IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           Sezione seconda 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 7766 del 2021, proposto da  Assobibe  (Associazione
italiana tra gli industriali delle bevande  analcooliche),  Fonti  Di
Posina S.p.A., Romanella Drinks S.r.l.,  in  persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e  difese  dal
prof. avv. Marcello Clarich, con domicilio digitale come  da  PEC  da
registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo  studio
sito in Roma, viale Liegi n. 32; 
    Contro il Ministero dell'economia e delle finanze,  il  Ministero
della salute, la Presidenza del Consiglio dei  ministri  e  l'Agenzia
delle dogane  e  dei  monopoli,  in  persona  dei  rispettivi  legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
generale dello  Stato,  domiciliataria  ex  lege  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; 
    Sul ricorso  numero  di  registro  generale  n.  7874  del  2021,
proposto da Sibeg S.r.l., in persona del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Saverio  Sticchi
Damiani e Chiara  Nuzzo,  con  domicilio  digitale  come  da  PEC  da
registri di giustizia; 
    Contro Ministero dell'economia e  delle  finanze,  Agenzia  delle
dogane  e  dei   monopoli,   in   persona   dei   rispettivi   legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
generale dello  Stato,  domiciliataria  ex  lege  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; 
    Per l'annullamento: 
        per quanto riguarda il ricorso n. 7766 del 2021: 
          del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del
12 maggio 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.  125  del  27
maggio 2021, recante «Imposta di consumo  sulle  bevande  edulcorate»
che stabilisce le modalita' di attuazione dell'art. 1, commi da 661 a
676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante disposizioni per la
formazione  del  bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2020 e bilancio pluriennale per  il  triennio  2020-2022,
con il quale  e'  istituita  un'imposta  sul  consumo  delle  bevande
edulcorate, come definite all'art. 1, comma 662 della predetta  legge
n. 160 del 2019; 
          di   ogni   altro   atto    connesso,    presupposto    e/o
consequenziale, ivi compreso, per quanto occorrer possa,  il  decreto
interdirettoriale del Ministero dell'economia e delle finanze  e  del
Ministero della salute del 15 ottobre 2020, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n.  260  del  20  ottobre  2020,   con   il   quale   sono
convenzionalmente stabiliti, ai sensi del comma 667 del predetto art.
1 della legge n. 160 del 2019, il potere edulcorante  delle  sostanze
ivi indicate a confronto con il saccarosio nonche', con riferimento a
tale  potere,  le  relative   quantita'   delle   medesime   sostanze
equivalenti a 1 grammo del medesimo saccarosio; 
        per quanto riguarda il ricorso n. 7874 del 2021: 
          del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del
12 maggio 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.  125  del  27
maggio 2021, recante «Imposta di  consumo  sulle  bevande  edulcorate
(21A03190)» e dei modelli ad esso allegati; 
          nonche'   di   ogni   atto   presupposto,   connesso    e/o
consequenziale; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  delle  amministrazioni
resistenti; 
    Visti  l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87; 
    Visto l'art. 79 del codice del processo amministrativo; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  26  ottobre  2022  il
dott. Michele Tecchia; 
1. Lo svolgimento del giudizio. 
    1.1. Il ricorso iscritto al numero di ruolo n. 7766/2021. 
    Con il ricorso iscritto nel registro generale  del  2021  con  il
numero 7766,  le  tre  ricorrenti  -  premesso  di  essere  la  prima
(Assobibe)  un'associazione  di  categoria  raggruppante  le  imprese
produttrici e distributrici di bevande analcoliche in Italia,  mentre
la seconda e la terza  due  imprese  iscritte  a  detta  associazione
(Fonti di Posina  S.p.A.  e  Romanella  Drinks  S.r.l.)  -  insorgono
avverso il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 12
maggio 2021 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 27 maggio
2021), adottato ai sensi dell'art. 1, comma 675,  legge  27  dicembre
2019, n. 160. 
    Quest'ultima norma di legge ha introdotto  in  Italia  una  nuova
imposta sul consumo (c.d. «sugar tax») che - al dichiarato  scopo  di
contrastare il diabete, l'obesita' ed altri specifici effetti dannosi
per la salute umana -  colpisce  le  bevande  analcoliche  contenenti
sostanze edulcoranti, id est qualsiasi tipo di  zucchero  aggiunto  -
diverso dagli zuccheri gia' presenti in  natura  in  una  determinata
bevanda - atto a conferire un sapore dolce alla bibita. 
    Il summenzionato decreto  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze del 12 maggio 2021 (nel  prosieguo  anche  il  «decreto»)  e'
stato adottato allo scopo di dare attuazione concreta all'insieme  di
regole contenute nei commi 661-676 del citato art. 1 della  legge  27
dicembre 2019, n. 160. 
    I  rilievi   censori   mossi   dalle   ricorrenti   all'indirizzo
dell'avversato decreto possono ascriversi a due distinte categorie, e
cioe' da  un  lato  profili  di  illegittimita'  derivata  incentrati
sull'incostituzionalita' e antieuronitarieta' della norma di legge su
cui il decreto poggia,  dall'altro  lato  profili  di  illegittimita'
propria per vizi autonomi (o per  meglio  dire  endo-provvedimentali)
slegati  dall'incostituzionalita'  e  antieuronitarieta'  della  base
legale. 
    Quanto alla prospettata illegittimita'  derivata,  le  ricorrenti
instano anzitutto per una rimessione alla Corte costituzionale  della
questione di legittimita' costituzionale del  summenzionato  art.  1,
commi 661-676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (su cui come visto
poggia il decreto impugnato) per violazione degli  articoli  3  e  41
della Costituzione, ovviamente previa delibazione della sua rilevanza
e non manifesta infondatezza. La richiesta di rimessione  degli  atti
alla Corte costituzionale poggia sui seguenti argomenti: 
        i) violazione del principio di uguaglianza e/o ragionevolezza
ex art. 3 della Costituzione - letto nella sua duplice  accezione  di
eguaglianza sostanziale e  proporzionalita'  -  in  quanto  la  nuova
imposta de qua  va  a  colpire  indifferentemente  tutte  le  bevande
analcoliche  contenenti  additivi  edulcoranti   (anche   noti   come
«zuccheri  aggiunti»),  indipendentemente  dall'origine  naturale   o
sintetica di tali  additivi,  cosi'  trascurando  il  fatto  che  gli
edulcoranti sintetici - a differenza di quelli naturali  -  sono  non
soltanto privi di calorie ma anche sottoposti a  «limiti  massimi  di
impiego  per  ogni  categoria  alimentare»  prestabiliti  a   livello
euro-unitario.  A  quest'ultimo  riguardo,  parte   ricorrente   cita
l'esempio  dell'aspartame,  deducendo  che  «la   quantita'   massima
utilizzabile  di  un  edulcorante  artificiale,  come,  ad   esempio,
l'aspartame, e' di 600 mg/l (vedi allegato II al regolamento, p. 263,
doc. 5) mentre la dose massima giornaliera, espressa in base al  peso
corporeo, e' di 40 mg/kg, fissata nel 1984 dal  Comitato  scientifico
dell'alimentazione umana «Scientific Committee on Food - SCF», le cui
competenze  sono  state  trasferite  all'Autorita'  europea  per   la
sicurezza alimentare - «EFSA» nel 2002  la  quale  ha  confermato  il
predetto   limite».   Sostiene   parte   ricorrente,   quindi,    che
l'applicazione  indifferenziata   della   c.d.   «sugar   tax»   agli
edulcoranti naturali e a quelli sintetici contrasterebbe sia  con  il
parametro dell'eguaglianza tributaria (disincentivando  nella  stessa
misura il  consumo  di  due  categorie  di  additivi  rispettivamente
ipercalorici  ed  ipocalorici,  questi  ultimi   quindi   del   tutto
irragionevolmente), sia il parametro di proporzionalita'  sub  specie
di idoneita' della misura allo scopo (atteso  che  l'obiettivo  della
lotta all'obesita' e al diabete non puo' essere certamente realizzato
con la disincentivazione del consumo di quelle sostanze edulcoranti -
come per l'appunto  gli  zuccheri  sintetici  -  che  sono  prive  di
qualsiasi apporto calorico); 
        ii)   violazione   del   principio   di    uguaglianza    e/o
ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione - letto ancora una  volta
nella  sua   duplice   accezione   di   eguaglianza   sostanziale   e
proporzionalita' - in quanto  il  nuovo  prelievo  fiscale  introduce
un'irragionevole disparita'  di  trattamento  rispetto  a  situazioni
sostanzialmente uguali. Espongono in particolare  le  ricorrenti  che
«se l'intenzione del legislatore era quella di  limitare  il  consumo
degli edulcoranti, naturali e sintetici, non  sussiste  alcun  motivo
logico per il quale questi vengono tassati  solamente  se  essi  sono
utilizzati nelle bevande (il  cui  consumo  come  sopra  chiarito  e'
irrilevante nel nostro Paese) e non anche negli  altri  alimenti.  Le
sostanze in questione, proprie perche' in grado di conferire un gusto
dolce sono molto utilizzati nei  cibi:  dolci,  biscotti,  chewingum,
gelati, cioccolatini etc. La scelta quindi di contrastare il  consumo
degli edulcoranti  colpendo  solo  le  bibite  appare  irragionevole,
discriminatoria e, in ogni caso, non idonea  a  raggiungere  il  fine
prefissato dalla disposizione tenuto conto del minimo impatto che  le
bibite edulcorate hanno sulla dieta italiana»; 
        iii)   violazione   del   principio   di   uguaglianza    e/o
ragionevolezza ex art.  3  della  Costituzione,  visto  questa  volta
esclusivamente  sotto   l'angolo   prospettico   del   principio   di
proporzionalita'  nella  sua  meccanica  c.d.  trifasica  (idoneita',
necessita' e proporzionalita' in  senso  stretto  della  nuova  norma
impositiva). In particolare: 
          per  quel  che  riguarda  l'idoneita'  del  nuovo  prelievo
fiscale rispetto all'obiettivo che esso persegue (id est la riduzione
di obesita', diabete ed altri effetti collaterali connessi al consumo
di edulcoranti sintetici), tale presupposto sarebbe eliso  in  radice
non soltanto dal fatto che  il  prelievo  colpisce  irragionevolmente
pure le sostanze ipocaloriche (id est gli edulcoranti sintetici),  ma
anche dal fatto che il consumo di bevande analcoliche  in  Italia  e'
del tutto irrisorio. Al riguardo, parte ricorrente evidenzia che  «in
Italia, il consumo delle c.d. «soft drink» (altra denominazione delle
bevande edulcorate oggetto della nuova  imposta)  e'  il  piu'  basso
d'Europa (secondo solo alla Grecia) e del mondo, pertanto non esiste,
in radice, il presupposto «colpito» dalla nuova imposizione  (consumo
eccessivo  delle  bevande  edulcorate)»,  e   che   «non   c'e'   una
correlazione tra consumo  di  tali  bevande  e  aumento  di  casi  di
obesita' o diabete. Peraltro, l'irragionevolezza dell'istituzione  di
un'imposta  sul  consumo  delle  bevande  edulcoranti  per  finalita'
salutistiche trova conferma anche dall'esperienza degli altri  Paesi.
