UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI AVELLINO 
 
    Il Magistrato di sorveglianza, 
    Letta l'istanza proposta nell'interesse del condannato  D.B.  L.,
nato a ... l'... ed attualmente detenuto presso la casa circondariale
di ..., tendente ad ottenere la concessione  in  via  provvisoria  ed
urgente della semiliberta' ex art. 50, commi 1, 2 e 6 L.P.; 
    Premesso che il D.B. e' ristretto dal 31 marzo 2015 in espiazione
della sentenza della Corte d'appello di Napoli del 9  novembre  2017,
esecutiva dal 4 dicembre 2018, di condanna ad anni dodici, mesi due e
giorni venti di reclusione per reati ex articoli 74 e 73- 80 comma  2
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, con fine pena al
25 dicembre 2025; 
 
                               Osserva 
 
    Con istanza depositata in cancelleria il 4 febbraio 2022, D.B. L.
ha  avanzato,  tramite  il  suo  difensore  di  fiducia,  domanda  di
applicazione  in  via  provvisoria  ed   urgente   di   semiliberta',
prospettando a sostegno della  misura  la  possibilita'  di  svolgere
attivita' lavorativa presso un'officina meccanica avente sede in ... 
    Nel formulare l'istanza, il difensore ha evidenziato che  il  suo
assistito e' stato condannato alla complessiva pena di  anni  dodici,
mesi due e giorni venti di reclusione  per  i  delitti  di  cui  agli
articoli 74 e 73-80, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica
n. 309/1990, dei quali, anni due e mesi quattro inflitti in relazione
al reato satellite a titolo  di  continuazione  rispetto  al  delitto
principale,  per  cui,  anche  sciogliendo  il  cumulo  il  risultato
dimostra che allo stato questi e' ancora ristretto in espiazione  del
delitto ex  art.  74  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/1990; reato compreso nella prima fascia del novero dei delitti di
cui  all'art.  4-bis,  comma  1,  L.P.  e  quindi   «ostativo»   alla
concessione dei benefici penitenziari, salva  la  prova  di  avvenuta
collaborazione  con  la  giustizia  ex  art.  58-ter  L.P.,  o  della
ricorrenza delle ipotesi equipollenti di collaborazione  impossibile,
inesigibile o oggettivamente irrilevante. 
    Nonostante cio', grazie all'apertura  creatasi  a  seguito  della
sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  253/2019  in  favore  dei
detenuti condannati per reati compresi nell'elenco dei delitti di cui
all'art. 4-bis  L.P.  non  collaboranti,  ma  rispetto  ai  quali  il
magistrato abbia ritenuto l'insussistenza di collegamenti attuali con
la criminalita' organizzata, il D.B., che non ha mai collaborato  con
la giustizia, dal dicembre 2020 sta fruendo regolarmente di  permessi
premio, durante i quali ha sempre mantenuto un comportamento ligio  e
corretto,  in  perfetta  adesione  alle  prescrizioni  impartite  dal
magistrato di sorveglianza. 
    In conseguenza di cio', proseguendo  nella  sua  esposizione,  il
difensore ha osservato che  visto  il  cospicuo  numero  di  permessi
fruiti e l'ottimo comportamento tenuto, il suo assistito, laddove non
avesse riportato condanna per reato ostativo, avrebbe ben potuto gia'
accedere alla semiliberta' in virtu' del principio della progressione
trattamentale, atteso, peraltro, che con sentenza n. 74 del  2020  la
Corte costituzionale ha riconosciuto al magistrato di sorveglianza la
possibilita'  di  concedere,  in  via  provvisoria  ed  urgente,   la
semiliberta'  c.d.  »surrogatoria»  dell'affidamento  in  prova,   ai
condannati che abbiano una residua pena espianda contenuta  entro  il
limite dei quattro anni previsto dal combinato  disposto  degli  art.
47, comma 3 e 50, comma 2 L.P., previo riconoscimento del presupposto
del «grave pregiudizio derivante dalla  protrazione  dello  stato  di
detenzione». 
    Nel  caso  di  specie,  l'urgenza  alla  base  del  provvedimento
richiesto, secondo la prospettazione difensiva,  dovrebbe  ravvisarsi
nel rischio  di  perdere  una  valida  opportunita'  lavorativa  che,
assicurando al condannato un reddito, lo potrebbe tenere  lontano  da
quello stile di vita  deviante  che  lo  aveva  condotto  all'attuale
detenzione;  rischio  dovuto  ai  ruoli  notoriamente   oberati   del
Tribunale di Sorveglianza,  e  di  conseguenza  ai  tempi  di  attesa
necessariamente piu' lunghi  per  la  definizione  del  procedimento,
rispetto alla procedura semplificata applicata in sede monocratica. 
