IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'EMILIA-ROMAGNA 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 87  del  2022,  proposto  da  Bronchi  Combustibili
S.r.l.,  in  persona   del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentato e difeso  dall'avv.  Maurizio  Sottile,  con  domicilio
digitale come da Pec da Registri  di  giustizia  e  domicilio  eletto
presso lo studio Maria avv. Tantoia in Bologna, via C. D'Azeglio; 
    Contro ASP Catanzaro, non costituito in giudizio; 
    Per l'ottemperanza del decreto ingiuntivo n. 775/2018 - Tribunale
di Forli'. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'art. 114 c.p.a.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 6  aprile  2022  il
dott. Giancarlo Mozzarelli e uditi per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Rilevato che  la  societa'  ricorrente  agisce  in  giudizio  per
l'ottemperanza del decreto ingiuntivo meglio indicato dianzi; 
    Ritenuto  che  il  Collegio  valuta  che  sia  rilevante  e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 16-septies, comma 2, lettera g), decreto-legge  21  ottobre
2021, n. 146, come introdotto dalla legge di conversione, e cioe'  la
legge 17 dicembre 2021, n. 215, per contrasto  con  l'art.  24  della
Costituzione, da solo e,  nella  misura  in  cui  riguardi  anche  il
giudizio d'ottemperanza svolto davanti al giudice amministrativo,  in
combinata lettura con  l'art.  113  della  Costituzione,  nella  scia
dell'orientamento gia' accolto sul punto dal TAR Calabria  (ordinanza
n. 356/2022). 
    La disposizione della cui compatibilita' con la  Costituzione  si
dubita cosi' recita: «al fine di coadiuvare le attivita' previste dal
presente comma (e cioe' le attivita'  di  controllo,  liquidazione  e
pagamento delle fatture, sia per la  gestione  corrente  che  per  il
pregresso, nonche' le attivita' di monitoraggio  e  di  gestione  del
contenzioso, NDR), assicurando al servizio  sanitario  della  Regione
Calabria la liquidita' necessaria  allo  svolgimento  delle  predette
attivita'  finalizzate  anche  al  tempestivo  pagamento  dei  debiti
commerciali, nei confronti degli enti del  servizio  sanitario  della
Regione Calabria di cui all'art. 19 del decreto legislativo 23 giugno
2011, n. 118, non  possono  essere  intraprese  o  proseguite  azioni
esecutive (...). Le disposizioni della presente lettera si  applicano
fino al 31 dicembre 2025». 
    La previsione normativa deve trovare applicazione, oltre che alle
azioni esecutive proposte ai sensi del codice  di  procedura  civile,
anche al  giudizio  di  ottemperanza,  che,  secondo  la  consolidata
giurisprudenza  amministrativa,  ha  funzione  e  natura   esecutiva,
allorche' sia attivato ai fini dell'esecuzione di un provvedimento di
giudice civile. 
    Si e' infatti chiarito che, in sede di ottemperanza di un  titolo
formatosi davanti al giudice  ordinario,  il  giudice  amministrativo
deve svolgere un'attivita'  meramente  esecutiva  senza  possibilita'
d'integrare la sentenza, (cfr., tra le tante, Cons. Stato,  Sez.  VI,
13 maggio 2016, n. 1952; Cons. Stato, Sez. V,  2  febbraio  2009,  n.
561; Cons. Stato,  Sez.  VI,  8  settembre  2008,  n.  4288;  CGA,  8
settembre  2014,  n.   522)   dovendosi   limitare   all'accertamento
dell'esistenza   di   un   comportamento   omissivo   o   elusivo   e
all'attuazione  del  disposto  della  pronuncia  del  giudice  civile
passata in giudicato, trovando in essa un limite invalicabile (in tal
senso, Cons. Stato, Sez. IV, 18 gennaio 2016, n. 145). 
    Non a caso, si ritiene pacificamente applicabile al  giudizio  di
ottemperanza la sospensione  delle  procedure  esecutive  individuali
prevista tanto all'art. 243-bis,  comma  4,  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267, in caso di avvio della procedura di riequilibrio
di bilancio di un ente locale (cfr. CGA, 28 ottobre 2014, n. 586; TAR
Sicilia - Catania, Sez. I, 11 luglio 2013, n. 2045), tanto  dall'art.
