LA CORTE DI APPELLO DI SALERNO 
                           Sezione civile 
 
    Riunita  in  Camera  di  consiglio  nelle  persone  dei   signori
magistrati: 
        1) dott. Bruno de Filippis - presidente relatore; 
        2) dott.ssa Marcella Pizzillo - consigliere; 
        3) dott.ssa Sabrina Serrelli - consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza, nella causa civile iscritta
al n. 44/2022 VG avente ad oggetto:  adozione  maggiorenni,  vertente
tra: 
        P.C. (codice fiscale ...), nata a ... (...)  il  ...  ed  ivi
residente alla via ..., elett.te domiciliata in Sarno (SA)  alla  via
Vecchia Lavorate n. 14, presso  e  nello  studio  dell'avv.  Giuseppe
Crescenzo,  che  la  rappresenta  e  difende  in  virtu'  di  mandato
allegato, da intendersi apposto in calce al presente reclamo; e 
        C.P. (codice fiscale ...), nata a ... (...)  il  ...  ed  ivi
residente alla via elett.te  domiciliata  in  Sarno  (SA)  presso  lo
studio dell'avv. Domenico Crescenzo, che la rappresenta e difende  in
forza di mandato in calce alla memoria di costituzione; 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    P.C. si rivolgeva al Tribunale di Nocera Inferiore, chiedendo che
venisse pronunciata l'adozione della maggiorenne C.P., nata il ... 
    Il giudice adito, rilevato  che  l'adottanda  aveva  espresso  il
proprio consenso e  che  i  genitori  della  stessa  avevano  fornito
l'assenso, accoglieva la domanda. 
    Avverso tale pronuncia proponeva  reclamo,  ex  art.  313,  P.C.,
contestando il mancato accoglimento della sua richiesta  di  posporre
il cognome dell'adottante a quello dell'adottato e sostenendo che  il
tribunale aveva errato nell'affermare, nella parte motiva,  che  ella
aveva figli. 
    Si costituiva C.P., dichiarando di  non  opporsi  alle  richieste
della reclamante. 
    La causa veniva trattenuta per la decisione  all'udienza  del  28
aprile 2022, svolta nelle forme della trattazione scritta,  all'esito
di procedimento camerale. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    L'adozione di maggiorenne e' un istituto disciplinato  dal  libro
I, titolo VII, capo 1 e 2 del  codice  civile  ovvero  dall'art.  291
all'art. 314. Il comma  1  dell'art.  291  consentiva  l'adozione,  a
soggetti che  non  avessero  discendenti,  che  avessero  compiuto  i
trentacinque anni d'eta', e che avessero almeno 18 anni di differenza
con la persona da adottare. La Corte costituzionale, con la  sentenza
n. 557 del 19 maggio 1988 e con la n. 245  del  20  luglio  2004,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 291  del  codice
civile, in quanto in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella
sezione  in  cui  non  consente  l'adozione  a  persone  che  abbiano
discendenti legittimi, minorenni o maggiorenni, se consenzienti. 
    In particolare, con la sentenza 11-19 maggio  1988,  n.  557  (in
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - 1ª Serie speciale - n.
21  del  25  maggio  1988)  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
«l'illegittimita' costituzionale dell'art.  291  del  codice  civile,
nella parte in cui non consente  l'adozione  a  persone  che  abbiano
discendenti legittimi  o  legittimati  maggiorenni  e  consenzienti»;
mentre con la  pronuncia  8-20  luglio  2004,  n.  245  (in  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana - 1ª Serie speciale - n.  29  del
28  luglio  2004)  ha  dichiarato  «l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 291 del codice civile nella parte in cui  non  prevede  che
l'adozione di maggiorenni non possa essere pronunciata in presenza di
figli  naturali,  ric,onosciuti  dall'adottante,  minorenni   o,   se
maggiorenni, non consenzienti». 
