IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                         (Sezione Prima ter) 
 
    Ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero  di  registro  generale  9134  del  2021,  proposto  da  Carlo
Capodaglio, rappresentato e difeso dagli avvocati  Andrea  Panzarola,
Claudia Pezzi, con domicilio digitale come  da  PEC  da  Registri  di
Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Claudia Pezzi in  Roma,
via Michele Mercati 51; 
 
                               contro 
 
    Comitato  Olimpico  Nazionale  -  CONI,  in  persona  del  legale
rappresentante pro  tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato
Pierluigi Matera, con domicilio digitale come da PEC da  Registri  di
Giustizia; 
    Federazione  Italiana  Tennis  -  FIT,  in  persona  del   legale
rappresentante pro tempore, rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Massimo Luciani, Massimo  Proto,  Valentina  Ciaccio,  con  domicilio
digitale come da PEC da Registri  di  Giustizia  e  domicilio  eletto
presso lo studio  Massimo  Luciani  in  Roma,  Lungotevere  Raffaello
Sanzio, n. 9; 
    Collegio di Garanzia dello  Sport  presso  il  Coni,  Federazione
Italiana  Tennis  Comitato  Regionale  Marche,  non   costituiti   in
giudizio; 
    nei confronti di Paolo Scandiani, non costituito in giudizio; 
 
                         per l'annullamento 
 
    - della decisione n. 67/2021 del Collegio di Garanzia dello Sport
presso il CONI, Sezione III, pubblicata in data 24 agosto 2021, prot.
n. 01130/2021, che ha respinto il ricorso  n.  31/2021  promosso  dal
sig. Carlo Capodaglio, ex articoli 59 Codice di giustizia sportiva  e
12-bis statuto del CONI, in data 2021 per l'annullamento e la riforma
della decisione n. 2/2021 della Corte Federale di Appello  presso  la
FIT, comunicata a mezzo PEC in data 19 febbraio 2021 e pubblicata  in
pari data, con la quale, ai  sensi  dell'art.  1.1.4,  comma  5,  del
regolamento organico FIT, e' stato rigettato il ricorso proposto  dal
ricorrente per l'annullamento dell'esclusione della  sua  candidatura
dalla pubblicazione dei  nominativi  dei  candidati  alla  carica  di
Consigliere del C.R. Marche della FIT, avvenuta con comunicazione  di
"«ifiuto di Candidatura» del 10 febbraio 2021, cui ha  fatto  seguito
l'esclusione della candidatura dalla pubblicazione dei nominativi dei
candidati in data 15 febbraio 2021, per  il  superamento  del  limite
massimo di tre mandati, di cui all'art. 54, comma 2, statuto FIT e in
virtu' di quanto disposto dall'art. 1.1.4  del  regolamento  organico
FIT, e la successiva  elezione  di  nuovi  consiglieri  con  delibera
dell'Assemblea Regionale Elettiva Marche FIT del 21 febbraio 2021; 
    - di ogni altro atto  presupposto,  consequenziale  e/o  comunque
connesso; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di  costituzione  in  giudizio  della  Federazione
Italiana Tennis e del Comitato Olimpico Nazionale; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  8  novembre  2022  il
Cons. Daniele Dongiovanni e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Visto l'art. 36, comma 2, codice di procedura amministrativa; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    Con  il  ricorso  in   esame,   l'istante   ha   impugnato,   per
l'annullamento, la decisione n.  67/2021  del  Collegio  di  Garanzia
dello Sport del C.O.N.I., Sezione III, pubblicata in data  24  agosto
2021, che, nel confermare la comunicazione del 10 febbraio  2021  del
Presidente  del  Comitato  regionale  delle  Marche,  ha  escluso  il
ricorrente  dalla  possibilita'  di  candidarsi  per  la  carica   di
consigliere del Comitato Regionale della Federazione Italiana  Tennis
(FIT)-Marche, in ragione del superamento del limite  massimo  di  tre
mandati gia' svolti nella predetta carica,  come  previsto  dall'art.
54, comma 2, dello  statuto  FIT  (avendo  egli  gia'  svolto  cinque
mandati consecutivi dal 1981 al 2000). 
    Al riguardo,  il  ricorrente  ha  dapprima  rappresentato  quanto
segue: 
      con avviso di convocazione del 21 dicembre 2020,  ai  fini  del
rinnovo delle cariche sociali, il Presidente del  Comitato  Regionale
(anche CR) Marche ha convocato l'assemblea regionale elettiva; 
      in data 7 febbraio 2021, l'istante - quale associato alla FIT -
ha presentato al CR Marche la  propria  candidatura  alla  carica  di
consigliere regionale; 
      con comunicazione di «Rifiuto di Candidatura» del  10  febbraio
2021, cui ha  fatto  seguito  l'esclusione  della  candidatura  dalla
pubblicazione dei  nominativi  dei  candidati  avvenuta  in  data  15
febbraio 2021, il Presidente del CR Marche ha respinto la candidatura
dell'istante alla carica di consigliere del Comitato Regionale  della
Federazione Italiana Tennis (FIT)-Marche, in ragione del  superamento
del limite massimo di tre mandati gia' svolti  nella  stessa  carica,
come previsto dall'art. 54, comma 2,  statuto  FIT  e  in  virtu'  di
quanto disposto dall'art. 1.1.4 del regolamento organico FIT; 
      il ricorrente  ha  impugnato  il  provvedimento  di  esclusione
dinanzi alla Corte Federale di Appello presso la FIT che, in data  19
dicembre 2021, conformandosi  alla  precedente  decisione  n.  7/2020
relativa a fattispecie analoga, ha respinto il ricorso con  decisione
n. 2/2021; 
      con successiva  delibera  del  21  febbraio  2021,  l'Assemblea
Regionale Elettiva Marche FIT  ha  proclamato  l'elezione  dei  nuovi
consiglieri  del  Comitato  Regionale  Marche  per   il   quadriennio
2021-2024; tale delibera e' stata impugnata dall'istante  dinanzi  al
Tribunale Federale nazionale della FIT; 
      la predetta decisione n. 2/2021 della Corte Federale di Appello
presso la FIT e' stata impugnata dinanzi al Collegio di Garanzia  del
CONI che, con decisione n. 67/2021 del 24 agosto 2021,  ha  rigettato
il ricorso proposto dall'istante. 
    Cio' premesso, avverso tale decisione, il ricorrente ha  proposto
i seguenti motivi: 
      1)  Violazione  e   falsa   applicazione   dei   principi   che
sovrintendono alla disapplicazione di norme nazionali e atti  interni
contrastanti con le fonti aventi il rango di normativa  euro-unitaria
sovraordinata direttamente applicabili negli  ordinamenti  nazionali.
