  se   anche   si   ritenesse   di   attribuire   detta
qualificazione all'indennita' in parola, questo CGARS ritiene che  la
norma censurata non si presti a una interpretazione adeguatrice,  che
ne determini la  sussumibilita'  nell'ambito  della  categoria  delle
sanzioni amministrative sostanzialmente penali. 
    Detta indennita' infatti si situa nell'ambito di una  fattispecie
(quella di cui all'art. 167 comma 5 d. lgs.  n.  42/2004)  favorevole
per il privato istante  in  quanto  consente  il  superamento  di  un
precedente  illecito.  Sicche'  l'analisi  concreta  delle  finalita'
perseguite (gia' sopra illustrata ai paragrafi 15.3., 15.4. e  15.5.)
rende  recessiva,  sulla  base  dei  parametri  Engel,  la  finalita'
punitiva rispetto a quella preventiva,  nel  senso  che  l'indennita'
costituisce una misura  a  tutela  del  paesaggio,  che  consente  di
superare l'illecito  commesso,  alla  quale  risultano  estranei  gli
aspetti meramente afflittivi della pena (potendosi al piu'  rinvenire
delle secondarie finalita' di deterrenza). 
    La tecnica di quantificazione, peraltro, basata sul binomio danno
arrecato-profitto conseguito, osta a ritenere particolarmente elevato
il grado di afflittivita' in quanto la misura del  dovuto  non  trova
giustificazione nella necessita' di assicurare l'effetto punitivo  ma
nel tentativo di rimediare a un danno arrecato. Nella  determinazione
dell'indennita' non si ha infatti  riguardo  all'elemento  soggettivo
del fatto, ne' all'opera  svolta  dall'agente  per  l'eliminazione  o
attenuazione  delle  conseguenze  della  violazione  e  neppure  alla
personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche, parametri
che il legislatore ha individuato al fine di assicurare la  finalita'
punitiva (art. 11 della l. n. 689/1981). 
    Detto  cio'  in  punto  di  non  annoverabilita'  dell'indennita'
controversa nell'ambito delle sanzioni amministrative sostanzialmente
penali, questo CGARS ritiene che  la  riconducibilita'  della  stessa
nella  categoria  delle   sanzioni   amministrative   (sussumibilita'
comunque avversata  da  questo  CGARS,  come  sopra  illustrato)  non
consentirebbe comunque  di  superare  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale in  ragione  dei  principi  della  conoscibilita'  del
precetto e la prevedibilita' delle conseguenze  sanzionatorie  (Corte
cost. 29.5.2019 n. 134). 
    In altre parole,  questo  CGARS  ritiene  che  non  possa  essere
utilizzato, in  funzione  paralizzante  rispetto  alla  questione  di
legittimita' costituzionale della norma  censurata,  il  rilievo  che
essa (laddove non consente di irrogare  la  "sanzione"  nel  caso  di
sopravvenienza del vincolo paesaggistico) sarebbe giustificata  dalla
necessita' di  allineare  la  fattispecie  alla  regola  generale  di
conoscibilita'  del  precetto  la   cui   violazione   determina   la
conseguenza sanzionatoria. 
    Piuttosto,  l'ordinamento  suppone  (e  impone)  che  colui   che
realizza un illecito edilizio  si  assuma  la  responsabilita'  delle
conseguenze negative che dalla condotta derivano nel corso del tempo,
fino a che la posizione del medesimo non risulta nuovamente  conforme
all'ordinamento giuridico  (secondo  il  canone  del  versari  in  re
illicita):  il  precetto  da   conoscere   anticipatamente   non   e'
rappresentato dal singolo vincolo paesaggistico ma dal fatto  che  la
realizzazione del manufatto deve avvenire nel rispetto  delle  regole
di settore, pena, quanto meno, il pagamento di un'indennita'. 
    Il settore non risulta esposto ne' al rischio che,  in  contrasto
con  il   principio   della   divisione   dei   poteri,   l'autorita'
amministrativa  o  il   giudice   assuma[no]   un   ruolo   creativo,
individuando, in luogo del legislatore, i confini  tra  il  lecito  e
l'illecito, ne' al rischio di violare  la  libera  autodeterminazione
individuale, dal momento che consente al destinatario della norma  di
apprezzare le conseguenze giuridiche della  propria  condotta  (cosi'
non realizzandosi  le  situazioni  che  rappresentano  la  ratio  dei
principi della conoscibilita' del  precetto  e  della  prevedibilita'
delle conseguenze sanzionatorie,  cosi'  (Corte  cost.  29.5.2019  n.
134). 
    La disposizione di portata generale di  cui  all'art.  32  l.  n.
