Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia  (codice  fiscale  n.
80014930327), in persona del  Presidente  della  Regione  pro-tempore
dott.  Massimiliano  Fedriga,  autorizzato  con  deliberazione  della
Giunta regionale 23 settembre 2022, n. 1361 (doc. 1), rappresentata e
difesa, come da  procura  speciale  in  calce  al  presente  ricorso,
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (codice fiscale FLCGDM45C06L736E)
del Foro di Padova, con studio in Padova, via San Gregorio  Barbarigo
n.    4    -    tel.    049-660231,    telefax    049-8776503,    PEC
giandomenico.falcon@ordineavvocatipadova.it e dagli avvocati  Daniela
Iuri        (cod.         fisc.         RIUDNL63M56L483B,         PEC
daniela.iuri@certregione.fvg.it), Avvocato della Regione, e  Beatrice
Croppo       (codice       fiscale       CRPBRC62L47C758R,        Pec
beatrice.croppo@certregione.fvg.it)    dell'Avvocatura     Regionale,
entrambe con  sede  a  Trieste,  piazza  Unita'  d'Italian.  1,  tel.
040-3772913,  telefax  0403772929,  con   domicilio   eletto   presso
l'Ufficio di rappresentanza  della  Regione  Autonoma  Friuli-Venezia
Giulia in 00186 Roma, piazza Colonna, n. 355 per la dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale degli articoli: 
      5, comma 6; 
      6, comma 2, lett. c); 
      7, comma 1, primo periodo; 
      7, comma 1, secondo periodo; 
      7, comma 1, lett. c), 
    della legge 15 luglio 2022, n. 106 recante «Delega al  Governo  e
altre  disposizioni  in  materia  di  spettacolo»,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 180 del  3  agosto  2022,  per
violazione degli artt. 4, primo comma nn. 1), 1-bis) e 14), e 8 dello
statuto speciale e delle relative norme di attuazione, in particolare
dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica  25  novembre
1975, n. 902; 
    anche in combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n.
3 del 2001, degli artt. 117, commi terzo,  quarto  e  sesto,  e  118,
primo e secondo comma, Cost.; 
    del principio di leale collaborazione (art. 120,  secondo  comma,
Cost.); 
    del principio di legalita' (art. 97, secondo comma, Cost.); 
    dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza (art. 3 Cost.). 
 
                                Fatto 
 
    Nella Gazzetta Ufficiale del 3 agosto  2022,  n.  180,  e'  stata
pubblicata la legge 15  luglio  2022,  n.  106,  recante  «Delega  al
Governo e altre disposizioni in materia di spettacolo». 
    Come enuncia il titolo stesso della legge, essa contiene, accanto
alle  norme  di  delega  (che  non  formano  oggetto  della  presente
controversia), altre disposizioni, destinate a  trovare  applicazione
immediata e  in  parte  dirette  alle  Regioni,  comprese  quelle  ad
autonomia speciale. 
    Alcune di esse risultano, ad  avviso  della  ricorrente  Regione,
lesive delle  proprie  attribuzioni  costituzionali.  Si  tratta,  in
particolare, di talune disposizioni degli artt. 5, 6 e 7 della legge. 
    Conviene  tuttavia  premettere,  per   chiarezza   in   relazione
all'oggetto del presente giudizio, che non si  contestano  in  quanto
tali, in questa sede, ne' l'Osservatorio nazionale dello spettacolo e
i compiti ad esso attribuiti, ne' il Sistema nazionale a  rete  degli
osservatori dello spettacolo;  si  contestano,  invece,  da  un  lato
difetti di leale collaborazione nel delineare il ruolo delle Regioni,
e in particolare della Regione Friuli  Venezia  Giulia,  nel  sistema
cosi' istituito, dall'altro  talune  interferenze,  ad  avviso  della
ricorrente Regione indebite,  che  la  legge  statale  prevede  sulle
modalita' di esercizio delle competenze legislative e  amministrative
della Regione. 
    Le disposizioni oggetto del presente giudizio. 
    Gli  artt.  5  e  6  della  legge  n.  106  del   2022   innovano
profondamente la natura dell'Osservatorio  dello  spettacolo,  organo
gia' istituito dall'art. 5 della legge 30 aprile 1985, n. 163. Questo
era   un   organismo   meramente   interno,   istituito   nell'ambito
dell'ufficio studi e programmazione dell'allora Ministero del turismo
e dello spettacolo. 
    Il  nuovo  Osservatorio,  invece,  e'  istituito  «al   fine   di
promuovere  le  iniziative  nel  settore  dello   spettacolo»   quale
baricentro del Sistema  nazionale  a  rete  degli  osservatori  dello
spettacolo istituito dall'art. 6 del quale «fanno parte» -  ai  sensi
del primo comma - «l'Osservatorio dello spettacolo, di  cui  all'art.
5, egli osservatori regionali dello spettacolo, di cui all'art. 7». 
    Si tratta, dunque, di un sistema integrato e condiviso tra  Stato
e Regioni. 
    Esso e' ora chiamato, oltre  che  a  raccogliere  i  dati  e  gli
elementi di conoscenza di cui all'art. 5, comma 2, ad «individuare le
linee di tendenza dello spettacolo nel suo complesso  e  dei  singoli
settori nei mercati nazionali e internazionali» ,  a  promuovere  «il
coordinamento con le  attivita'  degli  osservatori  istituiti  dalle
regioni  con   finalita'   analoghe,   anche   alfine   di   favorire
l'integrazione di studi, ricerche e iniziative scientifiche  in  tema
di promozione nel settore dello spettacolo» (art. 5,  comma  3)  e  a
provvedere «alla  realizzazione  del  Sistema  informativo  nazionale
dello spettacolo, al quale concorrono  tutti  i  sistemi  informativi
esistenti». 
    In questo quadro, ad  avviso  della  ricorrente  Regione  e  come
meglio si dira' nella parte in diritto,  la  compartecipazione  delle
Regioni mediante il meccanismo  dell'intesa  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome, come disciplinato dalla legge  n.  281  del  1997,  risulta
costituzionalmente necessaria  non  solo  per  la  definizione  delle
«modalita' di coordinamento e di  indirizzo  dell'Osservatorio  dello
spettacolo  nell'ambito  del  Sistema   nazionale»,   come   previsto
dall'art. 6, comma 2, bensi' - ed in primo luogo - per la definizione
della   «composizione   e   delle    modalita'    di    funzionamento
dell'Osservatorio nazionale». 
    Invece,  l'art.  5,  comma  6,  prevede  che  le  Regioni   siano
semplicemente  sentite,  e   dunque   coinvolte   soltanto   mediante
l'espressione di un parere espresso. 
    Di qui la presente impugnazione. 