    Alla luce di quanto fin qui esposto,  il  difensore  ha  concluso
chiedendo  in  via  principale   l'applicazione   provvisoria   della
semiliberta', e in via subordinata, supponendo che la sentenza  della
Corte costituzionale n.  253  del  2019  limiti  l'apertura  ai  soli
permessi premio con esclusione di ogni altro beneficio penitenziario,
ha chiesto a questo magistrato di sollevare questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, in  relazione  all'art.  50,
comma 2, L.P., per ritenuto contrasto con gli articoli 3 e 27,  comma
3, della Costituzione,  nella  parte  in  cui  detta  norma  preclude
l'applicazione della  semiliberta',  anche  nella  specifica  ipotesi
«surrogatoria»,  ai  condannati  per  reati  c.d.  ostativi,   ovvero
compresi nel novero dei delitti di cui all'art. 4-bis  L.P.  che  non
abbiano  prestato  collaborazione  con  la  giustizia  ai  sensi  del
successivo art. 58-ter L.P., ma che una volta espiata la meta'  pena,
siano stati ammessi a  fruire  di  permessi  premio  sulla  base  del
giudizio  di  inattualita'  di  collegamenti  con   la   criminalita'
organizzata,  sostenendo  che  la  anzidetta  preclusione  normativa,
dinanzi  alla  dimostrazione  del  detenuto  di  riuscire  a  gestire
correttamente i maggiori spazi di liberta' conquistati via via con  i
n permessi  premio,  determinerebbe  un  blocco  irragionevole  della
progressione trattamentale, e sarebbe del tutto incompatibile con  la
finalita' rieducativa della pena e con il senso di umanita' a cui  la
stessa dovrebbe ispirarsi. 
    Orbene, cosi' delineato il thema decidendum, l'esame dell'istanza
del D.B. non puo' prescindere da un breve excursus sulla sua  vicenda
criminale,  sulla   sua   posizione   giuridica,   e   sul   percorso
trattamentale effettuato fino ad oggi. 
    Come  e'  noto,  con  sentenza  n.  253  del   2019,   la   Corte
costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 4-bis,  comma
1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, per contrasto con gli articoli
3 e 27, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva
la  possibilita'  di  concessione  di  permessi  premio  ai  detenuti
condannati  per  reati  compresi  nella  prima   fascia   dell'elenco
contenuto in quella norma, anche in assenza di collaborazione con  la
giustizia ai sensi del successivo  art.  58-ter  L.P.,  a  condizione
pero', che fossero stati acquisiti elementi  tali  da  escludere  sia
l'attualita' della  partecipazione  all'associazione  criminale,  sia
piu' in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti  con  la
criminalita' organizzata. 
    A tale conclusione la Corte e' giunta sul rilievo che  la  scelta
di  non  collaborare  con  la  giustizia  non  necessariamente  debba
intendersi dimostrativa del persistente  inserimento  del  condannato
nel sodalizio criminale, ben potendo  in  realta'  scaturire  da  ben
altri motivi, quale ad esempio, banalmente, il  timore  di  possibili
atti di ritorsione nei propri confronti o dei propri familiari; cosi'
come,  viceversa,  la  scelta  di  collaborare   non   possa   essere
necessariamente sinonimo  di  reale  pentimento  e  di  distacco  dai
disvalori alla base dei crimini commessi,  potendo  piuttosto  essere
dettata  da  mera  strategia  difensiva  mirante   ad   ottenere   un
trattamento sanzionatorio piu' mite. 
    Il   valore   della   collaborazione,   dunque,   va   senz'altro
ridimensionato, mentre l'indagine del giudice deve piu' proficuamente
rivolgersi verso il vero nodo, consistente nell'attualita' o meno dei
collegamenti  con  la  criminalita'  organizzata,   certamente   piu'
significativa della prima. 
    Si tratta, quindi, di un provvedimento che ha censurato  solo  il
carattere  assoluto  della  presunzione  di  pericolosita'   connessa
all'atteggiamento  non  collaborativo  del  condannato,  e  solo   in
relazione all'istituto del permesso premio. 