Violazione e falsa applicazione degli articoli 11 della Cedu  e  art.
12  della  Carta  di  Nizza  (quali  parti  integranti  del   diritto
euro-unitario secondo la giurisprudenza della  Corte  di  Giustizia).
Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del Codice  di  Giustizia
Sportiva del Coni. Carenza assoluta di potere ex art. 21- septies  l.
n. 241  del  1990.  Violazione  e  falsa  applicazione  dei  principi
generali e delle regole in tema di individuazione dei c.d.  organismi
di diritto  pubblico,  nonche'  dell'art.  15,  comma  2,  codice  di
procedura civile n. 242/1999 (il «decreto Melandri»),  dell'art.  20,
comma 1, statuto del Coni e dell'art. 1, comma 1, statuto FIT. 
    Le motivazioni con le quali il Collegio di Garanzia del CONI, nel
confermare la decisione della Corte Federale d'Appello della FIT,  ha
negato la sussistenza dei presupposti per  la  disapplicazione  della
norma che limita la candidatura di coloro che hanno gia'  svolto  tre
mandati (art. 16, comma 2, codice di procedura civile n. 242 del 1992
come modificato dall'art. 2 della legge  n.  8/2018),  risultano  tra
loro contraddittorie in quanto mentre, da  un  lato,  si  esclude  in
astratto la ricorrenza stessa dei presupposti per la disapplicazione,
dall'altro si nega la disapplicazione  per  la  ritenuta  conformita'
della previsione censurata ai principi euro-unitari (articoli 11 Cedu
e 12 Carta di Nizza). 
    In ogni caso, il Collegio di Garanzia e' tenuto ad  applicare  le
norme dell'ordinamento sportivo, cio' ai sensi dell'art. 2 del codice
di giustizia sportiva. 
    E' erronea poi la qualificazione della FIT  quale  «organismo  di
diritto pubblico», come invero escluso  in  fattispecie  analoga  dal
Consiglio di Stato con sentenza n. 5348/2021. 
      2) Violazione e falsa  applicazione  dell'art.  1  della  legge
costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1  (norme  sui   giudizi   di
legittimita' costituzionale e  sulle  garanzie  d'indipendenza  della
Corte costituzionale) e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(norme  sulla  Costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale), come pure degli  articoli  39  e  2  del  codice  di
giustizia sportiva del Coni. Violazione e falsa applicazione art. 295
del codice di procedura civile. 
    Il Collegio di Garanzia - nel negare che gli organi di  giustizia
sportiva (la Corte Federale d'Appello, prima, e lo stesso Collegio di
Garanzia,  poi)  siano   legittimati   a   sollevare   questione   di
costituzionalita' delle norme che sono chiamati  ad  applicare  -  ha
violato le  norme  che  fissano  i  presupposti  per  riconoscere  la
sussistenza in capo ad un determinato organo della  legittimazione  a
sollevare questione di costituzionalita' in via incidentale; 
      3) In via subordinata  al  rigetto  del  precedente  motivo  di
ricorso, riproposizione della questione  di  costituzionalita'  degli
articoli  16,  comma  2,  decreto  legislativo  n.  242/1999  -  come
modificato dall'art. 2, comma 1, legge n. 8/2018 - e 6, commi 1 e  2,
legge n. 8/2018 (in riferimento agli articoli 2, 3, 18, 41, 42  e  48
della Costituzione, nonche' 12 Carta di  Nizza,  11  Cedu  e  20  ss.
TFUE). 
    La decisione impugnata merita di essere annullata  in  quanto  il
Collegio  di  Garanzia,  ritenuta  la  rilevanza  e   non   manifesta
infondatezza,   era   legittimato   a    sollevare    questione    di
costituzionalita' degli articoli 16, comma 2, decreto legislativo  n.
242/1999 - come modificato dall'art. 2, comma 1, legge n. 8/2018 -  e
6, commi 1 e 2, legge n. 8/2018. 
    In via subordinata, il ricorrente chiede  comunque  di  sollevare
questione  di  costituzionalita'  delle  norme   citate   in   quanto
contrastanti  con  gli  articoli  2,  3,  18,  41,  42  e  48   della
Costituzione, nonche' l'art. 12 Carta di Nizza e gli articoli 11 CEDU
e 20 ss. TFUE; 
      4) Error in iudicando in ordine al rifiuto  di  interpretazione
costituzionalmente orientata (in riferimento agli articoli 2, 3,  18,
41, 42 e 48 della Costituzione, nonche' 12 Carta di Nizza, 11 Cedu  e
20 ss. TFUE) delle norme transitorie (articoli 16, comma  2,  decreto
legislativo n. 242/1999, come modificato dall'art. 2, comma 1,  legge
n. 8/2018, art. 6, comma 4, legge n. 8/2018, articoli 54, comma 2,  e
62-bis statuto FIT). 
    Il  Collegio  di  Garanzia  ha  rifiutato  di  procedere  ad  una
interpretazione costituzionalmente orientata delle norme  transitorie
associate all'introduzione del limite dei tre mandati,  non  aderendo
alla prospettazione del  ricorrente  secondo  la  quale  una  lettura
«costituzionalmente orientata» delle disposizioni  richiamate  e,  in
particolare, delle disposizioni transitorie dello statuto della FIT -
art. 62-bis - e dello statuto del CONI  -  art.  36-bis,  comma  3  -
avrebbe dovuto deporre nel senso  che  la  regola  che  fa  salva  la
candidatura di coloro che siano in carica al momento dell'entrata  in
vigore della stessa poteva essere estesa anche  a  coloro  che  hanno
svolto e concluso in un periodo antecedente i tre mandati. 
    Si sono costituiti in giudizio la FIT e il CONI per resistere  al
ricorso. 
    Con memoria, la FIT, atteggiandosi alla  stregua  di  un  «amicus
curiae» e dopo aver ribadito la correttezza delle  decisioni  assunte
dalla Federazione alla  luce  delle  norme  vigenti  dell'ordinamento
sportivo, ha comunque prospettato l'esigenza di poter contare  su  un
quadro normativo coerente con i parametri costituzionali  e  interne,
non  opponendosi  quindi  all'eventuale  decisione  di  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 16, comma  2,
decreto legislativo n. 242/1999, come modificato dall'art.  2,  comma
1, legge n. 8/2018 e 6, commi 1 e  2,  della  legge  n.  8/2018,  per
contrasto con gli articoli 2, 3, 18, 41, 42, 48, 51 e 117,  comma  1,
della Costituzione (quest'ultimo con riferimento all' art. 11 CEDU) e
art. 12 Carta di Nizza. 
