IL TRIBUNALE DI MILANO 
                      undicesima Sezione penale 
 
    Il giudice dott. Lorella Trovato, letti gli atti del procedimento
a carico di F. D. imputato dei reati di cui  agli  articoli  590-bis,
commi 1 e 6 e  590-ter  del  codice  penale  (cosi'  come  modificata
l'imputazione all'udienza del 21 marzo 2022 e all'odierna udienza)  e
189 CdS, commessi in [...] il [...]  CdS,  con  la  recidiva  di  cui
all'art. 99, comma 1 e comma 2 numeri 1), 2) e 3) del  codice  penale
e, in particolare, dei reati di cui: 
        A) agli articoli 590-bis, comma 1 (ipotesi di  lesioni  gravi
in relazione all'art. 583, comma 1 del codice penale),  comma  6  del
codice penale e 590-ter del codice penale perche',  quale  conducente
del veicolo [...] tg [...], transitando lungo la  strada  urbana  del
comune di  [...]  viale  [...]  in  corrispondenza  dell'intersezione
semaforizzata  con  via  [...],  non  regolando   la   velocita'   in
prossimita' della predetta intersezione,  non  essendo  in  grado  di
compiere manovre di sicurezza al fine di evitare  possibili  ostacoli
ed omettendo di fermarsi per dare la precedenza al pedone  V.  I.  in
quel momento transitante sull'attraversamento pedonale  e  quindi  in
violazione degli articoli 141, comma 8 e comma 11 e 191  del  decreto
legislativo n. 285/1992 (codice della strada),  urtava  violentemente
V. I. sbalzandola in avanti ad una  distanza  di  diversi  metri  dal
punto di impatto e quindi facendola  successivamente  precipitare  al
suolo, cagionandole lesioni personali  consistite  in  «pneumotorace,
lacerazione epatica, trauma cranico con ematoma subdurale  emisferico
cerebrale sx e frattura cellette  mastoidee  ed  osso  parietale  sx,
frattura bacino complessa, frattura  complessa  a  decorso  verticale
dell'ala sacrale sinistra, plurifocale scomposta della sinfisi pubica
a dx e distacco osseo parcellare a livello della sinfisi a  sx  senza
diastasi. Frattura  della  branca  ileo  e  ischio-pubica  dx  e  sx.
Frattura del collo chirurgico omero sx, con  distacco  del  trochide,
frattura pluriframmentaria diafisaria tibia sx, frattura VI costa sx,
VIII e X costa dx, frattura processo trasverso L5. Frattura  composta
del corpo della scapola sx», lesioni dalle quali derivava pericolo di
vita per la persona offesa che  a  seguito  dell'investimento  veniva
ricoverata in «codice rosso» e prognosi riservata presso  il  reparto
di rianimazione dell'ospedale [...], prognosi che veniva  sciolto  il
successivo [...] con valutazione del tempo di guarigione pari a cento
giorni s.c. 
        Con la circostanza  aggravante  di  aver  commesso  il  fatto
ponendosi alla guida di veicolo con patente sospesa e con l'ulteriore
aggravante di darsi alla fuga. 
        In [...] in data [...]. 
        B) All'art. 189, comma 6 e comma 7 del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (codice della strada) perche', nelle  circostanze
indicate al superiore capo A) di imputazione e dopo aver cagionato il
sinistro stradale  ivi  descritto,  non  ottemperava  all'obbligo  di
fermarsi e di prestare assistenza alla persona ferita. 
        In [...] in data [...]. 
    Con recidiva ex art. 99, comma 1, comma 2, n. 1) e  2),  comma  3
del codice penale. 