In Finlandia e in Norvegia, dove l'imposta  e'  in  vigore  da  oltre
vent'anni, non si sono  registrati  benefici,  mentre  in  Francia  i
risultati sono stati minimi, con riduzione di 3 calorie al giorno per
consumatore  rispetto  ad   una   media   di   2.000/2.500.   Risulta
particolarmente  significativa  l'esperienza  della  Danimarca,  dove
l'imposta in questione e' stata eliminata nel 2012  dopo  appena  due
anni per assenza di alcun impatto positivo ne'  sulla  riduzione  dei
consumi, che sono rimasti comunque  molto  sostenuti,  ne'  tantomeno
sulla salute (per  il  confronto  con  gli  altri  Paesi  dell'Unione
Europea v. doc. 10, pag. 6 e doc. 11, pag. 76 seg.)»; 
          per quel che riguarda invece il requisito della  necessita'
e proporzionalita' in senso stretto  della  c.d.  «sugar  tax»,  tale
presupposto sarebbe escluso dal fatto che l'imposta «determina  gravi
ripercussioni economiche e sociali nel settore in questione.  Da  uno
studio di TradeLab del 2019 (doc.  16)  emerge  che  le  imprese  del
settore rappresentato da Assobibe patirebbero una contrazione del 10%
del fatturato a  causa  di  questa  imposta  che,  oltre  a  togliere
liquidita' ogni mese per  i  versamenti  dell'imposta  determina  una
contrazione di attivita' e  vendite,  stimata  nel  10%  nel  periodo
pre-Covid e nel 16% per il biennio 2022-2023 alla luce di nuove stime
Nomisma elaborate nel 2021 (doc. 11, pag. 67 seg.).  A  queste  stime
vanno aggiunti i  costi  di  adeguamento  amministrativo,  precedenti
all'entrata in vigore, prevista  per  il  1°  gennaio  2022,  per  la
conformita' ai dettami imposti dal  decreto  attuativo».  Sempre  nel
senso di escludere il parametro della necessita' del  nuovo  prelievo
fiscale, parte ricorrente soggiunge che  l'obiettivo  dichiarato  dal
legislatore   con   la   relazione   illustrativa   (cfr.   relazione
illustrativa al disegno di legge  di  bilancio  integrato  2020-2022,
Atti parlamentari, Senato della Repubblica, n.  1586)  e'  quello  di
disincentivare il consumo delle sole bevande con contenuto  «elevato»
di sostanze edulcoranti. Ne discende che la norma contenuta nel comma
666 della legge n. 160 del  2019,  laddove  prevede  una  «soglia  di
dolcezza»  (al  di  sotto  della  quale  l'imposta  non  si  applica)
eccessivamente bassa - pari «a 25 grammi per litro»  per  i  prodotti
finiti e a 125 grammi per chilogrammo «per i prodotti predisposti  ad
essere utilizzati previa diluizione» - finirebbe sostanzialmente  per
disincentivare non soltanto  il  consumo  di  bevande  con  contenuto
«elevato» di sostanze edulcoranti, ma anche il consumo di bevande con
qualsiasi  minimo  contenuto  edulcorante.  Pertanto,  una  soluzione
alternativa  percorribile,  ma   meno   gravosa,   erroneamente   non
considerata dal legislatore, sarebbe  stata  quella  di  fissare  una
soglia di dolcezza piu' elevata e meno irragionevole. 
    Identificati   i   profili   censori   incentrati   sull'asserita
illegittimita' costituzionale della legge di cui il decreto impugnato
costituisce attuazione, va soggiunto che parte ricorrente  si  duole,
in  via  subordinata,   anche   di   una   possibile   illegittimita'
eurounitaria di tale legge, per contrasto con gli articoli 49,  56  e
101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). 
    Tenuto  conto,  infatti,  che  l'imposta  non  si  applica   alle
esportazioni  (comma  666),  parte  ricorrente  sostiene   che   tale
esenzione comporterebbe un forte svantaggio per le  imprese  italiane
che  operano  solo  (o  comunque  prevalentemente)   nel   territorio
nazionale, costrette  a  vendere  i  propri  prodotti  ad  un  prezzo
superiore rispetto a quello offerto dalle imprese che esportano  (non
incise dall'imposta) o a quello offerto per gli stessi prodotti negli
altri  Stati  membri,  determinandosi  cosi'   un'alterazione   della
concorrenza a svantaggio  delle  imprese  italiane  che  operano  nel
territorio nazionale. 
    In coerenza con quanto precede - ed in  subordine  rispetto  alla
richiesta di incidente di costituzionalita' - parte ricorrente  insta
affinche' il collegio  sollevi  ai  sensi  dell'art.  267  del  TFUE,
davanti alla Corte di  giustizia  dell'Unione  europea,  la  seguente
questione pregiudiziale: «se gli articoli 49, 56 e 101 TFUE nonche' i
principi di liberta' di stabilimento, libera prestazione dei  servizi
e  di  libera  concorrenza  ostino  a  una  disposizione  legislativa
nazionale quale l'art. 1, commi 661-676 della legge n.  160/2019  che
introduce un'imposta sulle bevande  analcoliche  contenenti  sostanze
edulcoranti applicabile solo nel mercato dello Stato  membro  che  ha
emanato la predetta disposizione». 
    Identificate  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  ed
eurounitaria sollevate in relazione alla disciplina di legge  di  cui
il decreto costituisce attuazione, vanno richiamati, a questo  punto,
i profili censori incentrati  sull'illegittimita'  propria  di  detto
decreto, e cioe' sui suoi vizi «autonomi» slegati  dall'incidente  di
costituzionalita'. 
    A sostegno della domanda  di  annullamento,  in  particolare,  si
afferma che il decreto avrebbe introdotto - in fase di determinazione
delle modalita' di versamento e accertamento della  nuova  imposta  -
adempimenti  amministrativi  e  contabili  eccessivamente  gravosi  e
sproporzionati  a  carico  dei  produttori  di  bevande   analcoliche
contenenti sostanze edulcoranti. 
    Cio' in spregio del fatto che la c.d. «sugar tax»  e'  un'imposta
sul consumo, sicche' essa non avrebbe dovuto imporre  nuovi  oneri  a
carico del produttore, salvo quelli  strettamente  indispensabili  al
versamento dell'imposta. 
    1.2. Il ricorso iscritto al numero di ruolo n. 7874/2021. 
    Con il ricorso iscritto nel registro generale del 2021 con il  n.
7874, la societa' Sibeg S.r.l. - premesso di essere la  societa'  che
si   occupa   nel   territorio   siciliano   della    produzione    e
commercializzazione delle bevande a marchio The Coca-Cola  Company  -
insorge avverso il medesimo  decreto  del  MEF  del  12  maggio  2021
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.  125  del  27  maggio  2021)
avversato nel summenzionato giudizio contraddistinto dal NRG 7766 del
2021. 
    Anche i rilievi  censori  mossi  da  Sibeg  S.r.l.  all'indirizzo
dell'avversato decreto investono da un lato profili di illegittimita'
derivata  incentrati  sull'incostituzionalita'  e  antieuronitarieta'
della norma di legge su cui il decreto  poggia  e,  dall'altro  lato,
profili di illegittimita' propria per vizi autonomi. 
    Quanto ai primi, Sibeg S.r.l. sostiene che  la  base  legale  del
decreto e' viziata dai seguenti profili di incostituzionalita': 
        violazione dell'art. 3 della Costituzione nella  sua  duplice
accezione  di  eguaglianza  tributaria   e   ragionevolezza.   Quanto
all'eguaglianza tributaria, essa sarebbe lesa dalla sperequazione tra
bevande contenenti sostanze edulcoranti (incise dalla «sugar tax»)  e
altri prodotti alimentari diversi dalle bevande  aventi  le  medesime
sostanze  (non  incisi  invece  dalla  «sugar  tax»).   Quanto   alla
ragionevolezza, essa sarebbe lesa dal contraddittorio  perseguimento,
da parte del legislatore fiscale, di  due  obiettivi  ontologicamente
confliggenti, ossia da un lato l'obiettivo di ridurre la  domanda  di
mercato di certi prodotti dannosi per la salute e,  dall'altro  lato,
l'obiettivo di incrementare gli introiti dello  Stato.  Irragionevole
sarebbe,  in  tesi,  anche  la  scelta  legislativa  di  cercare   di
disincentivare il consumo  di  certi  prodotti  con  un'imposta  che,
pero', impatta piu' sul produttore che sul  consumatore,  nonche'  di
intervenire su un settore di consumo che in Italia non  raggiunge  le
soglie di criticita' di altri paesi europei; 
        violazione dell'art. 3  della  Costituzione  in  rapporto  al
principio  di  capacita'  contributiva  di  cui  all'art.  53   della
Costituzione,  atteso  che  l'imposta  e'  liquidata  «in  base  alla
quantita'  di  edulcorante,  naturale  o  sintetico,   presente   nel
prodotto, per cui il soggetto obbligato (il fabbricante, il  soggetto
nazionale   che   provvede   al   condizionamento,   l'acquirente   e
l'importatore) e' tenuto al pagamento di un'imposta finale  che  pesa
sul proprio bilancio in modo del tutto indipendente  dagli  introiti»
(cfr. pag. 17 del ricorso introduttivo di Sibeg S.r.l.); 
        violazione dell'art. 41 della  Costituzione,  atteso  che  di
fronte ad un'imposizione di questo tipo, gli operatori del settore si
troverebbero  nell'impossibilita'  di  pianificare  correttamente   i
propri investimenti e di adeguare le strutture aziendali  alla  nuova
imposizione. 
    Sibeg S.r.l. lamenta inoltre la contrarieta' della nuova  imposta
al diritto euro-unitario, nonche' in via subordinata l'illegittimita'
«autonoma»     del     decreto     impugnato      (a      prescindere
dall'incostituzionalita'  o  illegittimita'  comunitaria  della  base
legale) sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente corrispondenti
a quelle gia' esposte nel primo ricorso NRG 7766/2021. 
    1.3. Le difese sviluppate  dalle  amministrazioni  resistenti  in
entrambi i giudizi. 
