UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI AVELLINO Il Magistrato di sorveglianza, Letta l'istanza proposta nell'interesse del condannato D.B. L., nato a ... l'... ed attualmente detenuto presso la casa circondariale di ..., tendente ad ottenere la concessione in via provvisoria ed urgente della semiliberta' ex art. 50, commi 1, 2 e 6 L.P.; Premesso che il D.B. e' ristretto dal 31 marzo 2015 in espiazione della sentenza della Corte d'appello di Napoli del 9 novembre 2017, esecutiva dal 4 dicembre 2018, di condanna ad anni dodici, mesi due e giorni venti di reclusione per reati ex articoli 74 e 73- 80 comma 2 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, con fine pena al 25 dicembre 2025; Osserva Con istanza depositata in cancelleria il 4 febbraio 2022, D.B. L. ha avanzato, tramite il suo difensore di fiducia, domanda di applicazione in via provvisoria ed urgente di semiliberta', prospettando a sostegno della misura la possibilita' di svolgere attivita' lavorativa presso un'officina meccanica avente sede in ... Nel formulare l'istanza, il difensore ha evidenziato che il suo assistito e' stato condannato alla complessiva pena di anni dodici, mesi due e giorni venti di reclusione per i delitti di cui agli articoli 74 e 73-80, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, dei quali, anni due e mesi quattro inflitti in relazione al reato satellite a titolo di continuazione rispetto al delitto principale, per cui, anche sciogliendo il cumulo il risultato dimostra che allo stato questi e' ancora ristretto in espiazione del delitto ex art. 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990; reato compreso nella prima fascia del novero dei delitti di cui all'art. 4-bis, comma 1, L.P. e quindi «ostativo» alla concessione dei benefici penitenziari, salva la prova di avvenuta collaborazione con la giustizia ex art. 58-ter L.P., o della ricorrenza delle ipotesi equipollenti di collaborazione impossibile, inesigibile o oggettivamente irrilevante. Nonostante cio', grazie all'apertura creatasi a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019 in favore dei detenuti condannati per reati compresi nell'elenco dei delitti di cui all'art. 4-bis L.P. non collaboranti, ma rispetto ai quali il magistrato abbia ritenuto l'insussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, il D.B., che non ha mai collaborato con la giustizia, dal dicembre 2020 sta fruendo regolarmente di permessi premio, durante i quali ha sempre mantenuto un comportamento ligio e corretto, in perfetta adesione alle prescrizioni impartite dal magistrato di sorveglianza. In conseguenza di cio', proseguendo nella sua esposizione, il difensore ha osservato che visto il cospicuo numero di permessi fruiti e l'ottimo comportamento tenuto, il suo assistito, laddove non avesse riportato condanna per reato ostativo, avrebbe ben potuto gia' accedere alla semiliberta' in virtu' del principio della progressione trattamentale, atteso, peraltro, che con sentenza n. 74 del 2020 la Corte costituzionale ha riconosciuto al magistrato di sorveglianza la possibilita' di concedere, in via provvisoria ed urgente, la semiliberta' c.d. »surrogatoria» dell'affidamento in prova, ai condannati che abbiano una residua pena espianda contenuta entro il limite dei quattro anni previsto dal combinato disposto degli art. 47, comma 3 e 50, comma 2 L.P., previo riconoscimento del presupposto del «grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione». Nel caso di specie, l'urgenza alla base del provvedimento richiesto, secondo la prospettazione difensiva, dovrebbe ravvisarsi nel rischio di perdere una valida opportunita' lavorativa che, assicurando al condannato un reddito, lo potrebbe tenere lontano da quello stile di vita deviante che lo aveva condotto all'attuale detenzione; rischio dovuto ai ruoli notoriamente oberati del Tribunale di Sorveglianza, e di conseguenza ai tempi di attesa necessariamente piu' lunghi per la definizione del procedimento, rispetto alla procedura semplificata applicata in sede monocratica. Alla luce di quanto fin qui esposto, il difensore ha