LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA 
                        di I grado di Venezia 
                              Sezione 1 
 
    Riunita in udienza il 29 settembre 2022 alle  ore  11,30  con  la
seguente composizione collegiale: 
        Caracciolo Giuseppe, Presidente; 
        Primicerio Giuseppe, relatore; 
        Pinzello Antonio, giudice, 
    in data 29 settembre 2022 ha pronunciato  la  seguente  ordinanza
sul ricorso in riassunzione n. 249/2021, proposto da Gruppo P. S.p.a.
difeso  da  Antonio  Franchini  FRNNTN44C28L736T  -  Andrea  Manzitti
MNZNDR61H24D969E -  Loris  Tosi  TSOLRS57A29L736O  -  Antonio  Viotto
VTTNTN67E15F770C       -        rappresentato        da        Arturo
Bastianello BSTRTR63L27G224N  ed  elettivamente  domiciliato   presso
loris.tosi@venezia.pecavvocati.it 
    Contro   Agenzia   entrate   -   Direzione   regionale    Veneto,
elettivamente                   domiciliato                    presso
dr.veneto.gtpec@pce.agenziaentrate.it 
    avente ad oggetto l'impugnazione di: avviso  di  accertamento  n.
... 
    a seguito di discussione in pubblica udienza 
 
                     Elementi in fatto e diritto 
 
    letti gli atti; 
    udite le parti alla pubblica udienza fissata per la discussione; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Il  Gruppo  P.  S.p.a.,  con  ricorso  notificato  nei  confronti
dell'Agenzia delle entrate, impugnava  l'avviso  di  accertamento  in
epigrafe in materia di Iva per l'anno ..., per l'indicato  valore  di
euro ... 
    L'atto impugnato ha per base il processo verbale di constatazione
redatto dalla Guardia di finanza  in  data  ...,  avente  ad  oggetto
acquisti e rivendite di telefoni cellulari, dal quale sono scaturiti: 
        un primo filone ove e' contestato alla societa' la conoscenza
e/o compartecipazione a una c.d. frode carosello IVA,  recuperando  a
tassazione l'IVA detratta dalla Gruppo Pam sugli acquisti  effettuati
dai propri fornitori; 
        un secondo filone ove e' contestato l'applicazione del regime
intracomunitario  alle  cessioni  da  parte  del  Gruppo   Pam   alle
controparti commerciali estere. 
    Tali contestazioni sono state oggetto di precedenti  ed  autonomi
avvisi di accertamento,  con  riguardo  agli  anni  di  imposta  ...,
avverso i quali risultano proposti autonomi ricorsi  con  riferimento
ai due diversi filoni di cui sopra. 
    L'accertamento, ora in esame, e' il primo  che,  in  unico  atto,
racchiude entrambe le contestazioni. 
    Al momento dell'esame del ricorso avverso l'atto in questione con
riferimento ai ricorsi relativi alla contestazione della  conoscenza/
compartecipazione  da  parte  della  ricorrente  ad  una  c.d.  frode
carosello IVA (c.d. primo filone) erano intervenute  decisioni  della
Commissione tributaria regionale del  Veneto  che  avevano  affermato
l'illegittimita'  della  pretesa  erariale  gravate,  a  loro  volta,
innanzi la Suprema Corte di cassazione. 
    Questa Commissione valutava, pertanto, preliminarmente  se  fosse
applicabile,  con  riferimento  alle  questioni  pendenti  avanti  il
giudice di legittimita', la sospensione del procedimento ex art.  295
codice di  procedura  civile  Avendo  l'organo  adito  ritenuto  tale
sospensione possibile, provvedeva nel merito  solo  con  riguardo  al
c.d. «secondo filone» e con ordinanza n. 1073/1/2018,  depositata  il
18 dicembre 2018, cosi' pronunciava: 
        «P.Q.M. - La Commissione, non  definitivamente  pronunciando,
ritiene fondato il ricorso con riguardo alla contestata  applicazione
del regime intracomunitario (c.d. «secondo filone») e  per  l'effetto
annulla l'atto impugnato con riguardo a tale motivo, sospende ex art.
295 codice di procedura civile per il resto (c.d.  primo  filone)  il
presente contenzioso in attesa dell'esito dei ricorsi pendenti avanti
la Corte di cassazione,  revocando  la  precedente  ordinanza  del  6
novembre 2018». 
    Avverso tale ordinanza, parte resistente  Agenzia  delle  entrate
proponeva, da un canto, ricorso per regolamento di competenza  avanti
la Corte di cassazione e, dall'altro appello  avanti  la  Commissione
tributaria regionale del Veneto per la parte in cui riteneva «fondato
il ricorso con  riguardo  alla  contestata  applicazione  del  regime
intracomunitario (c.d. "secondo  filone")  e  per  l'effetto  annulla
l'atto impugnato con riguardo a tale motivo». 
    La controversia originata dall'appello  dell'Agenzia  e'  tuttora
pendente avanti la Commissione tributaria regionale del  Veneto  (RGA
327/2020) mentre con ordinanza n.  16180/2021  la  suprema  Corte  ha
accolto il ricorso dell'Agenzia,  cassando  l'ordinanza  impugnata  e
disponendo  «la  prosecuzione  del  giudizio  avanti  la  Commissione
tributaria provinciale di Venezia». 
    La suprema Corte ha, difatti, precisato che: 
        «Il  divieto  di  pronuncia  di  sentenze  non  definitive  o
limitate solo ad alcune  domande,  sancito  dall'art.  35,  comma  3,
decreto legislativo n. 546/1992, costituisce un precetto a  carattere
eccezionale, che introduce una deroga rispetto al regime previsto per
il  processo  civile  dall'art.  279  codice  di   procedura   civile
giustificata - come  precisato  dalla  Relazione  ministeriale  sullo
schema del decreto legislativo n. 546 del 1992  per  la  riforma  del
contenzioso tributario - dall'esigenza di evitare gli inconvenienti a
cui il frazionamento dei giudizi da'  generalmente  luogo  anche  nel
processo civile, avuto specifico riguardo  alla  peculiare  struttura
del processo tributario ed al sistema di riscossione  frazionata  dei
tributi contro cui l'istituto delle  sentenze  non  definitive  e,  a
maggior ragione, quello delle impugnazioni differite che  solitamente
si accompagna, verrebbe inevitabilmente a confliggere». 
    In ottemperanza alla menzionata  ordinanza  n.  16180/2021  della
Corte di cassazione, la Societa' Gruppo P. S.p.a ha formulato istanza
di  riassunzione  con  istanza  di  prosecuzione  del  giudizio  (rgr
758/2015) avanti codesta Commissione  tributaria  provinciale  -medio
tempore divenuta Corte di giustizia tributaria di primo  grado  -  di
Venezia affinche', rigettata  ogni  eccezione,  istanza  o  deduzione
avversaria, previa conferma della gia' disposta sospensione dell'atto
impugnato e previa conferma della pronuncia di annullamento dell'atto
impugnato con riferimento  ai  rilievi  del  c.d.  «secondo  filone»,
vengano accolte le seguenti conclusioni: 
        nel merito, dichiarare l'illegittimita', in tutto o in parte,
dell'avviso di accertamento  impugnato  e,  per  l'effetto,  disporne
l'annullamento, totale o parziale; 
        in via subordinata, dichiarare l'illegittimita', in  tutto  o
in parte, del connesso provvedimento di  irrogazione  delle  sanzioni
amministrative e, per l'effetto, disporne  l'annullamento,  totale  o
parziale, dichiarando non dovute, in tutto o in parte, le sanzioni; 
        in  ogni  caso,  condannare  l'Agenzia  delle  entrate   alla
restituzione  del   contributo   unificato,   nonche'   delle   somme
eventualmente  percette  nelle  more  del  giudizio,   aumentate   di
rivalutazione monetaria ed interessi legali, ed  al  pagamento  delle
spese del giudizio ai sensi dell'art. 15 del decreto  legislativo  n.
546/1992. 
    Nuovamente fissata ed espletata la pubblica udienza ai fini della
decisione della residua materia oggetto di contesa -  in  conformita'
alle domande rispettive delle parti -  ed  udite  le  parti  medesime
all'udienza del giorno 29 settembre, la Corte - riunita in Camera  di
consiglio - si e' riservata di deliberare a mente dell'art. 35, comma
2, decreto legislativo n. 546/1992. 
 
                       Considerato in diritto 
 
1) Premessa 
    Questa Corte ritiene di non poter adottare alcuna decisione nella
controversia dianzi descritta,  senza  avere  prima  sottoposto  alla
Corte costituzionale la questione di  legittimita'  di  alcune  delle
norme che disciplinano  l'ordinamento  giudiziario  tributario  cosi'
come sono state di recente novellate a mezzo della legge n.  130  del
1° settembre 2022. 
    Si tratta, in particolare: 
        a) dell'art. 24, comma 1, lettera d) ed e) e del comma  2-bis
dello stesso art. 24 del decreto legislativo n. 545/1992 (cosi'  come
modificato dalla legge n. 130/2022);  dell'art.  24-bis  del  decreto
legislativo n. 545/1992 (cosi' come inserito  nel  tessuto  normativo
preesistente dalla legge n. 130/2022) e di tutte le norme del decreto
legislativo n. 545/1992 nella loro formulazione vigente (novellate  o
meno  che  siano  state  dall'anzidetta  Legge)   che   attribuiscono
competenza  gestionale  e  di  supporto  amministrativo   in   ordine
all'organizzazione giudiziaria tributaria al MEF  anziche'  ad  altra
amministrazione centrale dello Stato, in specie, tra esse, l'art.  13
del  decreto  legislativo  n.  545/1992  (dettato   in   materia   di
«trattamento  economico  dei  componenti  delle  Corti  di  giustizia
tributaria»), l'art. 32 del predetto decreto legislativo (dettato  in
materia di personale addetto agli uffici di segreteria delle Corti) e
gli articoli da 36 a 41 che compongono il  capo  quarto  del  decreto
legislativo n. 545/1992 (il quale e' appunto  intitolato  «I  servizi
amministrativi del contenzioso") del cui specifico oggetto  si  dira'
piu' oltre, oltre che l'art. 43 del medesimo decreto  legislativo  n.
545/1992 che compone  il  capo  V  intitolato  alle  norme  finali  e
transitorie; 
        b) del comma 5  dell'art.  8  della  legge  n.  130/2022  che
disciplina  la  composizione  del  Consiglio  di   Presidenza   della
giustizia tributaria per la consiliatura  successiva  all'entrata  in
vigore della anzidetta legge; 
        c) dei commi 4-ter e 5 dell'art. 11 (nuova formulazione)  del
decreto legislativo n. 545/1992, nella parte in cui contemplano  come
requisito di accesso al concorso interno  per  il  tramutamento  alle
funzioni superiori che  il  componente  dell'ordinamento  giudiziario
tributario  abbia  garantito  almeno  un   rapporto   del   60%   tra
provvedimenti depositati entro il termine di un mese e  provvedimenti
complessivamente depositati; 
        d) del combinato disposto dell'art. 7 e dell'art.  12,  comma
1, lettera a) del decreto legislativo n. 545/1992 nella parte in  cui
disciplina una specifica ipotesi di  «decadenza»  degli  appartenenti
all'ordine giudiziario tributario. 
        e) del comma 14 dell'art. 1 della  legge  n.  130/2022  nella
parte in cui attribuisce al Consiglio di Presidenza  della  giustizia
tributaria  il  potere  di  applicare  ex  officio  ad  altro  organo
giudiziario il giudice tributario ogni volta in cui  individui  delle
sedi in cui non e' possibile assicurare  l'esercizio  della  funzione
giurisdizionale; 
        f)  nuovamente  del  comma  14  dell'art.  1 della  legge  n.
130/2002 in combinato disposto con l'art. 13 del decreto  legislativo
n. 545/1992 sempre nella parte in cui  attribuisce  al  Consiglio  di
Presidenza della giustizia  tributaria  il  potere  di  applicare  ex
officio ad altro organo giudiziario il giudice tributario ogni  volta
in cui individui delle  sedi  in  cui  non  e'  possibile  assicurare
l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale,  ma  in  una   diversa
prospettiva di conflitto con i parametri costituzionali; 
        g) dell'art. 1-bis; dell'art. 8, comma 1; dell'art. 9,  comma
2 e comma 2-bis; dell'art. 11, comma 1  del  decreto  legislativo  n.
545/1992 cosi' come novellate  di  recente  dalla  ridetta  legge  n.
130/2002, nella parte in cui le anzidette norme assegnano ai  giudici
tributari onorari lo stabile e istituzionale  esercizio  di  funzioni
collegiali,  pur  nella   prevista   esistenza   di   un   magistrato
professionale a cio' destinabile. 
    Per ciascuno delle anzidette norme o coacervi di  norme  verranno
di  volta  in  volta  indicate  le  norme   parametro   della   Carta
costituzionale con cui ritiene che si instauri il contrasto. 
2) Sulla rilevanza delle questioni prospettate. 
    Prima di esporre gli argomenti  a  sostegno  della  ritenuta  non
manifesta   infondatezza   della    questione    di    illegittimita'
costituzionale a riguardo delle norme piu'  sopra  emarginate  (nella
versione attualmente vigente e nel contesto ordinamentale che risulta
dalle rilevanti  innovazioni  introdotte  dalla  legge  n.  130/2022)
questa Corte reputa necessario indagarne la rilevanza ai  fini  della
soluzione della presente controversia. 
    Ed invero, il fatto della recentissima entrata in vigore  di  una
legge di intenso riassetto dell'organizzazione giudiziaria tributaria
impone - ormai imprescindibilmente - che questa Corte  si  interroghi
anzitutto in ordine alla assicurata conservazione  delle  guarentigie
di autonomia ed indipendenza di ogni  singolo  componente  di  questo
organo giudicante (cosi' come di tutti gli altri di  cui  si  compone
l'ordinamento  giudiziario  tributario),  guarentigie  che  la  Carta
costituzionale  riferisce  non  solo  al  giudice  inquadrato   nella
organizzazione giudiziaria ordinaria ma - sia pure con la  mediazione
della legge ordinaria (art. 108 Cost.) -  anche  a  tutti  gli  altri
giudici inquadrati nelle giurisdizioni speciali, ed impone ancora che
questa Corte si interroghi circa la coerenza intrinseca  del  disegno
ordinamentale che ne risulta, nella prospettiva dei principi di  buon
andamento  e  di  imparzialita'  dell'amministrazione,  di  cui  pure
l'organizzazione giudiziaria tributaria partecipa nonche' - infine  -
che  si  interroghi  circa   la   ragionevolezza   di   una   vistosa
diseguaglianza di disciplina che caratterizza - pregiudicandoli - gli
appartenenti all'ordinamento  giudiziario  tributario  rispetto  agli
appartenenti agli altri ordinamenti giudiziari nazionali. 
    La persistenza di tali dubbi di contrarieta' a Costituzione delle
menzionate norme ordinarie appare a questa Corte del tutto  idonea  a
sottrarre  a  questa  Corte  medesima  quella  serenita'   che   deve
imprescindibilmente presiedere e preesistere all'atto del giudicare e
ne determina - fino al momento dello scioglimento di  tali  dubbi  da
parte del Giudice delle leggi - la paralisi della funzione decisoria,
non piu' libera di esprimersi  in  autonomia  perche'  viziata  dalla
consapevolezza della esistenza di norme che sono idonee  ad  incidere
sullo  status  dei  giudicanti  in   modo   tale   da   condizionarne
decisivamente l'imparzialita'. 
    Ed invero, questa Corte e'  consapevole  del  fatto  che  con  il
presupposto della «rilevanza» del dubbio di  costituzionalita'  nella
giurisprudenza costituzionale si e' inteso esprimere «il rapporto che
dovrebbe correre fra la soluzione della questione  e  la  definizione
del giudizio in corso» (Corte cost., sentenza n. 13/1965) ovvero  «il
nesso di pregiudizialita'  fra  la  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale e la decisione del caso concreto»  (Corte
cost. sentenza n. 77/1983) cosi' che - in sintesi - «l'applicabilita'
della disposizione al giudizio principale e' sufficiente  a  radicare
la rilevanza della questione,  che  non  postula  un  sindacato  piu'
incisivo  sul  concreto  pregiudizio   ai   principi   costituzionali
coinvolti» (Corte cost. sentenza n. 174/2016). 
    In questa prospettiva, il presupposto di cui si e'  detto  appare
senz'altro ricorrente nella vicenda in esame, atteso che nel processo
sottoposto all'esame di questa Corte risultano senz'altro influenti e
decisive - ai  fini  dell'esplicazione  della  funzione  decisoria  -
quelle norme che, pur non essendo  direttamente  applicabili  per  la
soluzione della controversia dedotta nel giudizio «a quo»,  attengono
allo status del giudice, alla sua composizione nonche', in  generale,
alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare. 
    Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza del giudice  delle
leggi  (tra  le  altre,  Corte  costituzionale,  n.  125/1977;  Corte
costituzionale,  n.  196/1982;  Corte  costituzionale,  n.  18/1989),
l'eventuale incostituzionalita'  di  tali  norme,  «e'  destinata  ad
influire su ciascun processo pendente davanti al  giudice  del  quale
regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri, cioe' la
"protezione" dell'esercizio della funzione, nella quale i  doveri  si
accompagnano ai diritti». 
    Ne' conta, sotto questo profilo, che si  tratti  di  magistratura
speciale, anziche' di  magistratura  ordinaria,  siccome  il  giudice
delle leggi ha in plurime occasioni chiarito (in specie  sentenza  n.
433 del 2000; sentenza n. 53 del 1970 e sentenza n. 108 del 1962) che
anche  a  riguardo  della  giurisdizione  tributaria  «il   principio
dell'indipendenza  degli  organi  giurisdizionali   ...   non   trova
fondamento nel richiamato art. 104 Cost. (relativo alla  magistratura
ordinaria nel suo complesso) ma nell'art. 101, comma  secondo,  Cost.
in connessione, quanto ai giudici speciali, con l'art. 108  Cost.»  e
che «Il giudizio di costituzionalita' volto ad accertare se una legge
applichi  puntualmente  tale   norma   costituzionale   deve   essere
circoscritto - non diversamente da quanto previsto per  i  componenti
le giurisdizioni speciali - ad accertare se la  disciplina  stabilita
prescriva almeno un minimo di requisiti che  rendano  ragionevole  la
presunzione   della   loro   corrispondenza   all'imperativo    della
Costituzione». 
    Non vi e' percio' perplessita' circa il fatto che le norme  della
cui  costituzionalita'  si  dubita  non  siano  solo  «astrattamente»
rilevanti ai  fini  della  soluzione  della  controversia  sottoposta
all'esame,  ma  siano  anche  «concretamente»  rilevanti  in   quella
prospettiva, perche' e'  appunto  dallo  scioglimento  del  dubbio  a
riguardo della loro conformita' a costituzione che deriva  lo  stesso
esito della lite, che potra' essere conforme a diritto solo in quanto
chi si appresta a giudicare si senta libero di  farlo  e  percio'  in
grado di esercitare il proprio dovere di «ius dicere». 
