Ricorso della Regione Piemonte (codice fiscale  n.  80087670016),
in persona del Presidente  della  Regione  pro  tempore  on.  Alberto
Cirio, autorizzato con deliberazione della Giunta  regionale  del  27
settembre 2022, n. 1 - 5675 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da
procura speciale in  calce  al  presente  ricorso,  congiuntamente  e
disgiuntamente,  dall'avvocato  prof.  Giandomenico  Falcon   (codice
fiscale: FLCGDM45C06L736E) del Foro di Padova, con studio in  Padova,
via  San  Gregorio  Barbarigo  n.  4;  telefono  049/660231;  telefax
049/8776503;   PEC:   giandomenico.falcon@ordineavvocatipadova.it   e
dall'avvocato Marialaura Piovano (codice  fiscale:  PVNMLR62D57L219F)
dell'Avvocatura regionale, Torino, corso Regina  Margherita  n.  174,
telefono      011/4323274,      telefax       011/4324889,       PEC:
marialaura.piovano@cert.regione.piemonte.it,  con  domicilio   eletto
presso l'avv. Andrea Manzi  (codice  fiscale:  MNZNDR64T26I804V)  del
Foro di Roma, con studio in  Roma,  via  Alberico  II,  33,  telefono
06/3200355,            telefax            06/3211370,            PEC:
andreamanzi@ordineavvocatiroma.org; 
    per la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale,  degli
articoli: 
      5, comma 6; 
      6, comma 2, lettera c); 
      7, comma 1, primo periodo; 
      7, comma 1, secondo periodo; 
      7, comma 1, lettera c), 
      della legge 15 luglio 2022, n. 106 recante «Delega al Governo e
altre  disposizioni  in  materia  di  spettacolo»,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie  generale  -  n.
180 del 3 agosto 2022; 
    per violazione: 
      degli articoli 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, primo e
secondo comma, della Costituzione; 
      del principio di leale collaborazione (art. 120, secondo comma,
della Costituzione); 
      del principio di  legalita'  (art.  97,  secondo  comma,  della
Costituzione); 
      dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza (art. 3 della
Costituzione). 
 
                                Fatto 
 
    Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del  3  agosto
2022, n. 180, e' stata pubblicata la legge 15 luglio  2022,  n.  106,
recante «Delega  al  Governo  e  altre  disposizioni  in  materia  di
spettacolo». 
    Come enuncia il titolo stesso della legge, essa contiene, accanto
alle  norme  di  delega  (che  non  formano  oggetto  della  presente
controversia), altre disposizioni, destinate a  trovare  applicazione
immediata e  in  parte  dirette  alle  Regioni,  comprese  quelle  ad
autonomia speciale. 
    Alcune di esse risultano, ad  avviso  della  ricorrente  Regione,
lesive delle  proprie  attribuzioni  costituzionali.  Si  tratta,  in
particolare, di talune disposizioni degli articoli 5,  6  e  7  della
legge. 
    Conviene  tuttavia  premettere,  per   chiarezza   in   relazione
all'oggetto del presente giudizio, che non si  contestano  in  quanto
tali, in questa sede, ne' l'Osservatorio nazionale dello spettacolo e
i compiti ad esso attribuiti, ne' il Sistema nazionale a  rete  degli
osservatori dello spettacolo;  si  contestano,  invece,  da  un  lato
difetti di leale collaborazione nel delineare il ruolo delle Regioni,
nel sistema  cosi'  istituito,  dall'altro  talune  interferenze,  ad
avviso della  ricorrente  Regione  indebite,  che  la  legge  statale
prevede sulle modalita' di esercizio delle competenze  legislative  e
amministrative della Regione. 
    Le disposizioni oggetto del presente giudizio. 
    Gli articoli  5  e  6  della  legge  n.  106  del  2022  innovano
profondamente la natura dell'Osservatorio  dello  spettacolo,  organo
gia' istituito dall'art. 5 della legge 30 aprile 1985, n. 163. Questo
era   un   organismo   meramente   interno,   istituito   nell'ambito
dell'ufficio studi e programmazione dell'allora Ministero del turismo
e dello spettacolo. 
    Il  nuovo  Osservatorio,  invece,  e'  istituito  «al   fine   di
promuovere  le  iniziative  nel  settore  dello   spettacolo»   quale
baricentro del Sistema  nazionale  a  rete  degli  osservatori  dello
spettacolo istituito dall'art. 6 del quale «fanno parte» -  ai  sensi
del primo comma - «l'Osservatorio dello spettacolo, di  cui  all'art.
5, e gli osservatori regionali dello spettacolo, di cui all'art. 7». 
    Si tratta, dunque, di un sistema integrato e condiviso tra  Stato
e Regioni. 
    Esso e' ora chiamato, oltre  che  a  raccogliere  i  dati  e  gli
elementi di conoscenza di cui all'art. 5, comma 2, ad «individuare le
linee di tendenza dello spettacolo nel suo complesso  e  dei  singoli
settori nei mercati nazionali e  internazionali»,  a  promuovere  «il
coordinamento con le  attivita'  degli  osservatori  istituiti  dalle
regioni  con  finalita'  analoghe,  anche   al   fine   di   favorire
l'integrazione di studi, ricerche e iniziative scientifiche  in  tema
di promozione nel settore dello spettacolo» (art. 5,  comma  3)  e  a
provvedere «alla  realizzazione  del  Sistema  informativo  nazionale
dello spettacolo, al quale concorrono  tutti  i  sistemi  informativi
esistenti». 
    In questo quadro, ad  avviso  della  ricorrente  Regione  e  come
meglio si dira' nella parte in diritto,  la  compartecipazione  delle
Regioni mediante il meccanismo  dell'intesa  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome, come disciplinato dalla legge  n.  281  del  1997,  risulta
costituzionalmente necessaria  non  solo  per  la  definizione  delle
«modalita' di coordinamento e di  indirizzo  dell'Osservatorio  dello
spettacolo  nell'ambito  del  Sistema   nazionale»,   come   previsto
dall'art. 6, comma 2, bensi' - ed in primo luogo - per la definizione
della   «composizione   e   delle    modalita'    di    funzionamento
dell'Osservatorio nazionale». 
    Invece,  l'art.  5,  comma  6,  prevede  che  le  Regioni   siano
semplicemente  sentite,  e   dunque   coinvolte   soltanto   mediante
l'espressione di un parere espresso. 
    Di qui la presente impugnazione. 