    In tema di adozione del maggiorenne, il giudice nell'applicare la
regola  che  impone  il  divario  minimo  di  eta'  di  18  anni  tra
l'adottante e  l'adottato,  deve  procedere  ad  una  interpretazione
dell'art. 291 del codice civile,  compatibile  con  l'art.  30  della
Costituzione, secondo la lettura data dalla Corte costituzionale e in
relazione all'art. 8 della CEDU, che consenta,  avuto  riguardo  alle
circostanze del caso concreto, una,  ragionevole  riduzione  di  tale
divario  minimo,   al   fine   di   tutelare   situazioni   familiari
consolidatesi  da  tempo  e  fondate  su  una  comprovata   «affectio
familiaris» (Cassazione sezione 1, sentenza  n.  7667  del  3  aprile
2020). 
    Il vincolo di parentela e' valido sia se  la  filiazione  avviene
all'interno del matrimonio che all'esterno dello stesso,  sia  quando
il figlio e' adottivo, mentre va escluso  nel  caso  di  adozione  di
maggiorenne, interpretazione  che  sembra  resistere  alle  modifiche
intervenute con la legge 10  dicembre  2012,  n.  219,  la  quale  ha
modificato l'art. 74 del codice  civile,  introducendo  il  principio
dell'unicita' dello stato di figlio. Nel momento in  cui  si  procede
all'adozione di maggiorenne e' espressamente  richiesto  il  consenso
delle  parti  coinvolte,   vale   a   dire   quello   dell'adottante,
dell'adottato e dei loro eventuali coniugi (art. 296 e art.  297  del
codice  civile);  dei  figli  (legittimi,  legittimati   o   naturali
riconosciuti)   maggiorenni    dell'adottante    e    dei    genitori
dell'adottato. Con l'adozione non mutano i diritti dell'adottato  nei
confronti della famiglia d'origine, ne'  si  verificano  effetti  nei
confronti  dei  suoi  parenti  e  di  quelli  dell'adottante.   Anzi,
l'adottato acquisisce una serie di diritti fra cui gli  alimenti;  il
diritto a succedere (tramite testamento) all'adottante cosi'  come  i
figli legittimi  e,  infine,  il  diritto  di  anteporre  il  cognome
dell'adottante al proprio (art. 299 del codice civile).  L'adottante,
invece,  non  acquista  alcun  rapporto  civile   con   la   famiglia
dell'adottato  e  non  acquista  diritti  successori  nei   confronti
dell'adottato.  Tutti  gli  effetti  si  producono  dalla  data   del
provvedimento  che  pronuncia  dell'adozione.  Cio'  premesso,   deve
evidenziarsi che l'istituto dell'adozione di maggiorenne nasce  nella
nostra cultura giuridica con  lo  scopo  di  tutelare  il  patrimonio
dell'adottante dando a questi la possibilita' di farlo confluire, sia
in vita che in morte, al soggetto ritenuto degno. L'evoluzione che ha
subito dal 1975 in poi il diritto  di  famiglia  ha  portato  ad  una
modificazione sociale dei rapporti  familiari,  dei  legami  e  delle
ripartizioni  delle  responsabilita'  genitoriali  e  cio'  ha  avuto
incidenza  anche  sulla  normativa  prevista   per   l'adozione   dei
maggiorenni  che  puo'  continuare  a  essere  applicata   anche   se
l'interesse   dell'adottante   ha   solo   indirettamente   finalita'
patrimoniali,   essendo   -   effettivamente   -    l'interesse    al
riconoscimento di un rapporto umano di tipo familiare un fine  lecito
e tutelabile, ai sensi degli articoli 2, 31 e 32 della  Costituzione.