    Le amministrazioni resistenti si sono ritualmente  costituite  in
giudizio contestando  i  due  ricorsi  e  chiedendone  la  reiezione,
eccependo in particolare che: 
        i  due  gravami  sarebbero  anzitutto  inammissibili  per  un
duplice ordine di ragioni, e cioe' da un  lato  perche'  difetterebbe
l'interesse ad agire delle ricorrenti, stante l'assenza di  lesivita'
del decreto impugnato,  il  quale  recherebbe  statuizioni  normative
generali e astratte, e dall'altro lato perche' ci sarebbe un  difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo adito ex  art.  7,  primo
comma, codice del processo amministrativo, atteso che il  gravame  e'
essenzialmente rivolto  a  censurare  un  atto  politico,  quale  per
l'appunto sarebbe l'atto legislativo di cui  il  decreto  costituisce
attuazione; 
        in ogni caso  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sarebbe infondata, atteso che: 
          i)  il   legislatore   ha   compiutamente   individuato   e
selezionato i beni da sottoporre ad imposta sul  consumo,  un'imposta
chiaramente connotata da una finalita' extra-fiscale disincentivante,
ispirata dall'interesse alla tutela della salute pubblica,  il  tutto
avendo cura, in coerenza con l'art. 41  della  Costituzione,  di  non
frapporre alcuna limitazione  assoluta  all'esercizio  dell'attivita'
delle aziende operanti nel settore; 
          ii) l'imposta di cui si discorre colpisce in  egual  misura
tanto le  bevande  edulcorate  ottenute  da  impianti  di  produzione
nazionali, quanto quelle  provenienti  da  altri  Stati  appartenenti
all'Unione europea, nonche' le bevande edulcorate importate da  Paesi
extra-UE. 
    Alla camera di consiglio del  12  gennaio  2022  fissata  per  la
trattazione  dell'istanza  cautelare  in  entrambi  i   giudizi,   le
ricorrenti - preso atto del sopravvenuto differimento legislativo  al
1° gennaio 2023 della data di entrata in vigore  della  normativa  di
legge su cui e' basato il decreto impugnato (cfr. art. 1,  comma  12,
lettera b) della legge 30 dicembre 2021, n. 234,  che  ha  modificato
l'art. 1, comma 676 della legge n. 160/2019, rinviando la  decorrenza
dell'efficacia dei commi 661-676 dell'art. 1 della legge n. 160/2019,
postergando quindi di un anno l'entrata in vigore della «sugar  tax»)
- hanno rinunziato alla richiesta di misure sospensive cautelari. 
    Successivamente,  all'esito  di  una  nuova   istanza   cautelare
ritualmente notificata e depositata ex art. 55  codice  del  processo
amministrativo nel mese di settembre 2022 per entrambi i giudizi  (in
vista dell'approssimarsi della nuova data di entrata in vigore  della
legge istitutiva della «sugar tax», attualmente fissata al 1° gennaio
2023), nella camera di consiglio del 12 ottobre 2022  il  collegio  -
preso  atto  della  disponibilita'  delle  ricorrenti  a   rinunziare
all'istanza  cautelare  a  fronte  di   una   fissazione   anticipata
dell'udienza di merito, nonche' del consenso  prestato  da  tutte  le
parti a tale fissazione e della loro abdicazione ai termini  ex  art.
73, comma 1, codice del processo amministrativo - cancellava  le  due
cause dal ruolo delle sospensive cautelari e le rinviava  all'udienza
pubblica del 26 ottobre 2022 per la definizione del merito. 
    Alla suddetta udienza di merito il Collegio - previa  discussione
delle due cause - introitava quest'ultime in decisione. 
2. La rimessione della questione di  legittimita'  costituzionale  al
giudice delle leggi. 
    Il collegio ritiene di riunire i gravami, ai sensi  dell'art.  70
codice del processo amministrativo, in quanto  sussiste  una  stretta
connessione oggettiva, sotto il profilo del petitum immediato e della
causa petendi, tra i contenziosi aventi  ad  oggetto  la  domanda  di
annullamento del decreto sopra menzionato. 
    Il collegio condivide  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
prospettati   delle   ricorrenti,   ritenendo   rilevante    e    non
manifestamente infondata la questione della conformita' dell'art.  1,
commi  661-676  della  legge  n.  160/2019,  con   l'art.   3   della
Costituzione. 
    2.1.   Sulla   rilevanza   della   questione   di    legittimita'
costituzionale. 
    La  questione  di  legittimita'   costituzionale   e'   anzitutto
rilevante ai fini della decisione del presente giudizio, non  essendo
possibile respingere in  rito  il  ricorso  in  base  alle  eccezioni
pregiudiziali delle amministrazioni resistenti. 
    Quanto infatti al prospettato difetto di  giurisdizione  (la  cui
inerenza  alla   potestas   iudicandi   ne   rende   prioritaria   la
trattazione), esso va respinto perche' e' ben possibile che il  vizio
che   affligge   il   provvedimento   amministrativo   si   esaurisca
nell'incostituzionalita' della  norma  di  legge  su  cui  lo  stesso
provvedimento si regge, senza che tale profilo censorio  esorbiti  in
un'indebita  richiesta  di  sindacato  giurisdizionale  di  un   atto
politico (id est la legge in tesi incostituzionale). 
    Ed invero, l'ipotesi di cui si discorre e' per  l'appunto  quella
dell'impugnazione  di  un  provvedimento  amministrativo  emanato  in
applicazione di  una  norma  in  tesi  incostituzionale  (cfr.  Corte
costituzionale n. 361/2004;  n.  71/2001;  n.  30/1987;  n.  86/1982;
nonche' Corte costituzionale n. 134/1963, in cui i  ricorrenti  hanno
congegnato  il  ricorso  articolandolo   su   due   motivi   entrambi
coincidenti con dubbi di costituzionalita'). 
    In   questo   caso   la   configurazione   dell'atto   giudiziale
introduttivo sembra incidere sulla nozione di rilevanza,  dissolvendo
la logica della pregiudizialita' tra due questioni (l'una  principale
e l'altra strumentale) per generare una (apparente)  coincidenza  tra
il dubbio sulla legittimita' costituzionale di una norma di  legge  e
la risoluzione del  merito  della  controversia  dinanzi  al  giudice
amministrativo. 
    In realta', il Consiglio di Stato ha da tempo chiarito  che  tale
peculiarita' - consistente per l'appunto  nell'apparente  coincidenza
della questione principale di merito con la  questione  pregiudiziale
di costituzionalita' - non elide affatto il carattere incidentale del
dubbio di legittimita' costituzionale, essendo del tutto indifferente
il fatto che l'eventuale decisione della Corte costituzionale  «possa
esaurire la  materia  sottoposta  all'indagine  del  giudice  che  ha
ordinato la trasmissione degli atti, vincolando completamente la  sua
pronuncia alla sentenza»  della  stessa  Corte  costituzionale  (cfr.
Consiglio di Stato, sezione IV, 3 aprile 1957, n. 393, in giur.  it.,
1953, III, 93. cfr. anche Tar Sicilia, ordinanza 27 novembre 1997, n.
3121,  in  giust.  amm.  sic.,  1997,  1340,  in  cui  si   riconosce
chiaramente che «la dedotta incostituzionalita'  di  una  norma  puo'
costituire  l'unico  motivo  su   cui   puo'   validamente   fondarsi
l'impugnazione»). 
    La stessa Corte costituzionale ha affermato chiaramente che anche
la «circostanza che la dedotta  incostituzionalita'  di  una  o  piu'
norme legislative costituisca l'unico motivo di  ricorso  innanzi  al
giudice a quo, non impedisce di considerare sussistente il  requisito
della rilevanza» (cfr. ex multis  Corte  costituzionale,  n.  4/2000,
nonche' Corte costituzionale n. 138/2017; n. 16/2017; n. 128/1999; n.
263/1994). 
    Ed infatti,  se  il  giudice  delle  leggi  giunge  a  dichiarare
incostituzionale la norma di legge su cui  poggia  (a  vario  titolo)
l'atto amministrativo impugnato,  il  giudice  amministrativo  rimane
comunque il dominus  del  proprio  processo,  dovendo  esercitare  il
potere di annullamento dell'atto, non potendo certo sostenersi che la
sentenza di illegittimita' possa soddisfare direttamente  il  petitum
del ricorso amministrativo. 
    In tale quadro di principi, pertanto, non e' revocabile in dubbio
che  gli  odierni  gravami  -  con  cui  le  ricorrenti  si   dolgono
prioritariamente proprio dell'incostituzionalita' della legge su  cui
il decreto impugnato si basa - non integrano affatto gli  estremi  di
un'indebita richiesta di sindacato dell'atto politico  da  parte  del
giudice amministrativo in spregio dell'art. 7 del codice del processo
amministrativo, bensi' di uno strumento rimediale pienamente coerente
con il nostro sistema costituzionale, oltre che gia'  ben  noto  alla
giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    Ne discende che i gravami de quibus -  lungi  dal  risolversi  in
un'inammissibile impugnazione dell'atto politico (id est della legge)
- consistono invero nell'impugnazione di un atto  amministrativo  con
contenuto normativo (id est  il  decreto  impugnato),  il  cui  vizio
genetico risiede nell'ipotizzata incostituzionalita' della  sua  base
di legge, rispetto alla  quale  viene  sollecitato  un  incidente  di
legittimita' costituzionale. 
    Orbene, tutto cio' rientra ictu oculi  nel  pieno  dominio  della
giurisdizione di legittimita' del giudice amministrativo  adito,  con
conseguente infondatezza dell'eccezione di difetto di  giurisdizione,
che va quindi respinta. 
    Ugualmente  infondata  e'  l'eccezione  di  inammissibilita'  del
ricorso per supposta carenza di interesse ad agire, la  quale  riposa
sulla presunta assenza di lesivita' del decreto impugnato. 
    Costituisce   principio    consolidato    della    giurisprudenza
amministrativa, infatti, quello secondo cui  gli  atti  normativi  (a
prescindere dal loro  formale  nomen  juris  di  atti  regolamentari)
devono  essere  immediatamente   ed   autonomamente   impugnati,   in
osservanza del termine decadenziale, solo laddove  gli  stessi  siano
suscettibili di produrre, in via diretta ed  immediata,  una  lesione
concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto,
mentre, nel caso di volizioni astratte e  generali,  suscettibili  di
ripetuta applicazione  e  che  esplichino  effetto  lesivo  solo  nel
momento  in  cui  e'  adottato  l'atto  applicativo,  la   previsione
normativa non deve essere oggetto di autonoma impugnazione - la quale
sarebbe peraltro inammissibile per difetto di una lesione concreta  e
attuale -  ma  deve  essere  impugnata  unitamente  al  provvedimento
applicativo di cui costituisce l'atto  presupposto,  in  quanto  solo
quest'ultimo rende concreta la lesione degli interessi  di  cui  sono
portatori i destinatari, potendo,  quindi,  le  previsioni  normative
formare oggetto di censura in occasione  dell'impugnazione  dell'atto
che ne fa applicazione. 
    Venendo al caso di specie, pertanto,  non  appare  revocabile  in
dubbio che le previsioni normative contenute  nel  decreto  impugnato
sono certamente atte a produrre, in via  diretta  ed  immediata,  una
lesione concreta ed  attuale  della  sfera  giuridica  delle  odierne
ricorrenti. 
