IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
                            PER IL LAZIO 
                         (Sezione prima ter) 
 
    Ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro  generale  6927  del  2021,  integrato  da  motivi
aggiunti, proposto da  Roberto  Pellegrini,  rappresentato  e  difeso
dagli  avvocati  Andrea  Panzarola,  Claudia  Pezzi,  con   domicilio
digitale come da PEC da Registri  di  Giustizia  e  domicilio  eletto
presso lo studio della seconda in Roma - via  Michele  Mercati  n. 51
- contro; 
    Comitato olimpico nazionale  italiano  -  CONI,  in  persona  del
legale   rappresentante   pro   tempore,   rappresentato   e   difeso
dall'avvocato Pierluigi Matera, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia; 
    Federazione  italiana  tennis  -  FIT,  in  persona  del   legale
rappresentante pro tempore, rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Massimo Luciani, Massimo  Proto,  Valentina  Giaccio,  con  domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    Collegio di garanzia dello  sport  presso  il  CONI,  Federazione
italiana  tennis  -  Comitato  regionale  Toscana,  in  persona   dei
rispettivi legali  rappresentanti  pro  tempore,  non  costituiti  in
giudizio; 
    nei confronti di Alberto Bandini, non costituito in giudizio; 
    per l'annullamento: 
      A) per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 
        della decisione del Collegio di garanzia dello  sport  presso
il CONI, sezione, III, pubblicata in data 27 aprile  2021,  prot.  n.
557/2021, che ha respinto il ricorso  n.  7/2021  promosso  dal  sig.
Roberto Pellegrini, ex articoli 59 del codice di giustizia sportiva e
12-bis statuto del CONI, in data 17 gennaio 2021 per l'annullamento e
la riforma della decisione n. 7/2020 della Corte federale di  appello
presso la FIT, comunicata a mezzo PEC in  data  18  dicembre  2020  e
pubblicata in pari data, con la  quale,  ai  sensi  dell'art.  1.1.4,
comma 5, del regolamento organico FIT, e' stato rigettato il  ricorso
proposto dal ricorrente per l'annullamento dell'esclusione della  sua
candidatura dalla pubblicazione dei  nominativi  dei  candidati  alla
carica di consigliere del C.R.  Toscana  della  FIT  ,  avvenuta  con
comunicazione di «Rifiuto di candidatura» prot. 735  del  9  dicembre
2020, cui ha  fatto  seguito  l'esclusione  della  candidatura  dalla
pubblicazione dei nominativi dei candidati in data 14 dicembre  2020,
per il superamento del limite massimo di tre mandati, di cui all'art.
54, comma 2, statuto FIT e in virtu'  di  quanto  disposto  dall'art.
1.1.4 del regolamento organico FIT, e la successiva elezione di nuovi
consiglieri con delibera dell'Assemblea  regionale  elettiva  Toscana
FIT del 19 dicembre 2020; 
        di ogni altro atto presupposto, consequenziale  e/o  comunque
connesso; 
      B)  per  quanto  riguarda  i  motivi  aggiunti  presentati   da
Pellegrini Roberto il 23 settembre 2021: 
        della decisione n. 63/2021 (prot. n. 01098/2021) del Collegio
di garanzia dello sport presso  il  CONI,  sezione  III,  Presidente,
pubblicata mediante deposito in Segreteria in data 5  agosto  2021  e
comunicata via pec in pari data, che ha respinto il ricorso n. 7/2021
promosso dal sig. Roberto Pellegrini per l'annullamento e la  riforma
della decisione n. 7/2020 della Corte federale di appello  presso  la
FIT  con  la  quale  e'  stato  rigettato  il  ricorso  proposto  dal
ricorrente per l'annullamento dell'esclusione della  sua  candidatura
dalla pubblicazione dei  nominativi  dei  candidati  alla  carica  di
consigliere del C.R. Toscana della FIT. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comitato  olimpico
nazionale italiano e della Federazione italiana tennis; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  8  novembre  2022  il
Cons. Daniele Dongiovanni e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    A)  Con  il  ricorso  introduttivo  del  giudizio,  l'istante  ha
impugnato, per l'annullamento, la decisione n. 557/2021 del  Collegio
di garanzia dello sport del C.O.N.I., sezione III, pubblicata in data
27 aprile 2021, che, nel confermare la comunicazione del  9  dicembre
2020 del Presidente del  Comitato  regionale  della  Toscana,  lo  ha
escluso dalla possibilita' di candidarsi per la carica di consigliere
del   Comitato   regionale   della   Federazione   italiana    tennis
(FIT)-Toscana, in ragione del superamento del limite massimo  di  tre
mandati gia' svolti, siccome previsto dall'art. 54, comma 2,  statuto
FIT (il ricorrente aveva gia' svolto sette  mandati  consecutivi  dal
1981 al 2008). 
    Al riguardo,  il  ricorrente  ha  dapprima  rappresentato  quanto
segue: 
      con avviso di convocazione del 30 novembre 2020, il  Presidente
del Comitato regionale (CR) Toscana  della  FIT  ha  comunicato  agli
associati luogo, giorno e ora dell'assemblea elettiva regionale; 
      in data 2 dicembre 2020, l'istante - quale associato alla FIT -
ha presentato al Comitato regionale Toscana  la  propria  candidatura
alla carica di consigliere regionale; 
      con comunicazione di «Rifiuto di candidatura»  del  9  dicembre
2020  il  Presidente  del  CR  Toscana  ha  respinto  la  candidatura
dell'istante per la carica  di  consigliere  del  Comitato  regionale
della Federazione italiana tennis  (FIT)-  Toscana,  in  ragione  del
superamento del limite  massimo  di  tre  mandati,  siccome  previsto
dall'art. 54, comma 2, statuto FIT e dall'art. 1.1.4 del  regolamento
organico FIT (modificati in ragione dell'entrata in vigore del  nuovo
art. 16, comma 2, del decreto legislativo n.  242  del  1999,  a  sua
volta modificato dall'art. 2 della legge 11 gennaio 2018 n.  8,  cio'
in forza di quanto previsto dall'art. 6, commi 1 e  2,  della  citata
legge n. 8 del 2018); 
      il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinanzi alla  Corte
federale di appello presso la FIT che, in data 18 dicembre 2020,  con
decisione n. 7/2020, ha respinto il ricorso; 
      con successiva  delibera  del  19  dicembre  2020,  l'Assemblea
regionale elettiva Toscana FIT ha  proclamato  l'elezione  dei  nuovi
consiglieri  del  Comitato  regionale  Toscana  per  il   quadriennio
2021-2024 (tale delibera e' stata  anch'essa  impugnata  dall'istante
dinanzi al Tribunale federale); 
      con ricorso proposto in data 17 gennaio 2021,  ex  articoli  59
del Codice di giustizia sportiva e 12-bis statuto del CONI, l'istante
ha quindi impugnato dinanzi al  Collegio  di  garanzia  del  CONI  la
decisione n. 7/2020 della Corte federale di appello  presso  la  FIT,
chiedendone l'annullamento e la riforma; 
      in data 27 aprile 2021, il Collegio di garanzia dello sport  ha
respinto il ricorso  avverso  la  decisione  n.  7/2020  della  Corte
federale di appello presso la FIT (in data 5 agosto 2021, sono  state
pubblicate le motivazioni della decisione - n. 63/2021). 