Ne consegue che l'istituto de quo perde totalmente il presupposto  di
natura patrimoniale che connota l'impianto normativo di  riferimento,
diventando l'aspetto patrimoniale una mera conseguenza rispetto  agli
obblighi di solidarieta' che sono  a  carico  del  genitore  adottivo
anche del maggiorenne. Per tale motivo si e' avvertita la  necessita'
di modificare la normativa di riferimento e, in particolare,  con  la
legge del 4 maggio 1983, n. 184, si e'  riformulato  l'art.  299  del
codice civile prevedendo che il cognome dell'adottante sia  anteposto
a quello dell'adottato. Lo scopo, all'epoca, consisteva  nel  rendere
pubblicamente  palese  il  rapporto:  l'anteposizione   del   cognome
dell'adottante a quello dell'adottato rendeva  pubblico  e  certo  il
nuovo stato dell'adottato per finalita'  patrimoniali  e  successori.
Tuttavia, la necessita'  di  dare  pubblicita'  dell'identita'  della
persona tramite il nome e il  cognome,  oggi  deve  dirsi  del  tutto
superata poiche' numerose sono le deroghe che l'ordinamento permette:
l'art. 33 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  396/2000
(Regolamento per la revisione e la  semplificazione  dell'ordinamento
dello stato civile) consente la  variazione  del  cognome  in  alcuni
casi, e il decreto del Presidente della  Repubblica  del  30  gennaio
2015, n. 26, ne ha abrogato il comma 1, che prevedeva che  il  figlio
legittimato portasse il cognome del padre. Il  cognome  pertanto,  ha
perduto il suo carattere indicativo della stirpe familiare. 
    Cio'  e'  altrettanto  evidente  non  solo  nella  giurisprudenza
sovranazionale (cfr. Corte EDU, sentenza 7 gennaio 2014,  ricorso  n.
77/07), ma anche nei piu' recenti arresti sia della giurisprudenza di
merito (ex multis, Tribunale di Parma sentenza 27 febbraio  2019,  n.
2) che della Corte costituzionale. 
    In ordine alla tematica che si solleva con la presente eccezione,
la Consulta, con la sentenza n. 120 del 2001,  dopo  aver  dichiarato
incostituzionale il secondo comma dell'art.  299  del  codice  civile
nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio  naturale  non
riconosciuto dai propri  genitori,  l'adottato  possa  aggiungere  al
cognome dell'adottante anche quello originariamente attribuitogli, ha
affermato, in riferimento al primo comma dell'articolo  citato,  che:
«la precedenza del cognome  dell'adottante  non  appare  irrazionale,
cosi' come non puo' costituire violazione del  diritto  all'identita'
personale il fatto che il cognome adottivo  preceda  o  segua  quello
originario.  La  lesione  di  tale  identita'  e'  ravvisabile  nella
soppressione del segno distintivo, non certo nella  sua  collocazione
dopo il cognome dell'adottante». 
    A distanza di piu' di venti  anni  e  tenendo  conto  delle  piu'
recenti sentenze, si ravvisano i  presupposti  perche'  la  questione
debba essere riesaminata. 
    In particolare, deve essere richiamata la sentenza costituzionale
n. 286/2016, la quale, pur riferendosi a una differente  fattispecie,
ha dettato principi di carattere generale, inquadrando sotto una luce
nuova il diritto all'identita' personale e il diritto al nome. 
    Nella parte motiva  della  citata  decisione,  si  legge:  «Nella
famiglia fondata sul matrimonio  rimane  cosi'  tuttora  preclusa  la
possibilita' per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita,
il proprio cognome, nonche' la possibilita' per il figlio  di  essere
identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della madre. 
    3.4. La Corte ritiene che  siffatta  preclusione  pregiudichi  il
diritto  all'identita'  personale  del   minore   e,   al   contempo,
costituisca un'irragionevole disparita' di trattamento tra i coniugi,
che non trova alcuna giustificazione nella finalita' di  salvaguardia
dell'unita' familiare. 
    3.4.1. Quanto al primo profilo di illegittimita', va rilevato che
la  distonia  di  tale  norma  rispetto  alla  garanzia  della  piena
realizzazione del diritto all'identita' personale,  avente  copertura
costituzionale assoluta, ai sensi  dell'art.  2  della  Costituzione,
risulta avvalorata nell'attuale quadro ordinamentale. 