    L'art.  6  della  legge  istituisce,  come  detto,  il   «sistema
nazionale a rete degli osservatori dello spettacolo»,  integrato  tra
Stato e Regioni: al fine  di  «assicurare  omogeneita'  ed  efficacia
all'azione conoscitiva del settore dello spettacolo  dal  vivo  e  di
supporto pubblico alle relative attivita', e'  istituito  il  Sistema
nazionale a rete  degli  osservatori  dello  spettacolo,  di  seguito
denominato «Sistema nazionale», del quale fanno parte  l'Osservatorio
dello spettacolo, di cui all'art.  5,  e  gli  osservatori  regionali
dello spettacolo, di cui all'art. 7». 
    Il comma 2 affida ad  un  decreto  del  Ministro  della  cultura,
adottato previa  intesa  in  sede  di  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, la definizione delle  modalita'  di  coordinamento  e  di
indirizzo dell'Osservatorio dello spettacolo nell'ambito del  Sistema
nazionale. La  presente  impugnazione  non  solo  non  contesta  tale
meccanismo, ma  al  contrario  ne  chiede  l'estensione  alla  stessa
disciplina dell'Osservatorio nazionale. 
    Il comma 3 prevede che lo stesso decreto regoli anche: 
      a) le modalita' operative per lo  svolgimento  di  attivita'  a
supporto degli osservatori regionali o in  collaborazione  con  essi,
nel territorio di rispettiva competenza; 
      b) le modalita', gli strumenti e i criteri per il  monitoraggio
delle  attivita'  dello  spettacolo,  nonche'  per  la  raccolta,  la
valutazione e l'analisi dei relativi dati,  anche  a  supporto  delle
attivita'  di  programmazione,  monitoraggio  e   valutazione   degli
interventi; 
      c) le modalita' operative di realizzazione e funzionamento  del
Sistema nazionale. La presente impugnazione si riferisce alla lettera
c), ed ha natura  cautelativa.  Infatti,  l'ambito  delle  «modalita'
operative di realizzazione e  funzionamento  del  Sistema  nazionale»
risulta  indeterminato,  e  potrebbe  essere  inteso  nel  senso   di
includere la stessa  disciplina  degli  Osservatori  regionali  dello
spettacolo. 
    L'art. 7 e' dedicato agli Osservatori regionali dello spettacolo. 
    Esso  si  apre,  in  realta',  con  una   enunciazione   generale
concernente  la  materia   dello   spettacolo,   secondo   la   quale
«nell'ambito  delle  competenze  istituzionali  e  nei  limiti  delle
risorse  disponibili  a  legislazione   vigente,   le   regioni,   in
applicazione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza, prossimita'
ed efficacia, concorrono all'attuazione dei principi generali di  cui
all'art. 1 della legge 22  novembre  2017,  n.  175,  quali  principi
fondamentali  ai  sensi  dell'art.   117   ,   terzo   comma,   della
Costituzione» (comma 1, primo periodo). 
    La ricorrente  Regione  ritiene  che  tale  formulazione  sia  in
evidente contrasto con le sue competenze costituzionali. 
    Il  secondo  periodo  riguarda  specificamente  gli   Osservatori
regionali,  disponendo  che  le  Regioni,  «sulla  base  di   criteri
stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano: 
      a) promuovono  l'istituzione  di  osservatori  regionali  dello
spettacolo per la condivisione e lo scambio di dati e di informazioni
sulle attivita' dello spettacolo dal vivo; 
      b) verificano, anche attraverso gli osservatori regionali dello
spettacolo,  l'efficacia  dell'intervento  pubblico  nel   territorio
rispetto ai  risultati  conseguiti,  anche  attraverso  attivita'  di
monitoraggio e  valutazione,  in  collaborazione  con  l'Osservatorio
dello spettacolo; 
      c)  promuovono  e  sostengono,   attraverso   gli   osservatori
regionali  dello  spettacolo,  anche  con  la  partecipazione   delle
province, delle citta' metropolitane e dei comuni, direttamente o  in
concorso con lo Stato, le attivita' dello spettacolo dal vivo». 
    La ricorrente  Regione  ritiene  che  il  vincolo  della  propria
legislazione agli accordi sanciti in sede  di  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano non sia conforme ne' allo  Statuto  di  autonomia
ne' alla Costituzione. 
    Ritiene  inoltre  che  sia  costituzionalmente  illegittima,   in
particolare, la lettera  c),  nella  parte  in  cui  dispone  che  la
promozione regionale e sostegno delle attivita' dello spettacolo  dal
vivo  sia  svolta  «attraverso  gli   osservatori   regionali   dello
spettacolo, anche con la partecipazione delle province, delle  citta'
metropolitane e dei comuni, direttamente o in concorso con lo Stato». 
    Cosi' precisato l'oggetto della presente impugnazione, la Regione
autonoma ritiene che  le  disposizioni  indicate  in  epigrafe  siano
costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
    Le competenze della Regione autonoma in materia di spettacolo. 
    La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha potesta' legislativa
primaria in materia di spettacolo,  oggetto  compreso  nella  materia
«istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di
interesse locale e regionale», indicata nell'art. 4, numero 14, dello
statuto speciale (legge cost. n. 1 del 1963). 
    Ai sensi dell'art. 8  dello  statuto  la  Regione  dispone  delle
competenze amministrative nelle materie  di  competenza  legislativa,
secondo il principio del parallelismo che tuttora governa le  materie
statutarie (sentenza n. 112 del 2022, punto 2.1; sentenze n. 238  del
2007, punto 3, e n. 286 del 2007, punto 2). 
    La  Regione  autonoma  esercita  le   funzioni   legislative   ed
amministrative nella materia da oltre cinquant'anni, considerando che
sin dal decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975,  n.
902, recante «Adeguamento ed integrazione delle norme  di  attuazione
dello statuto speciale della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia»,  sono
state  «trasferite  alla  regione  Friuli-Venezia  Giulia  tutte   le
funzioni amministrative degli  organi  centrali  e  periferici  dello
Stato, in materia di istituzioni  culturali,  che  abbiano  sede  nel
territorio regionale e vi svolgano prevalentemente la loro attivita'»
(art. 3), e che anche in precedenza la Regione interveniva con misure
di sostegno allo spettacolo. 
    La posizione della Regione autonoma,  al  pari  di  quella  degli
altri enti ad autonomia differenziata, e'  stata  riconosciuta  anche
dalla legislazione statale successiva, tant'e' che la stessa legge 22
novembre 2017, n. 175,  «Disposizioni  in  materia  di  spettacolo  e
deleghe al Governo per il riordino della  materia»,  al  cui  art.  1
rinvia il qui impugnato art. 7, comma 1, reca una specifica «clausola
di salvaguardia» nel suo art. 6, a mente del quale  «le  disposizioni
della  presente  legge  sono  applicabili  nelle  regioni  a  statuto
speciale  e  nelle  province  autonome  di  Trento   e   di   Bolzano
compatibilmente con i rispettivi  statuti  e  le  relative  norme  di
attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3». 