    Allo stesso modo, il CONI,  dopo  aver  ribadito  la  correttezza
dell'operato del Collegio di Garanzia, ha anch'esso rappresentato  di
non opporsi all'eventuale decisione  di  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale della normativa sopra indicata. 
    Con memoria, il ricorrente ha insistito per l'accoglimento  delle
proprie censure.  Con  memorie  di  replica,  tutte  le  parti  hanno
ribadito le loro rispettive posizioni. Alla pubblica  udienza  dell'8
novembre 2022, la causa, dopo la discussione delle  parti,  e'  stata
trattenuta dal Collegio per la decisione.  
 
                               Diritto 
 
    1.  Con  il  primo  motivo,  il  ricorrente  lamenta  la  mancata
disapplicazione da parte del Collegio di Garanzia del CONI  dell'art.
54, comma 2, dello statuto FIT e, quindi, dell'art. 16, comma 2,  del
decreto legislativo n. 242 del 1999,  come  modificato  dall'art.  2,
comma 1, della legge n. 8 del 2018 (di cui il citato art.  54,  comma
2, dello statuto  FIT  costituisce  diretta  applicazione,  in  forza
dell'art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018, nella  parte  in
cui non consente a coloro  che  hanno  gia'  svolto  tre  mandati  di
candidarsi al Consiglio regionale della FIT), per  contrasto  con  le
regole sovraordinate euro-unitarie ovvero  l'art.  11  della  CEDU  e
l'art. 12 della Carta  di  Nizza;  l'istante  lamenta,  altresi',  la
qualificazione della FIT quale «organismo di diritto  pubblico»  che,
secondo il Collegio di Garanzia, giustificherebbe il limite  dei  tre
mandati introdotto dalla normativa citata. 
    1.1 Le censure sono infondate. 
    1.2  Il   Collegio   e'   consapevole   che   la   giurisprudenza
amministrativa, coerentemente all'orientamento espresso  in  materia,
ha ribadito il principio in base al  quale  le  norme  euro-unitarie,
essendo di rango superiore a quelle dell'ordinamento interno,  vadano
applicate non  solo  dal  giudice  nazionale  adito  ma  anche  dagli
apparati amministrativi (tra i quali va annoverato anche il  Collegio
di Garanzia del CONI, come e' stato di recente ribadito con  sentenza
del TAR Lazio, sez, I-Ter, n. 13943/2022, richiamando  sul  punto,  a
sua volta, le sentenze  della  Corte  costituzionale  nn.  49/2011  e
160/2019). 
    Quella stessa giurisprudenza ha tuttavia affermato - tra  l'altro
- che tale meccanismo si traduce in un potere-dovere da  parte  anche
dei funzionari amministrativi di disapplicare le norme  nazionali  in
contrasto con il diritto euro-unitario, soprattutto se tale conflitto
e' stabilito da una fonte univoca  che  rechi  disposizioni  «chiare,
precise ed incondizionate»; in tal caso,  la  disapplicazione  e'  un
obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e,  quindi,
anche  per  gli  apparati  amministrativi  che,  attraverso  i   suoi
funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante
con il diritto euro - unitario (cfr, per tutte, CGUE, 22 giugno 1989,
C-103/88 e 24 maggio 2012, C-97/11; Corte costituzionale, sentenza 21
aprile 1989 n. 232; Cons. Stato, VI, 23  maggio  2006  n.  3072;  VI,
7874/2019; V, 5 marzo 2018, n. 1342 e, da  ultimo,  Cons.  Stato,  Ad
Plenaria, n. 17 e 18/2021). 
    1.3 Il  Collegio  e',  altresi',  consapevole  della  discussione
ancora in atto in relazione al valore giuridico della  CEDU  e  della
Carta di Nizza; quest'ultima, in particolare, con l'entrata in vigore
del «Trattato di Lisbona» ha assunto il medesimo valore giuridico dei
trattati, ai sensi dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea, e si
pone dunque come pienamente vincolante per le istituzioni  europee  e
gli Stati membri. 
    Per  quanto  riguarda  le  norme  CEDU,  poi,  a  fronte  di   un
orientamento consolidato che ha da  sempre  ritenuto  che  le  stesse
avessero il valore di norme interposte  (nel  senso  cioe'  che  sono
subordinate alla Costituzione e  sovraordinate  rispetto  alla  legge
ordinaria) tanto che, in caso di contrasto con una norma interna,  il
giudice era (e') obbligato a sollevare la questione  di  legittimita'
costituzionale dinanzi alla Corte  Costituzionale,  a  seguito  della
modifica dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea nella parte  in
cui si afferma  che  l'Unione  europea  aderisce  alla  CEDU,  si  e'
discusso  sugli  effetti  di  tale  modifica  ovvero  se  cio'  abbia
comportato una «comunitarizzazione» della Convenzione europea. 
    Ed invero, secondo un recente orientamento, la predetta  modifica
avrebbe comportato un ingresso a pieno titolo della CEDU nel  diritto
comunitario e, pertanto, anche per le norme ivi  contenute,  varrebbe
il  principio  del  primato  sul  diritto  interno  e  il  dovere  di
disapplicazione della norma interna in contrasto con la norma CEDU. 
    1.4  Pur  tuttavia,   anche   a   voler   ritenere   la   diretta
applicabilita'  delle   norme   CEDU   e   della   Carta   di   Nizza
nell'ordinamento interno e, quindi, la possibilita' di procedere alla
disapplicazione in caso di contrasto tra norma interna e  i  principi
euro-unitari ivi contenuti, ritiene il Collegio che non  vi  siano  i
presupposti per procedere in tal senso, con conseguente rigetto delle
censure sollevate sul  punto  dal  ricorrente  con  riferimento  alla
decisione del Collegio di Garanzia impugnata in questa sede. 
    Ed invero, con riferimento al principio del primato  del  diritto
euro-unitario e agli effetti  diretti  nell'ordinamento  interno,  la
Corte di Giustizia - come gia' anticipato - ha sempre enunciato, gia'
con riferimento ai trattati istitutivi, il principio (poi esteso alle
direttive c.d. self executing)  secondo  cui  i  trattati,  fonti  ed
espressione di un «ordinamento giuridico di  nuovo  genere»,  possono
creare effetti per gli Stati e anche per gli individui ogni qualvolta
le sue disposizioni siano «chiare, precise ed incondizionate». 
    Ed invero, come per le norme delle direttive  self  executing  (o
dettagliate), anche le norme dei Trattati possono essere direttamente
applicabili  nell'ordinamento  interno  se  impongono  obblighi   nei
confronti  dello  Stato  membro   che   siano   chiari,   precisi   e
incondizionati; solo sussistendo  tali  presupposti,  le  norme  sono
cosi' idonee a conferire diritti ai singoli e sono quindi applicabili
da  qualsiasi  autorita'   amministrativa   e   giurisdizionale   per
riconoscere quei diritti ai cittadini. 
