TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima Sezione penale 
 
    Il giudice, dr. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a
carico di M. A. (...) - nato a (...) il (...) res. in via  Iv  (...),
(...) elettivamente dom.to presso l'avv. Isabella Colombo del Foro di
Bergamo (elezione nel verbale Polizia  di  Stato  del  (...);  libero
assente; difeso dall'avv. di  ufficio  Alice  Piazzini  del  Foro  di
Firenze; imputato dei seguenti reati: 
    Capo A) 
    Delitto p. e p. dagli articoli 624-61, n. 2, 625,  n.  4  e  u.c.
c.p. perche', a fine di ingiusto profitto ed al fine di realizzare il
reato di cui al capo D),  all'interno  della  gioielleria  denominata
«...» sita in via (...) n. (...), si  impossessava,  sottraendolo  al
detentore, di un braccialetto a piccole maglie  in  oro  giallo,  che
l'indagato prelevava repentinamente dal  bancone  del  negozio,  dopo
aver fatto allontanare il proprietario (...), chiedendo il prezzo  di
altri monili ed allontanandosi successivamente. 
    Con l'aggravante della destrezza e  del  nesso  teleologico.  Con
recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 
    In (...) il (...). 
    Capo B) 
    Delitto p. e p. dagli articoli 624-61, n. 2, 625 n. 4 e u.c. c.p.
perche', a fine di ingiusto profitto ed  al  fine  di  realizzare  il
reato di cui al capo D),  all'interno  della  gioielleria  denominata
«...» sita in via (...) n. (...), si  impossessava,  sottraendolo  al
detentore, di una medaglietta a forma romboidale con cornice  in  oro
bianco ed all'interno una piastrina in  oro  giallo,  che  l'indagato
prelevava repentinamente dal bancone del  negozio,  dopo  aver  fatto
allontanare il proprietario (...), chiedendo di poter visionare altri
gioielli ed allontanandosi successivamente. 
    Con l'aggravante della destrezza e  del  nesso  teleologico.  Con
recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 
    In (...) il (...). 
    Capo C) 
    Delitto p. e p. dagli articoli 624-61, n. 2, 625 n. 4 e u.c. c.p.
perche', a fine di ingiusto profitto ed  al  fine  di  realizzare  il
reato di cui al capo D),  all'interno  della  gioielleria  denominata
«...» sita in via (...), si impossessava, sottraendolo al  detentore,
di un braccialetto in oro giallo  con  delle  sfere,  che  l'indagato
prelevava repentinamente dal bancone del  negozio,  dopo  aver  fatto
allontanare il gestore (...),  chiedendo  di  poter  visionare  altri
gioielli ed allontanandosi successivamente. 
    Con l'aggravante della destrezza e  del  nesso  teleologico.  Con
recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 
    In (...) il (...). 
    Capo D) 
    Delitto di cui all'art. 56-648-ter.1 del  codice  penale perche',
avendo commesso i reati di furto di cui ai capi A), B),  C)  cercando
di  vendere  la  refurtiva  (meglio  indicata   nei   predetti   capi
d'imputazione) all'interno  del  negozio  di  compro  oro  denominato
«...», sito in via (...) n. (...), compiva atti idonei e  diretti  in
modo non equivoco trasferire i suddetti beni in modo  da  ostacolarne
l'identificazione della provenienza. 
    Con recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 
    In (...) il (...). 
 
                               Osserva 
 
    1. Premessa. Il procedimento a quo. 
    1.1. A. M. era  rinviato  a  giudizio  davanti  al  Tribunale  di
Firenze per  rispondere  di  tre  diversi  furti  pluriaggravati,  in
ipotesi commessi il (...) presso alcune gioiellerie di (...), nonche'
del tentato autoriciclaggio dei monili oggetto dei precedenti  furti,
in ipotesi posto in essere lo stesso (...); rispetto a tutti i  reati
in  questione  era  contestata  la   recidiva   reiterata   specifica
infraquinquennale. 
    Nel corso delle udienze del 20 settembre 2021 e del  20  dicembre
2021 si svolgeva  l'istruttoria  dibattimentale.  All'udienza  del  2
maggio 2022 le  parti  illustravano  le  rispettive  conclusioni.  In
particolare, il pubblico ministero chiedeva la condanna dell'imputato
alla pena di anni tre e mesi tre  di  reclusione  ed  euro  1.500  di
multa. Il difensore  chiedeva  il  riconoscimento  delle  circostanze
attenuanti generiche, l'esclusione  della  contestata  aggravante  ex
art. 625, n. 4 del codice penale e l'applicazione  del  minimo  della
pena. 
    All'udienza odierna, cui il processo era rinviato  per  eventuali
repliche, le parti vi rinunciavano. 
    1.2.   Dall'istruttoria   svolta   e'   emersa   chiaramente   la
responsabilita' dell'imputato per i fatti ascritti. 
    L'imputato in data (...) si  recava  in  successione  presso  tre
diverse gioiellerie di (...); ivi chiedeva di poter visionare  alcuni
gioielli di vario tipo e, inducendo con degli espedienti gli  addetti
alle vendite a  girarsi  o  allontanarsi  dal  bancone  (per  esibire
ulteriori gioielli o per recarsi alla bilancia), con  gesti  fulminei
sottraeva  alcuni  monili:  nei  tre  esercizi,  rispettivamente,  un
bracciale in oro giallo con quattro sfere (in vendita  al  prezzo  di
300 euro circa); un bracciale in oro giallo (in vendita al prezzo  di
500 euro circa); una medaglietta romboidale in oro  giallo  e  bianco
(in  vendita  al  prezzo  di  100  euro  circa).  Gli  esercenti   si
accorgevano solo a distanza di tempo, nel risistemare i monili, della
mancanza dei citati preziosi. Il prevenuto lo  stesso  pomeriggio  si
recava presso un esercizio compro oro denominato «...» di (...) e ivi
cercava  di  vendere  i  tre   oggetti   precedentemente   sottratti,
compilando la necessaria modulistica; la commessa, tuttavia, che  era
stata allertata dalla collega di una delle gioiellerie,  chiamava  la
polizia e intratteneva l'imputato. 
    All'arrivo degli operanti del Commissariato di (...) il  predetto
era trovato ancora in possesso dei tre  gioielli;  questi  erano  poi
esibiti agli esercenti delle tre gioiellerie, che  li  riconoscevano.