    Il  valore  dell'identita'  della  persona,  nella   pienezza   e
complessita'  delle  sue  espressioni,  e  la  consapevolezza   della
valenza, pubblicistica e privatistica, del  diritto  al  nome,  quale
punto  di  emersione  dell'appartenenza  del  singolo  ad  un  gruppo
familiare, portano ad individuare nei  criteri  di  attribuzione  del
cognome  del  minore  profili  determinanti   della   sua   identita'
personale, che si proietta nella sua personalita' sociale,  ai  sensi
dell'art. 2 della Costituzione. 
    E' proprio in tale prospettiva che questa Corte aveva, da  tempo,
riconosciuto il diritto al mantenimento dell'originario  cognome  del
figlio, anche in caso di modificazioni del suo  status  derivanti  da
successivo riconoscimento o da adozione. Tale originario  cognome  si
qualifica,  infatti,  come  autonomo  segno  distintivo   della   sua
identita' personale (sentenza  n.  297  del  1996),  nonche'  «tratto
essenziale della sua personalita'» (sentenza n. 268 del  2002;  nello
stesso senso, sentenza n. 120 del 2001). 
    Il processo di valorizzazione del diritto all'identita' personale
e' culminato nella recente affermazione, da parte  di  questa  corte,
del diritto del figlio a conoscere le proprie origini e  ad  accedere
alla propria storia  parentale,  quale  «elemento  significativo  nel
sistema costituzionale di tutela della persona» (sentenza n. 278  del
2013). 
    In questa stessa cornice si  inserisce  anche  la  giurisprudenza
della Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  che  ha  ricondotto  il
diritto al nome nell'ambito della tutela offerta  dall'art.  8  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il  4  novembre  1950  e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    (omissis)  La  piena  ed  effettiva  realizzazione  del   diritto
all'identita' personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato
riscontro, unitamente al  riconoscimento  del  paritario  rilievo  di
entrambe le figure genitoriali nel processo di  costruzione  di  tale
identita' personale, impone l'affermazione del diritto del figlio  ad
essere identificato sin dalla nascita, attraverso l'attribuzione  del
cognome di entrambi i genitori. 
    Viceversa, la previsione dell'inderogabile prevalenza del cognome
paterno sacrifica il diritto all'identita' del minore, negandogli  la
possibilita' di essere identificato, sin dalla nascita, anche con  il
cognome materno. 
    Seguendo  la  motivazione  descritta,  si  deve   ritenere,   con
affermazione non limitata alla fattispecie esaminata, ma  con  valore
di  principio  e  percio'  generale,  che  il  diritto  al  nome  sia
indissolubilmente collegato al diritto all'identita' personale e  che
la  protezione  di  esso  sostanzi  e  determini   realizzazione   di
quest'ultima. Si deve ritenere altresi' i diritti menzionati  trovino
il  proprio  fondamento  e   ricevano   nell'art.   2   della   Carta
costituzionale. 
    Nel caso di specie, il rigetto dell'istanza di parte di applicare
un diverso regime di collocazione dei cognomi,  in  relazione  a  una
persona di trentanove anni, la quale, nel corso  di  un  cosi'  lungo
lasso di tempo e di vita, ha avuto  modo  di  stratificare  il  senso
della propria identita' nella consapevolezza personale e nei rapporti
sociali, configura una violazione dei principi enunciati. 
    A cio' deve aggiungersi che, in materia di cognome, la  normativa
vigente e gli interventi della Corte costituzionale hanno valorizzato
il principio della liberta' di scelta e  hanno  cancellato  il  dogma
dell'immodificabilita'  dell'ordine  prestabilito  e  dell'automatica
predeterminazione. 
