TRIBUNALE DI FIRENZE Prima Sezione penale Il giudice, dr. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di M. A. (...) - nato a (...) il (...) res. in via Iv (...), (...) elettivamente dom.to presso l'avv. Isabella Colombo del Foro di Bergamo (elezione nel verbale Polizia di Stato del (...); libero assente; difeso dall'avv. di ufficio Alice Piazzini del Foro di Firenze; imputato dei seguenti reati: Capo A) Delitto p. e p. dagli articoli 624-61, n. 2, 625, n. 4 e u.c. c.p. perche', a fine di ingiusto profitto ed al fine di realizzare il reato di cui al capo D), all'interno della gioielleria denominata «...» sita in via (...) n. (...), si impossessava, sottraendolo al detentore, di un braccialetto a piccole maglie in oro giallo, che l'indagato prelevava repentinamente dal bancone del negozio, dopo aver fatto allontanare il proprietario (...), chiedendo il prezzo di altri monili ed allontanandosi successivamente. Con l'aggravante della destrezza e del nesso teleologico. Con recidiva reiterata specifica infraquinquennale. In (...) il (...). Capo B) Delitto p. e p. dagli articoli 624-61, n. 2, 625 n. 4 e u.c. c.p. perche', a fine di ingiusto profitto ed al fine di realizzare il reato di cui al capo D), all'interno della gioielleria denominata «...» sita in via (...) n. (...), si impossessava, sottraendolo al detentore, di una medaglietta a forma romboidale con cornice in oro bianco ed all'interno una piastrina in oro giallo, che l'indagato prelevava repentinamente dal bancone del negozio, dopo aver fatto allontanare il proprietario (...), chiedendo di poter visionare altri gioielli ed allontanandosi successivamente. Con l'aggravante della destrezza e del nesso teleologico. Con recidiva reiterata specifica infraquinquennale. In (...) il (...). Capo C) Delitto p. e p. dagli articoli 624-61, n. 2, 625 n. 4 e u.c. c.p. perche', a fine di ingiusto profitto ed al fine di realizzare il reato di cui al capo D), all'interno della gioielleria denominata «...» sita in via (...), si impossessava, sottraendolo al detentore, di un braccialetto in oro giallo con delle sfere, che l'indagato prelevava repentinamente dal bancone del negozio, dopo aver fatto allontanare il gestore (...), chiedendo di poter visionare altri gioielli ed allontanandosi successivamente. Con l'aggravante della destrezza e del nesso teleologico. Con recidiva reiterata specifica infraquinquennale. In (...) il (...). Capo D) Delitto di cui all'art. 56-648-ter.1 del codice penale perche', avendo commesso i reati di furto di cui ai capi A), B), C) cercando di vendere la refurtiva (meglio indicata nei predetti capi d'imputazione) all'interno del negozio di compro oro denominato «...», sito in via (...) n. (...), compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco trasferire i suddetti beni in modo da ostacolarne l'identificazione della provenienza. Con recidiva reiterata specifica infraquinquennale. In (...) il (...). Osserva 1. Premessa. Il procedimento a quo. 1.1. A. M. era rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Firenze per rispondere di tre diversi furti pluriaggravati, in ipotesi commessi il (...) presso alcune gioiellerie di (...), nonche' del tentato autoriciclaggio dei monili oggetto dei precedenti furti, in ipotesi posto in essere lo stesso (...); rispetto a tutti i reati in questione era contestata la recidiva reiterata specifica infraquinquennale. Nel corso delle udienze del 20 settembre 2021 e del 20 dicembre 2021 si svolgeva l'istruttoria dibattimentale. All'udienza del 2 maggio 2022 le parti illustravano le rispettive conclusioni. In particolare, il pubblico ministero chiedeva la condanna dell'imputato alla pena di anni tre e mesi tre di reclusione ed euro 1.500 di multa. Il difensore chiedeva il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, l'esclusione della contestata aggravante ex art. 625, n. 4 del codice penale e l'applicazione del minimo della pena. All'udienza odierna, cui il processo era rinviato per eventuali repliche, le parti vi rinunciavano. 1.2. Dall'istruttoria svolta e' emersa chiaramente la responsabilita' dell'imputato per i fatti ascritti. L'imputato in data (...) si recava in successione presso tre diverse gioiellerie di (...); ivi chiedeva di poter visionare alcuni gioielli di vario tipo e, inducendo con degli espedienti gli addetti alle vendite a girarsi o allontanarsi dal bancone (per esibire ulteriori gioielli o per recarsi alla bilancia), con gesti fulminei sottraeva alcuni monili: nei tre esercizi, rispettivamente, un bracciale in oro giallo con quattro sfere (in vendita al prezzo di 300 euro circa); un bracciale in oro giallo (in vendita al prezzo di 500 euro circa); una medaglietta romboidale in oro giallo e bianco (in vendita al prezzo di 100 euro circa). Gli esercenti si accorgevano solo a distanza di tempo, nel risistemare i monili, della mancanza dei citati preziosi. Il prevenuto lo stesso pomeriggio si recava presso un esercizio compro oro denominato «...» di (...) e ivi cercava di vendere i tre oggetti precedentemente sottratti, compilando la necessaria modulistica; la commessa, tuttavia, che era stata allertata dalla collega di una delle gioiellerie, chiamava la polizia e intratteneva l'imputato. All'arrivo degli operanti del Commissariato di (...) il predetto era trovato ancora in possesso dei tre gioielli; questi erano poi esibiti agli esercenti delle tre gioiellerie, che li riconoscevano. Presso due delle gioiellerie erano anche acquisite le immagini di videosorveglianza interna; risultava