Presso due delle gioiellerie erano anche  acquisite  le  immagini  di
videosorveglianza  interna;  risultava  ripreso  proprio   l'imputato
nell'atto di sottrarre i gioielli (e'  evidente  l'identita'  tra  il
soggetto ritratto nelle citate immagini  e  l'imputato  ritratto  nel
fotosegnalamento,  sia  quanto  alle  fattezze  fisiche  sia   quanto
all'abbigliamento indossato);  due  dei  tre  esercenti  hanno  anche
riconosciuto l'imputato nell'ambito di un idoneo album fotografico. 
    Il prevenuto si e' dunque reso  responsabile  dei  tre  furti  in
contestazione. 
    Egli e' responsabile altresi' del tentato autoriciclaggio dei tre
gioielli. Gli atti posti in essere erano infatti di per se' idonei ad
alienare i tre monili, oggetto del precedente  delitto  non  colposo,
si'  da  ostacolare  concretamente   l'identificazione   della   loro
provenienza delittuosa. 
    Secondo la giurisprudenza di legittimita', infatti,  «Integra  il
delitto di autoriciclaggio l'immissione nel mercato dei beni provento
di furto mediante vendita a terzi, attesa la natura economica di tale
attivita' che trasforma i beni in denaro  e  produce  reddito,  cosi'
dissimulando  l'origine   illecita   degli   stessi   e   ostacolando
concretamente l'identificazione della  loro  provenienza  delittuosa»
(Cassazione Sez. 2 - sentenza n. 36180 del 14 settembre 2021 Cc.  rv.
281967 - 01). Nel caso di specie, tra l'altro, la vendita  era  ancor
piu' idonea a ostacolare la citata identificazione in  ragione  della
natura del soggetto destinatario del trasferimento, vale  a  dire  un
esercizio  («...»)  che   normalmente   ritrasferisce   gli   oggetti
acquistati, che  vengono  modificati  o  addirittura  destinati  alla
fusione. Il delitto non si e' perfezionato per  ragioni  indipendenti
dalla volonta' dell'imputato. Si deve infine rilevare che il  delitto
di autoriciclaggio e' suscettibile  di  essere  realizzato  in  forma
tentata: plurime sentenze della Corte di cassazione (Cassazione  Sez.
5 n. 1846/2022, Sez. 5 n. 138/2022, Sez. 2 n. 15254/2020, Sez.  5  n.
55922/2018) si sono occupate del tentato autoriciclaggio,  senza  mai
mettere in dubbio che tale forma tentata sia configurabile. 
    1.3. L'imputato era capace d'intendere e di volere al momento dei
fatti. La documentazione prodotta dalla difesa - comprovante in  capo
al prevenuto problemi di tossicodipendenza da cocaina e correlati  al
gioco d'azzardo - risulta in realta' piuttosto generica e per di piu'
relativa a periodi diversi da quello in  cui  si  sono  verificati  i
fatti in esame. 
    Inoltre,  se  e'  vero  che,   secondo   la   giurisprudenza   di
legittimita', anche il vizio del gioco puo'  comportare  un  disturbo
della personalita' e che ai fini del riconoscimento del vizio  totale
o parziale di mente  anche  i  disturbi  della  personalita'  possono
rientrare nel concetto di «infermita'», tuttavia in base alla  stessa
giurisprudenza  detti  disturbi   devono   essere   di   consistenza,
intensita' e gravita' tali da incidere concretamente sulla  capacita'
di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente; deve
inoltre ricorrere un  nesso  eziologico  con  la  specifica  condotta
criminosa, per effetto del quale  il  fatto  di  reato  sia  ritenuto
causalmente determinato dal disturbo mentale (cosi',  tra  le  altre,
Cassazione Sez. 6 - sentenza n. 33463 del 10 maggio 2018 rv. 273793 -
01). 
    Nel caso di specie, al contrario, le modalita' della  condotta  -
connotata da aspetti di fraudolenza e di premeditazione - portano  ad
escludere che il prevenuto fosse  in  uno  stato  di  mente  tale  da
escludere la capacita' d'intendere e/o di volere o, anche  solo,  che
tale capacita'  fosse  grandemente  scemata.  Si  deve  escludere  in
particolare che egli fosse  interessato  da  un  impulso  cogente  ed
incontrollabile ad agire.  Anche  la  sequenza  temporale  dei  fatti
depone in tal senso: subito  dopo  avere  commesso  il  primo  furto,
anziche' cercare di monetizzare il provento del reato, l'imputato  si
e' recato presso due ulteriori gioiellerie, dove  ha  realizzato  gli
ulteriori atti predatori; solo in seguito si recava presso  il  (...)
per vendere i gioielli sottratti; viceversa, se fosse  stato  vittima
di un impulso irrefrenabile, egli sarebbe corso a  vendere  il  primo
gioiello sottratto subito dopo il compiuto furto. 
    Inoltre, anche il fatto che i reati siano stati posti  in  essere
lontano dal luogo di residenza dell'imputato (la provincia  di  ...),
senza che siano emerse ragioni lecite della presenza del medesimo  in
(...), induce a ritenere che  detti  reati  siano  stati  oggetto  di
programmazione e realizzati in una sorta di trasferta delittuosa. 
    Del  resto,  anche  i  precedenti   giudiziari   risultanti   dal
certificato penale - lungi dall'evidenziare situazioni  d'incapacita'
(con  l'applicazione  contestuale   di   misure   di   sicurezza)   -
rappresentano il compimento di numerosi reati  contro  il  patrimonio
(insolvenza  fraudolenta,  furto,  indebito  utilizzo  di  carte   di
credito). 
    Alla luce di quanto precede non appare necessario lo  svolgimento
di una perizia psichiatrica (Cassazione Sez. 2 -  sentenza  n.  50196
del 26 ottobre 2018 rv. 274684 - 01). 
    1.4.1. Quanto alle contestate circostanze aggravanti, rispetto ai
tre furti ricorre la circostanza aggravante della destrezza  ex  art.
625, n. 4 del codice penale, avendo il prevenuto sottratto i gioielli
con gesti rapidi approfittando della distrazione degli  addetti  alle
vendite, da lui stesso provocata (Cassazione Sez. 4, sentenza n. 2340
del 29 novembre 2017 rv. 271757 - 01; Sez. U., sentenza n. 34090  del
27 aprile 2017 rv. 270088 - 01). 
    1.4.2. Non sussiste viceversa la circostanza aggravante del nesso
teleologico: gia' sul piano logico, infatti,  benche'  i  vari  reati
fossero certamente oggetto di una programmazione unitaria  (cio'  che
giustifica il riconoscimento del regime della continuazione) non sono
i   furti   ad   essere   commessi   per   poter    poi    realizzare
l'autoriciclaggio; e' bensi' l'autoriciclaggio  (tentato)  ad  essere
posto in essere per rendere liquido il profitto conseguente ai furti. 