concluso chiedendo in via principale l'applicazione provvisoria della semiliberta', e in via subordinata, supponendo che la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 limiti l'apertura ai soli permessi premio con esclusione di ogni altro beneficio penitenziario, ha chiesto a questo magistrato di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, in relazione all'art. 50, comma 2, L.P., per ritenuto contrasto con gli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui detta norma preclude l'applicazione della semiliberta', anche nella specifica ipotesi «surrogatoria», ai condannati per reati c.d. ostativi, ovvero compresi nel novero dei delitti di cui all'art. 4-bis L.P. che non abbiano prestato collaborazione con la giustizia ai sensi del successivo art. 58-ter L.P., ma che una volta espiata la meta' pena, siano stati ammessi a fruire di permessi premio sulla base del giudizio di inattualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, sostenendo che la anzidetta preclusione normativa, dinanzi alla dimostrazione del detenuto di riuscire a gestire correttamente i maggiori spazi di liberta' conquistati via via con i n permessi premio, determinerebbe un blocco irragionevole della progressione trattamentale, e sarebbe del tutto incompatibile con la finalita' rieducativa della pena e con il senso di umanita' a cui la stessa dovrebbe ispirarsi. Orbene, cosi' delineato il thema decidendum, l'esame dell'istanza del D.B. non puo' prescindere da un breve excursus sulla sua vicenda criminale, sulla sua posizione giuridica, e sul percorso trattamentale effettuato fino ad oggi. Come e' noto, con sentenza n. 253 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, per contrasto con gli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva la possibilita' di concessione di permessi premio ai detenuti condannati per reati compresi nella prima fascia dell'elenco contenuto in quella norma, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi del successivo art. 58-ter L.P., a condizione pero', che fossero stati acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualita' della partecipazione all'associazione criminale, sia piu' in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalita' organizzata. A tale conclusione la Corte e' giunta sul rilievo che la scelta di non collaborare con la giustizia non necessariamente debba intendersi dimostrativa del persistente inserimento del condannato nel sodalizio criminale, ben potendo in realta' scaturire da ben altri motivi, quale ad esempio, banalmente, il timore di possibili atti di ritorsione nei propri confronti o dei propri familiari; cosi' come, viceversa, la scelta di collaborare non possa essere necessariamente sinonimo di reale pentimento e di distacco dai disvalori alla base dei crimini commessi, potendo piuttosto essere dettata da mera strategia difensiva mirante ad ottenere un trattamento sanzionatorio piu' mite. Il valore della collaborazione, dunque, va senz'altro ridimensionato, mentre l'indagine del giudice deve piu' proficuamente rivolgersi verso il vero nodo, consistente nell'attualita' o meno dei collegamenti con la criminalita' organizzata, certamente piu' significativa della prima. Si tratta, quindi, di un provvedimento che ha censurato solo il carattere assoluto della presunzione di pericolosita' connessa all'atteggiamento non collaborativo del condannato, e solo in relazione all'istituto del permesso premio. Proprio sul solco di questa pronuncia, questo Magistrato si determinava a concedere al D.B. il suo primo permesso premio in occasione del Natale 2020, e sulla base dei seguenti atti istruttori: 1) la cartella biografica, dalla quale e' emerso che il medesimo era ininterrottamente detenuto dal 31 marzo 2015, e con la liberazione anticipata fino a quel momento ottenuta, aveva gia' espiato ben oltre la meta' della pena; 2) il certificato penale e il certificato dei carichi pendenti, dai quali e' risultata l'assenza sia di carichi pendenti, sia di altri precedenti al di fuori della condanna in espiazione, riguardante fatti che si collocavano entro un arco temporale tra