    Nell'esercizio della ridetta competenza la Regione autonoma si e'
dotata, per quanto qui di interesse,  di  un  Osservatorio  regionale
della cultura, istituito con la legge regionale 11  agosto  2014,  n.
16, recante «Norme regionali in materia di attivita' culturali». 
    L'art. 7 della legge citata, infatti, dispone che  «e'  istituito
l'Osservatorio regionale della cultura nel Friuli Venezia Giulia,  di
seguito  denominato  Osservatorio,  con  sede  presso  la   direzione
centrale competente in materia di cultura» (comma 1) ed affida a tale
ufficio  il  compito  di  «raccoglie  [re]  informazioni  statistiche
attinenti alla domanda e all'offerta di servizi e attivita' culturali
e di spettacolo e alla consistenza dei beni culturali nella  Regione,
suscettibili  di  raffronto  e  comparazione  con   le   informazioni
provenienti   da   analoghe   rilevazioni   sviluppate   a    livello
sovranarionale, nazionale e in altre Regioni, redige[re] le relazioni
di cui all'art. 5, comma 1, lettera a), ed elabora [re] studi utili a
conoscere e documentare lo stato e l'evoluzione delle  attivita'  del
settore a servizio delle amministrazioni pubbliche competenti per  la
definizione delle politiche e la programmazione degli  interventi  in
materia». Il comma 3 prevede che «le funzioni  di  Osservatorio  sono
esercitate  dall'Amministrazione  regionale,  avvalendosi  dei   dati
forniti dal Servizio regionale competente in  materia  di  statistica
ovvero  da  Promoturismo  FVG  o   da   altro   soggetto   incaricato
dall'Amministrazione regionale della raccolta dei dati. 
    Con specifico riferimento alle sovvenzioni per gli spettacoli dal
vivo, inteso, ai sensi dell'art. 8 della legge regionale  n.  16  del
2014, come «l'attivita' di rappresentazione  teatrale,  musicale,  di
danza, anche in forme integrate tra loro, che avviene  alla  presenza
diretta del pubblico», la medesima legge regionale n. 16 del 2014  ha
disciplinato, nel capo I (articoli da 8 a 17-ter), i  diversi  canali
di finanziamento,  allocando  a  livello  regionale  la  funzione  di
finanziamento e promovendo la diffusione  della  cultura  musicale  e
sinfonica nel territorio regionale (art.  17-bis)  anche  nel  quadro
della promozione del principio di sussidiarieta' in senso orizzontale
(art. 118, ultimo comma, Cost.).  Trattasi  del  resto,  di  funzione
disciplinata dalla Regione autonoma fin dalla legge regionale  luglio
1969, n. 11, «Interventi regionali per lo  sviluppo  delle  attivita'
culturali e contributi per la conservazione, la valorizzazione  e  l'
incremento del patrimonio bibliografico, storico ed artistico  e  per
lo  sviluppo  dell'  istruzione  universitaria  e  per   la   ricerca
scientifica nella Regione Friuli - Venezia Giulia»,  il  cui  art.  4
impegnava la Regione ad incoraggiare e  sostenere  nelle  loro  varie
manifestazioni:  anche  «b)  le   attivita'   musicali,   liriche   e
concertistiche,  e  le  iniziative  miranti  ad  incrementare  ed   a
divulgare gli ipettacoli e la cultura musicali; c) le  attivita'  dei
teatri di prosa e le iniziative intese ad incrementare ed a divulgare
gli ipettacoli teatrali e la cultura teatrale e cinematografica». 
    Ignorando - oltre che le comuni competenze del sistema  regionale
disegnato nel titolo V - la specifica competenza statutaria primaria,
la legge n. 106 del 2022 si rivolge a  tutte  le  regioni,  e  dunque
anche alla Regione autonoma, senza far salve,  a  mezzo  di  apposita
clausola di salvaguardia, le attribuzioni dell'ente  ricorrente,  che
non sono  meramente  astratte,  bensi'  attivamente  e  concretamente
esercitate. 
    I. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  7,  comma  1,  primo
periodo, della legge n. 106 del 2022, per violazione degli  artt.  4,
numero 14), e 8 dello statuto, dell'art. 3 del decreto del Presidente
della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902,  e  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost., nonche' del principio di ragionevolezza  (art.  3).  In
subordine: per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118,  primo
e secondo comma, Cost., in combinazione con  l'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001. 
    La Regione autonoma impugna in primo luogo l'art. 7, primo comma,
primo periodo, della legge n. 106  del  2022,  per  violazione  degli
artt.  4,  numero  14,  e  8  dello   statuto,   del   principio   di
ragionevolezza, e in subordine per violazione degli art.  117,  terzo
comma, e 118, primo e  secondo  comma,  Cost.,  in  combinazione  con
l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    La disposizione impugnata stabilisce quanto  segue:  «Nell'ambito
delle competenze istituzionali e nei limiti delle risorse disponibili
a legislazione vigente, le regioni, in applicazione dei  principi  di
sussidiarieta', adeguatezza,  prossimita'  ed  efficacia,  concorrono
all'attuazione dei principi generali di cui all'art. 1 della legge 22
novembre 2017, n. 175, quali principi fondamentali ai sensi dell'art.
117, terzo comma, della Costituzione». 
    Come si  e'  esposto  in  narrativa,  la  disposizione  segna  la
dichiarazione programmatica con cui il legislatore della legge n. 106
del 2022 definisce riduttivamente la posizione  costituzionale  della
Regione nella materia dello spettacolo. 
    1.1.  La  Regione  ricorrente  osserva  che  qualora   la   norma
comprendesse  nel  suo  campo  di  applicazione  anche   la   Regione
Friuli-Venezia Giulia essa sarebbe  palesemente  illegittima  (i)  in
primo luogo per violazione dell'art. 4,  numero  14),  dello  statuto
speciale, perche' pretenderebbe di  degradare  la  potesta'  primaria
della Regione autonoma in punto di «istituzioni culturali, ricreative
e sportive; musei e biblioteche di  interesse  locale  e  regionale»,
descritta al punto precedente, in una potesta' concorrente;  (ii)  in
secondo luogo, per violazione dello stesso  art.  117,  terzo  comma,
Cost., perche' declasserebbe una potesta' concorrente, caratterizzata
dal  concorso  vincolato  tra  principi  statali  e   disciplina   di
svolgimento  di  spettanza  regionale,   ad   una   minore   potesta'
legislativa regionale, in cui lo Stato detta non solo i  principi  ma
concorre   esso   stesso   nella   adozione   della   disciplina   di
completamento, e dunque assimilabile alla c d potesta' integrativa. 