248, comma 2 del medesimo testo normativo per  il  caso  di  dissesto
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2018, n.  5184;  TAR  Lazio -
Roma, Sez. II, 8 novembre 2021, n. 11440). 
    Occorre, a questo punto, prendere posizione  su  un  orientamento
formatosi  nella  giurisprudenza  amministrativa  a  proposito  della
sospensione delle esecuzioni nei confronti degli  enti  del  servizio
sanitario disposta in passato con leggi che saranno richiamate ultra. 
    Un certo orientamento (cfr. Cons.  Stato,  Sez.  III,  11  luglio
2013, n. 3726; TAR Calabria - Reggio Calabria,  31  luglio  2020,  n.
480) ritenne  che  la  sospensione  operasse  soltanto  per  la  fase
propriamente esecutiva, svolta dal commissario ad acta  nominato  dal
giudice  amministrativo,  giacche'  l'accoglimento,  da   parte   del
giudice, della domanda di ottemperanza si  risolve  nell'ordine  alla
stessa amministrazione debitrice di provvedere  all'esecuzione  entro
un dato termine, afforzando cosi' un ordine che scaturisce  gia'  dal
dictum giurisdizionale rimasto ineseguito. 
    Questo Tribunale ritiene non condivisibile l'orientamento  teste'
descritto. 
    Innanzitutto, esso opera una  distinzione,  quanto  agli  effetti
della sospensione, tra la fase dell'ottemperanza  svolta  davanti  al
giudice amministrativo e la fase curata dal commissario  ad  acta  da
esso nominato. Di tale distinzione, pero',  non  v'e'  traccia  nelle
varie previsioni legislative succedutesi, che, come  quella  oggi  in
rilievo, si limitano  a  vietare  che  le  azioni  esecutive  vengano
«intraprese» o «proseguite» nei confronti  degli  enti  del  Servizio
sanitario  nazionale.  Peraltro,  l'uso  del  verbo   «intraprendere»
richiama  semanticamente  e  logicamente   l'attenzione   alla   fase
introduttiva dell'azione d'ottemperanza, e  cioe'  al  momento  della
proposizione del ricorso. 
    In secondo luogo, la distinzione in questione appare artificiale,
se solo si consideri che entrambe le fasi - quella davanti al giudice
amministrativo,  quella  che  vede  il  commissario  ad   acta   come
protagonista - hanno come unica finalita'  l'attuazione  del  comando
giurisdizionale contenuto nel provvedimento  del  giudice  ordinario.
Infine,  una  simile  opzione  ermeneutica  comporterebbe  spreco  di
attivita'  giurisdizionale,  richiedendo  la  pronuncia  del  giudice
amministrativo sulla domanda  di  ottemperanza  senza  che,  poi,  il
privato  possa  ottenere  la  soddisfazione   del   credito   agitato
esecutivamente; e comportando elevate probabilita'  di  incidenti  di
esecuzione  proprio  in  ordine  all'applicabilita'   della   ridetta
sospensione. 
    Emerge, dunque, in tutta la sua evidenza la rilevanza  dei  dubbi
di legittimita' costituzionale. 
    Ai sensi dell'art. 16-septies, comma 2, lettera g), decreto-legge
21 ottobre 2021, n. 146,  infatti,  questo  Tribunale  amministrativo
regionale dovrebbe dichiarare, immediatamente  e  in  via  del  tutto
preliminare, improcedibile il ricorso in oggetto. 
    Il dubbio di incompatibilita' tra  l'art.  16-septies,  comma  2,
lettera g), decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, e l'art. 24  della
Costituzione, e' alimentato  dall'esame  della  giurisprudenza  della
Corte costituzionale. 
    Essa ha ripetutamente affermato che la garanzia di poter agire in
giudizio  per  la  tutela  dei   propri   diritti   comprende   anche
l'esecuzione forzata, che e' diretta a rendere effettiva l'attuazione
del provvedimento del giudice (sentenza n. 522 del 2002). 