    Cio' premesso, avverso tale decisione del  Collegio  di  garanzia
del CONI, l'istante ha proposto i seguenti motivi: 
      1) erroneita' e contraddittorieta' della decisione impugnata in
relazione al rigetto del ricorso sotto il profilo  della  abnormita',
nullita' e/o annullabilita' e illegittimita'  del  provvedimento  per
carenza assoluta di potere ex art. 21-septies  legge  n.  241/1990  e
comunque per violazione dei principi comunitari in  materia,  di  cui
agli articoli 12 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE  (Carta
di Nizza) e 11 Convenzione europea per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e alla  giurisprudenza  della
Corte di giustizia, oltre che costituzionali di cui agli articoli  2,
3, 18, 41, 42  e  48  della  Costituzione.  Violazione  dei  predetti
principi e violazione e falsa applicazione  dell'art.  2  del  Codice
della giustizia sportiva. 
      La decisione del Collegio di garanzia dello sport del  CONI  e'
illegittima laddove, nel  confermare  il  provvedimento  della  Corte
federale di appello, nega la tutela delle liberta' e dei diritti  del
ricorrente, con cio' violando  i  principi  comunitari  (direttamente
applicabili)  e  costituzionali  aventi   ad   oggetto   il   diritto
incomprimibile  dell'istante  di  partecipare  pienamente  alla  vita
associativa e alle relative decisioni. 
      La Corte federale di appello e, di conseguenza, il Collegio  di
garanzia  hanno  erroneamente  ritenuto  che  non  sarebbe  possibile
disapplicare la norma statutaria FIT, in quanto essa comporterebbe un
sindacato sulle norme da parte del CONI; tale disapplicazione avrebbe
invece dovuto essere operata dall'organo  endofederale,  avendo  esso
natura giurisdizionale; 
      2) erroneita' e contraddittorieta' della decisione impugnata in
relazione al  rigetto  della  impugnazione  sotto  il  profilo  della
abnormita',  nullita'  e/o  annullabilita'   e   illegittimita'   del
provvedimento per violazione dei principi costituzionali di cui  agli
articoli 2, 3, 18, 41, 42 e 48  della  Costituzione.  Violazione  dei
predetti  principi  costituzionali,  dell'art.  2  del  Codice  della
giustizia sportiva e dell'art. 295 del  codice  di  procedura  penale
nonche' violazione e falsa applicazione dell'art. 39, commi  6  e  7,
del codice della giustizia sportiva. 
      La decisione della Corte federale di  appello,  confermata  dal
Collegio di  garanzia  dello  sport,  e'  manifestamente  illegittima
laddove  ha  ritenuto  di  non  poter  sollevare  la   questione   di
legittimita' costituzionale, per la natura sommaria del  procedimento
di cui all'art. 1.1.4, comma 6, ROF e per i limiti di cognizione  dei
giudici endofederali declinati nei commi  6  e  7  dell'art.  39  del
Codice di giustizia sportiva. 
      Le norme censurate violano, invero, i parametri  costituzionali
di cui all'art. 3 della Costituzione, inteso tanto sotto  il  profilo
dell'uguaglianza quanto sotto il profilo della ragionevolezza  e  non
discriminazione  nel  trattamento  di  situazioni  analoghe;  violano
altresi' gli  articoli  41  e  42  della  Costituzione  che  tutelano
(indirettamente)   l'autonomia   privata,    funzionalizzandola    al
raggiungimento dell'utilita' sociale;  gli  articoli  2  e  18  della
Costituzione in ragione della autonomia  di  cui  gode  l'ordinamento
sportivo rispetto a quello statale e, infine, gli  articoli  2  e  48
della Costituzione sotto il profilo del diritto di elettorato passivo
riconosciuto ai cittadini, avente carattere «inviolabile». 
      La natura di organo giudicante terzo e imparziale del  Collegio
di  garanzia  del  CONI  avrebbe  dovuto  convincere  quest'ultimo  a
sollevare l'incidente di costituzionalita' con riferimento ai profili
sopra indicati; 
      3) erroneita' e contraddittorieta' della decisione impugnata in
relazione al  rigetto  della  impugnazione  sotto  il  profilo  della
abnormita',  nullita'  e/o  annullabilita'   e   illegittimita'   del
provvedimento   alla   luce   richiesta   subordinata   di    lettura
costituzionalmente orientata delle norme relative al  numero  massimo
di mandati. 
      La decisione della Corte federale di  appello,  confermata  dal
Collegio di garanzia del CONI, e'  altresi'  illegittima  in  quanto,
ritenendo  di  non  poter  operare  una  lettura   costituzionalmente
orientata delle norme che hanno imposto la modifica dello statuto FIT
(e analogamente dello statuto CONI) ha negato la tutela  dei  diritti
del ricorrente. 
      La Corte federale di appello ha ritenuto invero  di  non  poter
disapplicare o, comunque, di sollevare la questione  di  legittimita'
costituzionale, anche con riguardo  alla  norma  transitoria  di  cui
all'art. 6, comma 4, della legge n. 8 del 2018 (che consente a coloro
che svolgono le funzioni di  consigliere  alla  data  di  entrata  in
vigore della legge n.  8/2018  di  potersi  candidare  per  un  nuovo
mandato),  per  le  medesime  ragioni  esposte  con   riguardo   alla
disposizione principale. 
      Si sono costituiti in giudizio la FIT e il CONI, per  resistere
al ricorso. 
    B) In data 23 settembre 2021 in ragione della pubblicazione delle
motivazioni della decisione n.  63/2021  da  parte  del  Collegio  di
garanzia dello sport presso il CONI,  il  ricorrente  ha  proposto  i
seguenti motivi aggiunti: 
      1)  violazione  e   falsa   applicazione   dei   principi   che
sovrintendono alla disapplicazione di norme nazionali e atti  interni
contrastanti con le fonti aventi il rango di  normativa  eurounitaria
sovraordinata direttamente applicabili negli  ordinamenti  nazionali.
Violazione e falsa applicazione degli articoli 11  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali e art. 12 della carta di Nizza (quali  parti  integranti
del diritto eurounitario secondo la  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia). Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del codice di
giustizia sportiva del Coni.  Carenza  assoluta  di  potere  ex  art.
21-septies, legge n. 241 del 1990. Violazione  e  falsa  applicazione
dei principi generali e delle regole in tema  di  individuazione  dei
c.d. organismi di diritto pubblico, nonche' dell'art.  15,  comma  2,
decreto legislativo n. 242/1999 (il  «decreto  Melandri»),  dell'art.
20, comma 1, statuto del Coni e dell'art. 1, comma 1, statuto FIT. 
      Le motivazioni con le quali il Collegio di garanzia  del  CONI,
nel confermare la decisione della Corte federale d'appello della FIT,
ha negato la sussistenza  dei  presupposti  per  la  disapplicazione,
risultano tra loro contraddittorie in quanto da un lato si esclude in
astratto la ricorrenza stessa dei presupposti per la  disapplicazione
e dall'altro si  nega  la  disapplicazione  stessa  per  la  ritenuta
conformita'  della  previsione  censurata  ai  principi  euro-unitari
(articoli  11  della Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 12 della  Carta  di
Nizza). 
      In ogni caso, il Collegio di garanzia e' tenuto ad applicare le
norme dell'ordinamento sportivo, cio' ai sensi dell'art. 2 del codice
di giustizia sportiva. 