    1.4.3. Sussiste - sia rispetto ai furti, sia rispetto al  tentato
autoriciclaggio  -  la  contestata   recidiva   reiterata   specifica
infraquinquennale. 
    Il  certificato  penale  evidenzia  infatti  numerosi  precedenti
specifici e recenti, commessi in varie parti del territorio nazionale
(oltre ad ulteriori  reali  non  rilevanti  ai  fini  della  recidiva
perche'   di   natura   contravvenzionale   o    perche'    accertati
successivamente ai fatti in esame): un decreto penale del giudice per
le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Lecce  del  2013   per
insolvenza  fraudolenta;  tre  decreti  penali  dei  giudici  per  le
indagini preliminari dei Tribunali di Catanzaro e  Lamezia  del  2014
(due esecutivi il 30 luglio 2014, il terzo il  26  maggio  2016)  per
insolvenza fraudolenta; un decreto penale del giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Bergamo del 2017 (esecutivo il 18 maggio
2017) per furto con destrezza (commesso  il  ...);  una  sentenza  di
condanna del 9 gennaio 2019 (irrev. 8  febbraio  2019)  per  indebito
utilizzo continuato di carte di credito (commesso il ...).  Con  tale
ultima sentenza era gia' applicata al predetto la recidiva  reiterata
ex art. 99, comma 4 del codice penale. 
    Alla luce di tali precedenti gli attuali  reati  manifestano  una
maggiore pericolosita' e  colpevolezza  dell'imputato,  evidentemente
insensibile ai ripetuti provvedimenti adottati nei suoi  confronti  e
quindi  da  un  lato  maggiormente  rimproverabile  e  dall'altro  da
ritenersi tanto piu' incline a reiterare delitti contro il patrimonio
o comunque con finalita' di lucro. 
    1.5.  Si  possono   riconoscere   all'imputato   le   circostanze
attenuanti generiche, sia per adeguare il rigore sanzionatorio  delle
fattispecie incriminatrici alla modesta gravita'  del  caso  concreto
(tutti i beni sottratti e oggetto del  tentato  autoriciclaggio  sono
stati recuperati dalla polizia il giorno stesso della commissione dei
reati e riconsegnati alle persone offese nell'arco di  pochi  giorni;
il valore dei beni non e' irrisorio e quindi non tale da giustificare
la circostanza attenuante ex art. 62, n.  4  del  codice  penale,  ma
comunque non e' elevato), sia in ragione delle condizioni di  disagio
personale e familiare dell'imputato  (dalla  documentazione  prodotta
emerge la presenza di quattro figli, di cui una affetta da una  grave
forma di disabilita'), sia in ragione del  percorso  -  dal  medesimo
intrapreso in tempi recenti - quanto al problema della ludopatia. 
    1.6. Rispetto al tentato autoriciclaggio va applicata altresi' la
circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del  codice
penale, quale vigente all'epoca dei fatti (prima della modifica -  in
senso piu' sfavorevole all'imputato - operata dall'art. 1,  comma  1,
lettera f) del decreto legislativo n. 195/2021). 
    1.6.1.  Tale  norma  recita(va):  «Si  applica  la   pena   della
reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500  a  euro
12.500 se il denaro, i beni o  le  altre  utilita'  provengono  dalla
commissione di un  delitto  non  colposo  punito  con  la  reclusione
inferiore nel massimo a cinque anni». 
    A fronte di una fattispecie base per la  quale  era  prevista  la
pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro  5.000
a euro 25.000, era  cioe'  prevista  una  circostanza  attenuante  ad
effetto speciale la cui  sussistenza  dipendeva  dalla  gravita'  del
reato presupposto. 
    1.6.2. La norma non precisava (ne'  la  precisazione  e'  fornita
nella versione successiva, che prevede una diminuzione fino al terzo)
uno specifico criterio di calcolo  del  massimo  edittale  del  reato
presupposto; in particolare, nulla si diceva (e nulla si dice)  circa
la rilevanza a tal fine delle circostanze, aggravanti  o  attenuanti,
ad effetto speciale (o indipendenti o autonome) o ad effetto comune. 
    1.6.3.  La  questione  non  risulta  essere  stata   oggetto   di
particolare  approfondimento  da  parte   della   giurisprudenza   di
legittimita', ne' con riferimento al reato  di  autoriciclaggio,  ne'
con  riguardo  all'analoga  circostanza  prevista  per  il  reato  di
riciclaggio. 
    Con riferimento a quest'ultima, alcune pronunzie invero affermano
piu' o meno espressamente la rilevanza, ai fini del  citato  computo,
delle circostanze aggravanti: cosi' Cassazione Sez.  2,  sentenza  n.
46754 del 2021 e Cassazione  Sez.  2,  sentenza  n.  4146/2020  hanno
escluso la citata attenuante allorche' il delitto presupposto era  un
furto aggravato dall'esposizione alla pubblica fede ex art. 625, n. 7
del codice penale (con un massimo edittale quindi di sei anni). 
    Analogamente Cassazione Sez. 2, sentenza  n.  3935  del  2017  ha
ritenuto superato il limite dei cinque anni in  un  caso  in  cui  il
delitto presupposto era un'appropriazione indebita (massimo  edittale
all'epoca  di  tre  anni)  aggravata  da   due   circostanze   comuni
(verosimilmente, in ragione dei fatti esposti, le circostanze ex art.
61, n. 7 e n. 11 del codice penale) e Cassazione Sez. 2, sentenza  n.
35445 del 2019 ha  ritenuto  superato  il  citato  limite  (e  quindi
escluso l'attenuante invocata) in un caso di appropriazione  indebita
aggravata ex art. 61, n. 11 del codice penale  e  7  della  legge  n.
203/1991. 
    Nelle due ultime pronunzie  citate  la  Corte  di  cassazione  ha
motivato la citata conclusione in  ragione  di  una  presunta  regola
generale ricavabile dall'art. 63, comma 2 del codice penale; «ponendo
il legislatore espressa eccezione a tale regola generale,  ricavabile
dall'art. 63, comma 2  del  codice  penale,  nel  disciplinare  altri
istituti (per esempio ai fini della prescrizione,  ex  art.  157  del
codice penale od ai fini di cui all'art. 278 del codice di  procedura
penale o di cui all'art. 4 stesso codice)». 