il 2012 ed il 2013; fatti, quindi, risalenti a circa otto anni prima; 3) la sentenza di condanna, dalla quale e' stato possibile desumere che nell'ambito della vicenda concernente un traffico internazionale di sostanze stupefacenti tra l'Italia e la Spagna che lo aveva visto coinvolto insieme al fratello, il D.B. aveva avuto certamente un ruolo di minore importanza rispetto a quest'ultimo, che per converso, era stato riconosciuto rivestire il ruolo di promotore ed attualmente si trovava ristretto nel circuito di Alta Sicurezza presso la casa circondariale di ...; invero, dalla ricostruzione dei fatti desumibile dalla sentenza, ed in particolare dalle intercettazioni delle conversazioni effettuate durante l'operazione di trasporto dalla Spagna e di consegna della sostanza stupefacente che lo avevano visto compartecipe, emergeva che il vero dominus dell'operazione era stato il fratello, del quale sostanzialmente egli si era limitato ad eseguire gli ordini; 4) la Direzione nazionale antimafia, che sulla richiesta di informazioni in merito all'eventuale attualita' dei collegamenti con la criminalita' organizzata, con nota resa in data 6 agosto 2020 rispondeva testualmente: «per come evincesi dalla nota della DDA di Napoli del 4 agosto 2020, il D.B. L.: a) non ha collaborato in alcun modo con la giustizia; b) potrebbe fornire un apporto conoscitivo certamente utile a fini investigativi; c) non sono stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' della partecipazione all'associazione criminale e, comunque, il pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalita' organizzata»; 5) la nota informativa del commissariato P.S. del 6 luglio 2020, che testualmente riportava «allo stato attuale questo ufficio non dispone di elementi utili, tali da ritenere che il predetto abbia collegamenti o sia affiliato ad organizzazioni criminali riferibili in questa area»; 6) infine, la relazione del carcere, dalla quale emergeva che il D.B., tratto in arresto in data 31 marzo 2015, aveva fatto ingresso presso la casa circondariale di ... in data 15 febbraio 2019 proveniente dalla casa circondariale ... per sfollamento istituto; e dopo essere stato dal 31 marzo 2015 al 15 maggio 2019 recluso presso la sezione Alta Sicurezza 3, era stato poi declassificato e aveva proseguito la detenzione nelle sezioni comuni dove aveva continuato a serbare una regolare condotta inframuraria ed una fattiva partecipazione alle attivita' trattamentali offerte dall'istituto. Esaminato l'intero compendio istruttorio, questo magistrato, per un verso riteneva che la nota della DDA rimanesse piuttosto generica, limitandosi a presumere l'attualita' dei collegamenti dalla stessa vicenda criminale per la quale era intervenuta condanna e dalla mancanza di avvenuta collaborazione con la giustizia, ma senza tuttavia indicare specifici e dettagliati elementi coevi al periodo attuale, significativi di una persistente immanenza nell'ambito del sodalizio criminale di appartenenza; per altro verso considerava elemento di valutazione favorevole per il condannato l'avvenuta declassificazione dal circuito AS a quello ordinario, atteso che la stessa, sebbene non costituisca un presupposto giuridicamente rilevante ai fini della Valutazione in merito alla concessione di benefici penitenziari, non essendo contemplata espressamente da alcuna norma, tuttavia rappresentava pur sempre un provvedimento favorevole per il detenuto, adottato all'esito di una istruttoria e di una attenta valutazione da parte dell'autorita' amministrativa competente. Infine, osservava che il prevenuto, durante tutto l'arco della detenzione, ad eccezione di un unico rapporto disciplinare riportato in data 13 luglio 2015 nella fase iniziale della sua carcerazione, e a seguito del quale era stato sanzionato con dieci giorni di esclusione dalle attivita' in comune, aveva sempre mantenuto un buon comportamento inframurario, tanto che nell'attuale istituto di pena, dopo un lungo periodo di detenzione nelle sezioni comuni, in data 4 settembre 2019 era stato spostato presso il ..., dove vige un regime detentivo a custodia