    Sul punto, deve essere ricordata la decisione del 27 aprile  2022
con la quale la Corte costituzionale si e'  pronunciata  sulla  norma
che non consente ai genitori, di comune  accordo,  di  attribuire  al
figlio il solo cognome della madre e su quella che,  in  mancanza  di
accordo, impone  il  solo  cognome  del  padre,  anziche'  quello  di
entrambi  genitori.  Le  norme  censurate   sono   state   dichiarate
illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e  117,  primo  comma
della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli  8  e  14
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    Si rileva ulteriormente che il permanere della formula apodittica
dell'art.  299  del  codice  civile   determina   disuguaglianza   di
trattamento tra l'adottato maggiorenne  e  il  figlio  sottoposto  al
regime di scelta dei cognomi, esercitato, in sua vece, dai  genitori,
disuguaglianza non giustificata,  dalla  diversita'  degli  istituti,
poiche' espressione del principio di liberta' di scelta,  applicabile
a entrambe le fattispecie e, anzi, a maggior ragione alla  situazione
di un maggiorenne, capace e in grado di compiere le proprie scelte ed
esercitare pienamente i propri diritti. 
    Le ragioni alla base della formulazione dell'art.  299,  comma  1
del codice civile, oggi hanno perso la  loro  forza  in  virtu',  sia
della  modifica  della  funzione  dell'istituto   dell'adozione   del
maggiorenne (da tutela della stirpe e del patrimonio  dell'adottante,
al riconoscimento giuridico di una relazione  sociale,  affettiva  ed
identitaria,  nonche'  di  una  storia  personale,  di  adottante   e
adottando) sia del  nuovo  modo  di  interpretare  il  cognome  e  il
rapporto genitori figli. 
    La norma  oggetto  di  esame  non  e'  suscettibile  di  ricevere
un'interpretazione  adeguatrice,  perche'  il  testo   della   stessa
esprime, oggettivamente, un dato lessicale indiscutibile, e non  piu'
coerente con l'evoluzione normativa e giurisprudenziale. 
    Risulta necessaria, pertanto, una diversa lettura della  medesima
norma,   attribuendo   carattere   non   vincolante   all'indicazione
dell'ordine dei cognomi, essendo venuta meno la ratio di dare rilievo
principalmente  all'adozione   piuttosto   che   alla   conservazione
dell'identita' personale. 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  del  primo  comma
dell'art. 299  del  codice  civile  e'  rilevante,  perche'  dal  suo
accoglimento  deriverebbe  il  buon  esito   del   gravame,   e   non
manifestamente infondata in riferimento agli  articoli  2,  3  e  117
della Costituzione quest'ultimo in riferimento agli articoli 8  e  14
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (CEDU) nonche' in  relazione  all'art.  7
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    Il diritto  al  nome  ha,  nell'attuale  ordinamento,  un  valore
fondamentale di identificazione della  persona  umana,  al  punto  da
qualificarsi come un diritto  della  personalita'.  Tale  diritto  si
collega a quello, piu' ampio, all'identita' personale,  quale  si  e'
andato  progressivamente  maturando  nella  giurisprudenza  e   nella
coscienza sociale. Gia' la consulta, con la sentenza n. 13 del  1994,
ha riconosciuto che il diritto all'identita' personale rientra  nella
tutela  prevista  dall'art.  2  della  Costituzione,  contribuendo  a
formare   il   patrimonio   inviolabile    della    persona    umana.
L'anteposizione  del  cognome   dell'adottante   a   quello   proprio
dell'adottato, nel  caso  del  maggiorenne,  appare  anche  priva  di
razionale giustificazione, violando l'art. 3 della Costituzione. 
    Nel caso in esame l'interessata ha utilizzato da  sempre  il  suo
originario cognome  e  tale  segno  distintivo  si  e'  radicato  nel
contesto sociale in cui ella si trova a  vivere,  sicche'  precludere
all'adottata  la  possibilita'  di   volerlo   anteporre   a   quello
dell'adottante  si  risolve  in   un'ingiusta   lesione   della   sua
personalita', tradizionalmente definita come il diritto «ad essere se
stessi» considerando inoltre la circostanza che la  posposizione  del
cognome  della  ricorrente   al   cognome   dell'adottante   riflette
esattamente la storia e i  legami  affettivi,  sociali  e  umani  che
caratterizzano la sua identita'.