IL TRIBUNALE DI MODENA 
 
 
                             Collegio I 
 
    Composto dai magistrati: 
        dott. Pasquale Liccardo, Presidente; 
        dott.ssa Donatella Pianezzi, giudice a latere; 
        dott. Danilo De Padua, giudice a latere. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza: 
        1. Sulla richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica in
sede, di sollevare un conflitto di attribuzione  davanti  alla  Corte
costituzionale, in relazione alla delibera di insindacabilita' emessa
dal Senato della Repubblica in data 16  febbraio  2022,  trasmessa  a
questo  Tribunale  in  data  18  febbraio   2022,   con   contestuale
proposizione di istanza di prosecuzione del processo; 
        2. Sulla richiesta avanzata dai difensori dell'imputato Carlo
Amedeo Giovanardi di pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 129  del
codice di procedura penale,  in  senso  adesivo  alla  prospettazione
contenuta nella citata deliberazione d'insindacabilita'. 
 
                              Ritenuto 
 
    In limine, deve rilevarsi che,  in  apertura  del  giudizio,  con
ordinanza resa in data 12 gennaio  2021,  il  Tribunale,  provvedendo
sull'eccezione  formulata  dalla  difesa  del  sen.  Giovanardi,   ha
trasmesso copia degli atti al Presidente del Senato  ai  sensi  della
legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3 («Disposizioni per  l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato»),  contestualmente
disponendo la sospensione del procedimento per il termine  di  giorni
novanta, cosi' come previsto dall'art. 3, comma 5 della citata legge. 
    Nel prosieguo, il Tribunale, nel prendere atto  delle  successive
comunicazioni del Presidente del Senato, on.  Casellati,  nelle  date
del 4 marzo 2021 e del  27  maggio  2021,  relative  a  richieste  di
informazioni e ad aggiornamenti sui lavori della Giunta, ha  ordinato
la  prosecuzione  del  processo,  dando   ingresso   alle   attivita'
istruttorie dedotte dalle parti, una  volta  spirato  il  termine  di
novanta giorni di cui alla legge 20 giugno  2003,  n.  140,  art.  3,
comma 5, senza che ne fosse stata disposta proroga. 
    In data 16 febbraio 2022, nella seduta pubblica n. 404, il Senato
della Repubblica  ha  assunto  la  citata  delibera  all'esito  della
discussione del documento «Richiesta di deliberazione in  materia  di
insindacabilita'  ai  sensi  dell'art.   68,   primo   comma,   della
Costituzione, nell'ambito di un  procedimento  penale  nei  confronti
dell'onorevole Carlo Amedeo Giovanardi», con l'esito di approvare  la
proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari e
quindi di deliberare nel senso che le condotte ascritte  all'imputato
Giovanardi nel  presente  processo  rappresentano  opinioni  espresse
nell'esercizio   delle   funzioni,    coperte    dalla    guarentigia
costituzionale di cui all'art. 68 Cost. 
    A seguito di tale deliberazione  della  camera  di  appartenenza,
nell'odierna  udienza  la  Procura  della  Repubblica  e  la   difesa
dell'imputato Giovanardi hanno avanzato le contrapposte istanze prima
indicate. 
 
                         Rilevato in diritto 
 
    1. Deve in primo  luogo  reputarsi  irrilevante  il  decorso  del
termine di novanta giorni di  cui  all'art.  3,  comma  V,  legge  n.
140/2003. 
    Reputa  il  Tribunale,  conformemente  a  un   costante   e   mai
contraddetto  indirizzo  giurisprudenziale  (tra  le  altre,   vedasi
Cassazione penale 5 febbraio 2007, n.  18672),  che  il  testo  della
norma non consenta una lettura volta alla predeterminazione dell'arco
temporale in cui deve necessariamente  intervenire  la  decisione,  a
pena   d'inefficacia   o   di   decadenza   della   stessa   potesta'
costituzionale riservata all'assemblea dall'art. 68  Cost.:  militano
in tal senso la considerazione di rilevanza costituzionale in  ordine
alla natura  piena  della  potesta'  costituzionale  in  esame,  alle
modalita' di concreta sua esplicazione quali la forma assembleare, in
esito ad apposita discussione della proposta della Giunta. 
    La  fissazione  del  termine  deve  pertanto  ritenersi   rivolta
all'organo  giudicante  ai  fini  della  sospensione  necessaria  del
processo per il tempo ritenuto dal legislatore normalmente necessario
al positivo espletamento delle potesta' assembleari, senza comportare
alcuna decadenza della Camera d'appartenenza. 