    Proprio sul solco  di  questa  pronuncia,  questo  Magistrato  si
determinava a concedere al D.B.  il  suo  primo  permesso  premio  in
occasione del Natale 2020, e sulla base dei seguenti atti istruttori: 
        1) la cartella biografica,  dalla  quale  e'  emerso  che  il
medesimo era ininterrottamente detenuto dal 31 marzo 2015, e  con  la
liberazione anticipata fino  a  quel  momento  ottenuta,  aveva  gia'
espiato ben oltre la meta' della pena; 
        2)  il  certificato  penale  e  il  certificato  dei  carichi
pendenti, dai quali e' risultata l'assenza sia di  carichi  pendenti,
sia di altri precedenti al di fuori  della  condanna  in  espiazione,
riguardante fatti che si collocavano entro un arco temporale  tra  il
2012 ed il 2013; fatti, quindi, risalenti a circa otto anni prima; 
        3) la sentenza di condanna, dalla quale  e'  stato  possibile
desumere  che  nell'ambito  della  vicenda  concernente  un  traffico
internazionale di sostanze stupefacenti tra l'Italia e la Spagna  che
lo aveva visto coinvolto insieme al fratello,  il  D.B.  aveva  avuto
certamente un ruolo di minore importanza rispetto a quest'ultimo, che
per converso, era stato riconosciuto rivestire il ruolo di  promotore
ed attualmente si trovava ristretto nel circuito  di  Alta  Sicurezza
presso la casa circondariale di ...; invero, dalla ricostruzione  dei
fatti  desumibile   dalla   sentenza,   ed   in   particolare   dalle
intercettazioni delle conversazioni effettuate  durante  l'operazione
di trasporto dalla Spagna e di consegna della  sostanza  stupefacente
che lo avevano visto  compartecipe,  emergeva  che  il  vero  dominus
dell'operazione era stato il fratello, del quale sostanzialmente egli
si era limitato ad eseguire gli ordini; 
        4) la Direzione nazionale antimafia, che sulla  richiesta  di
informazioni in merito all'eventuale attualita' dei collegamenti  con
la criminalita' organizzata, con nota resa  in  data  6  agosto  2020
rispondeva testualmente: 
        «per come evincesi dalla nota  della  DDA  di  Napoli  del  4
agosto 2020, il D.B. L.: 
          a) non ha collaborato in alcun modo con la giustizia; 
          b) potrebbe fornire un apporto conoscitivo certamente utile
a fini investigativi; 
          c) non sono stati  acquisiti  elementi  tali  da  escludere
l'attualita'  della  partecipazione  all'associazione  criminale   e,
comunque,  il  pericolo  di  ripristino  dei  collegamenti   con   la
criminalita' organizzata»; 
        5) la nota informativa del commissariato P.S.  del  6  luglio
2020, che testualmente riportava «allo stato attuale  questo  ufficio
non dispone di elementi utili, tali da ritenere che il predetto abbia
collegamenti o sia affiliato ad organizzazioni  criminali  riferibili
in questa area»; 
        6) infine, la relazione del carcere, dalla quale emergeva che
il D.B., tratto in  arresto  in  data  31  marzo  2015,  aveva  fatto
ingresso presso la casa circondariale di ... in data 15 febbraio 2019
proveniente dalla casa circondariale ... per sfollamento istituto;  e
dopo essere stato dal 31 marzo 2015 al 15 maggio 2019 recluso  presso
la sezione Alta Sicurezza 3, era stato  poi  declassificato  e  aveva
proseguito la detenzione nelle sezioni comuni dove aveva continuato a
serbare  una  regolare   condotta   inframuraria   ed   una   fattiva
partecipazione alle attivita' trattamentali offerte dall'istituto. 
    Esaminato l'intero compendio istruttorio, questo magistrato,  per
un verso riteneva che la nota della DDA rimanesse piuttosto generica,
limitandosi a presumere l'attualita' dei  collegamenti  dalla  stessa
vicenda criminale per la  quale  era  intervenuta  condanna  e  dalla
mancanza di  avvenuta  collaborazione  con  la  giustizia,  ma  senza
tuttavia indicare specifici e dettagliati elementi coevi  al  periodo
attuale, significativi di una persistente immanenza  nell'ambito  del
sodalizio criminale di  appartenenza;  per  altro  verso  considerava
elemento di  valutazione  favorevole  per  il  condannato  l'avvenuta
declassificazione dal circuito AS a quello ordinario, atteso  che  la
stessa,  sebbene  non  costituisca  un   presupposto   giuridicamente
rilevante ai fini della Valutazione in  merito  alla  concessione  di
benefici  penitenziari,  non  essendo  contemplata  espressamente  da
alcuna norma, tuttavia  rappresentava  pur  sempre  un  provvedimento
favorevole per il detenuto, adottato all'esito di una  istruttoria  e
di una attenta valutazione  da  parte  dell'autorita'  amministrativa
competente. 
    Infine, osservava che il prevenuto, durante  tutto  l'arco  della
detenzione, ad eccezione di un unico rapporto disciplinare  riportato
in data 13 luglio 2015 nella fase iniziale della sua carcerazione,  e
a seguito  del  quale  era  stato  sanzionato  con  dieci  giorni  di
esclusione dalle attivita' in comune, aveva sempre mantenuto un  buon
comportamento inframurario, tanto che nell'attuale istituto di  pena,
dopo un lungo periodo di detenzione nelle sezioni comuni, in  data  4
settembre 2019 era stato spostato presso il ..., dove vige un  regime
detentivo a custodia attenuata, e dove  si  era  sin  da  subito  ben
adattato al contesto continuando a serbare sempre buona condotta e ad
impegnarsi con profitto nelle varie attivita'  trattamentali  offerte
dall'istituto. 