ripreso proprio l'imputato nell'atto di sottrarre i gioielli (e' evidente l'identita' tra il soggetto ritratto nelle citate immagini e l'imputato ritratto nel fotosegnalamento, sia quanto alle fattezze fisiche sia quanto all'abbigliamento indossato); due dei tre esercenti hanno anche riconosciuto l'imputato nell'ambito di un idoneo album fotografico. Il prevenuto si e' dunque reso responsabile dei tre furti in contestazione. Egli e' responsabile altresi' del tentato autoriciclaggio dei tre gioielli. Gli atti posti in essere erano infatti di per se' idonei ad alienare i tre monili, oggetto del precedente delitto non colposo, si' da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Secondo la giurisprudenza di legittimita', infatti, «Integra il delitto di autoriciclaggio l'immissione nel mercato dei beni provento di furto mediante vendita a terzi, attesa la natura economica di tale attivita' che trasforma i beni in denaro e produce reddito, cosi' dissimulando l'origine illecita degli stessi e ostacolando concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa» (Cassazione Sez. 2 - sentenza n. 36180 del 14 settembre 2021 Cc. rv. 281967 - 01). Nel caso di specie, tra l'altro, la vendita era ancor piu' idonea a ostacolare la citata identificazione in ragione della natura del soggetto destinatario del trasferimento, vale a dire un esercizio («...») che normalmente ritrasferisce gli oggetti acquistati, che vengono modificati o addirittura destinati alla fusione. Il delitto non si e' perfezionato per ragioni indipendenti dalla volonta' dell'imputato. Si deve infine rilevare che il delitto di autoriciclaggio e' suscettibile di essere realizzato in forma tentata: plurime sentenze della Corte di cassazione (Cassazione Sez. 5 n. 1846/2022, Sez. 5 n. 138/2022, Sez. 2 n. 15254/2020, Sez. 5 n. 55922/2018) si sono occupate del tentato autoriciclaggio, senza mai mettere in dubbio che tale forma tentata sia configurabile. 1.3. L'imputato era capace d'intendere e di volere al momento dei fatti. La documentazione prodotta dalla difesa - comprovante in capo al prevenuto problemi di tossicodipendenza da cocaina e correlati al gioco d'azzardo - risulta in realta' piuttosto generica e per di piu' relativa a periodi diversi da quello in cui si sono verificati i fatti in esame. Inoltre, se e' vero che, secondo la giurisprudenza di legittimita', anche il vizio del gioco puo' comportare un disturbo della personalita' e che ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente anche i disturbi della personalita' possono rientrare nel concetto di «infermita'», tuttavia in base alla stessa giurisprudenza detti disturbi devono essere di consistenza, intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla capacita' di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente; deve inoltre ricorrere un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale (cosi', tra le altre, Cassazione Sez. 6 - sentenza n. 33463 del 10 maggio 2018 rv. 273793 - 01). Nel caso di specie, al contrario, le modalita' della condotta - connotata da aspetti di fraudolenza e di premeditazione - portano ad escludere che il prevenuto fosse in uno stato di mente tale da escludere la capacita' d'intendere e/o di volere o, anche solo, che tale capacita' fosse grandemente scemata. Si deve escludere in particolare che egli fosse interessato da un impulso cogente ed incontrollabile ad agire. Anche la sequenza temporale dei fatti depone in tal senso: subito dopo avere commesso il primo furto, anziche' cercare di monetizzare il provento del reato, l'imputato si e' recato presso due ulteriori gioiellerie, dove ha realizzato gli ulteriori atti predatori; solo in seguito si recava presso il (...) per vendere i gioielli sottratti; viceversa, se fosse stato vittima di un impulso irrefrenabile, egli sarebbe corso a vendere il primo gioiello sottratto subito dopo il compiuto furto. Inoltre, anche il fatto che i reati siano stati posti in essere lontano dal luogo di residenza dell'imputato (la provincia di ...), senza che siano emerse ragioni lecite della presenza del medesimo in (...), induce a ritenere che detti reati siano stati oggetto di programmazione e realizzati in una sorta di trasferta delittuosa. Del resto, anche i precedenti giudiziari risultanti dal certificato penale - lungi dall'evidenziare situazioni d'incapacita' (con l'applicazione contestuale di misure di sicurezza) - rappresentano il compimento di numerosi reati contro il patrimonio (insolvenza fraudolenta, furto, indebito utilizzo di carte di credito). Alla luce di quanto precede non appare necessario lo svolgimento di una perizia psichiatrica (Cassazione Sez. 2 - sentenza n. 50196 del 26 ottobre 2018 rv. 274684 - 01). 1.4.1. Quanto alle contestate circostanze aggravanti, rispetto ai tre furti ricorre la circostanza aggravante della destrezza ex art. 625, n. 4 del codice penale, avendo il prevenuto sottratto i gioielli con gesti rapidi approfittando della distrazione degli addetti alle vendite, da lui stesso provocata (Cassazione Sez. 4, sentenza n. 2340 del 29 novembre 2017 rv. 271757 - 01; Sez. U., sentenza n. 34090 del 27 aprile 2017 rv. 270088 - 01). 1.4.2. Non sussiste viceversa la circostanza aggravante del nesso teleologico: gia' sul piano logico, infatti, benche' i vari reati fossero certamente oggetto di una programmazione unitaria (cio' che giustifica il riconoscimento del regime della continuazione) non sono i furti ad essere commessi per poter poi realizzare l'autoriciclaggio; e' bensi' l'autoriciclaggio (tentato) ad essere posto in essere per rendere liquido il profitto conseguente ai furti. 