    Lesione capace di consumarsi ben prima di (e  a  prescindere  da)
qualsiasi  eventuale  atto  applicativo  successivo,  posto  che   le
previsioni di detto decreto recano obblighi gia' di per se' imminenti
e stringenti, tra i quali vanno citati, a mero titolo esemplificativo
e non esaustivo, quelli di: 
        i) denuncia all'ADM per ciascun impianto di produzione  -  da
parte dei singoli esercenti impianti di  produzione  e  dei  soggetti
cedenti bevande edulcorate - dell'esercizio  dell'attivita',  e  cio'
indicando, inter alia, le tipologie  di  bevande  edulcorate  che  si
intendono produrre (con la specificazione delle relative  voci  della
nomenclatura  combinata  dell'Unione  europea),  la  quantita'  annua
stimata di bevande edulcorate che si  intendono  produrre  per  conto
proprio ovvero per conto di soggetti terzi anche  non  residenti,  la
quantita' annua stimata di  edulcoranti  necessaria  alla  produzione
delle bevande in questione; 
        ii) redazione ed invio di specifici  prospetti  riepilogativi
nei quali sono annotati i quantitativi di bevande edulcorate ottenuti
nell'impianto di produzione. 
    Ne' vale eccepire, in senso contrario, che la disciplina di legge
su cui si basa il decreto entrera' in  vigore  soltanto  in  data  1°
gennaio 2023. 
    Al riguardo, occorre  distinguere  concettualmente  la  fonte  di
legge (art. 1, commi 661-676 della legge 27 dicembre  2019,  n.  160)
dal relativo decreto attuativo qui impugnato. 
    Quanto  alla  legge  (in  relazione  alla  quale  si  chiede   di
promuovere l'incidente di costituzionalita'), va osservato che il suo
procedimento di formazione si e'  interamente  concluso,  essendo  la
stessa gia' promulgata e pubblicata in  Gazzetta  Ufficiale,  con  la
conseguenza che si sono esaurite sia  le  formalita'  attinenti  alla
fase  perfezionativa,  sia  le   formalita'   attinenti   alla   fase
integrativa dell'efficacia. 
    Non appare revocabile in dubbio, pertanto, che la  legge  su  cui
poggia il decreto rientri nel perimetro degli atti legislativi per  i
quali l'art. 134 della Costituzione ammette il  giudizio  incidentale
di costituzionalita'. 
    Quanto al decreto impugnato, se da un lato e' vero che esso  reca
disposizioni attuative di una fonte legale che entrera' in vigore  il
1° gennaio 2023, dall'altro lato  e'  anche  vero,  pero',  che  tali
disposizioni esecutive pongono a carico  delle  aziende  del  settore
anche alcuni adempimenti contabili ed amministrativi che sono -  come
anticipato - preparatori, prodromici e strumentali rispetto alla fase
di autoliquidazione e versamento del tributo. 
    Nel novero di tali adempimenti rientra, ad esempio, l'obbligo del
«soggetto che intende realizzare  bevande  edulcorate  a  partire  da
materie prime o  da  prodotti  semilavorati»  di  «denuncia[re],  per
ciascun impianto di produzione,  prima  di  iniziare  l'attivita'  di
produzione, l'esercizio della medesima  all'ADM  per  via  telematica
indicando, a pena di inammissibilita': 
        a) la denominazione dell'impresa, la sede legale, la  partita
IVA, le generalita' del rappresentante legale, il  luogo  in  cui  e'
ubicato l'impianto di produzione e i depositi in cui intende stoccare
le bevande edulcorate prodotte e la propria PEC; 
        b) le tipologie di bevande edulcorate che  intende  produrre,
con l'indicazione delle relative voci  della  nomenclatura  combinata
dell'Unione europea; 
        c) la quantita'  annua  stimata  di  bevande  edulcorate  che
intende produrre per conto proprio ovvero per conto di soggetti terzi
anche non residenti; 
        d) la quantita' annua stimata di edulcoranti necessaria  alla
produzione delle bevande di cui alla lettera c); 
        e) per ciascuna tipologia di bevanda di cui alla lettera  b),
il  tipo  e  la  quantita'  prevista,  espressa  in  peso,  di   ogni
edulcorante contenuto in un litro di  bevanda  finita  ovvero  in  un
chilogrammo di prodotto  predisposto  per  diventare  bevanda  previa
aggiunta di acqua o altri liquidi; 
        f) i dati concernenti le rese teoriche di  lavorazione  degli
edulcoranti utilizzati per la produzione  di  ciascuna  tipologia  di
bevanda edulcorata di cui alla lettera b)» (cfr. art. 3, comma 1  del
decreto impugnato). 
    Ebbene, l'obbligo del singolo contribuente di denunciare ex  ante
la quantita' annua stimata di bevande  edulcorate  che  egli  intende
produrre per conto proprio ovvero per conto di  terzi  -  cosi'  come
declinato dal decreto attuativo de quo - determina  gia'  ora  alcuni
oneri  gestionali  e  contabili  immediati  a  carico  delle  singole
aziende, quindi ben prima dell'entrata in vigore  della  disposizione
di legge che consente la riscossione dell'imposta. 
    Quanto precede vale a fortiori se si  considera  che  il  decreto
impugnato - a differenza della legge di cui costituisce attuazione  -
e' immediatamente vigente. 
    In ogni caso, anche a voler ammettere che il decreto sia soltanto
un atto «ad efficacia  differita»  -  efficacia  decorrente,  quindi,
dalla data di entrata in vigore della sua base legale - va rammentato
che la giurisprudenza amministrativa non ha mai  dubitato  dell'onere
di immediata  impugnazione  (e  quindi  della  piena  lesivita')  del
«provvedimento  lesivo  la  cui  efficacia  sia  soggetta  a  termine
iniziale (efficacia/esecutivita' differita)» (cosi' TAR  Lazio  Roma,
sezione II, 15 ottobre 2018, n. 987; TAR Puglia, Bari, sezione II, 11
marzo 2010, n. 893; cfr. anche, in  argomento,  Consiglio  di  Stato,
sezione IV, 17 aprile 2002, n. 2032). 
    Le conclusioni che precedono conducono, pertanto, anche alla luce
della nozione sostanziale ed effettiva di interesse ad agire  che  si
e' ormai consolidata nella giurisprudenza, ad affermare che nel  caso
di specie esiste un tangibile e concreto interesse  delle  ricorrenti
ad una pronunzia sulla legittimita' del decreto impugnato,  gia'  ora
produttivo di effetti. 
    Ne discende che l'eccezione di inammissibilita' del  ricorso  per
supposta  carenza  di  interesse  ad  agire  va  respinta  in  quanto
infondata. 
    Rigettate  le  eccezioni  preliminari  sollevate  in  rito  dalle
amministrazioni resistenti, il collegio ritiene doveroso scrutinare -
prima di concludere sulla rilevanza della questione  di  legittimita'
costituzionale e di passare quindi ad esaminare il profilo della  sua
non  manifesta  infondatezza  -   l'eccezione   di   incompatibilita'
euro-unitaria dell'art. 1, commi  661-676  della  legge  27  dicembre
2019, n. 160 (incompatibilita' che, ove accertata anche all'esito  di
un eventuale rinvio pregiudiziale ex  art.  267  del  TFUE,  potrebbe
sfociare nella disapplicazione di tale normativa  e  nel  conseguente
annullamento del decreto impugnato). 
    Orbene, l'imposta sulle bevande analcoliche  contenenti  sostanze
edulcoranti - cosi' come  disciplinata  dall'art.  1,  commi  661-676
della legge 27 dicembre 2019, n. 160 -  appartiene  al  novero  delle
imposte speciali sui consumi, le quali, a  differenza  dell'IVA,  non
hanno  carattere  generale  in   quanto   colpiscono   soltanto   una
determinata categoria di beni o servizi. 
    Esse si caratterizzano,  altresi',  per  la  struttura  monofase,
diventando esigibili in un unico momento  dettagliatamente  descritto
dalla normativa di riferimento (cfr. Corte  costituzionale,  sentenza
n. 185/2011). 
    Nell'ordinamento italiano, la disciplina delle  accise  (e  delle
altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi) e'  contenuta
in larga parte nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo
unico delle disposizioni legislative  concernenti  le  imposte  sulla
produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative,
c.d. Testo unico delle  accise  o  TUA),  piu'  volte  modificato  ed
integrato  in  attuazione  delle  direttive  eurounitarie  che  hanno
disciplinato la materia. Successivamente, il decreto  legislativo  29
marzo 2010, n. 48 (recante «Attuazione  della  direttiva  2008/118/CE
relativa al regime generale delle accise e che  abroga  la  direttiva
92/12/CEE»)  ha  provveduto,  fra  l'altro,  a  modificare  le  norme
collegate al fatto generatore ed all'esigibilita' dell'accisa, di cui
alla relativa direttiva eurounitaria. 
    La  disciplina  generale  delle   imposizioni   indirette   sulla
produzione e sui  consumi,  diverse  dalle  accise  disciplinate  dai
titoli I e II del TUA (ovvero le imposte indirette diverse da  quelle
sulla produzione o sul consumo dei  prodotti  energetici,  dell'alcol
etilico e delle  bevande  alcoliche,  dell'energia  elettrica  e  dei
tabacchi lavorati), e' contenuta  nell'art.  61  del  citato  decreto
legislativo. 
    In particolare,  secondo  tali  disposizioni,  «a)  l'imposta  e'
dovuta sui prodotti immessi in consumo  nel  mercato  interno  ed  e'
esigibile con l'aliquota vigente alla data in  cui  viene  effettuata
l'immissione in consumo», mentre obbligato al pagamento  dell'imposta
e' «il fabbricante per  i  prodotti  ottenuti  nel  territorio  dello
Stato», ovvero «il soggetto  che  effettua  la  prima  immissione  in
consumo per i prodotti di  provenienza  comunitaria»,  ovvero  ancora
«l'importatore per i prodotti di provenienza da Paesi terzi». 
    L'immissione  in  consumo  si  verifica:  «1)  per   i   prodotti
nazionali, all'atto della cessione  sia  ai  diretti  utilizzatori  o
consumatori sia a ditte esercenti il commercio che ne  effettuano  la
rivendita; 2) per i prodotti di provenienza comunitaria, all'atto del
ricevimento della merce da parte del soggetto acquirente  ovvero  nel
momento in cui si considera  effettuata,  ai  fini  dell'imposta  sul
valore aggiunto, la cessione, da parte  del  venditore  residente  in
altro Stato membro, a privati consumatori o a soggetti  che  agiscono
nell'esercizio di una impresa, arte o professione; 3) per i  prodotti
di provenienza da Paesi terzi, all'atto dell'importazione; 4)  per  i
prodotti che risultano mancanti alle verifiche e per i quali  non  e'
possibile  accertare  il  regolare   esito,   all'atto   della   loro
constatazione; [...]». 
    In  ambito  eurounitario,  come  gia'  accennato,  la   direttiva
2008/118/CE, oltre a disciplinare il  regime  generale  delle  accise
c.d. «armonizzate», stabilisce alcuni principi fondamentali in ordine
all'imposizione sui «prodotti  diversi  dai  prodotti  sottoposti  ad
accisa» armonizzata, al fine di garantire il  corretto  funzionamento
del mercato interno. 
    Le accise c.d. «armonizzate» riguardano esclusivamente: 
        a) prodotti energetici ed elettricita' di cui alla  direttiva
2003/96/CE; 
        b) alcol e bevande alcoliche di cui alle direttive  92/83/CEE
e 92/84/CEE; 
        c)  tabacchi  lavorati  di  cui  alle   direttive   95/59/CE,
92/79/CEE e 92/80/CEE. 