    L'art.  6  della  legge  istituisce,  come  detto,  il   «sistema
nazionale a rete degli osservatori dello spettacolo»,  integrato  tra
Stato e Regioni: al fine  di  "assicurare  omogeneita'  ed  efficacia
all'azione conoscitiva del settore dello spettacolo  dal  vivo  e  di
supporto pubblico alle relative attivita', e'  istituito  il  Sistema
nazionale a rete  degli  osservatori  dello  spettacolo,  di  seguito
denominato «Sistema nazionale», del quale fanno parte  l'Osservatorio
dello spettacolo, di cui all'art.  5,  e  gli  osservatori  regionali
dello spettacolo, di cui all'art. 7". 
    Il comma 2 affida ad  un  decreto  del  Ministro  della  cultura,
adottato previa  intesa  in  sede  di  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, la definizione delle  modalita'  di  coordinamento  e  di
indirizzo dell'Osservatorio dello spettacolo nell'ambito del  Sistema
nazionale. La  presente  impugnazione  non  solo  non  contesta  tale
meccanismo, ma  al  contrario  ne  chiede  l'estensione  alla  stessa
disciplina dell'Osservatorio nazionale. 
    Il comma 3 prevede che lo stesso decreto regoli anche: 
      a) le modalita' operative per lo  svolgimento  di  attivita'  a
supporto degli osservatori regionali o in  collaborazione  con  essi,
nel territorio di rispettiva competenza; 
      b) le modalita', gli strumenti e i criteri per il  monitoraggio
delle  attivita'  dello  spettacolo,  nonche'  per  la  raccolta,  la
valutazione e l'analisi dei relativi dati,  anche  a  supporto  delle
attivita'  di  programmazione,  monitoraggio  e   valutazione   degli
interventi; 
      c) le modalita' operative di realizzazione e funzionamento  del
Sistema nazionale. 
    La presente impugnazione si riferisce  alla  lettera  c),  ed  ha
natura cautelativa. Infatti, l'ambito delle «modalita'  operative  di
realizzazione  e  funzionamento  del   Sistema   nazionale»   risulta
indeterminato, e potrebbe essere inteso nel  senso  di  includere  la
stessa disciplina degli Osservatori regionali dello spettacolo. 
    L'art. 7 e' dedicato agli Osservatori regionali dello spettacolo. 
    Esso  si  apre,  in  realta',  con  una   enunciazione   generale
concernente  la  materia   dello   spettacolo,   secondo   la   quale
«nell'ambito  delle  competenze  istituzionali  e  nei  limiti  delle
risorse  disponibili  a  legislazione   vigente,   le   regioni,   in
applicazione dei principi di sussidiarieta', adeguatezza, prossimita'
ed efficacia, concorrono all'attuazione dei principi generali di  cui
all'art. 1 della legge 22  novembre  2017,  n.  175,  quali  principi
fondamentali ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione»
(comma 1, primo periodo). 
    La ricorrente  Regione  ritiene  che  tale  formulazione  sia  in
evidente contrasto con le sue competenze costituzionali. 
    Il  secondo  periodo  riguarda  specificamente  gli   Osservatori
regionali,  disponendo  che  le  Regioni,  «sulla  base  di   criteri
stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano: 
      a) promuovono  l'istituzione  di  osservatori  regionali  dello
spettacolo per la condivisione e lo scambio di dati e di informazioni
sulle attivita' dello spettacolo dal vivo; 
      b) verificano, anche attraverso gli osservatori regionali dello
spettacolo,  l'efficacia  dell'intervento  pubblico  nel   territorio
rispetto ai  risultati  conseguiti,  anche  attraverso  attivita'  di
monitoraggio e  valutazione,  in  collaborazione  con  l'Osservatorio
dello spettacolo; 
      c)  promuovono  e  sostengono,   attraverso   gli   osservatori
regionali  dello  spettacolo,  anche  con  la  partecipazione   delle
province, delle citta' metropolitane e dei comuni, direttamente o  in
concorso con lo Stato, le attivita' dello spettacolo dal vivo». 
    La ricorrente  Regione  ritiene  che  il  vincolo  della  propria
legislazione agli accordi sanciti in sede  di  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano non sia conforme alla Costituzione. 
    Ritiene inoltre  che  si  a  costituzionalmente  illegittima,  in
particolare, la  lettera  c),  nella  parte  in  cui  dispone  che  l
'attivita' di promozione e di sostegno regionale dello spettacolo dal
vivo  sia  svolta  «attraverso  gli   osservatori   regionali   dello
spettacolo, anche con la partecipazione delle province, delle  citta'
metropolitane e dei comuni, direttamente o in concorso con lo Stato». 
    Cosi' precisato l'oggetto della presente impugnazione, la Regione
ritiene   che   le   disposizioni   indicate   in   epigrafe    siano
costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
    Le  competenze  regionali  in  materia  di   spettacolo   (e   di
organizzazione amministrativa). 
    L'intervento  normativo   censurato   riguarda   lo   spettacolo,
attivita' che la giurisprudenza di codesta Corte ha  ricondotto  alla
competenza legislativa concorrente della Regione  e  segnatamente  al
titolo «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e
organizzazione di attivita' culturali» fin dalla sentenza n. 255  del
2004 e dalla successiva sentenza n. 285 del 2005. 
    Infatti,  nella  sentenza  n.  255   del   2004   codesta   Corte
costituzionale, rilevando che l'assenza delle attivita'  di  sostegno
degli spettacoli nel catalogo di materie di cui  al  nuovo  art.  117
della Costituzione non implica automaticamente che tale  settore  sia
stato affidato  alla  esclusiva  responsabilita'  delle  Regioni,  ha
affermato che «la materia concernente  la  "valorizzazione  dei  beni
culturali e ambientali e promozione  e  organizzazione  di  attivita'
culturali", affidata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni
... ricomprende senza dubbio nella  sua  seconda  parte,  nell'ambito
delle piu' ampie attivita' culturali, anche  le  azioni  di  sostegno
degli spettacoli». 
    La sentenza evidenzia  che  nell'art.  117,  comma  terzo,  della
Costituzione, la  materia  della  «promozione  ed  organizzazione  di
attivita' culturali» e' attribuita  alle  Regioni  «senza  esclusione
alcuna, salvi i soli limiti che possono indirettamente derivare dalle
materie di competenza esclusiva dello  Stato  ai  sensi  del  secondo
comma dell'art. 117  della  Costituzione  (come,  ad  esempio,  dalla
competenza in tema di «norme generali sull'istruzione»  o  di  tutela
dei beni culturali')". Con  la  conseguenza  che  «ora  le  attivita'
culturali di cui al terzo  comma  dell'art.  117  della  Costituzione
riguardano tutte  le  attivita'  riconducibili  alla  elaborazione  e
diffusione della cultura,  senza  che  vi  possa  essere  spazio  per
ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo». 