1.4.3. Sussiste - sia rispetto ai furti, sia rispetto al tentato autoriciclaggio - la contestata recidiva reiterata specifica infraquinquennale. Il certificato penale evidenzia infatti numerosi precedenti specifici e recenti, commessi in varie parti del territorio nazionale (oltre ad ulteriori reali non rilevanti ai fini della recidiva perche' di natura contravvenzionale o perche' accertati successivamente ai fatti in esame): un decreto penale del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce del 2013 per insolvenza fraudolenta; tre decreti penali dei giudici per le indagini preliminari dei Tribunali di Catanzaro e Lamezia del 2014 (due esecutivi il 30 luglio 2014, il terzo il 26 maggio 2016) per insolvenza fraudolenta; un decreto penale del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo del 2017 (esecutivo il 18 maggio 2017) per furto con destrezza (commesso il ...); una sentenza di condanna del 9 gennaio 2019 (irrev. 8 febbraio 2019) per indebito utilizzo continuato di carte di credito (commesso il ...). Con tale ultima sentenza era gia' applicata al predetto la recidiva reiterata ex art. 99, comma 4 del codice penale. Alla luce di tali precedenti gli attuali reati manifestano una maggiore pericolosita' e colpevolezza dell'imputato, evidentemente insensibile ai ripetuti provvedimenti adottati nei suoi confronti e quindi da un lato maggiormente rimproverabile e dall'altro da ritenersi tanto piu' incline a reiterare delitti contro il patrimonio o comunque con finalita' di lucro. 1.5. Si possono riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche, sia per adeguare il rigore sanzionatorio delle fattispecie incriminatrici alla modesta gravita' del caso concreto (tutti i beni sottratti e oggetto del tentato autoriciclaggio sono stati recuperati dalla polizia il giorno stesso della commissione dei reati e riconsegnati alle persone offese nell'arco di pochi giorni; il valore dei beni non e' irrisorio e quindi non tale da giustificare la circostanza attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale, ma comunque non e' elevato), sia in ragione delle condizioni di disagio personale e familiare dell'imputato (dalla documentazione prodotta emerge la presenza di quattro figli, di cui una affetta da una grave forma di disabilita'), sia in ragione del percorso - dal medesimo intrapreso in tempi recenti - quanto al problema della ludopatia. 1.6. Rispetto al tentato autoriciclaggio va applicata altresi' la circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale, quale vigente all'epoca dei fatti (prima della modifica - in senso piu' sfavorevole all'imputato - operata dall'art. 1, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 195/2021). 1.6.1. Tale norma recita(va): «Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilita' provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni». A fronte di una fattispecie base per la quale era prevista la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000, era cioe' prevista una circostanza attenuante ad effetto speciale la cui sussistenza dipendeva dalla gravita' del reato presupposto. 1.6.2. La norma non precisava (ne' la precisazione e' fornita nella versione successiva, che prevede una diminuzione fino al terzo) uno specifico criterio di calcolo del massimo edittale del reato presupposto; in particolare, nulla si diceva (e nulla si dice) circa la rilevanza a tal fine delle circostanze, aggravanti o attenuanti, ad effetto speciale (o indipendenti o autonome) o ad effetto comune. 1.6.3. La questione non risulta essere stata oggetto di particolare approfondimento da parte della giurisprudenza di legittimita', ne' con riferimento al reato di autoriciclaggio, ne' con riguardo all'analoga circostanza prevista per il reato di riciclaggio. Con riferimento a quest'ultima, alcune pronunzie invero affermano piu' o meno espressamente la rilevanza, ai fini del citato computo, delle circostanze aggravanti: cosi' Cassazione Sez. 2, sentenza n. 46754 del 2021 e Cassazione Sez. 2, sentenza n. 4146/2020 hanno escluso la citata attenuante allorche' il delitto presupposto era un furto aggravato dall'esposizione alla pubblica fede ex art. 625, n. 7 del codice penale (con un massimo edittale quindi di sei anni). Analogamente Cassazione Sez. 2, sentenza n. 3935 del 2017 ha ritenuto superato il limite dei cinque anni in un caso in cui il delitto presupposto era un'appropriazione indebita (massimo edittale all'epoca di tre anni) aggravata da due circostanze comuni (verosimilmente, in ragione dei fatti esposti, le circostanze ex art. 61, n. 7 e n. 11 del codice penale) e Cassazione Sez. 2, sentenza n. 35445 del 2019 ha ritenuto superato il citato limite (e quindi escluso l'attenuante invocata) in un caso di appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 11 del codice penale e 7 della legge n. 203/1991. Nelle due ultime pronunzie citate la Corte di cassazione ha motivato la citata conclusione in ragione di una presunta regola generale ricavabile dall'art. 63, comma 2 del codice penale; «ponendo il legislatore espressa eccezione a tale regola generale, ricavabile dall'art. 63, comma 2 del codice penale, nel disciplinare altri istituti (per esempio ai fini della prescrizione, ex art. 157 del codice penale od ai fini di cui all'art. 278 del codice di procedura penale o di cui all'art. 4 stesso codice)». Nessun riferimento e' rinvenibile - ne' in senso positivo, ne' in senso negativo - circa la rilevanza delle circostanze attenuanti ai fini del calcolo del massimo edittale del reato presupposto. 