    Relativamente ai prodotti gia' sottoposti ad accisa  armonizzata,
l'art. 1, par. 2, della direttiva stabilisce che  «gli  Stati  membri
possono applicare ai prodotti  sottoposti  ad  accisa  altre  imposte
indirette aventi finalita' specifiche,  purche'  tali  imposte  siano
conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le  accise  o
per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione  della
base imponibile, calcolo, esigibilita' e controllo dell'imposta». 
    Relativamente ai prodotti «diversi  dai  prodotti  sottoposti  ad
accisa», gli Stati membri  rimangono  tuttavia  liberi  di  applicare
altre forme di imposizione purche' l'applicazione di tali imposte non
comporti  «negli  scambi  tra  Stati  membri,   formalita'   connesse
all'attraversamento delle frontiere» (art. 1, par. 3). 
    In sostanza, le norme eurounitarie consentono agli  Stati  membri
di introdurre altre forme di imposizione indiretta sui prodotti per i
quali gia' sussiste  un'accisa  armonizzata,  nonche'  di  introdurre
accise non armonizzate. 
    E' significativo che l'ordinamento eurounitario, per non  privare
gli Stati membri di un  efficace  strumento  di  politica  economica,
abbia lasciato ad essi ampio margine di  discrezionalita'  sia  nella
scelta delle aliquote delle accise armonizzate (essendo previste solo
aliquote  minime),  sia  nell'istituire  prelievi  aventi  specifiche
finalita' quand'anche gravanti su prodotti gia'  soggetti  ad  accisa
armonizzata. 
    A cio' si aggiunge la possibilita' di tassare la produzione o  il
consumo di beni estranei al processo di armonizzazione, la quale  non
e' legata alla necessita' di perseguire specifiche finalita', ma puo'
essere giustificata anche soltanto da esigenze di bilancio. 
    Ne discende che  la  disciplina  eurounitaria  non  osta  affatto
all'introduzione di un'accisa non armonizzata quale quella di cui  si
discorre nel giudizio de quo, ne' tampoco impone  vincoli  in  ordine
alle sue modalita' di funzionamento. 
    E se e' pur vero che la legge nazionale introduttiva di un'accisa
non armonizzata deve comunque rispettare le liberta' eurounitarie  di
stabilimento, prestazione di servizi  e  concorrenza  scolpite  negli
articoli  49,  56  e  101  del  TFUE,  e'  altrettanto  vero  che  la
summenzionata direttiva 2008/118/CE stabilisce chiaramente il confine
entro cui la sovranita' del  singolo  Stato  membro  -  eventualmente
esercitata in materia di accise non armonizzate - puo' muoversi senza
ledere dette liberta'. 
    Il confine e' per  l'appunto  tracciato  dall'art.  1,  comma  3,
ultimo capoverso,  della  suddetta  direttiva,  dove  e'  chiaramente
previsto che - impregiudicata  la  potesta'  di  ogni  singolo  Stato
membro di applicare proprie imposte «su prodotti diversi dai prodotti
sottoposti ad accisa» armonizzata - «l'applicazione di  tali  imposte
non puo' [NDR:  cionondimeno]  comportare,  negli  scambi  tra  Stati
membri, formalita' connesse all'attraversamento delle frontiere». 
    Orbene, nel caso di specie la legge istitutiva della c.d.  «sugar
tax» non ha introdotto alcuna formalita' connessa all'attraversamento
delle frontiere, dovendosi quindi escludere qualsiasi violazione  dei
parametri eurounitari degli articoli 49, 56 e 101 del TFUE. 
    Ne' vi e' contrasto con  altre  norme  dei  trattati  ovvero  con
principi di carattere generale. In particolare: 
        non  e'  violato  l'art.  30  del  TFUE  («i  dazi   doganali
all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente
sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica  anche  ai
dazi doganali di carattere fiscale»), in quanto l'imposta si  applica
sia ai prodotti nazionali che a quelli di provenienza UE; 
        non sono violati gli articoli 34 e 35, relativi al divieto di
restrizioni  quantitative  all'importazione   e/o   all'esportazione,
ovvero di qualsiasi misura di effetto equivalente, in  quanto,  anche
in questo caso, l'imposta si applica a tutti i  prodotti  immessi  in
commercio nel territorio dello Stato; 
        non e' violato il principio di  non  discriminazione  di  cui
all'art.  110  («Nessuno  Stato   membro   applica   direttamente   o
indirettamente ai  prodotti  degli  altri  Stati  membri  imposizioni
interne,  di  qualsivoglia  natura,  superiori  a  quelle   applicate
direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari [...]»),
in quanto l'imposta che si applica ai prodotti UE e' uguale a  quella
che si applica sui prodotti nazionali. 
    In definitiva, reputa il collegio che  l'art.  1,  commi  661-676
della legge 27 dicembre 2019, non debba  essere  disapplicato,  posto
che esso appare coerente con i parametri eurounitari evocati, con  la
conseguenza che non e' necessario rimettere alla Corte  di  giustizia
europea la questione pregiudiziale posta dalle ricorrenti. 
    Se  ne  inferisce,  conclusivamente,  la  piena  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale resa oggetto  della  maggior
parte dei motivi articolati in via principale con i due ricorsi,  con
la sola precisazione che il collegio non puo' decidere - in  uno  con
il deferimento della questione di legittimita' costituzionale - anche
il motivo di ricorso volto a denunziare il vizio autonomo del decreto
impugnato. 
 
                   Cio' per due ordini di ragioni. 
 
    In primo luogo perche' tale motivo e' stato formulato soltanto in
via subordinata rispetto  alla  domanda  principale  di  annullamento
incentrata sull'incostituzionalita' della base legale del decreto. 
    In secondo luogo  perche'  tale  vizio  consiste  nella  supposta
difformita' del decreto rispetto alla norma  di  legge  indiziata  di
incostituzionalita', sicche' non puo' non richiamarsi il  consolidato
insegnamento della giurisprudenza costituzionale a rigore  del  quale
«il carattere  incidentale  del  giudizio  di  costituzionalita'  non
consente di sollevare la questione di legittimita' dopo la  decisione
del merito della causa, quando il suo oggetto comporti la  necessaria
applicazione della  disposizione  censurata»  (cfr.  ordinanze  Corte
costituzionale n. 215 del 2003, n. 264 del 1998, n. 315 del 1992;  n.
116 del 1992; n. 242 del 1990). 
    Di qui la preclusione all'esame, nella presente fase, del  merito
del motivo proposto soltanto in via subordinata, avente ad oggetto il
vizio autonomo del decreto impugnato. 
    2.2.  Sulla  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    Quanto al concorrente profilo della  non  manifesta  infondatezza
della questione di costituzionalita', il collegio  ritiene  opportuno
ricostruire - seppur brevemente - la disciplina di legge con  cui  e'
stata introdotta l'imposta di cui si discorre, nonche'  le  finalita'
che essa persegue. 
    Orbene, l'art. 1 della legge 27 dicembre 2019,  n.  160,  recante
«Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2020  e
bilancio pluriennale per il triennio  2020-2022»  ha  introdotto,  ai
commi 661-676, «l'imposta sul consumo delle bevande analcoliche, come
definite al comma 662, di seguito denominate "bevande edulcorate"». 
    L'entrata in  vigore  dell'imposta,  come  da  ultimo  modificata
dall'art. 1, comma 12, lettera b) della legge 30  dicembre  2021,  n.
234 (che ha modificato l'art. 1, comma 676 della legge  n.  160/2019)
e' prevista per il 1° gennaio 2023. 
    Il comma 662 definisce le  «bevande  edulcorate»  come  «prodotti
finiti e i prodotti  predisposti  per  essere  utilizzati  come  tali
previa diluizione,  rientranti  nelle  voci  NC  2009  e  2202  della
nomenclatura  combinata  dell'Unione  europea,  condizionati  per  la
vendita,  destinati  al  consumo  alimentare  umano,   ottenuti   con
l'aggiunta di edulcoranti e aventi un titolo alcolometrico  inferiore
o uguale a 1,2 per cento in volume». 
    Quanto invece alla definizione di «edulcorante», la  disposizione
chiarisce che,  «ai  fini  dei  commi  da  661  a  676,  per  bevande
edulcorate si intende  qualsiasi  sostanza,  di  origine  naturale  o
sintetica, in grado di conferire sapore dolce alle bevande». 
    La definizione di edulcorante a cui  annettere  rilievo  ai  fini
dell'imposta de qua comprende, quindi, qualsiasi sostanza aggiunta  -
ovviamente diversa rispetto agli zuccheri «propri» presenti in  rerum
natura in una bevanda - capace di conferire sapore dolce alle bibite,
irrilevante essendo l'origine naturale o sintetica di tale sostanza. 
    L'imposta colpisce, quindi, tanto gli edulcoranti naturali quanto
gli edulcoranti  sintetici,  con  l'ulteriore  precisazione  che  gli
edulcoranti   sintetici   (costituenti   una   sottocategoria   della
macro-categoria «edulcoranti») includono alcuni esemplari specifici -
come ad esempio l'aspartame - rispetto ai  quali  il  regolamento  UE
1333/2008 del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea fissa la
quantita' massima che puo' essere presente in ogni litro  di  bevanda
(a mero titolo esemplificativo la quantita' massima di  aspartame  e'
pari a 600 mg/l, cfr. allegato II del summenzionato regolamento). 
    Si e' gia' visto che le bevande analcoliche  incise  dall'imposta
sono soltanto quelle ricomprese nelle  voci  NC  2009  e  2202  della
nomenclatura   combinata    dell'Unione    europea,    corrispondenti
rispettivamente a: 
        succhi di frutta (compresi i mosti di uva)  o  di  ortaggi  e
legumi, non fermentati, senza aggiunta di alcol, anche addizionati di
zuccheri o di altri dolcificanti; 
        acque, comprese quelle minerali e gassate,  con  aggiunta  di
zucchero o di altri dolcificanti o di aromatizzanti, e altre  bevande
non alcoliche, esclusi i succhi di frutta o  di  ortaggi  della  voce
2009 (vedi nota esplicativa della nomenclatura combinata, emanata  ai
sensi dell'art. 9 del regolamento (CEE) n.  2658/1987  del  Consiglio
dell'Unione europea del 23 luglio 1987). 
    Pertanto, l'imposta  si  applica  alle  bevande  analcoliche  che
rientrino nelle tipologie sopra descritte,  alle  quali  siano  state
aggiunte sostanze - di origine naturale o sintetica  -  in  grado  di
conferire un sapore dolce e con una percentuale  di  alcol  uguale  o
inferiore all'1,2% in volume. 
    L'imposta e' fissata nella misura di «euro 10,00  per  ettolitro»
per i prodotti finiti, e di «euro 0,25 al chilogrammo» per i prodotti
predisposti per essere utilizzati previa diluizione (comma 665). 