attenuata, e dove si era sin da subito ben adattato al contesto continuando a serbare sempre buona condotta e ad impegnarsi con profitto nelle varie attivita' trattamentali offerte dall'istituto. Alla luce degli elementi emersi dall'espletata istruttoria ed in considerazione segnatamente dell'avvenuta declassificazione, seguita poco dopo addirittura dal passaggio al regime di custodia attenuata, che presuppone una ulteriore valutazione favorevole di affidabilita', questo magistrato riteneva sussistenti i presupposti per poter iniziare a sperimentare la condotta esterna del D.B. con una breve esperienza premiale, con le opportune cautele trattandosi del primo permesso, e dunque in regime arresti domiciliari assoluti e presso la sede della Caritas locale. Dopo la prima concessione, seguivano un secondo permesso, avverso il quale il pubblico ministero in sede propose reclamo al tribunale di sorveglianza, che il tribunale pero' con puntuale motivazione rigetto' confermando il giudizio di ritenuta insussistenza di collegamenti, e disponendo l'esecuzione del beneficio per il mese di luglio, ed un terzo permesso per il periodo autunnale. Infine, seguiva l'ultimo permesso premio, concesso in occasione delle scorse festivita' natalizie, presso l'abitazione familiare, per la durata di dieci giorni e con liberta' di circolazione durante la fascia oraria diurna. E' importante sottolineare che durante la fruizione di tali benefici, non sono mai pervenute segnala zioni in merito a comportamenti negativi, e che prima di ogni nuova concessione la condotta tenuta durante la fruizione del beneficio precedente e' stata oggetto da parte della scrivente di apposito quesito alle forze dell'ordine incaricate dei controlli. E' a questo punto del percorso che viene presentata l'istanza tendente ad ottenere la semiliberta' in via provvisoria ed urgente in base all'art. 50, commi 2 e 6, L.P., o in subordine, a sollevare la questione di legittimita' costituzionale delle norme che ne impediscono l'applicazione. L'istanza dell'interessato si fonda essenzialmente su due presupposti, ovvero da un lato, l'urgenza alla base del provvedimento richiesto, alla luce dell'offerta lavorativa attestata a sostegno dell'istanza, confermata al momento come disponibile, ma per un lasso di tempo determinato e comunque ragionevolmente commisurato all'attuale frangente di forte crisi economica; dall'altro, l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, ritenuta all'origine della prima concessione, ma confermata nel tempo dall'assenza di rilievi durante la fruizione dei permessi successivi. Orbene, ritiene questo giudice che in astratto, senza la preclusione dell'art. 4-bis L.P. sussisterebbero effettivamente tutti gli altri presupposti per poter concedere la misura richiesta. In primo luogo, sussistono i limiti di pena richiesti per la semiliberta' nell'ipotesi «surrogatoria», che e' la sola oggi astrattamente concedibile dal magistrato in sede monocratica: grazie infatti alla liberazione anticipata, il fine pena oggi e' sceso al di sotto dei quattro anni, che e' il limite previsto dal comma 3-bis dell'art. 47, espressamente richiamato dall'art. 50, comma 2, L.P. Sussiste, altresi', l'espiazione di piu' della meta' della pena, che l'art. 50, comma 2, L.P. richiede per l'accesso alla semiliberta' surrogatoria per i condannati per reati compresi nell'elenco dell'art. 4-bis, comma 1, L.P., (ovviamente riferendosi, nell'attuale assetto normativo, e nonostante il richiamo formale all'intero comma 1 dell'art. 4-bis L.P., ai soli reati di 4-bis «seconda fascia», stante la preclusione di cui in questa sede si sta discutendo per i reati di «prima fascia»). Sussiste certamente la prospettata urgenza alla base del provvedimento richiesto, atteso che l'attivita' lavorativa proposta a sostegno dell'istanza e' stata confermata dal titolare alle forze dell'ordine, ma i tempi per la trattazione dinanzi all'organo collegiale nella pienezza del contradditorio rischiano seriamente di vanificare l'utilita' dell'offerta, visti i ruoli notoriamente oberati del Tribunale, e ulteriormente aggravati purtroppo