      E', poi, erronea la qualificazione della FIT  quale  «organismo
di diritto pubblico», come sancito  di  recente  nella  sentenza  del
Consiglio di Stato n. 5348/2021, sebbene riferita alla FIGC; 
      2) violazione e falsa  applicazione  dell'art.  1  della  legge
costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1  (norme  sui   giudizi   di
legittimita' costituzionale e  sulle  garanzie  d'indipendenza  della
Corte costituzionale) e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(norme  sulla  Costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale), come pure degli  articoli  39  e  2  del  codice  di
giustizia sportiva del Coni. Violazione e falsa applicazione art. 295
del codice di procedura civile. 
      Il Collegio  di  garanzia  -  nel  negare  che  gli  organi  di
giustizia sportiva (la Corte federale d'appello, prima, e il Collegio
di  garanzia,  poi)  siano  legittimati  a  sollevare  questione   di
costituzionalita' delle norme che sono chiamati  ad  applicare  -  ha
violato le norme che fissano i presupposti per riconoscere in capo ad
un determinato organo la  legittimazione  a  sollevare  questione  di
costituzionalita' in via incidentale, come l'essere un  organo  terzo
ed imparziale di ultima istanza; 
      3) in via subordinata  al  rigetto  del  precedente  motivo  di
ricorso, riproposizione della questione  di  costituzionalita'  degli
articoli  16,  comma  2,  decreto  legislativo  n.  242/1999  -  come
modificato dall'art. 2, comma 1, legge n. 8/2018 - e  6,  commi  1  e
2, legge n. 8/2018 ss. TFUE). 
      La decisione impugnata merita di essere annullata in quanto  il
Collegio di garanzia del CONI avrebbe dovuto sollevare  questione  di
costituzionalita' degli articoli 16, comma 2, decreto legislativo  n.
242/1999 - come modificato dall'art. 2, comma 1, legge n. 8/2018 -  e
6, commi 1 e 2, legge n. 8/2018. 
      In via subordinata, il ricorrente chiede di sollevare questione
di costituzionalita' delle norme citate in  quanto  contrastanti  con
gli articoli 2, 3, 18, 41, 42 e 48  della  Costituzione,  nonche'  12
della  Carta  di  Nizza,  11  della  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 20
ss. TFUE; 
      4) error in iudicando in ordine al rifiuto  di  interpretazione
costituzionalmente orientata (in riferimento agli articoli 2, 3,  18,
41, 42 e 48 della Costituzione, nonche' 12 della Carta di  Nizza,  11
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali e 20 ss. TFUE)  delle  norme  transitorie
(articoli. 16, comma  2,  decreto   legislativo.  n.  242/1999,  come
modificato dall'art. 2, comma 1, legge n. 8/2018, art.  6,  comma  4,
legge n. 8/2018, articoli 54, comma 2, e 62-bis statuto FIT). 
      Il Collegio di garanzia del CONI ha rifiutato di  procedere  ad
una  interpretazione   costituzionalmente   orientata   delle   norme
transitorie associate all'introduzione del limite dei tre mandati; ed
invero, una lettura «costituzionalmente orientata» delle disposizioni
richiamate e, in particolare, delle  disposizioni  transitorie  dello
statuto della FIT - art. 62-bis - e dello  statuto  del  CONI -  art.
36-bis, comma 3 - deporrebbe. nel senso che la regola che fa salva la
candidatura di coloro che siano in carica al momento dell'entrata  in
vigore della stessa vada estesa anche a coloro  che  hanno  svolto  e
concluso i tre mandati in un periodo antecedente. 
      Con memoria, la FIT, atteggiandosi alla stregua di  un  «amicus
curiae» e dopo aver ribadito la correttezza delle  decisioni  assunte
dalla Federazione alla  luce  delle  norme  vigenti  dell'ordinamento
sportivo, ha sottolineato l'esigenza di poter contare  su  un  quadro
normativo coerente con i parametri  costituzionali,  non  opponendosi
quindi  all'eventuale  decisione  di  sollevare   la   questione   di
legittimita'  costituzionale   dell'art.   16,   comma   2,   decreto
legislativo n. 242/1999, come modificato dall'art. 2, comma 1,  legge
n. 8/2018 e 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018, per contrasto  con
gli articoli 2, 3,  18,  41,  42,  48,  51  e  117,  comma  1,  della
Costituzione  (quest'ultimo  con  riferimento   all'art.   11   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali ) e art. 12 della Carta di Nizza. 
      Allo stesso modo, il CONI, dopo aver  ribadito  la  correttezza
dell'operato del Collegio di garanzia, ha anch' esso rappresentato di
non opporsi all'eventuale decisione  di  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale della normativa sopra indicata. 
      Con memoria, il  ricorrente  ha  insistito  per  l'accoglimento
delle proprie censure. 
      Con memorie di replica, tutte le parti hanno ribadito  le  loro
rispettive posizioni. 
      Alla pubblica udienza dell'8 novembre 2022, la causa,  dopo  la
discussione delle parti, e' stata  trattenuta  dal  Collegio  per  la
decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Con il primo  motivo  (riproposto  con  il  primo  dei  motivi
aggiunti  e,  pertanto,  da  trattare  congiuntamente  ad  esso),  il
ricorrente lamenta la mancata disapplicazione da parte  del  Collegio
di garanzia del CONI dell'art. 54, comma  2,  dello  statuto  FIT  e,
quindi, dell'art. 16, comma 2, del decreto  legislativo  n.  242  del
1999, come modificato dall'art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018
(di cui il citato art. 54, comma 2,  dello  statuto  FIT  costituisce
diretta applicazione, in forza dell'art. 6, commi 1 e 2, della  legge
n. 8 del 2018, nella parte in cui non consente  a  coloro  che  hanno
gia' svolto tre mandati di candidarsi al  Consiglio  regionale  della
FIT), per contrasto con le regole sovraordinate euro-unitarie  ovvero
l'art. 11 della Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e l'art. 12  della  Carta  di
Nizza; l'istante lamenta, altresi', la qualificazione della FIT quale
«organismo di diritto pubblico» che, secondo il Collegio di garanzia,
giustificherebbe il limite dei tre mandati introdotto dalla normativa
citata. 
    1.1 Le censure sono infondate. 
    1.2  Il   Collegio   e'   consapevole   che   la   giurisprudenza
amministrativa, coerentemente all'orientamento espresso  in  materia,
ha ribadito il principio in base al  quale  le  norme  euro-unitarie,
essendo di rango superiore a quelle dell'ordinamento interno,  vadano
applicate non  solo  dal  giudice  nazionale  adito  ma  anche  dagli
apparati amministrativi (tra i quali va annoverato anche il  Collegio
di garanzia del CONI, come e' stato di recente ribadito con  sentenza
del  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio,  sez,   I-ter,   n.
13943/2022, richiamando sul punto, a sua  volta,  le  sentenze  della
Corte costituzionale nn. 49/2011 e 160/2019). 
    Quella stessa giurisprudenza ha tuttavia affermato - tra  l'altro
- che tale meccanismo si traduce in un potere-dovere da  parte  anche
dei funzionari amministrativi di disapplicare le norme  nazionali  in
contrasto con il diritto eurounitario, soprattutto se tale  conflitto
e' stabilito da una fonte univoca  che  rechi  disposizioni  «chiare,
precise ed incondizionate»; in tal caso,  la  disapplicazione  e'  un
obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e,  quindi,
anche  per  gli  apparati  amministrativi  che,  attraverso  i   suoi
funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante
con il diritto euro-unitario (cfr, per tutte, CGUE, 22  giugno  1989,
C-103/88 e 24 maggio 2012, C-97/11; Corte costituzionale, sentenza 21
aprile 1989, n. 232; Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006,  n.  3072;  VI,
7874/2019; V, 5 marzo 2018, n. 1342 e, da  ultimo,  Cons.  Stato,  Ad
Plenaria, n. 17 e 18/2021). 