    La sentenza  citata  conclude,  significativamente,  che  «questo
riparto di materie evidentemente accresce  molto  le  responsabilita'
delle  Regioni,  dato  che  incide  non  solo  sugli   importanti   e
differenziati  settori  produttivi  riconducibili   alla   cosiddetta
industria culturale, ma anche su antiche  e  consolidate  istituzioni
culturali pubbliche o private operanti nel settore (come, ad  esempio
e limitandosi al solo settore dello spettacolo, gli enti lirici  o  i
teatri stabili); con la conseguenza, inoltre,  di  un  forte  impatto
sugli stessi strumenti di elaborazione  e  diffusione  della  cultura
(cui  la  Costituzione,  non  a  caso   all'interno   dei   "principi
fondamentali", dedica un significativo riferimento all'art. 9)». 
    L'evocazione  dell'art.  9  della  Costituzione,  del  resto,  e'
altamente significativa, posto che la disposizione in parola proclama
che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura  e  la  ricerca
scientifica e tecnica», e dunque intesta la funzione di promozione al
complesso degli enti menzionati dall'art.  114,  primo  comma,  della
Costituzione:  sicche'  l'attribuzione  alle  Regioni  di  competenza
concorrente in  materia  di  «valorizzazione  dei  beni  culturali  e
ambientali e promozione e  organizzazione  di  attivita'  culturali»,
cosi'  come  la  parallela  devoluzione  della  materia  di  «ricerca
scientifica e tecnologica», altro non e' che  il  coerente  riflesso,
sul piano del riparto, del principio promanante  dall'art.  9,  primo
comma, della Costituzione 
    La sentenza n. 285 del 2004 ha  poi  confermato,  riprendendo  la
sentenza n. 255  del  2004  che  "«le  attivita'  di  sostegno  degli
spettacoli»,  tra  i  quali  evidentemente  rientrano  le   attivita'
cinematografiche,  sono  sicuramente   riconducibili   alla   materia
«promozione ed organizzazione di attivita' culturali»  affidata  alla
legislazione concorrente di Stato e Regioni" e che  "[le]  «attivita'
culturali» di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione,  ...
«riguardano tutte le  attivita'  riconducibili  alla  elaborazione  e
diffusione della cultura,  senza  che  vi  possa  essere  spazio  per
ritagliarne singole partizioni come lo spettacolo» (sentenza  n.  255
del 2004)". 
    Piu' recentemente, allo stesso titolo  sono  stati  ascritti  gli
spettacoli di rievocazione storica (sentenza n. 71 del 2018). 
    Per completezza di illustrazione si deve aggiungere che le  norme
impugnate   riguardano   anche   la   materia   di    «organizzazione
amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali». 
    Trattasi di "materia ...  attribuita  alla  competenza  residuale
delle Regioni  (art.  117,  quarto  comma,  della  Costituzione),  da
esercitare nel rispetto dei «principi fondamentali di  organizzazione
e funzionamento» fissati negli statuti (art. 123 della Costituzione),
non soggetta, invece, ai principi fondamentali della materia, perche'
«disciplina statale non e' rilevante per l'esercizio  della  podesta'
legislativa regionale in materia residuale, ai sensi  dell'art.  117,
quarto comma della Costituzione» (in questi termini  la  sentenza  n.
233 del 2006). 
    Nell'esercizio di queste competenze diverse Regioni ordinarie  si
sono gia' dotate di Osservatori  regionali  dello  spettacolo,  o  di
organismi affini. 
    Si richiama l'art. 38, della  legge  regionale  Veneto  6  maggio
2019, n. 17, «Legge per la  cultura»,  che  ha  istituito  presso  la
Giunta regionale «l'Osservatorio dello spettacolo dal  vivo  che,  ai
fini dello sviluppo e evoluzione del settore, analizza  l'offerta  di
spettacolo nel territorio in tutte le sue forme»; l'art. 8, comma  1,
della legge regione Emilia-Romagna 5 luglio 1999, n.  13,  «Norme  in
materia di spettacolo», secondo cui «la Regione provvede direttamente
all'organizzazione di attivita': ... b) di osservatorio sulle realta'
dello spettacolo, anche con  la  collaborazione  di  enti  locali  ed
operatori dello spettacolo al fine di realizzare rilevazioni, analisi
e  ricerche,  anche  per  valutare  gli  andamenti  del   settore   e
l'efficacia  dell'intervento  regionale»;  l'art.  10   della   legge
regionale Basilicata 12 dicembre 2014, n. 37, «Promozione e  sviluppo
dello spettacolo»,  che  istituisce,  «senza  oneri  per  la  finanza
regionale, l'Osservatorio regionale per  lo  spettacolo,  incardinato
nell'ufficio competente, al fine  di  favorire  la  promozione  e  lo
sviluppo dei processi culturali regionali»;  l'art.  11  della  legge
regionale Campania 15 giugno 2007, n. 6,  recante  «Disciplina  degli
interventi regionali di promozione dello spettacolo»,  ai  sensi  del
quale  «e'  istituito  l'osservatorio  regionale  sullo   spettacolo,
presieduto dall'assessore al ramo, e di cui  fanno  parte,  oltre  al
dirigente  del  settore  competente,  tre   esperti   della   materia
designati:  a)  uno  dalle  associazioni   di   categoria;   b)   uno
dall'assessore  regionale  competente;  c)  uno   dalla   commissione
consiliare permanente competente per materia»,  Osservatorio  cui  la
medesima  legge  regionale  intitola  diverse  funzioni;   la   legge
regionale Puglia 29 aprile 2004, n. 6, «Norme organiche in materia di
spettacolo  e  norme  di  disciplina  transitoria   delle   attivita'
culturali», che all'art. 6 istituisce «l'Osservatorio regionale dello
spettacolo composto da cinque esperti di nomina regionale, di cui tre
designati rispettivamente dall'Associazione nazionale Comuni italiani
(ANCI)   e   dall'Unione   delle   Province    d'Italia    (UPI)    e
dall'associazione di  categoria  maggiormente  rappresentativa  delle
organizzazioni dello spettacolo» (comma 1), organismo che «rileva  ed
elabora dati ed  elementi  tecnici  utili  alla  predisposizione  del
programma regionale di cui all'art. 5, in  ordine  agli  operatori  e
alle attivita' di spettacolo sul territorio  regionale.  Fornisce,  a
richiesta degli enti di cui all'art. 3, pareri  sulle  attivita'  ivi
descritte» (comma 2). 