in questo periodo dai numerosi rinvii collegati all'attuale emergenza sanitaria da Covid 19, che ha legittimato l'impedimento a comparire sia dei detenuti che chiedevano di presenziare alle udienze, che dei difensori. Sussistono anche i progressi compiuti nel corso del trattamento, visti i termini molto positivi con cui la relazione della casa circondariale si esprime nei confronti del prevenuto, sottolineando non solo il suo impegno nello svolgimento di attivita' lavorativa interna all'istituto come «assistente alla persona», ma anche il profitto con cui segue il corso scolastico per geometri, al punto che, come si afferma con testuali parole, «i suoi insegnanti hanno spesso parole di lode per lui». Infine, ulteriore conferma dell'evoluzione della personalita' del condannato verso un deciso cambio di rotta e' data dalla positiva sperimentazione con i permessi premio durante i quali il medesimo non ha mai dato luogo a rimarchi di sorta, secondo quanto riferiscono le informative delle forze dell'ordine. Tuttavia, pur in presenza di tutti i presupposti di merito, l'istanza andrebbe allo stato dichiarata inammissibile, visto che l'istante e' ancora ristretto in espiazione della quota di pena relativa al reato ostativo e non ha mai prestato collaborazione; dunque non vi e' altro modo per superare l'inammissibilita' se non quello di sollevare la questione di legittimita' costituzionale sull'input dato dal difensore. Orbene, ritiene questo magistrato che la questione prospettata si profila rilevante e non manifestamente infondata, per i motivi di seguito specificati. Sotto il profilo della rilevanza, si osserva, in senso conforme all'orientamento recentemente espresso dalla Cassazione (Cfr., Cass. Pen. Sez. I, c.c.1.04.2021, n. sez. 1205/2021, imp. Gallico), che non e' possibile interpretare estensivamente l'apertura operata per i permessi premio anche alla semiliberta', atteso che con la sentenza n. 253 del 2019, la Corte ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 4 bis, comma 1, della legge 354 del 1975 nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti di cui all'art. 416-bis codice penale possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a determinate condizioni; e' chiaro, quindi, che si tratta di pronuncia che riguarda esclusivamente la concessione dei permessi premio e non di altri benefici penitenziari; e proprio la lettura della sentenza dimostra che la Corte costituzionale era ben consapevole della possibilita' di una estensione di tale pronuncia a benefici penitenziari differenti dai permessi premio, e cio' nonostante ha inteso espressamente delimitare a questi ultimi la portata della decisione. Sempre, poi, sotto il profilo della rilevanza, va aggiunto che il presupposto dell'urgenza alla base del provvedimento richiesto, nella gia' citata sentenza n. 74 del 2020 sulla semiliberta' provvisoria, e' stato riconosciuto sussistente dalla Corte e tale da legittimare il magistrato a sollevare la relativa questione, in un caso perfettamente sovrapponibile a quello in esame quanto agli elementi fattuali, e distinto da quest'ultimo unicamente appunto per la natura non ostativa dei reati in espiazione. D'altro canto, anche nella piu' recente sentenza n. 30 del 2022 in materia di art. 47-quinquies L.P., la Corte, sebbene in riferimento al diverso istituto della detenzione domiciliare speciale per le detenute madri e per motivi diversi, strettamente correlati alla finalita' di quella particolare misura, ha specularmente attribuito rilevanza alla necessita' di non poter attendere la decisione del Tribunale, e riconosciuto piena legittimazione al giudice remittente a sollevare la questione, dinanzi alla necessita' di adottare un provvedimento urgente che tuttavia la normativa vigente gli precludeva in modo irragionevole, perche' in definitiva contrastante proprio con gli interessi primari della tutela del rapporto di genitorialita' e della cura e crescita del minore che la norma impugnata si prefiggeva di tutelare. Interessante poi e' in quella pronuncia il passaggio in cui la Corte evidenzia che