    1.5 Nella fattispecie in esame,  tali  caratteristiche  non  sono
rinvenibili in quanto le norme euro-unitarie invocate dal  ricorrente
(art. 11 CEDU e art. 12 Carta di Nizza) si limitano  ad  invocare  il
diritto  di  liberta'  di  associazione  (come  previsto,   peraltro,
dall'art. 18  della  Costituzione)  che  non  puo'  dirsi  in  palese
contrasto con il limite dei  tre  mandati  introdotto  dall'art.  16,
comma 2, del decreto legislativo n.  242  del  1999  (poi,  trasposto
nell'art. 54, comma 2, dello statuto FIT), nel  senso  cioe'  che  le
prime non recano una previsione specifica al riguardo che si ponga in
patente contrasto con la normativa interna di recente introdotta,  la
quale, invero,  non  arriva  certo  a  vietare  l'esercizio  di  tale
liberta'. 
    Del resto, come si avra' modo di dire  nel  prosieguo,  non  puo'
escludersi che un limite  ai  mandati  nell'assunzione  di  incarichi
federali possa essere astrattamente ammissibile (anche  se  in  senso
proporzionale e ragionevole), ma cio' che nel caso rileva e' che  non
puo' farsi discendere in via diretta  dalla  normativa  euro-unitaria
invocata dal ricorrente il patente contrasto con il limite introdotto
di recente nell'ordinamento interno dal legislatore del 2018. 
    Alla luce di quanto sopra esposto, non assume  specifico  rilievo
l'impedimento alla disapplicazione dedotto dal Collegio  di  Garanzia
nella decisione impugnata circa l'obbligo cogente per gli  organi  di
giustizia federale (previsto dall'art.  2  del  Codice  di  giustizia
sportiva) di osservare  le  norme  dell'ordinamento  sportivo  e,  in
particolare, quelle adottate dall'ente sovraordinato ovvero il CONI. 
    Ne' rileva, in questa sede, il fatto che il Collegio di  Garanzia
del CONI  abbia  qualificato  la  FIT  quale  «organismo  di  diritto
pubblico» (profilo che sara' comunque  esaminato  nel  prosieguo)  in
quanto,  in  disparte  il  fatto  che  tale  concetto  assume  valore
nell'ambito del settore dei contratti pubblici, cio'  che  conta  nel
caso di  specie  e'  che  non  sussistano  le  condizioni  per  poter
utilizzare l'istituto  della  disapplicazione  che,  come  detto,  e'
subordinato a precisi limiti e requisiti. 
    Da cio' il rigetto del primo motivo del ricorso. 
    2. Con il secondo motivo, l'istante lamenta poi  l'illegittimita'
della decisione impugnata nella parte in cui il Collegio di  Garanzia
del  CONI  ha  ritenuto  di  non  poter  sollevare  la  questione  di
legittimita' dinanzi alla Corte Costituzionale della  normativa  piu'
volte richiamata. 
    2.1  La  prospettazione  non  puo'  essere   accolta,   dovendosi
condividere  quanto  argomentato  dal  Collegio  di  garanzia   nella
decisione impugnata n. 67/2021. 
    2.2 In quella sede, il Collegio di Garanzia  del  CONI  ha  avuto
modo di affermare, in particolare, che «l'equilibrio tra la  funzione
giustiziale e la tutela giurisdizionale piena e'  comunque  garantito
dal fatto che, coerentemente,  il  sistema  attribuisce  agli  organi
giurisdizionali della  Giustizia  amministrativa  di  primo  grado  e
d'appello, dinanzi al quale possono  essere  impugnate  le  decisioni
degli organi di Giustizia sportiva, la legittimazione a sollevare  in
via incidentale le questioni di legittimita' costituzionale...». 
    Ora, ritiene  il  Collegio  -  in  disparte  per  ora  la  natura
amministrativa degli organi della giustizia  sportiva  -  che,  anche
alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto  la
legittimazione   di   organi   non   aventi   carattere   prettamente
giurisdizionale,  il   fattor   comune   che   ha   consentito   tale
riconoscimento sta proprio nella definitivita' o meno della decisione
assunta  dall'organismo  interessato,  anche  se  in   posizione   di
effettiva terzieta' tra le parti. 
    Non e' un  caso,  invero,  che  non  sia  stata  riconosciuta  la
legittimazione   a   sollevare   la   questione    di    legittimita'
costituzionale al Consiglio di Stato in sede di  parere  sul  ricorso
straordinario al Capo dello Stato, sul presupposto  che  il  Ministro
fosse, nel regime previgente,  in  grado  di  superare  la  decisione
dell'organo  consultivo,  portando  la  questione  al  Consiglio  dei
Ministri (Corte costituzionale, ordinanze nn.  254,  357  e  392  del
2004); lo stesso e'  poi  avvenuto  con  riferimento  alle  Autorita'
amministrative indipendenti  (Corte  costituzionale  n.  13/2019)  in
quanto, oltre alla  loro  natura  prettamente  amministrativa  e  non
paragiurisdizionale (AGCM in quel caso), le  relative  decisioni  non
possono considerarsi definitive nella misura in cui sono assoggettate
al sindacato del giudice amministrativo. 
    Si tratta di fattispecie sovrapponibili al caso di  specie  dove,
alla natura amministrativa degli organi di  giustizia  sportiva  (mai
smentita - come detto - dalle sentenze della Corte costituzionale nn.
49/2011 e  160/2019,  come  ricordato  nella  citata  sentenza  della
Sezione n. 13943/2022), si aggiunge il fatto  che  le  decisioni  del
Collegio di Garanzia che hanno un rilievo per  l'ordinamento  statale
(e che, quindi, fuoriescono dall'ambito strettamente  sportivo)  sono
comunque  soggette  in   particolare   al   sindacato   del   giudice
amministrativo, siccome previsto dall'art. 3 del decreto-legge n. 220
del 2003, convertito in legge n. 280 del 2003. 
    A cio' si aggiunga che, quantomeno con riferimento agli organi di
giustizia endo-federale, difetta il requisito della  terzieta'  nella
misura in cui si tratta di  un  «giudice»,  peraltro  nominato  dallo
stesso Consiglio Federale di appartenenza, che opera  all'interno  di
un procedimento giustiziale nel quale e' parte la Federazione stessa. 