    La Regione Piemonte ha disciplinato la materia  dello  spettacolo
da ultimo con la legge regionale 1° agosto 2018, n. 11, «Disposizioni
coordinate in materia di cultura, che riordina la legislazione  della
materia». 
    Tale legge affida alla Regione  le  funzioni  di  programmazione,
indirizzo e sostegno delle attivita' culturali  e  dello  spettacolo,
anche attraverso l'armonizzazione ed  il  coordinamento  di  risorse,
programmi e progetti con i differenti livelli  istituzionali,  previa
intesa o accordo, tenendo conto delle istanze emergenti dai territori
e conformandosi ai principi di sussidiarieta' verticale e orizzontale
e di trasparenza nell'utilizzo delle risorse (art. 4, comma 1). 
    Con riferimento allo spettacolo dal vivo,  l'art.  31,  comma  2,
dispone  che  la  Regione  valorizza  e  sostiene  le  attivita'   di
spettacolo dal vivo, anche favorendo  lo  sviluppo  delle  iniziative
produttive, distributive, di promozione e ricerca, poi analiticamente
descritte nelle lettere da a) a h). Ai sensi del comma 5  la  Regione
riconosce anche «il ruolo specifico  della  Fondazione  Piemonte  dal
Vivo  quale  circuito   regionale   multidisciplinare,   volto   alla
distribuzione  e  alla  diffusione  dello  spettacolo  dal  vivo  sul
territorio regionale, alla crescita e alla formazione  del  pubblico,
al consolidamento del  sistema  regionale  dello  spettacolo  e  allo
sviluppo di specifici progetti di promozione, anche in collaborazione
con realta'  di  rilievo  nazionale  e  internazionale,  fatta  salva
l'esclusione di attivita' diretta  o  indiretta  di  produzione».  Il
comma 5 dell'art. 31 prevede  che  «la  Giunta  regionale,  ai  sensi
dell'art. 8, istituisce con propria deliberazione un tavolo tematico,
quale sede di consultazione e confronto, composto dalle  associazioni
di  categoria  maggiormente  rappresentative  a   livello   regionale
operanti nell'ambito dello spettacolo dal vivo». 
    Altre disposizioni si occupano delle sovvenzioni per le  sedi  di
attivita' culturali e di spettacolo (art. 34). 
    Invece,  ad  avviso  della  ricorrente  Regione  le  disposizioni
impugnate della legge n. 106 del 2022 non tengono conto del quadro di
competenze  costituzionali  sopra  delineato,  ma  al  contrario   lo
contraddicono nei modi e sotto i profili di seguito illustrati. 
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, primo periodo,
della legge n. 106 del 2022,  per  violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, della Costituzione. 
    La Regione impugna in primo luogo l'art. 7,  primo  comma,  primo
periodo, della legge n. 106 del 2022, per violazione  dell'art.  117,
terzo comma, della Costituzione secondo il quale  «nell'ambito  delle
competenze istituzionali e nei limiti  delle  risorse  disponibili  a
legislazione vigente, le regioni, in  applicazione  dei  principi  di
sussidiarieta', adeguatezza,  prossimita'  ed  efficacia,  concorrono
all'attuazione dei principi generali di cui all'art. 1 della legge 22
novembre 2017, n. 175, quali principi fondamentali ai sensi dell'art.
117, terzo comma, della Costituzione». 
    Come si e' esposto in narrativa, la disposizione rappresenta  una
dichiarazione programmatica con cui il legislatore della legge n. 106
del 2022 definisce riduttivamente la posizione  costituzionale  della
Regione nella materia dello  spettacolo,  di  competenza  concorrente
(«promozione e organizzazione di attivita' culturali»). 
    La ragione dell'illegittimita'  consiste  nel  contrasto  con  la
regola  costituzionale  di  riparto  nelle  materie   di   competenza
concorrente,  nella  quale   «spetta   alle   Regioni   la   potesta'
legislativa,  salvo  che   per   la   determinazione   dei   principi
fondamentali,  riservata  alla  legislazione  dello  Stato»,  secondo
quanto recita il secondo periodo del terzo comma dell'art. 117  della
Costituzione: formulazione che, come ha osservato codesta Corte  gia'
a ridosso della entrata in vigore della legge della Costituzione n. 3
del 2001, «rispetto a  quella  previgente  dell'art.  117,  comma  1,
esprime l'intento di una piu' netta  distinzione  fra  la  competenza
regionale a legiferare in queste materie  e  la  competenza  statale,
limitata  alla  determinazione  dei   principi   fondamentali   della
disciplina» (sentenza n. 282 del 2002, piu' volte ripresa in seguito,
da ultimo nelle sentenze n. 231 del 2017, punto 9.3.2 e  n.  126  del
2017, punto 4.1.). 
    Sembra evidente, infatti, da un lato che la titolarita' regionale
della materia, salvo il solo limite dei principi  fondamentali  posti
dalla legge dello Stato, non puo' essere descritta in termini di mero
«concorso» all'attuazione di tali principi; dall'altro, che ove e nei
limiti in cui il principio di sussidiarieta'  imponesse  l'attrazione
di funzioni allo Stato,  cio'  dovrebbe  avvenire  nel  quadro  delle
regole sancite sin dalla sentenza n. 303 del 2003; ancora,  che,  per
quanto riguarda la disciplina e la distribuzione delle  funzioni  nel
territorio  della  Regione,  ogni  valutazione   di   sussidiarieta',
adeguatezza,  prossimita'  ed  efficacia   compete   al   legislatore
regionale; infine, che il limite  «delle  risorse  disponibili»  puo'
riferirsi soltanto alle assegnazioni sull'apposito fondo, ma non puo'
incidere sull'autonomia di spesa della Regione. 
    La norma impugnata, dunque, declassa  una  potesta'  concorrente,
caratterizzata  dal  concorso  vincolato  tra  principi   statali   e
disciplina di svolgimento  di  spettanza  regionale,  ad  una  minore
potesta' legislativa regionale, della quale  lo  Stato  gia'  in  via
ordinaria (e non solo per le  eventuali  e  derogatorie  esigenze  di
sussidiarieta') sarebbe competente non solo a dettare i principi,  ma
a  stabilire  esso  stesso  la  disciplina  della  materia,  al   cui
completamento la Regione sarebbe chiamata soltanto a concorrere. 
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 6,  della  legge
n. 106 del 2022, per violazione degli articoli 117, terzo comma, 118,
primo e secondo comma, della Costituzione, e del principio  di  leale
collaborazione (art. 120, secondo comma, della Costituzione). 
    La Regione censura anche l'art. 5, comma 6, della  legge  n.  106
del 2022, nella parte in cui prevede che i decreti del Ministro della
cultura, di concerto con il Ministro del lavoro, diretti  a  regolare
la composizione e le  modalita'  di  funzionamento  dell'Osservatorio
sono adottati «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome», anziche' «d'intesa con  la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome». 
