LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di I grado di Venezia Sezione 1 Riunita in udienza il 29 settembre 2022 alle ore 11,30 con la seguente composizione collegiale: Caracciolo Giuseppe, Presidente; Primicerio Giuseppe, relatore; Pinzello Antonio, giudice, in data 29 settembre 2022 ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in riassunzione n. 249/2021, proposto da Gruppo P. S.p.a. difeso da Antonio Franchini FRNNTN44C28L736T - Andrea Manzitti MNZNDR61H24D969E - Loris Tosi TSOLRS57A29L736O - Antonio Viotto VTTNTN67E15F770C - rappresentato da Arturo Bastianello BSTRTR63L27G224N ed elettivamente domiciliato presso loris.tosi@venezia.pecavvocati.it Contro Agenzia entrate - Direzione regionale Veneto, elettivamente domiciliato presso dr.veneto.gtpec@pce.agenziaentrate.it avente ad oggetto l'impugnazione di: avviso di accertamento n. ... a seguito di discussione in pubblica udienza Elementi in fatto e diritto letti gli atti; udite le parti alla pubblica udienza fissata per la discussione; Ritenuto in fatto Il Gruppo P. S.p.a., con ricorso notificato nei confronti dell'Agenzia delle entrate, impugnava l'avviso di accertamento in epigrafe in materia di Iva per l'anno ..., per l'indicato valore di euro ... L'atto impugnato ha per base il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza in data ..., avente ad oggetto acquisti e rivendite di telefoni cellulari, dal quale sono scaturiti: un primo filone ove e' contestato alla societa' la conoscenza e/o compartecipazione a una c.d. frode carosello IVA, recuperando a tassazione l'IVA detratta dalla Gruppo Pam sugli acquisti effettuati dai propri fornitori; un secondo filone ove e' contestato l'applicazione del regime intracomunitario alle cessioni da parte del Gruppo Pam alle controparti commerciali estere. Tali contestazioni sono state oggetto di precedenti ed autonomi avvisi di accertamento, con riguardo agli anni di imposta ..., avverso i quali risultano proposti autonomi ricorsi con riferimento ai due diversi filoni di cui sopra. L'accertamento, ora in esame, e' il primo che, in unico atto, racchiude entrambe le contestazioni. Al momento dell'esame del ricorso avverso l'atto in questione con riferimento ai ricorsi relativi alla contestazione della conoscenza/ compartecipazione da parte della ricorrente ad una c.d. frode carosello IVA (c.d. primo filone) erano intervenute decisioni della Commissione tributaria regionale del Veneto che avevano affermato l'illegittimita' della pretesa erariale gravate, a loro volta, innanzi la Suprema Corte di cassazione. Questa Commissione valutava, pertanto, preliminarmente se fosse applicabile, con riferimento alle questioni pendenti avanti il giudice di legittimita', la sospensione del procedimento ex art. 295 codice di procedura civile Avendo l'organo adito ritenuto tale sospensione possibile, provvedeva nel merito solo con riguardo al c.d. «secondo filone» e con ordinanza n. 1073/1/2018, depositata il 18 dicembre 2018, cosi' pronunciava: «P.Q.M. - La Commissione, non definitivamente pronunciando, ritiene fondato il ricorso con riguardo alla contestata applicazione del regime intracomunitario (c.d. «secondo filone») e per l'effetto annulla l'atto impugnato con riguardo a tale motivo, sospende ex art. 295 codice di procedura civile per il resto (c.d. primo filone) il presente contenzioso in attesa dell'esito dei ricorsi pendenti avanti la Corte di cassazione, revocando la precedente ordinanza del 6 novembre 2018». Avverso tale ordinanza, parte resistente Agenzia delle entrate proponeva, da un canto, ricorso per regolamento di competenza avanti la Corte di cassazione e, dall'altro appello avanti la Commissione tributaria regionale del Veneto per la parte in cui riteneva «fondato il ricorso con riguardo alla contestata applicazione del regime intracomunitario (c.d. "secondo filone") e per l'effetto annulla l'atto impugnato con riguardo a tale motivo». La controversia originata dall'appello dell'Agenzia e' tuttora pendente avanti la Commissione tributaria regionale del Veneto (RGA 327/2020) mentre con ordinanza n. 16180/2021 la suprema Corte ha accolto il ricorso dell'Agenzia, cassando l'ordinanza impugnata e disponendo «la prosecuzione del giudizio avanti la Commissione tributaria provinciale di Venezia». La suprema Corte ha, difatti, precisato che: «Il divieto di pronuncia di sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande, sancito dall'art. 35, comma 3, decreto legislativo n. 546/1992, costituisce un precetto a carattere eccezionale, che introduce una deroga rispetto al regime previsto per il processo civile dall'art. 279 codice di procedura civile giustificata - come precisato dalla Relazione ministeriale sullo schema del decreto legislativo n. 546 del 1992 per la riforma del contenzioso tributario - dall'esigenza di evitare gli inconvenienti a cui il frazionamento dei giudizi da' generalmente luogo anche nel processo civile, avuto specifico riguardo alla peculiare struttura del processo tributario ed al sistema di riscossione frazionata dei tributi contro cui l'istituto delle sentenze non definitive e, a maggior ragione, quello delle impugnazioni differite che solitamente si accompagna, verrebbe inevitabilmente a confliggere». In ottemperanza alla menzionata ordinanza n. 16180/2021 della Corte di cassazione, la Societa' Gruppo P. S.p.a ha formulato istanza di riassunzione con istanza di prosecuzione del giudizio (rgr 758/2015) avanti codesta Commissione tributaria provinciale -medio tempore divenuta Corte di giustizia tributaria di primo grado - di Venezia affinche', rigettata ogni eccezione, istanza o deduzione avversaria, previa conferma della gia' disposta sospensione dell'atto impugnato e previa conferma della pronuncia di annullamento dell'atto impugnato con riferimento ai rilievi del c.d. «secondo filone», vengano accolte le seguenti conclusioni: nel merito, dichiarare l'illegittimita', in tutto o in parte, dell'avviso di accertamento impugnato e, per l'effetto, disporne l'annullamento, totale o parziale; in via subordinata, dichiarare l'illegittimita', in tutto o in parte, del connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative e, per l'effetto, disporne l'annullamento, totale o parziale, dichiarando non dovute, in tutto o in parte, le sanzioni; in ogni caso, condannare l'Agenzia delle entrate alla restituzione del contributo unificato, nonche' delle somme eventualmente percette nelle more del giudizio, aumentate di rivalutazione monetaria ed interessi legali, ed al pagamento delle spese del giudizio ai sensi dell'art. 15 del decreto legislativo n. 546/1992. Nuovamente fissata ed espletata la pubblica udienza ai fini della decisione della residua materia oggetto di contesa - in conformita' alle domande rispettive delle parti - ed udite le parti medesime all'udienza del giorno 29 settembre, la Corte - riunita in Camera di consiglio - si e' riservata di deliberare a mente dell'art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992. Considerato in diritto 1) Premessa Questa Corte ritiene di non poter adottare alcuna decisione nella controversia dianzi descritta, senza avere prima sottoposto alla Corte costituzionale la questione di legittimita' di alcune delle norme che disciplinano l'ordinamento giudiziario tributario cosi' come sono state di recente novellate a mezzo della legge n. 130 del 1° settembre 2022. Si tratta, in particolare: a) dell'art. 24, comma 1, lettera d) ed e) e del comma 2-bis dello stesso art. 24 del decreto legislativo n. 545/1992 (cosi' come modificato dalla legge n. 130/2022); dell'art. 24-bis del decreto legislativo n. 545/1992 (cosi' come inserito nel tessuto normativo preesistente dalla legge n. 130/2022) e di tutte le norme del decreto legislativo n. 545/1992 nella loro formulazione vigente (novellate o meno che siano state dall'anzidetta Legge) che attribuiscono competenza gestionale e di supporto amministrativo in ordine all'organizzazione giudiziaria tributaria al MEF anziche' ad altra amministrazione centrale dello Stato, in specie, tra esse, l'art. 13 del decreto legislativo n. 545/1992 (dettato in materia di «trattamento economico dei componenti delle Corti di giustizia tributaria»), l'art. 32 del predetto decreto legislativo (dettato in materia di personale addetto agli uffici di segreteria delle Corti) e gli articoli da 36 a 41 che compongono il capo quarto del decreto legislativo n. 545/1992 (il quale e' appunto intitolato «I servizi amministrativi del contenzioso") del cui specifico oggetto si dira' piu' oltre, oltre che l'art. 43 del medesimo decreto legislativo n. 545/1992 che compone il capo V intitolato alle norme finali e transitorie; b) del comma 5 dell'art. 8 della legge n. 130/2022 che disciplina la composizione del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria per la consiliatura successiva all'entrata in vigore della anzidetta legge; c) dei commi 4-ter e 5 dell'art. 11 (nuova formulazione) del decreto legislativo n. 545/1992, nella parte in cui contemplano come requisito di accesso al concorso interno per il tramutamento alle funzioni superiori che il componente dell'ordinamento giudiziario tributario abbia garantito almeno un rapporto del 60% tra provvedimenti depositati entro il termine di un mese e provvedimenti complessivamente depositati; d) del combinato disposto dell'art. 7 e dell'art. 12, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 545/1992 nella parte in cui disciplina una specifica ipotesi di «decadenza» degli appartenenti all'ordine giudiziario tributario. e) del comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/2022 nella parte in cui attribuisce al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria il potere di applicare ex officio ad altro organo giudiziario il giudice tributario ogni volta in cui individui delle sedi in cui non e' possibile assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale; f) nuovamente del comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/2002 in combinato disposto con l'art. 13 del decreto legislativo n. 545/1992 sempre nella parte in cui attribuisce al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria il potere di applicare ex officio ad altro organo giudiziario il giudice tributario ogni volta in cui individui delle sedi in cui non e' possibile assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale, ma in una diversa prospettiva di conflitto con i parametri costituzionali; g) dell'art. 1-bis; dell'art. 8, comma 1; dell'art. 9, comma 2 e comma 2-bis; dell'art. 11, comma 1 del decreto legislativo n. 545/1992 cosi' come novellate di recente dalla ridetta legge n. 130/2002, nella parte in cui le anzidette norme assegnano ai giudici tributari onorari lo stabile e istituzionale esercizio di funzioni collegiali, pur nella prevista esistenza di un magistrato professionale a cio' destinabile. Per ciascuno delle anzidette norme o coacervi di norme verranno di volta in volta indicate le norme parametro della Carta costituzionale con cui ritiene che si instauri il contrasto. 2) Sulla rilevanza delle questioni prospettate. Prima di esporre gli argomenti a sostegno della ritenuta non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale a riguardo delle norme piu' sopra emarginate (nella versione attualmente vigente e nel contesto ordinamentale che risulta dalle rilevanti innovazioni introdotte dalla legge n. 130/2022) questa Corte reputa necessario indagarne la rilevanza ai fini della soluzione della presente controversia. Ed invero, il fatto della recentissima entrata in vigore di una legge di intenso riassetto dell'organizzazione giudiziaria tributaria impone - ormai imprescindibilmente - che questa Corte si interroghi anzitutto in ordine alla assicurata conservazione delle guarentigie di autonomia ed indipendenza di ogni singolo componente di questo organo giudicante (cosi' come di tutti gli altri di cui si compone l'ordinamento giudiziario tributario), guarentigie che la Carta costituzionale riferisce non solo al giudice inquadrato nella organizzazione giudiziaria ordinaria ma - sia pure con la mediazione della legge ordinaria (art. 108 Cost.) - anche a tutti gli altri giudici inquadrati nelle giurisdizioni speciali, ed impone ancora che questa Corte si interroghi circa la coerenza intrinseca del disegno ordinamentale che ne risulta, nella prospettiva dei principi di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione, di cui pure l'organizzazione giudiziaria tributaria partecipa nonche' - infine - che si interroghi circa la ragionevolezza di una vistosa diseguaglianza di disciplina che caratterizza - pregiudicandoli - gli appartenenti all'ordinamento giudiziario tributario rispetto agli appartenenti agli altri ordinamenti giudiziari nazionali. La persistenza di tali dubbi di contrarieta' a Costituzione delle menzionate norme ordinarie appare a questa Corte del tutto idonea a sottrarre a questa Corte medesima quella serenita' che deve imprescindibilmente presiedere e preesistere all'atto del giudicare e ne determina - fino al momento dello scioglimento di tali dubbi da parte del Giudice delle leggi - la paralisi della funzione decisoria, non piu' libera di esprimersi in autonomia perche' viziata dalla consapevolezza della esistenza di norme che sono idonee ad incidere sullo status dei giudicanti in modo tale da condizionarne decisivamente l'imparzialita'. Ed invero, questa Corte e' consapevole del fatto che con il presupposto della «rilevanza» del dubbio di costituzionalita' nella giurisprudenza costituzionale si e' inteso esprimere «il rapporto che dovrebbe correre fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in corso» (Corte cost., sentenza n. 13/1965) ovvero «il nesso di pregiudizialita' fra la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e la decisione del caso concreto» (Corte cost. sentenza n. 77/1983) cosi' che - in sintesi - «l'applicabilita' della disposizione al giudizio principale e' sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non postula un sindacato piu' incisivo sul concreto pregiudizio ai principi costituzionali coinvolti» (Corte cost. sentenza n. 174/2016). In questa prospettiva, il presupposto di cui si e' detto appare senz'altro ricorrente nella vicenda in esame, atteso che nel processo sottoposto all'esame di questa Corte risultano senz'altro influenti e decisive - ai fini dell'esplicazione della funzione decisoria - quelle norme che, pur non essendo direttamente applicabili per la soluzione della controversia dedotta nel giudizio «a quo», attengono allo status del giudice, alla sua composizione nonche', in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare. Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza del giudice delle leggi (tra le altre, Corte costituzionale, n. 125/1977; Corte costituzionale, n. 196/1982; Corte costituzionale, n. 18/1989), l'eventuale incostituzionalita' di tali norme, «e' destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri, cioe' la "protezione" dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano ai diritti». Ne' conta, sotto questo profilo, che si tratti di magistratura speciale, anziche' di magistratura ordinaria, siccome il giudice delle leggi ha in plurime occasioni chiarito (in specie sentenza n. 433 del 2000; sentenza n. 53 del 1970 e sentenza n. 108 del 1962) che anche a riguardo della giurisdizione tributaria «il principio dell'indipendenza degli organi giurisdizionali ... non trova fondamento nel richiamato art. 104 Cost. (relativo alla magistratura ordinaria nel suo complesso) ma nell'art. 101, comma secondo, Cost. in connessione, quanto ai giudici speciali, con l'art. 108 Cost.» e che «Il giudizio di costituzionalita' volto ad accertare se una legge applichi puntualmente tale norma costituzionale deve essere circoscritto - non diversamente da quanto previsto per i componenti le giurisdizioni speciali - ad accertare se la disciplina stabilita prescriva almeno un minimo di requisiti che rendano ragionevole la presunzione della loro corrispondenza all'imperativo della Costituzione». Non vi e' percio' perplessita' circa il fatto che le norme della cui costituzionalita' si dubita non siano solo «astrattamente» rilevanti ai fini della soluzione della controversia sottoposta all'esame, ma siano anche «concretamente» rilevanti in quella prospettiva, perche' e' appunto dallo scioglimento del dubbio a riguardo della loro conformita' a costituzione che deriva lo stesso esito della lite, che potra' essere conforme a diritto solo in quanto chi si appresta a giudicare si senta libero di farlo e percio' in grado di esercitare il proprio dovere di «ius dicere». Non puo' dunque prescindersi, nella specie di causa, dal preliminare vaglio della costituzionalita' delle norme che sono state piu' sopra indicate e che condizionano la libera espressione dell'autonomia di giudizio che e' fondamento «immanente» della funzione di rendere giustizia. 