    Non  puo'  dunque  prescindersi,  nella  specie  di  causa,   dal
preliminare vaglio della costituzionalita' delle norme che sono state
piu'  sopra  indicate  e  che  condizionano  la  libera   espressione
dell'autonomia  di  giudizio  che  e'  fondamento  «immanente»  della
funzione di rendere giustizia. 
3) Sulla non manifesta infondatezza delle questioni proposte 
    Sara' doveroso effettuare un esame ripartito e specifico di  ogni
singolo dubbio di contrarieta' a costituzione. 
    3.1) L'effetto di accentuazione del rapporto  di  dipendenza  dei
giudici  tributari  dal  ministero  economia  e   finanze,   titolare
sostanziale dell'interesse  oggetto  delle  controversie  tributarie,
determinato dall'entrata in vigore della legge  novellatrice  n.  130
del   2022,   in   ingravescente    contrasto    con    i    principi
costituzionalmente garantiti dell'indipendenza  e  dell'imparzialita'
dei giudici rispetto all'assetto  normativo  preesistente,  che  gia'
appariva idoneo a pregiudicare la garanzia dei  ridetti  fondamentali
principi in materia di giurisdizione. 
    Si tratta, in specie dei principi dettati non solo dagli articoli
101; 104, 105 e 110 della Carta («I giudici  sono  soggetti  soltanto
alla legge»; «La  magistratura  costituisce  un  ordine  autonomo  ed
indipendente da ogni altro potere»; «Spettano al Consiglio  superiore
della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le
assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti,  le  promozioni  e  i
provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati»; «...spettano
al Ministro della giustizia l'organizzazione e il  funzionamento  dei
servizi relativi alla giustizia»), in combinato disposto  con  l'art.
108 della Carta («La legge assicura l'indipendenza dei giudici  delle
giurisdizioni speciali»), ma anche dell'art. 6,  paragrafo  1,  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto  1955,  n.  848  cosi'
come interpretato  ed  applicato  dalla  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU) in tema di «equo processo»,
norma - quest'ultima - che funge da  disciplina  interposta  ai  fini
della  valutazione  della  conformita'  a  Costituzione  della  legge
ordinarla nazionale, per effetto del rinvio contenuto  nell'art.  117
Cost. (in termini Corte costituzionale 24  ottobre  2007,  n.  348  e
Corte costituzionale 11 marzo 2011, n. 80). 
    In quest'ultima ottica, non puo' non menzionarsi  Corte  CEDU  10
gennaio 2012, Pohoskal v. Poland, secondo la quale l'indipendenza del
giudicante va valutata da  una  prospettiva  «obiettiva»,  alla  luce
della disciplina che ne prevede  le  modalita'  di  selezione  e  che
stabilisce le regole di protezione contro le pressioni  esterne;  nel
mentre l'imparzialita'  del  giudicante  medesimo  va  verificata  in
prospettiva «soggettiva» - quasi come  espressione  della  psicologia
individuale del giudicante - onde acclarare se (indipendentemente  da
una concreta sussistenza di pregiudizio) sia garantita al  giudicante
la consapevolezza dell'assenza di condizionamenti esterni. 
    Il coacervo di queste disposizioni  di  rango  costituzionale  ha
consentito al Giudice delle leggi di esprimere (sentenza n.  284  del
1986) quel principio  generalmente  applicabile  a  tutti  i  giudici
latamente intesi (della cui violazione qui appunto si dubita) secondo
il quale «L'indipendenza del giudice consiste nell'autonoma  potesta'
decisionale,  non  condizionata  da  interferenze   dirette,   ovvero
indirette provenienti dall'autorita' di Governo o da qualsiasi  altro
soggetto;  essa  concerne  non  solo  l'ordine  giudiziario  nel  suo
complesso (art. 104 Cost.) ma anche i singoli organi, ordinari  (art.
107) e speciali (art. 108), al fine  di  assicurare  che  l'attivita'
giurisdizionale, nelle varie articolazioni, come  la  sua  intrinseca
essenza esige, sia esercitata senza inammissibili influenze  esterne.
Anche se concettualmente distinta,  l'indipendenza  ha  ricorrenti  e
stretti legami con l'imparzialita', ...». 
    3.1.1) Orbene, l'art. 1 della  legge  n.  130/2022  (recentemente
emanata) ha previsto quanto di seguito: 
        «Al decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  545,  sono
apportate le seguenti modificazioni: 
          ...... 
          q) all'art. 24: 
          ..... 
dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti: 2-bis. Al fine di garantire
l'esercizio efficiente delle attribuzioni di cui al comma  2,  presso
il Consiglio di Presidenza e' istituito, con carattere di autonomia e
indipendenza,  l'Ufficio  ispettivo,  a  cui   sono   assegnati   sei
magistrati o giudici tributari, tra i quali e' nominato un direttore.
L'Ufficio ispettivo puo' svolgere, col supporto della Direzione della
giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze, attivita' presso
le  corti  di  giustizia  tributaria  di  primo  e   secondo   grado,
finalizzate alle verifiche di rispettiva competenza. 
        r) dopo l'art. 24 e' inserito il seguente: 
          «Art. 24-bis (Ufficio del massimario nazionale).  -  1.  E'
istituito  presso  il  Consiglio  di   Presidenza   della   giustizia
tributaria  l'Ufficio  del  massimario  nazionale,  al   quale   sono
assegnati un  direttore,  che  ne  e'  il  responsabile,  e  quindici
magistrati o giudici tributari. 
          ...... 
        6. L'Ufficio del massimario nazionale si avvale delle risorse
previste nel contingente di cui all'art. 32 e dei servizi informatici
del sistema informativo della fiscalita' del Ministero  dell'economia
e delle finanze». 
    Le anzidette norme vanno  ad  aggiungersi  alle  altre  che  gia'
implicavano siffatta dipendenza, cosi' da attribuire ora al  MEF  una
specifica e pervasiva competenza (sebbene di carattere strumentale ed
organizzativo) anche in materia di ispezioni negli uffici  giudiziari
e di massimazione e messa a disposizione degli operatori del  settore
giudiziario  delle  pronunce  di  merito  adottate  dalle  Corti   di
giustizia tributaria. 
    3.1.2) Le norme preesistenti alla novellazione  di  che  trattasi
sono - in specie -  gli art. 13 del decreto legislativo n.  545/1992,
l'art. 24; l'art. 32 e gli articoli da 36 a 43 del  predetto  decreto
legislativo che costituiscono il formante normativo che  consente  di
affermare che la Giurisdizione tributaria e' organicamente inquadrata
nell'apparato amministrativo del MEF ed in  specie  nella  «Direzione
centrale per gli affari giuridici e  per  il  contenzioso  tributario
presso il Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze». 
    La prima di dette norme attribuisce al Ministro delle finanze  la
funzione di determinazione del compenso fisso mensile e del  compenso
aggiuntivo (correlato al numero dei ricorsi  definiti)  spettante  ai
componenti delle corti di giustizia tributarie  di  primo  e  secondo
grado presenti nel ruolo unico di cui all'art. 4, comma 39-bis, della
legge 12 novembre 2011, n. 183. 
    Le altre  norme  dianzi  richiamate  attribuiscono  all'anzidetto
Ministro  -  anche  per  il  tramite  della  ridetta  «Direzione»   -
competenza in merito: 
        all'adeguamento e  l'ammodernamento  delle  strutture  e  dei
servizi, sentiti i presidenti delle corti di giustizia tributaria  di
primo e secondo grado, sulla  scorta  delle  proposte  formulate  dal
Consiglio di Presidenza della giustizia  tributaria  oltre  che  alla
redazione della relazione del Ministro delle finanze di cui  all'art.
29, comma 2, anche  in  ordine  alla  produttivita'  comparata  delle
commissioni, sulla scorta degli elementi predisposti dal Consiglio di
Presidenza della giustizia tributaria; 
        al servizio automatizzato per  la  gestione  delle  attivita'
degli uffici di segreteria delle corti  di  giustizia  tributaria  di
primo e secondo grado e del Consiglio di Presidenza  della  giustizia
tributaria  e  per  le  rilevazioni  statistiche  sull'andamento  dei
processi comprese la formazione e la tenuta dei ruoli, oltre  che  la
competenza ad emanare norme regolamentari  per  la  disciplina  delle
modalita' di gestione di tale servizio; 
        alla rilevazione  e  l'esame  delle  questioni  di  rilevante
interesse o  di  ricorrente  frequenza  nelle  controversie  pendenti
dinanzi alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo  grado,
e - contempo - alla formula e proposta al Ministro di  indirizzi  per
gli uffici  periferici  ai  fini  della  difesa  dell'amministrazione
finanziaria, in ordine alle questioni rilevate ed esaminate,  secondo
criteri di uniforme e corretta interpretazione della legge, oltre che
in materia di esame dell'attivita' di rappresentanza e  difesa  degli
uffici periferici dinanzi alle corti di giustizia tributaria di primo
e secondo grado, con conseguente facolta' di impartire  le  direttive
del caso per la loro organizzazione; 
        alla rilevazione  ed  esame  dei  motivi  per  i  quali  piu'
frequentemente i ricorsi avverso atti degli  uffici  periferici  sono
accolti dalle corti di giustizia tributaria di primo e secondo  grado
ai fini della successiva elaborazione delle direttive per gli  uffici
periferici e la formulazione delle conseguenti proposte  al  Ministro
oltre che per la formulazione delle proposte di modifiche legislative
ritenute necessarie; 
        alle  rilevazioni  statistiche  relative  alle   controversie
pendenti, ai ricorsi proposti ogni anno, alle varie fasi dei processi
in corso ed alla loro definizione, nonche' ai provvedimenti adottati; 
        alla  alimentazione  della  banca  dati   del   servizio   di
documentazione   tributaria   gestita   dal   sistema   centrale   di
elaborazione del  Ministero  delle  finanze  Ufficio  del  massimario
merce' la rilevazione, la classificazione e l'ordinamento in  massime
delle decisioni delle  corti  di  giustizia  tributaria  di  primo  e
secondo grado aventi sede nella medesima circoscrizione,  provvedendo
alle esigenze  del  persone  degli  appositi  uffici  del  massimario
nell'ambito del contingente di personale indicato nell'art. 10  della
legge 29 ottobre 1991, n. 358; 
        all'organizzazione di corsi di aggiornamento, d'intesa con la
scuola centrale tributaria per i componenti delle Corti di  giustizia
tributaria di primo e secondo grado  concernenti  la  disciplina  del
processo in relazione al sistema normativo  dei  singoli  tributi  ed
alle modificazioni sopravvenute; 
        alla nomina della Commissione (che a sua volta si avvale  dei
servizi  e  del  personale  della  Direzione  centrale  degli  affari
giuridici e del contenzioso del Ministero delle finanze) che provvede
alla formazione degli elenchi di cui ai commi 3 e 5 dello  stesso  43
finalizzati alla selezione dei giudici tributari di prima nomina. 
    A tutto cio' si aggiunge il fatto che l'art.  32  del  richiamato
decreto legislativo prevede espressamente  e  tassativamente  che  il
personale addetto agli uffici di segreteria delle Corti di  giustizia
tributaria di primo e secondo grado e'  composto  da  dipendenti  del
Ministero delle finanze  compresi  in  un  apposito  contingente  del
personale indicato nell'art. 10 della legge 29 ottobre 1991,  n.  358
ed inoltre prevede che il Ministro delle finanze, di concerto con  il
Ministro del tesoro, sia  competente  a  determinare  annualmente  le
variazioni da apportare alle dotazioni del contingente  in  relazione
alle variazioni del numero di sezioni e del flusso dei ricorsi presso
ogni corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado. 
    3.1.3)   Siffatte   intrusive   competenze   «strumentali»   sono
esercitate dall'amministrazione finanziaria in condizione  di  palese
conflitto di interessi che e' la legge stessa a determinare allorche'
attribuisce a detta Amministrazione funzioni propriamente strumentali
all'organizzazione  degli  uffici  giudiziari  e   -contempo-funzioni
strumentali alla migliore valorizzazione delle funzioni degli enti ed
uffici periferici che esercitano in  giudizio  (davanti  ai  medesimi
uffici giudiziari) i compiti di  difesa  delle  ragioni  dell'Erario,
come infatti  si  desume  da  molteplici  passaggi  delle  menzionate
disposizioni del capo quinto del decreto legislativo n. 545/1992:  si
veda, a puro titolo di esempio, l'art.  37  a  mente  del  quale  «la
direzione centrale per gli affari  giuridici  e  per  il  contenzioso
tributario presso il Dipartimento delle entrate del  Ministero  delle
finanze ... sentita quando occorre l'Avvocatura generale dello Stato,
in particolare quando si tratti di questioni sulle quali non  vi  sia
un univoco  orientamento  giurisprudenziale,  formula  e  propone  al
Ministro indirizzi per gli uffici periferici  ai  fini  della  difesa
dell'amministrazione finanziaria, in ordine alle  questioni  rilevate
ed esaminate, secondo criteri di uniforme e corretta  interpretazione
della legge», nonche' «esamina l'attivita' di rappresentanza e difesa
degli uffici periferici dinanzi alle corti di giustizia tributaria di
primo e secondo grado e, se necessario, impartisce le  direttive  del
caso per la loro organizzazione». 
    Un vero e proprio Giano bifronte che non e' da credere che  possa
- con la medesima capacita'  di  astrazione  dalla  cura  dei  propri
concreti  interessi  -  occuparsi  di  affari  con  detti   interessi
concettualmente confliggenti. 
    L'inquadramento  della  organizzazione   giudiziaria   tributaria
all'interno  di  un  apparato  che  della   medesima   organizzazione
giudiziaria - in concreto - si serve per  la  realizzazione  di  fini
suoi propri appare a questa  Corte  giudicante  istituzionalmente  in
conflitto con i principi di  autonomia  ed  indipendenza  che  devono
permeare non solo la sostanza della funzione giurisdizionale ma anche
la sua apparenza nei confronti  dei  consociati,  i  quali  hanno  il
diritto di non dover temere  che  il  giudice  innanzi  al  quale  si
presentano sia pregiudizialmente schierato  a  favore  di  una  delle
parti del processo. 
    Massimamente questo timore potrebbe palesarsi per il fatto che  -
come si e' detto - non vi e' autonomia  in  capo  agli  organi  della
giurisdizione tributaria neppure  nell'atto  in  cui  dispongono  del
personale  ausiliario,   essendo   quest'ultimo   funzionalmente   ed
amministrativamente   dipendente   (con    chiara    sottoordinazione
gerarchica, confermata dal fatto che il  disposto  dell'art.  15  del
decreto  legislativo  n.  545/1992  prevede  che  «Il  presidente  di
ciascuna corte di giustizia  tributaria  di  primo  e  secondo  grado
esercita la vigilanza ... sulla qualita' e l'efficienza  dei  servizi
di segreteria della propria commissione, al [solo] fine di segnalarne
le  risultanze  al   Dipartimento   delle   finanze   del   Ministero
dell'economia e delle finanze per  i  provvedimenti  di  competenza»)
proprio dell'amministrazione cui risale l'interesse concreto  che  si
agita  negli  atti  sottoposti  al  controllo  giurisdizionale,  solo
formalmente adottati dalle «Agenzie», la  cui  totale  cointeressenza
con l'amministrazione centrale e' tuttavia palesata dal fatto  che  i
vertici di quelle sono nominati proprio da quest'ultima. 
    Non e' chi non veda  -  d'altronde  -  che  (come  ebbe  modo  di
rilevare l'organo di autogoverno della giurisdizione tributaria nella
«Relazione per l'anno 2000)  "la  collocazione  del  personale  degli
uffici di segreteria  nell'amministrazione  finanziaria  finisce  per
determinare  condizionamenti,   anche   involontari,   comunque   non
corrispondenti   alla   funzione   di   garanzia   imparziale   della
giurisdizione e alla par condicio delle parti  nel  processo»,  tanto
che non e' infrequente il caso di chi in precedenza, come  dipendente
della  amministrazione  finanziaria,  si  sia  trovato   a   svolgere
attivita' accertativa, e si trovi poi (a seguito di assegnazione  per
trasferimento presso gli uffici giudiziari) a coadiuvare proprio quel
giudice a cui  e'  sottoposto  in  esame  il  frutto  della  predetta
attivita' accertativa. 
    Maggiormente la giurisdizione tributaria e' esposta a rischio  di
(almeno apparente) assenza di indipendenza ed autonomia  ora  che  le
segnalate novelle introdotte dalla legge n. 130 del 2022  riconoscono
alla Direzione della  giustizia  tributaria  del  Dipartimento  delle
finanze una pervasiva «funzione  di  supporto»  anche  nella  materia
delle  attivita'  ispettiva  che  dovrebbe   essere   esercitata   in
istituzionale autonomia da parte dell'organo di  autogoverno  proprio
per la relazione propedeutica che essa instaura con l'esercizio delle
funzioni disciplinari, materia peculiarmente  delicata  allorche'  si
affronti il tema qui in argomento, in una con  analoga  attivita'  di
supporto. 
    Tanto  piu'  che  un'analoga  funzione  di  supporto  (non   meno
pervasiva, per quanto in diverso ambito) e' riconosciuta in capo alla
ridetta Direzione financo ai fini delle attivita'  che  si  espletano
nell'Ufficio del massimario nazionale (in aggiunta  alla  persistente
funzione di organizzazione e supporto ai fini  dell'espletamento  dei
corsi di corsi di  aggiornamento  che  e'  riconosciuta  alla  Scuola
centrale tributaria a  mente  del  richiamato  art.  41  del  decreto
legislativo n. 545/1992, essa pure  incardinata  nell'Amministrazione
centrale di riferimento) cio' che induce giustificatamente  a  temere
che lo stesso sapere giurisprudenziale - sia nel  momento  della  sua
formazione che nel momento della sua raccolta  e  selezione  -  possa
essere  sottoposto  al   condizionamento   ab   externo,   con   fini
contrastanti con quelli della  garanzia  delle  pari  opportunita'  a
favore di ciascuna parte del processo. 
    Rischio che deve considerarsi addirittura accentuato per il fatto
che (proprio per effetto della disciplina novellatrice che ha  inteso
modificare  la  natura  del  rapporto  di  servizio  degli  assumendi
magistrati tributari, rispetto agli attualmente  incardinati  Giudici
tributari) tutti i futuri  i  componenti  delle  Corti  di  giustizia
finiranno per diventare (sia  pure  nel  lungo  periodo)  "lavoratori
dipendenti" in senso stretto dell'amministrazione (come si desume dal
novellato art. 9 del decreto legislativo n. 545/1992) ed anzi  legati
ad essa da un rapporto di dipendenza «esclusiva» (secondo  la  regola
della richiamata legge di Ordinamento giudiziario  ordinario),  cosi'
da perdere finanche quella parvenza di «terzieta'» che e' stata  fino
ad oggi assicurata dalla origine onoraria (e  quindi  non  esclusiva)
del rapporto di servizio, cio' che ha  sollecitato  fino  ad  oggi  -
nella percezione della pubblica opinione piu' avveduta - una parvenza
di «estraneita'» (quanto meno psichica) di ciascun giudice tributario
rispetto all'amministrazione nella quale la struttura e' incardinata. 