    1.1.2 La norma, sempre  se  e  in  quanto  sia  applicabile  alla
Regione autonoma, sarebbe incostituzionale per un  terzo  e  distinto
motivo, e cioe' per violazione del principio di ragionevolezza e  del
connesso principio di certezza del diritto. Infatti, la norma sarebbe
del tutto irragionevole e contraddittoria,  perche'  essa  imporrebbe
all'osservanza  del  legislatore  friulano-giuliano   le   norme   di
principio contenute nell'art. 1 della legge 22 novembre 2017, n. 175,
legge che invece all'art. 6, rubricato «Clausola di salvaguardia», fa
espressamente salve le competenze statutarie delle  Regioni  e  delle
Province autonome. 
    Chiara  la  ridondanza  del  vizio  denunciato  sulla  competenza
legislativa  primaria  in  materia   di   istituzioni   culturali   e
ricreative, ai sensi dell'art. 4, numero 14), dello statuto, e  delle
corrispondenti funzioni amministrative che spettano alla  Regione  ai
sensi dell'art. 8 dello stesso statuto: competenze che la Regione  ha
esercitato in condizioni di  autonomia  speciale  riconosciuta  dalla
clausola di salvaguardia e  che  ora,  per  decisione  di  una  legge
ordinaria di carattere  generale,  si  troverebbe  sottoposta  ad  un
regime, come di seguito si dira', non corrispondente  a  Costituzione
neppure per le Regioni ordinarie. 
    1.2. Nella denegata (e non creduta) ipotesi  che  codesta  ecc.ma
Corte ritenesse, invece, che la Regione autonoma disponga, a dispetto
di quanto stabilisce l'art. 4, numero 14),  dello  statuto,  di  mere
competenze concorrenti,  acquisite  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost., la disposizione impugnata  dell'art.  7,  primo  comma,
sarebbe ugualmente illegittima nella parte  in  cui  prevede  che  le
Regioni «concorrono  all'attuazione  dei  principi  generali  di  cui
all'art. 1 della legge 22  novembre  2017,  n.  175,  quali  principi
fondamentali   ai   sensi   dell'art.   117,   terzo   comma,   della
Costituzione», anziche' «attuano i principi generali di cui  all'art.
1 della legge 22 novembre 2017, n. 175, quali  principi  fondamentali
ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione». 
    Le  ragioni  di  illegittimita',  evidenziabili  in   riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l'art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001, sono state gia' anticipate sopra al  punto
1.1., sub (ii), vale a dire il contrasto con la regola costituzionale
di riparto nelle  materie  di  competenza  concorrente,  nelle  quali
«spetta alle Regioni  la  potesta'  legislativa,  salvo  che  per  la
determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione
dello Stato», secondo quanto recita  il  secondo  periodo  del  terzo
comma dell'art.  117  Cost.:  formulazione  che,  come  ha  osservato
codesta Corte a ridosso della entrata in vigore della legge cost.  n.
3 del 2001, «rispetto a quella previgente  dell'art.  117,  comma  1,
esprime l'intento di una piu' netta  distinzione  fra  la  competenza
regionale a legiferare in queste materie  e  la  competenza  statale,
limitata  alla  determinazione  dei   principi   fondamentali   della
disciplina» (sentenza n. 282 del 2002, piu' volte ripresa in seguito,
da ultimo nelle sentenze n. 231 del 2017, punto 9.3.2 e  n.  126  del
2017, punto 4.1.). 
    Sembra evidente, infatti,  in  primo  luogo  che  la  titolarita'
regionale  della  materia,  salvo  il  solo   limite   dei   principi
fondamentali posti dalla legge dello Stato, non puo' essere descritta
in termini di mero «concorso» all'attuazione  di  tali  principi;  in
secondo  luogo  che  ove  e  nei  limiti  in  cui  il  principio   di
sussidiarieta' imponesse l'attrazione di funzioni  allo  Stato,  cio'
dovrebbe avvenire nel quadro delle regole sancite sin dalla  sentenza
n. 303  del  2003;  in  terzo  luogo  che,  per  quanto  riguarda  la
disciplina e la distribuzione delle  funzioni  nel  territorio  della
Regione, ogni valutazione di sussidiarieta', adeguatezza, prossimita'
ed efficacia compete al legislatore regionale; infine, che il  limite
«delle risorse disponibili» puo' riferirsi soltanto alle assegnazioni
sull'apposito fondo, ma non puo'  incidere  sull'autonomia  di  spesa
della Regione. 
    II. Illegittimita' costituzionale dell'art.  5,  comma  6,  della
legge n. 106 del 2022, per  violazione  dell'art.  4,  numero  14)  e
dell'art. 8 dello statuto e dell'art. 118,  primo  e  secondo  comma,
Cost., anche in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001, e del principio di  leale  collaborazione  (art.  120,  secondo
comma, Cost.) 
    La Regione autonoma censura anche l'art. 5, comma 6, della  legge
n. 106 del 2022, nella  parte  in  cui  prevede  che  i  decreti  del
Ministro della cultura, di  concerto  con  il  Ministro  del  lavoro,
diretti a regolare la composizione e le  modalita'  di  funzionamento
dell'Osservatorio sono adottati «sentita la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome», anziche'
«d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra  lo  Stato,
le regioni e le province autonome». 
    Precisamente,  la  disposizione   impugnata   prevede   che   «la
composizione e le modalita' di funzionamento  dell'Osservatorio  sono
definite con uno o  piu'  decreti  del  Ministro  della  cultura,  di
concerto con il Ministro del lavoro e  delle  politiche  sociali,  da
adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore  della
presente legge, sentita la Conferenza permanente per i  rapporti  tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  e
previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per  materia,
che si pronunciano entro quaranta  giorni  dalla  trasmissione  degli
schemi di  decreto,  trascorsi  i  quali  i  decreti  possono  essere
adottati anche in mancanza del parere. Con i  medesimi  decreti  sono
stabilite le modalita' di raccolta e pubblicazione delle informazioni
di cui al comma 2 e di tenuta del registro di  cui  al  comma  5,  le
modalita' operative di realizzazione, gestione  e  funzionamento  del
Sistema  informativo   nazionale   dello   spettacolo,   nonche'   la
composizione e le modalita' di  funzionamento,  senza  oneri  per  la
finanza pubblica, della Commissione tecnica di cui al comma 5». 
    La Regione  autonoma,  nel  presente  ricorso,  non  contesta  la
determinazione del legislatore statale di  istituire,  ben  oltre  il
mero coordinamento informativo, un sistema  a  rete  complessivamente
orientato  alla  promozione  delle  iniziative  nel   settore   dello
spettacolo, ne' contesta il ruolo generale assegnato all'Osservatorio
nazionale nel sistema a rete. 
    Essa ritiene, tuttavia, che la condivisione debba  operare  anche
in relazione alla struttura e composizione del baricentro del sistema
comune, nel momento in cui la relativa disciplina viene  affidata  ad
una fonte secondaria. 