1.6.4. Ad avviso di questo giudice le citate sentenze di legittimita' non sono condivisibili e, per determinare l'applicabilita' o meno dell'attenuante in questione, occorre avere riguardo unicamente alla cornice edittale base del reato presupposto, senza che possano avere rilevanza le circostanze, aggravanti o attenuanti (a prescindere dal fatto che siano ad effetto speciale o ad effetto comune e che determinino la cornice sanzionatoria in modo indipendente o a partire da quella prevista per la fattispecie base). Come sottolineato dalle Sezioni Unite, sentenza n. 36272 del 31 marzo 2016, in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova (ammissibile ex art. 168-bis del codice penale per i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, oltre che per i delitti indicati dall'art. 550, comma 2 del codice di procedura penale), non esiste alcuna regola generale quanto ai criteri di calcolo della pena massima del reato, ove tale pena massima sia indicata ai fini della selezione dei reati cui sia applicabile un determinato istituto; al contrario, «i criteri per la selezione dei reati attraverso il riferimento alla quantita' di pena sono influenzati dagli istituti a cui si riferiscono e sono utilizzati, di volta in volta, in base a valutazioni discrezionali del legislatore». Cosi', per citare le norme di piu' frequente applicazione, ai fini della competenza ex art. 4 del codice di procedura penale non si tiene conto delle circostanze, fatta eccezione per le aggravanti c.d. autonome e le aggravanti ad effetto speciale, ma comunque non si tiene conto della recidiva (pur qualificata e quindi ad effetto speciale); tale criterio e' poi richiamato da varie altre disposizioni, come l'art. 33-bis, comma 2 del codice di procedura penale in materia di attribuzione monocratica o collegiale dei procedimenti, l'art. 266 del codice di procedura penale ai fini dell'ammissibilita' delle intercettazioni, l'art. 550, comma 1 del codice di procedura penale in materia di citazione diretta a giudizio. Viceversa in materia di misure cautelari si tiene conto ex art. 278 del codice di procedura penale - oltre che delle circostanze aggravanti autonome o ad effetto speciale - anche della circostanza aggravante (ad effetto comune) ex art. 61, n. 5 del codice penale e della circostanza attenuante (ad effetto comune) ex art. 62, n. 4 del codice penale; il criterio e' poi richiamato dall'art. 379 del codice di procedura penale in materia di arresto in flagranza e fermo. In materia di sospensione del procedimento con messa alla prova, non essendovi alcun riferimento nell'art. 168-bis del codice penale alla possibile rilevanza delle circostanze, occorre avere riguardo secondo la citata sentenza delle Sezioni Unite unicamente «alla pena massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato». In materia di particolare tenuita' del fatto ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale si deve tenere conto di tutte le circostanze autonome e ad effetto speciale, cioe' non solo delle aggravanti ma anche delle attenuanti. Se dunque non esiste una regola generale, ma «semplicemente [...] una linea di tendenza, che non assurge a criterio generale», occorre avere riguardo - come affermano le Sezioni Unite nella sentenza n. 36272/2016 - principalmente alla lettera della legge, che «costituisce la prima regola interpretativa (art. 12 preleggi) e, allo stesso tempo, il limite di ogni altro criterio ermeneutico cui ricorrere solo quando il testo risulti poco chiaro o di significato non univoco» (in ordine alla portata essenziale del dato letterale delle norme penali si veda anche la sentenza della Corte costituzionale n. 98 del 14 aprile 2021). Applicando tale criterio ermeneutico fondamentale, nel caso della norma di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale si deve giungere alla conclusione che ai fini dell'applicabilita' dell'attenuante occorre avere riguardo unicamente alla fattispecie base del reato presupposto, senza alcun riguardo per le circostanze (di qualunque tipo). Nel caso ora in esame il reato presupposto e' il furto, punito nel massimo - nella fattispecie base - con tre anni di reclusione. Va pertanto applicata la circostanza attenuante in questione. 1.6.5. Del resto, quand'anche si ritenesse che nel diritto penale sostanziale «un canone classico [...] da sempre collega il riferimento della pena edittale alla fattispecie incriminatrice nel suo complesso» (argomento speso dal procuratore generale nella propria requisitoria, ritenuto non decisivo dalle Sezioni Unite), in tal caso cio' dovrebbe «condurre a considerare, in assenza di specificazioni normative di segno contrario, la rilevanza di tutte le circostanze, aggravanti e attenuanti, comuni e speciali» (Sezioni Unite, sentenza n. 36272/2016). E in effetti, allorche' ai fini dell'applicazione del regime della continuazione occorre individuare il reato piu' grave, secondo l'orientamento prevalente della Corte di cassazione «la violazione piu' grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si e' manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse» (Cassazione Sez. U., sentenza n. 25939 del 28 febbraio 2013 rv. 255347 - 01). Piu' recentemente, si veda nello stesso senso Cassazione Sez. 5. sentenza n. 16169/2022: «allorche' occorra individuare il reato piu' grave, deve farsi riferimento alla pena edittale, ovvero alla gravita' "astratta" dei reati per i quali e' intervenuta condanna, dandosi rilievo esclusivo alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, senza che possano venire in rilievo anche gli indici di determinazione della pena di cui all'art. 133 del codice penale, [...]