3) Sulla non manifesta infondatezza delle questioni proposte Sara' doveroso effettuare un esame ripartito e specifico di ogni singolo dubbio di contrarieta' a costituzione. 3.1) L'effetto di accentuazione del rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal ministero economia e finanze, titolare sostanziale dell'interesse oggetto delle controversie tributarie, determinato dall'entrata in vigore della legge novellatrice n. 130 del 2022, in ingravescente contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell'indipendenza e dell'imparzialita' dei giudici rispetto all'assetto normativo preesistente, che gia' appariva idoneo a pregiudicare la garanzia dei ridetti fondamentali principi in materia di giurisdizione. Si tratta, in specie dei principi dettati non solo dagli articoli 101; 104, 105 e 110 della Carta («I giudici sono soggetti soltanto alla legge»; «La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere»; «Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati»; «...spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia»), in combinato disposto con l'art. 108 della Carta («La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali»), ma anche dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 cosi' come interpretato ed applicato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU) in tema di «equo processo», norma - quest'ultima - che funge da disciplina interposta ai fini della valutazione della conformita' a Costituzione della legge ordinarla nazionale, per effetto del rinvio contenuto nell'art. 117 Cost. (in termini Corte costituzionale 24 ottobre 2007, n. 348 e Corte costituzionale 11 marzo 2011, n. 80). In quest'ultima ottica, non puo' non menzionarsi Corte CEDU 10 gennaio 2012, Pohoskal v. Poland, secondo la quale l'indipendenza del giudicante va valutata da una prospettiva «obiettiva», alla luce della disciplina che ne prevede le modalita' di selezione e che stabilisce le regole di protezione contro le pressioni esterne; nel mentre l'imparzialita' del giudicante medesimo va verificata in prospettiva «soggettiva» - quasi come espressione della psicologia individuale del giudicante - onde acclarare se (indipendentemente da una concreta sussistenza di pregiudizio) sia garantita al giudicante la consapevolezza dell'assenza di condizionamenti esterni. Il coacervo di queste disposizioni di rango costituzionale ha consentito al Giudice delle leggi di esprimere (sentenza n. 284 del 1986) quel principio generalmente applicabile a tutti i giudici latamente intesi (della cui violazione qui appunto si dubita) secondo il quale «L'indipendenza del giudice consiste nell'autonoma potesta' decisionale, non condizionata da interferenze dirette, ovvero indirette provenienti dall'autorita' di Governo o da qualsiasi altro soggetto; essa concerne non solo l'ordine giudiziario nel suo complesso (art. 104 Cost.) ma anche i singoli organi, ordinari (art. 107) e speciali (art. 108), al fine di assicurare che l'attivita' giurisdizionale, nelle varie articolazioni, come la sua intrinseca essenza esige, sia esercitata senza inammissibili influenze esterne. Anche se concettualmente distinta, l'indipendenza ha ricorrenti e stretti legami con l'imparzialita', ...». 3.1.1) Orbene, l'art. 1 della legge n. 130/2022 (recentemente emanata) ha previsto quanto di seguito: «Al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono apportate le seguenti modificazioni: ...... q) all'art. 24: ..... dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti: 2-bis. Al fine di garantire l'esercizio efficiente delle attribuzioni di cui al comma 2, presso il Consiglio di Presidenza e' istituito, con carattere di autonomia e indipendenza, l'Ufficio ispettivo, a cui sono assegnati sei magistrati o giudici tributari, tra i quali e' nominato un direttore. L'Ufficio ispettivo puo' svolgere, col supporto della Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze, attivita' presso le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, finalizzate alle verifiche di rispettiva competenza. r) dopo l'art. 24 e' inserito il seguente: «Art. 24-bis (Ufficio del massimario nazionale). - 1. E' istituito presso il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria l'Ufficio del massimario nazionale, al quale sono assegnati un direttore, che ne e' il responsabile, e quindici magistrati o giudici tributari. ...... 6. L'Ufficio del massimario nazionale si avvale delle risorse previste nel contingente di cui all'art. 32 e dei servizi informatici del sistema informativo della fiscalita' del Ministero dell'economia e delle finanze». Le anzidette norme vanno ad aggiungersi alle altre che gia' implicavano siffatta dipendenza, cosi' da attribuire ora al MEF una specifica e pervasiva competenza (sebbene di carattere strumentale ed organizzativo) anche in materia di ispezioni negli uffici giudiziari e di massimazione e messa a disposizione degli operatori del settore giudiziario delle pronunce di merito adottate dalle Corti di giustizia tributaria. 3.1.2) Le norme preesistenti alla novellazione di che trattasi sono - in specie - gli art. 13 del decreto legislativo n. 545/1992, l'art. 24; l'art. 32 e gli articoli da 36 a 43 del predetto decreto legislativo che costituiscono il formante normativo che consente di affermare che la Giurisdizione tributaria e' organicamente inquadrata nell'apparato amministrativo del MEF ed in specie nella «Direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario presso il Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze». La prima di dette norme attribuisce al Ministro delle finanze la funzione di determinazione del compenso fisso mensile e del compenso aggiuntivo (correlato al numero dei ricorsi definiti) spettante ai componenti delle corti di giustizia tributarie di primo e secondo grado presenti nel ruolo unico di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183. Le altre norme dianzi richiamate attribuiscono all'anzidetto Ministro - anche per il tramite della ridetta «Direzione» - competenza in merito: all'adeguamento e l'ammodernamento delle strutture e dei servizi, sentiti i presidenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, sulla scorta delle proposte formulate dal Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria oltre che alla redazione della relazione del Ministro delle finanze di cui all'art. 29, comma 2, anche in ordine alla produttivita' comparata delle commissioni, sulla scorta degli elementi predisposti dal Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria; al servizio automatizzato per la gestione delle attivita' degli uffici di segreteria delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado e del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria e per le rilevazioni statistiche sull'andamento dei processi comprese la formazione e la tenuta dei ruoli, oltre che la competenza ad emanare norme regolamentari per la disciplina delle modalita' di gestione di tale servizio; alla rilevazione e l'esame delle questioni di rilevante interesse o di ricorrente frequenza nelle controversie pendenti dinanzi alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, e - contempo - alla formula e proposta al Ministro di indirizzi per gli uffici periferici ai fini della difesa dell'amministrazione finanziaria, in ordine alle questioni rilevate ed esaminate, secondo criteri di uniforme e corretta interpretazione della legge, oltre che in materia di esame dell'attivita' di rappresentanza e difesa degli uffici periferici dinanzi alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, con conseguente facolta' di impartire le direttive del caso per la loro organizzazione; alla rilevazione ed esame dei motivi per i quali piu' frequentemente i ricorsi avverso atti degli uffici periferici sono accolti dalle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado ai fini della successiva elaborazione delle direttive per gli uffici periferici e la formulazione delle conseguenti proposte al Ministro oltre che per la formulazione delle proposte di modifiche legislative ritenute necessarie; alle rilevazioni statistiche relative alle controversie pendenti, ai ricorsi proposti ogni anno, alle varie fasi dei processi in corso ed alla loro definizione, nonche' ai provvedimenti adottati; alla alimentazione della banca dati del servizio di documentazione tributaria gestita dal sistema centrale di elaborazione del Ministero delle finanze Ufficio del massimario merce' la rilevazione, la classificazione e l'ordinamento in massime delle decisioni delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado aventi sede nella medesima circoscrizione, provvedendo alle esigenze del persone degli appositi uffici del massimario nell'ambito del contingente di personale indicato nell'art. 10 della legge 29 ottobre 1991, n. 358; all'organizzazione di corsi di aggiornamento, d'intesa con la scuola centrale tributaria per i componenti delle Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado concernenti la disciplina del processo in relazione al sistema normativo dei singoli tributi ed alle modificazioni sopravvenute; alla nomina della Commissione (che a sua volta si avvale dei servizi e del personale della Direzione centrale degli affari giuridici e del contenzioso del Ministero delle finanze) che provvede alla formazione degli elenchi di cui ai commi 3 e 5 dello stesso 43 finalizzati alla selezione dei giudici tributari di prima nomina. A tutto cio' si aggiunge il fatto che l'art. 32 del richiamato decreto legislativo prevede espressamente e tassativamente che il personale addetto agli uffici di segreteria delle Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado e' composto da dipendenti del Ministero delle finanze compresi in un apposito contingente del personale indicato nell'art. 10 della legge 29 ottobre 1991, n. 358 ed inoltre prevede che il Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, sia competente a determinare annualmente le variazioni da apportare alle dotazioni del contingente in relazione alle variazioni del numero di sezioni e del flusso dei ricorsi presso ogni corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado. 3.1.3) Siffatte intrusive competenze «strumentali» sono esercitate dall'amministrazione finanziaria in condizione di palese conflitto di interessi che e' la legge stessa a determinare allorche' attribuisce a detta Amministrazione funzioni propriamente strumentali all'organizzazione degli uffici giudiziari e -contempo-funzioni strumentali alla migliore valorizzazione delle funzioni degli enti ed uffici periferici che esercitano in giudizio (davanti ai medesimi uffici giudiziari) i compiti di difesa delle ragioni dell'Erario, come infatti si desume da molteplici passaggi delle menzionate disposizioni del capo quinto del decreto legislativo n. 545/1992: si veda, a puro titolo di esempio, l'art. 37 a mente del quale «la direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario presso il Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze ... sentita quando occorre l'Avvocatura generale dello Stato, in particolare quando si tratti di questioni sulle quali non vi sia un univoco orientamento giurisprudenziale, formula e propone al Ministro indirizzi per gli uffici periferici ai fini della difesa dell'amministrazione finanziaria, in ordine alle questioni rilevate ed esaminate, secondo criteri di uniforme e corretta interpretazione della legge», nonche' «esamina l'attivita' di rappresentanza e difesa degli uffici periferici dinanzi alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado e, se necessario, impartisce le direttive del caso per la loro organizzazione». Un vero e proprio Giano bifronte che non e' da credere che possa - con la medesima capacita' di astrazione dalla cura dei propri concreti interessi - occuparsi di affari con detti interessi concettualmente confliggenti. L'inquadramento della organizzazione giudiziaria tributaria all'interno di un apparato che della medesima organizzazione giudiziaria - in concreto - si serve per la realizzazione di fini suoi propri appare a questa Corte giudicante istituzionalmente in conflitto con i principi di autonomia ed indipendenza che devono permeare non solo la sostanza della funzione giurisdizionale ma anche la sua apparenza nei confronti dei consociati, i quali hanno il diritto di non dover temere che il giudice innanzi al quale si presentano sia pregiudizialmente schierato a favore di una delle parti del processo. Massimamente questo timore potrebbe palesarsi per il fatto che - come si e' detto - non vi e' autonomia in capo agli organi della giurisdizione tributaria neppure nell'atto in cui dispongono del personale ausiliario, essendo quest'ultimo funzionalmente ed amministrativamente dipendente (con chiara sottoordinazione gerarchica, confermata dal fatto che il disposto dell'art. 15 del decreto legislativo n. 545/1992 prevede che «Il presidente di ciascuna corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado esercita la vigilanza ... sulla qualita' e l'efficienza dei servizi di segreteria della propria commissione, al [solo] fine di segnalarne le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze per i provvedimenti di competenza») proprio dell'amministrazione cui risale l'interesse concreto che si agita negli atti sottoposti al controllo giurisdizionale, solo formalmente adottati dalle «Agenzie», la cui totale cointeressenza con l'amministrazione centrale e' tuttavia palesata dal fatto che i vertici di quelle sono nominati proprio da quest'ultima. Non e' chi non veda - d'altronde - che (come ebbe modo di rilevare l'organo di autogoverno della giurisdizione tributaria nella «Relazione per l'anno 2000) "la collocazione del personale degli uffici di segreteria nell'amministrazione finanziaria finisce per determinare condizionamenti, anche involontari, comunque non corrispondenti alla funzione di garanzia imparziale della giurisdizione e alla par condicio delle parti nel processo», tanto che non e' infrequente il caso di chi in precedenza, come dipendente della amministrazione finanziaria, si sia trovato a svolgere attivita' accertativa, e si trovi poi (a seguito di assegnazione per trasferimento presso gli uffici giudiziari) a coadiuvare proprio quel giudice a cui e' sottoposto in esame il frutto della predetta attivita' accertativa. Maggiormente la giurisdizione tributaria e' esposta a rischio di (almeno apparente) assenza di indipendenza ed autonomia ora che le segnalate novelle introdotte dalla legge n. 130 del 2022 riconoscono alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze una pervasiva «funzione di supporto» anche nella materia delle attivita' ispettiva che dovrebbe essere esercitata in istituzionale autonomia da parte dell'organo di autogoverno proprio per la relazione propedeutica che essa instaura con l'esercizio delle funzioni disciplinari, materia peculiarmente delicata allorche' si affronti il tema qui in argomento, in una con analoga attivita' di supporto. Tanto piu' che un'analoga funzione di supporto (non meno pervasiva, per quanto in diverso ambito) e' riconosciuta in capo alla ridetta Direzione financo ai fini delle attivita' che si espletano nell'Ufficio del massimario nazionale (in aggiunta alla persistente funzione di organizzazione e supporto ai fini dell'espletamento dei corsi di corsi di aggiornamento che e' riconosciuta alla Scuola centrale tributaria a mente del richiamato art. 41 del decreto legislativo n. 545/1992, essa pure incardinata nell'Amministrazione centrale di riferimento) cio' che induce giustificatamente a temere che lo stesso sapere giurisprudenziale - sia nel momento della sua formazione che nel momento della sua raccolta e selezione - possa essere sottoposto al condizionamento ab externo, con fini contrastanti con quelli della garanzia delle pari opportunita' a favore di ciascuna parte del processo. Rischio che deve considerarsi addirittura accentuato per il fatto che (proprio per effetto della disciplina novellatrice che ha inteso modificare la natura del rapporto di servizio degli assumendi magistrati tributari, rispetto agli attualmente incardinati Giudici tributari) tutti i futuri i componenti delle Corti di giustizia finiranno per diventare (sia pure nel lungo periodo) "lavoratori dipendenti" in senso stretto dell'amministrazione (come si desume dal novellato art. 9 del decreto legislativo n. 545/1992) ed anzi legati ad essa da un rapporto di dipendenza «esclusiva» (secondo la regola della richiamata legge di Ordinamento giudiziario ordinario), cosi' da perdere finanche quella parvenza di «terzieta'» che e' stata fino ad oggi assicurata dalla origine onoraria (e quindi non esclusiva) del rapporto di servizio, cio' che ha sollecitato fino ad oggi - nella percezione della pubblica opinione piu' avveduta - una parvenza di «estraneita'» (quanto meno psichica) di ciascun giudice tributario rispetto all'amministrazione nella quale la struttura