    La tutela in sede esecutiva, infatti,  e'  componente  essenziale
del diritto di accesso al giudice: l'azione esecutiva rappresenta uno
strumento   indispensabile   per    l'effettivita'    della    tutela
giurisdizionale  perche'  consente  al  creditore  di  soddisfare  la
propria pretesa in mancanza di adempimento  spontaneo  da  parte  del
debitore (ex plurimis, cfr. le sentenze n. 225 del 2018, n.  198  del
2010, n. 335 del 2004, n. 522 del 2002 e n. 321 del  1998;  ordinanza
n. 331 del 2001). 
    La fase di esecuzione  coattiva  delle  decisioni  di  giustizia,
proprio in quanto componente intrinseca ed essenziale della  funzione
giurisdizionale,   deve   ritenersi   costituzionalmente   necessaria
(sentenza n. 419 del 1995), stante che «il principio di  effettivita'
della tutela giurisdizionale [...] rappresenta un connotato rilevante
di ogni modello processuale» (sentenze n. 225 del 2018 e n.  304  del
2011). 
    E' certo  riservata  alla  discrezionalita'  del  legislatore  la
conformazione  degli  istituti  processuali,  con  il  limite   della
manifesta  irragionevolezza  o  arbitrarieta'  della  disciplina  (ex
plurimis, sentenze n. 44 del 2016, n. 10 del 2013 e n. 221 del 2008);
ma tale limite e' valicato «ogniqualvolta emerga  un'ingiustificabile
compressione del diritto di agire» (sentenza n. 225 del  2018;  negli
stessi termini, tra le tante, sentenze n. 87 del  2021,  n.  271  del
2019, n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004). 
    La  sospensione  delle  procedure  esecutive   deve   costituire,
pertanto, un evento eccezionale: «un intervento legislativo - che  di
fatto svuoti di contenuto i titoli  esecutivi  giudiziali  conseguiti
nei confronti di un soggetto debitore - puo'  ritenersi  giustificato
da  particolari   esigenze   transitorie   qualora   [...]   siffatto
svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale» (sentenza
n. 186 del 2013). 
    E' ben vero che il legislatore ordinario - in presenza  di  altri
diritti meritevoli di tutela - puo'  procrastinare  la  soddisfazione
del diritto del creditore alla tutela giurisdizionale anche  in  sede
esecutiva. 
    Deve pero' sussistere un ragionevole bilanciamento tra  i  valori
costituzionali   in   conflitto,   da   valutarsi   considerando   la
proporzionalita'  dei  mezzi  scelti  in  relazione   alle   esigenze
obiettive da soddisfare e alle  finalita'  perseguite  (ex  plurimis,
cfr. le sentenze n. 212 del 2020, n. 71 del 2015, n. 17 del 2011,  n.
229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n. 1130 del 1988). 
    Sulla base dei principi  teste'  illustrati,  la  Corte  ha  gia'
dichiarato illegittimo, con sentenza del  12  luglio  2013,  n.  186,
l'art. 1, comma 51, legge 13 dicembre 2010, n.  220,  sia  nel  testo
risultante a seguito delle  modificazioni  introdotte  dall'art.  17,
comma 4, lettera e), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,
con modificazioni, con legge 15 luglio 2011, n. 111,  sia  nel  testo
risultante  a  seguito  delle   ulteriori   modificazioni   apportate
dall'art. 6-bis, comma 2, lettere a) e b), decreto-legge 13 settembre
2012, n. 158, convertito, con modificazioni,  con  legge  8  novembre
2012, n. 189, nella parte in cui prevedeva che,  nelle  regioni  gia'
commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro  dei  disavanzi
sanitari,  non  potessero  essere  intraprese  o  proseguite   azioni
esecutive, anche ai sensi dell'art. 112 c.p.a., nei  confronti  delle
aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni  medesime,  fino
al 31 dicembre 2012. 
    La Corte ha ribadito che un intervento legislativo - che di fatto
svuoti di contenuto i  titoli  esecutivi  giudiziali  conseguiti  nei
confronti di un soggetto debitore - puo'  ritenersi  giustificato  da
particolari esigenze transitorie  qualora,  per  un  verso,  siffatto
svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale  (sentenze
n. 155  del  2004  e  n.  310  del  2003)  e,  per  altro  verso,  le
disposizioni  di  carattere  processuale  che  incidono  sui  giudizi
pendenti,  determinandone  l'estinzione,  siano  controbilanciate  da
disposizioni  di   carattere   sostanziale   che,   a   loro   volta,
garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione
giudiziale, la sostanziale realizzazione dei  diritti  oggetto  delle
procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007). 