    Precisamente,  la  disposizione   impugnata   prevede   che   «la
composizione e le modalita' di funzionamento  dell'Osservatorio  sono
definite con uno o  piu'  decreti  del  Ministro  della  cultura,  di
concerto con il Ministro del lavoro e  delle  politiche  sociali,  da
adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore  della
presente legge, sentita la Conferenza permanente per i  rapporti  tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  e
previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per  materia,
che si pronunciano entro quaranta  giorni  dalla  trasmissione  degli
schemi di  decreto,  trascorsi  i  quali  i  decreti  possono  essere
adottati anche in mancanza del parere. Con i  medesimi  decreti  sono
stabilite le modalita' di raccolta e pubblicazione delle informazioni
di cui al comma 2 e di tenuta del registro di  cui  al  comma  5,  le
modalita' operative di realizzazione, gestione  e  funzionamento  del
Sistema  informativo   nazionale   dello   spettacolo,   nonche'   la
composizione e le modalita' di  funzionamento,  senza  oneri  per  la
finanza pubblica, della Commissione tecnica di cui al comma 5». 
    La Regione, nel presente ricorso, non contesta la  determinazione
del legislatore statale di istituire, ben oltre il mero coordinamento
informativo,  un  sistema  a  rete  complessivamente  orientato  alla
promozione  delle  iniziative  nel  settore  dello  spettacolo,   ne'
contesta   il   ruolo    generale    di    coordinamento    assegnato
all'Osservatorio nazionale nel sistema a rete. 
    Essa ritiene, tuttavia, che la condivisione debba  operare  anche
in relazione alla struttura e composizione del baricentro del sistema
comune, nel momento in cui la relativa disciplina viene  affidata  ad
una fonte secondaria. 
    La Regione ricorrente deve infatti evidenziare che nel momento in
cui lo Stato si intitola funzioni in una materia regionale  ai  sensi
dell'art. 117, terzo  comma,  eccedenti  la  competenza  statale  sul
coordinamento   informativo   dei    dati    delle    amministrazioni
territoriali, ai sensi dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  r),
della Costituzione, l'incisione  delle  attribuzioni  legislative  ed
amministrative  regionali  puo'  passare  soltanto   per   le   forme
costituzionalmente ammesse dopo la riforma del Titolo V  della  parte
seconda della Costituzione, vale a dire in applicazione del principio
di sussidiarieta' nella sua valenza ascendente  e  nel  rispetto  del
principio di leale collaborazione,  sancito  dall'art.  120,  secondo
comma, della Costituzione. 
    Si noti  che  le  scelte  che  il  decreto  interministeriale  e'
chiamato ad operare sono di carattere politico-discrezionale,  e  non
meramente tecnico, considerato che esso dovra' regolare anche e prima
di tutto  la  composizione  dell'organo,  e  che  la  legge  non  da'
indicazione alcuna su questo punto. 
    Di qui la necessita' che il principio di leale collaborazione sia
declinato nella forma della intesa e non  in  quella  minimale  della
mera consultazione. 
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, lettera  c),
della legge n. 106 del 2022, per  violazione  dell'art.  117,  terzo,
quarto  e  sesto  comma,   della   Costituzione,   e   dei   principi
costituzionali sui  rapporti  tra  atti  normativi  statali  e  fonti
regionali,  confermati  anche  dall'art.  117,  sesto  comma,   della
Costituzione. Violazione del principio di legalita' (art. 97, secondo
comma, della Costituzione). 
    La Regione, in via cautelativa, impugna anche l'art. 6, comma  2,
lettera c), della legge n. 106 del 2022. 
    L'art. 6, comma 2, della  legge,  dopo  aver  previsto  che  «con
decreto del Ministro della  cultura,  da  adottare  entro  centoventi
giorni dalla data di entrata in vigore della presente  legge,  previa
intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,
le regioni e le province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  sono
definite   le   modalita'   di   coordinamento   e    di    indirizzo
dell'Osservatorio   dello   spettacolo   nell'ambito   del    Sistema
nazionale», aggiunge che «con il medesimo decreto sono stabiliti:  a)
le modalita' operative per lo svolgimento  di  attivita'  a  supporto
degli  osservatori  regionali  o  in  collaborazione  con  essi,  nel
territorio di rispettiva competenza; b) le modalita', gli strumenti e
i criteri per  il  monitoraggio  delle  attivita'  dello  spettacolo,
nonche' per la raccolta, la  valutazione  e  l'analisi  dei  relativi
dati,  anche  a   supporto   delle   attivita'   di   programmazione,
monitoraggio  e  valutazione  degli  interventi;  c)   le   modalita'
operative di realizzazione e funzionamento del Sistema nazionale». 
    Come si e' anticipato nella parte  narrativa,  la  censura  della
Regione e' diretta contro la lettera c), per l'ipotesi che  l'oggetto
«modalita' operative di realizzazione  e  funzionamento  del  Sistema
nazionale» - Sistema del quale, come  pure  si  e'  ricordato,  fanno
parte l'Osservatorio nazionale dello spettacolo, di cui all'art. 5, e
gli Osservatori regionali dello  spettacolo,  di  cui  all'art.  7  -
comprenda anche la disciplina degli Osservatori regionali. 
    La ricorrente Regione non ritiene che tale ipotesi sia fondata, e
che al contrario la legge statale nel suo insieme debba essere intesa
nel  senso  che  la  disciplina  degli  osservatori  regionali  dello
spettacolo rimane - come e' sempre stata  -  rimessa  al  legislatore
regionale. Ove  cosi'  non  fosse,  la  disposizione  sarebbe  invece
illegittima in parte qua, sotto diversi profili. 
    3.1.  Anzitutto,  la  norma  andrebbe  ad  invadere  la  potesta'
residuale in materia di organizzazione regionale, ai sensi  dell'art.
117, quarto comma, della Costituzione 
    Infatti,  l'organizzazione  di  un  ufficio  regionale   verrebbe
regolata da una fonte statale, priva  di  competenza  in  materia  di
organizzazione regionale. 