    Nessun riferimento e' rinvenibile - ne' in senso positivo, ne' in
senso negativo - circa la rilevanza delle circostanze  attenuanti  ai
fini del calcolo del massimo edittale del reato presupposto. 
    1.6.4.  Ad  avviso  di  questo  giudice  le  citate  sentenze  di
legittimita'   non   sono   condivisibili    e,    per    determinare
l'applicabilita' o meno dell'attenuante in questione,  occorre  avere
riguardo unicamente alla cornice edittale base del reato presupposto,
senza che  possano  avere  rilevanza  le  circostanze,  aggravanti  o
attenuanti (a prescindere dal fatto che siano ad effetto  speciale  o
ad effetto comune e che determinino la cornice sanzionatoria in  modo
indipendente o a partire da quella prevista per la fattispecie base). 
    Come sottolineato dalle Sezioni Unite, sentenza n. 36272  del  31
marzo 2016, in materia di sospensione del procedimento con messa alla
prova (ammissibile ex art. 168-bis del  codice  penale  per  i  reati
puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con  la  pena  edittale
detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o
alternativa alla pena pecuniaria, oltre che per  i  delitti  indicati
dall'art. 550, comma 2 del codice di procedura  penale),  non  esiste
alcuna regola generale  quanto  ai  criteri  di  calcolo  della  pena
massima del reato, ove tale pena massima sia indicata ai  fini  della
selezione dei reati cui sia applicabile un determinato  istituto;  al
contrario, «i criteri  per  la  selezione  dei  reati  attraverso  il
riferimento alla quantita' di pena sono influenzati dagli istituti  a
cui si riferiscono e sono utilizzati, di volta in volta,  in  base  a
valutazioni discrezionali del legislatore». 
    Cosi', per citare le norme di  piu'  frequente  applicazione,  ai
fini della competenza ex art. 4 del codice di procedura penale non si
tiene conto delle circostanze, fatta eccezione per le aggravanti c.d.
autonome e le aggravanti ad effetto  speciale,  ma  comunque  non  si
tiene conto della recidiva  (pur  qualificata  e  quindi  ad  effetto
speciale);  tale  criterio  e'  poi   richiamato   da   varie   altre
disposizioni, come l'art. 33-bis, comma 2  del  codice  di  procedura
penale in  materia  di  attribuzione  monocratica  o  collegiale  dei
procedimenti, l'art. 266 del  codice  di  procedura  penale  ai  fini
dell'ammissibilita' delle intercettazioni, l'art. 550,  comma  1  del
codice  di  procedura  penale  in  materia  di  citazione  diretta  a
giudizio. 
    Viceversa in materia di misure cautelari si tiene conto  ex  art.
278 del codice di procedura penale  -  oltre  che  delle  circostanze
aggravanti autonome o ad effetto speciale - anche  della  circostanza
aggravante (ad effetto comune) ex art. 61, n. 5 del codice  penale  e
della circostanza attenuante (ad effetto comune) ex art. 62, n. 4 del
codice penale; il criterio e' poi richiamato dall'art. 379 del codice
di procedura penale in materia di arresto in flagranza e fermo. 
    In materia di sospensione del procedimento con messa alla  prova,
non essendovi alcun riferimento nell'art. 168-bis del  codice  penale
alla possibile rilevanza delle circostanze,  occorre  avere  riguardo
secondo la citata sentenza delle Sezioni Unite unicamente «alla  pena
massima prevista per la fattispecie-base, non assumendo  a  tal  fine
alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle  ad  effetto
speciale e quelle per cui la legge  stabilisce  una  pena  di  specie
diversa da quella ordinaria del reato». 
    In materia di particolare tenuita' del fatto ai  sensi  dell'art.
131-bis  del  codice  penale  si  deve  tenere  conto  di  tutte   le
circostanze autonome e ad effetto  speciale,  cioe'  non  solo  delle
aggravanti ma anche delle attenuanti. 
    Se dunque non esiste una regola generale, ma «semplicemente [...]
una linea di tendenza, che non assurge a criterio generale»,  occorre
avere riguardo - come affermano le Sezioni Unite  nella  sentenza  n.
36272/2016  -  principalmente   alla   lettera   della   legge,   che
«costituisce la prima regola interpretativa  (art.  12  preleggi)  e,
allo stesso tempo, il limite di ogni altro criterio  ermeneutico  cui
ricorrere solo quando il testo risulti poco chiaro o  di  significato
non univoco» (in ordine alla portata essenziale  del  dato  letterale
delle  norme  penali  si  veda  anche   la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 98 del 14 aprile 2021). 
    Applicando tale criterio ermeneutico fondamentale, nel caso della
norma di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del codice  penale  si  deve
giungere   alla   conclusione   che   ai   fini   dell'applicabilita'
dell'attenuante occorre avere riguardo  unicamente  alla  fattispecie
base del reato presupposto, senza alcun riguardo per  le  circostanze
(di qualunque tipo). 
    Nel caso ora in esame il reato presupposto e'  il  furto,  punito
nel massimo - nella fattispecie base - con tre anni di reclusione. Va
pertanto applicata la circostanza attenuante in questione. 
    1.6.5. Del resto, quand'anche si ritenesse che nel diritto penale
sostanziale  «un  canone  classico  [...]  da   sempre   collega   il
riferimento della pena edittale alla fattispecie  incriminatrice  nel
suo  complesso»  (argomento  speso  dal  procuratore  generale  nella
propria requisitoria, ritenuto non decisivo dalle Sezioni Unite),  in
tal caso  cio'  dovrebbe  «condurre  a  considerare,  in  assenza  di
specificazioni normative di segno contrario, la rilevanza di tutte le
circostanze, aggravanti e attenuanti,  comuni  e  speciali»  (Sezioni
Unite, sentenza n. 36272/2016). 