    In questo senso e'  invero  condivisibile  l'assunto  esposto  in
dottrina secondo cui «la professionalizzazione del giudice tributario
enfatizza  in  forma  esponenziale   la   rilevanza   del   requisito
dell'indipendenza», sotto questo profilo la  legge  novellatrice  «si
pone in antitesi rispetto a quel percorso  di  progressiva  revisione
della giustizia tributaria che parte da lontano e  che  con  graduali
passaggi  -  in  una  graduale  e  virtuosa  azione   congiunta   del
legislatore  e  della  Corte  costituzionale  -  ha   consentito   di
consacrarne  la   natura   giurisdizionale   e   la   conformita'   a
Costituzione». 
    Per altro verso, mentre  i  «magistrati  tributari»  risulteranno
essere   per   lo   meno   tutelati   sotto    il    profilo    della
eterodeterminazione con  fonte  normativa  primaria  del  trattamento
economico che ad essi spetta (art. 13-bis del decreto legislativo  n.
545/1992 come ex novo introdotto dalla legge  n.  130/2022),  permane
invece nei confronti dei giudici tributari attualmente in servizio (e
che in servizio resteranno per un periodo transitorio  inusitatamente
lungo: si stima che solo  a  partire  dall'anno  2052  resteranno  in
servizio esclusivamente magistrati tributari e non piu'  giudici)  la
per  molti  versi  inaccettabile  modalita'  di  determinazione   del
«composito» trattamento economico spettante a questi ultimi (tutt'ora
apparentato al sistema retributivo del «cottimo  puro»)  a  mezzo  di
fonte  normativa  di  origine  propriamente  amministrativa  (decreto
ministeriale), senza che il legislatore abbia inteso almeno munire di
criteri di indirizzo generale l'esercizio  della  potesta'  delegata,
percio' rimessa al vero e proprio arbitrio del Ministro di  tempo  in
tempo nominato. 
    Per  non  dire  del  fatto  che  finanche  il   controllo   della
liquidazione della parte variabile del compenso e'  istituzionalmente
impedita al giudice tributario, siccome la dianzi richiamata norma ne
assegna la funzione alla «direzione regionale delle entrate nella cui
circoscrizione ha sede la Corte tributaria  di  appartenenza»,  senza
neanche prevedere che al giudice  tributario  competa  l'omologo  del
diritto alla ricezione della «busta paga» che invece compete ex  lege
a tutti i lavoratori di qualunque  genere  e  specie,  e  cio'  rende
addirittura «cieco» l'arbitrio  che  l'amministrazione  centrale  ha,
merce' l'astratta facolta' di  esercitare  provvedimenti  premiali  o
lesivi nei confronti di chi giudica  la  conformita'  a  diritto  dei
provvedimenti  che   alla   ridetta   amministrazione   concretamente
interessano (sia pure per il tramite  dell'adozione  da  parte  degli
enti che all'amministrazione medesima fanno riferimento). 
    Non sembra infondato quindi ritenere che un siffatto «sistema»  -
trasversale a tutto l'impianto del  testo  normativo  che  disciplina
l'organizzazione giudiziaria tributaria - determini lesione proprio a
cio' che codesta ill.ma Corte costituzionale ha ritenuto  essere  «il
requisito essenziale posto dalla Costituzione a  presidio  del  retto
esercizio della  funzione  giurisdizionale»  e  cioe'  «quello  della
indipendenza del giudice, la cui  attivita'  deve  essere  immune  da
vincoli  che  possano  comportare  la  sua   soggezione   formale   o
sostanziale ad  altri  organi,  e  deve  altresi'  essere  libera  da
prevenzioni, timori, influenze, che  possano  indurre  il  giudice  a
decidere in modo diverso da quanto a lui dettano scienza e coscienza»
(sentenza n. 128 del 1974). 
    3.1.4) Detto  quanto  precede  a  riguardo  della  non  manifesta
infondatezza dei dubbi che questa Corte esprime circa la legittimita'
del coacervo delle norme indicate sub a) della premessa, e'  doveroso
che questa Corte remittente esprima  anche  una  propria  opinione  a
riguardo della ammissibilita' del dubbio di  costituzionalita'  negli
esatti termini in cui esso e' stato proposto. 
    Infatti, questa Corte remittente non ignora  che  codesta  ill.ma
Corte costituzionale - con l'ordinanza n. 227 del 20 ottobre  2016  -
ha  dichiarato  la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' di alcune (insieme ad altre) delle norme qui  censurate,
sollevate con riferimento agli analoghi parametri  qui  indicati,  da
parte della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia,  con
ordinanza del 23 settembre 2014. 
    In quella specie il  Giudice  delle  leggi  ha  ritenuto  che  il
rimettente avesse invocato «plurimi interventi additivi,  diretti  da
un  lato  a   delineare   un   nuovo   assetto   dell'ordinamento   e
dell'organizzazione della giustizia tributaria, e dall'altro lato  ad
aggiungere una nuova causa di,  astensione  del  giudice  tributario,
fondata sul difetto della  sua  apparente  indipendenza  per  ragioni
ordinamentali,  o  comunque  a   prefigurare   un   analogo   rimedio
processuale»; ha ritenuto inoltre  che  «in  relazione  al  censurato
inquadramento del  personale  delle  segreterie  nell'amministrazione
finanziaria, il giudice a quo» avesse omesso «del tutto  di  indicare
la direzione e i contenuti dell'intervento correttivo richiesto,  tra
i molteplici astrattamente ipotizzabili», ed altre omissioni che  qui
non e' utile richiamare per extenso, sicche' ha concluso «che  queste
omissioni comportano l'indeterminatezza e l'ambiguita' dei petita,  e
di conseguenza, secondo la  costante  giurisprudenza  costituzionale,
l'inammissibilita' delle questioni», anche alla luce  del  fatto  che
«l'eterogeneita' delle disposizioni contestate non e'  superata  -  e
anzi e' accentuata - dal fatto che le  questioni  sono  genericamente
poste "in correlazione" o "in rapporto" con altre norme di  variegato
contenuto,  talune  di  natura  regolamentare,  o  con  interi  testi
legislativi, in  difetto  di  qualsiasi  argomento  che  consenta  di
collegare le singole norme evocate ai predetti parametri». 
    Per altro verso, l'ill.mo Giudice delle  leggi  ha  ritenuto  che
«interventi di questo tipo - manipolativi di sistema - sono in  linea
di principio estranei alla giustizia costituzionale, poiche' eccedono
i poteri di intervento della Corte, implicando scelte  affidate  alla
discrezionalia' del legislatore». 
    Tutto cio' atteso, questa Corte  intende  espressamente  chiarire
che con la presente ordinanza di rimessione non si  e'  inteso  certo
invocare un intervento di riscrittura o di novellazione di  tutte  le
norme che sono state censurate come coacervo sub a) della «premessa»,
ovvero anche di quelle altre che  sono  state  richiamate  nel  corpo
della motivazione della questione. 
    Si  e'  inteso  invece  evidenziare  come,  per  effetto  di  una
molteplicita' di disposizioni  normative  (tra  cui  quelle  indicate
appaiono solo quelle «di maggior rilievo ed evidenza»)  l'affidamento
proprio al Ministero dell'economia e delle  finanze  dei  compiti  di
supporto  e  di  organizzazione  personale  e  strumentale   riguardo
dell'ordinamento  giudiziario  tributario  ed  il  vero   e   proprio
inquadramento  organico  nel  ridetto  plesso  amministrativo   della
categoria del «personale giudicante» (sia onorario che di carriera) a
detto ordinamento giudiziario assegnato creino un vulnus insanabile e
persistente  (anche  oltre  il  termine   del   lunghissimo   periodo
transitorio che e' stato delineato con la  legge  n.  130/2022)  alle
guarentigie  di  autonomia  ed  indipendenza  che  costituiscono   il
necessario «prius» della funzione giudicante. 
    E  percio'   questa   Corte,   fuor   da   ogni   ambiguita'   ed
indeterminatezza, si rivolge all'eccellentissima Corte, in  indirizzo
al solo fine di chiedere che essa  -ove  ritenga  non  manifestamente
infondati  i  dubbi  di   legittimita'   nella   presente   ordinanza
prospettati in riferimento alle norme della  Carta  che  declinano  i
principi di indipendenza ed autonomia delle magistrature  speciali  -
dichiari illegittime le norme censurate (e tutte le  altre  che  sono
rette dalla stessa premessa logica e metodologica) nella parte in cui
implicano che la  giurisdizione  tributaria  sia  amministrativamente
inquadrata nel Ministero delle finanze, anziche' nel Ministero  della
giustizia che ne e' il naturale «destinatario», secondo la  esplicita
previsione dell'art. 110 della Carta, a mente del quale  non  possono
che spettare al Ministero della  giustizia  tutte  le  competenze  in
materia di organizzazione e il  funzionamento  dei  servizi  relativi
alla  giustizia  (qualunque  ne  sia  la  materia   sottoposta   alla
competenza del giudice ed indipendentemente dal fatto che  si  tratti
di giurisdizione ordinaria o di giurisdizione speciale) salvo che non
sussista  deroga  esplicita  a  detta  regola  nella   stessa   Carta
costituzionale. 
    Questa la reciproca ed intima connessione che collega tra loro le
norme che sono state qui censurate  e  che  sono  tutte  emblema  del
perpetrato vulnus normativo ai principi di autonomia ed  indipendenza
della  giurisdizione,  merce'  l'identificazione   di   un   apparato
amministrativo  di  riferimento  che  versa  in  patente  ed   intimo
conflitto di interessi nell'atto in cui appetisce alla definizione in
termini a se' favorevoli delle liti che  davanti  alla  giurisdizione
tributaria sono chiamate, per  quanto  non  ne  sia  parte  in  senso
formale. 
    Ogni altra ipotizzabile modifica non e' chiesta  ne'  prospettata
come necessaria, essendo proprio ed esclusivamente la questione della
appartenenza allo specifico plesso di  amministrazione  centrale  del
rapporto di servizio che pertiene ai  singoli  magistrati  o  giudici
tributari il nucleo della qui prospettata questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    3.1.5) Per altro verso -per  quanto  attiene  alla  valenza,  che
potrebbe considerarsi «manipolativa implicando scelte  affidate  alla
discrezionalita' del legislatore», dell'intervento qui  richiesto  al
giudice delle leggi - questa Corte remittente osserva che in  realta'
nell'intervento richiesto non  vi  e'  nulla  che  lasci  pensare  ad
esubero  rispetto  ai  compiti  tipici  del  Giudice   delle   leggi,
consistenti nell'accertare la nullita' di una o plurime  disposizioni
di leggi che siano lesive dei principi costituzionalmente  garantiti,
ad esse sostituendo - come gia' in tante occasione il  Giudice  delle
leggi ha fatto - la regola che  promana  gia'  «ope  constitutionis»,
regola  che  e'  appunto  rinvenibile  -  nella  specie  di  causa  -
nell'identificazione   del   plesso   amministrativo   «naturalmente»
designato dalla Carta per l'assolvimento del compito di che trattasi,
e cioe' il  Ministero  della  giustizia,  in  ossequio  all'esplicita
indicazione contenuta nell'art. 110 Cost. 
    Se poi dovesse  essere  altro  il  timore  che  la  ecc.ma  Corte
costituzionale  nutre,  a  riguardo  di  possibili  pregiudizi   alla
funzionalita' del sistema complessivo,  anche  a  causa  dell'effetto
radicalmente   ablatorio    delle    pronunce    di    illegittimita'
costituzionale, rammentiamo a noi stessi quali sono  i  piu'  recenti
approdi  della  giurisprudenza  costituzionale   (da   ultimo   Corte
costituzionale n. 41/2021) a riguardo  dell'eventuale  scissione  tra
accertamento dell'incompatibilita' della normativa impugnata  con  la
Costituzione e caducazione della norma stessa, con  differimento  nel
tempo     del     momento     di     produzione     degli     effetti
dell'incostituzionalita'. E cio' fino al punto da fissare un  termine
- posposto - di vigenza della normativa impugnata a  un  dies  futuro
stabilito dalla stessa Corte in via  del  tutto  discrezionale,  onde
consentire al  legislatore  di  intervenire  -  nelle  more  -  e  di
disciplinare nel dettaglio i contorni della nuova  realta'  normativa
costituzionalmente imposta. 
    Anche altre tecniche decisorie analoghe e meno intrusive rispetto
a quella dianzi delineata consentirebbero  comunque  di  ottenere  il
risultato che qui si prefigura, ma non e' certo compito  del  giudice
remittente quello di illustrare e proporre le modalita' con le  quali
l'ecc. Corte adita potrebbe voler assolvere alla propria funzione. 
    3.2) Lesione dei principi di cui agli  articoli  48,  104,  primo
comma, e 107 e 108 Cost. per effetto del realizzato squilibrio (nella
fase  transitoria  di  applicazione  della  legge  n.  130/2022)  del
rapporto proporzionale tra elettorato attivo ed  elettorato  passivo,
con riserva di  posti  a  favore  di  alcune  categorie  soltanto  di
componenti dell'organico della giurisdizione tributaria. 
    L'art. 8, comma 5 della legge n. 13/2022 prevede come di seguito: 
        «In sede di prima applicazione della presente legge, ai  fini
della sua  migliore  implementazione,  entro  sessanta  giorni  dalla
pubblicazione della graduatoria di cui  all'art.  1,  comma  7,  sono
indette le  elezioni  per  la  scelta  della  componente  togata  del
Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria. Nell'ambito della
componente  togata  deve  essere  assicurata,  in   ogni   caso,   la
rappresentanza  in  Consiglio  di  almeno  un  magistrato  tributario
proveniente   dalla   magistratura   ordinaria,   uno    da    quella
amministrativa, uno da quella contabile e uno da quella militare, fra
coloro che sono utilmente collocati nella graduatoria di cui all'art.
1, comma 7. Ai fini di cui al periodo precedente, il rispettivo corpo
elettorale  e'  formato  dai  magistrati  tributari  e  dai   giudici
tributari provenienti dalla corrispondente magistratura. Fermo quanto
previsto nei periodi precedenti,  sono  eleggibili  nella  componente
togata i soli giudici tributari e magistrati  tributari  che  possano
ultimare la consiliatura prima del collocamento a riposo». 
    La predetta  norma  e'  di  difficile  intelligenza  non  solo  a
riguardo  della  sua  efficacia  nel  tempo  e  della  sua   concreta
operativita', ma  soprattutto  a  riguardo  degli  obiettivi  che  il
legislatore si ripromette di  conseguire  attraverso  una  disciplina
cosi' inusitata e contorta. 
    3.2.1) Quanto al primo aspetto della indicata questione, parrebbe
di intendere dalla collocazione della norma nel contesto dell'art. 8,
intitolato alle «Disposizioni transitorie e finali» oltre che dal suo
incipit («In sede di prima applicazione della presente legge») che il
legislatore  abbia  inteso  dettare  una  disciplina   di   carattere
eccezionale  e  derogatorio  rispetto   all'art.   17   del   decreto
legislativo n. 545/1992, riferita alla sola ed unica consiliatura che
iniziera' dopo l'entrata in vigore della ridetta legge n. 130/2022  -
cosi'  alterando  il  rispetto  della  cadenze   cronologiche   delle
consiliature correnti in modo che quella attuale venga a cessare solo
al momento dell'espletamento delle prime elezioni dopo  l'entrata  in
vigore della legge, da indirsi, per la scelta della componente togata
del  Consiglio  di  Presidenza  della  giustizia  tributaria,  «entro
sessanta giorni dalla pubblicazione della graduatoria di cui all'art.
1, comma 7, ...» - in modo che poi dalla consiliatura  successiva  si
debba ritornare alla applicazione della disciplina ordinaria prevista
dal ridetto art. 17. 
    Se questa e' - come  appare  ragionevole  supporre-  la  corretta
interpretazione da attribuirsi alla  anzidetta  disposizione,  questa
Corte non puo' non significare che il primo elemento di  incongruenza
che si rileva e' proprio quello della correlazione tra le due  dianzi
menzionate disposizioni, atteso che comma  2  dell'art.  17  tutt'ora
prevede che  «Il  Consiglio  di  Presidenza  e'  composto  da  undici
componenti eletti dai giudici tributari ...», e  percio'  sembrerebbe
escludere  dall'elettorato  attivo  (almeno   per   le   consiliature
successive alla prima successiva all'entrata in vigore della legge n.
30/2022)  i  magistrati  tributari,  finendo  con   il   configurarsi
anch'essa come una «norma transitoria», e cioe' applicabile solo fino
a che ci saranno giudici tributari a comporre l'ordine giudiziario di
che trattasi, con il conseguente conflitto tra  due  disposizioni  di
genere sostanzialmente transitorio e con il  conseguente  difetto  di
una disciplina  «a  regime»,  pensata  percio'  per  l'epoca  in  cui
l'ordine giudiziario tributario sara'  composto  da  soli  magistrati
tributari. 
    Ma non meno incongruente (sia pure rispetto  alla  previsione  di
altra norma) e' il fatto che il trascritto comma 8 preveda che «Fermo
quanto  previsto  nei  periodi  precedenti,  sono  eleggibili   nella
componente togata i soli giudici tributari e magistrati tributari che
possano ultimare la consiliatura prima del  collocamento  a  riposo»,
mentre l'art. 18 del  decreto  legislativo  n.  545/1992  continua  a
prevedere che «I componenti del  Consiglio  di  Presidenza,  che  nel
corso del quadriennio cessano per qualsiasi causa di farne  parte  o,
se eletti in qualita' di giudice, conseguono la nomina a  presidente,
sono sostituiti per il restante periodo dal primo dei non  eletti  di
corrispondente qualifica». 
    Sicche', per conservare coerenza astratta e compatibilita' tra le
due disposizioni occorre ritornare a supporre che la  prima  di  esse
due sia a sua volta una norma di carattere eccezionale e derogatorio,
cio' che implica che solo per la prima delle consiliature  successive
all'entrata in vigore della legge n. 130/2022  il  legislatore  abbia
imposto che siano elegibili i soli componenti dell'ordine giudiziario
tributario  che  «possano  ultimare   la   consiliatura   prima   del
collocamento a  riposo»,  e  che  anzi  cio'  abbia  intenzionalmente
imposto proprio al fine di impedire  che  l'effetto  di  sostituzione
automatica previsto dalla norma sia  idoneo  ad  alterare  la  voluta
composizione «bloccata» del  Consiglio  per  tutta  la  durata  della
consiliatura. 