    Viceversa, la disposizione  in  quella  sede  censurata,  la  cui
durata nel tempo,  inizialmente  prevista  per  un  anno,  era  stata
differita di ulteriori due anni sino al 31  dicembre  2013,  oltre  a
prevedere la estinzione  delle  procedure  esecutive  iniziate  e  la
contestuale cessazione del vincolo  pignoratizio  gravante  sui  beni
bloccati ad istanza dei creditori  delle  aziende  sanitarie  ubicate
nelle regioni commissariate, con derivante e  definitivo  accollo,  a
carico degli esecutanti, delle spese di esecuzione  gia'  affrontate,
non prevedeva alcun meccanismo certo, quantomeno sotto il profilo  di
ordinate  procedure  concorsuali  garantite  da  adeguata   copertura
finanziaria, in ordine alla soddisfazione delle posizioni sostanziali
sottostanti ai titoli esecutivi inutilmente azionati. 
    Essa, pertanto, si  poneva,  in  entrambe  le  sue  versioni,  in
contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto, in conseguenza
della norma censurata, venivano vanificati gli effetti  della  tutela
giurisdizionale gia' conseguita dai numerosi creditori delle  aziende
sanitarie procedenti nei giudizi esecutivi. 
    Costoro non soltanto si trovano, in alcuni casi  da  piu'  di  un
triennio,  nella  impossibilita'  di  trarre  dal  titolo   da   loro
conseguito l'utilita' ad esso ordinariamente connessa,  ma  dovevano,
altresi', sopportare, in considerazione della  automatica  estinzione
(o, nella versione precedente,  della  inefficacia)  delle  procedure
esecutive  gia'  intraprese   e   della   liberazione   dal   vincolo
pignoratizio dei beni gia' asserviti alla procedura, i costi da  loro
anticipati per l'avvio della procedura stessa. Ne' si  verificava  la
condizione  che,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  rende
legittimo il blocco delle azioni esecutive, cioe' la previsione di un
meccanismo di risanamento che, come detto, canalizzasse in una  unica
procedura concorsuale le singole azioni esecutive, con meccanismi  di
tutela dei diritti dei creditori che non si rinvenivano nei piani  di
rientro cui la disposizione faceva riferimento, sicche' la  posizione
sostanziale dei  creditori  trovasse  una  modalita'  sostitutiva  di
soddisfazione. 
    La disposizione in esame, infatti, non conteneva la disciplina di
tale tipo di procedura ne' identificava le risorse finanziarie da cui
attingere per il suo eventuale svolgimento. 
    La Corte ha, altresi', considerato rilevante la circostanza  che,
con la disposizione censurata, il legislatore statale  avesse  creato
una fattispecie di ius singulare che  determinava  lo  sbilanciamento
fra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di  cui  lo
Stato risponde economicamente, dagli  effetti  pregiudizievoli  della
condanna giudiziaria, con  violazione  del  principio  della  parita'
delle parti di cui all'art. 111 della Costituzione. 
    Ne'  poteva,   infine,   valere   a   giustificare   l'intervento
legislativo censurato il fatto che  questo  potesse  essere  ritenuto
strumentale ad  assicurare  la  continuita'  della  erogazione  delle
funzioni  essenziali  connesse  al  servizio  sanitario:  infatti,  a
presidio di tale essenziale esigenza gia' risultava da  tempo  essere
posta la previsione di cui all'art. 1, comma 5, del decreto-legge  18
gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, con legge 18 marzo
1993, n. 67, in base alla quale e' assicurata la impignorabilita' dei
fondi a destinazione vincolata essenziali ai  fini  della  erogazione
dei servizi sanitari. 
    Recentissimamente, con la sentenza del 7 dicembre 2021,  n.  236,
la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 3,  comma  8,  decreto-legge  31  dicembre  2020,  n.  183,
convertito con legge  26  febbraio  2021,  n.  21,  che,  in  ragione
dell'emergenza derivante dall'epidemia di COVID-19,  aveva  prorogato
la sospensione delle esecuzioni e l'inefficacia dei pignoramenti  nei
confronti  degli  enti  del  Servizio   sanitario   nazionale,   gia'
precedentemente disposta. 