    Quanto invece all'esigibilita' dell'imposta, il comma 663 prevede
che l'obbligazione divenga esigibile: 
        a) all'atto della  cessione,  anche  a  titolo  gratuito,  di
bevande edulcorate a consumatori nel territorio dello Stato ovvero  a
ditte  nazionali  che  ne  effettuino  la  vendita,  da   parte   del
fabbricante nazionale; 
        b) all'atto del ricevimento di bevande  edulcorate  da  parte
del  soggetto  acquirente,  per  i  prodotti  provenienti  da   Stati
appartenenti all'Unione europea; 
        c)  all'atto  dell'importazione  definitiva  nel   territorio
nazionale,  per  le  bevande  importate  da  Stati  non  appartenenti
all'Unione europea. 
    E' prevista  inoltre  l'esenzione  dall'imposta  per  le  bevande
edulcorate  prodotte  dal  fabbricante  nazionale  che  siano   pero'
destinate al consumo in altri Stati dell'Unione  europea  o  comunque
all'esportazione. 
    C'e' infine una «soglia di dolcezza»  al  di  sotto  della  quale
l'imposta non si applica. Infatti, affinche' una  bevanda  edulcorata
possa considerarsi esente dall'imposta  in  questione,  il  contenuto
complessivo di edulcoranti deve  essere  inferiore  o  uguale  «a  25
grammi  per  litro»  per  i  prodotti  finiti  e  a  125  grammi  per
chilogrammo «per i prodotti predisposti ad essere  utilizzati  previa
diluizione». 
    Passando ora ad esaminare le finalita'  per  le  quali  e'  stata
introdotta l'imposta de qua, la relazione illustrativa al disegno  di
legge di bilancio  integrato  2020-2022  (Atti  parlamentari,  Senato
della Repubblica, n. 1586) chiarisce quanto segue: 
        l'imposta in questione  «risulta  essere  gia'  applicata  in
altri Stati  dell'Unione  europea  con  la  finalita'  principale  di
limitare, attraverso la penalizzazione fiscale, il consumo di bevande
che hanno un elevato contenuto di sostanze edulcoranti  aggiunte.  Il
consumo elevato di tali bevande  comporta,  infatti,  un  sistematico
apporto  ulteriore  di  zuccheri  nella   dieta   giornaliera   degli
individui,  comportando  un  aumento  potenziale  di  fenomeni  quali
l'aumento dell'obesita' media della popolazione e  la  diffusione  di
malattie come il diabete. Come  riferisce  l'Organizzazione  mondiale
della sanita' (World Health Organization) nel suo rapporto del  2015,
dal titolo «Le politiche fiscali per la dieta e la prevenzione  delle
malattie non trasmissibili», la  riduzione  del  consumo  di  bevande
zuccherate determinerebbe un calo nell'assunzione di zuccheri  liberi
e calorie complessive e potrebbe generare, nel tempo,  una  riduzione
dei tassi di sovrappeso e obesita' oltre che di carie e di diabete»; 
        quanto alla logica sottesa  alla  decisione  di  tassare  non
soltanto gli edulcoranti naturali ma anche  quelli  artificiali  (pur
essendo questi ultimi ipocalorici),  «occorre  sottolineare  che  una
tassazione selettiva delle bevande contenenti zuccheri  aggiunti  che
non riguardasse anche le bevande contenenti dolcificanti di  sintesi,
sposterebbe immediatamente le preferenze di consumo su queste  ultime
bevande, con  ripercussioni  sia  sulla  salute,  per  l'aumento  del
consumo di dolcificanti sintetici che,  sull'economia,  in  relazione
allo spostamento della domanda del mercato dagli zuccheri ai prodotti
dolcificanti sintetici», con l'ulteriore precisazione  che  «la  mera
sostituzione, nelle bevande in parola,  di  dolcificanti  di  origine
naturale  con  sostanze  edulcoranti  di   origine   sintetica,   pur
comportando un abbattimento  evidente  dell'apporto  di  zuccheri  (e
quindi di  energia)  nell'ambito  della  dieta  giornaliera,  avrebbe
l'effetto di incentivare l'uso smisurato di tali sostanze  sintetiche
che puo' avere  effetti  collaterali  sugli  individui.  Le  sostanze
dolcificanti sintetiche in questione sono, infatti,  da  considerarsi
sicure  purche'  consumate  esclusivamente  nell'ambito  delle   dosi
massime giornaliere consigliate»; 
        l'imposta mira sostanzialmente a colpire  indistintamente  le
«bevande che  contengono  dolcificanti  aggiunti,  qualunque  ne  sia
l'origine, escludendo da tale imposta le sole bevande che  contengano
zuccheri  «propri»  e  lasciando  esenti  dal  tributo  stesso,  come
stabilito dal  successivo  comma  6,  quelle  in  cui  l'aggiunta  di
dolcificanti sia assai modesta in quanto finalizzata esclusivamente a
«perfezionare» il gusto delle bevande. Con il comma  2  dell'articolo
in commento si intende definire l'ambito applicativo sopra  accennato
utilizzando le voci della nomenclatura combinata in  uso  nell'Unione
europea al fine di una maggiore  precisione  e  chiarezza.  L'imposta
sara' quindi applicabile esclusivamente su quelle bevande (e su  quei
prodotti concentrati realizzati per essere consumati  successivamente
alla opportuna diluizione), destinate al  consumo  alimentare  umano,
nelle quali i suddetti prodotti dolcificanti siano stati  aggiunti  a
quelli eventualmente presenti, per natura, nella bevanda stessa». 
    In sintesi, quindi, lo scopo principale del prelievo  fiscale  de
quo e' quello  di  ridurre  -  attraverso  la  disincentivazione  del
consumo  di  bevande  analcoliche  contenenti  sostanze   edulcoranti
naturali ed artificiali (id est  sostanze  aggiuntive  rispetto  agli
zuccheri «propri» gia' presenti in rerum natura nella bevanda)  -  la
diffusione dell'obesita' e del diabete, nonche' l'eccessivo  utilizzo
di sostanze edulcoranti  sintetiche,  avendo  queste  ultime  effetti
collaterali dannosi per la salute dell'uomo. 
    Chiariti  gli  scopi  perseguiti  dal  legislatore,  il  collegio
ritiene necessario selezionare - al cospetto  di  un'ampia  gamma  di
profili di incostituzionalita' sollevati dalle ricorrenti - quali  di
questi profili appaiono prima facie non  manifestamente  infondati  e
quali, invece, privi di fondamento. 
    Non  senza  prima  osservare  che  il  principale  parametro   di
costituzionalita' invocato nei motivi di gravame e' quello  dell'art.
3 della Costituzione (talvolta in combinato disposto con gli articoli
41 e 53 della Costituzione), nella sua duplice accezione di principio
di eguaglianza tributaria e di principio di proporzionalita'. 
    Per quel che concerne il principio di proporzionalita'  -  inteso
nella  sua  composizione  «trifasica»  di  idoneita',  necessita'   e
proporzionalita' in  senso  stretto  -  il  collegio  non  ravvisa  i
presupposti di una sua concreta violazione nel caso di specie. 
    Quanto al profilo dell'idoneita', infatti, va osservato che: 
        i)  non  appare  condivisibile  l'assunto  delle   ricorrenti
secondo cui non  esisterebbe  in  Italia  alcuna  reale  esigenza  di
ridurre il consumo di bevande c.d. «soft drink» (consumo pari a circa
50 litri pro capite all'anno, uno dei piu' bassi a livello  europeo).
Ed infatti, la circostanza che  detto  consumo  sia  -  in  un'ottica
«comparatistica» - piuttosto basso in Italia rispetto ad altri  paesi
stranieri, non  significa  che  il  legislatore  non  possa  comunque
scegliere, nell'esercizio della propria discrezionalita' politica, di
voler   ridurre   ulteriormente   tale   consumo   e   di   imprimere
un'accelerazione maggiore al processo  di  flessione  gia'  in  atto,
nell'ottica precauzionale di preservare al meglio la salute pubblica.
Del resto, lo scopo ultimo e mediato - al  lume  del  quale  valutare
l'idoneita' dell'imposta - non e' tanto la riduzione del  consumo  di
bevande  analcoliche,  quanto  piuttosto  la  diminuzione  di   certe
patologie, diminuzione che  ben  puo'  realizzarsi  «accelerando»  il
processo di contrazione della domanda di dette bevande; 
        ii) ugualmente non condivisibile e' l'assunto per cui non  vi
sarebbe alcun nesso di efficienza causale  tra  l'introduzione  della
«sugar tax» e la riduzione  delle  summenzionate  patologie  (id  est
obesita', diabete ed effetti collaterali  dannosi  degli  edulcoranti
sintetici). Cio' in quanto gli studi scientifici ed economici versati
in atti attestano che l'introduzione della «sugar tax» - riversando i
propri effetti sul prezzo finale -  impatta  indiscutibilmente  sulla
domanda del prodotto, la cui curva e' connotata  da  un  elevatissimo
tasso di «elasticita'» rispetto alle variazioni dei prezzi. E' quindi
incontestabile che la misura impositiva de qua riduca la domanda -  e
dunque il consumo - delle bevande analcoliche. Ovviamente il collegio
e' ben consapevole che non esiste alcuna «equazione»  automatica  tra
minor consumo di  bevande  zuccherate  e  riduzione  delle  patologie
associate a tali bevande. Cionondimeno, la correlazione  causale  tra
eccesso di zuccheri aggiunti e patologie come diabete  e  obesita'  -
nonche' tra eccesso di  zuccheri  sintetici  ed  effetti  collaterali
dannosi ad  essi  collegati  (gli  stessi  effetti  per  i  quali  il
regolamento  UE  n.  1333/2008  ha  gia'  fissato  dosi  massime   di
edulcoranti sintetici) - costituisce un  fatto  notorio,  sicche'  un
qualunque  prelievo  fiscale  avente  finalita'  disincentivante  del
consumo di prodotti contenenti zuccheri aggiunti e'  indubitabilmente
idoneo  a  concorrere  alla  lotta  a  tali  patologie.  Ne'  possono
invocarsi - a sostegno della tesi secondo cui la «sugar tax»  sarebbe
inutile - i dati comparatistici del Messico (in cui l'introduzione di
detta misura non sembra aver inciso sui dati  relativi  al  tasso  di
obesita' e diabete)  e  della  Danimarca  (dove  l'imposta  e'  stata
soppressa nel 2012). Cio' sia perche' l'unicita' di questi dati  osta
ad una loro sovraestimazione e traslazione su  scala  transnazionale,
sia perche' esiste sul fronte opposto un ben maggior numero di  paesi
stranieri che hanno, invece, conservato la sugar tax; 
        iii) parimenti non condivisibile e' la tesi  che  -  partendo
dalla  natura  ipocalorica  degli  edulcoranti  sintetici  -  esclude
qualsiasi correlazione causale tra tassazione di detti edulcoranti  e
l'obiettivo politico di riduzione dell'obesita' e del diabete. Questa
tesi trascura il fatto che lo scopo della sugar tax non  e'  soltanto
quello della lotta all'obesita' e al diabete, ma anche  quello  della
lotta a tutti gli effetti collaterali dannosi  (autonomi  e  distinti
rispetto alle summenzionate patologie) derivanti da un uso  eccessivo
di edulcoranti  sintetici.  Effetti  collaterali  dannosi  della  cui
esistenza non e'  possibile  dubitare  scientificamente,  atteso  che
proprio  per  limitarli  e'  stato  adottato  il  regolamento  UE  n.