    Alla luce degli elementi emersi dall'espletata istruttoria ed  in
considerazione segnatamente dell'avvenuta declassificazione,  seguita
poco dopo addirittura dal passaggio al regime di custodia  attenuata,
che presuppone una ulteriore valutazione favorevole di affidabilita',
questo  magistrato  riteneva  sussistenti  i  presupposti  per  poter
iniziare a sperimentare la condotta esterna del D.B.  con  una  breve
esperienza premiale, con le opportune cautele trattandosi  del  primo
permesso, e dunque in regime arresti domiciliari assoluti e presso la
sede della Caritas locale. 
    Dopo la prima concessione, seguivano un secondo permesso, avverso
il quale il pubblico ministero in sede propose reclamo  al  tribunale
di sorveglianza, che il  tribunale  pero'  con  puntuale  motivazione
rigetto'  confermando  il  giudizio  di  ritenuta  insussistenza   di
collegamenti, e disponendo l'esecuzione del beneficio per il mese  di
luglio, ed un  terzo  permesso  per  il  periodo  autunnale.  Infine,
seguiva l'ultimo permesso premio, concesso in occasione delle  scorse
festivita' natalizie, presso l'abitazione familiare, per la durata di
dieci giorni e con liberta' di circolazione durante la fascia  oraria
diurna. 
    E' importante sottolineare  che  durante  la  fruizione  di  tali
benefici,  non  sono  mai  pervenute  segnala  zioni  in   merito   a
comportamenti negativi, e che prima  di  ogni  nuova  concessione  la
condotta tenuta durante la  fruizione  del  beneficio  precedente  e'
stata oggetto da parte della scrivente di apposito quesito alle forze
dell'ordine incaricate dei controlli. 
    E' a questo punto del percorso  che  viene  presentata  l'istanza
tendente ad ottenere la semiliberta' in via provvisoria ed urgente in
base all'art. 50, commi 2 e 6, L.P., o in subordine, a  sollevare  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  delle   norme   che   ne
impediscono l'applicazione. 
    L'istanza  dell'interessato  si  fonda  essenzialmente   su   due
presupposti, ovvero da un lato, l'urgenza alla base del provvedimento
richiesto, alla luce dell'offerta  lavorativa  attestata  a  sostegno
dell'istanza, confermata al momento come disponibile, ma per un lasso
di  tempo  determinato   e   comunque   ragionevolmente   commisurato
all'attuale frangente di forte crisi economica; dall'altro, l'assenza
di collegamenti con la criminalita' organizzata, ritenuta all'origine
della prima concessione, ma  confermata  nel  tempo  dall'assenza  di
rilievi durante la fruizione dei permessi successivi. 
    Orbene,  ritiene  questo  giudice  che  in  astratto,  senza   la
preclusione dell'art. 4-bis L.P. sussisterebbero effettivamente tutti
gli altri presupposti per poter concedere la misura richiesta. 
    In primo luogo, sussistono i limiti  di  pena  richiesti  per  la
semiliberta'  nell'ipotesi  «surrogatoria»,  che  e'  la  sola   oggi
astrattamente concedibile dal magistrato in sede monocratica:  grazie
infatti alla liberazione anticipata, il fine pena oggi e' sceso al di
sotto dei quattro anni, che e' il limite  previsto  dal  comma  3-bis
dell'art. 47, espressamente richiamato dall'art. 50, comma 2, L.P. 
    Sussiste, altresi', l'espiazione di piu' della meta' della  pena,
che l'art. 50, comma 2, L.P. richiede per l'accesso alla semiliberta'
surrogatoria  per  i  condannati  per  reati   compresi   nell'elenco
dell'art. 4-bis, comma 1, L.P., (ovviamente riferendosi, nell'attuale
assetto normativo, e nonostante il richiamo formale all'intero  comma
1 dell'art. 4-bis L.P., ai soli  reati  di  4-bis  «seconda  fascia»,
stante la preclusione di cui in questa sede si sta discutendo  per  i
reati di «prima fascia»). 
    Sussiste  certamente  la  prospettata  urgenza  alla   base   del
provvedimento richiesto, atteso che l'attivita' lavorativa proposta a
sostegno dell'istanza e' stata confermata  dal  titolare  alle  forze
dell'ordine,  ma  i  tempi  per  la  trattazione  dinanzi  all'organo
collegiale nella pienezza del contradditorio rischiano seriamente  di
vanificare  l'utilita'  dell'offerta,  visti  i  ruoli   notoriamente
oberati del Tribunale, e ulteriormente aggravati purtroppo in  questo
periodo dai numerosi rinvii collegati all'attuale emergenza sanitaria
da Covid 19, che ha legittimato l'impedimento  a  comparire  sia  dei
detenuti  che  chiedevano  di  presenziare  alle  udienze,  che   dei
difensori. 