    Letta la memoria depositata il 12 luglio 2022 con cui  la  difesa
dell'imputato ha chiesto  al  giudice  di  sollevare  l'eccezione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 590-ter del codice penale, in
relazione alla prima parte del  primo  comma  dell'art.  590-bis  del
codice penale per contrasto con gli articoli 3 e 27,  primo  e  terzo
comma della Costituzione; 
 
                               Osserva 
 
    Occorre premettere che il reato piu' grave tra i  due  contestati
al F. (e rispetto al quale il giudice dovra' stabilire,  in  caso  di
condanna, la pena base), risulta essere quello di cui  agli  articoli
590-bis e 590-ter  del  codice  penale,  poiche'  tale  ultima  norma
prevede che il giudice non possa irrogare una pena inferiore ad  anni
tre di reclusione, mentre con riferimento al reato  di  cui  all'art.
189 CdS, punito con una pena da uno a tre  anni  di  reclusione,  pur
tenendosi conto dell'aumento di pena (della meta') in  ragione  della
recidiva contestata (e che puo' avere effetto solo per  tale  delitto
non colposo), la cornice edittale all'interno della quale il  giudice
e' chiamato a decidere va da un minimo di anni uno e mesi sei  ad  un
massimo di anni quattro e mesi sei. Seppure e' vero che in  tal  modo
la pena massima supera quella prevista dall'art.  590-ter,  e'  anche
vero che secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimita',
in caso di concorso di reati, il giudice, pur potendo  ritenere  piu'
grave il reato punito con la pena edittale piu' elevata nel  massimo,
non puo' irrogare una pena inferiore nel minimo a quella prevista per
il reato satellite (Cassazione - Sezioni Unite -  sentenza  n.  25939
del 28 febbraio  2013).  Peraltro,  in  relazione  al  reato  di  cui
all'art. 189 CdS (che, quantomeno  nell'ipotesi  di  cui  al  settimo
comma, non e' assorbito dall'aggravante di cui all'art.  590-ter  del
codice penale - cfr. Cassazione Pen. Sezione quarta sentenza n. 25842
del 15 marzo 2019), e' possibile operare il giudizio  di  equivalenza
tra eventuali circostanze attenuanti e la recidiva,  con  conseguente
riduzione della pena irrogabile all'ipotesi «base» del minimo di anni
uno e del massimo di anni tre di reclusione, cio' a differenza  della
disciplina concernente le lesioni da incidente stradale che, in forza
dell'art. 590-quater del codice penale, non consente il  giudizio  di
equivalenza  o  di  prevalenza  tra  le  circostanze  attenuanti  (ad
eccezione di quelle previste dagli  articoli  98  e  114  del  codice
penale) e l'aggravante di cui all'art. 590-ter del codice penale (ed,
altresi', l'aggravante di cui all'art. 590-bis, comma  6  del  codice
penale, pure contestata al F.). 
    Tutto cio' al fine  di  evidenziare  la  rilevanza  ai  fini  del
decidere della questione posta dalla difesa  sulla  costituzionalita'
della pena prevista dall'art. 590-ter del codice penale. 
    Osserva correttamente la difesa che le lesioni colpose gravi sono
punite dall'art. 590-bis del codice penale con la pena da tre mesi ad
un anno di reclusione. Per effetto dell'aumento (da un  terzo  a  due
terzi) stabilito nella  prima  parte  dell'art.  590-ter  del  codice
penale (che non distingue tra lesioni gravi e lesioni gravissime), la
pena edittale per le lesioni gravi si attesterebbe da  un  minimo  di
mesi quattro e ad un massimo di anni uno e mesi otto  di  reclusione.
Lo sbarramento a tre anni di reclusione quale pena minima  irrogabile
imposta dalla seconda parte dell'art. 590-ter, pertanto, si trova  al
di fuori del range di pena irrogabile in base agli aumenti  stabiliti
nella prima parte della medesima norma e ben al di sopra del  massimo
di pena che con tali aumenti si raggiungerebbe. 
    Con la previsione di un'entita' di pena che nel minimo supera  il
massimo irrogabile in  forza  delle  residue  norme  applicabili,  il
giudice si trova quindi ad infliggere una pena «fissa» di tre anni di
reclusione, non potendo scendere al di sotto di  tale  misura  e  non
essendovi piu', in tal modo, un massimo  al  quale  fare  riferimento
(superato, appunto, dal minimo). 