    La Regione ricorrente deve infatti evidenziare che nel momento in
cui lo Stato si intitola funzioni in una materia regionale  eccedenti
la competenza statale sul coordinamento informativo  dei  dati  delle
amministrazioni territoriali, ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,
lett. t), Cost. (di per se', per vero, in quanto tale non  opponibile
alla  Regione  autonoma  in  presenza  di   competenza   statutaria),
l'incisione  delle   attribuzioni   legislative   ed   amministrative
regionali puo'  passare  soltanto  per  le  forme  costituzionalmente
ammesse dopo la riforma  del  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione,  vale  a  dire  in  applicazione   del   principio   di
sussidiarieta' nella  sua  valenza  ascendente  e  nel  rispetto  del
principio di leale collaborazione,  sancito  dall'art.  120,  secondo
comma, Cost. 
    Si noti  che  le  scelte  che  il  decreto  interministeriale  e'
chiamato ad operare sono di carattere politico-discrezionale,  e  non
meramente tecnico, considerato che esso dovra' regolare anche e prima
di tutto  la  composizione  dell'organo,  e  che  la  legge  non  da'
indicazione alcuna su questo punto. 
    Di qui la necessita' che il principio di leale collaborazione sia
declinato nella forma della intesa e non  in  quella  minimale  della
mera consultazione. 
    Allo stesso risultato si perviene anche in  considerazione  della
competenza statutaria della Regione autonoma ai sensi degli artt.  4,
numero 14) ed 8, dello statuto, dal momento che  ogni  «ritaglio»  di
funzioni in materia statutaria, quando si tratti di  materia  che  e'
regionale anche nell'art. 117 Cost. novellato, deve essere rispettoso
anche dei principi strutturali  che  reggono  il  nuovo  riparto  del
titolo V  (e  dunque,  nel  presente  caso,  sussidiarieta'  e  leale
collaborazione),  giusta  l'insegnamento  di  codesta  ecc.ma   Corte
(sentenza n. 303 del 2003). 
    III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 6,  comma  2,  lett.
c), della legge n. 106 del 2022, per violazione dell'art,  4,  numeri
1), e 14)  dello  statuto,  dell'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  e
dell'art. 117, terzo e  quarto  comma,  Cost.,  in  combinazione  con
l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Violazione  del  principio
di legalita' (art. 97, secondo comma, Cost.). 
    La Regione autonoma impugna anche l'art. 6, comma  2,  lett.  c),
della legge n. 106 del 2022. 
    L'art. 6, comma 2, della  legge,  dopo  aver  previsto  che  «con
decreto del Ministro della  cultura,  da  adottare  entro  centoventi
giorni dalla data di entrata in vigore della presente  legge,  previa
intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,
le regioni e le province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  sono
definite   le   modalita'   di   coordinamento   e    di    indirizzo
dell'Osservatorio   dello   spettacolo   nell'ambito   del    Sistema
nazionale», aggiunge che «con il medesimo decreto sono stabiliti: 
      a) le modalita' operative per lo  svolgimento  di  attivita'  a
supporto degli osservatori regionali o in  collaborazione  con  essi,
nel territorio di rispettiva competenza; 
      b) le modalita', gli strumenti e i criteri per il  monitoraggio
delle  attivita'  dello  spettacolo,  nonche'  per  la  raccolta,  la
valutazione e l'analisi dei relativi dati,  anche  a  supporto  delle
attivita'  di  programmazione,  monitoraggio  e   valutazione   degli
interventi; 
      c) le modalita' operative di realizzazione e funzionamento  del
Sistema nazionale». 
    Come si e' anticipato nella parte  narrativa,  la  censura  della
Regione e' diretta contro la lett. c), per  l'ipotesi  che  l'oggetto
«modalita' operative di realizzazione  e  funzionamento  del  Sistema
nazionale» - Sistema del quale, come  pure  si  e'  ricordato,  fanno
parte l'Osservatorio nazionale dello spettacolo, di cui all'art. 5, e
gli Osservatori regionali dello  spettacolo,  di  cui  all'art.  7  -
comprenda anche la disciplina degli Osservatori regionali. 
    La ricorrente Regione non ritiene che tale ipotesi sia fondata, e
che la legge statale nel suo insieme debba essere  intesa  nel  senso
che la disciplina degli osservatori regionali dello spettacolo rimane
- come e' sempre stata - rimessa al legislatore regionale. 
    Ove cosi' non fosse, la disposizione sarebbe  invece  illegittima
in parte qua, sotto diversi profili. 
    3.1. Anzitutto, la  norma  andrebbe  ad  invadere  la  competenza
primaria in materia «ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti
dalla Regione», ai  sensi  dell'art.  4,  numero  1,  dello  statuto,
ovvero, se piu' favorevole, della potesta' residuale  in  materia  di
organizzazione regionale,  ai  sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., applicabile in forza della clausola di maggior favore  dettata
dall'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    Infatti,  l'organizzazione  di  un  ufficio  regionale   verrebbe
regolata da una fonte statale, priva  di  competenza  in  materia  di
organizzazione regionale. 
    3.2. Sotto un  secondo  profilo,  trattandosi  di  fonte  statale
secondaria,    di    carattere     sostanzialmente     regolamentare,
l'incompetenza  dell'atto  e'  evidenziabile  anche  in   riferimento
all'art. 117, sesto comma, Cost., che riconosce alla Stato competenza
regolamentare solo «nelle materie di  legislazione  esclusiva»:  cio'
che  non  si  puo'  dire,  all'evidenza,  per  la  disciplina   degli
Osservatori regionali dello spettacolo, peraltro in molti  casi  gia'
istituiti e disciplinati con legge regionale, come  e'  avvenuto,  ad
esempio,  nel  caso  della   Regione   Veneto,   che   ha   istituito
l'Osservatorio dello spettacolo dal vivo, con sede presso  la  Giunta
regionale (art. 38 della legge  regionale  16  maggio  2019,  n.  17,
«Legge per la cultura»). 
    3.3. Anche se si volesse  prescindere  da  tale  limitazione,  la
norma, ove consentisse alla fonte regolamentare  di  condizionare  la
legge  regionale  sulla  organizzazione  dell'osservatorio  regionale
dello  spettacolo,  risulterebbe  illegittima  per  contrasto  con  i
principi costituzionali in materia di rapporti tra  fonti  statali  e
fonti regionali, secondo i principi derivanti comunque  dalla  natura
della legge regionale come legge in senso proprio assoggettata ad uno
specifico sistema di limiti  almeno  legislativi  (art.  117,  primo,
terzo e quarto comma, Cost.; art. 4 dello statuto), di modo che  sono
in ogni caso esclusi regolamenti statali nelle materie di  competenza
concorrente. 