    Sussistono anche i progressi compiuti nel corso del  trattamento,
visti i termini molto  positivi  con  cui  la  relazione  della  casa
circondariale si esprime nei confronti del  prevenuto,  sottolineando
non solo il suo impegno nello  svolgimento  di  attivita'  lavorativa
interna all'istituto come «assistente  alla  persona»,  ma  anche  il
profitto con cui segue il corso scolastico  per  geometri,  al  punto
che, come si afferma con testuali parole, «i  suoi  insegnanti  hanno
spesso parole di lode per lui». 
    Infine, ulteriore conferma dell'evoluzione della personalita' del
condannato verso un deciso cambio di rotta  e'  data  dalla  positiva
sperimentazione con i permessi premio durante i quali il medesimo non
ha mai dato luogo a rimarchi di sorta, secondo quanto riferiscono  le
informative delle forze dell'ordine. 
    Tuttavia, pur in presenza  di  tutti  i  presupposti  di  merito,
l'istanza andrebbe allo stato  dichiarata  inammissibile,  visto  che
l'istante e' ancora ristretto  in  espiazione  della  quota  di  pena
relativa al reato ostativo e  non  ha  mai  prestato  collaborazione;
dunque non vi e' altro modo per superare  l'inammissibilita'  se  non
quello di  sollevare  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sull'input dato dal difensore. 
    Orbene, ritiene questo magistrato che la questione prospettata si
profila rilevante e non manifestamente infondata,  per  i  motivi  di
seguito specificati. 
    Sotto il profilo della rilevanza, si osserva, in  senso  conforme
all'orientamento recentemente espresso dalla Cassazione (Cfr.,  Cass.
Pen. Sez. I, c.c.1.04.2021, n. sez. 1205/2021, imp. Gallico), che non
e' possibile interpretare estensivamente  l'apertura  operata  per  i
permessi premio anche alla semiliberta', atteso che con  la  sentenza
n. 253 del 2019, la Corte ha dichiarato l'illegittimita' dell'art.  4
bis, comma 1, della legge 354 del 1975 nella parte in cui non prevede
che ai detenuti per i delitti di cui all'art. 416-bis  codice  penale
possano  essere  concessi  permessi  premio  anche  in   assenza   di
collaborazione con la giustizia, a determinate condizioni; e' chiaro,
quindi, che si tratta di pronuncia  che  riguarda  esclusivamente  la
concessione dei permessi premio e non di altri benefici penitenziari;
e  proprio  la  lettura  della  sentenza  dimostra   che   la   Corte
costituzionale  era  ben  consapevole  della  possibilita'   di   una
estensione di tale pronuncia a benefici penitenziari  differenti  dai
permessi premio, e cio' nonostante ha inteso espressamente delimitare
a questi ultimi la portata della decisione. 
    Sempre, poi, sotto il profilo della rilevanza, va aggiunto che il
presupposto dell'urgenza alla base del provvedimento richiesto, nella
gia' citata sentenza n. 74 del 2020 sulla  semiliberta'  provvisoria,
e' stato riconosciuto sussistente dalla Corte e tale  da  legittimare
il  magistrato  a  sollevare  la  relativa  questione,  in  un   caso
perfettamente sovrapponibile a quello in esame quanto  agli  elementi
fattuali, e distinto da quest'ultimo unicamente appunto per la natura
non ostativa dei reati in espiazione. 
    D'altro canto, anche nella piu' recente sentenza n. 30  del  2022
in  materia  di  art.  47-quinquies  L.P.,  la  Corte,   sebbene   in
riferimento al diverso istituto della detenzione domiciliare speciale
per le detenute madri e per motivi  diversi,  strettamente  correlati
alla  finalita'  di  quella  particolare  misura,  ha   specularmente
attribuito rilevanza  alla  necessita'  di  non  poter  attendere  la
decisione del  Tribunale,  e  riconosciuto  piena  legittimazione  al
giudice remittente a sollevare la questione, dinanzi alla  necessita'
di adottare  un  provvedimento  urgente  che  tuttavia  la  normativa
vigente gli precludeva in modo irragionevole, perche'  in  definitiva
contrastante proprio con  gli  interessi  primari  della  tutela  del
rapporto di genitorialita' e della cura e crescita del minore che  la
norma impugnata si prefiggeva di tutelare. 