    Senonche', questa possibile interpretazione di genere teleologico
contiene in se' i germi dell'imperfetta realizzazione della  supposta
intenzione del legislatore,  proprio  perche'  la  norma  «ordinaria»
dell'art. 18 non e' stata dettata per disciplinare solo l'ipotesi  di
cessazione dal servizio per raggiunti limiti di  eta'  bensi'  invece
qualsivoglia ipotesi di cessazione dal servizio e finanche  l'ipotesi
di tramutamento (per promozione) delle funzioni di giudice  ricoperte
al   momento   dell'elezione,   sicche'   la   semplice   limitazione
dell'elettorato attivo in ragione del dato anagrafico non pare idonea
a tenere indenne in termini  assoluti  la  prima  consiliatura  dalla
alterazione di quella aprioristica  riserva  di  seggi  a  favore  di
specifiche categorie di componenti  dell'ordine  giudiziario  che  il
legislatore ha ritenuto di imporre. 
    Cio' detto a riguardo delle piu' evidenti  discrasie  determinate
dalla nuova disposizione,  e'  anche  necessario  lumeggiare  che  la
ridetta disciplina implica una restrizione non  solo  dell'elettorato
passivo (perche'  nessun  altro  componente  dell'ordine  giudiziario
tributario puo' aspirare ad essere eletto a quattro  tra  gli  undici
posti di componente «togata»  del  CPGT,  riservati  alle  specifiche
categorie  di  cui  oltre  si  dira')  ma   anche   una   restrizione
dell'elettorato attivo (perche' per i quattro seggi dianzi  detti  e'
espressamente previsto che «il rispettivo corpo elettorale e' formato
dai magistrati tributari e dai giudici  tributari  provenienti  dalla
corrispondente magistratura»). 
    Orbene,  l'alterazione  della  regola   «democratica»   ordinaria
secondo cui elettorato attivo ed elettorato passivo competono a tutti
i componenti della categoria di cui e' esponente l'ente eligendo  che
si trovino in posizioni omogenee (come e' sicuramente  predicabile  a
riguardo di tutti i componenti  dell'ordine  giudiziario  tributario)
non e' soltanto contrastante con le norme di rango costituzionale  di
cui piu' oltre si dira', ma  e'  anche  contrastante  con  la  logica
comune, almeno per la specifica condizione  storica  nella  quale  la
norma (eccezionale e derogatoria) e' chiamata ad operare. 
    Si tratta infatti di una  elezione  che  riguarderebbe  un  corpo
elettorale passivo assai esiguo: i componenti dell'ordine giudiziario
«utilmente collocati nella graduatoria di cui all'art.  1,  comma  7»
che e' riservata a «I magistrati ordinari, amministrativi,  contabili
o militari, non  collocati  in  quiescenza,  presenti  alla  data  di
entrata in vigore  della  presente  legge  nel  ruolo  unico  di  cui
all'art. 4, comma 39 -bis, della legge 12 novembre  2011,  n.  183  e
collocati nello stesso ruolo da almeno cinque  anni  precedenti  tale
data» purche' non abbiano compiuto i sessanta anni di eta' alla  data
di scadenza del termine per l'invio della domanda di partecipazione e
non  abbiano  ricevuto  nel  quinquennio  antecedente  alla  data  di
pubblicazione dell'interpello il giudizio di demerito di cui all'art.
11, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.  545,  come
modificato dal comma 1 del presente  articolo  (come  si  evince  dal
combinato disposto dei commi 4 e 6 del ridetto art. 1 della legge  n.
130/2022). 
    D'altronde, i requisiti di partecipazione all'anzidetto  concorso
sono cosi' rigorosi (specie per cio' che concerne l'ultimo,  relativo
al  «giudizio  di  demerito»,  di  cui  anche  in  seguito  si  dira'
specificamente) che e' da supporre che di collocati  utilmente  nella
ridetta graduatoria ce ne saranno ben  pochi,  specie  per  cio'  che
concerne  le  categorie  dei  giudici  tributari  provenienti   dalle
giurisdizioni speciali  i  quali  sono  notoriamente  in  percentuale
ridottissima tra i circa 2.600 giudici tributari oggi residui. 
    Per  non   parlare   poi   della   scarsa   appetibilita'   della
partecipazione al ridetto concorso da parte dei potenziali candidati,
alla luce delle oggettive asperita' ed  incertezze  che  il  transito
finira' per portare con se' e che qui non e' il caso (per ragioni  di
necessaria sintesi) di lumeggiare. 
    E' percio' agevole  supporre  che  il  corpo  elettorale  passivo
idoneo a concorrere per l'elezione della consiliatura di che trattasi
possa essere addirittura di valore nullo (almeno per  qualcuna  delle
categorie a cui e' riservato uno dei quattro seggi in considerazione)
o tutt'al piu' che  la  selezione  si  rivolga  verso  un  numero  di
canditati non maggiore dei seggi che sono per legge riservati. 
    In conclusione si puo' dire che la riserva di posti e' stata  dal
legislatore  pensata  e  voluta  in  riferimento  ad  una  platea  di
candidabili di  cui  il  legislatore  stesso  ignorava  la  effettiva
esistenza e consistenza ed a riguardo della  quale  avrebbe  comunque
dovuto dubitare che l'esiguita' del numero  dei  candidabili  avrebbe
messo a dura prova la stessa «trasparenza» della vicenda elettorale. 
    Detta prospettabile eventualita' di concreta carenza di candidati
avrebbe in definitiva l'effetto di bloccare  «sine  die»  il  rinnovo
della  consiliatura,   finendo   per   «stabilizzare»   gli   attuali
componenti,  alla  stregua  di  un  rapporto  di   lavoro   a   tempo
indeterminato, sicche' se  -  per  celia  -  si  volesse  trovare  un
potenziale lobbysta di siffatta  disposizione  normativa  e'  proprio
all'interno dell'attuale consiliatura che andrebbe ricercato 
    3.2.2) Dopo aver premesso alcune delle piu' patenti  incongruenze
(in punto di efficacia nel tempo e di concreta  operativita')  a  cui
rischia di dare  luogo  la  disciplina  «transitoria»  ora  in  esame
occorre sinteticamente affrontare il profilo della questione relativo
agli obiettivi che e' possibile supporre  che  il  legislatore  abbia
voluto realizzare per il tramite di essa. 
    Ben vero, una riserva di seggi a favore di una sparuta  minoranza
di candidabili nel contesto di una vasta categoria  di  omogenei,  in
combinazione con una  riduzione  dell'elettorato  attivo  riferito  a
detti seggi, sezionato  per  settori  resi  omogenei  dalla  medesima
origine professionale (le categoria  magistratuali  di  provenienza),
non puo' costituire soltanto un inaccettabile privilegio  «di  censo»
(magari  finalizzato  anche  ad   incentivare   l'appetibilita'   del
transito, nella prospettiva  di  acquisire  un  agevole  «status»  di
facile eleggibilita' e con la sicura certezza  di  poter  operare  un
agevole transito a ritroso una volta terminata la consiliatura, cosi'
come consente la preclara disposizione  dell'art.  1  comma  9  della
legge n. 130/2022), perche' cio' tradirebbe un  disequilibrio  troppo
smaccato. 
    E percio', la piu' probabile ragionevole intenzione che  consenta
di superare l'impressione di un esercizio propriamente arbitrario del
potere legislativo e' che in tal modo si sia  voluto  «riequilibrare»
la enorme sproporzione numerica che nell'ordine giudiziario verra'  a
crearsi tra quanti sono appartenenti alla «categoria» dei  giudici  e
quanti sono appartenenti alla «categoria» dei magistrati,  tanto  che
poi di detto riequilibrio si e' pensato di bloccare  l'effetto  anche
nel corso della consiliatura (nei termini  gia'  dianzi  illustrati),
cosi' accentuandosi pero' quel «dualismo» di cui si  dira'  in  altro
capitolo della presente ordinanza. 
    I motivi che possono avere indotto ad un siffatto  «riequilibrio»
non possono che risiedere in un «sospetto», e cioe' il  sospetto  che
un organo  di  autogoverno  inevitabilmente  espressione  totalitaria
della componete maggioritaria del corpo  elettorale  (e  cioe'  della
«categoria» dei giudici tributari) non  sarebbe  stato  dotato  della
obiettivita' necessaria per dare equanime attuazione delle  norme  di
legge  nel  corso  del  (disagiato)  periodo  di  applicazione  della
disciplina transitoria. 
    Nondimeno, anche questa piu' ottimistica  rilettura  della  ratio
legislatoris non manca di stendere un'ombra funesta sulla non  facile
convivenza  che  nel  periodo  retto  dalla   menzionata   disciplina
transitoria sara' da praticarsi nel rapporto  tra  le  due  anzidette
«categorie» di componenti dell'ordine giudiziario tributario. 
    3.2.3) Con il preludio di questa  pesante  zavorra  e'  possibile
venire - infine - alla identificazione dei  parametri  costituzionali
con cui a questa Corte remittente sembra che confligga la  disciplina
recata dall'art. 8, comma 5 della legge n. 13/2022, compito  che  non
sarebbe stato possibile assolvere convenientemente se non  alla  luce
di quanto si e' detto in precedenza a riguardo delle incongruenze  di
cui la disciplina stessa e' gravida. 
    In termini occorre muovere dalla premessa che -mutuando da  Corte
costituzionale n. 44 del 1968 e da Corte costituzionale  n.  142  del
1973 - al Consiglio di Presidenza della  giustizia  tributaria,  come
organo di autogoverno di tale magistratura speciale, deve  intendersi
affidato - sia pure  in  assenza  di  una  guarentigia  espressamente
prevista dalla Carta costituzionale - il compito (garantito dall'art.
108  Cost.)  di  rendere  effettiva  l'autonomia  della  magistratura
tributaria, cosi' da collocarla nella posizione di  «ordine  autonomo
ed indipendente da ogni altro potere», e  conseguentemente  sottrarla
ad interventi o influenze esterni, suscettibili di turbarne  comunque
l'imparzialita'  e  di  compromettere  l'applicazione  del  principio
consacrato nell'art. 101, secondo cui i giudici  sono  soggetti  solo
alla legge. Gli e' percio' estraneo il profilo  della  rappresentanza
degli  interessi  «di  categoria»  e  men  che  meno   quello   della
composizione dei conflitti all'interno della categoria. 
    Vi e'  allora  da  considerare  che  -se  realmente  (per  quanto
ottimisticamente) deve supporsi che la riserva di posti  in  seno  al
primo Consiglio post-riforma e' dettata dalla finalita' di consentire
a ciascuno degli eletti ai posti espressamente  riservati  di  meglio
tutelare, nel corso della intera consiliatura,  gli  interessi  della
sua «sottocategoria sezionale» di  provenienza  -  detti  eletti  non
possono che essere considerati rappresentativi  di  quegli  interessi
soltanto e percio' dei soli componenti dell'ordine giudiziale che  ne
sono portatori e non gia' dell'intero corpo elettorale. 
    Senonche', pare a questa Corte che pur non potendosi escludere la
legittimita' costituzionale di una  rappresentativita'  differenziata
riferita a componenti di un organo collegiale di  autogoverno  di  un
unico ordine, cio' possa avvenire (specie se si tratti di  un  ordine
di  rilevanza  costituzionale,  per  quanto  dalla  costituzione  non
direttamente disciplinato, ed a maggior ragione perche' ai magistrati
tributari di nuova assunzione si applicheranno  le  stesse  norme  di
ordinamento giudiziario che valgono per i  magistrati  ordinari,  con
innegabile  apparentamento  di  disciplina)  a  condizione  che  tale
rappresentativita' differenziata  sia  razionalmente  correlata  alla
specificita' delle distinzioni (di  funzioni  o  di  status)  interne
all'ordine e percio' origini dalla necessita' di dare voce  non  gia'
ad interessi settoriali ma a  specifici  caratteri  funzionali  delle
differenziate componenti dell'ordine medesimo. 
    Alle stesse conclusioni  -  mutatis  mutandis  -  risulta  essere
pervenuto il giudice delle leggi  nella  sentenza  n.  168  del  1963
allorche' (dopo avere disconosciuto la  necessita'  che  a  tutte  le
categorie di magistrati sia attribuita, nella composizione  del  CSM,
una  rappresentanza   proporzionale   alla   rispettiva   consistenza
numerica, e dopo avere dichiarato percio' legittima l'attribuzione di
una  rappresentanza  numerica  piu'  elevata  per  la  categoria  dei
magistrati di cassazione, avendo riguardo, non tanto al numero  degli
appartenenti alle varie categorie, quanto alla  loro  qualificazione)
ha ritenuto che sia consentito al legislatore ordinario -  in  questa
prospettiva  ordinamentale  «disciplinare   diversamente   situazioni
differenziate, quando  trovino  logica  giustificazione,  come  nella
specie, in relazione alle esigenze del  funzionamento  del  Consiglio
superiore, nella maggiore esperienza e prestigio  dei  magistrati  di
cassazione». 
    Nella stessa pronuncia dianzi citata il Giudice  delle  leggi  ha
anche escluso l'illegittimita'  costituzionale  della  ivi  censurata
norma dell'art. 23, comma  terzo  della  legge  istitutiva  del  CSM,
relativamente  alla  distinzione  da  essa  prevista  fra  le   varie
categorie dei magistrati per cio' che riguarda  l'elettorato  attivo,
distinzione che quindi e' stata  ritenuta  non  lesiva  del  generale
precetto  dell'eguaglianza  del  voto  sancito  dall'art.  48   della
Costituzione e dei principi che si desumono dagli articoli 104, 105 e
107 (secondo  i  quali,  nel  Consiglio  superiore,  la  Magistratura
dovrebbe essere rappresentata con carattere unitario ed  omogeneo,  e
non gia' in relazione alle singole categorie dei magistrati)  appunto
perche' con la ridetta disposizione il legislatore si e' limitato  ad
adottare - per quanto attiene  alla  modalita'  dell'elezione  -  «il
sistema  della  votazione  per  categorie,  in   corrispondenza   con
l'eleggibilita', pure per categorie, stabilita dallo stesso art.  104
della Costituzione, cio' che non impedisce  che  i  magistrati  siano
posti in grado di esprimere il voto in condizioni di perfetta parita'
fra loro; e, rispetto all'eletto, con pari efficacia». 
    In  tal  modo,  infatti,  «la  composizione   dell'organo   resta
omogenea, nel senso che i componenti, pur  provenienti  da  categorie
differenziate, si trovano tutti in posizione  giuridica,  sotto  ogni
aspetto, parificata». 
    Ed  ancor  piu'  hanno  valenza  ai  fini  che  qui  rilevano  le
considerazioni contenute nella pronuncia del Giudice delle  leggi  n.
87  del  1982  (con  cui   e'   stata   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 23, secondo comma,  della  legge  istitutiva
del CSM, nella  parte  in  cui  prevede  che  i  posti  riservati  ai
magistrati di cassazione possano essere assegnati  a  magistrati  che
abbiano conseguito la rispettiva nomina, ancorche' non esercitino  le
rispettive funzioni ), nella quale e' detto che «La  circostanza  che
il Consiglio sia stato  concepito  a  garanzia  dell'indipendenza  di
tutta la magistratura, senza che i suoi componenti magistrati possano
considerarsi come veri e propri  rappresentanti  delle  categorie  di
appartenenza, non toglie infatti che  le  deliberazioni  spettanti  a
tale collegio riguardino in  molteplici  occasioni-caratteristiche  e
situazioni proprie delle singole partizioni dell'ordine in questione:
......». Sicche', «sarebbe arbitrario desumerne  che  il  legislatore
sia completamente libero, senza doversi attenere a criteri di  sorta,
costituzionalmente rilevanti allo scopo della definizione delle varie
categorie». 
    In  entrambe  le  anzidette  pronunce  la  discrezionalita'   del
legislatore  nella  materia  ora  in  esame   e'   stata   senz'altro
riconosciuta,  ma  solo  perche'  essa   e'   stata   «razionalmente»
esercitata nel rispetto del «nesso con l'ordinamento giudiziario» nel
rapporto tra le funzioni in atto  esercitate  dagli  elegibili  ed  i
posti consiliari oggetto di riserva, giacche'  (come  si  dice  nella
pronuncia ultima citata) «cio' che conta, agli effetti  della  valida
composizione  del  Consiglio   superiore   (e   della   sua   sezione
disciplinare), e' che questi posti, non arbitrariamente  fissati  dal
legislatore ordinario, risultino in concreto ricoperti da  magistrati
che vi abbiano diritto, sulla  base  di  legittime  disposizioni  del
l'ordinamento giudiziario (o delle altre  leggi  comunque  pertinenti
alle funzioni ed allo stato giuridico dei magistrati stessi)». 
    Nella  specie  qui  indagata  -  invece  -   le   condizioni   di
giustificazione della deroga al  principio  di  proporzionalita'  del
rapporto tra elettori ed eletti non appaiono sussistere - almeno, non
in termini «non arbitrari» - perche' la riserva  dei  posti  prevista
dal citato comma 5 dell'art. 8 non e' gia' finalizzata ad esprimere i
diversi caratteri funzionali delle distinte categorie di cui l'ordine
e' composto (come potrebbe essere stato se  la  riserva  fosse  stata
pensata, per esempio, in relazione alla  distinzione  tra  componenti
degli organi di primo grado e  componenti  degli  organi  di  secondo
grado)  ma  esprime  invece  il  solo   fatto   delle   differenziate
provenienze dei componenti di un organismo unitario, provenienze  che
- una  volta  realizzatosi  il  transito  dall'uno  all'altro  ordine
giudiziario - perdono di  rilievo  alcuno  e  non  hanno  effetto  di
determinare alcun differenziato carattere funzionale tra i componenti
dell'ordine giudiziario tributario. 
    Ne deriva il legittimo dubbio  circa  il  fatto  che  un  sistema
elettorale (sia pur parzialmente) caratterizzato  dalla  riserva  per
categorie di «provenienza» e' destinato a riprodurre nel Consiglio di
Presidenza della giustizia tributaria,  «anche  dal  punto  di  vista
formale, una rappresentanza  di  interessi  non  consentanea  con  il
carattere unitario dell'organo» perche' una tale differenziazione non
trova  alcuna  logica  giustificazione  che  non  sia  quella  di  un
privilegio antidemocratico. 
    Ed e' per questo che la  funzione  di  garanzia  a  detto  organo
assegnata puo' considerarsi (anche solo  in  apparenza)  pregiudicata
«ab imis»  allorche'  la  rappresentativita'  libera  e  diffusa  dei
componenti  dell'ordine  giudiziario  tributario,  sia  alterata  dal
sospetto  che  la  riserva  di  posti  consiliari  qui  indagata  sia
finalizzata a proteggere interessi tutt'affatto diversi da  (ed  anzi
in  contrasto  con)  quelli  che  l'organo  di  autogoverno  dovrebbe
realizzare. 
    3.3) Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione per  violazione
del principio di ragionevolezza da parte del  combinato  disposto  di
norme che dispongono l'irrogazione di una misura espulsiva di  natura
sostanzialmente disciplinare, in difetto della predisposizione di  un
procedimento disciplinare che consenta di valutare  la  gravita'  del
fatto e la proporzionalita' della sanzione. 
    L'art. 7 del decreto legislativo n. 545/1992 prevede che: 
        «I componenti delle corti di giustizia tributaria di primo  e
secondo grado debbono: 
          a) essere cittadini italiani; 
          b) avere l'esercizio dei diritti civili e politici; 
          c) non aver  riportato  condanne  per  delitti  comuni  non
colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati  tributari
e non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; 
          .....». 