1333/2008, il quale per l'appunto fissa le dosi massime consentite di
edulcoranti sintetici; 
        iv) ugualmente non condivisibile, infine, e' la tesi  secondo
cui la tassazione degli edulcoranti sintetici sarebbe  inidonea  allo
scopo in quanto dette sostanze gia' soggiacciono ad un altro tipo  di
limitazione di per se' risolutiva,  ossia  la  fissazione  a  livello
eurounitario  di  «limiti  massimi  di  impiego  per  ogni  categoria
alimentare». 
    Questa tesi trascura  il  fatto  che  detti  limiti  quantitativi
assicurano la non eccedenza di edulcoranti sintetici all'interno  del
singolo prodotto messo in commercio, ma non garantiscono  affatto  la
non  eccedenza  (rectius:  modicita')  del  consumo  individuale   di
prodotti  contenenti  edulcoranti  sintetici  da  parte  del  singolo
consumatore,  il  quale  ben  potrebbe  acquistarne  delle  quantita'
spropositate. Orbene, l'imposta di cui  si  discorre  va  proprio  ad
intervenire sul consumo, cercando di orientarlo e limitarlo,  in  tal
senso palesandosi pienamente idonea rispetto allo  scopo  che  si  e'
prefissata. 
    Passando ad esaminare  poi  le  due  ulteriori  declinazioni  del
principio di proporzionalita' (id est necessita'  e  proporzionalita'
in senso stretto), anch'esse non sembrano violate, atteso che: 
        i) la documentazione in atti non fa emergere la  presenza  di
alcuna omologa misura che -  a  parita'  di  efficacia  (e  cioe'  di
equivalente incidenza sulla curva di domanda di  bevande  analcoliche
contenenti zuccheri aggiunti) - produca  minori  sacrifici  a  carico
delle aziende produttrici e dei consumatori. E cio' a maggior ragione
ove si consideri che - come risulta dallo studio di Nomisma  prodotto
dalle stesse ricorrenti (cfr. pag.  76)  -  l'entita'  economica  del
prelievo (10 euro/hl)  e'  significativamente  inferiore  rispetto  a
quella di altri ordinamenti europei (Regno unito 20 euro/hl;  Irlanda
20 euro/hl; Norvegia 44 euro/hl); 
        ii) non puo' essere positivamente apprezzata la tesi  secondo
cui il legislatore avrebbe potuto fissare una  «soglia  di  dolcezza»
minima (al di sotto della quale  escludere  l'incidenza  della  sugar
tax) piu' elevata rispetto a  quella  concretamente  individuata,  in
modo da rendere meno invasivo ed esteso il prelievo fiscale di cui si
discorre. Tale obiezione si risolve  nella  censura  di  un  atto  di
esercizio  della  discrezionalita'  politica  del  legislatore,  atto
rispetto al quale il collegio non ravvisa  quei  profili  di  patente
arbitrarieta' e/o irragionevolezza che, soli, potrebbero sfociare  in
un giudizio di non manifesta infondatezza della  supposta  violazione
dell'art. 3 della Costituzione (sub specie  di  proporzionalita').  E
cio' a maggior ragione ove si consideri che la surriferita «soglia di
dolcezza» minima corrisponde al  limite  stabilito  dall'allegato  al
regolamento CE n. 1924/2006 del Parlamento europeo  e  del  Consiglio
del 20 dicembre 2006, adottato proprio allo scopo di  individuare  le
bevande che -  secondo  il  medesimo  regolamento  -  possono  essere
considerate aventi un  basso  tenore  di  zuccheri  e  recare  quindi
l'indicazione «a basso contenuto di zuccheri»; 
        iii) ne'  appaiono  risolutive  -  al  fine  di  escludere  i
requisiti della necessita' e proporzionalita' in senso stretto  della
misura fiscale de qua - le prospettate ricadute  economiche  negative
di tale misura. Quest'ultima rientra, infatti, nel paradigma  -  gia'
ben noto al nostro  ordinamento  -  delle  imposte  sul  consumo  con
finalita' extrafiscali  disincentivanti  (si  pensi,  a  mero  titolo
esemplificativo, alle imposte sui tabacchi lavorati, all'imposta  sui
prodotti da  inalazione  senza  combustione  costituiti  da  sostanze
liquide, ai tributi ambientali, etc.), imposte la cui  ratio  essendi
consiste proprio nel perseguire un interesse pubblico ben definito  -
nel caso di specie quello alla  tutela  della  salute  pubblica  -  a
potenziale discapito di altri diritti astrattamente confliggenti,  in
primis  la  liberta'  di  iniziativa  economica  ex  art.  41   della
Costituzione. Diritti, questi  ultimi,  il  cui  esercizio  ben  puo'
essere indirizzato e  coordinato  dal  legislatore  statale  «a  fini
sociali», ma giammai precluso o comunque radicalmente inciso sino  ad
eliderne le sue principali forme di manifestazione. 
    Orbene, il collegio ritiene che  le  limitazioni  della  liberta'
d'iniziativa economica lamentate dalle societa' ricorrenti - in  tesi
discendenti dalla prospettata entrata in vigore  dell'art.  1,  commi
661-676 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 - rientrino  nel  novero
delle  fisiologiche  ed  ordinarie  conseguenze  di  qualsiasi  norma
impositiva avente finalita'  disincentivanti,  esprimendo  quindi  un
giusto punto di contemperamento tra diritto alla salute e diritto  di
impresa, senza che quest'ultimo  possa  dirsi  radicalmente  eliso  o
rimosso. 
    Ritiene il collegio, pertanto, che la prospettata violazione  del
principio di proporzionalita' (ed anche della liberta' di  iniziativa
economica ex art. 41 della Costituzione) debba essere esclusa. 
    Ne'  appare  fondata  la  censura   di   irragionevolezza   della
disciplina di legge de qua, censura con cui Sibeg S.r.l. si  duole  -
sempre attraverso il richiamo all'art.  3  della  Costituzione  -  in
primis   di   una   presunta   contraddittorieta'    tra    finalita'
disincentivante del prelievo fiscale e correlativo scopo erariale, ed
in secundis di un'eccessiva penalizzazione del produttore/fabbricante
a cui non farebbe  riscontro  un  egual  sacrificio  del  consumatore
(cosi' vanificando lo scopo disincentivante sotteso al tributo). 
    Sotto il primo profilo, infatti, la censura trascura il fatto che
lo scopo assolutamente prevalente e preponderante dell'imposta de qua
e' quello disincentivante. La stima  preventiva  degli  introiti  del
prelievo fiscale, cosi' come formulata nella  relazione  illustrativa
al disegno di legge, lungi dall'assegnare alla «sugar tax»  qualsiasi
funzione erariale equi-ordinata rispetto a quella disincentivante, ha
invece solo lo scopo  di  identificare  l'impatto  finanziario  della
misura. Il che non comporta, com'e'  evidente,  alcuna  trasmutazione
«genetica» dell'originaria finalita' prevalente del tributo,  che  e'
per  l'appunto  quella  extra-fiscale  di  contrasto  di   specifiche
patologie. Sotto il secondo  profilo,  la  censura  si  infrange  nei
plurimi studi e documenti - ritualmente versati in atti dalle  stesse
ricorrenti - attestanti l'elevatissima elasticita' della  domanda  di
bevande zuccherate rispetto a qualsiasi nuova  imposta  gravante  sul
produttore   o    fabbricante,    essendo    quest'ultima    traslata
economicamente sul consumatore finale. 
    Il collegio ritiene, pertanto, che la  censurata  violazione  del
principio di ragionevolezza - per come prospettata da Sibeg S.r.l.  -
non raggiunga la soglia di non manifesta  infondatezza  richiesta  ai
fini dell'incidente di costituzionalita'. 
    Quanto alla prospettata violazione  del  principio  di  capacita'
contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione, la censura omette
di considerare che l'imposta de qua - lungi  dall'essere  commisurata
«alla quantita' di edulcorante naturale o sintetico»  (cfr.  pag.  17
del ricorso introduttivo di Sibeg S.r.l.)  -  e'  invece  parametrata
alla quantita' dell'intero prodotto messo in commercio (10  centesimi
di euro per ogni  litro  di  bevanda,  nonche'  0,25  euro  per  ogni
chilogrammo di prodotto concentrato), sicche' essa appare  rispettosa
della  concezione  «relativa»   di   capacita'   contributiva   ormai
consolidatasi nella giurisprudenza  costituzionale,  a  rigore  della
quale il potere impositivo puo' colpire anche fatti non patrimoniali,
purche' naturalmente rilevabili e  misurabili  in  denaro  (come  per
l'appunto sarebbe la  quantita'  di  bevanda  analcolica  immessa  in
commercio). 
    Ritiene il collegio, pertanto, che la prospettata violazione  del
principio di capacita' contributiva strettamente inteso debba  essere
esclusa. 
    Diversamente e' a dirsi, invece, per il principio di  eguaglianza
tributaria. 
    Il collegio reputa, infatti, che l'imposta in questione entri  in
frizione con il combinato  disposto  degli  articoli  53  e  3  della
Costituzione, ovverosia sotto il profilo del principio di eguaglianza
tributaria in base al quale «a situazioni eguali devono corrispondere
uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un
trattamento tributario diseguale»  (Corte  costituzionale,  6  luglio
1972, n. 120). 
    Prima di evidenziare meglio tale contrasto, tuttavia, va premesso
che l'applicazione delle accise e, piu' in  generale,  delle  imposte
sui consumi, puo' avere non solo  funzione  di  gettito  fiscale,  ma
anche scopi extrafiscali strumentali a scelte di carattere politico -
economico. 
    La finalita' delle imposte speciali sui consumi  puo'  essere  in
particolare quella di disincentivare il consumo di beni che  generano
esternalita' negative a danno della  collettivita',  ovvero  soltanto
quella di aumentare le entrate pubbliche  senza  eccessivi  costi  di
accertamento e di riscossione. 
    Sul  piano  economico,  e  dal  punto  di  vista  della   equita'
distributiva, esse hanno effetti regressivi o progressivi  a  seconda
delle tipologie di consumo e della elasticita' delle curve di domanda
e di offerta. 
    Non va dimenticato, inoltre, il  consolidato  insegnamento  della
Corte costituzionale secondo cui legislatore ordinario puo' assumere,
quali soggetti passivi di imposta idonei a concorrere alle  pubbliche
spese, anche coloro che pongono  in  essere  presupposti  aventi  una
rilevanza   economico-sociale,   ma   non    necessariamente    anche
patrimoniale. 
    L'importante  e'  che  tali  presupposti   siano   oggettivamente
rilevabili, si prestino ad  essere  comparati  con  altre  situazioni
fiscalmente rilevanti e siano pur sempre  misurabili  economicamente.