    Interessante poi e' in quella pronuncia il passaggio  in  cui  la
Corte  evidenzia  che  poiche'  la  rilevanza  della   questione   di
legittimita'  costituzionale  deve  essere  valutata  ex   ante,   le
eventuali vicende successive all'ordinanza di rimessione -   che  nel
caso  in  esame  potrebbero  essere  rappresentate  dal  venir   meno
dell'offerta  di  lavoro -   non  dovrebbero  incidere  su  di   essa
invalidandola per sopraggiunto mutamento della situazione di fatto, e
tanto basta ad avviso di  chi  scrive  per  fondare  il  giudizio  di
rilevanza della questione nel caso  specifico,  dalla  cui  soluzione
dipende  l'ammissibilita'  dell'istanza,  preliminare  al  vaglio  di
merito. 
    Ben  piu'  complesso  e'  il   giudizio   sulla   non   manifesta
infondatezza della questione. 
    In proposito, va richiamata anzitutto l'ordinanza n. 97 del  2021
nel giudizio di legittimita' costituzionale delle norme che escludono
che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il  condannato
all'ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle  condizioni  di
cui all'art. 416-bis c.p., ovvero al fine  di  agevolare  l'attivita'
delle 1) associazioni in esso previste che non abbia collaborato  con
la  giustizia,  sollevato  dalla  Cassazione  sulla  scia  del  vento
spirante da Strasburgo. 
    Con essa la Consulta, per un verso, ha condiviso la censura mossa
dal  giudice   remittente,   osservando   che   la   presunzione   di
pericolosita' gravante sul  condannato  all'ergastolo  per  reati  di
contesto mafioso che non collabora con la giustizia non e' di per se'
in tensione con  i  parametri  costituzionali,  non  essendo  affatto
irragionevole  presumere  che  costui  mantenga  vivi  i  legami  con
l'organizzazione criminale di originaria appartenenza, ma quello  che
rimane invece in tensione, e' il ritenere che "la collaborazione  sia
l'unica strada a disposizione del  condannato  a  pena  perpetua  per
l'accesso alla valutazione da  cui  dipende,  decisivamente,  la  sua
restituzione alla liberta'; anche in tal caso, e' insomma  necessario
che la presunzione in esame diventi relativa e possa essere vinta  da
prova contraria, valutabile dal Tribunale di Sorveglianza".;  ma  per
altro verso, in luogo di dichiarare l'illegittimita'  costituzionale,
in una ottica di correttezza istituzionale, ha rinviato  il  giudizio
al 10 maggio del corrente anno dando al Parlamento sovrano un congruo
termine per riformare l'intera materia, nel timore che un  intervento
demolitore specifico e  limitato  potesse  creare  una  disarmonia  e
ulteriore contraddittorieta' all'interno del sistema. 
    Sarebbe infatti estremamente illogico e contraddittorio,  proprio
per il principio  della  progressione  trattamentale,  consentire  ai
condannati per  delitti  ostativi  non  collaboranti  l'accesso  alla
liberazione condizionale, che e'  il  piu'  ampio  e  favorevole  dei
benefici  astrattamente  concedibili,  e  far  restare  loro  inibito
l'accesso alle altre misure alternative meno  ampie  -  quali  lavoro
esterno  e  semiliberta'  -  che  invece  normalmente   segnano,   in
progressione dopo i permessi premio, l'avvio verso il recupero  della
liberta'. 
    Si tratta di osservazioni che la Corte ha espresso  in  relazione
alla  pena  perpetua,  ma  perfettamente  calzanti  anche  alle  pene
temporanee come e' quella in esame, perche' in entrambi i casi  resta
valido il principio generale per il quale la collaborazione non  puo'
essere ritenuta  l'unica  strada  possibile,  a  nulla  rilevando  in
contrario la diversa durata della pena. 
    Sia pure in modo implicito e non dichiarato, vi e'  stato  quindi
un riconoscimento da parte della Corte del  vulnus  che  caratterizza
l'attuale  impianto  normativo,  la  cui  modifica  pero'  resta   di
competenza del legislatore, al quale spettera' in definitiva  il  non
facile compito di elaborare una riforma in grado di  contemperare  le
esigenze securitarie con la funzione essenzialmente rieducativa della
pena ed il senso di umanita' a cui la stessa deve ispirarsi. 