    Ora, sebbene il Collegio di Garanzia sia un  organismo  istituito
al  di  fuori  del  circuito  delle  Federazioni  sportive,  non   va
sottaciuto  che  esso  giudica  sulla  legittimita'  delle  decisioni
assunte dagli organi endo-federali che, per le ragioni sopra esposte,
non avrebbero potuto sollevare incidenti di legittimita' dinanzi alla
Corte costituzionale; in ogni caso, assume valore dirimente la natura
comunque amministrativa del Collegio di  Garanzia  e  soprattutto  il
carattere non definitivo delle deliberazioni aventi  un  rilievo  per
l'ordinamento statale che, invero,  sono  assoggettate  al  sindacato
degli organi giurisdizionali statali. 
    3.  Concluso  l'esame  dei  primi  due  motivi  del  ricorso,  il
Collegio, anche alla luce di quanto rappresentato da tutte  le  parti
del presente giudizio, ritiene di dover procedere alla  verifica  dei
presupposti per sollevare la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  16,  comma  2,  decreto  legislativo  n.  242/1999,   come
modificato dall'art. 2, comma 1, della legge n. 8/2018,  e  dell'art.
6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018, ai fini della decisione  sugli
ulteriori motivi di ricorso. 
    Ed invero, sebbene il  ricorrente  abbia  prospettato  anche  una
violazione delle norme euro-unitarie e, in particolare, dell'art.  11
della CEDU e dell'art. 12 della Carta di Nizza, il Collegio  -  senza
con   cio'    ripercorrere    l'evoluzione    della    giurisprudenza
costituzionale  in  tema  di  «doppia  pregiudizialita'»  -   ritiene
tuttavia di doversi determinare nel senso  di  percorrere  la  strada
dell'incidente interno di costituzionalita' e non quello  del  rinvio
pregiudiziale alla CGUE, sul presupposto che, come si avra'  modo  di
chiarire nel prosieguo, i parametri normativi  di  principio  violati
non si esauriscano nella sola lesione della liberta' di  associazione
(peraltro, protetta dallo stesso art. 18  della  Costituzione,  oltre
che successivamente dalla CEDU e dalla Carta  di  Nizza)  ma  in  una
serie di norme costituzionali ben piu' ampia, come gli articoli 2, 3,
41, 42 e 48 della Costituzione, con cio' aderendo alla  tesi  secondo
cui, nella scelta tra i  due  canali  della  «doppia  pregiudiziale»,
occorre  seguire  il   criterio   della   prevalenza   del   profilo,
costituzionale o euro-unitario, concretamente coinvolto nella vicenda
all'esame; ora, posto che, nella fattispecie  in  esame,  prevale  il
profilo della possibile lesione di variegati principi costituzionali,
il Collegio ritiene che vada preferita la  strada  dell'incidente  di
costituzionalita'  dinanzi  alla  Corte  costituzionale  che   potra'
prendere in esame piu' profili di possibile  violazione  che  non  si
esauriscono nella sola lesione della liberta' di associazione. 
    A cio' si aggiunga che  la  liberta'  di  associazione  garantita
dalle predette norme euro-unitarie (art. 11 Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e
art. 12 Carta di Nizza) non differisce da quella prevista dalla norma
costituzionale interna (art. 18 della Costituzione), dal  che  deriva
un ulteriore profilo di preferenza per la scelta di  adire  la  Corte
costituzionale in modo  da  sancire  in  via  definitiva,  attraverso
l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale, la vigenza
o meno della  norma  di  che  trattasi  nell'ambito  dell'ordinamento
interno, differentemente da quanto potrebbe  disporre  la  CGUE  alla
quale non e' consentito espungere dall'ordinamento interno  la  norma
in contrasto  con  il  diritto  euro-unitario  ma  solo  sancirne  la
disapplicazione con riferimento al caso concreto. 
    4. Cio' premesso, ritiene il  Collegio  che  la  questione  della
legittimita'  costituzionale   dell'art.   16,   comma   2,   decreto
legislativo n. 242 del 1999, come modificato dall'art.  2,  comma  1,
della legge n. 8 del 2018, e dell'art. 6, commi 1 e 2, della legge n.
8/2018 sia rilevante e non manifestamente infondata. 
A) In punto di rilevanza della questione. 
    Per  valutare  la  rilevanza  della  questione  ai   fini   della
definizione  del  presente  giudizio,  va  anzitutto  ricostruito  il
contesto normativo di riferimento: 
      l'art. 2, comma 1,  della  legge  11  gennaio  2018,  n.  8  ha
modificato l'art. 16, comma 2,  del  decreto  legislativo  23  luglio
1999, n. 242 che ora cosi' recita:  «Gli  statuti  delle  federazioni
sportive nazionali e delle discipline sportive associate prevedono le
procedure per l'elezione del presidente e  dei  membri  degli  organi
direttivi, promuovendo le pari opportunita' tra donne  e  uomini.  Il
presidente e i  membri  degli  organi  direttivi  restano  in  carica
quattro anni e non possono svolgere piu' di tre mandati. Qualora  gli
statuti prevedano la rappresentanza per delega, il CONI, al  fine  di
garantire una piu' ampia partecipazione alle  assemblee,  stabilisce,
con proprio provvedimento, i principi generali  per  l'esercizio  del
diritto di voto per delega in assemblea al fine, in  particolare,  di
limitare le concentrazioni di deleghe di voto mediante una  riduzione
del numero delle deleghe medesime che possono essere  rilasciate,  in
numero comunque  non  superiore  a  cinque.  Qualora  le  federazioni
sportive nazionali e le discipline sportive associate non adeguino  i
propri statuti alle predette disposizioni, il CONI,  previa  diffida,
nomina un commissario ad acta che vi provvede entro  sessanta  giorni
dalla data della  nomina.  Gli  statuti  delle  federazioni  sportive
nazionali e delle discipline sportive associate possono prevedere  un
numero di mandati inferiore al limite di cui al presente comma, fatti
salvi gli  effetti  delle  disposizioni  transitorie  in  vigore.  La
disciplina di cui al presente comma si applica  anche  agli  enti  di
promozione sportiva, nonche' ai presidenti e ai membri  degli  organi
direttivi delle strutture  territoriali  delle  federazioni  sportive
nazionali e delle discipline sportive associate»; 
      altresi', l'art. 6, comma 1 e 2, della citata legge  n.  8  del
2018 ha anche previsto i tempi di adeguamento degli statuti del  CONI
e delle varie  Federazioni  sportive,  cosi'  prevedendo:  «1.  Entro
quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il
Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) adegua  lo  statuto  alle
disposizioni di cui all'art. 3, comma 2, del decreto  legislativo  23
luglio 1999, n. 242,  come  sostituito  dall'art.  1  della  presente
legge. Entro il medesimo termine, il CONI adotta il provvedimento  di
cui all'art. 16, comma 2, terzo periodo, del decreto  legislativo  n.