    1.3 Il  Collegio  e',  altresi',  consapevole  della  discussione
ancora in atto in relazione al  valore  giuridico  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali e della Carta di Nizza;  quest'ultima,  in  particolare,
con l'entrata in vigore del  «Trattato  di  Lisbona»  ha  assunto  il
medesimo valore giuridico dei trattati,  ai  sensi  dell'art.  6  del
Trattato sull'Unione  europea,  e  si  pone  dunque  come  pienamente
vincolante per le istituzioni europee e gli Stati membri. 
    Per quanto riguarda le norme della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  ,
poi, a fronte  di  un  orientamento  consolidato  che  ha  da  sempre
ritenuto che le stesse avessero il valore di  norme  interposte  (nel
senso cioe' che sono subordinate alla  Costituzione  e  sovraordinate
rispetto alla legge ordinaria) tanto che, in caso  di  contrasto  con
una norma interna, il giudice  era  (e')  obbligato  a  sollevare  la
questione  di  legittimita'   costituzionale   dinanzi   alla   Corte
costituzionale, a seguito della modifica  dell'art.  6  del  Trattato
sull'Unione europea nella  parte  in  cui  si  afferma  che  l'Unione
europea aderisce alla Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  ,  si  e'  discusso
sugli effetti di tale modifica ovvero se cio'  abbia  comportato  una
«comunitarizzazione» della Convenzione europea. 
    Ed invero, secondo un recente orientamento, la predetta  modifica
avrebbe comportato un  ingresso  a  pieno  titolo  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali nel diritto comunitario e, pertanto, anche per le  nonne
ivi contenute, varrebbe il principio del primato sul diritto  interno
e il dovere di disapplicazione della norma interna in  contrasto  con
la norma della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali . 
    1.4  Pur  tuttavia,   anche   a   voler   ritenere   la   diretta
applicabilita'  delle  norme   della Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
della  Carta  di  Nizza  nell'ordinamento  interno  e,   quindi,   la
possibilita' di procedere alla disapplicazione in caso  di  contrasto
tra norma interna e i principi euro-unitari ivi contenuti, ritiene il
Collegio che non vi siano i presupposti per procedere in  tal  senso,
con  conseguente  rigetto  delle  censure  sollevate  sul  punto  dal
ricorrente con riferimento alla decisione del  Collegio  di  garanzia
impugnata in questa sede. 
    Ed invero, con riferimento al principio del primato  del  diritto
euro-unitario e agli effetti  diretti  nell'ordinamento  interno,  la
Corte di giustizia - come gia' anticipato - ha sempre enunciato, gia'
con riferimento ai trattati istitutivi, il principio (poi esteso alle
direttive c.d. self executing)  secondo  cui  i  trattati,  fonti  ed
espressione di un «ordinamento giuridico di  nuovo  genere»,  possono
creare effetti per gli Stati e anche per gli individui ogni qualvolta
le sue disposizioni siano «chiare, precise ed incondizionate». 
    Ed invero, come per le norme delle direttive  self  executing  (o
dettagliate), anche le norme dei Trattati possono essere direttamente
applicabili  nell'ordinamento  interno  se  impongono  obblighi   nei
confronti  dello  Stato  membro   che   siano   chiari,   precisi   e
incondizionati; solo sussistendo  tali  presupposti,  le  norme  sono
cosi' idonee a conferire diritti ai singoli e sono quindi applicabili
da  qualsiasi  autorita'   amministrativa   e   giurisdizionale   per
riconoscere quei diritti ai cittadini. 
    1.5 Nella fattispecie in esame,  tali  caratteristiche  non  sono
rinvenibili in quanto le norme euro-unitarie invocate dal  ricorrente
(art. 11 della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e  art.  12  della  Carta  di
Nizza) si limitano ad invocare il diritto di liberta' di associazione
(come previsto, peraltro, dall'art. 18 della  Costituzione)  che  non
puo' dirsi  in  palese  contrasto  con  il  limite  dei  tre  mandati
introdotto dall'art. 16, comma 2, del decreto legislativo n. 242  del
1999 (poi, trasposto nell'art. 54, comma 2, dello statuto  FIT),  nel
senso cioe' che le prime  non  recano  una  previsione  specifica  al
riguardo che si ponga in patente contrasto con la  normativa  interna
di recente introdotta, la quale, invero, non arriva certo  a  vietare
l'esercizio di tale liberta'. 
    Del resto, come si avra' modo di dire  nel  prosieguo,  non  puo'
escludersi che un limite  ai  mandati  nell'assunzione  di  incarichi
federali possa essere astrattamente ammissibile (anche  se  in  senso
proporzionale e ragionevole), ma cio' che nel caso rileva e' che  non
puo' farsi discendere in via diretta  dalla  normativa  euro-unitaria
invocata dal ricorrente il patente contrasto con il limite introdotto
di recente nell'ordinamento interno dal legislatore del 2018. 
    Alla luce di quanto sopra esposto, non assume  specifico  rilievo
l'impedimento alla disapplicazione dedotto dal Collegio  di  garanzia
nella decisione impugnata circa l'obbligo cogente per gli  organi  di
giustizia federale (previsto dall'art.  2  del  Codice  di  giustizia
sportiva) di osservare  le  norme  dell'ordinamento  sportivo  e,  in
particolare, quelle adottate dall'ente sovraordinato ovvero il CONI. 
    Ne' rileva, in questa sede, il fatto che il Collegio di  garanzia
del CONI  abbia  qualificato  la  FIT  quale  «organismo  di  diritto
pubblico» (profilo che sara' comunque  esaminato  nel  prosieguo)  in
quanto,  in  disparte  il  fatto  che  tale  concetto  assume  valore
nell'ambito del settore dei contratti pubblici, cio'  che  conta  nel
caso di  specie  e'  che  non  sussistano  le  condizioni  per  poter
utilizzare l'istituto  della  disapplicazione  che,  come  detto,  e'
subordinato a precisi limiti e requisiti. 
    Da cio' il rigetto del primo motivo del  ricorso  introduttivo  e
del primo motivo aggiunto. 
    2. Con  il  secondo  motivo  (ribadito  nel  secondo  dei  motivi
aggiunti), l'istante lamenta  poi  l'illegittimita'  della  decisione
impugnata nella parte in cui il Collegio  di  garanzia  del  CONI  ha
ritenuto di non poter sollevare la questione di legittimita'  dinanzi
alla Corte costituzionale della normativa piu' volte richiamata. 
    2.1  La  prospettazione  non  puo'  essere   accolta,   dovendosi
condividere  quanto  argomentato  dal  Collegio  di  garanzia   nella
decisione impugnata n. 63/2021. 
    2.2 In quella sede, il Collegio di garanzia  del  CONI  ha  avuto
modo di affermare, in particolare, che «l'equilibrio tra la  funzione
giustiziale e la tutela giurisdizionale piena e'  comunque  garantito
dal fatto che, coerentemente,  il  sistema  attribuisce  agli  organi
giurisdizionali della  giustizia  amministrativa  di  primo  grado  e
d'appello, dinanzi al quale possono  essere  impugnate  le  decisioni
degli organi di giustizia sportiva, la legittimazione a sollevare  in
via incidentale le questioni di legittimita' costituzionale...». 