    Dopo aver ripercorso la motivazione della precedentemente evocata
sentenza n. 186 del 2013,  la  Corte  ha  precisato  che,  nonostante
l'evoluzione  dell'emergenza   sanitaria   e   la   possibilita'   di
ricalibrare su di essa la programmazione di  cassa,  la  disposizione
censurata aveva prorogato la misura in danno  dei  creditori  per  un
intero anno senza alcun aggiornamento della  valutazione  comparativa
tra  i  loro  diritti  giudizialmente  accertati  e   gli   interessi
dell'esecutato pubblico. 
    In tal modo, gli effetti negativi della protrazione del  «blocco»
delle esecuzioni  venivano  lasciati  invariabilmente  a  carico  dei
creditori, tra i quali pure possono trovarsi anche  soggetti  cui  e'
stato riconosciuto un risarcimento in quanto  gravemente  danneggiati
nella salute o  operatori  economici  a  rischio  di  espulsione  dal
mercato. Costituzionalmente tollerabile ab  origine,  la  misura  era
divenuta sproporzionata e irragionevole per effetto di una proroga di
lungo corso e non bilanciata da una piu' specifica ponderazione degli
interessi in gioco, che ha leso il diritto di tutela  giurisdizionale
ex art. 24 della Costituzione, nonche', al contempo, la parita' delle
parti e la ragionevole durata del processo esecutivo. 
    Il protratto sacrificio imposto  ai  creditori  sul  piano  della
tutela giurisdizionale avrebbe potuto essere ricondotto a conformita'
con i parametri costituzionali ove fosse stata approntata una  tutela
alternativa di contenuto sostanziale, che pero' non era  stata  nella
specie predisposta. 
    La disposizione che in questa sede va applicata replica, a parere
di questo Tribunale, tutti i profili  di  illegittimita'  evidenziati
con riferimento ai precedenti provvedimenti di sospensione. 
    Essa impedisce, per un lunghissimo periodo di quattro  anni  (che
si aggiungono ai quasi due anni in  cui,  sino  alla  sentenza  della
Corte costituzionale n. 236 del  2021,  le  procedure  esecutive  nei
confronti di tutti gli enti del  Servizio  sanitario  nazionale  sono
rimaste sospese), l'accesso alla tutela esecutiva. 
    Non prevede una  procedura  concorsuale  idonea  a  garantire  la
soddisfazione, quanto meno pro quota, delle pretese dei creditori. 
    Crea  un'ingiustificata  disparita'  tra  debitore   pubblico   e
creditori  privati,  tra  i  quali  possono  ben   esservi   soggetti
socialmente o economicamente svantaggiati. 
    Per tali ragioni, essa si pone in diretto contrasto con l'art. 24
della Costituzione, che invece assicura a tutti il diritto ad  agire,
anche esecutivamente. 
    La violazione  dell'art.  24  della  Costituzione,  si  apprezza,
trattandosi  di  giudizio  di   ottemperanza   davanti   al   giudice
amministrativo, anche in combinato  disposto  con  l'art.  113  della
Costituzione, che assicura  sempre  «la  tutela  giurisdizionale  dei
diritti  e  degli  interessi  legittimi  dinanzi   agli   organi   di
giurisdizione ordinaria o amministrativa» e ne vieta  l'esclusione  o
la limitazione a particolari mezzi di impugnazione o per  determinate
categorie di atti. 
    Infatti, cio' che la norma  in  questione  determina  e'  proprio
l'impossibilita' per il creditore degli enti del  Servizio  sanitario
regionale della Calabria di ottenere dal  giudice  amministrativo  la
tutela  giurisdizionale  esecutiva,  in  ragione  del   provvedimento
giurisdizionale definitivo ottenuto dal giudice ordinario. 
    Risulta quindi violato anche l'art. 113 della Costituzione. 
    Il giudizio presente va  quindi  sospeso,  con  trasmissione,  ai
sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, degli atti alla Corte
costituzionale, affinche'  decida  della  questione  di  legittimita'
costituzionale che, con la  presente  ordinanza,  incidentalmente  si
pone.