47/1985 rende infatti  rilevanti  i  vincoli  di  tutela  ambientale,
paesaggistico-territoriale,  di   tutela   del   patrimonio   storico
artistico  e  di   tutela   della   salute   che   appongono   limiti
all'edificazione  ai  fini  dell'accertamento   di   conformita'   in
sanatoria: e' la legge che impone quindi una  corrispondenza  stretta
fra il vincolo edilizio e i suddetti  vincoli,  ritenendoli  connessi
quanto  agli  interessi  pubblici   coinvolti   e   inestricabilmente
compromessi dalla concreta realizzazione illecita del manufatto. 
    L'Adunanza plenaria ha ritenuto che detta disposizione non  rechi
alcuna deroga al principio di legalita' in quanto "e'  la  legge  che
attribuisce la funzione e ne definisce  le  modalita'  di  esercizio,
anche attraverso la definizione dei  limiti  entro  i  quali  possono
ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e  privati,  con  i
quali l'esercizio della funzione interferisce"  e  che  "la  pubblica
Amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 Cost. incombe  piu'
pressante l'obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener
conto, nel momento in cui  provvede,  della  norma  vigente  e  delle
qualificazioni giuridiche che essa impone" (n. 20 del 1999). 
    Sicche', una volta che la cura dell'interesse  paesaggistico,  in
uno con la cura degli altri interessi coinvolti nell'operazione,  sia
cosi' realizzata dall'Amministrazione preposta, questa  e'  tenuta  a
valutare anche i vincoli sopravvenuti rispetto alla costruzione, fino
al momento della propria decisione.  Senonche'  tale  incombenza  (di
considerare anche i vincoli sopravvenuti) non trova  ragion  d'essere
in  un  comportamento  della  parte   pubblica,   essendo   piuttosto
ascrivibile al fatto che in precedenza  il  privato  abbia  agito  in
assenza di titolo,  non  consentendo  cosi'  la  verifica  di  quanto
edificato. 
    Pertanto, se sanzione vi e', essa svolge la funzione di punire il
trasgressore non, in  via  diretta,  per  avere  violato  il  vincolo
paesaggistico, ma per non essersi premunito del titolo  edificatorio,
esponendolo alle conseguenze negative che nel corso del tempo  quella
condotta produce, fino al momento in cui il privato  non  ritiene  di
porre fine alle conseguenze antigiuridiche della stessa,  presentando
la domanda di cui all'art. 167 d. lgs. n. 42/2004 e l'Amministrazione
si pronunci sulla stessa. 
    Non si pone  quindi  un  tema  di  conoscibilita'  del  precetto,
potendosi  al  piu'  porre  una  questione  di  prevedibilita'  delle
conseguenze sanzionatorie, che questo  CGARS  ritiene  superabile  in
ragione del  fatto  che  gli  interessi  coinvolti,  oltre  a  quello
strettamente edificatorio, sono indicati nell'art. 32  e  cosi'  sono
prevedibili le conseguenze che derivano  dalla  violazione  di  detti
interessi: l'unico elemento di aleatorieta' attiene alla mancanza  di
sicurezza in ordine al fatto che l'area interessata dall'illecito sia
nel corso del tempo sottoposta (o meno) a vincolo. 
    Detta    aleatorieta',    peraltro,    e'     contenuta     dalla
predeterminazione della tipologia di vincoli e di conseguenze che  ne
derivano, da un lato, e,  dall'altro  lato,  dal  fatto  che  dipende
proprio dal soggetto "punito" la  possibilita'  di  ridurre,  se  non
azzerare, detta aleatorieta' presentando l'istanza di  compatibilita'
(paesaggistica, per quanto interessa nella presente controversia). 
    21. Detto  cio'  in  funzione  delle  questioni  di  legittimita'
sollevate, proprio per quanto si e' in ultimo esposto nel  precedente
paragrafo questo CGARS non ritiene di porre  ulteriori  questioni  in
relazione specificamente all'eventuale qualificazione (avversata  dal
Collegio, come sopra illustrato) dell'indennita' di cui all'art.  167
comma 5 d. lgs. n. 42/2004 in termini di sanzione amministrativa  dal
momento  che  la  giurisprudenza  costituzionale  ritiene   che   "la
competenza  sanzionatoria  amministrativa  non   e'   in   grado   di
autonomizzarsi  come  materia  a  se',   ma   accede   alle   materie
sostanziali" (Corte cost. 7.6.2018 n. 121), cosi' assorbendosi  nelle
questioni di costituzionalita' gia' poste, dovendosi rilevare che  le
denunciate problematiche in punto di depotenziamento della tutela del
paesaggio manterrebbero  in  simile  ipotesi  inalterata  consistenza
(cfr. Corte cost., 17 novembre 2020, n. 240, seppur con riferimento a
Regione a Statuto ordinario) 
    22. Tanto premesso, richiamando quanto sopra osservato  in  punto
di rilevanza della medesima e riassunto al paragrafo 19 (in  costanza
della  norma  regionale  suddetta  nel  caso   di   specie   dovrebbe
confermarsi  la  pronuncia  di   primo   grado   che   ha   annullato
l'ingiunzione di pagamento dell'indennita',  atteso  che  il  vincolo
paesaggistico  e'  stato  apposto   dopo   la   realizzazione   della
costruzione abusiva, mentre, laddove, invece, la norma venga meno  in
seguito a  pronuncia  di  incostituzionalita'  il  Collegio  dovrebbe
determinarsi in  senso  opposto,  riformando  la  sentenza  di  primo
grado), in punto di non  manifesta  infondatezza  (in  ragione  della
nozione di norma di grande riforma economico sociale, che la  Regione
Siciliana  e'  tenuta  a  rispettare  pur  essendo  titolare  di  una
competenza legislativa esclusiva in materia  di  paesaggio,  e  della
irragionevole  disparita'   di   trattamento),   ed   in   punto   di
impossibilita' di interpretazione adeguatrice della norma,  il  CGARS
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 comma  3
l.r. n. 17/1994, per contrasto con gli artt. 9 e 117 comma  2,  lett.