. Cio' posto, pero', occorre considerare che la nozione di "violazione piu' grave" ha una valenza complessa, che muovendo dalla sanzione edittale comminata in astratto per una determinata fattispecie criminosa, implica la valutazione delle sue concrete modalita' di manifestazione. Nel sistema del codice penale, infatti, per sanzione edittale deve intendersi la pena prevista in astratto con riferimento al reato contestato e ritenuto in concreto in sentenza, tenendo conto, cioe', delle singole circostanze in cui la fattispecie si e' manifestata, salvo che specifiche e tassative disposizioni escludano la rilevanza delle circostanze o di talune di esse. Di conseguenza, una volta che sia stata riconosciuta la sussistenza delle circostanze attenuanti e che sia stato effettuato il doveroso giudizio di bilanciamento delle stesse rispetto alle aggravanti, l'individuazione in astratto della pena edittale non puo' prescindere dal risultato finale di tale giudizio, dovendosi calcolare nel minimo l'effetto di riduzione per le attenuanti e nel massimo l'aumento per le circostanze aggravanti». Analogamente, ai fini ora in esame, qualora si ritenga che la sanzione edittale debba essere intesa avendo riguardo alla cornice edittale della fattispecie circostanziata, necessariamente si dovra' tenere conto di tutte le circostanze, aggravanti ma anche attenuanti, e del relativo giudizio di bilanciamento. Nel presente procedimento si e' detto che con riguardo ai furti si devono applicare l'aggravante della destrezza e la recidiva qualificata, ma anche le circostanze attenuanti generiche. Queste ultime risultano di particolare pregnanza, laddove i precedenti giudiziari sono si' numerosi e specifici, ma non particolarmente gravi (soltanto con la sentenza del Tribunale di Bergamo del 9 gennaio 2019, irrev. 8 febbraio 2019, era applicata una pena finale detentiva); analogamente la condotta dell'imputato e' stata connotata si' da destrezza, ma non particolarmente insidiosa. Il giudizio di bilanciamento deve effettuarsi quindi in termini di equivalenza (il carattere reiterato della recidiva preclude un bilanciamento piu' favorevole con riguardo ai furti). A seguito di tale bilanciamento il massimo edittale previsto per i furti e' di tre anni di reclusione. Va dunque applicata comunque la circostanza attenuante di cui all'art 648-ter.1, comma 2 del codice penale, (quale vigente all'epoca dei fatti). 1.7. Come si e' gia' accennato, quanto ai tre furti il bilanciamento delle circostanze ex art. 69 del codice penale deve operarsi in termini di equivalenza. Viceversa, in ordine al tentato autoriciclaggio, quanto al bilanciamento della recidiva reiterata specifica infraquinquennale e delle menzionate circostanze attenuanti, per poter addivenire ad una corretta decisione appare necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine al divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata fissato dall'art. 69, comma 4 del codice penale ed in particolare al divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale (quale introdotto dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186 e vigente fino alla sostituzione operata dall'art. 1, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 195/2021) sulla recidiva reiterata e, in subordine, del divieto di prevalenza di una pluralita' di circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata. 2. Rilevanza delle questioni. 2.1. La citata disposizione di cui all'art. 69, quarto comma del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, prevede un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, prevista dall'art. 99, quarto comma del codice penale. 2.2. Nel caso in esame ricorre per l'appunto la recidiva reiterata (peraltro specifica e infraquinquennale); quest'ultima non solo e' stata correttamente contestata, ma si deve concretamente applicare: in considerazione del carattere recente dei precedenti giudiziari, dell'omogeneita' tra gli stessi e il reato ora in esame, del tipo di devianza di cui gli stessi sono espressione, dell'insufficienza in chiave dissuasiva delle condanne gia' irrogate, si deve ritenere che la ricaduta nel reato sia effettivo sintomo di una maggiore pericolosita' e colpevolezza dell'imputato. Come si e' rilevato, nel caso in esame sono riconoscibili all'imputato la circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale (nella versione originaria introdotta dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186 e vigente fino alla sostituzione operata dall'art. 1, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 195/2021) e le circostanze attenuanti generiche. Tali attenuanti per la loro pregnanza - ed in particolare per la tipologia e la modesta gravita' in concreto dei reati presupposto e per la situazione di disagio in cui viveva l'imputato e il percorso successivamente intrapreso - meriterebbero di essere ritenute prevalenti rispetto alla citata recidiva qualificata e di essere applicate nella loro estensione massima o quasi massima. 