    Ora, ritiene  il  Collegio  -  in  disparte  per  ora  la  natura
amministrativa degli organi della giustizia  sportiva  -  che,  anche
alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto  la
legittimazione   di   organi   non   aventi   carattere   prettamente
giurisdizionale,  il   fattor   comune   che   ha   consentito   tale
riconoscimento sta proprio nella definitivita' o meno della decisione
assunta  dall'organismo  interessato,  anche  se  in   posizione   di
effettiva terzieta' tra le parti. 
    Non e' un  caso,  invero,  che  non  sia  stata  riconosciuta  la
legittimazione   a   sollevare   la   questione    di    legittimita'
costituzionale al Consiglio di Stato in sede di  parere  sul  ricorso
straordinario al Capo dello Stato, sul presupposto  che  il  Ministro
fosse (nel regime previgente)  in  grado  di  superare  la  decisione
dell'organo  consultivo,  portando  la  questione  al  Consiglio  dei
ministri (Corte costituzionale, ordd. nn. 254, 357 e 392  del  2004);
lo  stesso  e'  poi   avvenuto   con   riferimento   alle   Autorita'
amministrative indipendenti  (Corte  costituzionale  n.  13/2019)  in
quanto, oltre alla  loro  natura  prettamente  amministrativa  e  non
paragiurisdizionale (AGCM in quel caso), le  relative  decisioni  non
possono considerarsi definitive nella misura in cui sono assoggettate
al sindacato del giudice amministrativo. 
    Si tratta di fattispecie sovrapponibili al caso di  specie  dove,
alla natura amministrativa degli organi di  giustizia  sportiva  (mai
smentita - come detto - dalle sentenze della Corte costituzionale nn.
49/2011 e  160/2019,  come  ricordato  nella  citata  sentenza  della
Sezione n. 13943/2022), si aggiunge il fatto  che  le  decisioni  del
Collegio di garanzia che hanno un rilievo per  l'ordinamento  statale
(e che, quindi, fuoriescono dall'ambito strettamente  sportivo)  sono
comunque  soggette  in   particolare   al   sindacato   del   giudice
amministrativo, siccome previsto dall'art. 3 del decreto-legge n. 220
del 2003, convertito in legge n. 280 del 2003. 
    A cio' si aggiunga che, quantomeno con riferimento agli organi di
giustizia endofederale, difetta il requisito  della  terzieta'  nella
misura in cui si tratta di  un  «giudice»,  peraltro  nominato  dallo
stesso Consiglio federale di appartenenza, che opera  all'interno  di
un procedimento giustiziale nel quale e' parte la Federazione stessa. 
    Ora, sebbene il Collegio di garanzia sia un  organismo  istituito
al  di  fuori  del  circuito  delle  Federazioni  sportive,  non   va
sottaciuto  che  esso  giudica  sulla  legittimita'  delle  decisioni
assunte dagli organi endofederali che, per le ragioni sopra  esposte,
non avrebbero potuto sollevare incidenti di legittimita' dinanzi alla
Corte costituzionale; in ogni caso, assume valore dirimente la natura
comunque amministrativa del Collegio di  garanzia  e  soprattutto  il
carattere non definitivo delle deliberazioni aventi  un  rilievo  per
l'ordinamento statale che, invero,  sono  assoggettate  al  sindacato
degli organi giurisdizionali statali. 
    3. Concluso l'esame dei primi due motivi del ricorso introduttivo
del giudizio e dei connessi motivi aggiunti, il Collegio, anche  alla
luce di quanto rappresentato da tutte le parti del presente giudizio,
ritiene  di  dover  procedere  alla  verifica  dei  presupposti   per
sollevare la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  16,
comma 2, decreto legislativo n. 242/1999, come  modificato  dall'art.
2, comma 1, della legge n. 8/2018, e dell'art. 6, commi 1 e 2,  della
legge n. 8/2018, ai fini della decisione sugli  ulteriori  motivi  di
ricorso. 
    Ed invero, sebbene il  ricorrente  abbia  prospettato  anche  una
violazione delle norme euro-unitarie e, in particolare, dell'art.  11
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali e dell'art. 12 della Carta di  Nizza,  il
Collegio  -  senza   con   cio'   ripercorrere   l'evoluzione   della
giurisprudenza costituzionale in tema di «doppia pregiudizialita'»  -
ritiene tuttavia di doversi determinare nel senso  di  percorrere  la
strada dell'incidente interno di costituzionalita' e non  quello  del
rinvio pregiudiziale alla CGUE, sul presupposto che,  come  si  avra'
modo di chiarire nel prosieguo, i parametri  normativi  di  principio
violati non si esauriscano  nella  sola  lesione  della  liberta'  di
associazione  (peraltro,  protetta  dallo  stesso   art.   18   della
Costituzione, oltre che successivamente dalla Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e
dalla Carta di Nizza) ma in una serie  di  norme  costituzionali  ben
piu' ampia, come gli articoli 2, 3, 41, 42 e 48  della  Costituzione,
con cio' aderendo alla tesi secondo  cui,  nella  scelta  tra  i  due
canali della «doppia  pregiudiziale»,  occorre  seguire  il  criterio
della  prevalenza  del  profilo,  costituzionale   o   euro-unitario,
concretamente coinvolto nella  vicenda  all'esame;  ora,  posto  che,
nella fattispecie  in  esame,  prevale  il  profilo  della  possibile
lesione di variegati principi costituzionali, il Collegio ritiene che
vada preferita la strada dell'incidente di costituzionalita'  dinanzi
alla Corte costituzionale che potra' prendere in esame  piu'  profili
di possibile violazione che non si  esauriscono  nella  sola  lesione
della liberta' di associazione. 
    A cio' si aggiunga che  la  liberta'  di  associazione  garantita
dalle predette norme eurounitarie (art. 11 della Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali e art. 12 della Carta di Nizza) non differisce da quella
prevista  dalla  norma  costituzionale   interna   (art.   18   della
Costituzione), dal che deriva un ulteriore profilo di preferenza  per
la scelta di adire la Corte costituzionale in modo da sancire in  via
definitiva, attraverso  l'eventuale  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale, la  vigenza  o  meno  della  norma  di  che  trattasi
nell'ambito  dell'ordinamento  interno,  differentemente  da   quanto
potrebbe disporre la CGUE alla  quale  non  e'  consentito  espungere
dall'ordinamento  interno  la  norma  in  contrasto  con  il  diritto
euro-unitario ma solo sancirne la disapplicazione con riferimento  al
caso concreto. 
    4. Cio' premesso, ritiene il  Collegio  che  la  questione  della
legittimita'  costituzionale   dell'art.   16,   comma   2,   decreto
legislativo n. 242 del 1999, come modificato dall'art.  2,  comma  1,
della legge n. 8 del 2018, e dell'art. 6, commi 1 e 2, della legge n.
8/2018 sia rilevante e non manifestamente infondata. 
A) In punto di rilevanza della questione. 