    A sua volta l'art. 12 del ridetto decreto legislativo n. 545/1992
prevede che: 
        «Decadono dall'incarico i componenti delle corti di giustizia
tributaria di primo e secondo grado i quali: 
          a) perdono uno dei requisiti di cui all'art. 7»; 
          ..... 
    3.3.1) Il combinato disposto delle due  norme  dianzi  trascritte
genera una vera e propria sanzione automatica  espulsiva  (denominata
«rimozione») correlata a qualsivoglia condanna inflitta al componente
dell'ordine giudiziario (che sia in servizio onorario o di  carriera)
per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva
o per reati tributari ovvero ancora correlata alla  sottoposizione  a
misure di prevenzione o di sicurezza. 
    La natura disciplinare di tale «sanzione» non puo'  essere  messa
in discussione, trattandosi di una conseguenza che solo fittiziamente
consegue alla  perdita  di  un  requisito,  perche'  detto  requisito
caratterizza bensi' la fase di attribuzione del munus ma, nel momento
in  cui  si  determina  l'evento  che  integra  la   condizione   per
l'applicazione dell'effetto espulsivo (e cioe' in corso di servizio),
esso requisito si e' consumato e non  e'  piu'  elemento  costitutivo
dello status del giudice. 
    L'effetto espulsivo e' quindi correlato al fatto  in  se'  e  non
alla perdita del «requisito», il quale ultimo e' interposto del tutto
fittiziamente nella relazione di causa ed effetto,  appunto  per  non
doversi riconoscere che  l'effetto  stesso  e'  il  risultato  di  un
automatismo normativo del quale l'organo di autogoverno e' chiamato a
prendere semplicemente atto, restando privato di  qualunque  potesta'
di valutazione «nel merito». 
    3.3.2) Orbene l'applicazione automatica  di  tale  sanzione  pone
dubbi di contrasto con l'art. 3 della Costituzione per violazione del
principio di ragionevolezza: che il giudizio sulla concreta lesivita'
della condanna vada imprescindibilmente rimesso all'apprezzamento del
giudice al fine del necessario adattamento e  proporzionamento  della
sanzione rispetto alla condotta concretamente assunta  dall'incolpato
e' appunto imposto dalla necessita' di impedire che comportamenti  di
diversa offensivita' deontologica siano puniti allo stesso modo,  con
vulnus di quella intima razionalita' che permea di se'  il  principio
di uguaglianza. 
    La necessaria adozione di tale misura punitiva  appare,  infatti,
basata su di una presunzione assoluta, del  tutto  svincolata,  oltre
che  dal  controllo  di  proporzionalita'  da   parte   del   giudice
disciplinare, anche dalla verifica della sua concreta congruita'. 
    In  specie,  appare  violato  il  principio   di   «proporzione»,
fondamento della razionalita' che domina il principio di  uguaglianza
- inteso come regola di «indispensabile gradualita' sanzionatoria»  -
, principio che e' stato  evocato  in  piu'  di  una  circostanza  da
codesta ill.ma Corte  costituzionale,  in  termini  tali  che  si  e'
ritenuto che esso postuli un chiaro  rapporto  di  adeguatezza  della
sanzione al caso specifico, cio' che puo' raggiungersi solo merce' la
concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in  atto  in
occasione  della  commissione  dell'illecito  (tra  le  altre,  Corte
costituzionale, sentt. n. 447 del 1995, n. 197 del 1993,  n.  16  del
1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988). 
    In  alcune  delle  anzicitate  pronunce  codesta   ill.ma   Corte
costituzionale  ha  avuto  presente  proprio   la   questione   della
compatibilita' tra infrazione di rilievo penale  e  prosecuzione  del
rapporto di impiego al fine di affermare che l'infrazione va valutata
senza automatismo alcuno, graduando e adeguando la sanzione  al  caso
concreto. 
    Per quanto debba  riconoscersi  al  legislatore  ordinario  ampia
discrezionalita' nella identificazione  delle  condotte  punibili  in
sede disciplinare e delle sanzioni  applicabili  alle  stesse,  e'  a
questa   Corte   remittente   del   tutto   chiaro   che   una   tale
discrezionalita' incontra imprescindibilmente  il  limite  della  non
manifesta irragionevolezza, sub specie della giusta  proporzione  tra
sanzione e fatto sanzionato, il quale ben potrebbe integrare elementi
tali da non pregiudicare in alcun modo la prosecuzione  del  rapporto
di servizio, per quanto si tratti di  un  rapporto  di  servizio  del
tutto peculiare quale quello che concerne un appartenente  ad  ordine
giudiziario. 
    In questa prospettiva, giova anche  il  richiamo  allo  specifico
precedente di Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2016, con cui
e' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  567,
secondo comma, codice penale, e  nella  motivazione  della  quale  il
giudice delle leggi, ha chiarito  che  laddove  emergano  sintomi  di
manifesta  irragionevolezza,  per  sproporzione,  di  un  trattamento
sanzionatorio rispetto al disvalore  del  fatto  sanzionato,  e'  ben
possibile  l'intervento  del  giudice  delle  leggi  attraverso   una
valutazione da condurre alla stregua di precisi punti di  riferimento
gia' rinvenibili nel  sistema  legislativo,  idonei  a  ricondurre  a
coerenza le scelte gia' delineate a tutela  di  un  determinato  bene
giuridico, senza alcuna  sovrapposizione  alla  discrezionalita'  del
legislatore. 
    Orbene,  alla  stessa  stregua  i  caratteri   del   procedimento
disciplinare  riferito  ai  componenti  di   un   ordine   giudiziale
(indipendentemente dalla tipologia amministrativa  o  giurisdizionale
dello stesso, di che gia' si e' detto in precedenza),  identificabili
nella apprestata peculiare tutela di situazioni connesse allo statuto
di  indipendenza  della  magistratura,  inducono  ad  escludere   che
sanzioni di genere automatico, avulse da un  confacente  rapporto  di
adeguatezza con il caso concreto  e  di  coerenza  generale,  possano
trovare  legittimazione  alla  luce  delle  garanzie  che  la   Carta
costituzionale appresta in quest'ambito e che sono  state  gia'  piu'
volte richiamate. 
    Solo nella opportuna sede disciplinare potra' essere ponderata  -
non gia' in  astratto,  ma  con  specifico  riferimento  a  tutte  le
circostanze del caso concreto - la gravita'  dei  fatti  in  rapporto
alla loro portata oggettiva, la natura e  l'intensita'  dell'elemento
psicologico nel comportamento contestato  unitamente  ai  motivi  che
l'hanno  ispirato  e,  infine,  la  personalita'  dell'incolpato,  in
relazione, soprattutto, alla sua pregressa attivita' professionale  e
agli eventuali precedenti disciplinari. 
    3.3.3) Si verte qui - invece - nella piu' tipica delle ipotesi di
sanzione espulsiva applicata «de iure» quale conseguenza  automatica,
prevista direttamente dalla legge, della condanna in sede penale  per
reati di qualsivoglia genere e tipo, in assenza  di  una  valutazione
circa la loro gravita' e circa la loro attinenza a quei beni  che  il
procedimento disciplinare mira a tutelare  (i  criteri  di  «onore  e
disciplina» a cui deve essere informato l'esercizio  delle  pubbliche
funzioni, in ossequio al  precetto  dell'art.  54  Cost.),  quale  e'
apprezzabile  solo   merce'   l'espletamento   di   un   procedimento
disciplinare, che nella  specie  manca  del  tutto,  per  quanto  sia
proprio con riferimento alla piu' grave delle  sanzioni  disciplinari
(quella espulsiva)  che  si  impone  il  vaglio  piu'  attento,  onde
acclarare  se  l'illecito  contestato   al   componente   dell'ordine
giudiziario sia di tale  entita'  che  ogni  altra  sanzione  risulti
insufficiente alla  tutela  di  quei  valori  che  la  legge  intende
perseguire. 
    Ed anzi e'  da  dire  che  l'incongruenza  della  disciplina  qui
indubbiata  si  manifesta  a  maggior  ragione   per   la   peculiare
organizzazione dell'ordine giudiziario di che trattasi  nel  quale  -
come detto - convivono giudici onorari e magistrati di carriera,  gli
appartenenti alla prima delle quali categorie puo' anche provenire da
magistratura (ordinaria o speciale). 
    Proprio per questa ragione e  per  il  fatto  che  ai  magistrati
(ordinari o speciali)  che  diventano  anche  componenti  dell'ordine
giudiziario tributario si applicano statuti disciplinari specifici  -
nessuno dei quali contempla un  automatismo  rigoroso  e  cieco  come
quello regolato dal combinato disposto delle norme di che trattasi  -
potrebbe  venirsi  a  verificare  l'ipotesi  che  in  conseguenza  di
condanna per i reati o in conseguenza di applicazione  di  misure  di
prevenzione o di sicurezza quali quelle previste dal qui citato  art.
7, lo stesso soggetto finisca per decadere dall'incarico  di  giudice
tributario ma non invece da quello di giudice ordinario o di  giudice
speciale nelle categorie «di provenienza». 
    Eventualita' non  statisticamente  peregrina,  quest'ultima,  che
rende ancor piu' manifesto  quanto  sia  stridente  ed  incongrua  la
conseguenza espulsiva automatica di cui qui si tratta. 
    Ne' sembra ostare alla esplicitazione in questa sede dei dubbi di
conformita' a Costituzione di cui si e' detto il  fatto  che  codesta
ill.ma  Corte  costituzionale  con  la  sentenza  n.  197/2018  abbia
dichiara non fondate le questioni  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 12, comma 5, del decreto legislativo 23 febbraio  2006,  n.
109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei  magistrati,
delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilita',
nonche'  modifica  della  disciplina  in  tema  di  incompatibilita',
dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio  dei  magistrati,  a
norma dell'art. 1, comma 1, lettera f), della legge 25  luglio  2005,
n. 150», sollevate, in riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura
sulla scorta di argomenti non dissimili da quelli prospettati dianzi. 
    Infatti, nella specie ivi presa  in  considerazione  si  trattava
della  legittimita'  costituzionale  di  norma  affatto   disomogenea
rispetto a quella qui sospettata, nella quale (come  ha  rilevato  lo
stesso  giudicante)  «la  questione  ora  all'esame   non   concerne,
tuttavia, un automatismo legato al sopravvenire di  una  condanna  in
sede penale per determinati  reati,  bensi'  un  diverso  automatismo
insito nella previsione di un'unica sanzione fissa (la rimozione) per
chi sia ritenuto responsabile dal giudice disciplinare di un  preciso
illecito, anch'esso di natura meramente  disciplinare  (nel  caso  in
esame, quello di cui all'art. 3, comma  1,  lettera  e,  del  decreto
legislativo n. 109 del 2006)». 
    E percio', l'automatismo ivi  censurato  risulta  collegato  alla
identificazione di specifici fatti di  reato  ed  a  specifiche  pene
applicate, sicche' il giudizio di  disvalore  risulta  effettivamente
adottato - sia pure  in  termini  eteronomi  rispetto  al  competente
organo disciplinare - da parte di un legislatore che ha in  tal  modo
esercitato una discrezionalita' avveduta  e  specifica  e  non  certo
acritica e cieca come in riferimento alla disciplina di che trattasi. 
    E' ben per questo che in quella occasione (del tutto  disomogenea
rispetto alla presente)  il  giudice  delle  leggi  ritenne  che  non
potesse essere «ritenuta manifestamente irragionevole la  scelta  del
legislatore  di  colpire  indefettibilmente  con  la  sanzione  della
rimozione  la  totalita'   delle   condotte   rientranti   nell'alveo
applicativo dell'art. 3, comma 1, lettera e), del decreto legislativo
n. 109  del  2006...»,  non  senza  avere  chiarito  le  ragioni  del
discrimine rispetto all'esito di altra e contraria pronuncia  (la  n.
170/2015)  che  aveva  avuto  ad  oggetto  un  illecito  disciplinare
(violazioni stabilite dall'art. 2, comma 1, lettera a),  del  decreto
legislativo  n.  109  del  2006)  abbracciante  «condotte  di  natura
eterogenea, e connotate ictu oculi da gradi di  disvalore  fortemente
differenziati,  anche  soltanto  dal  punto  di  vista  dell'elemento
soggettivo (risultando sanzionabili  a  quel  titolo  anche  condotte
caratterizzate da mera imperizia o trascuratezza, che sono  invece  a
priori escluse dall'ambito applicativo dell'illecito disciplinare  di
cui in questa sede e' discorso, il quale  richiede  invece  la  prova
della positiva consapevolezza da parte del magistrato delle  qualita'
soggettive  della   persona   da   cui   egli   riceva   prestiti   o
agevolazioni)». 
    Orbene,  pare  a  questa  Corte  remittente  che   considerazioni
analoghe a quelle espresse nella pronuncia ultima citata sarebbero da
riferirsi alla fattispecie qui oggetto di esame la quale - infatti  -
si caratterizza per peculiare omogeneita' rispetto  alla  fattispecie
sottoposta ad esame nella ridetta pronuncia. 
    Non e' quindi manifestamente infondato il sospetto  di  contrasto
con l'art. 3 della Costituzione,  per  violazione  del  principio  di
ragionevolezza, del combinato disposto degli  articoli  7  e  12  del
decreto  legislativo  n.  545/1992  nella   parte   in   cui   impone
l'applicazione della sanzione massima della  rimozione  in  relazione
indiscriminatamente a tutte le ipotesi di condanna per delitti comuni
non colposi o per  contravvenzioni  a  pena  detentiva  o  per  reati
tributari ovvero ancora alle ipotesi di sottoposizione  a  misure  di
prevenzione o di sicurezza senza consentire  all'organo  disciplinare
deputato  disciplinare  alcuna  possibilita'  di  graduazione   della
sanzione in ragione della  diversa  intensita'  del  disvalore  della
condotta di volta in volta tenuta dal magistrato. 
    3.4)  Previsione  di  una  sanzione  disciplinare  mascherata  da
requisito di accesso al concorso interno  per  il  tramutamento  alle
funzioni superiori. Commi 4-ter e 5 dell'art. 11 (nuova formulazione)
del decreto legislativo n. 545/1992, con violazione dei  principi  di
autonomia ed indipendenza del giudice (articoli  101  e  108  Cost.),
oltre che violazione principio di buon andamento  dell'organizzazione
dei pubblici uffici (art. 97 Cost.). 
    L'art. 11 del decreto legislativo n. 545/1992 (nella sua  attuale
formulazione, a seguito della novella realizzata merce' la  legge  n.
130/2002) prevede quanto di seguito: 
        «4-ter.  L'assegnazione  degli  incarichi  e'  disposta   nel
rispetto delle seguenti modalita': 
          a) la vacanza nei posti di  presidente,  di  presidente  di
sezione, di vice presidente delle corti di  giustizia  tributaria  di
primo e secondo grado  e  di  componente  delle  corti  di  giustizia
tributaria e' portata dal Consiglio di  Presidenza  a  conoscenza  di
tutti i componenti delle corti di giustizia tributaria in servizio, a
prescindere dalle funzioni svolte, con indicazione del termine  entro
il quale chi aspira all'incarico deve presentare domanda; 
          b) alla nomina per ciascuno degli  incarichi  di  cui  alla
lettera a) si procede sulla base di elenchi formati relativamente  ad
ogni  corte  di  giustizia  tributaria  e  comprendenti   tutti   gli
appartenenti alle categorie indicate negli articoli 3, 4 e 5  per  il
posto da conferire, che hanno comunicato  la  propria  disponibilita'
all'incarico e  sono  in  possesso  dei  requisiti  prescritti.  Alla
comunicazione di disponibilita' all'incarico deve essere allegata  la
documentazione circa l'appartenenza ad una delle  categorie  indicate
negli articoli 3, 4 e 5 ed  il  possesso  dei  requisiti  prescritti,
nonche' la dichiarazione di non essere in alcuna delle situazioni  di
incompatibilita' indicate all'art. 8. Le esclusioni dagli elenchi  di
coloro che hanno comunicato la propria  disponibilita'  all'incarico,
senza essere in possesso dei requisiti  prescritti,  sono  deliberate
dal Consiglio di Presidenza; 
          c) la scelta tra gli aspiranti e' adottata dal Consiglio di
Presidenza, salvo giudizio  di  demerito  del  candidato,  secondo  i
criteri di valutazione ed i punteggi stabiliti dalla tabella F e, nel
caso di parita' di punteggio, della maggiore  anzianita'  anagrafica.
5. Il Consiglio di  Presidenza  della  giustizia  tributaria  esprime
giudizio di demerito ove ricorra una delle seguenti condizioni: 
a)  sanzione  disciplinare  irrogata  al  candidato  nel  quinquennio
antecedente la data di scadenza della domanda per l'incarico  per  il
quale concorre; 
b) rapporto annuo pari o superiore al 60 per cento tra il numero  dei
provvedimenti  depositati  oltre  il  termine  di  trenta  giorni   a
decorrere dalla data di deliberazione e il totale  dei  provvedimenti
depositati dal singolo candidato». 
    3.4.1) Si tratta di un articolato  complesso  di  disposizioni  a
mezzo  del  quale  pare  di  scorgere  che   sia   stata   introdotta
nell'ordinamento giudiziario  tributario  una  sanzione  disciplinare
mascherata da requisito per l'accesso al concorso interno finalizzato
al tramutamento alle funzioni superiori  -  nella  parte  in  cui  si
esclude l'accesso al concorso per coloro che  abbiano  registrato  un
rapporto inferiore al 60% tra provvedimenti tardivamente depositati e
provvedimenti complessivamente depositati - con lesione dei  principi
di autonomia ed indipendenza costituzionalmente imposti  dalle  norme
piu' volte richiamate. 
    Senonche', e' stato condivisibilmente affermato in  dottrina  che
«il  sistema  della  responsabilita'  disciplinare   del   magistrato
rappresenta    l'interfaccia     del     principio     costituzionale
dell'indipendenza: la posizione super partes del magistrato non  puo'
essere disgiunta dal corretto esercizio delle sue funzioni e da  ogni
suo comportamento». 
    A questo sistema fanno da presidio le disposizioni dell'art.  101
Cost. (secondo il quale  il  magistrato  e'  soggetto  soltanto  alla
legge) e dell'art.  104  Cost.  (secondo  il  quale  la  magistratura
costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro  potere)
con la  conseguenza  imposta  dall'art.  110  Cost.  (che  limita  le
prerogative    dell'Amministrazione    all'organizzazione    ed    al
funzionamento dei servizi relativi alla giustizia), principi che sono
da estendersi alle magistrature speciali  a  mente  della  previsione
dell'art. 108 Cost. 
    Disciplinando per legge l'esercizio del potere  disciplinare  nei
confronti dei magistrati, l'ordinamento mira a realizzare non solo il
fine di assicurare che i magistrati siano effettivamente perseguiti e
sottoposti a sanzione per i loro comportamenti scorretti,  negligenti
o abusivi, ma anche il fine di assicurare che i magistrati non  siano
arbitrariamente perseguiti. 