e' incardinata. In questo senso e' invero condivisibile l'assunto esposto in dottrina secondo cui «la professionalizzazione del giudice tributario enfatizza in forma esponenziale la rilevanza del requisito dell'indipendenza», sotto questo profilo la legge novellatrice «si pone in antitesi rispetto a quel percorso di progressiva revisione della giustizia tributaria che parte da lontano e che con graduali passaggi - in una graduale e virtuosa azione congiunta del legislatore e della Corte costituzionale - ha consentito di consacrarne la natura giurisdizionale e la conformita' a Costituzione». Per altro verso, mentre i «magistrati tributari» risulteranno essere per lo meno tutelati sotto il profilo della eterodeterminazione con fonte normativa primaria del trattamento economico che ad essi spetta (art. 13-bis del decreto legislativo n. 545/1992 come ex novo introdotto dalla legge n. 130/2022), permane invece nei confronti dei giudici tributari attualmente in servizio (e che in servizio resteranno per un periodo transitorio inusitatamente lungo: si stima che solo a partire dall'anno 2052 resteranno in servizio esclusivamente magistrati tributari e non piu' giudici) la per molti versi inaccettabile modalita' di determinazione del «composito» trattamento economico spettante a questi ultimi (tutt'ora apparentato al sistema retributivo del «cottimo puro») a mezzo di fonte normativa di origine propriamente amministrativa (decreto ministeriale), senza che il legislatore abbia inteso almeno munire di criteri di indirizzo generale l'esercizio della potesta' delegata, percio' rimessa al vero e proprio arbitrio del Ministro di tempo in tempo nominato. Per non dire del fatto che finanche il controllo della liquidazione della parte variabile del compenso e' istituzionalmente impedita al giudice tributario, siccome la dianzi richiamata norma ne assegna la funzione alla «direzione regionale delle entrate nella cui circoscrizione ha sede la Corte tributaria di appartenenza», senza neanche prevedere che al giudice tributario competa l'omologo del diritto alla ricezione della «busta paga» che invece compete ex lege a tutti i lavoratori di qualunque genere e specie, e cio' rende addirittura «cieco» l'arbitrio che l'amministrazione centrale ha, merce' l'astratta facolta' di esercitare provvedimenti premiali o lesivi nei confronti di chi giudica la conformita' a diritto dei provvedimenti che alla ridetta amministrazione concretamente interessano (sia pure per il tramite dell'adozione da parte degli enti che all'amministrazione medesima fanno riferimento). Non sembra infondato quindi ritenere che un siffatto «sistema» - trasversale a tutto l'impianto del testo normativo che disciplina l'organizzazione giudiziaria tributaria - determini lesione proprio a cio' che codesta ill.ma Corte costituzionale ha ritenuto essere «il requisito essenziale posto dalla Costituzione a presidio del retto esercizio della funzione giurisdizionale» e cioe' «quello della indipendenza del giudice, la cui attivita' deve essere immune da vincoli che possano comportare la sua soggezione formale o sostanziale ad altri organi, e deve altresi' essere libera da prevenzioni, timori, influenze, che possano indurre il giudice a decidere in modo diverso da quanto a lui dettano scienza e coscienza» (sentenza n. 128 del 1974). 3.1.4) Detto quanto precede a riguardo della non manifesta infondatezza dei dubbi che questa Corte esprime circa la legittimita' del coacervo delle norme indicate sub a) della premessa, e' doveroso che questa Corte remittente esprima anche una propria opinione a riguardo della ammissibilita' del dubbio di costituzionalita' negli esatti termini in cui esso e' stato proposto. Infatti, questa Corte remittente non ignora che codesta ill.ma Corte costituzionale - con l'ordinanza n. 227 del 20 ottobre 2016 - ha dichiarato la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' di alcune (insieme ad altre) delle norme qui censurate, sollevate con riferimento agli analoghi parametri qui indicati, da parte della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con ordinanza del 23 settembre 2014. In quella specie il Giudice delle leggi ha ritenuto che il rimettente avesse invocato «plurimi interventi additivi, diretti da un lato a delineare un nuovo assetto dell'ordinamento e dell'organizzazione della giustizia tributaria, e dall'altro lato ad aggiungere una nuova causa di, astensione del giudice tributario, fondata sul difetto della sua apparente indipendenza per ragioni ordinamentali, o comunque a prefigurare un analogo rimedio processuale»; ha ritenuto inoltre che «in relazione al censurato inquadramento del personale delle segreterie nell'amministrazione finanziaria, il giudice a quo» avesse omesso «del tutto di indicare la direzione e i contenuti dell'intervento correttivo richiesto, tra i molteplici astrattamente ipotizzabili», ed altre omissioni che qui non e' utile richiamare per extenso, sicche' ha concluso «che queste omissioni comportano l'indeterminatezza e l'ambiguita' dei petita, e di conseguenza, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l'inammissibilita' delle questioni», anche alla luce del fatto che «l'eterogeneita' delle disposizioni contestate non e' superata - e anzi e' accentuata - dal fatto che le questioni sono genericamente poste "in correlazione" o "in rapporto" con altre norme di variegato contenuto, talune di natura regolamentare, o con interi testi legislativi, in difetto di qualsiasi argomento che consenta di collegare le singole norme evocate ai predetti parametri». Per altro verso, l'ill.mo Giudice delle leggi ha ritenuto che «interventi di questo tipo - manipolativi di sistema - sono in linea di principio estranei alla giustizia costituzionale, poiche' eccedono i poteri di intervento della Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalia' del legislatore». Tutto cio' atteso, questa Corte intende espressamente chiarire che con la presente ordinanza di rimessione non si e' inteso certo invocare un intervento di riscrittura o di novellazione di tutte le norme che sono state censurate come coacervo sub a) della «premessa», ovvero anche di quelle altre che sono state richiamate nel corpo della motivazione della questione. Si e' inteso invece evidenziare come, per effetto di una molteplicita' di disposizioni normative (tra cui quelle indicate appaiono solo quelle «di maggior rilievo ed evidenza») l'affidamento proprio al Ministero dell'economia e delle finanze dei compiti di supporto e di organizzazione personale e strumentale riguardo dell'ordinamento giudiziario tributario ed il vero e proprio inquadramento organico nel ridetto plesso amministrativo della categoria del «personale giudicante» (sia onorario che di carriera) a detto ordinamento giudiziario assegnato creino un vulnus insanabile e persistente (anche oltre il termine del lunghissimo periodo transitorio che e' stato delineato con la legge n. 130/2022) alle guarentigie di autonomia ed indipendenza che costituiscono il necessario «prius» della funzione giudicante. E percio' questa Corte, fuor da ogni ambiguita' ed indeterminatezza, si rivolge all'eccellentissima Corte, in indirizzo al solo fine di chiedere che essa -ove ritenga non manifestamente infondati i dubbi di legittimita' nella presente ordinanza prospettati in riferimento alle norme della Carta che declinano i principi di indipendenza ed autonomia delle magistrature speciali - dichiari illegittime le norme censurate (e tutte le altre che sono rette dalla stessa premessa logica e metodologica) nella parte in cui implicano che la giurisdizione tributaria sia amministrativamente inquadrata nel Ministero delle finanze, anziche' nel Ministero della giustizia che ne e' il naturale «destinatario», secondo la esplicita previsione dell'art. 110 della Carta, a mente del quale non possono che spettare al Ministero della giustizia tutte le competenze in materia di organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (qualunque ne sia la materia sottoposta alla competenza del giudice ed indipendentemente dal fatto che si tratti di giurisdizione ordinaria o di giurisdizione speciale) salvo che non sussista deroga esplicita a detta regola nella stessa Carta costituzionale. Questa la reciproca ed intima connessione che collega tra loro le norme che sono state qui censurate e che sono tutte emblema del perpetrato vulnus normativo ai principi di autonomia ed indipendenza della giurisdizione, merce' l'identificazione di un apparato amministrativo di riferimento che versa in patente ed intimo conflitto di interessi nell'atto in cui appetisce alla definizione in termini a se' favorevoli delle liti che davanti alla giurisdizione tributaria sono chiamate, per quanto non ne sia parte in senso formale. Ogni altra ipotizzabile modifica non e' chiesta ne' prospettata come necessaria, essendo proprio ed esclusivamente la questione della appartenenza allo specifico plesso di amministrazione centrale del rapporto di servizio che pertiene ai singoli magistrati o giudici tributari il nucleo della qui prospettata questione di legittimita' costituzionale. 3.1.5) Per altro verso -per quanto attiene alla valenza, che potrebbe considerarsi «manipolativa implicando scelte affidate alla discrezionalita' del legislatore», dell'intervento qui richiesto al giudice delle leggi - questa Corte remittente osserva che in realta' nell'intervento richiesto non vi e' nulla che lasci pensare ad esubero rispetto ai compiti tipici del Giudice delle leggi, consistenti nell'accertare la nullita' di una o plurime disposizioni di leggi che siano lesive dei principi costituzionalmente garantiti, ad esse sostituendo - come gia' in tante occasione il Giudice delle leggi ha fatto - la regola che promana gia' «ope constitutionis», regola che e' appunto rinvenibile - nella specie di causa - nell'identificazione del plesso amministrativo «naturalmente» designato dalla Carta per l'assolvimento del compito di che trattasi, e cioe' il Ministero della giustizia, in ossequio all'esplicita indicazione contenuta nell'art. 110 Cost. Se poi dovesse essere altro il timore che la ecc.ma Corte costituzionale nutre, a riguardo di possibili pregiudizi alla funzionalita' del sistema complessivo, anche a causa dell'effetto radicalmente ablatorio delle pronunce di illegittimita' costituzionale, rammentiamo a noi stessi quali sono i piu' recenti approdi della giurisprudenza costituzionale (da ultimo Corte costituzionale n. 41/2021) a riguardo dell'eventuale scissione tra accertamento dell'incompatibilita' della normativa impugnata con la Costituzione e caducazione della norma stessa, con differimento nel tempo del momento di produzione degli effetti dell'incostituzionalita'. E cio' fino al punto da fissare un termine - posposto - di vigenza della normativa impugnata a un dies futuro stabilito dalla stessa Corte in via del tutto discrezionale, onde consentire al legislatore di intervenire - nelle more - e di disciplinare nel dettaglio i contorni della nuova realta' normativa costituzionalmente imposta. Anche altre tecniche decisorie analoghe e meno intrusive rispetto a quella dianzi delineata consentirebbero comunque di ottenere il risultato che qui si prefigura, ma non e' certo compito del giudice remittente quello di illustrare e proporre le modalita' con le quali l'ecc. Corte adita potrebbe voler assolvere alla propria funzione. 3.2) Lesione dei principi di cui agli articoli 48, 104, primo comma, e 107 e 108 Cost. per effetto del realizzato squilibrio (nella fase transitoria di applicazione della legge n. 130/2022) del rapporto proporzionale tra elettorato attivo ed elettorato passivo, con riserva di posti a favore di alcune categorie soltanto di componenti dell'organico della giurisdizione tributaria. L'art. 8, comma 5 della legge n. 13/2022 prevede come di seguito: «In sede di prima applicazione della presente legge, ai fini della sua migliore implementazione, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della graduatoria di cui all'art. 1, comma 7, sono indette le elezioni per la scelta della componente togata del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria. Nell'ambito della componente togata deve essere assicurata, in ogni caso, la rappresentanza in Consiglio di almeno un magistrato tributario proveniente dalla magistratura ordinaria, uno da quella amministrativa, uno da quella contabile e uno da quella militare, fra coloro che sono utilmente collocati nella graduatoria di cui all'art. 1, comma 7. Ai fini di cui al periodo precedente, il rispettivo corpo elettorale e' formato dai magistrati tributari e dai giudici tributari provenienti dalla corrispondente magistratura. Fermo quanto previsto nei periodi precedenti, sono eleggibili nella componente togata i soli giudici tributari e magistrati tributari che possano ultimare la consiliatura prima del collocamento a riposo». La predetta norma e' di difficile intelligenza non solo a riguardo della sua efficacia nel tempo e della sua concreta operativita', ma soprattutto a riguardo degli obiettivi che il legislatore si ripromette di conseguire attraverso una disciplina cosi' inusitata e contorta. 3.2.1) Quanto al primo aspetto della indicata questione, parrebbe di intendere dalla collocazione della norma nel contesto dell'art. 8, intitolato alle «Disposizioni transitorie e finali» oltre che dal suo incipit («In sede di prima applicazione della presente legge») che il legislatore abbia inteso dettare una disciplina di carattere eccezionale e derogatorio rispetto all'art. 17 del decreto legislativo n. 545/1992, riferita alla sola ed unica consiliatura che iniziera' dopo l'entrata in vigore della ridetta legge n. 130/2022 - cosi' alterando il rispetto della cadenze cronologiche delle consiliature correnti in modo che quella attuale venga a cessare solo al momento dell'espletamento delle prime elezioni dopo l'entrata in vigore della legge, da indirsi, per la scelta della componente togata del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, «entro sessanta giorni dalla pubblicazione della graduatoria di cui all'art. 1, comma 7, ...» - in modo che poi dalla consiliatura successiva si debba ritornare alla applicazione della disciplina ordinaria prevista dal ridetto art. 17. Se questa e' - come appare ragionevole supporre- la corretta interpretazione da attribuirsi alla anzidetta disposizione, questa Corte non puo' non significare che il primo elemento di incongruenza che si rileva e' proprio quello della correlazione tra le due dianzi menzionate disposizioni, atteso che comma 2 dell'art. 17 tutt'ora prevede che «Il Consiglio di Presidenza e' composto da undici componenti eletti dai giudici tributari ...», e percio' sembrerebbe escludere dall'elettorato attivo (almeno per le consiliature successive alla prima successiva all'entrata in vigore della legge n. 30/2022) i magistrati tributari, finendo con il configurarsi anch'essa come una «norma transitoria», e cioe' applicabile solo fino a che ci saranno giudici tributari a comporre l'ordine giudiziario di che trattasi, con il conseguente conflitto tra due disposizioni di genere sostanzialmente transitorio e con il conseguente difetto di una disciplina «a regime», pensata percio' per l'epoca in cui l'ordine giudiziario tributario sara' composto da soli magistrati tributari. Ma non meno incongruente (sia pure rispetto alla previsione di altra norma) e' il fatto che il trascritto comma 8 preveda che «Fermo quanto previsto nei periodi precedenti, sono eleggibili nella componente togata i soli giudici tributari e magistrati tributari che possano ultimare la consiliatura prima del collocamento a riposo», mentre l'art. 18 del decreto legislativo n. 545/1992 continua a prevedere che «I componenti del Consiglio di Presidenza, che nel corso del quadriennio cessano per qualsiasi causa di farne parte o, se eletti in qualita' di giudice, conseguono la nomina a presidente, sono sostituiti per il restante periodo dal primo dei non eletti di corrispondente qualifica». Sicche', per conservare coerenza astratta e compatibilita' tra le due disposizioni occorre ritornare a supporre che la prima di esse due sia a sua volta una norma di carattere eccezionale e derogatorio, cio' che implica che solo per la prima delle consiliature successive all'entrata in vigore della legge n. 130/2022 il legislatore abbia imposto che siano elegibili i soli componenti dell'ordine giudiziario tributario che «possano ultimare la consiliatura prima del collocamento a riposo», e che anzi cio' abbia intenzionalmente imposto proprio al fine di impedire che l'effetto di sostituzione automatica previsto dalla norma sia idoneo ad alterare la voluta composizione «bloccata» del Consiglio per tutta la durata della consiliatura. Senonche', questa possibile interpretazione di genere teleologico contiene in se' i germi dell'imperfetta realizzazione della supposta intenzione del legislatore, proprio perche' la norma «ordinaria» dell'art. 18 non e' stata dettata per disciplinare solo l'ipotesi di cessazione dal servizio per raggiunti limiti di eta' bensi' invece qualsivoglia ipotesi di cessazione dal servizio e finanche l'ipotesi di tramutamento (per promozione) delle funzioni di giudice ricoperte al momento dell'elezione, sicche' la semplice limitazione dell'elettorato attivo in ragione del dato anagrafico non pare idonea a tenere indenne in termini assoluti la prima consiliatura dalla alterazione di quella aprioristica riserva di seggi a favore di specifiche categorie di componenti dell'ordine giudiziario che il legislatore ha ritenuto di imporre. Cio' detto a riguardo delle piu' evidenti discrasie determinate dalla nuova disposizione, e' anche necessario lumeggiare che la ridetta disciplina implica una restrizione non solo dell'elettorato passivo (perche' nessun altro componente dell'ordine giudiziario tributario puo' aspirare ad essere eletto a quattro tra gli undici posti di componente «togata» del CPGT, riservati alle specifiche categorie di cui oltre si dira') ma anche una restrizione dell'elettorato attivo (perche' per i quattro seggi dianzi detti e' espressamente previsto che «il rispettivo corpo elettorale e' formato dai magistrati tributari e dai giudici tributari provenienti dalla corrispondente magistratura»). Orbene, l'alterazione della regola «democratica» ordinaria secondo cui elettorato attivo ed elettorato passivo competono a tutti i componenti della categoria di cui e' esponente l'ente eligendo che si trovino in posizioni omogenee (come e' sicuramente predicabile a riguardo di tutti i componenti dell'ordine giudiziario tributario) non e' soltanto contrastante con le norme di rango costituzionale di cui piu' oltre si dira', ma e' anche contrastante con la logica comune, almeno per la specifica condizione storica nella quale la norma (eccezionale e derogatoria) e' chiamata ad operare. Si tratta infatti di una elezione che riguarderebbe un corpo elettorale passivo assai esiguo: i componenti dell'ordine giudiziario «utilmente collocati nella graduatoria di cui all'art. 1, comma 7» che e' riservata a «I magistrati ordinari, amministrativi, contabili o militari, non collocati in quiescenza, presenti alla data di entrata in vigore della presente legge nel ruolo unico di cui all'art. 4, comma 39 -bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183 e collocati nello stesso ruolo da almeno cinque anni precedenti tale data» purche' non abbiano compiuto i sessanta anni di eta' alla data di scadenza del termine per l'invio della domanda di partecipazione e non abbiano ricevuto nel quinquennio antecedente alla data di pubblicazione dell'interpello il giudizio di demerito di cui all'art. 11, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come modificato dal comma 1 del presente articolo (come si evince dal combinato disposto dei commi 4 e 6 del ridetto art. 1 della legge n. 130/2022). D'altronde, i requisiti di partecipazione all'anzidetto concorso sono cosi' rigorosi (specie per cio' che concerne l'ultimo, relativo al «giudizio di demerito», di cui anche in seguito si dira' specificamente) che e' da supporre che di collocati utilmente nella ridetta graduatoria ce ne saranno ben pochi, specie per cio' che concerne le categorie dei giudici tributari provenienti dalle giurisdizioni speciali i quali sono notoriamente in percentuale ridottissima tra i circa 2.600 giudici tributari oggi residui. Per non parlare poi della scarsa appetibilita' della partecipazione al ridetto concorso da parte dei potenziali candidati, alla luce delle oggettive asperita' ed incertezze che il transito finira' per portare con se' e che qui non e' il caso (per ragioni di necessaria sintesi) di lumeggiare. E' percio' agevole supporre che il corpo elettorale passivo idoneo a concorrere per l'elezione della consiliatura di che trattasi possa essere addirittura di valore nullo (almeno per qualcuna delle categorie a cui e' riservato uno dei quattro seggi in considerazione) o tutt'al piu' che la selezione si rivolga verso un numero di canditati non maggiore dei seggi che sono per legge riservati. In conclusione si puo' dire che la riserva di posti e' stata dal legislatore pensata e voluta in riferimento ad una platea di candidabili di cui il legislatore stesso ignorava la effettiva esistenza e consistenza ed a riguardo della quale avrebbe comunque dovuto dubitare che l'esiguita' del numero dei candidabili avrebbe messo a dura prova la stessa «trasparenza» della vicenda elettorale. Detta prospettabile eventualita' di concreta carenza di candidati avrebbe in definitiva l'effetto di bloccare «sine die» il rinnovo della consiliatura, finendo per «stabilizzare» gli attuali componenti, alla stregua di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sicche' se - per celia - si volesse trovare un potenziale lobbysta di siffatta disposizione normativa e' proprio all'interno dell'attuale consiliatura che andrebbe ricercato 3.2.2) Dopo aver premesso alcune delle piu' patenti incongruenze (in punto di efficacia nel tempo e di concreta operativita') a cui rischia di dare luogo la disciplina «transitoria» ora in esame occorre sinteticamente affrontare il profilo della questione relativo agli obiettivi che e' possibile supporre che il legislatore abbia voluto realizzare per il tramite di essa. Ben vero, una riserva di seggi a favore di una sparuta minoranza di candidabili nel contesto di una vasta categoria di omogenei, in combinazione con una riduzione dell'elettorato attivo riferito a detti seggi, sezionato per settori resi omogenei dalla medesima origine professionale (le categoria magistratuali di provenienza), non puo' costituire soltanto un inaccettabile privilegio «di censo» (magari finalizzato anche ad incentivare l'appetibilita' del transito, nella prospettiva di acquisire un agevole «status» di facile eleggibilita' e con la sicura certezza di poter operare un agevole transito a ritroso una volta terminata la consiliatura, cosi' come consente la preclara disposizione dell'art. 1 comma 9 della legge n. 130/2022), perche' cio' tradirebbe un disequilibrio troppo smaccato. E percio', la piu' probabile ragionevole intenzione che consenta di superare l'impressione di un esercizio propriamente arbitrario del potere legislativo e' che in tal modo si sia voluto «riequilibrare» la enorme sproporzione numerica che nell'ordine giudiziario verra' a crearsi tra quanti sono appartenenti alla «categoria» dei giudici e quanti sono appartenenti alla «categoria» dei magistrati, tanto che poi di detto riequilibrio si e' pensato di bloccare l'effetto anche nel corso della consiliatura (nei termini gia' dianzi illustrati), cosi' accentuandosi pero' quel «dualismo» di cui si dira' in altro capitolo della presente ordinanza. I motivi che possono avere indotto ad un siffatto «riequilibrio» non possono che risiedere in un «sospetto», e cioe' il sospetto che un organo di autogoverno inevitabilmente espressione totalitaria della componete maggioritaria del corpo elettorale (e cioe' della «categoria» dei giudici tributari) non sarebbe stato dotato della obiettivita' necessaria per dare equanime attuazione delle norme di legge nel corso del (disagiato) periodo di applicazione della disciplina transitoria. Nondimeno, anche questa piu' ottimistica rilettura della ratio legislatoris non manca di stendere un'ombra funesta sulla non facile convivenza che nel periodo retto dalla menzionata disciplina transitoria sara' da praticarsi nel rapporto tra le due anzidette «categorie» di componenti dell'ordine giudiziario tributario. 3.2.3) Con il preludio di questa pesante zavorra e' possibile venire - infine - alla identificazione dei parametri costituzionali con cui a questa Corte remittente sembra che confligga la disciplina recata dall'art. 8, comma 5 della legge n. 13/2022, compito che non sarebbe stato possibile assolvere convenientemente se non alla luce di quanto si e' detto in precedenza a riguardo delle incongruenze di cui la disciplina stessa e' gravida. In termini occorre muovere dalla premessa che -mutuando da Corte costituzionale n. 44 del 1968 e da Corte costituzionale n. 142 del 1973 - al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, come organo di autogoverno di tale magistratura speciale, deve intendersi affidato - sia pure in assenza di una guarentigia espressamente prevista dalla Carta costituzionale - il compito (garantito dall'art. 108 Cost.) di rendere effettiva l'autonomia della magistratura tributaria, cosi' da collocarla nella posizione di «ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere», e conseguentemente sottrarla ad interventi o influenze esterni, suscettibili di turbarne comunque l'imparzialita' e di compromettere l'applicazione del principio consacrato nell'art. 101, secondo cui i giudici sono soggetti solo alla legge. Gli e' percio' estraneo il profilo della rappresentanza degli interessi «di categoria» e men che meno quello della composizione dei conflitti all'interno della categoria. Vi e' allora da considerare che -se realmente (per quanto ottimisticamente) deve supporsi che la riserva di posti in seno al primo Consiglio post-riforma e' dettata dalla finalita' di consentire a ciascuno degli eletti ai posti espressamente riservati di meglio tutelare, nel corso della intera consiliatura, gli interessi della sua «sottocategoria sezionale» di provenienza - detti eletti non possono che essere considerati rappresentativi di quegli interessi soltanto e percio' dei soli componenti dell'ordine giudiziale che ne sono portatori e non gia' dell'intero corpo elettorale. Senonche', pare a questa Corte che pur non potendosi escludere la legittimita' costituzionale di una rappresentativita' differenziata riferita a componenti di un organo collegiale di autogoverno di un unico ordine, cio' possa avvenire (specie se si tratti di un ordine di rilevanza costituzionale, per quanto dalla costituzione non direttamente disciplinato, ed a maggior ragione perche' ai magistrati tributari di nuova assunzione si applicheranno le stesse norme di ordinamento giudiziario che valgono per i magistrati ordinari, con innegabile apparentamento di disciplina) a condizione che tale rappresentativita' differenziata sia razionalmente correlata alla specificita' delle distinzioni (di funzioni o di status) interne all'ordine e percio' origini dalla necessita' di dare voce non gia' ad interessi settoriali ma a specifici caratteri funzionali delle differenziate componenti dell'ordine medesimo. Alle stesse conclusioni - mutatis mutandis - risulta essere pervenuto il giudice delle leggi nella sentenza n. 168 del 1963 allorche' (dopo avere disconosciuto la necessita' che a tutte le categorie di magistrati sia attribuita, nella composizione del CSM, una rappresentanza proporzionale alla rispettiva consistenza numerica, e dopo avere dichiarato percio' legittima l'attribuzione di una rappresentanza numerica piu' elevata per la categoria dei magistrati di cassazione, avendo riguardo, non tanto al numero degli appartenenti alle varie categorie, quanto alla loro qualificazione) ha ritenuto che sia consentito al legislatore ordinario - in questa prospettiva ordinamentale «disciplinare diversamente situazioni differenziate, quando trovino logica giustificazione, come nella specie, in relazione alle esigenze del funzionamento del Consiglio superiore, nella maggiore esperienza e prestigio dei magistrati di cassazione». Nella stessa pronuncia dianzi citata il Giudice delle leggi ha anche escluso l'illegittimita' costituzionale della ivi censurata norma dell'art. 23, comma terzo della legge istitutiva del CSM, relativamente alla distinzione da essa prevista fra le varie categorie dei magistrati per cio' che riguarda l'elettorato attivo, distinzione che quindi e' stata ritenuta non lesiva del generale precetto dell'eguaglianza del voto sancito dall'art. 48 della Costituzione e dei principi che si desumono dagli articoli 104, 105 e 107 (secondo i quali, nel Consiglio superiore, la Magistratura dovrebbe essere rappresentata con carattere unitario ed omogeneo, e non gia' in relazione alle singole categorie dei magistrati) appunto perche' con la ridetta disposizione il legislatore si e' limitato ad adottare - per quanto attiene alla modalita' dell'elezione - «il sistema della votazione per categorie, in corrispondenza con l'eleggibilita', pure per categorie, stabilita dallo stesso art. 104 della Costituzione, cio' che non impedisce che i magistrati siano posti in grado di esprimere il voto in condizioni di perfetta parita' fra loro; e, rispetto all'eletto, con pari efficacia». In tal modo, infatti, «la composizione dell'organo resta omogenea, nel senso che i componenti, pur provenienti da categorie differenziate, si trovano tutti in posizione giuridica, sotto ogni aspetto, parificata». Ed ancor piu' hanno valenza ai fini che qui rilevano le considerazioni contenute nella pronuncia del Giudice delle leggi n. 87 del 1982 (con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 23, secondo comma, della legge istitutiva del CSM, nella parte in cui prevede che i posti riservati ai magistrati di cassazione possano essere assegnati a magistrati che abbiano conseguito la rispettiva nomina, ancorche' non esercitino le rispettive funzioni ), nella quale e' detto che «La circostanza che il Consiglio sia stato concepito a garanzia dell'indipendenza di tutta la magistratura, senza che i suoi componenti magistrati possano considerarsi come veri e propri rappresentanti delle categorie di appartenenza, non toglie infatti che le deliberazioni spettanti a tale collegio riguardino in molteplici occasioni-caratteristiche e situazioni proprie delle singole partizioni dell'ordine in questione: ......». Sicche', «sarebbe arbitrario desumerne che il legislatore sia completamente libero, senza doversi attenere a criteri di sorta, costituzionalmente rilevanti allo scopo della definizione delle varie categorie». In entrambe le anzidette pronunce la discrezionalita' del legislatore nella materia ora in esame e' stata senz'altro riconosciuta, ma solo perche' essa e' stata «razionalmente» esercitata nel rispetto del «nesso con l'ordinamento giudiziario» nel rapporto tra le funzioni in atto esercitate dagli elegibili ed i posti consiliari oggetto di riserva, giacche' (come si dice nella pronuncia ultima citata) «cio' che conta, agli effetti della valida composizione del Consiglio superiore (e della sua sezione disciplinare), e' che questi posti, non arbitrariamente fissati dal legislatore ordinario, risultino in concreto ricoperti da magistrati che vi abbiano diritto, sulla base di legittime disposizioni del l'ordinamento giudiziario (o delle altre leggi comunque pertinenti alle funzioni ed allo stato giuridico dei magistrati stessi)». Nella specie qui indagata - invece - le condizioni di giustificazione della deroga al principio di proporzionalita' del rapporto tra elettori ed eletti non appaiono sussistere - almeno, non in termini «non arbitrari» - perche' la riserva dei posti prevista dal citato comma 5 dell'art. 8 non e' gia' finalizzata ad esprimere i diversi caratteri funzionali delle distinte categorie di cui l'ordine e' composto (come potrebbe essere stato se la riserva fosse stata pensata, per esempio, in relazione alla distinzione tra componenti degli organi di primo grado e componenti degli organi di secondo grado) ma esprime invece il solo fatto delle differenziate provenienze dei componenti di un organismo unitario, provenienze che - una volta realizzatosi il transito dall'uno all'altro ordine giudiziario - perdono di rilievo alcuno e non hanno effetto di determinare alcun differenziato carattere funzionale tra i componenti dell'ordine giudiziario tributario. Ne deriva il legittimo dubbio circa il fatto che un sistema elettorale (sia pur parzialmente) caratterizzato dalla riserva per categorie di «provenienza» e' destinato a riprodurre nel Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, «anche dal punto di vista formale, una rappresentanza di interessi non consentanea con il carattere unitario dell'organo» perche' una tale differenziazione non trova alcuna logica giustificazione che non sia quella di un privilegio antidemocratico. Ed e' per questo che la funzione di garanzia a detto organo assegnata puo' considerarsi (anche solo in apparenza) pregiudicata «ab imis» allorche' la rappresentativita' libera e diffusa dei componenti dell'ordine giudiziario tributario, sia alterata dal sospetto che la riserva di posti consiliari qui indagata sia finalizzata a proteggere interessi tutt'affatto diversi da (ed anzi in contrasto con) quelli che l'organo di autogoverno dovrebbe realizzare. 