    Si noti che, anche prima della riforma del titolo V,  l'eventuale
vincolo a carico  della  legge  regionale  derivante  dagli  atti  di
indirizzo e coordinamento statali adottati in forma  non  legislativa
era condizionato, secondo il chiaro insegnamento  di  codesta  Corte,
dal rispetto del principio di legalita'  in  senso  sostanziale,  sul
presupposto che la fonte del vincolo fosse la  legge  stessa,  tenuta
dunque a conformare nel contenuto l'atto amministrativo rivolto  alle
regioni. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  aveva  altresi'  detto,   con
altrettanta   chiarezza,   che   «un   regolamento   (governativo   o
ministeriale) non puo' contenere norme miranti a limitare la sfera di
competenza delle Regioni nelle materie  loro  attribuite,  in  quanto
esse 'non sono soggette,  in  linea  di  principio,  alla  disciplina
dettata con i regolamenti governativi' (sentenze n. 507 del 2000 e n.
352 del 1998)» (sentenza n. 84 del 2001, punto 4). 
    Anche (e a maggior ragione) nel  nuovo  riparto  -  ha  precisato
codesta Corte nella sentenza n. 303 del 2003,  al  punto  7  -  «alla
fonte secondaria statale e' inibita  in  radice  la  possibilita'  di
vincolare l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale  o  di
incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n.  22  del
2003); e neppure i principi di sussidiarieta' e  adeguatezza  possono
conferire ai regolamenti statali una capacita'  che  e'  estranea  al
loro valore, quella cioe' di modificare gli ordinamenti  regionali  a
livello  primario»:  a  tali  principi,  infatti,  non  puo'   essere
riconosciuta «l'attitudine a vanificare la  collocazione  sistematica
delle fonti conferendo primarieta' ad atti che possiedono lo  statuto
giuridico di fonti secondarie e a  degradare  le  fonti  regionali  a
fonti  subordinate  ai  regolamenti  statali  o  comunque  a   questi
condizionate».  E  in  questo  senso  si  e'   attestata   anche   la
giurisprudenza costituzionale successiva:  si  veda,  da  ultimo,  la
sentenza n. 180 del 2020, al punto 4.1, in cui si ribadisce che  alle
«finti normative secondarie ...,  in  quanto  tali,  «e'  inibita  in
radice  la  possibilita'  di  vincolare  l'esercizio  della  potesta'
legislativa  regionale  o  di  incidere  su  disposizioni   regionali
preesistenti (sentenza n. 22 del  2003);  e  neppure  i  principi  di
sussidiarieta' e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali
una capacita' che  e'  estranea  al  loro  valore,  quella  cioe'  di
modificare gli ordinamenti regionali a livello primario» (sentenza n.
303 del 2003)» e si aggiunge che «le  norme  regolamentari,  infatti,
non possono essere  ascritte  «all'area  dei  principi  fondamentali»
delle materie concorrenti, «in quanto la fonte  regolamentare,  anche
in forza di  quanto  previsto  dall'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,
sarebbe comunque inidonea a porre detti principi» (sentenza n. 92 del
2011) e, quindi, a vincolare il legislatore  regionale  (sentenza  n.
162 del 2004)». 
    3.4. Sotto un quarto profilo, considerato che la norma affida  ad
un atto  sublegislativo  la  disciplina  della  organizzazione  degli
uffici, sarebbe violato anche il principio di legalita' fondato nella
riserva di legge in materia di organizzazione  dei  pubblici  uffici,
sancita dall'art. 97, secondo comma, Cost. 
    Se e' vero che si tratta di una riserva  di  legge  relativa,  e'
anche vero che, ove vi fosse una competenza statale, almeno le regole
di base dovrebbero essere dettate dal legislatore. 
    Evidente e'  anche  la  ridondanza  del  vizio  sulle  competenze
legislative della  Regione  autonoma  in  materia  di  organizzazione
amministrativa (art. 4, numero 1, dello statuto o se piu'  favorevole
art. 117, quarto comma, Cost.), peraltro riferite ad una materia,  lo
spettacolo, anch'essa di competenza regionale  (art.  4,  numero  14,
dello statuto e in subordine art. 117, terzo comma, Cost.). Trattasi,
come si e' gia' esposto sopra nella parte introduttiva del «Diritto»,
di competenze gia' esercitate, che la Regione autonoma si  troverebbe
a dover attivare nuovamente sulla base di un condizionamento che  non
e' ammesso dal principio costituzionale da ultimo richiamato. 
    Per  mero  scrupolo  di  difesa  si  osserva  che  i  profili  di
illegittimita' evidenziati nel  presente  punto  non  sono  eliminati
dalla previsione della intesa con la Conferenza permanente,  che  non
e' un succedaneo ne' dell'autonomia normativa, riconosciuta a ciascun
ente, ne' dei principi in materia di  fonti,  ne'  del  principio  di
legalita'. A conferma di cio' e' sufficiente il  rilievo  secondo  il
quale le competenze costituzionali, riguardino esse  i  poteri  dello
Stato o le attribuzioni di Stato  e  Regioni,  non  sono  disponibili
neppure da parte dei titolari delle stesse. 
    IV.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  primo  comma,
secondo periodo, per violazione dell'art. 4, numeri  1  e  14,  dello
statuto o se piu' favorevoli dell'art. 117,  terzo  e  quarto  comma,
Cost., in combinazione con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Violazione dei principi costituzionali in materia  dei  rapporti  tra
atti nazionali e regionali, confermati  anche  dall'art.  117,  sesto
comma, Cost., e del principio di legalita' (art. 97,  secondo  comma,
Cost.). 
    Le argomentazioni esposte al punto  precedente  valgono  anche  a
dimostrare i profili di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 1, secondo periodo. 
    Tale disposizione stabilisce  che  «le  regioni,  sulla  base  di
criteri  stabiliti  con  accordi  sanciti  in  sede   di   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano: 
      a) promuovono  l'istituzione  di  osservatori  regionali  dello
spettacolo per la condivisione e lo scambio di dati e di informazioni
sulle attivita' dello spettacolo dal vivo; 
      b) verificano, anche attraverso gli osservatori regionali dello
spettacolo,  l'efficacia  dell'intervento  pubblico  nel   territorio
rispetto ai  risultati  conseguiti,  anche  attraverso  attivita'  di
monitoraggio e  valutazione,  in  collaborazione  con  l'Osservatorio
dello spettacolo; 
      c)  promuovono  e  sostengono,   attraverso   gli   osservatori
regionali  dello  spettacolo,  anche  con  la  partecipazione   delle
province, delle citta' metropolitane e dei comuni, direttamente o  in
concorso con lo Stato, le attivita' dello spettacolo dal vivo». 