    Sono  presidio  di  questa  seconda  finalita'  i   principi   di
necessaria tipicita'  dell'illecito  e  della  sanzione  disciplinare
nonche'  di  controllo  giurisdizionale   o   almeno   amministrativo
dell'esercizio del potere disciplinare e della  corretta  irrogazione
ed applicazione delle sanzioni che ne derivano. 
    Per quanto sia inadeguata ed  arcaica  la  disciplina  dettata  a
riguardo  della  materia  disciplinare  nell'ambito  dell'ordinamento
giudiziario tributario (articoli 15-16  del  decreto  legislativo  n.
545/1992, che il legislatore della novella non si e'  curato  affatto
di modificare ed aggiornare) non par dubbio che anche in quest'ultimo
ambito  i  richiamati  principi  debbano   essere   salvaguardati   e
rispettati, attesa la disposizione gia' piu' volte  citata  dell'art.
108 Cost. 
    3.4.2) Vi e' poi  da  rimarcare  che  e'  nozione  comune  quella
secondo cui occorre che vi sia chiara  distinzione  tra  procedimento
disciplinare e valutazione di professionalita', giacche' si tratta di
due  fattispecie  completamente  diverse  per  natura,  finalita'   e
conseguenze, che non possono essere giustapposte o confuse. 
    Il sistema delle  valutazioni  non  si  limita  a  verificare  la
violazione di alcune disposizioni ma mira, in positivo, a considerare
la   professionalita'   del   magistrato,   che    costituisce    una
«precondizione  della  sua  indipendenza  ed  assolve  alla   duplice
funzione di assicurare la correttezza delle decisioni prese, e quindi
della adeguatezza del servizio  giustizia,  ed  al  tempo  stesso  di
consentire la progressione in carriera dei magistrati, selezionati in
base alle loro capacita' tecniche e alle loro attitudini». 
    Riguardo all'oggetto, ci si puo' qui limitare ad evidenziare  che
mentre il giudizio disciplinare verte su  singoli  comportamenti  che
rilevano in quanto sussumibili in una delle condotte qualificate come
illeciti disciplinari, il giudizio di  professionalita'  riguarda  il
lavoro del magistrato nel suo complesso. 
    Che  la  valutazione  di  professionalita'  non   abbia   portata
sanzionatoria nei confronti dei  magistrati  emerge  chiaramente  dal
recente parere n. 17 (2014)  del  Consiglio  consultivo  dei  giudici
europei, riguardante  la  valutazione  del  lavoro  dei  giudici,  la
qualita' della giustizia e il rispetto dell'indipendenza  giudiziaria
(in http://tinyurl.com/pbo7ksb). 
    3.4.3) Tutti questi principi appaiono misconosciuti e violati nel
momento in cui si prevede (come si fa nella norma qui  sospettata  di
illegittimita' costituzionale) che l'accesso al concorso interno  per
tramutamento a funzioni piu' elevate sia condizionato da un  criterio
puntuale e specifico mirato su un parametro di laboriosita' puramente
numerico e correlato (in termini percentuali) al mero rispetto di  un
termine massimo (trenta giorni) per il deposito delle  sentenze,  pur
mancando un pregresso vaglio disciplinare a riguardo  della  concreta
gravita' della condotta idonea a violare  un  siffatto  parametro  di
laboriosita'. 
    Sia consentito  un  paragone  con  quanto  accade  in  ambito  di
Giurisdizione  ordinaria  che  e'  resa  ancor  piu'   omogena   alla
Giurisdizione tributaria per effetto  della  previsione  dell'attuale
art. 8, comma 1 del decreto legislativo n. 545/1992 secondo il quale:
«Ai magistrati tributari reclutati ai sensi dell'art. 4 si applicano,
in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel titolo  I,  capo
ll, dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30  gennaio
1941, n. 12». 
    In ambito disciplinare, l'art. 2, comma 1, lettera q) del decreto
legislativo n. 109/2006 prevede «il reiterato, grave e ingiustificato
ritardo  nel  compimento  degli  atti  relativi  all'esercizio  delle
funzioni», con presunzione di non gravita' del ritardo che non ecceda
il triplo dei termini previsti dalla legge. In concreto, e' noto  che
la giurisprudenza disciplinare del CSM ritiene (salvi casi peculiari,
nei quali anche questo termine si suppone  superabile)  che  non  sia
soggetto a provvedimento disciplinare il ritardo di deposito entro un
termine non superiore all'anno. 
    A sua  volta,  le  circolari  adottate  dal  CSM  in  materia  di
valutazione di professionalita' contemplano tra gli indicatori  della
diligenza, il «rispetto dei termini per la redazione  e  il  deposito
dei  provvedimenti,  o  comunque  per  il  compimento  di   attivita'
giudiziarie», rinviando per il relativo  accertamento  all'esame  dei
prospetti statistici comparati o alle indicazioni dei dirigenti degli
uffici. 
    La circolare, inoltre, prescrive che il parametro della diligenza
e' positivo quando «i termini generalmente osservati per la redazione
e il deposito dei provvedimenti, o  comunque  per  il  compimento  di
attivita' giudiziarie, sono conformi alle  prescrizioni  di  legge  o
sono comunque accettabili in considerazione dei carichi di  lavoro  e
degli standard degli altri magistrati dello  stesso  ufficio  addetti
alla  medesima  tipologia  di  provvedimenti,  salvo  che  sussistano
ragioni obiettivamente giustificabili, quali il periodo di ferie o di
assenza giustificata a qualsiasi titolo». 
    Riguardo allo schema relativo al deposito dei  provvedimenti,  le
disposizioni vigenti nel settore giudiziario ordinario prevedono  che
la rilevazione sia limitata ai ritardi nel  deposito  delle  sentenze
superiori ai sessanta giorni rispetto al termine fissato dalla  legge
o, nei casi in  cui  e'  previsto,  dallo  stesso  giudice,  operando
un'ulteriore differenziazione con riferimento ai ritardi di rilevanza
disciplinare, a quelli superiori ai centottanta giorni, a un  anno  e
ai due anni. La valutazione e' quindi piu' ampia e non e' limitata ai
soli ritardi di rilievo disciplinare. 
    Cio' posto, pare a questa Corte che  un  sistema  -  come  quello
giudiziario  tributario  -  che  non  garantisca  una  reciproca  non
interferenza tra il  sistema  della  responsabilita'  disciplinare  e
quello della valutazione di  professionalita'  e  non  garantisca  al
magistrato oggetto di valutazione in quest'ultima sede gli  strumenti
(da radicarsi nel procedimento di accertamento della  responsabilita'
disciplinare) per dimostrare che i rilevati  «ritardi»  nel  deposito
delle decisioni non siano imputabili a sua negligenza  ma  a  fattori
esterni ed incolpevoli, sia un sistema fortemente sospetto di lesione
dei fondamentali principi di indipendenza ed autonomia. 
    E cio', in maniera del tutto indipendente dalla natura giudiziale
o amministrativa che il legislatore abbia  ritenuto  di  prescegliere
per  caratterizzare  gli  strumenti  di  verifica  della  correttezza
dell'addebito disciplinare. 
    Infatti se gia' con la sentenza n. 497/2000 codesta Ill.ma  Corte
costituzionale aveva avuto modo di  affermare  che  «le  ragioni  che
hanno  indotto  il  legislatore   a   configurare   il   procedimento
disciplinare  per  i  magistrati  secondo  paradigmi   di   carattere
giurisdizionale sono state piu' volte esaminate  [...]:  da  un  lato
l'opportunita'  che  l'interesse  pubblico  al  regolare  e  corretto
svolgimento  delle  funzioni  giudiziarie  e  lo   stesso   prestigio
dell'ordine giudiziario siano tutelati nelle  forme  piu'  confacenti
alla posizione costituzionale della magistratura e al suo statuto  di
indipendenza; dall'altro l'esigenza che alla persona  del  magistrato
raggiunto da incolpazione disciplinare sia riconosciuto quell'insieme
di garanzie che  solo  la  giurisdizione  puo'  assicurare»,  con  la
successiva pronuncia n. 87/2009 codesta Corte medesima ha ritenuto di
sganciare totalmente le valutazioni relative al rispetto della  norma
costituzionale dalla natura del  procedimento  disciplinare  regolato
dalla   legge,   cosi'   da   attribuire   rilievo   alla    funzione
giurisdizionale nella sua stessa ontologia. 
    Lo si desume dal passo della motivazione di tale ultima pronuncia
in cui si legge che la correlazione tra la garanzia dell'indipendenza
del magistrato e la facolta' di scelta del difensore da lui  ritenuto
piu' adatto «prescinde dalla natura giurisdizionale o  amministrativa
del procedimento disciplinare,  che  dipende  dai  caratteri  che  il
legislatore ha scelto di attribuire al  procedimento  stesso  e  agli
organi in esso coinvolti». Difatti, «indipendentemente  dalla  natura
che  la   legge   attribuisce   al   procedimento   e   all'autorita'
disciplinare, dalla garanzia costituzionale  di  indipendenza  deriva
una particolarita' di questo procedimento, quando  esso  riguardi  un
magistrato, in quanto per quest'ultimo, a differenza di quanto accade
per altre categorie di  personale  pubblico  [...],  la  Costituzione
impone che sia assicurata, anche in  sede  disciplinare,  la  massima
espansione del diritto di  difesa»,  cosi'  che  poi  «l'esigenza  di
indipendenza prescinde  dal  dato  oggettivo,  relativo  alla  natura
dell'organo e del  procedimento  disciplinare,  e  dipende  dal  dato
soggettivo,    relativo    alla    titolarita'     della     funzione
giurisdizionale». 
    3.4.4) E, non e'  solo  nella  prospettiva  della  lesione  delle
guarentigie poste a presidio dell'esercizio della  giurisdizione  che
siffatta norma appare censurabile, giacche'  essa  rischia  anche  di
determinare  un  vulnus  allo  stesso  criterio   di   ragionevolezza
normativa ed al principio di buon andamento  dell'organizzazione  dei
pubblici uffici (art. 97 Cost), specie con riferimento alle peculiari
condizioni di organizzazione dell'ordinamento giudiziario  tributario
nel corso  del  periodo  di  transitoria  compresenza  di  magistrati
onorari e magistrati di carriera. 
    Da un canto, infatti, una previsione di tal genere costituisce un
chiaro  disincentivo  alla  produttivita'  dei  singoli  che  saranno
tendenzialmente stimolati ad assumere il minor  carico  possibile  di
provvedimenti da redigere, proprio al fine  di  poter  rispettare  la
proporzione  fissata  con  riguardo  al  parametro  del  giugulatorio
termine di cui si e' detto (per vero  inaudito  in  tutti  gli  altri
comparti giurisdizionali, ordinari o speciali). 
    D'altro canto, la ridetta proporzione costituisce un evidente  (e
forse anche insuperabile) ostacolo per la pronta e congrua  riduzione
delle   vacanze   di   ruolo   che    nell'ordinamento    giudiziario
immancabilmente verranno a determinarsi (specie in  riferimento  alle
posizioni  apicali  ed  agli  uffici  giudiziari  di  secondo  grado,
affidati ai componenti piu' anziani tra quelli in servizio)  a  causa
del combinato  intrecciarsi  della  riduzione  dell'eta'  massima  di
servizio dei  giudici  onorari  attualmente  in  ruolo  e  del  lento
evolversi della vicenda concorsuale  (cosi'  come  prefigurata  dalla
legge) attraverso  la  quale  saranno  da  assumersi  in  servizio  i
magistrati tributari di nuovo conio. 
    Di quest'ultima ineludibile emergenza e'  consapevole  lo  stesso
legislatore che in proposito ha espressamente previsto - al comma  14
dell'art. 1 della legge n. 130/2022 - che «Il Consiglio di Presidenza
della giustizia tributaria, entro il 31 gennaio  2023,  individua  le
sedi delle corti di giustizia tributaria nelle quali non e' possibile
assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale in applicazione
dell'art. 11, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre  1992,  n.
545, come modificato dal comma 1,  lettera  n)  ,  numero  2.2),  del
presente articolo, al fine di assegnare d'ufficio alle predette sedi,
in applicazione non  esclusiva,  giudici  tributari  appartenenti  al
ruolo unico di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12  novembre
2011, n. 183». 
    Non par dubbio  percio'  a  questa  Corte  remittente  che  siano
molteplici - e tutti di rango costituzionale  -  i  principi  che  la
norma ora in esame viola e misconosce. 
    3.5) Violazione dei principi di  indipendenza  ed  inamovibilita'
del giudice tramite la mascherata  moltiplicazione  di  incarichi  di
servizio onorario nominalmente definiti «applicazione non  esclusiva»
(articoli 106-107 Cost.) a mente del comma 14 dell'art. 1 della legge
n. 130/2022. Violazione del principio di ragionevolezza  normativa  e
del principio di  buon  andamento  dell'organizzazione  dei  pubblici
uffici (articolo 97 Cost.) 
    Con la disposizione trascritta al termine del capo che precede il
legislatore ha ritenuto  di  poter  far  ricadere  sulle  spalle  dei
residui giudici  tributari  (in  servizio  onorario)  le  strutturali
inefficienze del sistema che  si  verranno  a  generare  proprio  per
effetto  delle   modifiche   organizzative   previste   nelle   altre
disposizioni della legge di cui e' parte la disposizione qui sospetta
di illegittimita' costituzionale. 
    Si consideri che si tratta di effetti  che  al  legislatore  sono
noti anche nel dettaglio, perche' la  relazione  del  Servizio  Studi
congiunto (Camera e Senato) A.S. n. 2636,  alla  pag.  95  riporta  i
seguenti elementi significativi: «Sulla base dei dati riportati nella
tabella, il ruolo dei giudici tributari onorari, attualmente 2.608 in
organico, e' destinato ad esaurirsi  totalmente  nell'anno  2052.  In
particolare, nei primi 5 anni dall'entrata in  vigore  della  riforma
cesseranno dal servizio n. 1.118  giudici  (43%);  dopo  10  anni  il
numero delle cessazioni si attesta a n. 1.623 giudici (62%)». 
    Nella  ridetta  relazione  si  riferisce  inoltre   che:   «Nella
Relazione tecnica si precisa, altresi', che in relazione alla  minore
spesa derivante dal contrarsi della dotazione di personale del  ruolo
ad esaurimento, la riforma del settore promossa dal disegno di  legge
in esame determina risparmi di spesa per circa 3,3 mln  di  euro  nel
2023, per circa 10,89 mln di euro nel 2024 e per  circa  5,2  mln  di
euro nel 2025, che restano acquisiti a vantaggio dei saldi di finanza
pubblica». 
    Nella medesima relazione, tuttavia,  non  si  azzardano  stime  a
riguardo dei tempi di assunzione e di entrata in  servizio  effettivo
degli assumendi magistrati tributari, i  cui  termini  dipendono  non
solo dai previsti cinque anni di progressiva indizione  dei  previsti
concorsi ma anche dai tempi di durata  delle  procedure  concorsuali,
dall'effettivo  risultato  da  realizzarsi  a  mezzo  delle   ridette
procedure di selezione, nonche' dalla durata del periodo di uditorato
dei candidati effettivamente selezionati. 
    Proprio per questo - e' lecito supporre - il legislatore del 2022
ha previsto un meccanismo di arbitraria moltiplicazione «ex  officio»
degli incarichi onorari «a carico» di ciascun giudice tributario oggi
in servizio, del tutto slegato dalla intenzionale disponibilita'  del
singolo - che ne diventa mero  destinatario  inconsapevole  -  e  del
tutto slegato da criteri e parametri di regolamentazione di un potere
che ha tutti i crismi per essere  esercitato  in  modalita'  cieca  e
puramente utilitaristica, anche in relazione ai programmati «risparmi
di spesa» di cui si e' detto. 
    Grazie a detto meccanismo il Consiglio  di  Presidenza  anzidetto
diventera' titolare della potesta' di fare tutto cio' che gli aggrada
con  il  rapporto  di  servizio  del   singolo   giudice   tributario
(arbitrariamente selezionato) ancora in servizio al 31 gennaio  2023,
fino al punto di  destinare  un  presidente  di  Corte  di  giustizia
tributaria ad esercitare funzioni di giudice in un qualunque collegio
di ufficio diverso dal proprio; fino al punto di assegnare nella sede
di Messina un  giudice  in  servizio  ad  Aosta;  fino  al  punto  di
assegnare alla Corte di giustizia di secondo grado  di  un  qualunque
distretto un giudice che presta servizio nella Corte di giustizia  di
primo grado dello stesso distretto. 
    Il tutto con provvedimenti  legittimati  dalla  sola  motivazione
della  impossibilita'  di  «assicurare  l'esercizio  della   funzione
giurisdizionale», tetragoni rispetto a qualunque  esigenza  personale
del  giudice-oggetto  e  finanche  alle  stesse  logiche  comuni  del
servizio (carenza dei titoli per l'esercizio  delle  nuove  funzioni;
incompatibilita' ambientali o personali, etc.) e che forse  finiranno
soltanto per accelerare l'effetto di moria del  personale  giudicante
«ad esaurimento». 
    In difetto di qualunque limite cronologico che valga a  garantire
la stretta transitorieta' dell'incarico «in  applicazione»,  siffatti
provvedimenti   finiranno   per   inevitabilmente   stabilizzare   la
costituzione di nuovi rapporti di servizio,  con  patente  violazione
della regola del pubblico concorso (art. 106 Cost.)  ed  in  evidente
contraddizione con la regola per cui  i  giudici  tributari  oggi  in
servizio sono stati assunti solo ed esclusivamente per  assolvere  le
loro funzioni nell'ufficio per il quale hanno formulato istanza (art.
9 del decreto legislativo n. 545/1992 nella formulazione  antecedente
alla novella)  e  non  invece  per  essere  inquadrati  in  un  ruolo
nazionale e successivamente essere destinati agli uffici territoriali
(come invece succede per il magistrato di carriera e  comunque  nella
magistratura  ordinaria  oltre  che   nelle   altre   speciali   oggi
esistenti). 
    E di cio' questa Corte ritiene di poter  trovare  conferma  nella
pronuncia autorevole di codesto giudice delle leggi (la  n.  156  del
1963) con la quale e' stata riconosciuta  la  legittimita'  dell'art.
101 della  legge  di  ordinamento  giudiziario  ordinario  (il  quale
consente che,  anche  senza  il  consenso  degli  interessati,  siano
adottati, per esigenze di servizio,  provvedimenti  di  modificazione
della ripartizione dei  magistrati  fra  i  vari  uffici  dell'organo
giudiziario  composito  al  quale   sono   «assegnati»,   come   pure
provvedimenti i quali, per ragioni contingenti - volte ad  assicurare
la continuita'  e  la  prontezza  della  funzione  giurisdizionale  -
facciano luogo alla destinazione di un magistrato a una  sede  o  una
funzione diversa  da  quelle  alle  quali  egli  sia  permanentemente
«assegnato»), solo in considerazione del fatto che tali provvedimenti
sono connotati  dal  carattere  della  temporaneita',  cosi'  da  non
incidere sullo «status» del soggetto a cui si applicano. 