    Decorso  inutilmente  il  termine,  il   processo   penale   deve
riprendere il suo corso, senza pero' che questo possa significare che
la delibera della Camera non possa intervenire in qualsiasi  momento,
quand'anche successivo alla pronuncia di condanna. 
    La ratio della norma, cosi'  individuata,  non  lascia  spazio  a
soluzioni   ermeneutiche   alternative,   costituendo   momento    di
equilibrato raccordo tra la situazione processuale, determinata dalla
pregiudiziale dell'insindacabilita' ed il principio della ragionevole
durata del processo, che il legislatore e' obbligato a rispettare  in
forza del dettato costituzionale dell'art. 3 Cost., comma 2. 
    2. Ritiene questo Tribunale che non sussistono nella specie,  gli
estremi di  lineare  ed  immediata  riconducibilita'  delle  condotte
descritte   nel   capo   di   imputazione   alla    prerogativa    di
insindacabilita'  deliberata  dal  Senato  della   Repubblica   (cfr.
allegato 1 il capo di imputazione). 
    Ed invero, nelle articolazioni estese del  capo  di  imputazione,
risultano ascritte al sen. Giovanardi una serie di  condotte  rivolte
ad ottenere la riammissione nella  cd.  white  list  (l'elenco  degli
imprenditori non  soggetti  a  tentativo  di  infiltrazione  mafiosa,
rilevante nel contesto dei pubblici appalti post terremoto 2012),  di
due imprese (la srl Bianchini Costruzioni e l'impresa individuale IOS
di Bianchini Alessandro), superando gli esiti  dei  dinieghi  assunti
dal Prefetto e dei provvedimenti interinali  e/o  definitivi  assunti
dall'autorita' giudiziaria investita delle impugnative. 
    Nel perseguire tali finalita', sempre  nell'assunto  accusatorio,
il  sen.  Giovanardi  avrebbe  realizzato   oltre   a   comportamenti
genericamente pressori,  vere  e  proprie  minacce  sia  dirette  che
indirette, tese: 
        i)  a  turbare  le  attivita'  di  un  Corpo   amministrativo
(segnatamente,  il  prefetto  di  Modena  e  il   Gruppo   interforze
costituito con decreto del Ministero dell'interno del 14 marzo 2003); 
        ii) a costringere i pubblici ufficiali  destinatari  di  tali
condotte, a compiere atti contrari  all'ufficio,  pubblici  ufficiali
nell'occasione anche oltraggiati. 
    In tale  contesto  accusatorio,  al  fine  di  meglio  esercitare
l'attivita' di  minaccia  ascritta,  avrebbe  adoperato  informazioni
precise e  circostanziate,  ancora  coperte  da  segreto,  aventi  ad
oggetto i relativi procedimenti amministrativi, allo  stesso  fornite
da appartenenti agli uffici di prefettura,  coimputati  nel  presente
processo), cosi' integrando il delitto di cui all'art. 326 del codice
penale. 
    Tratteggiati  in  questi  termini   i   contenuti   dell'addebito
accusatorio, i fatti per  come  descritti  non  appaiono  linearmente
riconducibili  alla  scriminante   costituzionale   affermata   nella
delibera del 16 febbraio del Senato, in quanto esulano  completamente
dalla prospettiva di «critica e denuncia politica», non presentano un
nesso funzionale con l'attivita' parlamentare svolta (ma semmai  solo
di colleganza, per analogia tematica), rivolte - come sono nella tesi
d'accusa - direttamente agli organi competenti o a  loro  componenti,
al fine  specifico  di  ottenere  la  modifica  puntuale  di  singoli
provvedimenti amministrativi in senso  favorevole  alle  due  imprese
indicate. 
    Sul punto, la previsione esplicativa di cui al comma 1  dell'art.