    3.2. Sotto un  secondo  profilo,  trattandosi  di  fonte  statale
secondaria,    di    carattere     sostanzialmente     regolamentare,
l'incompetenza  dell'atto  e'  evidenziabile  anche  in   riferimento
all'art. 117, sesto comma, della  Costituzione,  che  riconosce  alla
Stato competenza regolamentare solo «nelle  materie  di  legislazione
esclusiva»:  cio'  che  non  si  puo'  dire,  all'evidenza,  per   la
disciplina degli Osservatori regionali dello spettacolo, peraltro  in
molti casi gia' istituiti e disciplinati con legge regionale, come e'
avvenuto, ad esempio, nel caso della Regione Veneto, che ha istituito
l'Osservatorio dello spettacolo dal vivo, con sede presso  la  Giunta
regionale (art. 38 della legge  regionale  16  maggio  2019,  n.  17,
«Legge per la cultura»). 
    3.3. Anche se si volesse  prescindere  da  tale  limitazione,  la
norma, ove consentisse alla fonte regolamentare  di  condizionare  la
legge  regionale  sulla  organizzazione  dell'osservatorio  regionale
dello  spettacolo,  risulterebbe  illegittima  per  contrasto  con  i
principi costituzionali in materia di rapporti tra  fonti  statali  e
fonti  regionali,  derivanti  dalla  natura  di  legge  della   fonte
regionale,  assoggettata  ad  uno  specifico  sistema  di  limiti  di
carattere legislativo (art. 117, primo, terzo e quarto  comma,  della
Costituzione): di modo che sono in ogni caso esclusi nelle materie di
competenza concorrente, limitazioni derivanti da fonti  regolamentari
o comunque secondarie. 
    Si noti che, anche prima della riforma del Titolo V,  l'eventuale
vincolo a carico  della  legge  regionale  derivante  dagli  atti  di
indirizzo e coordinamento statali adottati in forma  non  legislativa
era condizionato, secondo il chiaro insegnamento  di  codesta  Corte,
dal rispetto del principio di legalita'  in  senso  sostanziale,  sul
presupposto che la fonte del vincolo fosse la  legge  stessa,  tenuta
dunque a conformare nel contenuto l'atto amministrativo rivolto  alle
regioni. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  aveva  altresi'  detto,   con
altrettanta   chiarezza,   che   «un   regolamento   (governativo   o
ministeriale) non puo' contenere norme miranti a limitare la sfera di
competenza delle Regioni nelle materie  loro  attribuite,  in  quanto
esse "non sono soggette,  in  linea  di  principio,  alla  disciplina
dettata con i regolamenti governativi" (sentenze n. 507 del 2000 e n.
352 del 1998)» (sentenza n. 84 del 2001, punto 4). 
    Anche (e a maggior ragione) nel  nuovo  riparto  -  ha  precisato
codesta Corte nella sentenza n. 303 del 2003,  al  punto  7  -  «alla
fonte secondaria statale e' inibita  in  radice  la  possibilita'  di
vincolare l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale  o  di
incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n.  22  del
2003); e neppure i principi di sussidiarieta' e  adeguatezza  possono
conferire ai regolamenti statali una capacita'  che  e'  estranea  al
loro valore, quella cioe' di modificare gli ordinamenti  regionali  a
livello  primario»:  a  tali  principi,  infatti,  non  puo'   essere
riconosciuta «l'attitudine a vanificare la  collocazione  sistematica
delle fonti conferendo primarieta' ad atti che possiedono lo  statuto
giuridico di fonti secondarie e a  degradare  le  fonti  regionali  a
fonti  subordinate  ai  regolamenti  statali  o  comunque  a   questi
condizionate».  E  in  questo  senso  si  e'   attestata   anche   la
giurisprudenza costituzionale successiva:  si  veda,  da  ultimo,  la
sentenza n. 180 del 2020, al punto 4.1, in cui si ribadisce che  alle
«fonti normative secondarie ...,  in  quanto  tali,  «e'  inibita  in
radice  la  possibilita'  di  vincolare  l'esercizio  della  potesta'
legislativa  regionale  o  di  incidere  su  disposizioni   regionali
preesistenti (sentenza n. 22 del  2003);  e  neppure  i  principi  di
sussidiarieta' e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali
una capacita' che  e'  estranea  al  loro  valore,  quella  cioe'  di
modificare gli ordinamenti regionali a livello primario» (sentenza n.
303 del 2003)" e si aggiunge che "le  norme  regolamentari,  infatti,
non possono essere  ascritte  «all'area  dei  principi  fondamentali»
delle materie concorrenti, «in quanto la fonte  regolamentare,  anche
in forza  di  quanto  previsto  dall'art.  117,  sesto  comma,  della
Costituzione, sarebbe  comunque  inidonea  a  porre  detti  principi»
(sentenza n. 92 del 2011)  e,  quindi,  a  vincolare  il  legislatore
regionale (sentenza n. 162 del 2004)». 
    3.4. Sotto un ulteriore profilo, considerato che la norma  affida
ad un atto sublegislativo la disciplina  della  organizzazione  degli
uffici, risulta violato anche il principio di legalita' fondato nella
riserva di legge in materia di organizzazione  dei  pubblici  uffici,
sancita dall'art. 97, secondo comma, della Costituzione 
    Se e' vero che si tratta di una riserva  di  legge  relativa,  e'
anche vero che, ove vi fosse una competenza statale, almeno le regole
di base dovrebbero essere dettate dal legislatore. Evidente e'  anche
la ridondanza del vizio sulle competenze legislative della Regione in
materia di organizzazione amministrativa  (art.  117,  quarto  comma,
della Costituzione), peraltro riferite ad una materia, lo spettacolo,
anch'essa di competenza  regionale  (art.  117,  terzo  comma,  della
Costituzione). Trattasi, come si e'  gia'  esposto  al  punto  I,  di
competenze gia' esercitate, che l'ente dovrebbe esercitare nuovamente
sulla base di un condizionamento che, alla stregua  di  quanto  sopra
considerato, non puo' essere ammesso. 
    Per  mero  scrupolo  di  difesa  si  osserva  che  i  profili  di
illegittimita' evidenziati nel  presente  punto  non  sono  eliminati
dalla previsione della intesa con la Conferenza permanente,  che  non
e' un succedaneo ne' dell'autonomia normativa, riconosciuta a ciascun
ente, ne' dei principi in materia di  fonti,  ne'  del  principio  di
legalita'. A conferma di cio' e' sufficiente il  rilievo  secondo  il
quale le competenze costituzionali, riguardino esse  i  poteri  dello
Stato o le attribuzioni di Stato  e  Regioni,  non  sono  disponibili
neppure da parte dei titolari delle stesse. 
IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, primo  comma,  secondo
periodo, per violazione dell'art. 117, terzo e  quarto  comma,  della
Costituzione. Violazione dei principi costituzionali in  materia  dei
rapporti tra atti nazionali e regionali, confermati  anche  dall'art.
117, sesto comma, della Costituzione, e del  principio  di  legalita'
(art. 97, secondo comma, della Costituzione). 