3.3) Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione per violazione del principio di ragionevolezza da parte del combinato disposto di norme che dispongono l'irrogazione di una misura espulsiva di natura sostanzialmente disciplinare, in difetto della predisposizione di un procedimento disciplinare che consenta di valutare la gravita' del fatto e la proporzionalita' della sanzione. L'art. 7 del decreto legislativo n. 545/1992 prevede che: «I componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado debbono: a) essere cittadini italiani; b) avere l'esercizio dei diritti civili e politici; c) non aver riportato condanne per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari e non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; .....». A sua volta l'art. 12 del ridetto decreto legislativo n. 545/1992 prevede che: «Decadono dall'incarico i componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado i quali: a) perdono uno dei requisiti di cui all'art. 7»; ..... 3.3.1) Il combinato disposto delle due norme dianzi trascritte genera una vera e propria sanzione automatica espulsiva (denominata «rimozione») correlata a qualsivoglia condanna inflitta al componente dell'ordine giudiziario (che sia in servizio onorario o di carriera) per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari ovvero ancora correlata alla sottoposizione a misure di prevenzione o di sicurezza. La natura disciplinare di tale «sanzione» non puo' essere messa in discussione, trattandosi di una conseguenza che solo fittiziamente consegue alla perdita di un requisito, perche' detto requisito caratterizza bensi' la fase di attribuzione del munus ma, nel momento in cui si determina l'evento che integra la condizione per l'applicazione dell'effetto espulsivo (e cioe' in corso di servizio), esso requisito si e' consumato e non e' piu' elemento costitutivo dello status del giudice. L'effetto espulsivo e' quindi correlato al fatto in se' e non alla perdita del «requisito», il quale ultimo e' interposto del tutto fittiziamente nella relazione di causa ed effetto, appunto per non doversi riconoscere che l'effetto stesso e' il risultato di un automatismo normativo del quale l'organo di autogoverno e' chiamato a prendere semplicemente atto, restando privato di qualunque potesta' di valutazione «nel merito». 3.3.2) Orbene l'applicazione automatica di tale sanzione pone dubbi di contrasto con l'art. 3 della Costituzione per violazione del principio di ragionevolezza: che il giudizio sulla concreta lesivita' della condanna vada imprescindibilmente rimesso all'apprezzamento del giudice al fine del necessario adattamento e proporzionamento della sanzione rispetto alla condotta concretamente assunta dall'incolpato e' appunto imposto dalla necessita' di impedire che comportamenti di diversa offensivita' deontologica siano puniti allo stesso modo, con vulnus di quella intima razionalita' che permea di se' il principio di uguaglianza. La necessaria adozione di tale misura punitiva appare, infatti, basata su di una presunzione assoluta, del tutto svincolata, oltre che dal controllo di proporzionalita' da parte del giudice disciplinare, anche dalla verifica della sua concreta congruita'. In specie, appare violato il principio di «proporzione», fondamento della razionalita' che domina il principio di uguaglianza - inteso come regola di «indispensabile gradualita' sanzionatoria» - , principio che e' stato evocato in piu' di una circostanza da codesta ill.ma Corte costituzionale, in termini tali che si e' ritenuto che esso postuli un chiaro rapporto di adeguatezza della sanzione al caso specifico, cio' che puo' raggiungersi solo merce' la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto in occasione della commissione dell'illecito (tra le altre, Corte costituzionale, sentt. n. 447 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988). In alcune delle anzicitate pronunce codesta ill.ma Corte costituzionale ha avuto presente proprio la questione della compatibilita' tra infrazione di rilievo penale e prosecuzione del rapporto di impiego al fine di affermare che l'infrazione va valutata senza automatismo alcuno, graduando e adeguando la sanzione al caso concreto. Per quanto debba riconoscersi al legislatore ordinario ampia discrezionalita' nella identificazione delle condotte punibili in sede disciplinare e delle sanzioni applicabili alle stesse, e' a questa Corte remittente del tutto chiaro che una tale discrezionalita' incontra imprescindibilmente il limite della non manifesta irragionevolezza, sub specie della giusta proporzione tra sanzione e fatto sanzionato, il quale ben potrebbe integrare elementi tali da non pregiudicare in alcun modo la prosecuzione del rapporto di servizio, per quanto si tratti di un rapporto di servizio del tutto peculiare quale quello che concerne un appartenente ad ordine giudiziario. In questa prospettiva, giova anche il richiamo allo specifico precedente di Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2016, con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 567, secondo comma, codice penale, e nella motivazione della quale il giudice delle leggi, ha chiarito che laddove emergano sintomi di manifesta irragionevolezza, per sproporzione, di un trattamento sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto sanzionato, e' ben possibile l'intervento del giudice delle leggi attraverso una valutazione da condurre alla stregua di precisi punti di riferimento gia' rinvenibili nel sistema legislativo, idonei a ricondurre a coerenza le scelte gia' delineate a tutela di un determinato bene giuridico, senza alcuna sovrapposizione alla discrezionalita' del legislatore. Orbene, alla stessa stregua i caratteri del procedimento disciplinare riferito ai componenti di un ordine giudiziale (indipendentemente dalla tipologia amministrativa o giurisdizionale dello stesso, di che gia' si e' detto in precedenza), identificabili nella apprestata peculiare tutela di situazioni connesse allo statuto di indipendenza della magistratura, inducono ad escludere che sanzioni di genere automatico, avulse da un confacente rapporto di adeguatezza con il caso concreto e di coerenza generale, possano trovare legittimazione alla luce delle garanzie che la Carta costituzionale appresta in quest'ambito e che sono state gia' piu' volte richiamate. Solo nella opportuna sede disciplinare potra' essere ponderata - non gia' in astratto, ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto - la gravita' dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l'intensita' dell'elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l'hanno ispirato e, infine, la personalita' dell'incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attivita' professionale e agli eventuali precedenti disciplinari. 3.3.3) Si verte qui - invece - nella piu' tipica delle ipotesi di sanzione espulsiva applicata «de iure» quale conseguenza automatica, prevista direttamente dalla legge, della condanna in sede penale per reati di qualsivoglia genere e tipo, in assenza di una valutazione circa la loro gravita' e circa la loro attinenza a quei beni che il procedimento disciplinare mira a tutelare (i criteri di «onore e disciplina» a cui deve essere informato l'esercizio delle pubbliche funzioni, in ossequio al precetto dell'art. 54 Cost.), quale e' apprezzabile solo merce' l'espletamento di un procedimento disciplinare, che nella specie manca del tutto, per quanto sia proprio con riferimento alla piu' grave delle sanzioni disciplinari (quella espulsiva) che si impone il vaglio piu' attento, onde acclarare se l'illecito contestato al componente dell'ordine giudiziario sia di tale entita' che ogni altra sanzione risulti insufficiente alla tutela di quei valori che la legge intende perseguire. Ed anzi e' da dire che l'incongruenza della disciplina qui indubbiata si manifesta a maggior ragione per la peculiare organizzazione dell'ordine giudiziario di che trattasi nel quale - come detto - convivono giudici onorari e magistrati di carriera, gli appartenenti alla prima delle quali categorie puo' anche provenire da magistratura (ordinaria o speciale). Proprio per questa ragione e per il fatto che ai magistrati (ordinari o speciali) che diventano anche componenti dell'ordine giudiziario tributario si applicano statuti disciplinari specifici - nessuno dei quali contempla un automatismo rigoroso e cieco come quello regolato dal combinato disposto delle norme di che trattasi - potrebbe venirsi a verificare l'ipotesi che in conseguenza di condanna per i reati o in conseguenza di applicazione di misure di prevenzione o di sicurezza quali quelle previste dal qui citato art. 7, lo stesso soggetto finisca per decadere dall'incarico di giudice tributario ma non invece da quello di giudice ordinario o di giudice speciale nelle categorie «di provenienza». Eventualita' non statisticamente peregrina, quest'ultima, che rende ancor piu' manifesto quanto sia stridente ed incongrua la conseguenza espulsiva automatica di cui qui si tratta. Ne' sembra ostare alla esplicitazione in questa sede dei dubbi di conformita' a Costituzione di cui si e' detto il fatto che codesta ill.ma Corte costituzionale con la sentenza n. 197/2018 abbia dichiara non fondate le questioni di illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 5, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilita', nonche' modifica della disciplina in tema di incompatibilita', dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura sulla scorta di argomenti non dissimili da quelli prospettati dianzi. Infatti, nella specie ivi presa in considerazione si trattava della legittimita' costituzionale di norma affatto disomogenea rispetto a quella qui sospettata, nella quale (come ha rilevato lo stesso giudicante) «la questione ora all'esame non concerne, tuttavia, un automatismo legato al sopravvenire di una condanna in sede penale per determinati reati, bensi' un diverso automatismo insito nella previsione di un'unica sanzione fissa (la rimozione) per chi sia ritenuto responsabile dal giudice disciplinare di un preciso illecito, anch'esso di natura meramente disciplinare (nel caso in esame, quello di cui all'art. 3, comma 1, lettera e, del decreto legislativo n. 109 del 2006)». E percio', l'automatismo ivi censurato risulta collegato alla identificazione di specifici fatti di reato ed a specifiche pene applicate, sicche' il giudizio di disvalore risulta effettivamente adottato - sia pure in termini eteronomi rispetto al competente organo disciplinare - da parte di un legislatore che ha in tal modo esercitato una discrezionalita' avveduta e specifica e non certo acritica e cieca come in riferimento alla disciplina di che trattasi. E' ben per questo che in quella occasione (del tutto disomogenea rispetto alla presente) il giudice delle leggi ritenne che non potesse essere «ritenuta manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di colpire indefettibilmente con la sanzione della rimozione la totalita' delle condotte rientranti nell'alveo applicativo dell'art. 3, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 109 del 2006...», non senza avere chiarito le ragioni del discrimine rispetto all'esito di altra e contraria pronuncia (la n. 170/2015) che aveva avuto ad oggetto un illecito disciplinare (violazioni stabilite dall'art. 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 109 del 2006) abbracciante «condotte di natura eterogenea, e connotate ictu oculi da gradi di disvalore fortemente differenziati, anche soltanto dal punto di vista dell'elemento soggettivo (risultando sanzionabili a quel titolo anche condotte caratterizzate da mera imperizia o trascuratezza, che sono invece a priori escluse dall'ambito applicativo dell'illecito disciplinare di cui in questa sede e' discorso, il quale richiede invece la prova della positiva consapevolezza da parte del magistrato delle qualita' soggettive della persona da cui egli riceva prestiti o agevolazioni)». Orbene, pare a questa Corte remittente che considerazioni analoghe a quelle espresse nella pronuncia ultima citata sarebbero da riferirsi alla fattispecie qui oggetto di esame la quale - infatti - si caratterizza per peculiare omogeneita' rispetto alla fattispecie sottoposta ad esame nella ridetta pronuncia. Non e' quindi manifestamente infondato il sospetto di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per violazione del principio di ragionevolezza, del combinato disposto degli articoli 7 e 12 del decreto legislativo n. 545/1992 nella parte in cui impone l'applicazione della sanzione massima della rimozione in relazione indiscriminatamente a tutte le ipotesi di condanna per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari ovvero ancora alle ipotesi di sottoposizione a misure di prevenzione o di sicurezza senza consentire all'organo disciplinare deputato disciplinare alcuna possibilita' di graduazione della sanzione in ragione della diversa intensita' del disvalore della condotta di volta in volta tenuta dal magistrato. 3.4) Previsione di una sanzione disciplinare mascherata da requisito di accesso al concorso interno per il tramutamento alle funzioni superiori. Commi 4-ter e 5 dell'art. 11 (nuova formulazione) del decreto legislativo n. 545/1992, con violazione dei principi di autonomia ed indipendenza del giudice (articoli 101 e 108 Cost.), oltre che violazione principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.). L'art. 11 del decreto legislativo n. 545/1992 (nella sua attuale formulazione, a seguito della novella realizzata merce' la legge n. 130/2002) prevede quanto di seguito: «4-ter. L'assegnazione degli incarichi e' disposta nel rispetto delle seguenti modalita': a) la vacanza nei posti di presidente, di presidente di sezione, di vice presidente delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado e di componente delle corti di giustizia tributaria e' portata dal Consiglio di Presidenza a conoscenza di tutti i componenti delle corti di giustizia tributaria in servizio, a prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine entro il quale chi aspira all'incarico deve presentare domanda; b) alla nomina per ciascuno degli incarichi di cui alla lettera a) si procede sulla base di elenchi formati relativamente ad ogni corte di giustizia tributaria e comprendenti tutti gli appartenenti alle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 per il posto da conferire, che hanno comunicato la propria disponibilita' all'incarico e sono in possesso dei requisiti prescritti. Alla comunicazione di disponibilita' all'incarico deve essere allegata la documentazione circa l'appartenenza ad una delle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5 ed il possesso dei requisiti prescritti, nonche' la dichiarazione di non essere in alcuna delle situazioni di incompatibilita' indicate all'art. 8. Le esclusioni dagli elenchi di coloro che hanno comunicato la propria disponibilita' all'incarico, senza essere in possesso dei requisiti prescritti, sono deliberate dal Consiglio di Presidenza; c) la scelta tra gli aspiranti e' adottata dal Consiglio di Presidenza, salvo giudizio di demerito del candidato, secondo i criteri di valutazione ed i punteggi stabiliti dalla tabella F e, nel caso di parita' di punteggio, della maggiore anzianita' anagrafica. 5. Il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria esprime giudizio di demerito ove ricorra una delle seguenti condizioni: a) sanzione disciplinare irrogata al candidato nel quinquennio antecedente la data di scadenza della domanda per l'incarico per il quale concorre; b) rapporto annuo pari o superiore al 60 per cento tra il numero dei provvedimenti depositati oltre il termine di trenta giorni a decorrere dalla data di deliberazione e il totale dei provvedimenti depositati dal singolo candidato». 