    E,   questa   condizione   di   salvezza   e'   stata    ritenuta
imprescindibile nonostante il sopra indicato sistema della assunzione
del giudice ordinario a cio' concettualmente non  osti,  diversamente
da cio' che accade a riguardo del giudice tributario. 
    Ne'   d'altronde   si   potra'   osservare   in   contrario   che
l'inamovibilita' che e' disciplinata  dall'art.  107  Cost.  e'  solo
relativa   (e   cioe'   condizionata   dal   fatto   che   non    sia
l'amministrazione  a  disporre  la  nuova  destinazione  ma  che   il
provvedimento  sia  adottato  dall'organo  di  autogoverno),  perche'
invece l'art. 107 ridetto prescrive espressamente che il giudice  non
possa essere destinato «ad altre sedi o  altre  funzioni»  se  non  a
seguito di decisione dell'organo di autogoverno che sia adottata  con
le «garanzie» stabilite dall'ordinamento giudiziario (ovvero  con  il
consenso del giudice), garanzie che nella specie di che trattasi sono
del tutto inesistenti, per quanto dovrebbero considerarsi anche  esse
presupposto minimo per la costituzione delle leggi  che  devono  dare
concreta attuazione all'art. 108 della Carta. 
    A questo proposito, non guasta  rimarcare  che  -  in  ambito  di
giurisdizione ordinaria -  il  legislatore  del  2006  ha  introdotto
alcuni istituti con cui -proprio per venire  incontro  alle  critiche
concernenti il contrasto con l'art. 107 Cost. - si e' inteso  colmare
il  difetto  di  garanzie  che   caratterizzava   le   procedure   di
trasferimento giustificate da  «motivi  paradisciplinari»:  s'intende
fare riferimento, in modo  particolare,  al  trasferimento  cautelare
d'ufficio, di cui all'art. 13, II comma, del decreto  legislativo  n.
109/2006  -applicabile  qualora   «sussistano   gravi   elementi   di
fondatezza dell'azione disciplinare», e nei  casi  in  cui  ricorrano
«motivi di particolare urgenza» -  ed  al  trasferimento  provvisorio
dell'incolpato, di cui  all'art.  22,  I  comma,  ult.  periodo,  del
medesimo decreto legislativo. 
    Modifiche  che  confermano  che  le  deroghe  all'inamovibilita',
costituendo strumenti eccezionali di governo dell'ordine giudiziario,
necessitano di peculiari garanzie  procedimentali  che  costituiscano
usbergo per qualunque  attentato  all'indipendenza  ed  all'autonomia
dell'ordine giudiziario. 
    Ritiene   percio'   questa   Corte   remittente   che   non   sia
manifestamente infondato il dubbio di  illegittimita'  costituzionale
del  comma  14  dell'art.  1  della  legge  n.  130/2022,  in  quanto
confliggente  con  i  principi  di  inamovibilita',  indipendenza  ed
autonomia dei componenti degli ordini giudiziari, anche speciali; con
il  principio  di   obbligatorieta'   del   pubblico   concorso   per
l'assunzione o l'attribuzione di munera  all'interno  della  pubblica
amministrazione, oltre che con i principi di razionale organizzazione
degli uffici pubblici. 
    3.6) Violazione del principio di  eguaglianza  dei  cittadini  di
fronte alla legge (art. 3 Cost.) per effetto del  combinato  disposto
degli articoli 13  e  13-bis  del  decreto  legislativo  n.  545/1992
nonche' del comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130 del 2022. 
    Ritiene questa Corte remittente che la norma  gia'  indagata  nel
paragrafo precedente sia ulteriormente  sospetta  di  contrarieta'  a
Costituzione  anche  in  una  diversa  prospettiva  e   percio'   con
violazione di parametri costituzionali del tutto diversi. 
    L'esame della questione suppone una digressione ricostruttiva. 
    3.6.1) La legge n. 130 del 2022 ha disposto - con  l'introduzione
dell'art. 1-bis nel tessuto delle preesistenti previsioni del decreto
legislativo  n.  545/1992  -  che  «La  giurisdizione  tributaria  e'
esercitata dai magistrati tributari e dai giudici tributari  nominati
presso le corti di giustizia tributaria di  primo  e  secondo  grado,
presenti nel ruolo unico nazionale di cui all'art. 4,  comma  39-bis,
della legge 12 novembre 2011, n. 183, alla data del 1° gennaio 2022». 
    L'art. 8,  comma  1  dell'anzidetta  legge  n.  130/1992  ha  poi
previsto che ai  (soli)  «magistrati  tributari  reclutati  ai  sensi
dell'art. 4 si applicano,  in  quanto  compatibili,  le  disposizioni
contenute nel titolo I, capo II, dell'ordinamento giudiziario, di cui
al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12». 
    Si  e'  cosi'  venuta  a  creare  l'anomala  condizione  di   una
giurisdizione  speciale  articolata  in  un  ordine  unico  (ai   cui
componenti il citato art. 1-bis conferisce la  medesima  dignita'  di
esercizio   della   giurisdizione),   tuttavia   distinto   in    due
sottocategorie, la prima delle quali e'  composta  da  magistrati  «a
tutto tondo», assunti per concorso o per diretto transito dagli altri
ordini giudiziari (ordinario o speciali) e a cui - come  gia'  si  e'
detto - si applica la disciplina  di  status  tipica  dei  magistrati
ordinari, e la seconda delle  quali  resta  composta  (come  gia'  in
precedenza) da personale onorario, cui altro non puo' applicarsi  che
la disciplina generica relativa ai «munera» che, non  danno  luogo  a
rapporto di lavoro dipendente, come e' confermato  dal  disposto  del
comma primo dell'art. 11  del  decreto  legislativo  n.  545/1992,  a
tenore del quale «La nomina dei giudici tributari presenti nel  ruolo
unico di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre  2011,
n. 183, alla data del 1° gennaio  2022,  a  una  delle  funzioni  dei
componenti delle corti di giustizia tributaria  di  primo  e  secondo
grado non costituisce in nessun caso rapporto di pubblico impiego». 
    Non e' qui da spendere troppi  argomenti  per  affermare  che  la
onorarieta' del giudice tributario e' «di pura facciata» (strumentale
a  consentire  all'amministrazione  di  avvalersi   di   riconosciute
professionalita' a basso costo), perche' di cio'  si  trova  conferma
nelle stesse disposizioni normative che hanno realizzato una  riforma
organica della magistratura  onoraria  nel  settore  della  giustizia
ordinaria, ed in specie nell'art. 1 del decreto  legislativo  n.  116
del  2017  che  ne  delinea  i  seguenti   caratteri   precipui:   1)
inderogabile temporaneita' dell'incarico; 2) impegno richiedibile non
superiore a due giorni lavorativi per settimana; 3)  esercizio  delle
funzioni   giudiziarie   secondo   principi   di   autoorganizzazione
dell'attivita', tutti caratteri che non sono  affatto  predicabili  a
riguardo del giudice tributario al quale  e'  conferito  un  incarico
stabile per tutta la sua vita lavorativa; per il  quale  l'organo  di
autogoverno e' arrivato a definire carichi sostenibili annui  di  120
sentenze  per  giudice;  che  e'  inserito  in   una   organizzazione
strutturata  per  legge   in   organi   collegiali   che   pregiudica
qualsivoglia facolta' di autorganizzazione. 
    Ed e' appunto per questo che anche ai giudici tributari onorari -
diversamente da quanto avviene per i giudici onorari ordinari per  i'
quali le norme del capo  III  del  decreto  legislativo  n.  116/2017
prevedono solo compiti complementari - e' consentito  l'accesso  alle
funzioni apicali nella giurisdizione tributaria (Presidente di  Corte
di primo o di secondo grado; presidente di  sezione  delle  Corti  di
primo o di secondo grado)  a  condizione  di  rivestire  o  di  avere
rivestito (contempo) funzioni di magistrato  in  altra  giurisdizione
(magari anche in esecuzione  del  disposto  dell'art.  106,  comma  3
Cost.),  ovvero  anche  indipendentemente  dall'esistenza   di   tale
condizione, atteso che l'esercizio delle funzioni  di  vicepresidente
di sezione nelle Corti di primo e  di  secondo  grado  (e  quindi  di
presidente di collegio) e'  consentito  ai  «componenti  che  abbiano
esercitato, per almeno cinque anni le funzioni di giudice tributario,
purche' in possesso del diploma di  laurea  in  giurisprudenza  o  in
economia e commercio» e -rispettivamente - ai «componenti che abbiano
esercitato per almeno dieci anni le funzioni  di  giudice  tributario
regionale purche' in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza
o in economia  e  commercio»  (art.  3  del  decreto  legislativo  n.
545/1992). 
    Anche per il futuro e' previsto (art. 5 del  decreto  legislativo
n. 545/1992) che «I giudici delle corti di  giustizia  tributaria  di
secondo grado  sono  nominati  tra  i  magistrati  tributari  di  cui
all'art. 1-bis, comma 2, e i giudici  tributari  presenti  nel  ruolo
unico di cui all'art. 1-bis, comma 1», cosi' concretizzandosi la  non
remota possibilita' che fino all'anno 2052 (secondo i  dati  relativi
al  pronosticato  termine  di  esaurimento  del  ruolo  dei   giudici
tributari  onorari  rimarcati  nella  relazione  del  Servizio  studi
congiunto (Camera e Senato) A.S. n. 2636, richiamata al  paragrafo  3
che precede) le  funzioni  di  Presidente  di  collegio  nelle  Corti
tributarie di primo e secondo grado (non meno che le funzioni apicali
nell'organizzazione  giudiziaria)  saranno  rivestite   contempo   da
appartenenti all'una ed all'altra delle due menzionate  categorie,  e
cioe' da magistrati tributari e da giudici tributari. 
    Anzi, l'art. 9, comma 2-bis continua a  prevedere  anche  per  il
futuro che «Per le corti di giustizia tributaria di secondo  grado  i
posti  da  conferire  sono   attribuiti   in   modo   da   assicurare
progressivamente la presenza in tali commissioni  di  due  terzi  dei
giudici  selezionati  tra  i  magistrati  ordinari,   amministrativi,
militari e contabili, in servizio o a  riposo,  ovvero  gli  avvocati
dello Stato, a riposo», cosi' garantendo -  sia  pure  a  particolari
condizioni - che ai componenti della categoria «ad  esaurimento»  sia
assegnata la maggioranza dei posti nella composizione delle Corti  di
secondo grado. 
    La ratio di quest'ultima disposizione  sembra  rinvenibile  nella
maggiore esperienza -  anche  rispetto  ai  magistrati  professionali
nuovi assunti- che va riconosciuta a chi  ha  esercitato  da  maggior
tempo le funzioni giudiziarie tributarie, sia  pure  nella  veste  di
«personale onorario». 
    3.6.2) Nonostante la dianzi evidenziata pari dignita' e la  piena
ed  integrale  «intercambiabilita'»  ai  fini  dell'esercizio   delle
funzioni giudiziarie e nonostante la totale stabilita'  del  rapporto
di servizio fino al momento della quiescenza riconosciuta ad entrambe
le  categorie  di  personale  giudiziario  (stabilita'  che  per   il
personale onorario e' in concreto garantita  per  un  trentennio  dal
momento dell'entrata in vigore della richiamata legge  n.  130/2022),
resta - come si e' detto - totalmente differenziato lo  «status»  che
la  legge  attualmente  vigente  riconosce  alle  due  categorie   di
componenti  dell'ordine  giudiziario  tributario,  cio'  che  poi  si
riflette in una ingiustificata discrepanza dei trattamenti  economici
riconosciuti a ciascuna di  esse,  sia  pur  a  fronte  di  identiche
funzioni  esercitate,  vuoi  nell'esercizio  dell'attivita'  di  «jus
dicere»  vuoi   nell'esercizio   dei   compiti   di   governo   della
giurisdizione. 
    Ed infatti il legislatore del 2022 ha confermato per il personale
onorario il sistema del «misto-cottimo» articolatamente  disciplinato
dall'art. 13 del  decreto  legislativo  n.  545/1992  con  l'espresso
limite del massimo percepibile di euro 72.000,00  per  anno  (cui  in
concreto sono in grado di ambire i soli presidenti  delle  due  Corti
metropolitane nazionali, mentre tutti gli altri ambiscono a  compensi
spesso inferiori ai livelli di garanzia del  minimo  di  sussistenza)
mentre l'art. 13-bis del  ridetto  decreto  legislativo  n.  545/1992
prevede ora che «Ai  magistrati  tributari  reclutati  per  concorso,
secondo le modalita' di cui all'art. 4, si applicano le  disposizioni
in  materia  di  trattamento  economico  previsto  per  i  magistrati
ordinari, in quanto compatibili», cosi' come l'art. 1, comma 8  della
legge n. 130/2022 prevede - in  favore  dei  giudici  tributari  gia'
magistrati (ordinario speciali) che abbiano optato per il  definitivo
transito nella giurisdizione tributaria  -  che  anche  ad  essi  «si
applicano tutte le disposizioni in materia di  trattamento  economico
previste  per  i  magistrati  ordinari,   in   quanto   compatibili»,
prevedendo aggiuntivamente  in  favore  di  questi  ultimi  che  essi
«continuano a percepire, a titolo  di  indennita',  per  ventiquattro
mesi successivi alla data di immissione nelle funzioni di  magistrato
tributario, il compenso fisso mensile di cui all'art.  13,  comma  1,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, nella  misura  piu'
elevata tra quello attribuito per la funzione gia' svolta in qualita'
di giudice tributario e quello  corrispondente  alla  nuova  funzione
attribuita  dopo  il  transito  nella  giurisdizione  tributaria»,  a
sostanziale titolo di ristoro dei disagi per il ridetto transito, per
quanto il precedente comma 7  abbia  comunque  garantito  per  questi
ultimi che essi hanno «diritto a mantenere il posto gia' ricoperto di
giudice  tributario  nell'ufficio  di  appartenenza  e  la   relativa
funzione», e percio' indipendentemente dalla concreta sussistenza dei
ridetti «disagi». 
    Pare quindi che l'unica previsione che accomuna le  due  distinte
sottocategorie -in termini di  disciplina  di  status  -  sia  quella
dell'art. 14 del decreto legislativo n. 545/1992, a mente  del  quale
«Ai componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo
grado si applicano le disposizioni della legge  13  aprile  1988,  n.
117, concernente il risarcimento dei danni  cagionati  nell'esercizio
delle funzioni giurisdizionali». 
    Vale anche la pena di evidenziare qui che - in tema di disparita'
dei    trattamenti    propriamente    economici    -    la    forbice
dell'ingiustificata discriminazione si  e'  vieppiu'  accentuata  per
effetto della disposizione del comma 3 dell'art.  4  della  legge  n.
130/1992 che ha abolito il sistema di  redistribuzione  al  personale
giudiziario onorario di parte  del  contributo  unificato  (al  tempo
appositamente  pensato  onde  reperire  i  fondi  grazie   ai   quali
aggiornare il trattamento economico di  tale  personale)  palesemente
non compensato da un aumento della  quota  «fissa»  del  trattamento,
cosi' che verra' «appiattito» - polverizzandolo  -  l'unico  introito
effettivamente  premiale  per  il  maggior  contributo  offerto  alla
velocizzazione del sistema processuale, nel  mentre  cio'  garantisce
all'amministrazione  un  evidente  risparmio   di   spesa,   vieppiu'
incrementale in  ragione  del  progressivo  ridursi  del  numero  dei
componenti della categoria «ad esaurimento». 
    Pare di intendere che si tratti di «risorse»  che  (insieme  alle
altre di cui gia' si e' detto)  vengono  recuperate  a  carico  della
categoria ad esaurimento onde si possano  sopportate  i  costi  della
nuova categoria di personale professionale. 
    A cio' si aggiunge la riduzione, sia pure  graduale,  del  limite
massimo dell'eta' di cessazione dal servizio antecedentemente fissato
in 75 anni (ed ora in anni 70, a mente della  novellata  disposizione
dell'art. 9, comma 2 del decreto legislativo n. 545/1992), senza  che
tale vera e propria decurtazione di appannaggio (che non puo'  essere
sostituito da alcun trattamento di quiescenza, proprio perche' per il
giudici tributari e' misconosciuto qualsivoglia effetto del  rapporto
di pubblico impiego) trovi indennizzo di sorta, per quanto e' notorio
che molti tra gli attuali giudici in servizio abbiano rinunciato alle
proprie  attivita'  professionali  (forse  anche   per   ragioni   di
incompatibilita') o si siano adattati  ad  onerosi  trasferimenti  di
sede appunto fidando sulla lunga durata del rapporto di servizio, sia
pure onorario, garantita per legge. 
    3.6.3)  Senonche',  l'incongruenza  di  un   simile   regime   di
compatibilita' di funzioni a fronte di totale  disparita'  di  status
non  si  traduce   esclusivamente   -   in   prospettiva   futura   -
nell'inusitato disagio in cui verra' a trovarsi il capo  dell'ufficio
giudiziario  allorche'   dovra'   «tabellarmente»   disciplinare   la
distribuzione  degli  affari  correnti   tra   tutti   i   componenti
dell'ufficio, nell'evidente conflitto di interessi tra quelli di loro
che appetiscono ad una tale assegnazione (perche' intanto  guadagnano
in quanto producano)  e  quelli  che  non  appetiscono  ad  una  tale
assegnazione (perche' guadagnano comunque, anche se  non  producono),
ma si traduce anche in una patente e  ingiustificata  discriminazione
di trattamento che non trova  giustificazione  alcuna  nemmeno  nella
differenziata disciplina di status di cui dianzi si e' detto. 
    Ritiene infatti questa Corte remittente che non possa valere  per
questa peculiare situazione il principio gia'  piu'  volte  enunciato
dal giudice delle leggi (sentenza n. 60 del 2006,  ordinanze  n.  479
del 2000 e n. 272 del 1999) -secondo cui e'  impossibile  «assimilare
le posizioni dei  giudici  onorari  e  dei  magistrati  che  svolgono
professionalmente e in via esclusiva funzioni  giudiziarie»,  con  la
conseguenza  dell'ulteriore   «impossibilita'   di   comparare   tali
posizioni ai fini della valutazione del  rispetto  del  principio  di
uguaglianza,  a  causa  dello  svolgimento  a  diverso  titolo  delle
funzioni giurisdizionali, connotate dall'esclusivita' solo  nel  caso
dei magistrati ordinari di ruolo che  svolgono  professionalmente  le
loro funzioni») - perche' qui non si tratta di comparare disposizioni
incidenti sullo status ma  disposizioni  che  incidono  sugli  stessi
risultati concreti dello svolgimento  delle  prestazioni  di  lavoro,
cio' che prescinde  dalla  circostanza  che  si  tratti  di  funzioni
giurisdizionali  e  che  si  tratti  di  differenziati  rapporti   di
servizio,  potendosi  predicare  l'illegittimita'  di  una   siffatta
arbitraria discriminazione  in  relazione  a  qualsivoglia  posizione
lavorativa ed in qualsivoglia  ambito,  anche  indipendentemente  dai
suoi connotati caratterizzanti. 