    Per  valutare  la  rilevanza  della  questione  ai   fini   della
definizione  del  presente  giudizio,  va  anzitutto  ricostruito  il
contesto normativo di riferimento: 
      l'art. 2, comma 1,  della  legge  11  gennaio  2018,  n.  8  ha
modificato l'art. 16, comma 2,  del  decreto  legislativo  23  luglio
1999, n. 242 che ora cosi' recita:  «Gli  statuti  delle  federazioni
sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono le
procedure per l'elezione del presidente e  dei  membri  degli  organi
direttivi, promuovendo le pari opportunita' tra donne  e  uomini.  Il
presidente e i  membri  degli  organi  direttivi  restano  in  carica
quattro anni e non possono svolgere piu' di tre mandati. Qualora  gli
statuti prevedano la rappresentanza per delega, il CONI, al  fine  di
garantire una piu' ampia partecipazione alle  assemblee,  stabilisce,
con proprio provvedimento, i principi generali  per  l'esercizio  del
diritto di voto per delega in assemblea al fine, in  particolare,  di
limitare le concentrazioni di deleghe di voto mediante una  riduzione
del numero delle deleghe medesime che possono essere  rilasciate,  in
numero comunque  non  superiore  a  cinque.  Qualora  le  federazioni
sportive nazionali e le discipline sportive associate non adeguino  i
propri statuti alle predette disposizioni, il CONI,  previa  diffida,
nomina un commissario ad acta che vi provvede entro  sessanta  giorni
dalla data della  nomina.  Gli  statuti  delle  federazioni  sportive
nazionali e delle discipline sportive associate possono prevedere  un
numero di mandati inferiore al limite di cui al presente comma, fatti
salvi gli  effetti  delle  disposizioni  transitorie  in  vigore.  La
disciplina di cui al presente comma si applica  anche  agli  enti  di
promozione sportiva, nonche' ai presidenti e ai membri  degli  organi
direttivi delle strutture  territoriali  delle  federazioni  sportive
nazionali e delle discipline sportive associate»; 
      altresi', l'art. 6, comma 1 e 2, della citata legge  n.  8  del
2018 ha anche previsto i tempi di adeguamento degli statuti del  CONI
e delle varie  Federazioni  sportive,  cosi'  prevedendo:  «1.  Entro
quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il
Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) adegua  lo  statuto  alle
disposizioni di cui all'art. 3, comma 2, del decreto  legislativo  23
luglio 1999, n. 242,  come  sostituito  dall'art.  1  della  presente
legge. Entro il medesimo termine, il CONI adotta il provvedimento  di
cui all'art. 16, comma 2, terzo periodo, del decreto  legislativo  n.
242 del 1999, come sostituito dall'art. 2 della presente legge. 
      2. Entro sei mesi dalla data di  approvazione  delle  modifiche
statutarie  del  CONI,  le  federazioni  sportive  nazionali   e   le
discipline  sportive  associate,  nonche'  gli  enti  di   promozione
sportiva, adeguano i loro statuti alle disposizioni di  cui  all'art.
16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio  1999,  n.  242,  come
sostituito dall'art. 2 della presente legge»; 
      ora, con riferimento alla modifica dello Statuto della FIT,  il
CONI, in carenza del suo adeguamento entro  i  termini  previsti  dal
citato art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018,  ha  nominato,
ai sensi del citato art. 16, comma 2, del decreto legislativo n.  242
del 1998 (come modificato), un commissario  ad  acta  il  quale,  con
decreto del 20 giugno 2019, ha modificato l'art. 54, comma  2,  dello
statuto della FIT nel modo che  segue:  «Il  presidente  federale,  i
presidenti  regionali  e  provinciali,  i  componenti  del  consiglio
federale e dei consigli regionali  e  provinciali  della  F.I.T.  non
possono svolgere piu' di tre mandati». 
    Da  tale  ricostruzione,  risulta  evidente  che  la   previsione
contenuta ora nello  statuto  della  FIT  costituisce  una  chiara  e
pedissequa applicazione  della  disposizione  contenuta  nella  norma
primaria (ovvero l'art. 16, comma 2, decreto legislativo n.  242  del
1999) che vieta al presidente e  ai  membri  degli  organi  direttivi
(federali, come nel caso di specie) di svolgere piu' di  tre  mandati
nell'ambito della loro vita associativa. 
    Peraltro, il fatto che lo statuto della FIT sia stato adeguato in
maniera «coattiva» dal commissario ad acta nominato dal CONI avvalora
ancora di  piu'  il  fatto  che,  in  assenza  di  quella  previsione
contenuta nella norma primaria, quella fonte  normativa  non  sarebbe
stata oggetto di alcuna modifica ne' tantomeno  avrebbe  previsto  un
tale limite assoluto nello svolgimento delle cariche associative. 
    E' evidente che lo scrutinio  di  legittimita'  riguarda  in  via
diretta la norma  primaria  contenuta  nell'art.  16,  comma  2,  del
decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall'art.
2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n.  8,  di  cui  l'art.  54,
comma 2, dello statuto FIT, in forza dell'art. 6, commi 1 e 2,  della
legge n. 8/2018, costituisce mera applicazione (come del resto  anche
l'art. 36-bis, comma 3, dello statuto del CONI,  con  riferimento  al
CONI stesso). 
    Sempre in punto di rilevanza, ritiene  altresi'  il  Collegio  di
dover  sgombrare  il  campo  dalla  possibilita',   prospettata   dal
ricorrente, di operare una lettura costituzionalmente  orientata  del
citato art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio  1999,  n.
242, «mutuando» la  previsione  transitoria  contenuta  nell'art.  6,
comma 4, della legge n. 8 del 2018 secondo  cui  «I  presidenti  e  i
membri  degli  organi  direttivi  nazionali  e   territoriali   delle
federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e
degli enti di promozione sportiva che sono in  carica  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge e che hanno gia' raggiunto  il
limite di cui all'art. 16, comma  2,  secondo  periodo,  del  decreto
legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall'art. 2 della
presente legge, possono svolgere, se eletti,  un  ulteriore  mandato.
Nel  caso  di  cui  al  periodo  precedente,  il  presidente  uscente
candidato  e'  confermato  qualora  raggiunga  una  maggioranza   non
inferiore al 55 per cento dei votanti». 
    Ora,  una  piana  lettura  della  citata  norma  transitoria,  in
ossequio al principio «in claris non fit interpretatio», non consente
di operare un'estensione nel senso auspicato dal ricorrente  anche  a
coloro che avevano concluso il mandato prima dell'entrata  in  vigore
della legge n. 8 del 2018. 
    Peraltro, a ben vedere, la prospettazione del ricorrente non mira
a ricercare una lettura costituzionalmente orientata del  nuovo  art.
16, comma 2, del decreto legislativo n. 242 del 1999 nella  parte  in
cui impone il limite dei tre mandati  bensi'  una  lettura  estensiva
della predetta norma transitoria contenuta nel citato art.  6,  comma
4, della legge n. 8 del  2018  che,  tuttavia,  come  detto,  non  e'
praticabile  in  ragione  della  chiarezza  della   fattispecie   ivi
regolata. 
    Ne' puo' invocarsi il divieto di retroattivita'  delle  norme  di
cui all'art. 11 delle preleggi in quanto il limite  dei  tre  mandati
opera solo per l'avvenire, pur con il temperamento della citata norma
transitoria,  ovvero  per  il  rinnovo  delle   cariche   associative
successive all'entrata in vigore della legge e  cio'  e'  sufficiente
per ritenere rispettato il predetto divieto. 
    Per concludere sul punto della rilevanza, l'art. 16, comma 2, del
decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall'art.