3 legge n. 140/2003 asserisce la copertura di «ogni  altra  attivita'
di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica». Se
da un lato la disposizione certifica il superamento dei criteri della
cd. localizzazione e della  tipicita'  (da  lungo  tempo  abbandonati
dalle piu' recenti elaborazioni  del  formante  giurisprudenziale  in
quanto mortificanti le  attribuzioni  del  parlamentare),  dall'altro
ribadisce la rigorosa necessita' del nesso funzionale con l'attivita'
parlamentare: per pacifico orientamento della  Corte  costituzionale,
il nesso funzionale si traduce in una copertura della scriminante (in
proiezione extralocalizzata) limitata alle opinioni del  parlamentare
e  agli  atti  che,  fuori  dal  Parlamento,  sono   destinati   alla
riproduzione espressiva e alla  divulgazione  delle  opinioni  stesse
(vedasi, con  chiarezza,  negli  ultimi  passaggi  motivazionali,  la
sentenza della Corte costituzionale gia' citata, nonche' la  sentenza
n. 219 del 2003; vedasi Cassazione penale sez. V, 19 gennaio 2012, n.
17700). Sul punto, in tema  di  oltraggio  e  resistenza  a  pubblico
ufficiale, risolvendo un  conflitto  di  attribuzione  nel  senso  di
censurare  la  delibera  parlamentare  d'insindacabilita',  la  Corte
costituzionale ha sottolineato che «la prerogativa  parlamentare  non
puo' infatti essere estesa sino a comprendere gli insulti - di cui e'
comunque discutibile la qualificazione conte opinioni - solo  perche'
collegati con le battaglie  condotte  da  esponenti  parlamentari  in
favore delle  loro  tesi  politiche;  cosi'  argomentando,  il  nesso
funzionale, lungi dal tradursi in una corrispondenza tra  espressioni
verbali e atti parlamentari tipici, si risolverebbe  in  un  generico
collegamento con un  contesto  politico  indeterminabile,  del  tutto
avulso dall'esercizio di funzioni parlamentari suscettibili di essere
concretamente  individuate.  A   maggior   ragione   la   prerogativa
parlamentare di cui all'art. 68 Cost. non  puo'  essere  riferita  ai
comportamenti materiali che sono stati qualificati come resistenza  a
pubblico ufficiale.  L'art.  68,  primo  comma,  Cost.  si  riferisce
unicamente alle opinioni espresse e  ai  voti  dati  dai  membri  del
Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni,  mentre  gli  atti  di
resistenza e di violenza descritti nel capo di imputazione riprodotto
nell'ordinanza della Corte di appello ricorrente non  sono  in  alcun
modo qualificabili come tali» (sentenza n. 137 del 2001). 
    Piu' recentemente e con  argomentazione  ancora  piu'  netta,  la
Corte costituzionale ha affermato: «Al riguardo,  non  puo'  qui  che
ribadirsi il costante orientamento di questa Corte, secondo il  quale
le opinioni espresse extra moenia sono  coperte  da  insindacabilita'
solo  ove   assumano   una   finalita'   divulgativa   dell'attivita'
parlamentare:  il  che  richiede  che  il  loro   contenuto   risulti
sostanzialmente corrispondente alle opinioni espresse  nell'esercizio
delle funzioni «al di la' delle formule letterali usate (sentenza  n.
333 del 2011), non essendo sufficiente ne' un  semplice  collegamento
tematico o una corrispondenza contenutistica  parziale  (sentenza  n.
334  del  2011),  ne'  un  mero  «contesto  politico»  entro  cii  le
dichiarazioni extra moenia possano collocarsi (sentenza  n.  205  del
2012),  ne',  infine,  il   riferimento   alla   generica   attivita'
parlamentare  o  l'inerenza  a  temi  di  rilievo  generale,   seppur
dibattuti in Parlamento» (sentenza  n.  144  del  205;  nello  stesso
senso, altresi', ex plurimis, sentenze n. 265, n. 221  e  n.  55  del
2014).    Una    diversa    interpretazione     della     prerogativa
dell'insindacabilita',    infatti,    «dilaterebbe    il    perimetro
costituzionalmente  tracciato,  generando   un'immunita'   non   piu'
soltanto funzionale ma,  di  fatto,  sostanzialmente  «personale»,  a
vantaggio di chi sia stato eletto membro del Parlamento» (sentenze n.
264 e n. 115 del 2014, n. 313 del 2013; nel medesimo  senso  gia'  le
sentenze n. 508 del 2002, n. 56, n. 11 e n. 10 del 2000)»,  (sentenza
n. 59 del 2018). 