    Cio' premesso, resta pero'  attraverso  questo  provvedimento  un
segnale importante da cogliere, e se per un verso alla  data  odierna
il  termine  fissato  non  e'  ancora  trascorso,  per  altro   verso
l'auspicato intervento riformatore non si e' ancora concretizzato,  e
tanto basta ad avviso di  chi  scrive  per  ritenere  che  alla  data
odierna vi possa essere ancora un po'  di  spazio  per  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale posta in partenza; a  patto,
pero', che  l'individuazione  del  vulnus  costituzionale  abbia  una
portata specifica e limitata, perche',  come  recentemente  affermato
dalla  Corte  medesima  nella  ordinanza  n.   242   del   2021,   la
prospettazione di una integrale ablazione, per  qualunque  reato  tra
quelli ricompresi nell'art. 4-bis, comma 1,  L.P.,  e  per  qualunque
beneficio penitenziario, della presunzione di pericolosita'  connessa
all'atteggiamento non collaborativo del condannato, si  collocherebbe
al di fuori dell'area del sindacato  di  legittimita'  costituzionale
rientrando piuttosto nell'esercizio di una potesta'  legislativa  che
e' appunto rimessa al Parlamento. 
    Fatta questa necessaria premessa, l'intervento che qui si invoca,
ben lungi dall'essere di ampia portata,  si  limita  al  caso  di  un
condannato a delitto associativo quale e' quello di cui  all'art.  74
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/1990,  contenuto
nell'elenco di prima fascia dell'art. 4-bis, comma 1, L.P.,  che  per
un verso non ha mai collaborato con la giustizia, ma per altro verso,
durante il suo  percorso  carcerario  ha  dato  concreti  segnali  di
attenuazione  della  sua   pericolosita'   e   di   inattualita'   di
collegamenti con la criminalita' organizzata, tanto da venire ammesso
a beneficiare reiteratamente di permessi premio, il quale oggi chiede
l'accesso alla semiliberta', misura peraltro piu' contenuta  rispetto
alla piu' favorevole misura dell'affidamento in  prova,  perche'  non
interrompendo il contatto quotidiano con  il  carcere,  consentirebbe
comunque un controllo piu' incisivo e pregnante. 
    Ci  si  interroga  sul  se  questa  preclusione  sia   giusta   e
ragionevole, in quanto non si puo' non considerare  che  il  detenuto
che viene  ammesso  a  beneficiare  di  permessi  premio,  inizia  un
percorso importante di graduale affrancamento dal  carcere  verso  il
mondo esterno libero, e tanto consente di  affermare  che  l'istituto
del permesso  premio  possa  assolvere  in  realta'  ad  una  duplice
funzione:  una  prima  funzione,  che  e'  quella  di  consentire  al
condannato «di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro»,
e che e' espressamente indicata nell'art. 30-ter, comma 1,  L.P.,  ma
una seconda  non  meno  importante,  e'  quella  che  viene  definita
«pedagogico-propulsiva»,    ovvero    consentire     una     iniziale
sperimentazione della condotta esterna proprio in vista della  futura
ed eventuale concessione di ulteriori e piu' ampi benefici,  in  modo
sia da graduare con la giusta cautela l'inserimento del soggetto  nel
mondo esterno  bilanciandolo  con  le  esigenze  di  sicurezza  della
collettivita', sia da preparare il  detenuto  stesso  ad  imparare  a
gestire al meglio il maggiore spazio di riconquistata  liberta',  che
e' operazione per egli non ti sempre facile e  scontata,  soprattutto
dopo una lunga detenzione. 
    La Corte costituzionale del resto proprio di recente ha  ribadito
questa funzione pedagogico- propulsiva del  permesso  premio  con  la
sentenza n. 113 del 27 maggio 2020 in tema  di  censura  del  termine
breve di 24 ore per proporre il reclamo avverso  il  suo  diniego,  e
detta sentenza si inserisce in quel filone  giurisprudenziale  che  a
partire  dalla  sentenza  n.  188  del  1990,   ha   progressivamente
valorizzato la funzione special preventiva di tale beneficio e la sua
importanza  quale  strumento  diretto  ad   agevolare   la   funzione
rieducativa del condannato, nell'ottica di  un  suo  positivo  futuro
ritorno in societa', mettendo in evidenza come  esso  rappresenti  il
primo strumento che,  durante  la  fase  di  esecuzione  della  pena,
consente agli operatori penitenziari  di  valutare  gli  effetti  sul
detenuto di un temporaneo ritorno in liberta'. 
    Anche  la  Cassazione  ha  in  piu'  di  una  occasione  ribadito
l'importanza dei permessi premio, addirittura in alcune pronunce piu'
datate ritenendola una condizione necessaria per poter accedere  alla
semiliberta'  in  quanto  significativi  di   positiva   progressione
trattamentale (Cfr., Cass. Pen. Sez. I, n. 40992  del  2008);  ma  in
fondo, anche con il suo piu' recente orientamento  di  segno  opposto
non ne ha smentito affatto l'importanza (Cfr.,  Cass.  Pen.  Sez.  I,
c.c. 16.07.2020 n. 23666/20). 