s), 3 e 97 della Costituzione ai sensi dell'art. 23  comma  2  l.  11
marzo 1953 n. 87, ritenendola rilevante. 
    Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai  sensi  e  per  gli
effetti di  cui  agli  artt.  79  e  80  c.p.a.  e  295  c.p.c.,  con
trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine  alle
spese e' riservata alla decisione definitiva. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il  Consiglio  di  Giustizia  Amministrativa   per   la   Regione
Siciliana,   in   sede   giurisdizionale,    parzialmente    e    non
definitivamente pronunciando: 
        -respinge nei sensi di cui alla motivazione il  primo  motivo
dell'appello principale; 
        - respinge  l'articolazione  del  primo  motivo  dell'appello
principale volta a sostenere  che  al  tempo  dell'abuso  sussistesse
nell'area  un  vincolo   paesaggistico,   ovvero   che   il   vincolo
archeologico  ivi  sussistente  fosse  equiparabile  ad  un   vincolo
paesaggistico; 
        - visto l'art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara  rilevante
e  non  manifestamente  infondata  la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994 in relazione  agli
artt. 3, 9, 97 e 117 comma 2 lett. s) della Costituzione,  nei  sensi
di cui in motivazione; 
        - sospende il presente giudizio ai sensi dell'art. 79 comma 1
c.p.a.; 
        -  dispone,   a   cura   della   Segreteria   del   Tribunale
amministrativo,  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
        - rinvia ogni ulteriore statuizione in  rito,  nel  merito  e
sulle spese di lite all'esito del giudizio incidentale  promosso  con
la presente ordinanza. 
    Ordina che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura  della
Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa, e
che  sia  comunicata   al   Presidente   della   Regione   Siciliana,
all'Assemblea regionale siciliana, al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al  Presidente
della Camera dei deputati. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso dal C.G.A.R.S. con sede in Palermo nella  camera  di
consiglio del giorno 2 febbraio 2022, con la presenza dei magistrati: 
        Fabio Taormina, Presidente; 
        Raffaele Prosperi, Consigliere; 
        Sara Raffaella Molinaro, Consigliere; 
        Salvatore Zappala', Consigliere; 
        Maria Immordino, Consigliere, Estensore. 
 
                       Il Presidente: Taormina 
 
 
                                               L'estensore: Immordino 
 
              Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
                      PER LA REGIONE SICILIANA 
 
 
                       Sezione giurisdizionale 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1065 del 2021,  proposto  da  Regione  Siciliana  -
Assessorato Regionale Beni Culturali e Identita'  Siciliana,  Regione
Siciliana  -  Dipartimento  Regionale  Beni  Culturali  e   Identita'
Siciliana, Regione Siciliana - Soprintendenza per i Beni Culturali  e
Ambientali  di  Agrigento,   in   persona   dei   rispettivi   legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
distrettuale dello  Stato  domiciliati  per  legge  in  Palermo,  via
Valerio Villareale, n. 6; 
    contro Alessandro Tedesco, rappresentato e difeso dagli  avvocati
Gaetano Caponnetto e Vincenzo Caponnetto, con domicilio digitale come
da PEC da Registri di Giustizia; 
    per la riforma della sentenza breve del Tribunale  Amministrativo
Regionale per la Sicilia (Sezione Prima) n. 00977/2021, resa  tra  le
parti. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Alessandro Tedesco; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 17  marzo  2022  il
Cons. Antonino Caleca; 
    Nessuno e' presente per le parti; 
    Vista la sentenza parziale di questo Consiglio n. 213  pubblicata
il 16 febbraio 2022; 
    Considerato che nell' epigrafe della citata  sentenza,  per  mero
errore materiale, e' stata omessa la dicitura  "Regione  Siciliana  -
Assessorato regionale beni culturali e identita' siciliana", 
    il  Collegio  provvede  alla  correzione   dell'errore   mediante
l'inserimento della frase nell' epigrafe della sentenza.