242 del 1999, come sostituito dall'art. 2 della presente legge. 
    2. Entro sei mesi dalla  data  di  approvazione  delle  modifiche
statutarie  del  CONI,  le  federazioni  sportive  nazionali   e   le
discipline  sportive  associate,  nonche'  gli  enti  di   promozione
sportiva, adeguano i loro statuti alle disposizioni di  cui  all'art.
16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio  1999,  n.  242,  come
sostituito dall'art. 2 della presente legge»; 
      ora, con riferimento alla modifica dello statuto della FIT,  il
CONI, in carenza del suo adeguamento entro  i  termini  previsti  dal
citato art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8 del 2018,  ha  nominato,
ai sensi del citato art. 16, comma 2, del decreto legislativo n.  242
del 1998 (come modificato), un commissario  ad  acta  il  quale,  con
decreto del 20 giugno 2019, ha modificato l'art. 54, comma  2,  dello
statuto della FIT nel modo che  segue:  «Il  presidente  federale,  i
presidenti  regionali  e  provinciali,  i  componenti  del  consiglio
federale e dei consigli regionali  e  provinciali  della  F.I.T.  non
possono svolgere piu' di tre mandati». 
    Da  tale  ricostruzione,  risulta  evidente  che  la   previsione
contenuta ora nello  statuto  della  FIT  costituisce  una  chiara  e
pedissequa applicazione  della  disposizione  contenuta  nella  norma
primaria (ovvero l'art. 16, comma 2, del decreto legislativo  n.  242
del 1999) che vieta al presidente e ai membri degli organi  direttivi
(federali, come nel caso di specie) di svolgere piu' di  tre  mandati
nell'ambito della loro vita associativa. 
    Peraltro, il fatto che lo statuto della FIT sia stato adeguato in
maniera «coattiva» dal commissario ad acta nominato dal CONI avvalora
ancora di  piu'  il  fatto  che,  in  assenza  di  quella  previsione
contenuta nella norma primaria, quella fonte  normativa  non  sarebbe
stata oggetto di alcuna modifica ne' tantomeno  avrebbe  previsto  un
tale limite assoluto nello svolgimento delle cariche associative. 
    E' evidente che lo scrutinio  di  legittimita'  riguarda  in  via
diretta la norma  primaria  contenuta  nell'art.  16,  comma  2,  del
decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall'art.
l'art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, di  cui  l'art.
54, comma 2, dello statuto FIT, in forza dell'art. 6, commi  1  e  2,
della legge n. 8/2018, costituisce mera applicazione (come del  resto
anche l'art. 36-bis, comma 3, dello statuto del CONI, con riferimento
al CONI stesso). 
    Sempre in punto di rilevanza, ritiene  altresi'  il  Collegio  di
dover  sgombrare  il  campo  dalla   possibilita'   prospettata   dal
ricorrente, di operare una lettura costituzionalmente  orientata  del
citato art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio  1999,  n.
242, «mutuando» la  previsione  transitoria  contenuta  nell'art.  6,
comma 4, della legge n. 8 del 2018 secondo  cui  «I  presidenti  e  i
membri  degli  organi  direttivi  nazionali  e   territoriali   delle
federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e
degli enti di promozione sportiva che sono in  carica  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge e che hanno gia' raggiunto  il
limite di cui all'art. 16, comma  2,  secondo  periodo,  del  decreto
legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come sostituito dall'art. 2 della
presente legge, possono svolgere, se eletti,  un  ulteriore  mandato.
Nel  caso  di  cui  al  periodo  precedente,  il  presidente  uscente
candidato  e'  confermato  qualora  raggiunga  una  maggioranza   non
inferiore al 55 per cento dei votanti». 
    Ora,  una  piana  lettura  della  citata  norma  transitoria,  in
ossequio al principio «in claris non fit interpretatio», non consente
di operare un'estensione nel senso auspicato dal ricorrente  anche  a
coloro che avevano concluso il mandato prima dell'entrata  in  vigore
della legge n. 8 del 2018. 
    Peraltro, a ben vedere, la prospettazione del ricorrente non mira
a ricercare una lettura costituzionalmente orientata del  nuovo  art.
16, comma 2, del decreto legislativo n. 242 del 1999 nella  parte  in
cui impone il limite dei tre mandati  bensi'  una  lettura  estensiva
della predetta norma transitoria contenuta nel citato art.  6,  comma
4, della legge n. 8 del  2018  che,  tuttavia,  come  detto,  non  e'
praticabile  in  ragione  della  chiarezza  della   fattispecie   ivi
regolata. 
    Ne' puo' invocarsi il divieto di retroattivita'  delle  norme  di
cui all'art. 11 delle preleggi in quanto il limite  dei  tre  mandati
opera solo per l'avvenire, pur con il temperamento della citata norma
transitoria,  ovvero  per  il  rinnovo  delle   cariche   associative
successive all'entrata in vigore della legge e  cio'  e'  sufficiente
per ritenere rispettato il predetto divieto. 
    Per concludere sul punto della rilevanza, l'art. 16, comma 2, del
decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, come modificato dall'art.
2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, essendo il presupposto
della modifica statutaria (art. 54, comma 2, dello statuto  FIT),  ha
costituito il fondamento che ha portato all'esclusione del ricorrente
dalle elezioni per il rinnovo dei consiglieri regionali della FIT, in
relazione  al  quale  non  e'  possibile,  ad  avviso  del  Collegio,
percorrere letture costituzionalmente  orientate  che  consentano  di
evitare di sollevare  l'incidente  di  costituzionalita'  dinanzi  al
giudice delle leggi. 
B)  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  comma  2,  del  decreto
legislativo 23 luglio 1999, n.  242,  come  modificato  dall'art.  2,
comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1  e
2, della legge n. 8/2018 per violazione degli articoli 2, 3, 18,  41,
42, 48 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione  all'art.  11
CEDU, e dell'art. 12 Carta di Nizza. 
    Al riguardo, va, preliminarmente, esaminata la  natura  giuridica
della  Federazione  italiana  tennis  -  FIT  anche  per  individuare
l'esatto parametro costituzionale di riferimento  in  base  al  quale
verificare la compatibilita' delle norme richiamate come, ad esempio,
l'art.   97   della   Costituzione   (se   trattasi    di    pubblica
amministrazione) oppure l'art. 18 della Costituzione  (se  si  e'  di
fronte ad un ente di natura privatistica). 
    Come detto, il  Collegio  ritiene  che  la  Federazione  italiana
tennis - FIT, almeno con riferimento alla fattispecie in  esame,  sia
annoverabile tra le associazioni di diritto privato. 