2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, essendo il presupposto
della modifica statutaria (art. 54, comma 2, dello statuto  FIT),  ha
costituito il fondamento che ha portato all'esclusione del ricorrente
dalle elezioni per il rinnovo dei consiglieri regionali della FIT, in
relazione  al  quale  non  e'  possibile,  ad  avviso  del  Collegio,
percorrere letture costituzionalmente  orientate  che  consentano  di
evitare di sollevare  l'incidente  di  costituzionalita'  dinanzi  al
giudice delle leggi. 
B)  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  comma  2,  del  decreto
legislativo 23 luglio 1999, n.  242,  come  modificato  dall'art.  2,
comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1  e
2, della legge n. 8/2018 per violazione degli articoli 2, 3, 18,  41,
42, 48 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione  all'art.  11
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali , e dell'art. 12 della Carta di Nizza. 
    Al riguardo, va, preliminarmente, esaminata la  natura  giuridica
della  Federazione  italiana  tennis  -  FIT  anche  per  individuare
l'esatto parametro costituzionale di riferimento  in  base  al  quale
verificare la compatibilita' delle norme richiamate come, ad esempio,
l'art.   97   della   Costituzione   (se   trattasi    di    pubblica
amministrazione) oppure l'art. 18 della Costituzione  (se  si  e'  di
fronte ad un ente di natura privatistica). 
    Come detto, il  Collegio  ritiene  che  la  Federazione  italiana
tennis - FIT, almeno con riferimento alla fattispecie in  esame,  sia
annoverabile tra le associazioni di diritto privato. 
    Cio', invero, non solo si ricava dal dato testuale della norma di
riferimento ovvero l'art. 15, comma 2, del decreto legsialtivo n. 242
del 1999 (poi, ribadito nell'art. 1, comma 1, dello statuto FIT)  che
annovera,  invero,  le  federazioni   sportive   nazionali   tra   le
associazioni con personalita' giuridica di diritto privato (la  norma
citata aggiunge, poi, che «Esse non perseguono fini di lucro  e  sono
soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto,
alla disciplina del codice civile e delle  relative  disposizioni  di
attuazione»); anche in un  settore  diverso  da  quello  che  si  sta
trattando in questa sede (ovvero il  diritto  di  elettorato  passivo
degli associati della FIT),  lo  stesso  Consiglio  di  Stato,  nella
sentenza n. 5348/2021, seppure con riferimento  alla  FIGC  (ma  cio'
vale anche per le altre Federazioni), ha  ritenuto  che  la  predetta
Federazione non fosse  annoverabile  tra  gli  organismi  di  diritto
pubblico,  con  conseguente  non  assoggettabilita'  alla  disciplina
dettata in materia di contratti pubblici. 
    In quel caso, il giudice  di  appello,  sviluppando  i  parametri
interpretativi forniti dalla Corte di giustizia  dell'Unione  europea
nella sentenza sulle cause riunite C155/19 e C-156/19 del 3  febbraio
2021, ha escluso che possa  riconoscersi  un'influenza  dominante  da
parte  del  CONI  nella  gestione  delle  Federazioni  sportive   ne'
tantomeno la sussistenza «di vincoli idonei a comprimere  l'autonomia
di gestione interna». 
    Ora, sebbene non possa dubitarsi che le Federazioni  sportive  e,
quindi, la FIT svolgano comunque attivita' di  rilievo  pubblicistico
(come la promozione dello sport di riferimento),  cio'  non  vale  ad
attribuire alle stesse una soggettivita' pubblica con il  conseguente
assoggettamento ai relativi vincoli normativi. 
    In questo quadro, il CONI, nella gestione delle  Federazioni,  ha
si' una funzione di regolazione e controllo ma  limitata  al  settore
delle competizioni sportive e, pertanto, non e' tale da far  assumere
a queste ultime natura pubblicistica. 
    Del resto, la stessa  Corte  costituzionale,  nella  sentenza  n.
160/2019, nel ribadire l'autonomia dell'ordinamento sportivo e la sua
conformita'  al  concetto  pluralista  dello  Stato  disegnato  nella
Costituzione, ha riconosciuto che  il  sistema  dello  «sport»  trova
protezione proprio negli articoli  2  e  18  della  Costituzione  che
garantiscono   lo   sviluppo   della   personalita'    dell'individuo
nell'ambito delle formazioni sociali e che assicurano il  diritto  di
associarsi liberamente per fini che  non  sono  vietati  dalla  legge
penale. 
    Cio' posto con riferimento alla natura giuridica (privata)  della
FIT,  puo'  ora  passarsi  ad  esaminare  i  profili   di   possibile
incostituzionalita' dell'art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23
luglio 1999, n. 242, come modificato  dall'art.  2,  comma  1,  della
legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1 e 2, della  legge
n. 8/2018 nella parte in cui esclude  agli  associati  della  FIT  la
possibilita' di candidarsi nell'ambito degli organi direttivi qualora
abbiano gia' svolto tre mandati elettivi. 
    Si tratta, invero, di  una  previsione  che  rende  l'interessato
interdetto in via definitiva dalla possibilita' di  far  parte  degli
organi direttivi della FIT, tanto da non poter  prendere  piu'  parte
attiva nell'attivita' gestionale e di indirizzo dell'associazione  di
che trattasi. 
    Cio', ad avviso del Collegio, appare dapprima  in  contrasto  con
gli articoli 2, 3 e 18 della Costituzione nella misura  in  cui  tale
previsione risulta  sproporzionata  ed  irragionevole  rispetto  agli
obiettivi che il legislatore stesso si era prefissato di raggiungere,
soprattutto se si tratta di incidere su  un'associazione  di  diritto
privato   che   contribuisce   allo   sviluppo   della   personalita'
dell'individuo  nell'ambito  di  una  formazione  sociale   come   la
Federazione sportiva. 
    E' evidente che la ratio che ha ispirato la modifica  legislativa
dell'art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242
operata dall'art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n.  8  sta
nell'evitare «rendite di posizione» da parte di  coloro  che  siedono
negli organi direttivi delle Federazioni,  in  modo  da  favorire  un
ricambio   all'interno   degli   organi   di   rappresentanza,   cio'
nell'intento di promuovere  una  maggiore  partecipazione  alla  vita
associativa che costituisce, come detto un modello di sviluppo  della
personalita' garantito dall'art. 2 della Costituzione. 
    Pur  tuttavia,  il  Collegio  ritiene  che  tale  intervento  che
sancisce la definitiva incandidabilita' per  coloro  che  hanno  gia'
svolto tre mandati non superi il  test  di  proporzionalita'  che  lo
stesso giudice delle leggi impone di valutare nello scrutinio di  una
determinata previsione di legge e  che  prevede  che  il  legislatore
debba adottare la misura piu' idonea al conseguimento degli obiettivi
prefissati ma,  al  contempo,  debba  scegliere  sempre  quella  meno
restrittiva dei diritti a confronto e meno sproporzionata rispetto al
perseguimento di  quegli  obiettivi  (cfr,  Corte  costituzionale  n.
1/2014 e 71/2015). 