    E in effetti, allorche'  ai  fini  dell'applicazione  del  regime
della continuazione occorre individuare il reato piu' grave,  secondo
l'orientamento prevalente della Corte di  cassazione  «la  violazione
piu' grave va individuata in astratto  in  base  alla  pena  edittale
prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto  alle  singole
circostanze in cui la fattispecie si e' manifestata  e  all'eventuale
giudizio di comparazione fra di esse» (Cassazione Sez.  U.,  sentenza
n. 25939 del 28 febbraio 2013 rv. 255347 - 01). Piu' recentemente, si
veda nello stesso senso Cassazione Sez. 5.  sentenza  n.  16169/2022:
«allorche' occorra  individuare  il  reato  piu'  grave,  deve  farsi
riferimento alla pena edittale, ovvero alla gravita'  "astratta"  dei
reati per i quali e' intervenuta condanna, dandosi rilievo  esclusivo
alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, senza  che  possano
venire in rilievo anche gli indici di determinazione  della  pena  di
cui all'art. 133 del codice penale, [...]. Cio' posto, pero', occorre
considerare che la nozione di "violazione piu' grave" ha una  valenza
complessa, che muovendo dalla sanzione edittale comminata in astratto
per una determinata fattispecie  criminosa,  implica  la  valutazione
delle sue concrete  modalita'  di  manifestazione.  Nel  sistema  del
codice penale, infatti, per sanzione edittale deve intendersi la pena
prevista in astratto con riferimento al reato contestato  e  ritenuto
in  concreto  in  sentenza,  tenendo  conto,  cioe',  delle   singole
circostanze in cui  la  fattispecie  si  e'  manifestata,  salvo  che
specifiche e tassative  disposizioni  escludano  la  rilevanza  delle
circostanze o di talune di esse. Di conseguenza, una  volta  che  sia
stata riconosciuta la sussistenza delle circostanze attenuanti e  che
sia stato effettuato il  doveroso  giudizio  di  bilanciamento  delle
stesse rispetto alle aggravanti, l'individuazione in  astratto  della
pena edittale non puo'  prescindere  dal  risultato  finale  di  tale
giudizio, dovendosi calcolare nel minimo l'effetto di  riduzione  per
le attenuanti e nel massimo l'aumento per le circostanze aggravanti». 
    Analogamente, ai fini ora in esame, qualora  si  ritenga  che  la
sanzione edittale debba essere intesa avendo  riguardo  alla  cornice
edittale della fattispecie circostanziata, necessariamente si  dovra'
tenere conto di tutte le circostanze, aggravanti ma anche attenuanti,
e del relativo giudizio di bilanciamento. 
    Nel presente procedimento si e' detto che con riguardo  ai  furti
si devono  applicare  l'aggravante  della  destrezza  e  la  recidiva
qualificata, ma anche le  circostanze  attenuanti  generiche.  Queste
ultime risultano  di  particolare  pregnanza,  laddove  i  precedenti
giudiziari sono si' numerosi  e  specifici,  ma  non  particolarmente
gravi (soltanto con la  sentenza  del  Tribunale  di  Bergamo  del  9
gennaio 2019, irrev. 8 febbraio 2019, era applicata una  pena  finale
detentiva); analogamente la condotta dell'imputato e' stata connotata
si' da destrezza, ma non particolarmente insidiosa.  Il  giudizio  di
bilanciamento deve effettuarsi quindi in termini di  equivalenza  (il
carattere reiterato della recidiva  preclude  un  bilanciamento  piu'
favorevole con riguardo ai furti). A seguito di tale bilanciamento il
massimo edittale previsto per i furti e' di tre anni di reclusione. 
    Va dunque applicata comunque la  circostanza  attenuante  di  cui
all'art  648-ter.1,  comma  2  del  codice  penale,  (quale   vigente
all'epoca dei fatti). 
    1.7.  Come  si  e'  gia'  accennato,  quanto  ai  tre  furti   il
bilanciamento delle circostanze ex art. 69  del  codice  penale  deve
operarsi in termini di equivalenza. 
    Viceversa,  in  ordine  al  tentato  autoriciclaggio,  quanto  al
bilanciamento della recidiva reiterata specifica infraquinquennale  e
delle menzionate circostanze attenuanti, per poter addivenire ad  una
corretta decisione appare necessario il  pronunciamento  della  Corte
costituzionale in ordine al divieto di prevalenza  delle  circostanze
attenuanti sulla recidiva reiterata fissato dall'art. 69, comma 4 del
codice penale ed  in  particolare  al  divieto  di  prevalenza  della
circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del  codice
penale (quale introdotto dalla legge  15  dicembre  2014,  n.  186  e
vigente fino alla sostituzione operata dall'art. 1, comma 1,  lettera
f) del decreto legislativo n. 195/2021) sulla recidiva  reiterata  e,
in  subordine,  del  divieto  di  prevalenza  di  una  pluralita'  di
circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata. 
    2. Rilevanza delle questioni. 
    2.1. La citata disposizione di cui all'art. 69, quarto comma  del
codice penale, come sostituito dall'art. 3  della  legge  5  dicembre
2005, n. 251, prevede un  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti sulla recidiva reiterata, prevista  dall'art.  99,  quarto
comma del codice penale. 
    2.2.  Nel  caso  in  esame  ricorre  per  l'appunto  la  recidiva
reiterata (peraltro specifica e infraquinquennale); quest'ultima  non
solo e' stata correttamente  contestata,  ma  si  deve  concretamente
applicare: in considerazione del  carattere  recente  dei  precedenti
giudiziari, dell'omogeneita' tra gli stessi e il reato ora in  esame,
del  tipo  di  devianza  di  cui   gli   stessi   sono   espressione,
dell'insufficienza in chiave dissuasiva delle condanne gia' irrogate,
si deve ritenere che la ricaduta nel reato sia effettivo  sintomo  di
una maggiore pericolosita' e colpevolezza dell'imputato. 
    Come si  e'  rilevato,  nel  caso  in  esame  sono  riconoscibili
all'imputato la circostanza attenuante  di  cui  all'art.  648-ter.1,
comma 2 del codice penale (nella versione originaria introdotta dalla
legge 15 dicembre 2014, n.  186  e  vigente  fino  alla  sostituzione
operata dall'art. 1, comma 1, lettera f) del decreto  legislativo  n.
195/2021) e le circostanze attenuanti generiche. 
    Tali attenuanti per la loro pregnanza - ed in particolare per  la
tipologia e la modesta gravita' in concreto dei reati  presupposto  e
per la situazione di disagio in cui viveva l'imputato e  il  percorso
successivamente  intrapreso  -  meriterebbero  di   essere   ritenute
prevalenti rispetto alla citata  recidiva  qualificata  e  di  essere
applicate nella loro estensione massima o quasi massima. 
    2.3. Il divieto posto  dall'art.  69,  quarto  comma  del  codice
penale osta ad un tale giudizio di prevalenza delle attenuanti  sulla
recidiva reiterata. 