    Cio', invero, non solo si ricava dal dato testuale della norma di
riferimento ovvero l'art. 15, comma 2, del decreto legislativo n. 242
del 1999 (poi, ribadito nell'art. 1, comma 1, dello statuto FIT)  che
annovera,  invero,  le  federazioni   sportive   nazionali   tra   le
associazioni con personalita' giuridica di diritto privato (la  norma
citata aggiunge, poi, che «Esse non perseguono fini di lucro  e  sono
soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto,
alla disciplina del codice civile e delle  relative  disposizioni  di
attuazione»); anche in un  settore  diverso  da  quello  che  si  sta
trattando in questa sede (ovvero il  diritto  di  elettorato  passivo
degli associati della FIT),  lo  stesso  Consiglio  di  Stato,  nella
sentenza n. 5348/2021, seppure con riferimento  alla  FIGC  (ma  cio'
vale anche per le altre Federazioni), ha  ritenuto  che  la  predetta
Federazione non fosse  annoverabile  tra  gli  organismi  di  diritto
pubblico,  con  conseguente  non  assoggettabilita'  alla  disciplina
dettata in materia di contratti pubblici. 
    In quel caso, il giudice  di  appello,  sviluppando  i  parametri
interpretativi forniti dalla Corte di giustizia  dell'Unione  europea
nella sentenza sulle cause riunite C-155/19 e C-156/19 del 3 febbraio
2021, ha escluso che possa  riconoscersi  un'influenza  dominante  da
parte  del  CONI  nella  gestione  delle  Federazioni  sportive   ne'
tantomeno la sussistenza «di vincoli idonei a comprimere  l'autonomia
di gestione interna». 
    Ora, sebbene non possa dubitarsi che le Federazioni  sportive  e,
quindi, la FIT svolgano comunque attivita' di  rilievo  pubblicistico
(come la promozione dello sport di riferimento),  cio'  non  vale  ad
attribuire alle stesse una soggettivita' pubblica con il  conseguente
assoggettamento ai relativi vincoli normativi. 
    In questo quadro, il CONI, nella gestione delle  Federazioni,  ha
si' una funzione di regolazione e controllo ma  limitata  al  settore
delle competizioni sportive e, pertanto, non e' tale da far  assumere
a queste ultime natura pubblicistica. 
    Del resto, la stessa  Corte  costituzionale,  nella  sentenza  n.
160/2019, nel ribadire l'autonomia dell'ordinamento sportivo e la sua
conformita'  al  concetto  pluralista  dello  Stato  disegnato  nella
Costituzione, ha riconosciuto che  il  sistema  dello  «sport»  trova
protezione proprio negli articoli  2  e  18  della  Costituzione  che
garantiscono   lo   sviluppo   della   personalita'    dell'individuo
nell'ambito delle formazioni sociali e che assicurano il  diritto  di
associarsi liberamente per fini che  non  sono  vietati  dalla  legge
penale. 
    Cio' posto con riferimento alla natura giuridica (privata)  della
FIT,  puo'  ora  passarsi  ad  esaminare  i  profili   di   possibile
incostituzionalita' dell'art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23
luglio 1999, n. 242, come modificato  dall'art.  2,  comma  1,  della
legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1 e 2, della  legge
n. 8/2018 nella parte in cui esclude  agli  associati  della  FIT  la
possibilita' di candidarsi nell'ambito degli organi direttivi qualora
abbiano gia' svolto tre mandati elettivi. 
    Si tratta, invero, di  una  previsione  che  rende  l'interessato
interdetto in via definitiva dalla possibilita' di  far  parte  degli
organi direttivi della FIT, tanto da non poter  prendere  piu'  parte
attiva nell'attivita' gestionale e di indirizzo dell'associazione  di
che trattasi. 
    Cio', ad avviso del Collegio, appare dapprima  in  contrasto  con
gli articoli 2, 3 e 18 della Costituzione nella misura  in  cui  tale
previsione risulta  sproporzionata  ed  irragionevole  rispetto  agli
obiettivi che il legislatore stesso si era prefissato di raggiungere,
soprattutto se si tratta di incidere su  un'associazione  di  diritto
privato   che   contribuisce   allo   sviluppo   della   personalita'
dell'individuo  nell'ambito  di  una  formazione  sociale   come   la
Federazione sportiva. 
    E' evidente che la ratio che ha ispirato la modifica  legislativa
dell'art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242
operata dall'art. 2, comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n.  8  sta
nell'evitare «rendite di posizione» da parte di  coloro  che  siedono
negli organi direttivi delle Federazioni,  in  modo  da  favorire  un
ricambio   all'interno   degli   organi   di   rappresentanza,   cio'
nell'intento di promuovere  una  maggiore  partecipazione  alla  vita
associativa che costituisce, come detto, un modello di sviluppo della
personalita' garantito dall'art. 2 della Costituzione 
    Pur  tuttavia,  il  Collegio  ritiene  che  tale  intervento  che
sancisce la definitiva incandidabilita' per  coloro  che  hanno  gia'
svolto tre mandati non superi il  test  di  proporzionalita'  che  lo
stesso giudice delle leggi impone di valutare nello scrutinio di  una
determinata previsione di legge e  che  prevede  che  il  legislatore
debba adottare la misura piu' idonea al conseguimento degli obiettivi
prefissati ma,  al  contempo,  debba  scegliere  sempre  quella  meno
restrittiva dei diritti a confronto e meno sproporzionata rispetto al
perseguimento di  quegli  obiettivi  (cfr,  Corte  costituzionale  n.
1/2014 e 71/2015). 
    Cio' costituisce, invero, una  ipotesi  di  possibile  violazione
dell'art. 3 della Costituzione, a maggior ragione  se  rapportata  ai
richiamati articoli 2 e 18 della della Costituzione (e, quindi, anche
all'art. 117, comma 1, della Costituzione con riferimento ad art.  11
CEDU, e all'art. 12  Carta  di  Nizza)  in  quanto  una  tale  misura
restrittiva e definitiva costituisce una rilevante compressione della
liberta'   di   associazione   dell'individuo   che,    in    maniera
sproporzionata ed irragionevole, viene escluso definitivamente  dalla
vita attiva dell'associazione di riferimento nonche' determina - come
documentato da parte ricorrente - anche una  difficolta'  a  reperire
candidati per  ricoprire  le  cariche  associative,  con  conseguente
rischio di influire sul funzionamento stesso dell'associazione. 
    Del  resto,  anche  nell'ambito  di  entita'  pubblicistiche,  si
registrano norme che introducono limiti ai mandati elettivi ma, nella
maggior parte dei casi, tale limite e' introdotto con  riferimento  a
mandati svolti consecutivamente, senza con cio' mai  inibire  in  via
definitiva l'elettorato passivo degli interessati. 