poiche' la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale deve essere valutata ex ante, le eventuali vicende successive all'ordinanza di rimessione - che nel caso in esame potrebbero essere rappresentate dal venir meno dell'offerta di lavoro - non dovrebbero incidere su di essa invalidandola per sopraggiunto mutamento della situazione di fatto, e tanto basta ad avviso di chi scrive per fondare il giudizio di rilevanza della questione nel caso specifico, dalla cui soluzione dipende l'ammissibilita' dell'istanza, preliminare al vaglio di merito. Ben piu' complesso e' il giudizio sulla non manifesta infondatezza della questione. In proposito, va richiamata anzitutto l'ordinanza n. 97 del 2021 nel giudizio di legittimita' costituzionale delle norme che escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all'ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle 1) associazioni in esso previste che non abbia collaborato con la giustizia, sollevato dalla Cassazione sulla scia del vento spirante da Strasburgo. Con essa la Consulta, per un verso, ha condiviso la censura mossa dal giudice remittente, osservando che la presunzione di pericolosita' gravante sul condannato all'ergastolo per reati di contesto mafioso che non collabora con la giustizia non e' di per se' in tensione con i parametri costituzionali, non essendo affatto irragionevole presumere che costui mantenga vivi i legami con l'organizzazione criminale di originaria appartenenza, ma quello che rimane invece in tensione, e' il ritenere che "la collaborazione sia l'unica strada a disposizione del condannato a pena perpetua per l'accesso alla valutazione da cui dipende, decisivamente, la sua restituzione alla liberta'; anche in tal caso, e' insomma necessario che la presunzione in esame diventi relativa e possa essere vinta da prova contraria, valutabile dal Tribunale di Sorveglianza".; ma per altro verso, in luogo di dichiarare l'illegittimita' costituzionale, in una ottica di correttezza istituzionale, ha rinviato il giudizio al 10 maggio del corrente anno dando al Parlamento sovrano un congruo termine per riformare l'intera materia, nel timore che un intervento demolitore specifico e limitato potesse creare una disarmonia e ulteriore contraddittorieta' all'interno del sistema. Sarebbe infatti estremamente illogico e contraddittorio, proprio per il principio della progressione trattamentale, consentire ai condannati per delitti ostativi non collaboranti l'accesso alla liberazione condizionale, che e' il piu' ampio e favorevole dei benefici astrattamente concedibili, e far restare loro inibito l'accesso alle altre misure alternative meno ampie - quali lavoro esterno e semiliberta' - che invece normalmente segnano, in progressione dopo i permessi premio, l'avvio verso il recupero della liberta'. Si tratta di osservazioni che la Corte ha espresso in relazione alla pena perpetua, ma perfettamente calzanti anche alle pene temporanee come e' quella in esame, perche' in entrambi i casi resta valido il principio generale per il quale la collaborazione non puo' essere ritenuta l'unica strada possibile, a nulla rilevando in contrario la diversa durata della pena. Sia pure in modo implicito e non dichiarato, vi e' stato quindi un riconoscimento da parte della Corte del vulnus che caratterizza l'attuale impianto normativo, la cui modifica pero' resta di competenza del legislatore, al quale spettera' in definitiva il non facile compito di elaborare una riforma in grado di contemperare le esigenze securitarie con la funzione essenzialmente rieducativa della pena ed il senso di umanita' a cui la stessa deve ispirarsi. Cio' premesso, resta pero' attraverso questo provvedimento un segnale importante da cogliere, e se per un verso alla data odierna il termine fissato non e' ancora trascorso, per altro verso l'auspicato intervento riformatore non si e' ancora concretizzato, e tanto basta ad avviso di chi scrive per ritenere che alla data odierna vi possa essere ancora un po' di spazio per sollevare la questione di legittimita' costituzionale posta in partenza; a patto, pero', che l'individuazione del vulnus costituzionale