    Diversamente accade per le  lesioni  stradali  gravissime  e  per
l'omicidio stradale, per i quali i combinati disposti degli  articoli
590-bis, 589-bis, da un lato,  e  590-ter  prima  parte,  dall'altro,
consentono di riportare lo sbarramento della pena minima a  tre  anni
di reclusione nella cornice edittale prevista in  base  agli  aumenti
(sulle rispettive pene base) previsti  dalla  prima  parte  dell'art.
590-ter. 
    La previsione di una pena  «fissa»,  invece,  contrasta  con  gli
articoli 3 e 27 della Costituzione poiche' impedisce  al  giudice  di
adeguare la sanzione alla concreta gravita' del fatto, in  violazione
non solo del principio di uguaglianza, ma anche  delle  finalita'  di
rieducazione del condannato e del divieto di trattamenti contrari  al
senso di umanita', che ricomprende  la  possibilita'  di  trattamenti
sanzionatori individualizzati e proporzionali. 
    Come e' noto la Corte costituzionale si e' piu' volte pronunciata
sulla  possibilita'   di   dichiarare   l'illegittimita'   di   norme
concernenti pene (o, piu' in generale, di trattamenti  sanzionatori),
affermando che  la  determinazione  della  pena  per  le  fattispecie
criminose e' materia affidata alla discrezionalita' del  legislatore,
in quanto le valutazioni in ordine alla meritevolezza e al bisogno di
pena sono, per loro natura, tipicamente politiche. Tuttavia,  ritiene
la Corte, le scelte legislative in materia sono censurabili, in  sede
di sindacato di legittimita' costituzionale, quando trasbordino nella
manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio (cfr.  da  ultimo  in  tal
senso sentenze n. 155 dell'8 maggio 2019  e  n.  95  del  5  febbraio
2019). 
    Come e' noto la Corte costituzionale e'  intervenuta  piu'  volte
per dichiarare l'illegittimita' di  alcuni  trattamenti  sanzionatori
«rigidi», come quello, previsto dall'art. 69 del codice penale, circa
il divieto di prevalenza  di  una  serie  di  circostanze  attenuanti
rispetto alla recidiva qualificata ex art. 99, IV  comma  del  codice
penale, e cio' proprio per l'effetto  che  tale  divieto  determinava
sull'entita' della pena cosi'  irrogabile,  ritenuta  sproporzionata,
non adeguabile al disvalore concreto dei fatti e, in ultima  analisi,
irragionevole (cfr., tra le altre, sentenza n.  251  del  5  novembre
2012 con riferimento all'attenuante di cui all'art. 73, V  comma  del
decreto  del  Presidente   della   Repubblica   n.   309/1990   nella
formulazione previgente; sentenza  n.  105  del  18  aprile  2014  in
relazione all'attenuante di cui all'art. 648,  comma  II  del  codice
penale;  sentenza  n.  205  del   17   luglio   2017   in   relazione
all'attenuante di cui all'art. 219, comma III, L.F.). 