    L'auspicata  dichiarazione  d'incostituzionalita'  dell'art.  69,
comma 4 del codice penale - nella parte in cui prevede il divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di  cui  all'art.  648-ter.1,
comma 2 del codice penale (nella versione originaria) sulla  recidiva
reiterata o, in subordine, nella parte in cui prevede il  divieto  di
prevalenza di piu' circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata  -
renderebbe possibile un  giudizio  di  bilanciamento  in  termini  di
prevalenza delle attenuanti sulla recidiva qualificata. 
    2.4. Il fatto che, successivamente ai fatti oggetto del  presente
processo, l'art. 648-ter.1 del codice penale sia stato modificato  ad
opera del decreto legislativo n. 195/2021 (che  ha  reso  ad  effetto
comune la circostanza attenuante in questione, ora prevista dal terzo
comma dell'art. 648-ter.1 del codice  penale)  non  pare  privare  di
rilevanza le questioni ora sollevate. 
    La nuova disciplina e' infatti piu'  sfavorevole  per  l'imputato
(minore essendo l'efficacia attenuante della circostanza), per cui  -
per il divieto di applicazione  retroattiva  delle  norme  successive
sfavorevoli  -  deve  trovare  ancora  applicazione   la   disciplina
originaria introdotta dalla  legge  15  dicembre  2014,  n.  186.  La
questione  sollevata  in  via  principale  risulta  dunque   comunque
rilevante. 
    Quanto alla questione sollevata in  via  subordinata,  la  citata
modifica legislativa non pare incidere, non essendo  rilevante  nella
prospettiva  in  cui  detta  questione  e'  posta  il  fatto  che  le
circostanze siano ad effetto comune o speciale. 
    3. Non manifesta infondatezza. 
    3.1.  Il  precetto  normativo   pare   di   dubbia   legittimita'
costituzionale. 
    La Corte costituzionale ha gia' affrontato in plurime occasioni e
sotto differenti profili la questione della legittimita' della  norma
censurata. 
    Dopo avere in alcune prime  pronunce  ritenuto  inammissibili  le
questioni sollevate (poiche' le  ordinanze  di  rimessione  muovevano
dall'erroneo  presupposto  che  la  riforma  del  2005  avesse   reso
obbligatoria l'applicazione della recidiva reiterata),  la  Corte  ha
con diverse sentenze (n.  251/2012,  n.  105/2014,  n.  106/2014,  n.
205/2017) dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  69,
quarto comma del codice penale nella parte in cui vieta la prevalenza
di singole circostanze attenuanti (di cui agli articoli 73,  comma  5
del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, 648, comma 2
del codice penale, 219, comma 3 della  legge  fallimentare,  609-bis,
comma 3 del codice penale), oggettive e ad  effetto  speciale,  sulla
recidiva reiterata. 
    In particolare, la Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del
2012 ha cosi' ricostruito il  quadro  normativo,  l'operativita'  del
divieto e i limiti in cui lo  stesso  e'  sindacabile:  «Nell'attuale
formulazione, l'art. 69, quarto comma del codice  penale  costituisce
il punto di  arrivo  di  un'evoluzione  legislativa  dei  criteri  di
bilanciamento iniziata con l'art. 6 del decreto-legge 11 aprile 1974,
n. 99 (Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale), convertito, con
modificazioni, nella legge 7 giugno 1974, n. 220, che  ha  esteso  il
giudizio di comparazione alle circostanze autonome o indipendenti e a
quelle inerenti alla persona del colpevole. L'effetto e' stato quello
di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi di penalizzazione, ma
anche quello di  rendere  modificabili,  attraverso  il  giudizio  di
comparazione, le cornici edittali di alcune  ipotesi  circostanziali,
di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente diverse dai  reati
base; ipotesi che solitamente  vengono  individuate  dal  legislatore
attraverso la previsione di pene di specie diversa o  di  pene  della
stessa  specie,  ma  con  limiti  edittali  indipendenti  da   quelli
stabiliti per il reato base, come nel  caso  regolato  dall'art.  73,
comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del  1990.
E'  rispetto  a  questo  tipo  di   circostanze   che   il   criterio
generalizzato, introdotto con la modificazione dell'art.  69,  quarto
comma del codice penale, ha mostrato delle incongruenze, inducendo il
legislatore a intervenire con regole derogatorie,  come  e'  avvenuto
con l'aggravante  della  "finalita'  di  terrorismo  o  di  eversione
dell'ordine democratico" (art. 1 del decreto-legge 15 dicembre  1979,
n. 625, recante "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico
e della sicurezza pubblica",  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 6 febbraio  1980,  n.  15)  e,  in  seguito,  con  varie  altre
disposizioni, generalmente adottate  per  impedire  il  bilanciamento
della circostanza c.d. privilegiata, di regola un'aggravante,  o  per
limitarlo, in modo da escludere la soccombenza  di  tale  circostanza
nella comparazione  con  le  attenuanti;  ed  e'  appunto  questo  il
risultato che si e' voluto perseguire con la norma impugnata. Come e'
stato sottolineato da questa Corte, il giudizio di bilanciamento  tra
circostanze eterogenee consente al giudice di "valutare il  fatto  in
tutta la sua ampiezza circostanziale, sia  eliminando  dagli  effetti
sanzionatori tulle le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di
quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di  quelle
che  la  diminuiscono"  (sentenza  n.  38  del  1985).   Deroghe   al
bilanciamento pero' sono  possibili  e  rientrano  nell'ambito  delle
scelte  del  legislatore,  che  sono  sindacabili  da  questa   Corte
"soltanto  ove  trasmodino   nella   manifesta   irragionevolezza   o
nell'arbitrio" (sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso non possono
giungere    a    determinare    un'alterazione    degli     equilibri
costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita'
penale». 
    Con  la  sentenza  n.  74/2016  la  Corte  costituzionale  si  e'
pronunciata con riguardo alla circostanza attenuante di cui  all'art.
73, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/1990
(ad effetto speciale,  ma  espressione  di  una  scelta  di  politica
criminale di tipo premiale piu' che di  una  minor  offensivita'  del
fatto). 
    Con alcune piu' recenti sentenze (n. 73/2020,  n.  55/2021  e  n.
143/2021)  la  Corte  e'   giunta   a   dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale del citato divieto di prevalenza anche con riguardo  a
singole circostanze attenuanti ad effetto comune (relative  al  vizio
parziale di mente, al concorso anomalo e al fatto  di  lieve  entita'
del sequestro di persona a scopo di estorsione), connotate da profili
peculiari. 