    Oggetto di contestazione, rispetto a  tale  disposizione,  e'  in
primo luogo la previsione secondo la quale  le  regioni  disciplinano
gli oggetti indicati alle lettere a), b) e c) «sulla base di  criteri
stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di  Bolzano».  Attraverso  questa  prescrizione,  infatti,  la  norma
impugnata pretende di  assoggettare  l'esercizio  della  legislazione
regionale ad un  presupposto  e  un  vincolo  derivante  da  un  atto
amministrativo di carattere politico, qual e' l'accordo raggiunto  in
Conferenza. 
    Benche' la disposizione non lo precisi espressamente, gli accordi
cui essa fa rifermento sono - sembra alla Regione si debba ritenere -
gli accordi previsti dall'art. 4 del d.lgs. n. 281 del 1997, ai sensi
del quale «Governo, regioni  e  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, in attuazione del principio di leale  collaborazione  e  nel
perseguimento  di  obiettivi  di   funzionalita',   economicita'   ed
efficacia dell'azione amministrativa, possono concludere in  sede  di
Conferenza Stato-regioni accordi, al fine di  coordinare  l'esercizio
delle  rispettive  competenze  e  svolgere  attivita'  di   interesse
comune», accordi che «si perfezionano con l'espressione  dell'assenso
del Governo e dei Presidenti delle regioni e delle province  autonome
di Trento e di Bolzano». 
    Ora, interpretando tale disposizione,  codesta  ecc.ma  Corte  ha
stabilito che gli accordi raggiunti ai sensi dell'art. 4 del  decreto
legislativo n. 281 del 1997 non sono idonei a vincolare  la  funzione
legislativa, limitandone l'efficacia al piano  politico  e  negandone
ogni effetto di vincolo  giuridico,  come  afferma  con  nettezza  la
sentenza n. 437 del 2001. 
    In  tale  sentenza,  la  Corte  conclude  che  le  procedure   di
cooperazione o  di  concertazione  possono  rilevare  ai  fini  dello
scrutinio  di  legittimita'  di  atti  legislativi,  solo  in  quanto
l'osservanza delle stesse sia imposta direttamente  o  indirettamente
(punto  3  del  diritto):  concetto,  questo,  ripreso  anche   dalla
giurisprudenza  successiva  (sentenza  n.  237  del  2017,  punto  9;
sentenza n. 137 del 2018, punto 3.5.3), che ha altresi' ribadito  che
«un  accordo  non  puo'  condizionare  l'esercizio   della   funzione
legislativa (sentenze n. 160 del 2009 e n. 437 del  2001)»  (sentenza
n. 176 del 2016, punto 4.2.2). 
    Analoghe considerazioni varrebbero per gli  accordi  ex  art.  8,
comma 6, della legge n. 131 del 2003 (che  pero'  fa  riferimento  ad
atti di intesa), ove si  ritenesse  che  a  tale  disposizione  possa
riferirsi il richiamo operato dalla disposizione impugnata. 
    La norma impugnata, invece,  imprime  a  tale  accordo  carattere
cogente, attribuendo a tale atto una forza che esso non ha di per se'
e che nemmeno la legge  statale  gli  puo'  conferire,  dato  che  si
verrebbe in questo modo da un lato ad alterare i normali rapporti tra
atti non legislativi e atti legislativi, dall'altro,  si  inciderebbe
anche  sui  rapporti   tra   organi   della   Regione,   perche'   si
trasformerebbe  un  atto  di  assenso  del   vertice   dell'esecutivo
regionale  in  un  limite  alla  potesta'  legislativa  assegnata  al
consiglio regionale. Non a caso, lo stesso art.  117,  ottavo  comma,
della Costituzione, riserva alla legge regionale la «ratifica  [del]e
intese della Regione con altre  Regioni  per  il  migliore  esercizio
delle proprie funzioni». 
    D'altronde, neppure sotto altro profilo vi e'  ragione  e  titolo
giustificativo per l'assoggettamento della legislazione  regionale  a
previ accordi con lo  Stato.  L'accordo,  infatti,  interviene  nella
materia della organizzazione amministrativa dell'ente, materia in cui
la Regione autonoma dispone di potesta' esclusiva (art. 4, numero  1)
o, se piu' favorevole, residuale  (art.  117,  quarto  comma,  Cost.,
insieme con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del  2001),  sicche'  la
legge statale non ha titoli di intervento, trattandosi, peraltro,  di
organizzazione  di  funzioni  all'interno  di  un  settore  materiale
anch'esso  di  competenza  regionale  qual  e'  lo   spettacolo   (di
competenza primaria, ai sensi dell'art. 4, numero 14, dello  statuto,
o di competenza concorrente, ai sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost., se piu' favorevole). 
    In sintesi, la disposizione  risulta  illegittima  sotto  plurimi
profili. 
    Anzitutto, e' illegittima per contrasto con l'art. 4, numero  14,
dello statuto, ovvero  con  l'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  ove
applicabile per effetto clausola di maggior favore di cui all'art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001, perche' la norma interferisce con la
potesta' legislativa primaria  in  materia  di  organizzazione  degli
uffici  o  con  quella  residuale  sulla  organizzazione   regionale:
interferenza  che  e'  evidente  ove  si  rammenti  che  la   Regione
Friuli-Venezia Giulia ha gia' istituito  un  suo  Osservatorio  sulla
cultura, adottando specifiche soluzioni organizzative. 
    In secondo luogo, la norma viola, per i motivi esposti  sopra,  i
principi costituzionali che regolano i rapporti tra  atti  statali  e
fonti regionali, impliciti nella attribuzione alla Regione di  potere
legislativo (art. 4 dello statuto, art. 117, primo,  terzo  e  quarto
comma,  Cost.)  e  nella  regola  costituzionale  sul  riparto  della
potesta' regolamentare (art. 117, sesto comma, Cost.). 
    Ancora, la norma contrasta con il principio di legalita' e  della
riserva di legge di cui all'art. 97,  secondo  comma,  Cost.,  stante
l'inversione del corretto rapporto tra legge e  atti  amministrativi,
sia pure di carattere politico. Tale vizio ridonda in  lesione  della
autonomia regionale, che e' prima di tutto una autonomia legislativa;
incide, all'interno della  Regione,  sui  rapporti  tra  esecutivo  e
legislativo,  per  i  motivi  gia'  esposti   sopra;   consente   una
conformazione illegittima  di  un  settore  materiale,  quello  della
organizzazione amministrativa  e  dello  spettacolo,  riservati  alla
Regione. 
    Risulta dunque evidente che, ove lo  Stato  ritenesse  essenziale
condizionare  la  legislazione  regionale   a   determinati   criteri
organizzativi o operativi, dovrebbe provvedervi con legge, nei limiti
entro i quali anche al legislatore e' consentito, come  precisato  da
codesta Corte, ad esempio nella sentenza n. 87 del 2018, nella  quale
essa ha ritenuto illegittima l'imposizione da parte  del  legislatore
statale di un determinato modello  organizzativo  in  relazione  alla
garanzia del diritto sociale allo studio. 