    3. Nell'esprimersi con la delibera adottata il 16 febbraio  2022,
il Senato  della  Repubblica  opera  una  lesione  delle  prerogative
giurisdizionali di questo  organo,  lesione  connessa  al  «principio
dell'efficacia inibente» gia' elaborato dalla Corte costituzionale  a
partire dalla sentenza n. 1150 del 1988 (su cui v. anche le  sentenze
n. 449 del 2002, n. 265 del 1997, n. 129 del 1996, n. 443  del  1993,
n. 149 del 2007; principio  da  ultimo  ribadito  nella  sentenza  27
maggio 2021, n. 110). 
    Con  riferimento  agli  effetti  prodotti   dalla   delibera   di
insindacabilita' assunta dal Senato in data 16  febbraio  2022  sulla
vicenda processuale in esame,  va  infatti  rilevato  come  la  Corte
costituzionale gia' a decorrere dalla citata  sentenza  n.  1150  del
1988, abbia affermato  che  alla  delibera  d'insindacabilita'  segue
necessariamente il riconoscimento  del  cd.  effetto  impeditivo  nei
confronti dei  giudizi  penali  di  responsabilita'  dei  membri  del
Parlamento, effetto superabile solo per il tramite della proposizione
del conflitto di attribuzioni innanzi alla stessa Corte. 
    Di qui la naturale conseguenza per la quale il giudice, a  fronte
di  un'intervenuta  delibera  di  insindacabilita'  della  Camera  di
appartenenza di un parlamentare ex art. 68 Cost., conserva  i  propri
poteri giurisdizionali nei limiti del riconoscimento previsto con  il
rinvio all'art. 129 del  codice  di  procedura  penale  ovvero  della
rimozione della preclusione alla sua esplicazione, per il tramite del
conflitto eli attribuzione. 
    In altri termini,  il  cosiddetto  «principio  della  inefficacia
inibente»  della  delibera  parlamentare   impone   al   giudice   di
conformarsi alla suddetta delibera - come oggi  risulta  testualmente
disposto dall'art. 3, comma 8, della legge n. 140 del  2003  -  salvo
che non intenda contestarne la correttezza  attraverso  lo  strumento
tipico del ricorso per conflitto di attribuzione davanti  alla  Corte
costituzionale. 
    La lettura di tale principio deve essere di  estremo  rigore,  in
quanto componendo in modo assolutamente elevato  le  relazioni  cd  i
conflitti tra  organi  costituzionali,  non  si  presta  ad  indagini
applicative se non quelle connesse alla esatta  individuazione  della
natura del conflitto di attribuzione sollevato: «Dal  tale  principio
consegue semplicemente l'inammissibilita' per il giudice  di  opporre
«una   difforme   pronuncia   di   responsabilita'»   rispetto   alia
deliberazione  di   insindacabilita'   adottata   dalla   camera   di
appartenenza del parlamentare (sentenza n. 1150 del 1988), con cio' -
di fatto - circoscrivendo la limitazione del  potere  giurisdizionale
alla sola adozione di una decisione di assoluzione ex  art.  129  del
codice di procedura penale o di elevazione del conflitto in relazione
alla prerogativa affermata  dalle  assemblee  parlamentari  (cfr.  in
termini, Corte costituzionale 4 maggio 2007, n. 149). 
    In ragione delle ricadute del principio dell'efficacia  inibente,
nonche' del combinato disposto degli articoli  37  c  23  cpv.  della
legge 87 del 1953, il processo a carico dell'imputato Giovanardi deve
essere sospeso. 
    4. Ritiene infine il Tribunale che  il  ricorso  debba  reputarsi
ammissibile tanto  sotto  il  proficuo  soggettivo  quanto  sotto  il
versante oggettivo. Sul piano soggettivo questo Tribunale e'  infatti
l'organo  competente   a   decidere,   nell'ambito   delle   funzioni
giurisdizionali attribuite, sulla fondatezza dell'ipotesi accusatoria
ascritta all'indagato e sulla procedibilita'/punibilita' connessi  al
giudizio introdotto, in quanto organo giurisdizionale,  in  posizione
di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare
definitivamente,  nell'esercizio  delle  funzioni  attribuitegli,  la
volonta' del potere cui appartiene;  d'altro  lato  il  Senato  della
Repubblica  e'  l'organo  deputato  a  esprimere   e   cristallizzare
formalmente  la   volonta'   del   potere   legislativo   in   ordine
all'applicazione  dell'art.  68  comma  I  Costituzione.  Sul   piano
oggettivo il conflitto  concerne  i  presupposti  per  l'applicazione
dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.  e  la  lesione  della  sfera  di
attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantite, di questo
Tribunale.