    Vi e' infatti nella disciplina emanata con gia' citata norma  del
comma 14 dell'art. 1 della legge n. 130/1992 (che ha previsto che  il
potere di «applicazione ex officio» ad altra  sede  sia  esercitabile
soltanto «in danno» dei giudici tributari appartenenti al ruolo unico
di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183
e non anche dei magistrati  tributari  assunti  per  concorso  o  per
diretto  transito  dalle  altre  magistrature)  una  violazione   del
fondamentale  principio  di  equa  distribuzione  degli   oneri   tra
componenti del medesimo ordine professionale,  che  nella  specie  e'
addirittura aggravato dalla circostanza che l'onere e' imposto a  chi
gia' gode di minore tutele. 
    Sperequazione,  questa,  che  si  pone  addirittura  in  rapporto
inverso con la logica che presiede  all'assunzione  in  servizio  dei
componenti delle due categorie, nel senso che finiscono per diventare
discrezionalmente «amovibili»  quelli  che  sono  stati  assunti  per
l'esercizio delle funzioni in una sede di servizio predeterminata  ed
esclusiva, mentre invece restano «inamovibili» quelli che sono  stati
assunti per comporre  un  ruolo  unico  nazionale,  salvo  successiva
destinazione alla sede di servizio che sara' determinata  in  ragione
di apposite graduatorie di merito. 
    E si tratta di sperequazione che e' anche contraria  alla  regola
della giusta e sufficiente remunerazione delle prestazioni di  lavoro
(art. 36  Cost.),  atteso  che  i  giudici  tributari  «applicati  ex
officio» - in ragione delle disposizioni novelle gia'  in  precedenza
citate  (che  hanno   determinato   l'abolizione   del   sistema   di
redistribuzione del  contributo  unificato  sub  specie  di  compenso
variabile)  e  in  ragione  della  ritenuta  non  duplicabilita'  del
compenso fisso per i compiti espletati in regime di applicazione «non
esclusiva» - finiranno per percepire -a fronte dell'assunzione di  un
ulteriore munus non meno gravoso di quello  «originario»  -  il  solo
compenso  «variabile»  determinato  in  misura  puramente   simbolica
secondo i criteri che sono fissati nel ridetto art.  13  del  decreto
legislativo n. 546/1992, il quale rimanda ai  decreti  del  Ministero
delle finanze, tutt'ora fermi a valori dell'anno 2002. 
    Anche indipendentemente  dal  conflitto  con  queste  logiche  di
sistema, emerge comunque con chiarezza che non vi  e'  ragionevolezza
alcuna nella prevista disparita' di soggezione ad un potere che -  se
realmente fosse imprescindibile  al  fine  di  garantire  il  minimum
indispensabile di  esercizio  del  servizio  giudiziario  - nondimeno
dovrebbe   coinvolgere   tutti   i   componenti   dell'organizzazione
giudiziaria che siano in grado di svolgere le ridette imprescindibili
funzioni, salvo riconoscere che la norma di che trattasi e' connotata
da ingiustificata disparita' di trattamento e finanche  da  caratteri
incomprensibilmente «punitivi». 
    Ed e' percio' che questa Corte dubita della contrarieta' all'art.
3 Cost. della disciplina introdotta con il comma 14 dell'art. 1 della
legge n. 130/2022, anche in combinato disposto con gli articoli 13  e
13-bis  del  medesimo  decreto  legislativo,  se  ed  in  quanto   le
discipline contenute in dette ultime norme servono a dar maggiormente
conto dell'ingiustificata disparita'  di  trattamento  che  la  prima
delle  ridette  norme  provoca  alla  luce  della  gia'  macroscopica
differenza   di   trattamento   economico   che   le   seconde    due
predeterminano. 
    3.7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1-bis; dell'art.  8,
comma 1; dell'art. 9, comma 2 e comma 2-bis; dell'art.  11,  comma  1
del decreto legislativo n. 545/1992 cosi' come novellate  di  recente
dalla ridetta legge n. 130/2002, nella  parte  in  cui  le  anzidette
norme non prevedono, in ossequio all'art. 106 Cost.  che  ai  giudici
tributari  con  rapporto  di  servizio  onorario  siano  attribuibili
soltanto funzioni monocratiche. 
    3.7.1) Nel paragrafo che precede si  e'  detto  -  sia  pure  per
grandi  linee,  perche'  ragioni  di  sintesi  impediscono   maggiore
dettaglio - quale sia la manifesta sperequazione di  trattamento  che
distingue  lo  status  del  personale  onorario  della   magistratura
tributaria rispetto allo status del personale  «di  carriera».  Mette
appena conto rammentare qui che siffatta differenziazione non  sembra
possa trovare persistente giustificazione nel fatto che al «personale
onorario» si conceda di espletare - oltre al munus di che trattasi  -
anche altri uffici o attivita' professionali che con l'esercizio  del
ridetto munus restano compatibili. 
    Infatti,  e'  ormai  acquisito   (proprio   per   effetto   della
giurisprudenza del giudice delle leggi) il principio secondo il quale
«A seguito di interventi  legislativi  riformatori  nel  settore  del
pubblico impiego (nel cui ambito si colloca anche la  disciplina  del
part-time  come  compiutamente   delineata   "anche   attraverso   la
riscrittura delle regole relative alle incompatibilita',  gia'  poste
dal decreto legislativo n. 29/93") anche ad opera dell'art. 1,  comma
56, legge n. 662/1993 che ha apportato «una decisiva modifica ad  uno
di canoni fondamentali del rapporto del  pubblico  impiego,  e  cioe'
quello della esclusivita' della prestazione» e  ad  opera  del  comma
56-bis  che  "ha  completato  il   disegno   legislativo   disponendo
l'abrogazione (e non piu' l'inapplicabilita') di tutte le  norme  che
vietano ai pubblici  dipendenti  a  part-time  l'iscrizione  ad  albi
professionali e l'esercizio di altre prestazioni di  lavoro",  ne  e'
derivato un sistema che non solo non reca  "pregiudizio  al  corretto
funzionamento degli uffici", essendo anzi diretto "a privilegiare, in
modo non irragionevole,  il  valore  dell'efficienza  della  pubblica
amministrazione", ma non compromette nemmeno i principi  evocati  dal
rimettente a sostegno  della  sollevata  questione.  Nell'elidere  il
vincolo di esclusivita' della prestazione in  favore  del  datore  di
lavoro  pubblico,  il  legislatore,  proprio  per  evitare  eventuali
conflitti di interessi, ha provveduto, infatti, a porre  direttamente
(ovvero ha consentito alle amministrazioni di porre) rigorosi  limiti
all'esercizio, da parte del dipendente  che  richieda  il  regime  di
part-time  ridotto,  di  ulteriori   attivita'   lavorative   e,   in
particolare, di quella professionale forense, che se  esercitata  nel
rispetto di quei limiti e condizioni  risulta  pienamente  legittima»
(Corte cost. 11 giugno 2001, n. 189). 
    D'altronde, se realmente il legislatore avesse inteso  comprovare
che e'  interesse  del  ridetto  personale  onorario  proseguire  nel
contemporaneo esercizio dei ridetti impegni,  sarebbe  stato  agevole
prevedere (come in altri disegni di legge si era  proposto  di  fare,
nella prospettiva della riforma  poi  adottata  merce'  la  legge  n.
130/2022) un concorso riservato al ridetto personale (o almeno aperto
a tutti i  giudici  onorari  in  servizio)  onde  consentire  che  la
selezione del personale professionale  da  assumere  sotto  forma  di
rapporto  (esclusivo)  di  pubblico  impiego  facesse   emergere   le
opportune vocazioni di coloro che tali impegni non hanno o che  detti
impegni non intendono proseguire. 
    Il ridetto legislatore ha  invece  ritenuto  di  prescegliere  la
diversa via dello stretto corridoio (irto di condizioni e sbarramenti
che impediscono la partecipazione al maggior numero di  giudici  oggi
in servizio) attraverso il quale consentire ad un solo sparuto numero
di giudici onorari di  aspirare  ad  un  simile  risultato,  tuttavia
privilegiando le assunzioni ab esterno, secondo  uno  sviluppo  cosi'
diluito nel tempo  che  il  regime  transitorio  prefigurato  per  la
realizzazione di questo intento rischia  di  essere  piu'  lungo  del
periodo che e' intercorso tra la precedente riforma del 1992 e quella
odierna. 
    In tal modo detto legislatore ha di fatto prescelto di continuare
ad avvalersi dell'apporto del personale onorario  (riconoscendone  la
insostituibilita'),  pur   senza   attribuire   a   quest'ultimo   il
controvalore  -  sotto  ogni  punto  di  visuale  -   di   una   tale
collaborazione. 
    3.7.2) Preme allora a questa  Corte  remittente  evidenziare  che
siffatta scelta si e' tradotta in norme che - alla luce del  concreto
assetto  che  l'ordinamento  giudiziario  tributario  ha  finito  per
assumere in ragione della novella  e  nella  prospettiva  del  rigore
logico che deve informare l'intero ordinamento giuridico, e non  solo
alcuni ambiti di esso - appaiono collidere con la lettera della Carta
costituzionale, ed in specie con l'art. 106 Cost. 
    Il sospetto di contrarieta' a  Costituzione  delle  norme  dianzi
emarginate trova  il  suo  nutrimento  proprio  negli  argomenti  che
codesta ecc.ma Corte  ha  diffusamente  utilizzato  per  motivare  la
pronuncia n. 41  del  2022,  nella  quale  e'  convalidato  l'assunto
secondo cui le previsioni del ridetto art. 106 Cost. (la  regola  del
necessario concorso per l'assunzione; la limitazione all'esercizio di
funzioni di «giudice singolo», sia  pure  declinate  a  riguardo  dei
magistrati onorari) sono espressione  ineludibile  della  scelta  del
costituente per l'affidamento -  in  via  generale  -  dell'esercizio
della giurisdizione ai «magistrati togati». 
    Ed ora che la legge ordinaria ha previsto anche nel settore della
giustizia tributaria le modalita'  per  l'assunzione  di  «magistrati
togati», pare a questa Corte remittente che non sia piu' eludibile la
piena e puntuale applicazione di tale norma costituzionale, senza che
di cio' possa farsi differimento «sine die», come  di  fatto  avviene
per effetto del regime transitorio di cui si e' detto. 
    Si tratta di disposizioni - queste ultime - che sono inserite nel
titolo  IV  della  Carta  costituzionale  (che   si   intitola   alla
«Magistratura» tout court) e  che  percio'  stesso  non  possono  che
considerarsi applicabili anche alle magistrature  speciali,  e  tanto
piu' con riguardo a quelle magistrature speciali per le quali nessuna
norma di deroga e' espressamente prevista rispetto  alla  «disciplina
comune» dettata dalla Carta. 
    In  patente  conflitto  con  le  predette  norme  costituzionali,
invece, il legislatore del 2022 e' giunto a prevedere che -  come  si
e' gia' detto - sia  garantita  ai  giudici  tributari  (onorari)  la
maggioranza dei posti di componente delle Corti di  secondo  grado  e
che soltanto questi ultimi siano utilizzabili in  «applicazione»  per
la stabile composizione dei collegi di qualsivoglia ufficio (e quindi
anche di quelli delle Corti di secondo grado) ogni volta in cui  cio'
appaia necessario per garantire  l'esercizio  minimo  della  funzione
giudiziaria tributaria. 
    In virtu' di siffatte disposizioni potrebbe anche  in  futuro,  e
fino all'anno 2052, realizzarsi l'evenienza (che oggi e' regola)  che
i collegi delle Corti  di  giustizia  tributaria  di  primo  grado  e
financo quelli di secondo grado siano composti in via  esclusiva  con
personale  onorario,  nonostante   esistano   e   siano   idoneamente
utilizzabili per la bisogna i  magistrati  professionali  cui  spetta
pozione titolo. 
    3.7.3) Tuttavia, come gia' si  e'  accennato,  l'art.  106  Cost.
esprime la chiara scelta  del  Costituente  per  la  regola  generale
secondo cui  i  magistrati  (ordinari  o  speciali  che  siano)  sono
nominati esclusivamente a seguito dell'espletamento  di  un  pubblico
concorso, regola rispetto alla quale costituisce  eccezione  espressa
la  sola  eventualita'  prevista  dal  terzo   comma   della   stessa
disposizione. 
    Codesta ill.ma Corte costituzionale ha  infatti  messo  in  luce,
proprio nella dianzi richiamata  pronuncia  che  «Tale  assetto,  ...
costituisce, come si evince anche dai lavori preparatori, il punto di
arrivo di un complesso dibattito, in sede  di  lavori  dell'Assemblea
costituente, riguardo alle modalita' piu' idonee  di  assunzione  dei
magistrati  in  coerenza  con  le  scelte  fondamentali   in   ordine
all'autonomia e  all'indipendenza  dell'ordine  giudiziario  da  ogni
altro potere (art. 104, primo comma, Cost.)  e  alla  soggezione  del
giudice solo alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.), nonche'  al
divieto di istituzione di giudici  straordinari  o  giudici  speciali
(art. 102, secondo comma, Cost.). La  regola  generale  del  pubblico
concorso e' stata individuata come quella piu' idonea a concorrere ad
assicurare la separazione  del  potere  giurisdizionale  dagli  altri
poteri  dello  Stato  e  la  sua  stessa  indipendenza,  a   presidio
dell'ordinamento  giurisdizionale,  posto  dalla  Costituzione,   nel
titolo   IV   della   sua   Parte   II,   quale   elemento   fondante
dell'ordinamento della Repubblica. Questa Corte  ha  da  lungo  tempo
chiarito che il sistema generale di  reclutamento  mediante  pubblico
concorso  e'   strumentale   all'indipendenza   della   magistratura,
osservando che, pur se la sua prescrizione, contenuta nell'art.  106,
primo comma, Cost., costituisce essenzialmente una norma di  garanzia
di idoneita' a esercitare le funzioni giurisdizionali,  nondimeno  la
stessa concorre a  rafforzare  e  a  integrare  l'indipendenza  della
magistratura  (sentenza  n.  1  del  1967),  non  diversamente  dalla
garanzia dell'inamovibilita' (art. 107, primo comma, Cost.)». 
    Gia' in precedenza era stato sottolineato in  proposito  che  «la
funzione della interpretazione ed applicazione della  legge  richiede
il possesso della tecnica giuridica»  da  parte  dei  giudici  togati
(sentenza n. 76 del 1961). 
    Ed e' sempre codesta ill.ma Corte ad aver messo in chiaro che  se
«Il  Costituente  non  ha,  pero',  previsto  in   termini   assoluti
l'esclusivita'  dell'esercizio  della  giurisdizione  in  capo   alla
magistratura nominata a seguito di pubblico concorso, da  una  parte,
ha contemplato la possibilita', con riserva  assoluta  di  legge,  di
forme di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione  della
giustizia (art. 102, terzo comma, Cost.)»  ,  ...  d'altra  parte  ha
ritenuto che «potesse essere compatibile con la regola generale della
giurisdizione esercitata da una magistratura professionale alla quale
si  accede  mediante  pubblico  concorso»  sicche'   «tale   ritenuta
compatibilita' si  tradusse  nella  formulazione  del  secondo  comma
dell'art. 106 Cost.:  "La  legge  sull'ordinamento  giudiziario  puo'
ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per  tutte
le funzioni attribuite a giudici singoli"» (sentenza n. 41 del 2022). 
    Alla luce di queste autorevoli indicazioni (che confermano quelle
analoghe contenute nella sentenza n. 99 del 1964), non par  dubbio  a
questa Corte remittente  che  anche  nell'ambito  della  magistratura
speciale  tributaria   sia   tempo   di   «tracciare   un   perimetro
invalicabile» e cosi' riaffermare  la  volonta'  dei  costituenti  di
limitare le funzioni dei magistrati onorari  alla  giustizia  minore,
tale essendo considerata quella amministrata  dai  «giudici  singoli»
con  conseguente  esclusione  di  questi  ultimi  da  ogni  attivita'
collegialmente organizzata, salva la possibilita' di un'«assegnazione
precaria e  occasionale»,  riferita  a  «singole  udienze  o  singoli
processi», per la «supplenza in collegi  di  tribunale»  che  codesta
ecc.ma Corte ha - in via di deroga - ritenuto essere compatibile  con
il dettato del secondo comma dell'art. 106 Cost.,  facendo  esercizio
del potere di  interpretazione  adeguatrice  e  solo  in  virtu'  dei
caratteri  di  eccezionalita'  e   temporaneita'   dell'incarico   di
supplenza,  onde  si  possa  in  tal  modo  scongiurare  «il  rischio
dell'emergere di una nuova categoria di magistrati» (sentenza n.  103
del 1998). 
    Tutt'oggi,  invece,  vige  la  previsione  -   ad   opera   delle
disposizioni qui censurate - dello stabile svolgimento da  parte  dei
giudici tributari di funzioni (nient'affatto di giudici singoli,  ma)
collegiali presso le Corti tributarie di primo e  di  secondo  grado,
dove detto personale onorario e' strutturalmente inserito, come  gia'
sopra descritto, previsione  che  appare  - essere  del  tutto  fuori
sistema e si pone in radicale contrasto con l'art. 106, primo  comma,
Cost. 
    D'altronde,   una    siffatta    riconduzione    dell'ordinamento
giudiziario tributario a conformita'  con  la  Costituzione  e'  oggi
possibile senza che si creino peculiari disservizi per  la  comunita'
degli utenti proprio in virtu'  delle  innovazioni  introdotte  dalla
legge n. 130/2022  che  ha  disciplinato  la  figura  del  magistrato
tributario  professionale  (addirittura  consentendo  che   i   ruoli
organici degli stessi, ritenuti sufficienti  per  l'assolvimento  del
compito di giudicare,  siano  quanto  prima  occupati  da  magistrati
transitandi dalle altre magistrature  ordinaria  o  speciali)  ed  ha
contempo previsto lo svolgimento di funzioni giudiziarie monocratiche
di primo grado (art. 4-bis del decreto legislativo n. 546/1992)  alle
quali potranno essere convenientemente assegnati  tutti  gli  attuali
giudici onorari, cosi' realizzandosi piu' rapidamente quel  traguardo
di smaltimento degli arretrati a cui il legislatore del  2022  si  e'
fatto vanto di avere provveduto. 
    4) In conclusione, appaiono a  questa  Corte  non  manifestamente
infondati  i  dubbi  che  le  norme   di   paragrafo   in   paragrafo
analiticamente menzionate siano in contrasto con le  norme  parametro
di rango costituzionale esse pure di volta  in  volta  enucleate  nel
corso dello svolgimento della motivazione della  presente  ordinanza,
sicche'  si  impone  la  rimessione  della   questione   alla   Corte
costituzionale, affinche' verifichi la  fondatezza  di  ciascuno  dei
predetti dubbi.