abbia una portata specifica e limitata, perche', come recentemente affermato dalla Corte medesima nella ordinanza n. 242 del 2021, la prospettazione di una integrale ablazione, per qualunque reato tra quelli ricompresi nell'art. 4-bis, comma 1, L.P., e per qualunque beneficio penitenziario, della presunzione di pericolosita' connessa all'atteggiamento non collaborativo del condannato, si collocherebbe al di fuori dell'area del sindacato di legittimita' costituzionale rientrando piuttosto nell'esercizio di una potesta' legislativa che e' appunto rimessa al Parlamento. Fatta questa necessaria premessa, l'intervento che qui si invoca, ben lungi dall'essere di ampia portata, si limita al caso di un condannato a delitto associativo quale e' quello di cui all'art. 74 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, contenuto nell'elenco di prima fascia dell'art. 4-bis, comma 1, L.P., che per un verso non ha mai collaborato con la giustizia, ma per altro verso, durante il suo percorso carcerario ha dato concreti segnali di attenuazione della sua pericolosita' e di inattualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, tanto da venire ammesso a beneficiare reiteratamente di permessi premio, il quale oggi chiede l'accesso alla semiliberta', misura peraltro piu' contenuta rispetto alla piu' favorevole misura dell'affidamento in prova, perche' non interrompendo il contatto quotidiano con il carcere, consentirebbe comunque un controllo piu' incisivo e pregnante. Ci si interroga sul se questa preclusione sia giusta e ragionevole, in quanto non si puo' non considerare che il detenuto che viene ammesso a beneficiare di permessi premio, inizia un percorso importante di graduale affrancamento dal carcere verso il mondo esterno libero, e tanto consente di affermare che l'istituto del permesso premio possa assolvere in realta' ad una duplice funzione: una prima funzione, che e' quella di consentire al condannato «di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro», e che e' espressamente indicata nell'art. 30-ter, comma 1, L.P., ma una seconda non meno importante, e' quella che viene definita «pedagogico-propulsiva», ovvero consentire una iniziale sperimentazione della condotta esterna proprio in vista della futura ed eventuale concessione di ulteriori e piu' ampi benefici, in modo sia da graduare con la giusta cautela l'inserimento del soggetto nel mondo esterno bilanciandolo con le esigenze di sicurezza della collettivita', sia da preparare il detenuto stesso ad imparare a gestire al meglio il maggiore spazio di riconquistata liberta', che e' operazione per egli non ti sempre facile e scontata, soprattutto dopo una lunga detenzione. La Corte costituzionale del resto proprio di recente ha ribadito questa funzione pedagogico- propulsiva del permesso premio con la sentenza n. 113 del 27 maggio 2020 in tema di censura del termine breve di 24 ore per proporre il reclamo avverso il suo diniego, e detta sentenza si inserisce in quel filone giurisprudenziale che a partire dalla sentenza n. 188 del 1990, ha progressivamente valorizzato la funzione special preventiva di tale beneficio e la sua importanza quale strumento diretto ad agevolare la funzione rieducativa del condannato, nell'ottica di un suo positivo futuro ritorno in societa', mettendo in evidenza come esso rappresenti il primo strumento che, durante la fase di esecuzione della pena, consente agli operatori penitenziari di valutare gli effetti sul detenuto di un temporaneo ritorno in liberta'. Anche la Cassazione ha in piu' di una occasione ribadito l'importanza dei permessi premio, addirittura in alcune pronunce piu' datate ritenendola una condizione necessaria per poter accedere alla semiliberta' in quanto significativi di positiva progressione trattamentale (Cfr., Cass. Pen. Sez. I, n. 40992 del 2008); ma in fondo, anche con il suo piu' recente orientamento di segno opposto non ne ha smentito affatto l'importanza (Cfr., Cass. Pen. Sez. I, c.c. 16.07.2020 n. 23666/20). L'avere fruito di permessi premio in piu' occasioni, incide quindi in modo sostanziale sul percorso del