    Ad esempio, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 173/2019,
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
- sollevate dal Consiglio nazionale forense (CNF) in riferimento agli
articoli 3, 48 e 51  della  Costituzione  -  dell'art.  3,  comma  3,
secondo periodo, della legge n. 113 del  2017,  nella  parte  in  cui
prevede che i consiglieri  dei  consigli  circondariali  forensi  non
possono essere eletti per piu' di due mandati consecutivi  in  quanto
la norma censurata introduceva peraltro un divieto analogo  a  quello
previsto per altri ordinamenti professionali. 
    In quella sede, il giudice delle leggi ha avuto modo di affermare
che il divieto  del  terzo  mandato  «consecutivo»  (e,  quindi,  non
l'inibizione in via definitiva dell'elettorato passivo) e'  posto  al
fine di favorire (nel senso anche che e' sufficiente a  favorire)  il
fisiologico ricambio all'interno dell'organo, di bloccare il  rischio
di cristallizzazione della rappresentanza e di tutelare le condizioni
di eguaglianza stabilite per accedere alle cariche elettive. 
    In quel caso, poi, e' stato ritenuto che tale limitazione  ad  un
numero di mandati «consecutivi» fosse in linea con il  principio  del
buon  andamento  dell'amministrazione,  in  particolare   nelle   sue
declinazioni di imparzialita' e trasparenza, in modo  da  tutelare  -
anche in considerazione delle  numerose  funzioni  pubblicistiche  di
vigilanza  e  rappresentanza   esterna   assolte   dagli   ordini   -
l'autorevolezza di una professione oggetto di particolare  attenzione
da parte del legislatore per la  sua  incidenza  sull'amministrazione
della giustizia e sul diritto di difesa. 
    Lo  stesso  vale,  invero,  con  riferimento  ad  altre   entita'
pubblicistiche come i mandati elettivi all'interno  degli  organi  di
autogoverno delle magistrature relativamente ai quali il legislatore,
come noto, ha previsto limiti  ai  mandati  consecutivi  senza  pero'
prevedere  ipotesi  di  incandidabilita'   assolute   nel   caso   di
svolgimento da parte degli interessati di un  numero  determinato  di
mandati (per il Consiglio superiore della Magistratura, vgs art. 104,
sesto comma,  della  Costituzione;  per  la  Corte  dei  conti  e  la
Giustizia Amministrativa, vgs art. 10, comma 2-bis,  della  legge  n.
117 del 1988). 
    Cio' deve valere, a maggior ragione, ad avviso del Collegio,  con
riferimento agli enti aventi natura privatistica nei quali, peraltro,
in applicazione  degli  articoli  41  e  42  della  Costituzione,  le
restrizioni della liberta'  di  iniziativa  privata  non  devono  mai
sfociare  nell'arbitrarieta'   e   nell'incongruenza   -   e   quindi
nell'irragionevolezza  -  delle  misure   adottate   per   assicurare
l'utilita' sociale (cfr Corte costituzionale, 23  novembre  2021,  n.
218). 
    Ora, appare  evidente,  ad  avviso  del  Collegio,  che,  per  il
perseguimento degli  obiettivi  prefissati  dal  legislatore  (ovvero
evitare «rendite di posizione» da parte di coloro che  siedono  negli
organi direttivi delle Federazioni, in modo da favorire  un  ricambio
all'interno degli organi di rappresentanza), la misura introdotta con
l'art. 2, comma 1, della legge n. 8 del 2018 appare sproporzionata in
quanto  lo  stesso  obiettivo   avrebbe   potuto   essere   raggiunto
introducendo misure non definitive o, comunque, meno  limitative  del
diritto  di  elettorato  passivo  per  l'assunzione   delle   cariche
associative. 
    A cio' si aggiunga il possibile contrasto con gli articoli 2 e 48
della Costituzione nella misura  in  cui  si  limita  il  diritto  di
elettorato   passivo,   avente   carattere   inviolabile,    peraltro
nell'ambito di un ente di diritto privato in cui - come  detto  -  si
esplica la personalita'. 
    Al riguardo, vale  quanto  gia'  argomentato  in  precedenza  con
riferimento all'esigenza di introdurre misure proporzionate  rispetto
agli obiettivi prefissati, in un necessario giudizio di bilanciamento
tra interessi costituzionalmente protetti che, nel  caso  di  specie,
non sembra essere stato svolto in maniera  corretta  dal  legislatore
del 2018. 
C) Precisazione. 
    A  fronte  di  quanto  sopra  rappresentato,   il   Collegio   e'
dell'avviso di dover rimettere nella sua interezza  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  16,  comma  2,  del  decreto
legislativo 23 luglio 1999, n.  242,  come  modificato  dall'art.  2,
comma 1, della legge 11 gennaio 2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1  e
2, della legge n. 8/2018. 
    In questo contesto  non  viene  direttamente  e  in  primo  luogo
ipotizzato un intervento additivo da parte del  giudice  delle  leggi
con riferimento all'elemento della «consecutivita'»  dei  mandati  in
quanto, trattandosi  di  un'entita'  con  personalita'  giuridica  di
diritto  privato,  e'  la  stessa  Corte  costituzionale  che  dovra'
valutare qual e' il limite che al legislatore  possa  essere  imposto
per poter incidere sul diritto di elettorato passivo di un membro  di
un'associazione privata, nella misura in cui questa  svolga  comunque
funzioni nell'ambito di un settore (come quello sportivo)  di  sicuro
rilievo dal punto di vista pubblicistico. 
D) Conclusioni. 
    In conclusione, il Collegio, previo rigetto dei primi due  motivi
del  ricorso,  ritiene  rilevante  nel  presente   giudizio   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 16, comma 2, del decreto legislativo  23  luglio  1999,  n.
242, come modificato dall'art. 2, comma 1,  della  legge  11  gennaio
2018, n. 8, e dell'art. 6, commi 1 e 2, della legge n. 8/2018  (nella
parte in cui esclude agli associati  della  FIT  la  possibilita'  di
candidarsi nell'ambito degli organi direttivi a  coloro  che  abbiano
gia' svolto tre mandati) per violazione degli articoli 2, 3, 18,  41,
42, 48 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione  all'art.  11
CEDU, e dell'art. 12 Carta di Nizza. 
    Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953 n.  87,
deve essere pertanto disposta  l'immediata  trasmissione  degli  atti
alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata con la presente ordinanza. 
    Deve  essere  altresi'  disposta  la  sospensione  del   presente
giudizio  sino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale   sulla
questione di legittimita' costituzionale. 
    Devono essere infine ordinati gli adempimenti di notificazione  e
di comunicazione della presente ordinanza, nei  modi  e  nei  termini
indicati nel dispositivo.