    Le argomentazioni esposte al punto  precedente  valgono  anche  a
dimostrare i profili di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7,
comma 1, secondo periodo. 
    Tale disposizione stabilisce  che  «le  regioni,  sulla  base  di
criteri  stabiliti  con  accordi  sanciti  in  sede   di   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e  di  Bolzano:  a)  promuovono  l'istituzione  di
osservatori regionali dello  spettacolo  per  la  condivisione  e  lo
scambio di dati e di informazioni sulle  attivita'  dello  spettacolo
dal vivo; b) verificano, anche attraverso gli  osservatori  regionali
dello spettacolo, l'efficacia dell'intervento pubblico nel territorio
rispetto ai  risultati  conseguiti,  anche  attraverso  attivita'  di
monitoraggio e  valutazione,  in  collaborazione  con  l'Osservatorio
dello  spettacolo;  c)  promuovono  e  sostengono,   attraverso   gli
osservatori regionali dello spettacolo, anche con  la  partecipazione
delle province, delle citta' metropolitane e dei comuni, direttamente
o in concorso con lo Stato, le attivita' dello spettacolo dal vivo». 
    Oggetto di contestazione, rispetto a  tale  disposizione,  e'  in
primo luogo la previsione secondo la quale  le  regioni  disciplinano
gli oggetti indicati alle lettere a), b) e c) «sulla base di  criteri
stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di  Bolzano».  Attraverso  questa  prescrizione,  infatti,  la  norma
impugnata pretende di  assoggettare  l'esercizio  della  legislazione
regionale ad un  presupposto  e  un  vincolo  derivanti  da  un  atto
amministrativo di carattere politico, qual e' l'accordo raggiunto  in
Conferenza. 
    Benche' la disposizione non lo precisi espressamente, gli accordi
cui essa fa riferimento sono - sembra alla Regione si debba  ritenere
- gli accordi previsti dall'art. 4 del decreto legislativo n. 281 del
1997, ai sensi del quale «Governo, regioni  e  province  autonome  di
Trento  e  di  Bolzano,  in  attuazione  del   principio   di   leale
collaborazione e nel perseguimento  di  obiettivi  di  funzionalita',
economicita'  ed  efficacia   dell'azione   amministrativa,   possono
concludere in sede di Conferenza Stato-regioni accordi,  al  fine  di
coordinare  l'esercizio  delle  rispettive  competenze   e   svolgere
attivita' di interesse comune»,  accordi  che  «si  perfezionano  con
l'espressione dell'assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni
e delle province autonome di Trento e di Bolzano». 
    Ora, interpretando tale disposizione,  codesta  ecc.ma  Corte  ha
stabilito che gli accordi raggiunti ai sensi dell'art. 4 del  decreto
legislativo n. 281 del 1997 non sono idonei a vincolare  la  funzione
legislativa, limitandone l'efficacia al piano  politico  e  negandone
ogni effetto di vincolo  giuridico,  come  afferma  con  nettezza  la
sentenza n. 437 del 2001. 
    In  tale  sentenza,  la  Corte  conclude  che  le  procedure   di
cooperazione o  di  concertazione  possono  rilevare  ai  fini  dello
scrutinio  di  legittimita'  di  atti  legislativi,  solo  in  quanto
l'osservanza delle stesse sia imposta direttamente  o  indirettamente
(punto  3  del  diritto):  concetto,  questo,  ripreso  anche   dalla
giurisprudenza  successiva  (sentenza  n.  237  del  2017,  punto  9;
sentenza n. 137 del 2018, punto 3.5.3), che ha altresi' ribadito  che
«un  accordo  non  puo'  condizionare  l'esercizio   della   funzione
legislativa (sentenze n. 160 del 2009 e n. 437 del  2001)»  (sentenza
n. 176 del 2016, punto 4.2.2). 
    La norma impugnata, invece,  imprime  a  tale  accordo  carattere
cogente, attribuendo a tale atto una forza che esso non ha di per se'
e che nemmeno la legge  statale  gli  puo'  conferire,  dato  che  si
verrebbe in questo modo da un lato ad alterare i normali rapporti tra
atti non legislativi e atti legislativi, dall'altro,  si  inciderebbe
anche  sui  rapporti   tra   organi   della   Regione,   perche'   si
trasformerebbe  un  atto  di  assenso  del   vertice   dell'esecutivo
regionale  in  un  limite  alla  potesta'  legislativa  assegnata  al
consiglio regionale. Non a caso, lo stesso art.  117,  ottavo  comma,
della Costituzione, riserva alla legge regionale la «ratifica [del]le
intese della Regione con altre  Regioni  per  il  migliore  esercizio
delle proprie funzioni». 
    D'altronde, neppure sotto altro profilo vi e'  ragione  e  titolo
giustificativo per l'assoggettamento della legislazione  regionale  a
previ accordi con lo Stato. 
    L'accordo, infatti, interviene nella materia della organizzazione
amministrativa dell'ente,  materia  in  cui  la  Regione  dispone  di
potesta' residuale (art.  117,  quarto  comma,  della  Costituzione),
sicche' la legge statale non ha titoli  di  intervento,  trattandosi,
peraltro, di organizzazione di funzioni  all'interno  di  un  settore
materiale anch'esso di competenza regionale qual e' lo spettacolo, di
competenza concorrente, ai sensi dell'art. 117,  terzo  comma,  della
Costituzione («promozione e organizzazione di attivita' culturali».) 
    In sintesi, la disposizione  risulta  illegittima  sotto  plurimi
profili. 
    Anzitutto, e' illegittima per contrasto con  l'art.  117,  quarto
comma, Della Costituzione,  perche'  la  norma  interferisce  con  la
potesta' legislativa residuale in  materia  di  organizzazione  degli
uffici della Regione: interferenza che e' evidente ove si osservi che
Regione  sarebbe   costretta   ad   adottare   specifiche   soluzioni
organizzative. 
    In secondo luogo, la norma viola, per i motivi esposti  sopra,  i
principi costituzionali che regolano i rapporti tra  atti  statali  e
fonti regionali, impliciti nella attribuzione alla Regione di  potere
legislativo  (art.  117,  primo,  terzo   e   quarto   comma,   della
Costituzione)  e  nella  regola  costituzionale  sul  riparto   della
potesta' regolamentare (art. 117, sesto comma, della Costituzione). 