    3.2. Nell'attuale processo il citato  divieto  fissato  dall'art.
69, comma 4 del  codice  penale  pare  trasmodare  in  una  manifesta
irragionevolezza sia nella misura in  cui  operi  con  riguardo  alla
circostanza attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del  codice
penale, sia nella misura in cui operi a fronte di una  pluralita'  di
circostanze attenuanti. 
    3.3.1.  Sotto  il  primo  profilo,  si  deve  rilevare   che   la
circostanza attenuante speciale di cui all'art.  648-ter.1,  comma  2
del codice penale (nella versione originaria introdotta  dalla  legge
15 dicembre 2014, n. 186 e vigente  fino  alla  sostituzione  operata
dall'art. 1, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 195/2021)
comporta una diminuzione di pena ad effetto speciale e determinata in
modo indipendente dalla fattispecie base: reclusione da uno a quattro
anni e multa da euro 2.500 a euro 12.500, anziche' reclusione da  due
a otto anni e multa da euro 5.000 a euro 25.000. 
    3.3.2. Vi e' quindi una notevole  divaricazione  tra  la  cornice
edittale stabilita dal legislatore per la  fattispecie  base  di  cui
all'art. 648-ter.1, comma 1 del codice penale e quella  prevista  per
l'ipotesi attenuata  di  cui  al  secondo  comma  (minimo  e  massimo
edittali sono entrambi dimezzati). 
    3.3.3. Tale diminuzione dipende  dalla  minore  offensivita'  del
fatto in relazione alla minor gravita' del reato presupposto  (punito
con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni). 
    3.3.4. Occorre altresi' rilevare  che  la  condotta  e  l'oggetto
materiale del delitto di autoriciclaggio  sono  individuati  in  modo
molto ampio, si' da farvi rientrare  una  gamma  assai  variegata  di
comportamenti  («impiega,  sostituisce,  trasferisce,  in   attivita'
economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro,  i
beni o le  altre  utilita'  provenienti  dalla  commissione  di  tale
delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione  della
loro provenienza delittuosa»); parimenti molto ampio e' il  ventaglio
dei possibili reati presupposto (non  limitato  a  specifici  delitti
tassativamente indicati, com'era previsto  nelle  prime  formulazioni
della norma incriminatrice del riciclaggio,  ma  estesa  a  qualunque
delitto  non  colposo)  (1)  ;  a  fronte  di  tali  connotati  della
fattispecie di  reato,  la  risposta  sanzionatoria  si  connota  per
un'apprezzabile severita'. In tale quadro, la circostanza  attenuante
in questione svolge la funzione  essenziale  di  mitigare  il  citato
rigore sanzionatorio per quelle fattispecie che presentino una minore
gravita' oggettiva in ragione della provenienza del denaro o dei beni
oggetto delle  condotte  di  autoriciclaggio  da  delitti  di  minore
gravita'.  In  effetti,  se  per  l'autoriciclaggio   la   previsione
dell'attenuante era coeva alla  prima  incriminazione  del  fatto  di
reato,  l'introduzione  dell'analoga  attenuante  prevista   per   il
riciclaggio era contestuale all'estensione - con la legge n. 328/1993
e in ossequio alle  previsioni  delle  convenzioni  internazionali  -
della rosa dei possibili reati presupposto  dal  novero  limitato  di
reati molto gravi precedentemente previsto (venutosi  a  stratificare
nel corso degli anni) all'intera categoria dei delitti  non  colposi.
(2) 
    3.3.5.  Cosi'  come  rilevato  dalla  Corte  costituzionale   con
riguardo alle altre circostanze oggettive ad effetto speciale di  cui
alle  gia'  menzionate  sentenze,   il   trattamento   sanzionatorio,
significativamente piu' mite, assicurato ai fatti di  autoriciclaggio
aventi ad oggetto denaro,  beni  e  utilita'  provenienti  dai  reati
presupposto meno gravi  «esprime  una  dimensione  offensiva  la  cui
effettiva  portata  e'  disconosciuta  dalla  norma  censurata,   che
indirizza l'individuazione  della  pena  concreta  verso  un  abnorme
enfatizzazione  delle  componenti   soggettive   riconducibili   alla
recidiva reiterata,  a  detrimento  delle  componenti  oggettive  del
reato» (sentenza n. 251/2012). In altri termini, due fatti  -  quello
di autoriciclaggio di denaro, beni o utilita' provenienti dai delitti
piu'  gravi  (ad  es.  sequestro  a  scopo  di  estorsione,   rapina,
concussione, peculato, bancarotta  fraudolenta,  ecc.)  e  quello  di
autoriciclaggio di denaro, beni o  utilita'  provenienti  da  delitti
decisamente meno gravi (ad es. furto,  truffa,  esercizio  arbitrario
delle proprie ragioni, reato di cui all'art. 388 del  codice  penale,
ecc.) «che lo stesso assetto legislativo riconosce come profondamente
diversi sul  piano  dell'offesa,  vengono  ricondotti  alla  medesima
cornice edittale, e cio' "determina un contrasto  tra  la  disciplina
censurata e l'art. 25, secondo comma della Costituzione, che pone  il
fatto  alla  base  della  responsabilita'   penale"»   (sentenza   n.
251/2012). 
    Come ormai rilevato piu' volte dalla Corte (sentenza n.  251/2012
e successive), «la recidiva reiterata "riflette i due  aspetti  della
colpevolezza e della pericolosita', ed e' da ritenere che questi, pur
essendo pertinenti al reato, non possano assumere,  nel  processo  di
individualizzazione  della  pena,  una  rilevanza  tale  da  renderli
comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio
di offensivita'  e'  chiamato  ad  operare  non  solo  rispetto  alla
fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto  a  tutti  gli
istituti che incidono sulla individualizzazione della  pena  e  sulla
sua  determinazione  finale.  Se  cosi'  non  fosse,   la   rilevanza
dell'offensivita'   della   fattispecie   base   potrebbe   risultare
'neutralizzata' da un processo di individualizzazione prevalentemente
orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosita'"». 
    3.3.6. Inoltre, rispetto a un autoriciclaggio di beni provenienti
da delitto punito con la reclusione inferiore nel  massimo  a  cinque
anni, per  effetto  dell'equivalenza  tra  la  recidiva  reiterata  e
l'attenuante in questione, l'imputato verrebbe di fatto a  subire  un
aumento di pena  sensibilmente  superiore  a  quello  previsto  dallo
stesso art. 99, comma 4 del  codice  penale:  l'annullamento  di  una
riduzione pari alla meta' equivale infatti ad  un  aumento  del  100%
anziche' ad un aumento della meta' o  dei  due  terzi,  quale  quello
previsto a seconda dei casi dall'art. 99, comma 4 del codice penale. 