2.3. Il divieto posto dall'art. 69, quarto comma del codice penale osta ad un tale giudizio di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata. L'auspicata dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 69, comma 4 del codice penale - nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale (nella versione originaria) sulla recidiva reiterata o, in subordine, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di piu' circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata - renderebbe possibile un giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva qualificata. 2.4. Il fatto che, successivamente ai fatti oggetto del presente processo, l'art. 648-ter.1 del codice penale sia stato modificato ad opera del decreto legislativo n. 195/2021 (che ha reso ad effetto comune la circostanza attenuante in questione, ora prevista dal terzo comma dell'art. 648-ter.1 del codice penale) non pare privare di rilevanza le questioni ora sollevate. La nuova disciplina e' infatti piu' sfavorevole per l'imputato (minore essendo l'efficacia attenuante della circostanza), per cui - per il divieto di applicazione retroattiva delle norme successive sfavorevoli - deve trovare ancora applicazione la disciplina originaria introdotta dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186. La questione sollevata in via principale risulta dunque comunque rilevante. Quanto alla questione sollevata in via subordinata, la citata modifica legislativa non pare incidere, non essendo rilevante nella prospettiva in cui detta questione e' posta il fatto che le circostanze siano ad effetto comune o speciale. 3. Non manifesta infondatezza. 3.1. Il precetto normativo pare di dubbia legittimita' costituzionale. La Corte costituzionale ha gia' affrontato in plurime occasioni e sotto differenti profili la questione della legittimita' della norma censurata. Dopo avere in alcune prime pronunce ritenuto inammissibili le questioni sollevate (poiche' le ordinanze di rimessione muovevano dall'erroneo presupposto che la riforma del 2005 avesse reso obbligatoria l'applicazione della recidiva reiterata), la Corte ha con diverse sentenze (n. 251/2012, n. 105/2014, n. 106/2014, n. 205/2017) dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice penale nella parte in cui vieta la prevalenza di singole circostanze attenuanti (di cui agli articoli 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, 648, comma 2 del codice penale, 219, comma 3 della legge fallimentare, 609-bis, comma 3 del codice penale), oggettive e ad effetto speciale, sulla recidiva reiterata. In particolare, la Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2012 ha cosi' ricostruito il quadro normativo, l'operativita' del divieto e i limiti in cui lo stesso e' sindacabile: «Nell'attuale formulazione, l'art. 69, quarto comma del codice penale costituisce il punto di arrivo di un'evoluzione legislativa dei criteri di bilanciamento iniziata con l'art. 6 del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, che ha esteso il giudizio di comparazione alle circostanze autonome o indipendenti e a quelle inerenti alla persona del colpevole. L'effetto e' stato quello di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi di penalizzazione, ma anche quello di rendere modificabili, attraverso il giudizio di comparazione, le cornici edittali di alcune ipotesi circostanziali, di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente diverse dai reati base; ipotesi che solitamente vengono individuate dal legislatore attraverso la previsione di pene di specie diversa o di pene della stessa specie, ma con limiti edittali indipendenti da quelli stabiliti per il reato base, come nel caso regolato dall'art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. E' rispetto a questo tipo di circostanze che il criterio generalizzato, introdotto con la modificazione dell'art. 69, quarto comma del codice penale, ha mostrato delle incongruenze, inducendo il legislatore a intervenire con regole derogatorie, come e' avvenuto con l'aggravante della "finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico" (art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, recante "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica", convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15) e, in seguito, con varie altre disposizioni, generalmente adottate per impedire il bilanciamento della circostanza c.d. privilegiata, di regola un'aggravante, o per limitarlo, in modo da escludere la soccombenza di tale circostanza nella comparazione con le attenuanti; ed e' appunto questo il risultato che si e' voluto perseguire con la norma impugnata. Come e' stato sottolineato da questa Corte, il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di "valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tulle le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono" (sentenza n. 38 del 1985). Deroghe al bilanciamento pero' sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del legislatore, che sono sindacabili da questa Corte "soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio" (sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso non possono giungere a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita' penale». Con la sentenza n. 74/2016 la Corte costituzionale si e' pronunciata con riguardo alla circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (ad effetto speciale, ma espressione di una scelta di politica criminale di tipo premiale piu' che di una minor offensivita' del fatto). Con alcune piu' recenti sentenze (n. 73/2020, n. 55/2021 e n. 143/2021) la Corte e' giunta a dichiarare l'illegittimita' costituzionale del citato divieto di prevalenza anche con riguardo a singole circostanze attenuanti ad effetto comune (relative al vizio parziale di mente, al concorso anomalo e al fatto di lieve entita' del sequestro di persona a scopo di estorsione), connotate da profili peculiari. 