3.4.1) Si tratta di un articolato complesso di disposizioni a mezzo del quale pare di scorgere che sia stata introdotta nell'ordinamento giudiziario tributario una sanzione disciplinare mascherata da requisito per l'accesso al concorso interno finalizzato al tramutamento alle funzioni superiori - nella parte in cui si esclude l'accesso al concorso per coloro che abbiano registrato un rapporto inferiore al 60% tra provvedimenti tardivamente depositati e provvedimenti complessivamente depositati - con lesione dei principi di autonomia ed indipendenza costituzionalmente imposti dalle norme piu' volte richiamate. Senonche', e' stato condivisibilmente affermato in dottrina che «il sistema della responsabilita' disciplinare del magistrato rappresenta l'interfaccia del principio costituzionale dell'indipendenza: la posizione super partes del magistrato non puo' essere disgiunta dal corretto esercizio delle sue funzioni e da ogni suo comportamento». A questo sistema fanno da presidio le disposizioni dell'art. 101 Cost. (secondo il quale il magistrato e' soggetto soltanto alla legge) e dell'art. 104 Cost. (secondo il quale la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere) con la conseguenza imposta dall'art. 110 Cost. (che limita le prerogative dell'Amministrazione all'organizzazione ed al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia), principi che sono da estendersi alle magistrature speciali a mente della previsione dell'art. 108 Cost. Disciplinando per legge l'esercizio del potere disciplinare nei confronti dei magistrati, l'ordinamento mira a realizzare non solo il fine di assicurare che i magistrati siano effettivamente perseguiti e sottoposti a sanzione per i loro comportamenti scorretti, negligenti o abusivi, ma anche il fine di assicurare che i magistrati non siano arbitrariamente perseguiti. Sono presidio di questa seconda finalita' i principi di necessaria tipicita' dell'illecito e della sanzione disciplinare nonche' di controllo giurisdizionale o almeno amministrativo dell'esercizio del potere disciplinare e della corretta irrogazione ed applicazione delle sanzioni che ne derivano. Per quanto sia inadeguata ed arcaica la disciplina dettata a riguardo della materia disciplinare nell'ambito dell'ordinamento giudiziario tributario (articoli 15-16 del decreto legislativo n. 545/1992, che il legislatore della novella non si e' curato affatto di modificare ed aggiornare) non par dubbio che anche in quest'ultimo ambito i richiamati principi debbano essere salvaguardati e rispettati, attesa la disposizione gia' piu' volte citata dell'art. 108 Cost. 3.4.2) Vi e' poi da rimarcare che e' nozione comune quella secondo cui occorre che vi sia chiara distinzione tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalita', giacche' si tratta di due fattispecie completamente diverse per natura, finalita' e conseguenze, che non possono essere giustapposte o confuse. Il sistema delle valutazioni non si limita a verificare la violazione di alcune disposizioni ma mira, in positivo, a considerare la professionalita' del magistrato, che costituisce una «precondizione della sua indipendenza ed assolve alla duplice funzione di assicurare la correttezza delle decisioni prese, e quindi della adeguatezza del servizio giustizia, ed al tempo stesso di consentire la progressione in carriera dei magistrati, selezionati in base alle loro capacita' tecniche e alle loro attitudini». Riguardo all'oggetto, ci si puo' qui limitare ad evidenziare che mentre il giudizio disciplinare verte su singoli comportamenti che rilevano in quanto sussumibili in una delle condotte qualificate come illeciti disciplinari, il giudizio di professionalita' riguarda il lavoro del magistrato nel suo complesso. Che la valutazione di professionalita' non abbia portata sanzionatoria nei confronti dei magistrati emerge chiaramente dal recente parere n. 17 (2014) del Consiglio consultivo dei giudici europei, riguardante la valutazione del lavoro dei giudici, la qualita' della giustizia e il rispetto dell'indipendenza giudiziaria (in http://tinyurl.com/pbo7ksb). 3.4.3) Tutti questi principi appaiono misconosciuti e violati nel momento in cui si prevede (come si fa nella norma qui sospettata di illegittimita' costituzionale) che l'accesso al concorso interno per tramutamento a funzioni piu' elevate sia condizionato da un criterio puntuale e specifico mirato su un parametro di laboriosita' puramente numerico e correlato (in termini percentuali) al mero rispetto di un termine massimo (trenta giorni) per il deposito delle sentenze, pur mancando un pregresso vaglio disciplinare a riguardo della concreta gravita' della condotta idonea a violare un siffatto parametro di laboriosita'. Sia consentito un paragone con quanto accade in ambito di Giurisdizione ordinaria che e' resa ancor piu' omogena alla Giurisdizione tributaria per effetto della previsione dell'attuale art. 8, comma 1 del decreto legislativo n. 545/1992 secondo il quale: «Ai magistrati tributari reclutati ai sensi dell'art. 4 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel titolo I, capo ll, dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12». In ambito disciplinare, l'art. 2, comma 1, lettera q) del decreto legislativo n. 109/2006 prevede «il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni», con presunzione di non gravita' del ritardo che non ecceda il triplo dei termini previsti dalla legge. In concreto, e' noto che la giurisprudenza disciplinare del CSM ritiene (salvi casi peculiari, nei quali anche questo termine si suppone superabile) che non sia soggetto a provvedimento disciplinare il ritardo di deposito entro un termine non superiore all'anno. A sua volta, le circolari adottate dal CSM in materia di valutazione di professionalita' contemplano tra gli indicatori della diligenza, il «rispetto dei termini per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento di attivita' giudiziarie», rinviando per il relativo accertamento all'esame dei prospetti statistici comparati o alle indicazioni dei dirigenti degli uffici. La circolare, inoltre, prescrive che il parametro della diligenza e' positivo quando «i termini generalmente osservati per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento di attivita' giudiziarie, sono conformi alle prescrizioni di legge o sono comunque accettabili in considerazione dei carichi di lavoro e degli standard degli altri magistrati dello stesso ufficio addetti alla medesima tipologia di provvedimenti, salvo che sussistano ragioni obiettivamente giustificabili, quali il periodo di ferie o di assenza giustificata a qualsiasi titolo». Riguardo allo schema relativo al deposito dei provvedimenti, le disposizioni vigenti nel settore giudiziario ordinario prevedono che la rilevazione sia limitata ai ritardi nel deposito delle sentenze superiori ai sessanta giorni rispetto al termine fissato dalla legge o, nei casi in cui e' previsto, dallo stesso giudice, operando un'ulteriore differenziazione con riferimento ai ritardi di rilevanza disciplinare, a quelli superiori ai centottanta giorni, a un anno e ai due anni. La valutazione e' quindi piu' ampia e non e' limitata ai soli ritardi di rilievo disciplinare. Cio' posto, pare a questa Corte che un sistema - come quello giudiziario tributario - che non garantisca una reciproca non interferenza tra il sistema della responsabilita' disciplinare e quello della valutazione di professionalita' e non garantisca al magistrato oggetto di valutazione in quest'ultima sede gli strumenti (da radicarsi nel procedimento di accertamento della responsabilita' disciplinare) per dimostrare che i rilevati «ritardi» nel deposito delle decisioni non siano imputabili a sua negligenza ma a fattori esterni ed incolpevoli, sia un sistema fortemente sospetto di lesione dei fondamentali principi di indipendenza ed autonomia. E cio', in maniera del tutto indipendente dalla natura giudiziale o amministrativa che il legislatore abbia ritenuto di prescegliere per caratterizzare gli strumenti di verifica della correttezza dell'addebito disciplinare. Infatti se gia' con la sentenza n. 497/2000 codesta Ill.ma Corte costituzionale aveva avuto modo di affermare che «le ragioni che hanno indotto il legislatore a configurare il procedimento disciplinare per i magistrati secondo paradigmi di carattere giurisdizionale sono state piu' volte esaminate [...]: da un lato l'opportunita' che l'interesse pubblico al regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie e lo stesso prestigio dell'ordine giudiziario siano tutelati nelle forme piu' confacenti alla posizione costituzionale della magistratura e al suo statuto di indipendenza; dall'altro l'esigenza che alla persona del magistrato raggiunto da incolpazione disciplinare sia riconosciuto quell'insieme di garanzie che solo la giurisdizione puo' assicurare», con la successiva pronuncia n. 87/2009 codesta Corte medesima ha ritenuto di sganciare totalmente le valutazioni relative al rispetto della norma costituzionale dalla natura del procedimento disciplinare regolato dalla legge, cosi' da attribuire rilievo alla funzione giurisdizionale nella sua stessa ontologia. Lo si desume dal passo della motivazione di tale ultima pronuncia in cui si legge che la correlazione tra la garanzia dell'indipendenza del magistrato e la facolta' di scelta del difensore da lui ritenuto piu' adatto «prescinde dalla natura giurisdizionale o amministrativa del procedimento disciplinare, che dipende dai caratteri che il legislatore ha scelto di attribuire al procedimento stesso e agli organi in esso coinvolti». Difatti, «indipendentemente dalla natura che la legge attribuisce al procedimento e all'autorita' disciplinare, dalla garanzia costituzionale di indipendenza deriva una particolarita' di questo procedimento, quando esso riguardi un magistrato, in quanto per quest'ultimo, a differenza di quanto accade per altre categorie di personale pubblico [...], la Costituzione impone che sia assicurata, anche in sede disciplinare, la massima espansione del diritto di difesa», cosi' che poi «l'esigenza di indipendenza prescinde dal dato oggettivo, relativo alla natura dell'organo e del procedimento disciplinare, e dipende dal dato soggettivo, relativo alla titolarita' della funzione giurisdizionale». 3.4.4) E, non e' solo nella prospettiva della lesione delle guarentigie poste a presidio dell'esercizio della giurisdizione che siffatta norma appare censurabile, giacche' essa rischia anche di determinare un vulnus allo stesso criterio di ragionevolezza normativa ed al principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost), specie con riferimento alle peculiari condizioni di organizzazione dell'ordinamento giudiziario tributario nel corso del periodo di transitoria compresenza di magistrati onorari e magistrati di carriera. Da un canto, infatti, una previsione di tal genere costituisce un chiaro disincentivo alla produttivita' dei singoli che saranno tendenzialmente stimolati ad assumere il minor carico possibile di provvedimenti da redigere, proprio al fine di poter rispettare la proporzione fissata con riguardo al parametro del giugulatorio termine di cui si e' detto (per vero inaudito in tutti gli altri comparti giurisdizionali, ordinari o speciali). D'altro canto, la ridetta proporzione costituisce un evidente (e forse anche insuperabile) ostacolo per la pronta e congrua riduzione delle vacanze di ruolo che nell'ordinamento giudiziario immancabilmente verranno a determinarsi (specie in riferimento alle posizioni apicali ed agli uffici giudiziari di secondo grado, affidati ai componenti piu' anziani tra quelli in servizio) a causa del combinato intrecciarsi della riduzione dell'eta' massima di servizio dei giudici onorari attualmente in ruolo e del lento evolversi della vicenda concorsuale (cosi' come prefigurata dalla legge) attraverso la quale saranno da assumersi in servizio i magistrati tributari di nuovo conio. Di quest'ultima ineludibile emergenza e' consapevole lo stesso legislatore che in proposito ha espressamente previsto - al comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/2022 - che «Il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, entro il 31 gennaio 2023, individua le sedi delle corti di giustizia tributaria nelle quali non e' possibile assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale in applicazione dell'art. 11, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come modificato dal comma 1, lettera n) , numero 2.2), del presente articolo, al fine di assegnare d'ufficio alle predette sedi, in applicazione non esclusiva, giudici tributari appartenenti al ruolo unico di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183». Non par dubbio percio' a questa Corte remittente che siano molteplici - e tutti di rango costituzionale - i principi che la norma ora in esame viola e misconosce. 3.5) Violazione dei principi di indipendenza ed inamovibilita' del giudice tramite la mascherata moltiplicazione di incarichi di servizio onorario nominalmente definiti «applicazione non esclusiva» (articoli 106-107 Cost.) a mente del comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/2022. Violazione del principio di ragionevolezza normativa e del principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (articolo 97 Cost.) Con la disposizione trascritta al termine del capo che precede il legislatore ha ritenuto di poter far ricadere sulle spalle dei residui giudici tributari (in servizio onorario) le strutturali inefficienze del sistema che si verranno a generare proprio per effetto delle modifiche organizzative previste nelle altre disposizioni della legge di cui e' parte la disposizione qui sospetta di illegittimita' costituzionale. Si consideri che si tratta di effetti che al legislatore sono noti anche nel dettaglio, perche' la relazione del Servizio Studi congiunto (Camera e Senato) A.S. n. 2636, alla pag. 95 riporta i seguenti elementi significativi: «Sulla base dei dati riportati nella tabella, il ruolo dei giudici tributari onorari, attualmente 2.608 in organico, e' destinato ad esaurirsi totalmente nell'anno 2052. In particolare, nei primi 5 anni dall'entrata in vigore della riforma cesseranno dal servizio n. 1.118 giudici (43%); dopo 10 anni il numero delle cessazioni si attesta a n. 1.623 giudici (62%)». Nella ridetta relazione si riferisce inoltre che: «Nella Relazione tecnica si precisa, altresi', che in relazione alla minore spesa derivante dal contrarsi della dotazione di personale del ruolo ad esaurimento, la riforma del settore promossa dal disegno di legge in esame determina risparmi di spesa per circa 3,3 mln di euro nel 2023, per circa 10,89 mln di euro nel 2024 e per circa 5,2 mln di euro nel 2025, che restano acquisiti a vantaggio dei saldi di finanza pubblica». Nella medesima relazione, tuttavia, non si azzardano stime a riguardo dei tempi di assunzione e di entrata in servizio effettivo degli assumendi magistrati tributari, i cui termini dipendono non solo dai previsti cinque anni di progressiva indizione dei previsti concorsi ma anche dai tempi di durata delle procedure concorsuali, dall'effettivo risultato da realizzarsi a mezzo delle ridette procedure di selezione, nonche' dalla durata del periodo di uditorato dei candidati effettivamente selezionati. Proprio per questo - e' lecito supporre - il legislatore del 2022 ha previsto un meccanismo di arbitraria moltiplicazione «ex officio» degli incarichi onorari «a carico» di ciascun giudice tributario oggi in servizio, del tutto slegato dalla intenzionale disponibilita' del singolo - che ne diventa mero destinatario inconsapevole - e del tutto slegato da criteri e parametri di regolamentazione di un potere che ha tutti i crismi per essere esercitato in modalita' cieca e puramente utilitaristica, anche in relazione ai programmati «risparmi di spesa» di cui si e' detto. Grazie a detto meccanismo il Consiglio di Presidenza anzidetto diventera' titolare della potesta' di fare tutto cio' che gli aggrada con il rapporto di servizio del singolo giudice tributario (arbitrariamente selezionato) ancora in servizio al 31 gennaio 2023, fino al punto di destinare un presidente di Corte di giustizia tributaria ad esercitare funzioni di giudice in un qualunque collegio di ufficio diverso dal proprio; fino al punto di assegnare nella sede di Messina un giudice in servizio ad Aosta; fino al punto di assegnare alla Corte di giustizia di secondo grado di un qualunque distretto un giudice che presta servizio nella Corte di giustizia di primo grado dello stesso distretto. Il tutto con provvedimenti legittimati dalla sola motivazione della impossibilita' di «assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale», tetragoni rispetto a qualunque esigenza personale del giudice-oggetto e finanche alle stesse logiche comuni del servizio (carenza dei titoli per l'esercizio delle nuove funzioni; incompatibilita' ambientali o personali, etc.) e che forse finiranno soltanto per accelerare l'effetto di moria del personale giudicante «ad esaurimento». In difetto di qualunque limite cronologico che valga a garantire la stretta transitorieta' dell'incarico «in applicazione», siffatti provvedimenti finiranno per inevitabilmente stabilizzare la costituzione di nuovi rapporti di servizio, con patente violazione della regola del pubblico concorso (art. 106 Cost.) ed in evidente contraddizione con la regola per cui i giudici tributari oggi in servizio sono stati assunti solo ed esclusivamente per assolvere le loro funzioni nell'ufficio per il quale hanno formulato istanza (art. 9 del decreto legislativo n. 545/1992 nella formulazione antecedente alla novella) e non invece per essere inquadrati in un ruolo nazionale e successivamente essere destinati agli uffici territoriali (come invece succede per il magistrato di carriera e comunque nella magistratura ordinaria oltre che nelle altre speciali oggi esistenti). E di cio' questa Corte ritiene di poter trovare conferma nella pronuncia autorevole di codesto giudice delle leggi (la n. 156 del 1963) con la quale e' stata riconosciuta la legittimita' dell'art. 101 della legge di ordinamento giudiziario ordinario (il quale consente che, anche senza il consenso degli interessati, siano adottati, per esigenze di