    L'avere fruito di  permessi  premio  in  piu'  occasioni,  incide
quindi in modo sostanziale sul percorso  del  detenuto,  che  proprio
attraverso questi piccoli spazi di  liberta'  viene  gia'  in  minima
parte messo alla prova. E se questa parziale messa alla prova avviene
con esito positivo, e' ragionevole  ritenere  che  essa  deponga  nel
senso di una attenuazione della pericolosita' sociale, trattandosi di
condotta susseguente al reato, in base al  combinato  disposto  degli
articoli 203 e 133 c.p. 
    Il gradino ad  essi  immediatamente  successivo  potrebbe  essere
appunto proprio la semiliberta', che e' forse, fra  tutte  le  misure
alternative in  astratto  concedibili,  quella  che  maggiormente  e'
idonea ad orientare il processo rieducativo del condannato, per  vari
ordini di ragioni. 
    Anzitutto, perche' il presupposto e' lo svolgimento di  attivita'
lavorativa, e qui viene fortemente in rilievo il concetto  di  lavoro
come strumento di rieducazione e  risocializzazione;  lo  svolgimento
cioe' di attivita' non personale o finalizzata  ai  propri  interessi
personali ed egoistici ma al servizio di altri, e con il rispetto  di
regole, di orari, e di  modalita',  rappresenta  certamente  rispetto
all'ozio forzato della detenzione, sia  carceraria  sia  domiciliare,
una possibilita' di progresso anzitutto interiore che ha una  valenza
rieducativa non indifferente. 
    Del resto, vi sono stati importanti studi criminologici anche  in
data recente, che hanno messo in evidenza l'importanza del lavoro per
i detenuti e la sua efficacia come fattore in grado di  incidere  sul
tasso di recidiva abbassandolo sensibilmente;  di  cio'  si  e'  reso
conto anche il legislatore che, con la riforma penitenziaria del 2018
ha cercato di  valorizzarlo  ulteriormente,  ponendo  una  attenzione
maggiore al dettato dell'art. 15 L.P. che  considera  il  lavoro  non
tanto o non solo come un diritto del detenuto, ma  come  un  elemento
essenziale  del   trattamento   rieducativo;   e   in   quest'ottica,
l'ampliamento  delle  ipotesi   di   possibile   applicazione   della
semiliberta', sarebbe il giusto completamento  di  questo  cambio  di
prospettiva. 
    In secondo luogo, perche' la possibilita' di percepire un reddito
attraverso una stabile e lecita  attivita'  lavorativa  di  rilevanza
risocializzante, rappresenta anch'essa un tassello di importanza  non
indifferente nel percorso di graduale affrancamento dal carcere verso
la  liberta',  e  che  in  prospettiva,  considerando  che  la   pena
temporanea  un  giorno  terminera'  determinando  in  ogni  caso   il
reingresso del soggetto nella societa' libera, mettera'  quest'ultimo
nelle migliori condizioni per poter scegliere la legalita',  e  cosi'
contribuire a tenerlo lontano dallo stile di  vita  deviante  che  lo
aveva contraddistinto in passato. 
    Infine, perche' con  la  semiliberta'  non  viene  interrotto  il
contatto quotidiano con il carcere, ed il mantenimento sia pure  solo
parziale  del  regime  detentivo,  garantisce,  o   almeno   dovrebbe
garantire, un controllo piu' incisivo e pregnante sulla  persona  del
condannato rispetto a  qualunque  altra  misura,  in  modo  da  poter
fronteggiare meglio le residue esigenze di sicurezza. 
    Certamente, malgrado il maggior controllo  e  dunque  il  maggior
contenimento  del  rischio  di   condotte   recidivanti,   anche   la
concessione della semiliberta' implica una concessione di fiducia che
potrebbe rivelarsi nel  tempo  mal  riposta,  sussistendo  sempre  un
minimo margine di rischio che gli elementi sui  quali  si  basava  il
giudizio prognostico positivo fondante la sua concessione non trovino
poi riscontro  nella  realta',  o  che  vi  sia  una  ricaduta  nella
devianza, ma si tratta di un  rischio  inevitabilmente  sotteso  alla
concessione di qualunque misura alternativa e a qualunque  genere  di
condannato, al quale si  potra'  pur  sempre  porre  rimedio  con  la
procedura di sospensione e revoca ai sensi dell'art. 51-ter  L.P.,  e
che  per  quanto  sussistente,  non  sembra  che  possa  arrivare   a
giustificare la privazione gia'  in  partenza  di  ogni  speranza  di
progresso  e  di  evoluzione  positiva.  Alla  luce   di   tutte   le
considerazioni fin qui  esposte,  ritiene  questo  giudice  di  poter
concludere per un giudizio di rilevanza e non manifesta  infondatezza
della questione posta, e pertanto, con la presente ordinanza, solleva
il dubbio di costituzionalita' consegnato nel dispositivo.