3.2. Nell'attuale processo il citato divieto fissato dall'art. 69, comma 4 del codice penale pare trasmodare in una manifesta irragionevolezza sia nella misura in cui operi con riguardo alla circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale, sia nella misura in cui operi a fronte di una pluralita' di circostanze attenuanti. 3.3.1. Sotto il primo profilo, si deve rilevare che la circostanza attenuante speciale di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale (nella versione originaria introdotta dalla legge 15 dicembre 2014, n. 186 e vigente fino alla sostituzione operata dall'art. 1, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 195/2021) comporta una diminuzione di pena ad effetto speciale e determinata in modo indipendente dalla fattispecie base: reclusione da uno a quattro anni e multa da euro 2.500 a euro 12.500, anziche' reclusione da due a otto anni e multa da euro 5.000 a euro 25.000. 3.3.2. Vi e' quindi una notevole divaricazione tra la cornice edittale stabilita dal legislatore per la fattispecie base di cui all'art. 648-ter.1, comma 1 del codice penale e quella prevista per l'ipotesi attenuata di cui al secondo comma (minimo e massimo edittali sono entrambi dimezzati). 3.3.3. Tale diminuzione dipende dalla minore offensivita' del fatto in relazione alla minor gravita' del reato presupposto (punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni). 3.3.4. Occorre altresi' rilevare che la condotta e l'oggetto materiale del delitto di autoriciclaggio sono individuati in modo molto ampio, si' da farvi rientrare una gamma assai variegata di comportamenti («impiega, sostituisce, trasferisce, in attivita' economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilita' provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa»); parimenti molto ampio e' il ventaglio dei possibili reati presupposto (non limitato a specifici delitti tassativamente indicati, com'era previsto nelle prime formulazioni della norma incriminatrice del riciclaggio, ma estesa a qualunque delitto non colposo) (1) ; a fronte di tali connotati della fattispecie di reato, la risposta sanzionatoria si connota per un'apprezzabile severita'. In tale quadro, la circostanza attenuante in questione svolge la funzione essenziale di mitigare il citato rigore sanzionatorio per quelle fattispecie che presentino una minore gravita' oggettiva in ragione della provenienza del denaro o dei beni oggetto delle condotte di autoriciclaggio da delitti di minore gravita'. In effetti, se per l'autoriciclaggio la previsione dell'attenuante era coeva alla prima incriminazione del fatto di reato, l'introduzione dell'analoga attenuante prevista per il riciclaggio era contestuale all'estensione - con la legge n. 328/1993 e in ossequio alle previsioni delle convenzioni internazionali - della rosa dei possibili reati presupposto dal novero limitato di reati molto gravi precedentemente previsto (venutosi a stratificare nel corso degli anni) all'intera categoria dei delitti non colposi. (2) 3.3.5. Cosi' come rilevato dalla Corte costituzionale con riguardo alle altre circostanze oggettive ad effetto speciale di cui alle gia' menzionate sentenze, il trattamento sanzionatorio, significativamente piu' mite, assicurato ai fatti di autoriciclaggio aventi ad oggetto denaro, beni e utilita' provenienti dai reati presupposto meno gravi «esprime una dimensione offensiva la cui effettiva portata e' disconosciuta dalla norma censurata, che indirizza l'individuazione della pena concreta verso un abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato» (sentenza n. 251/2012). In altri termini, due fatti - quello di autoriciclaggio di denaro, beni o utilita' provenienti dai delitti piu' gravi (ad es. sequestro a scopo di estorsione, rapina, concussione, peculato, bancarotta fraudolenta, ecc.) e quello di autoriciclaggio di denaro, beni o utilita' provenienti da delitti decisamente meno gravi (ad es. furto, truffa, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, reato di cui all'art. 388 del codice penale, ecc.) «che lo stesso assetto legislativo riconosce come profondamente diversi sul piano dell'offesa, vengono ricondotti alla medesima cornice edittale, e cio' "determina un contrasto tra la disciplina censurata e l'art. 25, secondo comma della Costituzione, che pone il fatto alla base della responsabilita' penale"» (sentenza n. 251/2012). Come ormai rilevato piu' volte dalla Corte (sentenza n. 251/2012 e successive), «la recidiva reiterata "riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosita', ed e' da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di offensivita' e' chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se cosi' non fosse, la rilevanza dell'offensivita' della fattispecie base potrebbe risultare 'neutralizzata' da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosita'"». 