    Ancora, la norma contrasta con il principio di legalita' e  della
riserva  di  legge  di  cui  all'art.  97,   secondo   comma,   della
Costituzione, stante l'inversione del corretto rapporto tra  legge  e
atti amministrativi, sia  pure  di  carattere  politico.  Tale  vizio
ridonda in lesione della autonomia regionale, che e' prima  di  tutto
una autonomia legislativa; incide,  all'interno  della  Regione,  sui
rapporti tra esecutivo e  legislativo,  per  i  motivi  gia'  esposti
sopra;  consente  una  conformazione  illegittima   di   un   settore
materiale,  quello  della  organizzazione  amministrativa   e   dello
spettacolo, riservati alla Regione. 
    Risulta dunque evidente che, ove lo  Stato  ritenesse  essenziale
condizionare  la  legislazione  regionale   a   determinati   criteri
organizzativi o operativi, dovrebbe provvedervi con legge, nei limiti
entro i quali anche al legislatore e' consentito, come  precisato  da
codesta Corte, ad esempio nella sentenza n. 87 del 2018, nella  quale
essa ha ritenuto illegittima l'imposizione da parte  del  legislatore
statale di un determinato modello  organizzativo  in  relazione  alla
garanzia del diritto sociale allo studio. 
V. Illegittimita' costituzionale dell'art. 7,  primo  comma,  secondo
periodo, lettera c), per  violazione  degli  articoli  117,  terzo  e
quarto comma, e 118,  primo  e  secondo  comma,  della  Costituzione.
Violazione del principio  di  proporzionalita'  e  di  ragionevolezza
(art. 3, primo comma, della Costituzione). 
    La Regione,  infine,  impugna  l'art.  7,  primo  comma,  secondo
periodo, lettera c), della legge, per violazione della sua  autonomia
organizzativa  e   della   competenza   ad   allocare   le   funzioni
amministrative ai diversi enti territoriali, nonche' in quanto  norma
irragionevole e sproporzionata. 
    La disposizione vincola le  Regioni  a  promuovere  e  sostenere,
«attraverso gli osservatori regionali dello spettacolo, anche con  la
partecipazione delle  province,  delle  citta'  metropolitane  e  dei
comuni, direttamente o in concorso con lo Stato, le  attivita'  dello
spettacolo dal vivo». 
    La  ricorrente  non  puo'  non  contestare  l'intromissione   del
legislatore statale nella propria organizzazione  e  nell'ordinamento
della propria azione, operata  mediante  l'attribuzione  di  funzioni
direttamente ad un proprio ufficio e la  previsione  secondo  cui  le
funzioni di sostegno allo spettacolo al vivo debbono avvenire  «anche
con la partecipazione delle province, delle  citta'  metropolitane  e
dei comuni». 
    Entrambe le norme sono, ad avviso della Regione, illegittime, per
ragioni che prescindono  completamente  anche  dalla  fondatezza  dei
precedenti motivi di ricorso. La presente censura e' dunque  autonoma
dalle precedenti, ed  e'  diretta  contro  una  disposizione  che  e'
eccentrica  anche  rispetto  alla  logica  delle  altre  disposizioni
oggetto della presente impugnazione. 
    5.1. E' giurisprudenza costante di codesta Corte  che  quando  lo
Stato intesta funzioni alla regione deve assegnarle all'ente,  e  non
all'organo, pena la violazione della  autonomia  organizzativa  della
Regione, garantita nell'ambito della competenza residuale (art.  117,
quarto comma, della Costituzione). 
    In questo senso si veda, tra le molte, la  sentenza  n.  293  del
2012,  in  cui  la  Corte  segnala  di  aver   "gia'   concluso   per
l'illegittimita'  di  norme  statali  che  provvedevano  a   indicare
specificamente   l'organo   regionale   titolare    della    funzione
amministrativa, trattandosi  di  «normativa  di  dettaglio  attinente
all'organizzazione interna della Regione» (sentenza n. 387 del  2007;
inoltre, sentenze n. 22 del 2012 e n. 95 del  2008)  e  nel  caso  di
specie non si ravvisano ragioni che possano consentire al legislatore
statale  non  solo  di  porre  a  carico  della  Regione  un  obbligo
collaborativo di raccolta dati, ma anche di selezionare  il  soggetto
regionale deputato a svolgerlo"; nello stesso senso anche la sentenza
n. 387 del 2007. 
    La legge statale, dunque, deve  rispettare  le  scelte  regionali
circa l'intestazione delle funzioni ai diversi organi o  uffici,  con
la limitata eccezione - confermativa della regola  generale  -  della
attribuzione  di  funzioni  al  Consiglio  regionale,   eventualita',
questa,  non  a  caso  autorizzata  direttamente  dalla  Costituzione
nell'art. 121, primo comma, della Costituzione, a mente del quale «il
Consiglio regionale esercita le potesta' legislative attribuite  alla
Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione  e  dalle
leggi», se per «leggi» si intendono qui (anche) le leggi statali. 
    Nel presente  caso  la  legge  statale  assegna  le  funzioni  di
promozione dello spettacolo dal vivo all'Osservatorio regionale dello
spettacolo,   precludendo   diverse   soluzioni   organizzative,    e
addirittura contraddicendo quelle gia' stabilite dalla Regione. 
    La  norma   si   dimostra   poi   del   tutto   irragionevole   e
sproporzionata, anche ai fini dei raccordi e del coordinamento che la
legge vuole costruire, considerato che la promozione ed  il  sostegno
sono una funzione finale, interna alla Regione, mentre  le  norme  di
cui agli articoli 5 e 6 sono rivolti ad organizzare il  coordinamento
tra i sistemi regionali e lo Stato.  La  lesione  di  tali  principi,
radicati nell'art. 3 della Costituzione,  ridonda  in  lesione  della
autonomia organizzativa della Regione, assoggettata ad un vincolo non
giustificato,  e  in   lesione   della   autonomia   legislativa   ed
amministrativa della Regione in materia di spettacolo. 
    5.2. La norma che prevede come necessaria  la  partecipazione  di
province, citta' metropolitane e comuni all'esercizio delle  funzioni
di promozione  e  sostegno  dello  spettacolo  e',  ad  avviso  della
ricorrente Regione, anch'essa illegittima, in quanto predetermina una
scelta di allocazione delle funzioni che compete invece alla  Regione
in  applicazione  dell'art.  117,  terzo  e   quarto   comma,   della
Costituzione, e dell'art. 118,  secondo  comma,  della  Costituzione,
combinati con l'art. 10 della legge costituzione n. 3 del 2001, se si
considera che il potere di allocare le funzioni segue la competenza a
disciplinare legislativamente la materia. 
    Tale scelta allocativa e' stata anche esercitata dalla ricorrente
Regione con la legge regionale 1° agosto 2018, n.  11,  «Disposizioni
coordinate in materia di cultura, che riordina la legislazione  della
materia».