servizio, provvedimenti di modificazione della ripartizione dei magistrati fra i vari uffici dell'organo giudiziario composito al quale sono «assegnati», come pure provvedimenti i quali, per ragioni contingenti - volte ad assicurare la continuita' e la prontezza della funzione giurisdizionale - facciano luogo alla destinazione di un magistrato a una sede o una funzione diversa da quelle alle quali egli sia permanentemente «assegnato»), solo in considerazione del fatto che tali provvedimenti sono connotati dal carattere della temporaneita', cosi' da non incidere sullo «status» del soggetto a cui si applicano. E, questa condizione di salvezza e' stata ritenuta imprescindibile nonostante il sopra indicato sistema della assunzione del giudice ordinario a cio' concettualmente non osti, diversamente da cio' che accade a riguardo del giudice tributario. Ne' d'altronde si potra' osservare in contrario che l'inamovibilita' che e' disciplinata dall'art. 107 Cost. e' solo relativa (e cioe' condizionata dal fatto che non sia l'amministrazione a disporre la nuova destinazione ma che il provvedimento sia adottato dall'organo di autogoverno), perche' invece l'art. 107 ridetto prescrive espressamente che il giudice non possa essere destinato «ad altre sedi o altre funzioni» se non a seguito di decisione dell'organo di autogoverno che sia adottata con le «garanzie» stabilite dall'ordinamento giudiziario (ovvero con il consenso del giudice), garanzie che nella specie di che trattasi sono del tutto inesistenti, per quanto dovrebbero considerarsi anche esse presupposto minimo per la costituzione delle leggi che devono dare concreta attuazione all'art. 108 della Carta. A questo proposito, non guasta rimarcare che - in ambito di giurisdizione ordinaria - il legislatore del 2006 ha introdotto alcuni istituti con cui -proprio per venire incontro alle critiche concernenti il contrasto con l'art. 107 Cost. - si e' inteso colmare il difetto di garanzie che caratterizzava le procedure di trasferimento giustificate da «motivi paradisciplinari»: s'intende fare riferimento, in modo particolare, al trasferimento cautelare d'ufficio, di cui all'art. 13, II comma, del decreto legislativo n. 109/2006 -applicabile qualora «sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare», e nei casi in cui ricorrano «motivi di particolare urgenza» - ed al trasferimento provvisorio dell'incolpato, di cui all'art. 22, I comma, ult. periodo, del medesimo decreto legislativo. Modifiche che confermano che le deroghe all'inamovibilita', costituendo strumenti eccezionali di governo dell'ordine giudiziario, necessitano di peculiari garanzie procedimentali che costituiscano usbergo per qualunque attentato all'indipendenza ed all'autonomia dell'ordine giudiziario. Ritiene percio' questa Corte remittente che non sia manifestamente infondato il dubbio di illegittimita' costituzionale del comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/2022, in quanto confliggente con i principi di inamovibilita', indipendenza ed autonomia dei componenti degli ordini giudiziari, anche speciali; con il principio di obbligatorieta' del pubblico concorso per l'assunzione o l'attribuzione di munera all'interno della pubblica amministrazione, oltre che con i principi di razionale organizzazione degli uffici pubblici. 3.6) Violazione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) per effetto del combinato disposto degli articoli 13 e 13-bis del decreto legislativo n. 545/1992 nonche' del comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130 del 2022. Ritiene questa Corte remittente che la norma gia' indagata nel paragrafo precedente sia ulteriormente sospetta di contrarieta' a Costituzione anche in una diversa prospettiva e percio' con violazione di parametri costituzionali del tutto diversi. L'esame della questione suppone una digressione ricostruttiva. 3.6.1) La legge n. 130 del 2022 ha disposto - con l'introduzione dell'art. 1-bis nel tessuto delle preesistenti previsioni del decreto legislativo n. 545/1992 - che «La giurisdizione tributaria e' esercitata dai magistrati tributari e dai giudici tributari nominati presso le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, presenti nel ruolo unico nazionale di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183, alla data del 1° gennaio 2022». L'art. 8, comma 1 dell'anzidetta legge n. 130/1992 ha poi previsto che ai (soli) «magistrati tributari reclutati ai sensi dell'art. 4 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel titolo I, capo II, dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12». Si e' cosi' venuta a creare l'anomala condizione di una giurisdizione speciale articolata in un ordine unico (ai cui componenti il citato art. 1-bis conferisce la medesima dignita' di esercizio della giurisdizione), tuttavia distinto in due sottocategorie, la prima delle quali e' composta da magistrati «a tutto tondo», assunti per concorso o per diretto transito dagli altri ordini giudiziari (ordinario o speciali) e a cui - come gia' si e' detto - si applica la disciplina di status tipica dei magistrati ordinari, e la seconda delle quali resta composta (come gia' in precedenza) da personale onorario, cui altro non puo' applicarsi che la disciplina generica relativa ai «munera» che, non danno luogo a rapporto di lavoro dipendente, come e' confermato dal disposto del comma primo dell'art. 11 del decreto legislativo n. 545/1992, a tenore del quale «La nomina dei giudici tributari presenti nel ruolo unico di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183, alla data del 1° gennaio 2022, a una delle funzioni dei componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego». Non e' qui da spendere troppi argomenti per affermare che la onorarieta' del giudice tributario e' «di pura facciata» (strumentale a consentire all'amministrazione di avvalersi di riconosciute professionalita' a basso costo), perche' di cio' si trova conferma nelle stesse disposizioni normative che hanno realizzato una riforma organica della magistratura onoraria nel settore della giustizia ordinaria, ed in specie nell'art. 1 del decreto legislativo n. 116 del 2017 che ne delinea i seguenti caratteri precipui: 1) inderogabile temporaneita' dell'incarico; 2) impegno richiedibile non superiore a due giorni lavorativi per settimana; 3) esercizio delle funzioni giudiziarie secondo principi di autoorganizzazione dell'attivita', tutti caratteri che non sono affatto predicabili a riguardo del giudice tributario al quale e' conferito un incarico stabile per tutta la sua vita lavorativa; per il quale l'organo di autogoverno e' arrivato a definire carichi sostenibili annui di 120 sentenze per giudice; che e' inserito in una organizzazione strutturata per legge in organi collegiali che pregiudica qualsivoglia facolta' di autorganizzazione. Ed e' appunto per questo che anche ai giudici tributari onorari - diversamente da quanto avviene per i giudici onorari ordinari per i' quali le norme del capo III del decreto legislativo n. 116/2017 prevedono solo compiti complementari - e' consentito l'accesso alle funzioni apicali nella giurisdizione tributaria (Presidente di Corte di primo o di secondo grado; presidente di sezione delle Corti di primo o di secondo grado) a condizione di rivestire o di avere rivestito (contempo) funzioni di magistrato in altra giurisdizione (magari anche in esecuzione del disposto dell'art. 106, comma 3 Cost.), ovvero anche indipendentemente dall'esistenza di tale condizione, atteso che l'esercizio delle funzioni di vicepresidente di sezione nelle Corti di primo e di secondo grado (e quindi di presidente di collegio) e' consentito ai «componenti che abbiano esercitato, per almeno cinque anni le funzioni di giudice tributario, purche' in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio» e -rispettivamente - ai «componenti che abbiano esercitato per almeno dieci anni le funzioni di giudice tributario regionale purche' in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio» (art. 3 del decreto legislativo n. 545/1992). Anche per il futuro e' previsto (art. 5 del decreto legislativo n. 545/1992) che «I giudici delle corti di giustizia tributaria di secondo grado sono nominati tra i magistrati tributari di cui all'art. 1-bis, comma 2, e i giudici tributari presenti nel ruolo unico di cui all'art. 1-bis, comma 1», cosi' concretizzandosi la non remota possibilita' che fino all'anno 2052 (secondo i dati relativi al pronosticato termine di esaurimento del ruolo dei giudici tributari onorari rimarcati nella relazione del Servizio studi congiunto (Camera e Senato) A.S. n. 2636, richiamata al paragrafo 3 che precede) le funzioni di Presidente di collegio nelle Corti tributarie di primo e secondo grado (non meno che le funzioni apicali nell'organizzazione giudiziaria) saranno rivestite contempo da appartenenti all'una ed all'altra delle due menzionate categorie, e cioe' da magistrati tributari e da giudici tributari. Anzi, l'art. 9, comma 2-bis continua a prevedere anche per il futuro che «Per le corti di giustizia tributaria di secondo grado i posti da conferire sono attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ovvero gli avvocati dello Stato, a riposo», cosi' garantendo - sia pure a particolari condizioni - che ai componenti della categoria «ad esaurimento» sia assegnata la maggioranza dei posti nella composizione delle Corti di secondo grado. La ratio di quest'ultima disposizione sembra rinvenibile nella maggiore esperienza - anche rispetto ai magistrati professionali nuovi assunti- che va riconosciuta a chi ha esercitato da maggior tempo le funzioni giudiziarie tributarie, sia pure nella veste di «personale onorario». 3.6.2) Nonostante la dianzi evidenziata pari dignita' e la piena ed integrale «intercambiabilita'» ai fini dell'esercizio delle funzioni giudiziarie e nonostante la totale stabilita' del rapporto di servizio fino al momento della quiescenza riconosciuta ad entrambe le categorie di personale giudiziario (stabilita' che per il personale onorario e' in concreto garantita per un trentennio dal momento dell'entrata in vigore della richiamata legge n. 130/2022), resta - come si e' detto - totalmente differenziato lo «status» che la legge attualmente vigente riconosce alle due categorie di componenti dell'ordine giudiziario tributario, cio' che poi si riflette in una ingiustificata discrepanza dei trattamenti economici riconosciuti a ciascuna di esse, sia pur a fronte di identiche funzioni esercitate, vuoi nell'esercizio dell'attivita' di «jus dicere» vuoi nell'esercizio dei compiti di governo della giurisdizione. Ed infatti il legislatore del 2022 ha confermato per il personale onorario il sistema del «misto-cottimo» articolatamente disciplinato dall'art. 13 del decreto legislativo n. 545/1992 con l'espresso limite del massimo percepibile di euro 72.000,00 per anno (cui in concreto sono in grado di ambire i soli presidenti delle due Corti metropolitane nazionali, mentre tutti gli altri ambiscono a compensi spesso inferiori ai livelli di garanzia del minimo di sussistenza) mentre l'art. 13-bis del ridetto decreto legislativo n. 545/1992 prevede ora che «Ai magistrati tributari reclutati per concorso, secondo le modalita' di cui all'art. 4, si applicano le disposizioni in materia di trattamento economico previsto per i magistrati ordinari, in quanto compatibili», cosi' come l'art. 1, comma 8 della legge n. 130/2022 prevede - in favore dei giudici tributari gia' magistrati (ordinario speciali) che abbiano optato per il definitivo transito nella giurisdizione tributaria - che anche ad essi «si applicano tutte le disposizioni in materia di trattamento economico previste per i magistrati ordinari, in quanto compatibili», prevedendo aggiuntivamente in favore di questi ultimi che essi «continuano a percepire, a titolo di indennita', per ventiquattro mesi successivi alla data di immissione nelle funzioni di magistrato tributario, il compenso fisso mensile di cui all'art. 13, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, nella misura piu' elevata tra quello attribuito per la funzione gia' svolta in qualita' di giudice tributario e quello corrispondente alla nuova funzione attribuita dopo il transito nella giurisdizione tributaria», a sostanziale titolo di ristoro dei disagi per il ridetto transito, per quanto il precedente comma 7 abbia comunque garantito per questi ultimi che essi hanno «diritto a mantenere il posto gia' ricoperto di giudice tributario nell'ufficio di appartenenza e la relativa funzione», e percio' indipendentemente dalla concreta sussistenza dei ridetti «disagi». Pare quindi che l'unica previsione che accomuna le due distinte sottocategorie -in termini di disciplina di status - sia quella dell'art. 14 del decreto legislativo n. 545/1992, a mente del quale «Ai componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado si applicano le disposizioni della legge 13 aprile 1988, n. 117, concernente il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali». Vale anche la pena di evidenziare qui che - in tema di disparita' dei trattamenti propriamente economici - la forbice dell'ingiustificata discriminazione si e' vieppiu' accentuata per effetto della disposizione del comma 3 dell'art. 4 della legge n. 130/1992 che ha abolito il sistema di redistribuzione al personale giudiziario onorario di parte del contributo unificato (al tempo appositamente pensato onde reperire i fondi grazie ai quali aggiornare il trattamento economico di tale personale) palesemente non compensato da un aumento della quota «fissa» del trattamento, cosi' che verra' «appiattito» - polverizzandolo - l'unico introito effettivamente premiale per il maggior contributo offerto alla velocizzazione del sistema processuale, nel mentre cio' garantisce all'amministrazione un evidente risparmio di spesa, vieppiu' incrementale in ragione del progressivo ridursi del numero dei componenti della categoria «ad esaurimento». Pare di intendere che si tratti di «risorse» che (insieme alle altre di cui gia' si e' detto) vengono recuperate a carico della categoria ad esaurimento onde si possano sopportate i costi della nuova categoria di personale professionale. A cio' si aggiunge la riduzione, sia pure graduale, del limite massimo dell'eta' di cessazione dal servizio antecedentemente fissato in 75 anni (ed ora in anni 70, a mente della novellata disposizione dell'art. 9, comma 2 del decreto legislativo n. 545/1992), senza che tale vera e propria decurtazione di appannaggio (che non puo' essere sostituito da alcun trattamento di quiescenza, proprio perche' per il giudici tributari e' misconosciuto qualsivoglia effetto del rapporto di pubblico impiego) trovi indennizzo di sorta, per quanto e' notorio che molti tra gli attuali giudici in servizio abbiano rinunciato alle proprie attivita' professionali (forse anche per ragioni di incompatibilita') o si siano adattati ad onerosi trasferimenti di sede appunto fidando sulla lunga durata del rapporto di servizio, sia pure onorario, garantita per legge. 