3.3.6. Inoltre, rispetto a un autoriciclaggio di beni provenienti da delitto punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni, per effetto dell'equivalenza tra la recidiva reiterata e l'attenuante in questione, l'imputato verrebbe di fatto a subire un aumento di pena sensibilmente superiore a quello previsto dallo stesso art. 99, comma 4 del codice penale: l'annullamento di una riduzione pari alla meta' equivale infatti ad un aumento del 100% anziche' ad un aumento della meta' o dei due terzi, quale quello previsto a seconda dei casi dall'art. 99, comma 4 del codice penale. Esemplificando, a fronte di un fatto punibile con la pena minima, il reo che benefici dell'attenuante ex art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale si vedra' applicata la pena di anni uno di reclusione anziche' la pena di anni due (3) ; ove tale attenuante fosse invece neutralizzata dall'equivalenza forzata con la recidiva reiterata, l'applicazione della pena di anni due di reclusione significherebbe legare alla citata recidiva un aumento del 100% (anni due di reclusione anziche' anni uno), in luogo di quello della meta' (50%) o dei due terzi (66,6%) previsto dall'art. 99, comma 4 del codice penale. Si rilevi peraltro che a tale aumento si accompagna l'ulteriore aumento vincolato (nella misura di almeno un terzo della pena applicata per il reato piu' grave), sempre riconnesso alla recidiva reiterata (gia' applicata in precedente sentenza, come nel caso in esame), previsto dall'art. 81, comma 4 del codice penale ai fini della continuazione. 3.3.7. Alla luce di quanto precede la norma censurata pare illegittima, in quanto in contrasto sia con l'art. 3 sia con l'art. 25, comma 2 della Costituzione, posto che determina l'applicazione irragionevole della stessa pena a fatti oggettivamente diversi e in modo non rispettoso del principio di offensivita'. 3.3.8. La norma qui censurata pare violare anche il disposto dell'art. 27, comma 3 della Costituzione sotto il profilo del principio di proporzionalita' della pena e della finalita' rieducativa della stessa. La Corte costituzionale nelle precedenti sentenze gia' menzionate ha rilevato che la citata norma «nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza "una deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attivita' commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27, terzo comma della Costituzione, diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell'applicazione delle circostanze" (sentenze n. 251 del 2012 e n. 183 del 2011)» (sentenze n. 106 e n. 105 del 2014)" (sentenza n. 205/2017). Anche nel caso in esame il divieto legislativo di soccombenza della recidiva reiterata rispetto all'attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale pare impedire il necessario adeguamento, determinando un trattamento sanzionatorio sproporzionato, con conseguente contrasto anche con la finalita' rieducativa della pena: in quanto sproporzionata, la pena non potrebbe mai infatti essere percepita dal condannato come giusta ed esplicare quindi la propria funzione rieducativa; al contrario il condannato - che per effetto della recidiva reiterata si veda assoggettato ad una pena enormemente piu' alta di quella che gli sarebbe altrimenti applicata - non potrebbe che percepire come irragionevole la pena stessa e non aderirebbe quindi al trattamento rieducativo. 3.4. Venendo alla seconda questione, che si propone in via subordinata, si deve rilevare che nel caso di specie sono riconoscibili all'imputato piu' circostanze attenuanti (la circostanza ex art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale e le circostanze attenuanti generiche). In tale quadro, il divieto legislativo di prevalenza delle attenuanti comporta a maggior ragione un trattamento sanzionatorio sproporzionato, ancor maggiore essendo l'incidenza sullo stesso delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata. Nell'esempio gia' formulato (avente ad oggetto, per comodita' espositiva, la forma consumata e l'applicazione della pena nel minimo) il reo che benefici dell'attenuante ex art. 648-ter.1, comma 2 del codice penale e delle attenuanti generiche nella loro massima estensione si vedra' applicata per l'autoriciclaggio la pena di mesi otto di reclusione anziche' la pena di anni due di reclusione (4) ; ove tali attenuanti fossero invece neutralizzate dall'equivalenza forzata con la recidiva reiterata, l'applicazione della pena di anni due di reclusione significherebbe legare alla citata recidiva un aumento del 200% della pena (anni due, e cioe' mesi ventiquattro, di reclusione in luogo dei mesi otto che sarebbero applicati in assenza della recidiva), in luogo di quello della meta' (50%) o dei due terzi (66,6%) previsto dall'art. 99, comma 4 del codice penale. Vengono quindi in rilievo, con ancora maggior evidenza, gli attriti tra tale deroga al giudizio di bilanciamento e i principi di ragionevolezza, proporzionalita' della pena e finalita' rieducativa della pena, gia' in precedenza illustrati. 4. Impossibilita' di un'interpretazione conforme. Non risultano percorribili interpretazioni conformi della norma ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione, chiaro e univoco essendo il dato letterale (la disposizione e' peraltro interpretata in modo costante dalla giurisprudenza in conformita' al citato dato letterale). (1) Per effetto delle successive modifiche apportate nel 2021, possono ora costituire il reato presupposto anche i delitti colposi e le contravvenzioni piu' gravi. (2) Il decreto legislativo n. 195/2021 nell'ampliare ulteriormente la rosa dei possibili reati presupposto (sia del riciclaggio, sia dell'autoriciclaggio), estendendola anche ai delitti colposi e alle contravvenzioni piu' gravi, ha previsto un'ulteriore circostanza attenuante con riferimento ai fatti riguardanti denaro, beni e utilita' provenienti dalle contravvenzioni. (3) Per semplicita' si fa riferimento al reato consumato anziche' a quello tentato. (4) Per semplicita' si fa riferimento al reato consumato anziche' a quello tentato.