    Cio' costituisce, invero, una  ipotesi  di  possibile  violazione
dell'art. 3 della Costituzione, a maggior ragione  se  rapportata  ai
richiamati articoli 2 e  18  della  Costituzione  (e,  quindi,  anche
all'art. 117, comma 1, della Costituzione con riferimento ad art.  11
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, e all'art. 12 della Carta di  Nizza)  in
quanto una tale  misura  restrittiva  e  definitiva  costituisce  una
rilevante compressione della liberta' di associazione  dell'individuo
che,  in  maniera  sproporzionata  ed  irragionevole,  viene  escluso
definitivamente dalla vita attiva  dell'associazione  di  riferimento
nonche' determina - come documentato da parte ricorrente - anche  una
difficolta'  a  reperire   candidati   per   ricoprire   le   cariche
associative, con conseguente rischio di  influire  sul  funzionamento
stesso dell' associazione. 
    Del  resto,  anche  nell'ambito  di  entita'  pubblicistiche,  si
registrano norme che introducono limiti ai mandati elettivi ma, nella
maggior parte dei casi, tale limite e' introdotto con  riferimento  a
mandati svolti consecutivamente, senza con cio' mai  inibire  in  via
definitiva l'elettorato passivo degli interessati. 
    Ad esempio, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 173/2019,
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
- sollevate dal Consiglio nazionale forense (CNF) in riferimento agli
articoli 3, 48 e 51  della  Costituzione  -  dell'art.  3,  comma  3,
secondo periodo, della legge n. 113 del  2017,  nella  parte  in  cui
prevede che i consiglieri  dei  consigli  circondariali  forensi  non
possono essere eletti per piu' di due mandati consecutivi  in  quanto
la norma censurata introduceva peraltro un divieto analogo  a  quello
previsto per altri ordinamenti professionali. 
    In quella sede, il giudice delle leggi ha avuto modo di affermare
che il divieto  del  terzo  mandato  «consecutivo»  (e,  quindi,  non
l'inibizione in via definitiva dell'elettorato passivo) e'  posto  al
fine di favorire (nel senso anche che e' sufficiente a  favorire)  il
fisiologico ricambio all'interno dell'organo, di bloccare il  rischio
di cristallizzazione della rappresentanza e di tutelare le condizioni
di eguaglianza stabilite per accedere alle cariche elettive. 
    In quel caso, poi, e' stato ritenuto che tale limitazione  ad  un
numero di mandati «consecutivi» fosse in linea con il  principio  del
buon  andamento  dell'amministrazione,  in  particolare   nelle   sue
declinazioni di imparzialita' e trasparenza, in modo  da  tutelare  -
anche in considerazione delle  numerose  funzioni  pubblicistiche  di
vigilanza  e  rappresentanza   esterna   assolte   dagli   ordini   -
l'autorevolezza di una professione oggetto di particolare  attenzione
da parte del legislatore per la  sua  incidenza  sull'amministrazione
della giustizia e sul diritto di difesa. 
    Lo  stesso  vale,  invero,  con  riferimento  ad  altre   entita'
pubblicistiche come i mandati elettivi all'interno  degli  organi  di
autogoverno delle magistrature relativamente ai quali il legislatore,
come noto, ha previsto limiti  ai  mandati  consecutivi  senza  pero'
prevedere  ipotesi  di  incandidabilita'   assolute   nel   caso   di
svolgimento da parte degli interessati di un  numero  determinato  di
mandati (per il Consiglio superiore della Magistratura, vgs art. 104,
sesto comma,  della  Costituzione;  per  la  Corte  dei  conti  e  la
giustizia amministrativa, vgs art. 10, comma 2-bis,  della  legge  n.
117 del 1988). 
    Cio' deve valere, a maggior ragione, ad avviso del Collegio,  con
riferimento agli enti aventi natura privatistica nei quali, peraltro,
in applicazione  degli  articoli  41  e  42  della  Costituzione,  le
restrizioni della liberta'  di  iniziativa  privata  non  devono  mai
sfociare  nell'arbitrarieta'   e   nell'incongruenza   -   e   quindi
nell'irragionevolezza -  delle  misure,   adottate   per   assicurare
l'utilita' sociale (cfr Corte costituzionale  23  novembre  2021,  n.
218). 
    Ora, appare  evidente,  ad  avviso  del  Collegio,  che,  per  il
perseguimento degli  obiettivi  prefissati  dal  legislatore  (ovvero
evitare «rendite di posizione» da parte di coloro che  siedono  negli
organi direttivi delle Federazioni, in modo da favorire  un  ricambio
all'interno degli organi di rappresentanza), la misura introdotta con
l' art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018  appare  sproporzionata
in  quanto  lo  stesso  obiettivo  avrebbe  potuto  essere  raggiunto
introducendo misure non definitive o, comunque, meno  limitative  del
diritto  di  elettorato  passivo  per  l'assunzione   delle   cariche
associative. 
    A cio' si aggiunga il possibile contrasto con gli articoli 2 e 48
della Costituzione nella misura  in  cui  si  limita  il  diritto  di
elettorato   passivo,   avente   carattere   inviolabile,    peraltro
nell'ambito di un ente di diritto privato in cui - come  detto  -  si
esplica la personalita'. 
    Al riguardo, vale  quanto  gia'  argomentato  in  precedenza  con
riferimento all'esigenza di introdurre misure proporzionate  rispetto
agli obiettivi prefissati, in un necessario giudizio di bilanciamento
tra interessi costituzionalmente protetti che, nel  caso  di  specie,
non sembra essere stato svolto in maniera  corretta  dal  legislatore
del 2018. 
C) Precisazione. 
    A  fronte  di  quanto  sopra  rappresentato,   il   Collegio   e'
dell'avviso di dover rimettere nella sua interezza  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  comma  2,  del  decreto
legislativo 23 luglio 1999, n.  242,  come  modificato  dall'art.  2,
comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1  e
2, della legge n. 8/2018. 
    In questo contesto  non  viene  direttamente  e  in  primo  luogo
ipotizzato un intervento additivo da parte del  giudice  delle  leggi
con riferimento all'elemento della «consecutivita'»  dei  mandati  in
quanto, trattandosi  di  un'entita'  con  personalita'  giuridica  di
diritto  privato,  e'  la  stessa  Corte  costituzionale  che  dovra'
valutare qual e' il limite che al legislatore  possa  essere  imposto
per poter incidere sul diritto di elettorato passivo di un membro  di
un'associazione privata, nella misura in cui questa  svolga  comunque
funzioni nell'ambito di un settore (come quello sportivo)  di  sicuro
rilievo dal punto di vista pubblicistico. 
D) Conclusioni. 
    In conclusione, il Collegio, previo rigetto dei primi due  motivi
del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, ritiene rilevante nel
presente giudizio e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  comma  2,  del  decreto
legislativo 23 luglio 1999, n.  242,  come  modificato  dall'art.  2,
comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1  e
2, della legge n. 8/2018 (nella parte in cui esclude  agli  associati
della FIT la possibilita'  di  candidarsi  nell'ambito  degli  organi
direttivi  a  coloro  che  abbiano  gia'  svolto  tre  mandati)   per
violazione degli articoli 2, 3, 18, 41, 42, 48 e 117, comma 1,  della
Costituzione, in relazione all'art. 11 della Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ,
e dell'art. 12 della Carta di Nizza. 
    Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953 n.  87,
deve essere pertanto disposta  l'immediata  trasmissione  degli  atti
alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata con la presente ordinanza. 
    Deve  essere  altresi'  disposta  la  sospensione  del   presente
giudizio  sino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale   sulla
questione  di  legittimita'  costituzionale.  Devono  essere   infine
ordinati gli adempimenti di notificazione e  di  comunicazione  della
presente ordinanza, nei modi e nei termini indicati nel dispositivo.