    La Corte e' altresi'  intervenuta,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale, in un caso analogo a quello che qui  ci  occupa.  Con
sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 i giudici della  Consulta  hanno,
infatti,  censurato  l'ultimo  comma  dell'art.   216   della   legge
fallimentare nella parte in cui, in relazione al reato di  bancarotta
fraudolenta, prevedeva per  le  pene  accessorie  dell'inabilitazione
all'esercizio  di  un'impresa  commerciale  e   dell'incapacita'   ad
esercitare uffici direttivi, la  durata  «di  dieci  anni»,  anziche'
«fino a dieci anni». Si legge nella sentenza. «La durata fissa  delle
pene accessorie previste dall'art. 216,  ultimo  comma,  della  legge
fallimentare non appare, in linea di  principio,  compatibile  con  i
principi costituzionali in materia di  pena,  e  segnatamente  con  i
principi  di  proporzionalita'  e   necessaria   individuazione   del
trattamento sanzionatorio.  Secondo  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, la determinazione del trattamento sanzionatorio  per  i
fatti previsti come reato  e'  riservato  alla  discrezionalita'  del
legislatore, in conformita' a quanto stabilito dall'art. 25,  secondo
comma della Costituzione; tuttavia, tale discrezionalita' incontra il
proprio  limite  nella  manifesta   irragionevolezza   delle   scelte
legislative, limite che - in subiecta materia - e' superato allorche'
le pene comminate  appaiano  manifestamente  sproporzionate  rispetto
alla gravita' del fatto previsto quale reato. In tal caso, si profila
infatti  una  violazione  congiunta  degli  articoli  3  e  27  della
Costituzione, giacche' una pena non proporzionata alla  gravita'  del
fatto (e percepita  come  tale  dal  condannato)  si  risolve  in  un
ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis,  sentenze  n.  236
del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). Affinche'  poi  la  pena
inflitta  al  singolo  condannato  non  risulti   sproporzionata   in
relazione alla concreta gravita', oggettiva e soggettiva,  del  fatto
da lui commesso, il legislatore stabilisce normalmente  che  la  pena
debba essere commisurata dal giudice tra  un  minimo  e  un  massimo,
tenendo  conto  in  particolare  della  vasta  gamma  di  circostanze
indicate negli articoli 133 e 133-bis del codice penale, in  modo  da
assicurare altresi' che la pena appaia una risposta - oltre  che  non
sproporzionata  -  il  piu'  possibile  "individualizzata"  e  dunque
calibrata sulla situazione del singolo condannato in  attuazione  del
mandato costituzionale di "personalita'" della responsabilita' penale
di cui all'art. 27, primo comma della Costituzione» (...). «La durata
delle pene accessorie  temporanee  comminate  dall'art.  216,  ultimo
comma,  della  legge  fallimentare  resta   (...)   indefettibilmente
determinata in dieci anni, quale che sia la  qualificazione  astratta
del reato ascritto all'imputato  (...)  quale  che  sia  la  gravita'
concreta delle condotte costitutive di tale reato; e resta,  altresi'
insensibile all'eventuale sussistenza delle circostanze aggravanti  o
attenuanti previste dall'art. 219 della medesima legge».  (...)  «Una
simile rigidita' applicativa non puo' che determinare la possibilita'
di risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso -
e dunque in contrasto con gli articoli 3 e 27  della  Costituzione  -
rispetto ai fatti di bancarotta  fraudolenta  meno  gravi;  e  appare
comunque    distonica    rispetto     al     menzionato     principio
dell'individualizzazione del trattamento sanzionatorio». 
    Se le valutazioni appena esposte valgono con riferimento  ad  una
pena accessoria, a maggior ragione devono valere con riguardo ad  una
pena principale, che, al  pari  di  quella  prevista  dall'art.  216,
ultimo comma,  L.F.  e'  stabilita,  dalla  seconda  parte  dell'art.
590-ter  del  codice  penale   in   misura   «fissa»   e,   peraltro,
contraddittoria, quanto alle lesioni  colpose  gravi,  rispetto  alla
pena  ricavabile  dagli  aumenti  stabiliti  nella  prima  parte  del
medesimo articolo di legge. 
    Ne consegue che si deve ritenere rilevante e  non  manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
590-ter del codice penale nella parte in cui prevede, per le  lesioni
colpose gravi da incidente stradale, la pena minima e fissa  di  anni
tre  di  reclusione  per  violazione  dei  principi  di  uguaglianza,
personalita' e proporzionalita' della pena, nonche'  delle  finalita'
rieducative alla stessa attribuite e di cui gli articoli 3 e 27 della
Costituzione;