    V.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  primo   comma,
secondo periodo, lett. c), per violazione  dell'art.  4,  numeri  1),
1-bis) e 14), e dell'art. 8 dello statuto o se piu' favorevoli  degli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo e secondo comma, Cost.,
in combinazione con l'art. 10  della  legge  cost.  n.  3  del  2001.
Violazione del principio  di  proporzionalita'  e  di  ragionevolezza
(art. 3, primo comma, Cost.). 
    La Regione autonoma,  infine,  impugna  l'art.  7,  primo  comma,
secondo periodo, lett. c), della  legge,  per  violazione  della  sua
autonomia organizzativa e della competenza ad  allocare  le  funzioni
amministrative ai diversi enti territoriali, nonche' in quanto  norma
irragionevole e sproporzionata. 
    La disposizione vincola le  Regioni  a  promuovere  e  sostenere,
«attraverso gli osservatori regionali dello spettacolo, anche con  la
partecipazione delle  province,  delle  citta'  metropolitane  e  dei
comuni, direttamente o in concorso con lo Stato, le  attivita'  dello
spettacolo dal vivo». 
    La  ricorrente  non  puo'  non  contestare  l'intromissione   del
legislatore statale nella propria organizzazione  e  nell'ordinamento
della propria azione, operata  mediante  l'attribuzione  di  funzioni
direttamente ad un proprio ufficio e la  previsione  secondo  cui  le
funzioni di sostegno allo spettacolo al vivo debbono avvenire  «anche
con la partecipazione delle province, delle  citta'  metropolitane  e
dei comuni».  Entrambe  le  norme  sono,  ad  avviso  della  Regione,
illegittime, per ragioni che prescindono  completamente  anche  dalla
fondatezza dei precedenti motivi di ricorso. La presente  censura  e'
dunque  autonoma  dalle  precedenti,  ed  e'   diretta   contro   una
disposizione che e' eccentrica anche rispetto alla logica delle altre
disposizioni oggetto della presente impugnazione. 
    5.1. E' giurisprudenza costante di codesta Corte  che  quando  lo
Stato intesta funzioni alla regione deve assegnarle all'ente,  e  non
all'organo, pena la violazione della  autonomia  organizzativa  della
Regione, garantita nell'ambito della competenza residuale (art.  117,
quarto comma, Cost., e nel caso della Regione  Friuli-Venezia  Giulia
anche art. 4, numero 1, dello statuto). 
    In questo senso si veda, tra le molte, la  sentenza  n.  293  del
2012,  in  cui  la  Corte  segnala  di  aver   «gia'   concluso   per
l'illegittimita'  di  norme  statali  che  provvedevano  a   indicare
specificamente   l'organo   regionale   titolare    della    funzione
amministrativa, trattandosi  di  «normativa  di  dettaglio  attinente
all'organizzazione interna della Regione» (sentenza n. 387 del  2007;
inoltre, sentenze n. 22 del 2012 e n. 95 del  2008)  e  nel  caso  di
specie non si ravvisano ragioni che possano consentire al legislatore
statale  non  solo  di  porre  a  carico  della  Regione  un  obbligo
collaborativo di raccolta dati, ma anche di selezionare  il  soggetto
regionale deputato a svolgerlo»; nello stesso senso anche la sentenza
n. 387 del 2007. 
    La legge statale, dunque, deve  rispettare  le  scelte  regionali
circa l'intestazione delle funzioni ai diversi organi o  uffici,  con
la limitata eccezione - confermativa della regola  generale  -  della
attribuzione  di  funzioni  al  Consiglio  regionale,   eventualita',
questa,  non  a  caso  autorizzata  direttamente  dalla  Costituzione
nell'art. 121, primo comma, Cost., a mente del  quale  «il  Consiglio
regionale esercita le potesta' legislative attribuite alla Regione  e
le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi»,  se
per «leggi» si intendono qui (anche) le leggi statali. 
    Nel presente  caso  la  legge  statale  assegna  le  funzioni  di
promozione dello spettacolo dal vivo all'Osservatorio regionale dello
spettacolo, precludendo diverse  soluzioni  organizzative,  quali  ad
esempio quelle prescelte dalla Regione  autonoma  nel  capo  I  della
legge regionale n. 14 del 2016, che non attribuisce  all'Osservatorio
della cultura funzioni di  amministrazione  attiva  e  prevede  altri
canali di finanziamento per le sovvenzioni dello spettacolo dal vivo. 
    La  norma   si   dimostra   poi   del   tutto   irragionevole   e
sproporzionata, anche ai fini dei raccordi e del coordinamento che la
legge vuole costruire, considerato che la promozione ed  il  sostegno
sono una funzione finale, interna alla Regione, mentre  le  norme  di
cui agli articoli 5 e 6 sono rivolti ad organizzare il  coordinamento
tra i sistemi regionali e lo Stato. 
    La lesione di tali principi, radicati nell'art. 3 Cost.,  ridonda
in lesione della autonomia organizzativa della Regione,  assoggettata
ad  un  vincolo  non  giustificato,  e  in  lesione  della  autonomia
legislativa ed amministrativa della Regione in materia di spettacolo. 
    5.2. Premesso che in Friuli-Venezia Giulia  non  vi  sono  Citta'
metropolitane, e nemmeno piu' le  Province  (in  forza  dell'art.  12
della legge costituzionale n. 1 del 2016 e della legge  regionale  n.
20 del 2016), la norma che prevede come necessaria la  partecipazione
di  province,  citta'  metropolitane  e  comuni  all'esercizio  delle
funzioni di promozione e sostegno dello spettacolo e' ad avviso della
ricorrente Regione, anch'essa illegittima, in quanto predetermina una
scelta di allocazione delle funzioni che compete invece alla  Regione
in forza delle competenze legislative ex art. 4, numeri 1), 1-bis)  e
14) dello statuto, rispettivamente  sulla  organizzazione  regionale,
sull'ordinamento degli enti locali e sulle  istituzioni  culturali  e
ricreative,  e  della  titolarita'  delle   corrispondenti   funzioni
amministrative nella  materia  di  cui  al  numero  14),  secondo  il
principio del parallelismo sancito dall'art. 8 dello statuto. 
    Le medesime conclusioni, peraltro, si impongono  in  applicazione
dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., e dell'art. 118,  secondo
comma, Cost., combinati con l'art. 10 della  legge  cost.  n.  3  del
2001, se si considera che il potere di allocare le funzioni segue  la
competenza a disciplinare legislativamente la  materia.  Tale  scelta
allocativa e'  stata  anche  esercitata,  attualmente  con  la  legge
regionale 11 agosto 2014, n. 16, recante Norme regionali  in  materia
di  attivita'  culturali,  che  attribuisce   la   promozione   dello
spettacolo dal vivo alla stessa Regione, salve ovviamente  le  azioni
che i comuni intraprendono nel quadro della propria autonomia.