    Esemplificando, a fronte di un fatto punibile con la pena minima,
il reo che benefici dell'attenuante ex art. 648-ter.1,  comma  2  del
codice penale si vedra' applicata la pena di anni uno  di  reclusione
anziche' la pena di anni due (3) ; ove tale attenuante  fosse  invece
neutralizzata dall'equivalenza forzata  con  la  recidiva  reiterata,
l'applicazione della pena di anni due di  reclusione  significherebbe
legare alla  citata  recidiva  un  aumento  del  100%  (anni  due  di
reclusione anziche' anni uno), in luogo di quello della meta' (50%) o
dei due terzi (66,6%) previsto  dall'art.  99,  comma  4  del  codice
penale. 
    Si rilevi peraltro che a tale aumento si  accompagna  l'ulteriore
aumento vincolato  (nella  misura  di  almeno  un  terzo  della  pena
applicata per il reato piu' grave), sempre riconnesso  alla  recidiva
reiterata (gia' applicata in precedente sentenza, come  nel  caso  in
esame), previsto dall'art. 81, comma 4  del  codice  penale  ai  fini
della continuazione. 
    3.3.7. Alla luce  di  quanto  precede  la  norma  censurata  pare
illegittima, in quanto in contrasto sia con l'art. 3 sia  con  l'art.
25, comma 2 della Costituzione, posto  che  determina  l'applicazione
irragionevole della stessa pena a fatti oggettivamente diversi  e  in
modo non rispettoso del principio di offensivita'. 
    3.3.8. La norma qui censurata  pare  violare  anche  il  disposto
dell'art. 27,  comma  3  della  Costituzione  sotto  il  profilo  del
principio  di  proporzionalita'  della   pena   e   della   finalita'
rieducativa della stessa. 
    La Corte costituzionale nelle precedenti sentenze gia' menzionate
ha rilevato che la citata norma «nel precludere la  prevalenza  delle
circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza "una deroga
rispetto a un principio generale che governa la  complessa  attivita'
commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri  di
determinazione della pena base con  quelli  mediante  i  quali  essa,
secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27,  terzo
comma della Costituzione, diviene adeguata al caso  di  specie  anche
per mezzo dell'applicazione delle circostanze" (sentenze n.  251  del
2012 e n. 183 del 2011)»  (sentenze  n.  106  e  n.  105  del  2014)"
(sentenza  n.  205/2017).  Anche  nel  caso  in  esame   il   divieto
legislativo  di  soccombenza  della   recidiva   reiterata   rispetto
all'attenuante di cui all'art. 648-ter.1, comma 2 del  codice  penale
pare impedire il necessario adeguamento, determinando un  trattamento
sanzionatorio sproporzionato, con conseguente contrasto anche con  la
finalita' rieducativa della pena: in quanto sproporzionata,  la  pena
non potrebbe mai infatti essere percepita dal condannato come  giusta
ed esplicare quindi la propria funzione rieducativa; al contrario  il
condannato -  che  per  effetto  della  recidiva  reiterata  si  veda
assoggettato ad una pena enormemente piu'  alta  di  quella  che  gli
sarebbe altrimenti  applicata  -  non  potrebbe  che  percepire  come
irragionevole la pena stessa e non aderirebbe quindi  al  trattamento
rieducativo. 
    3.4. Venendo alla  seconda  questione,  che  si  propone  in  via
subordinata,  si  deve  rilevare  che  nel  caso   di   specie   sono
riconoscibili   all'imputato   piu'   circostanze   attenuanti    (la
circostanza ex art.  648-ter.1,  comma  2  del  codice  penale  e  le
circostanze attenuanti generiche). 
    In tale  quadro,  il  divieto  legislativo  di  prevalenza  delle
attenuanti comporta a maggior ragione  un  trattamento  sanzionatorio
sproporzionato, ancor maggiore essendo l'incidenza sullo stesso delle
componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata. 
    Nell'esempio gia' formulato (avente  ad  oggetto,  per  comodita'
espositiva, la  forma  consumata  e  l'applicazione  della  pena  nel
minimo) il reo che benefici dell'attenuante ex art. 648-ter.1,  comma
2 del codice penale e delle attenuanti generiche nella  loro  massima
estensione si vedra' applicata per l'autoriciclaggio la pena di  mesi
otto di reclusione anziche' la pena di anni due di reclusione  (4)  ;
ove tali attenuanti  fossero  invece  neutralizzate  dall'equivalenza
forzata con la recidiva reiterata, l'applicazione della pena di  anni
due di reclusione significherebbe  legare  alla  citata  recidiva  un
aumento del 200% della pena (anni due, e cioe' mesi ventiquattro,  di
reclusione in luogo dei mesi otto che sarebbero applicati in  assenza
della recidiva), in luogo di quello della meta' (50%) o dei due terzi
(66,6%) previsto dall'art. 99, comma 4 del codice penale. 
    Vengono quindi in  rilievo,  con  ancora  maggior  evidenza,  gli
attriti tra tale deroga al giudizio di bilanciamento e i principi  di
ragionevolezza, proporzionalita' della pena e  finalita'  rieducativa
della pena, gia' in precedenza illustrati. 
    4. Impossibilita' di un'interpretazione conforme. 
    Non risultano percorribili interpretazioni conformi  della  norma
ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione,  chiaro  e
univoco essendo  il  dato  letterale  (la  disposizione  e'  peraltro
interpretata in modo costante dalla giurisprudenza in conformita'  al
citato dato letterale). 

(1) Per  effetto  delle  successive  modifiche  apportate  nel  2021,
    possono ora costituire  il  reato  presupposto  anche  i  delitti
    colposi e le contravvenzioni piu' gravi. 

(2) Il decreto legislativo n. 195/2021 nell'ampliare ulteriormente la
    rosa dei possibili reati presupposto (sia  del  riciclaggio,  sia
    dell'autoriciclaggio), estendendola anche ai  delitti  colposi  e
    alle     contravvenzioni     piu'     gravi,     ha      previsto
    un'ulteriore circostanza  attenuante  con  riferimento  ai  fatti
    riguardanti   denaro,   beni   e   utilita'   provenienti   dalle
    contravvenzioni. 

(3) Per semplicita' si fa riferimento al reato consumato  anziche'  a
    quello tentato. 

(4) Per semplicita' si fa riferimento al reato consumato  anziche'  a
    quello tentato.