detenuto, che proprio attraverso questi piccoli spazi di liberta' viene gia' in minima parte messo alla prova. E se questa parziale messa alla prova avviene con esito positivo, e' ragionevole ritenere che essa deponga nel senso di una attenuazione della pericolosita' sociale, trattandosi di condotta susseguente al reato, in base al combinato disposto degli articoli 203 e 133 c.p. Il gradino ad essi immediatamente successivo potrebbe essere appunto proprio la semiliberta', che e' forse, fra tutte le misure alternative in astratto concedibili, quella che maggiormente e' idonea ad orientare il processo rieducativo del condannato, per vari ordini di ragioni. Anzitutto, perche' il presupposto e' lo svolgimento di attivita' lavorativa, e qui viene fortemente in rilievo il concetto di lavoro come strumento di rieducazione e risocializzazione; lo svolgimento cioe' di attivita' non personale o finalizzata ai propri interessi personali ed egoistici ma al servizio di altri, e con il rispetto di regole, di orari, e di modalita', rappresenta certamente rispetto all'ozio forzato della detenzione, sia carceraria sia domiciliare, una possibilita' di progresso anzitutto interiore che ha una valenza rieducativa non indifferente. Del resto, vi sono stati importanti studi criminologici anche in data recente, che hanno messo in evidenza l'importanza del lavoro per i detenuti e la sua efficacia come fattore in grado di incidere sul tasso di recidiva abbassandolo sensibilmente; di cio' si e' reso conto anche il legislatore che, con la riforma penitenziaria del 2018 ha cercato di valorizzarlo ulteriormente, ponendo una attenzione maggiore al dettato dell'art. 15 L.P. che considera il lavoro non tanto o non solo come un diritto del detenuto, ma come un elemento essenziale del trattamento rieducativo; e in quest'ottica, l'ampliamento delle ipotesi di possibile applicazione della semiliberta', sarebbe il giusto completamento di questo cambio di prospettiva. In secondo luogo, perche' la possibilita' di percepire un reddito attraverso una stabile e lecita attivita' lavorativa di rilevanza risocializzante, rappresenta anch'essa un tassello di importanza non indifferente nel percorso di graduale affrancamento dal carcere verso la liberta', e che in prospettiva, considerando che la pena temporanea un giorno terminera' determinando in ogni caso il reingresso del soggetto nella societa' libera, mettera' quest'ultimo nelle migliori condizioni per poter scegliere la legalita', e cosi' contribuire a tenerlo lontano dallo stile di vita deviante che lo aveva contraddistinto in passato. Infine, perche' con la semiliberta' non viene interrotto il contatto quotidiano con il carcere, ed il mantenimento sia pure solo parziale del regime detentivo, garantisce, o almeno dovrebbe garantire, un controllo piu' incisivo e pregnante sulla persona del condannato rispetto a qualunque altra misura, in modo da poter fronteggiare meglio le residue esigenze di sicurezza. Certamente, malgrado il maggior controllo e dunque il maggior contenimento del rischio di condotte recidivanti, anche la concessione della semiliberta' implica una concessione di fiducia che potrebbe rivelarsi nel tempo mal riposta, sussistendo sempre un minimo margine di rischio che gli elementi sui quali si basava il giudizio prognostico positivo fondante la sua concessione non trovino poi riscontro nella realta', o che vi sia una ricaduta nella devianza, ma si tratta di un rischio inevitabilmente sotteso alla concessione di qualunque misura alternativa e a qualunque genere di condannato, al quale si potra' pur sempre porre rimedio con la procedura di sospensione e revoca ai sensi dell'art. 51-ter L.P., e che per quanto sussistente, non sembra che possa arrivare a giustificare la privazione gia' in partenza di ogni speranza di progresso e di evoluzione positiva. Alla luce di tutte le considerazioni fin qui esposte, ritiene questo giudice di poter concludere per un giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione posta, e pertanto, con la presente ordinanza, solleva il dubbio di costituzionalita' consegnato nel dispositivo.