Ad esempio, secondo la Corte costituzionale n. 102/93,  che  richiama
la sentenza  n.  201  del  1975,  per  capacita'  contributiva  «deve
intendersi   l'idoneita'   soggettiva   all'obbligazione   d'imposta,
deducibile dal presupposto al quale la prestazione e' collegata senza
che spetti al giudice della legittimita' delle leggi alcun controllo,
se non, ovviamente, sotto il profilo  dell'assoluta  arbitrarieta'  o
irrazionalita' delle norme». 
    In tali pronunce (ma cfr. anche 16 giugno 1964, n. 45, 28  luglio
1976, n. 200, 11 luglio 1989, n. 387) si afferma che il principio  di
capacita' contributiva risponde all'esigenza di  garantire  che  ogni
prelievo  tributario   abbia   causa   giustificatrice   in   «indici
concretamente rilevatori di ricchezza» dai quali  sia  «razionalmente
deducibile l'idoneita' soggettiva all'obbligazione d'imposta». Queste
sentenze vanno poi lette in sintonia con quelle  che  riconoscono  la
legittimita'  costituzionale  di  presupposti   che   esprimono   una
capacita' contributiva in termini di mera potenzialita' economica. 
    Ad esempio, secondo la sentenza n. 156/2001 (in materia di Irap),
«rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il  solo  limite
della  non  arbitrarieta',  la  determinazione  dei   singoli   fatti
espressivi della capacita'  contributiva  che,  quale  idoneita'  del
soggetto  all'obbligazione  di  imposta,  puo'  essere   desunta   da
qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente  dal
reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143
del 1995, n. 159 del 1985)». 
    In pratica, l'art. 53,  comma  1,  viene  applicato  dalla  Corte
costituzionale in maniera  congiunta  con  l'art.  3,  «assumendo  il
principio di uguaglianza quale regola fondamentale ed autosufficiente
di congruita' che prevale su ogni altra regola attinente  ai  criteri
di riparto dei carichi pubblici». 
    Secondo tale giurisprudenza, e la  dottrina  cui  si  ispira,  il
legislatore «deve operare il riparto del carico  pubblico  secondo  i
criteri di coerenza interna, non  contraddittorieta',  adeguatezza  e
non arbitrarieta'  assicurando  che  a  situazioni  di  fatto  uguali
corrispondano  uguali  regimi  impositivi  e,   correlativamente,   a
situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale». 
    Ritornando al caso di specie, quindi, il collegio ritiene che  la
disciplina di legge introdotta dall'art. 1, commi 661-676 della legge
n. 160/2019, sembra  contrastare  con  il  principio  di  eguaglianza
tributaria - cosi'  come  risultante  dal  combinato  disposto  degli
articoli 3 e 53 della Costituzione - laddove va a colpire fiscalmente
le sole bevande analcoliche contenenti sostanze edulcoranti eccedenti
una certa soglia, e non anche gli altri prodotti alimentari  (diversi
dalle bevande) aventi le medesime sostanze. 
    Viene in questo modo introdotta, infatti, una differenziazione di
trattamento fiscale a supporto della quale non  viene  fornito  alcun
criterio oggettivo che possa giustificarla. 
    In particolare, se e' vero come e' vero che la c.d.  «sugar  tax»
e' un tributo introdotto con finalita' extra-fiscale  disincentivante
(in quanto avente lo scopo di contrastare - incidendo sul consumo  di
certi prodotti - il fenomeno dell'obesita' e del diabete, nonche'  la
diffusione  degli  effetti  collaterali  dannosi  degli   edulcoranti
sintetici), e assodato che la scelta  legislativa  di  realizzare  un
certo obiettivo di salute pubblica e'  tendenzialmente  insindacabile
(salvo il limite della manifesta  irragionevolezza),  e'  altrettanto
vero che in base al principio di  ragionevolezza  ed  uguaglianza  il
legislatore deve spiegare il perche' tale obiettivo  vada  perseguito
«colpendo»  soltanto  gli   edulcoranti   contenuti   nelle   bevande
analcoliche, e non anche i medesimi edulcoranti contenuti negli altri
prodotti  alimentari  diversi  dalle   bevande.   Il   principio   di
eguaglianza tributaria - cosi' come costantemente interpretato  dalla
giurisprudenza costituzionale - postula che a  fronte  di  un'imposta
avente una  finalita'  extra-fiscale  disincentivante,  debba  essere
adeguatamente motivata tanto la  scelta  legislativa  di  tassare  in
egual  misura  due  o  piu'  fattispecie  imponibili   apparentemente
diverse, quanto l'opposta scelta di tassare  in  misura  diversa  due
fattispecie imponibili apparentemente uguali. 
    Si  pensi,  nel  primo   senso,   alla   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 83 del 2015,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale di una normativa  che  tassava  in  egual  misura  due
fattispecie - rispettivamente quella dei tabacchi lavorati  e  quella
dei prodotti non contenenti nicotina idonei a sostituire  il  consumo
dei tabacchi  lavorati  (ad  esempio  i  liquidi  aromatizzati  delle
sigarette elettroniche) - obiettivamente diverse tra loro,  la  prima
ricadente prima facie  nel  campo  di  applicazione  della  finalita'
disincentivante, la seconda invece no (in quell'occasione il  giudice
delle leggi si espresse con le seguenti parole:  «la  violazione  del
parametro  di  cui  all'art.  3  della  Costituzione   va   ravvisata
nell'intrinseca irrazionalita' della disposizione che  assoggetta  ad
un'aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze,
non contenenti nicotina, e di beni, aventi  uso  promiscuo.  Infatti,
mentre il regime fiscale dell'accisa con riferimento al  mercato  dei
tabacchi, trova la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di
un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale
si  cerca  di  scoraggiare  il  consumo,  tale  presupposto  non   e'
ravvisabile in relazione al commercio di prodotti  contenenti  «altre
sostanze», diverse dalla nicotina, idonee a sostituire il consumo del
tabacco, nonche' dei dispositivi e delle parti  di  ricambio  che  ne
consentono  il  consumo.  Appare  quindi  del   tutto   irragionevole
l'estensione,  operata  dalla  disposizione  censurata,  del   regime
amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche  al  commercio
di liquidi aromatizzati e di dispositivi per il relativo  consumo,  i
quali non possono essere considerati succedanei del tabacco»). 
    In senso esattamente inverso, si pensi alla sentenza della  Corte
costituzionale n. 201 del 2014, che aveva respinto  la  questione  di
legittimita' costituzionale  della  disposizione  di  legge  con  cui
veniva  introdotto   -   nel   contesto   della   crisi   finanziaria
internazionale del 2011 coinvolgente  il  mondo  delle  banche  -  un
prelievo fiscale aggiuntivo a carico dei soli dirigenti  nel  settore
finanziario  (e  non  anche  a  carico  dei  dirigenti   di   settori
merceologici diversi). 
    In quel  caso,  la  diversa  «regola  fiscale»  applicata  a  due
categorie di soggetti apparentemente omogenee (id est da un  lato  la
regola del prelievo aggiuntivo a carico  dei  dirigenti  del  settore
finanziario, dall'altro lato la regola di nessun prelievo  aggiuntivo
a carico dei dirigenti degli altri settori) trovava  spiegazione  nel
fatto che detto prelievo aggiuntivo avrebbe prodotto un reale effetto
disincentivante soltanto se applicato ai soli dirigenti  del  settore
finanziario,  e  non  anche  ai   dirigenti   degli   altri   settori
merceologici  (in  quell'occasione  il  giudice  delle  leggi  si  e'
espresso, infatti,  con  le  seguenti  parole:  «la  norma,  infatti,
inasprendo il prelievo fiscale, rappresenta un  disincentivo  per  le
prassi  retributive  che  possono   avere   l'effetto   di   condurre
all'assunzione di rischi eccessivi di breve termine  da  parte  della
categoria di contribuenti sottoposta al prelievo. Questi  ultimi,  in
ragione del tasso di professionalita', della autonomia operativa, del
potere decisionale  di  cui  godono  e  dell'aspirazione  a  maggiori
guadagni personali (per il legame tra l'andamento del  titolo  da  un
lato ed il riconoscimento e l'ammontare  del  beneficio  correlato  a
dette forme di compenso dall'altro), sono in grado di porre in essere
attivita' speculative  suscettibili  di  pregiudicare  la  stabilita'
finanziaria. Un rischio di questo genere non ricorre per  l'attivita'
degli altri contribuenti che vengono retribuiti in  modo  analogo  ma
non hanno la stessa possibilita' di incidere, con  il  loro  operato,
sulla stabilita' dei mercati finanziari. Pertanto,  da  un  lato,  la
scelta   disincentivante   del   legislatore   e'   tutt'altro    che
irragionevole o arbitraria e, dall'altro, non  e'  ingiustificata  la
limitazione al solo «settore finanziario» della platea  dei  soggetti
passivi sottoposti al prelievo addizionale»). 
    Orbene, nel caso di specie la diversa «regola fiscale»  applicata
a  due  fattispecie  apparentemente  omogenee  (id  est  da  un  lato
l'imposizione della «sugar tax» alle bibite  contenenti  edulcoranti,
dall'altro lato la mancata imposizione della «sugar tax»  agli  altri
prodotti alimentari  diversi  dalle  bevande  contenenti  i  medesimi
edulcoranti) non trova alcuna giustificazione  ne'  nel  testo  della
legge, ne' nella relazione illustrativa del disegno di legge, e  cio'
in spregio del fatto che il fine ultimo  di  tale  prelievo  (id  est
quello di contrastare l'obesita', il diabete e il consumo di sostanze
edulcoranti sintetiche)  ben  avrebbe  potuto  realizzarsi  incidendo
anche sui prodotti alimentari diversi dalle bevande analcoliche. 
    Valga infine soggiungere, per completezza, che  il  Collegio  non
ravvisa  invece  alcuna  violazione  del  principio  di   eguaglianza
tributaria  nel  mero  fatto  che  la   «sugar   tax»   si   applichi
indistintamente sia agli edulcoranti naturali che a quelli sintetici. 
    Cio' in quanto la finalita' disincentivante, come gia' visto,  e'
predicabile sia per i primi che per  i  secondi,  stante  l'obiettivo
legislativo di contrastare non soltanto le patologie  associate  agli
edulcoranti naturali (obesita' e diabete) ma anche gli altri  effetti
nocivi correlati all'eccessivo consumo di edulcoranti sintetici. 
    Quanto sopra argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e
non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale - in relazione agli articoli 3 e 53 della Costituzione
- dell'art. 1, commi 661-676 della legge 27 dicembre  2019,  n.  160,
nella parte in cui ha assoggettato ad  imposta  sul  consumo  i  soli
prodotti rientranti nelle voci NC  2009  e  2202  della  nomenclatura
combinata  dell'Unione  europea  (ossia  certe  bevande  analcoliche)
ottenuti con l'aggiunta di edulcoranti, e non  anche  altri  prodotti
alimentari  diversi  dalle  bevande  ma   parimenti   contraddistinti
dall'aggiunta dei medesimi edulcoranti. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
ai sensi dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  e  la
rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci
sulla questione.