3.6.3) Senonche', l'incongruenza di un simile regime di compatibilita' di funzioni a fronte di totale disparita' di status non si traduce esclusivamente - in prospettiva futura - nell'inusitato disagio in cui verra' a trovarsi il capo dell'ufficio giudiziario allorche' dovra' «tabellarmente» disciplinare la distribuzione degli affari correnti tra tutti i componenti dell'ufficio, nell'evidente conflitto di interessi tra quelli di loro che appetiscono ad una tale assegnazione (perche' intanto guadagnano in quanto producano) e quelli che non appetiscono ad una tale assegnazione (perche' guadagnano comunque, anche se non producono), ma si traduce anche in una patente e ingiustificata discriminazione di trattamento che non trova giustificazione alcuna nemmeno nella differenziata disciplina di status di cui dianzi si e' detto. Ritiene infatti questa Corte remittente che non possa valere per questa peculiare situazione il principio gia' piu' volte enunciato dal giudice delle leggi (sentenza n. 60 del 2006, ordinanze n. 479 del 2000 e n. 272 del 1999) -secondo cui e' impossibile «assimilare le posizioni dei giudici onorari e dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giudiziarie», con la conseguenza dell'ulteriore «impossibilita' di comparare tali posizioni ai fini della valutazione del rispetto del principio di uguaglianza, a causa dello svolgimento a diverso titolo delle funzioni giurisdizionali, connotate dall'esclusivita' solo nel caso dei magistrati ordinari di ruolo che svolgono professionalmente le loro funzioni») - perche' qui non si tratta di comparare disposizioni incidenti sullo status ma disposizioni che incidono sugli stessi risultati concreti dello svolgimento delle prestazioni di lavoro, cio' che prescinde dalla circostanza che si tratti di funzioni giurisdizionali e che si tratti di differenziati rapporti di servizio, potendosi predicare l'illegittimita' di una siffatta arbitraria discriminazione in relazione a qualsivoglia posizione lavorativa ed in qualsivoglia ambito, anche indipendentemente dai suoi connotati caratterizzanti. Vi e' infatti nella disciplina emanata con gia' citata norma del comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/1992 (che ha previsto che il potere di «applicazione ex officio» ad altra sede sia esercitabile soltanto «in danno» dei giudici tributari appartenenti al ruolo unico di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183 e non anche dei magistrati tributari assunti per concorso o per diretto transito dalle altre magistrature) una violazione del fondamentale principio di equa distribuzione degli oneri tra componenti del medesimo ordine professionale, che nella specie e' addirittura aggravato dalla circostanza che l'onere e' imposto a chi gia' gode di minore tutele. Sperequazione, questa, che si pone addirittura in rapporto inverso con la logica che presiede all'assunzione in servizio dei componenti delle due categorie, nel senso che finiscono per diventare discrezionalmente «amovibili» quelli che sono stati assunti per l'esercizio delle funzioni in una sede di servizio predeterminata ed esclusiva, mentre invece restano «inamovibili» quelli che sono stati assunti per comporre un ruolo unico nazionale, salvo successiva destinazione alla sede di servizio che sara' determinata in ragione di apposite graduatorie di merito. E si tratta di sperequazione che e' anche contraria alla regola della giusta e sufficiente remunerazione delle prestazioni di lavoro (art. 36 Cost.), atteso che i giudici tributari «applicati ex officio» - in ragione delle disposizioni novelle gia' in precedenza citate (che hanno determinato l'abolizione del sistema di redistribuzione del contributo unificato sub specie di compenso variabile) e in ragione della ritenuta non duplicabilita' del compenso fisso per i compiti espletati in regime di applicazione «non esclusiva» - finiranno per percepire -a fronte dell'assunzione di un ulteriore munus non meno gravoso di quello «originario» - il solo compenso «variabile» determinato in misura puramente simbolica secondo i criteri che sono fissati nel ridetto art. 13 del decreto legislativo n. 546/1992, il quale rimanda ai decreti del Ministero delle finanze, tutt'ora fermi a valori dell'anno 2002. Anche indipendentemente dal conflitto con queste logiche di sistema, emerge comunque con chiarezza che non vi e' ragionevolezza alcuna nella prevista disparita' di soggezione ad un potere che - se realmente fosse imprescindibile al fine di garantire il minimum indispensabile di esercizio del servizio giudiziario - nondimeno dovrebbe coinvolgere tutti i componenti dell'organizzazione giudiziaria che siano in grado di svolgere le ridette imprescindibili funzioni, salvo riconoscere che la norma di che trattasi e' connotata da ingiustificata disparita' di trattamento e finanche da caratteri incomprensibilmente «punitivi». Ed e' percio' che questa Corte dubita della contrarieta' all'art. 3 Cost. della disciplina introdotta con il comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/2022, anche in combinato disposto con gli articoli 13 e 13-bis del medesimo decreto legislativo, se ed in quanto le discipline contenute in dette ultime norme servono a dar maggiormente conto dell'ingiustificata disparita' di trattamento che la prima delle ridette norme provoca alla luce della gia' macroscopica differenza di trattamento economico che le seconde due predeterminano. 3.7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis; dell'art. 8, comma 1; dell'art. 9, comma 2 e comma 2-bis; dell'art. 11, comma 1 del decreto legislativo n. 545/1992 cosi' come novellate di recente dalla ridetta legge n. 130/2002, nella parte in cui le anzidette norme non prevedono, in ossequio all'art. 106 Cost. che ai giudici tributari con rapporto di servizio onorario siano attribuibili soltanto funzioni monocratiche. 3.7.1) Nel paragrafo che precede si e' detto - sia pure per grandi linee, perche' ragioni di sintesi impediscono maggiore dettaglio - quale sia la manifesta sperequazione di trattamento che distingue lo status del personale onorario della magistratura tributaria rispetto allo status del personale «di carriera». Mette appena conto rammentare qui che siffatta differenziazione non sembra possa trovare persistente giustificazione nel fatto che al «personale onorario» si conceda di espletare - oltre al munus di che trattasi - anche altri uffici o attivita' professionali che con l'esercizio del ridetto munus restano compatibili. Infatti, e' ormai acquisito (proprio per effetto della giurisprudenza del giudice delle leggi) il principio secondo il quale «A seguito di interventi legislativi riformatori nel settore del pubblico impiego (nel cui ambito si colloca anche la disciplina del part-time come compiutamente delineata "anche attraverso la riscrittura delle regole relative alle incompatibilita', gia' poste dal decreto legislativo n. 29/93") anche ad opera dell'art. 1, comma 56, legge n. 662/1993 che ha apportato «una decisiva modifica ad uno di canoni fondamentali del rapporto del pubblico impiego, e cioe' quello della esclusivita' della prestazione» e ad opera del comma 56-bis che "ha completato il disegno legislativo disponendo l'abrogazione (e non piu' l'inapplicabilita') di tutte le norme che vietano ai pubblici dipendenti a part-time l'iscrizione ad albi professionali e l'esercizio di altre prestazioni di lavoro", ne e' derivato un sistema che non solo non reca "pregiudizio al corretto funzionamento degli uffici", essendo anzi diretto "a privilegiare, in modo non irragionevole, il valore dell'efficienza della pubblica amministrazione", ma non compromette nemmeno i principi evocati dal rimettente a sostegno della sollevata questione. Nell'elidere il vincolo di esclusivita' della prestazione in favore del datore di lavoro pubblico, il legislatore, proprio per evitare eventuali conflitti di interessi, ha provveduto, infatti, a porre direttamente (ovvero ha consentito alle amministrazioni di porre) rigorosi limiti all'esercizio, da parte del dipendente che richieda il regime di part-time ridotto, di ulteriori attivita' lavorative e, in particolare, di quella professionale forense, che se esercitata nel rispetto di quei limiti e condizioni risulta pienamente legittima» (Corte cost. 11 giugno 2001, n. 189). D'altronde, se realmente il legislatore avesse inteso comprovare che e' interesse del ridetto personale onorario proseguire nel contemporaneo esercizio dei ridetti impegni, sarebbe stato agevole prevedere (come in altri disegni di legge si era proposto di fare, nella prospettiva della riforma poi adottata merce' la legge n. 130/2022) un concorso riservato al ridetto personale (o almeno aperto a tutti i giudici onorari in servizio) onde consentire che la selezione del personale professionale da assumere sotto forma di rapporto (esclusivo) di pubblico impiego facesse emergere le opportune vocazioni di coloro che tali impegni non hanno o che detti impegni non intendono proseguire. Il ridetto legislatore ha invece ritenuto di prescegliere la diversa via dello stretto corridoio (irto di condizioni e sbarramenti che impediscono la partecipazione al maggior numero di giudici oggi in servizio) attraverso il quale consentire ad un solo sparuto numero di giudici onorari di aspirare ad un simile risultato, tuttavia privilegiando le assunzioni ab esterno, secondo uno sviluppo cosi' diluito nel tempo che il regime transitorio prefigurato per la realizzazione di questo intento rischia di essere piu' lungo del periodo che e' intercorso tra la precedente riforma del 1992 e quella odierna. In tal modo detto legislatore ha di fatto prescelto di continuare ad avvalersi dell'apporto del personale onorario (riconoscendone la insostituibilita'), pur senza attribuire a quest'ultimo il controvalore - sotto ogni punto di visuale - di una tale collaborazione. 3.7.2) Preme allora a questa Corte remittente evidenziare che siffatta scelta si e' tradotta in norme che - alla luce del concreto assetto che l'ordinamento giudiziario tributario ha finito per assumere in ragione della novella e nella prospettiva del rigore logico che deve informare l'intero ordinamento giuridico, e non solo alcuni ambiti di esso - appaiono collidere con la lettera della Carta costituzionale, ed in specie con l'art. 106 Cost. Il sospetto di contrarieta' a Costituzione delle norme dianzi emarginate trova il suo nutrimento proprio negli argomenti che codesta ecc.ma Corte ha diffusamente utilizzato per motivare la pronuncia n. 41 del 2022, nella quale e' convalidato l'assunto secondo cui le previsioni del ridetto art. 106 Cost. (la regola del necessario concorso per l'assunzione; la limitazione all'esercizio di funzioni di «giudice singolo», sia pure declinate a riguardo dei magistrati onorari) sono espressione ineludibile della scelta del costituente per l'affidamento - in via generale - dell'esercizio della giurisdizione ai «magistrati togati». Ed ora che la legge ordinaria ha previsto anche nel settore della giustizia tributaria le modalita' per l'assunzione di «magistrati togati», pare a questa Corte remittente che non sia piu' eludibile la piena e puntuale applicazione di tale norma costituzionale, senza che di cio' possa farsi differimento «sine die», come di fatto avviene per effetto del regime transitorio di cui si e' detto. Si tratta di disposizioni - queste ultime - che sono inserite nel titolo IV della Carta costituzionale (che si intitola alla «Magistratura» tout court) e che percio' stesso non possono che considerarsi applicabili anche alle magistrature speciali, e tanto piu' con riguardo a quelle magistrature speciali per le quali nessuna norma di deroga e' espressamente prevista rispetto alla «disciplina comune» dettata dalla Carta. In patente conflitto con le predette norme costituzionali, invece, il legislatore del 2022 e' giunto a prevedere che - come si e' gia' detto - sia garantita ai giudici tributari (onorari) la maggioranza dei posti di componente delle Corti di secondo grado e che soltanto questi ultimi siano utilizzabili in «applicazione» per la stabile composizione dei collegi di qualsivoglia ufficio (e quindi anche di quelli delle Corti di secondo grado) ogni volta in cui cio' appaia necessario per garantire l'esercizio minimo della funzione giudiziaria tributaria. In virtu' di siffatte disposizioni potrebbe anche in futuro, e fino all'anno 2052, realizzarsi l'evenienza (che oggi e' regola) che i collegi delle Corti di giustizia tributaria di primo grado e financo quelli di secondo grado siano composti in via esclusiva con personale onorario, nonostante esistano e siano idoneamente utilizzabili per la bisogna i magistrati professionali cui spetta pozione titolo. 3.7.3) Tuttavia, come gia' si e' accennato, l'art. 106 Cost. esprime la chiara scelta del Costituente per la regola generale secondo cui i magistrati (ordinari o speciali che siano) sono nominati esclusivamente a seguito dell'espletamento di un pubblico concorso, regola rispetto alla quale costituisce eccezione espressa la sola eventualita' prevista dal terzo comma della stessa disposizione. Codesta ill.ma Corte costituzionale ha infatti messo in luce, proprio nella dianzi richiamata pronuncia che «Tale assetto, ... costituisce, come si evince anche dai lavori preparatori, il punto di arrivo di un complesso dibattito, in sede di lavori dell'Assemblea costituente, riguardo alle modalita' piu' idonee di assunzione dei magistrati in coerenza con le scelte fondamentali in ordine all'autonomia e all'indipendenza dell'ordine giudiziario da ogni altro potere (art. 104, primo comma, Cost.) e alla soggezione del giudice solo alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.), nonche' al divieto di istituzione di giudici straordinari o giudici speciali (art. 102, secondo comma, Cost.). La regola generale del pubblico concorso e' stata individuata come quella piu' idonea a concorrere ad assicurare la separazione del potere giurisdizionale dagli altri poteri dello Stato e la sua stessa indipendenza, a presidio dell'ordinamento giurisdizionale, posto dalla Costituzione, nel titolo IV della sua Parte II, quale elemento fondante dell'ordinamento della Repubblica. Questa Corte ha da lungo tempo chiarito che il sistema generale di reclutamento mediante pubblico concorso e' strumentale all'indipendenza della magistratura, osservando che, pur se la sua prescrizione, contenuta nell'art. 106, primo comma, Cost., costituisce essenzialmente una norma di garanzia di idoneita' a esercitare le funzioni giurisdizionali, nondimeno la stessa concorre a rafforzare e a integrare l'indipendenza della magistratura (sentenza n. 1 del 1967), non diversamente dalla garanzia dell'inamovibilita' (art. 107, primo comma, Cost.)». Gia' in precedenza era stato sottolineato in proposito che «la funzione della interpretazione ed applicazione della legge richiede il possesso della tecnica giuridica» da parte dei giudici togati (sentenza n. 76 del 1961). Ed e' sempre codesta ill.ma Corte ad aver messo in chiaro che se «Il Costituente non ha, pero', previsto in termini assoluti l'esclusivita' dell'esercizio della giurisdizione in capo alla magistratura nominata a seguito di pubblico concorso, da una parte, ha contemplato la possibilita', con riserva assoluta di legge, di forme di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia (art. 102, terzo comma, Cost.)» , ... d'altra parte ha ritenuto che «potesse essere compatibile con la regola generale della giurisdizione esercitata da una magistratura professionale alla quale si accede mediante pubblico concorso» sicche' «tale ritenuta compatibilita' si tradusse nella formulazione del secondo comma dell'art. 106 Cost.: "La legge sull'ordinamento giudiziario puo' ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli"» (sentenza n. 41 del 2022). Alla luce di queste autorevoli indicazioni (che confermano quelle analoghe contenute nella sentenza n. 99 del 1964), non par dubbio a questa Corte remittente che anche nell'ambito della magistratura speciale tributaria sia tempo di «tracciare un perimetro invalicabile» e cosi' riaffermare la volonta' dei costituenti di limitare le funzioni dei magistrati onorari alla giustizia minore, tale essendo considerata quella amministrata dai «giudici singoli» con conseguente esclusione di questi ultimi da ogni attivita' collegialmente organizzata, salva la possibilita' di un'«assegnazione precaria e occasionale», riferita a «singole udienze o singoli processi», per la «supplenza in collegi di tribunale» che codesta ecc.ma Corte ha - in via di deroga - ritenuto essere compatibile con il dettato del secondo comma dell'art. 106 Cost., facendo esercizio del potere di interpretazione adeguatrice e solo in virtu' dei caratteri di eccezionalita' e temporaneita' dell'incarico di supplenza, onde si possa in tal modo scongiurare «il rischio dell'emergere di una nuova categoria di magistrati» (sentenza n. 103 del 1998). Tutt'oggi, invece, vige la previsione - ad opera delle disposizioni qui censurate - dello stabile svolgimento da parte dei giudici tributari di funzioni (nient'affatto di giudici singoli, ma) collegiali presso le Corti tributarie di primo e di secondo grado, dove detto personale onorario e' strutturalmente inserito, come gia' sopra descritto, previsione che appare - essere del tutto fuori sistema e si pone in radicale contrasto con l'art. 106, primo comma, Cost. D'altronde, una siffatta riconduzione dell'ordinamento giudiziario tributario a conformita' con la Costituzione e' oggi possibile senza che si creino peculiari disservizi per la comunita' degli utenti proprio in virtu' delle innovazioni introdotte dalla legge n. 130/2022 che ha disciplinato la figura del magistrato tributario professionale (addirittura consentendo che i ruoli organici degli stessi, ritenuti sufficienti per l'assolvimento del compito di giudicare, siano quanto prima occupati da magistrati transitandi dalle altre magistrature ordinaria o speciali) ed ha contempo previsto lo svolgimento di funzioni giudiziarie monocratiche di primo grado (art. 4-bis del decreto legislativo n. 546/1992) alle quali potranno essere convenientemente assegnati tutti gli attuali giudici onorari, cosi' realizzandosi piu' rapidamente quel traguardo di smaltimento degli arretrati a cui il legislatore del 2022 si e' fatto vanto di avere provveduto. 4) In conclusione, appaiono a questa Corte non manifestamente infondati i dubbi che le norme di paragrafo in paragrafo analiticamente menzionate siano in contrasto con le norme parametro di rango costituzionale esse pure di volta in volta enucleate nel corso dello svolgimento della motivazione della presente ordinanza, sicche' si impone la rimessione della questione alla Corte costituzionale, affinche' verifichi la fondatezza di ciascuno dei predetti dubbi.